PAOLA BEATRICE ROSSINI
Occhi gialli-neri ROMANZO FANTASY
Copyright © 2011 CIESSE Edizioni Design di copertina © 2011 CIESSE Edizioni Occhi gialli-neri di Paola Beatrice Rossini Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere inviate a: CIESSE Edizioni Servizi editoriali Via Conselvana 151/E 35020 Maserà di Padova (PD) Telefono 049 78979108/8862964 | Fax 049 2108830 E-Mail redazione@ciessedizioni.it P.E.C. infocert@pec.ciessedizioni.it ISBN 978897277620 Collana GOLD Versione eBook http://www.ciessedizioni.it NOTE DELL’EDITORE Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario.
Quest’opera è stata pubblicata dalla CIESSE Edizioni senza richiedere alcun contributo economico all’Autore.
A Daniele, Mattia, Bianca Olga e Gianluca
BIOGRAFIA DELL’AUTRICE Paola Beatrice Rossini è nata a Firenze il 27/07/1971. E' sposata e ha tre figli. Laureata in Pedagogia è insegnante di scuola primaria e lavora con bambini che hanno difficoltà di apprendimento. Appassionata della lettura; le piace essere creativa nel lavoro e nella scrittura (che spesso mescola insieme) filastrocche, poesie, racconti e adesso un romanzo. Due sue poesie sono state pubblicate: una nell'antologia "Habere Artem" vol. XIII Aletti Editore, l'altra nell'antologia "La Notte" di Poesiaèrivoluzione. Ha partecipato con entusiasmo al libro "Nano-scrittori ai tempi di Facebook Un romanzo di dieci parole" di Franco Coda e "Scrivi una pola in dieci parole" Nanowriters meet polaroiders.
RINGRAZIAMENTI Questo fantasy è nato dalla poesia iniziale pubblicata sul sito "Poesieracconti.it". Ringrazio dunque il sito che è stato il primo stimolo a scrivere, gli "amici" che mi hanno sempre commentato positivamente: prima la poesia poi alcuni racconti che si sono succeduti fino a diventare la storia che conoscete. Grazie a Simone, Nunzio, Michele, Giacomo, Nino, Laura, Guido (i piÚ assidui) e in particolare Denny, sempre entusiasta, aiutandomi anche con dei suggerimenti. Ringrazio Irina, la mia editor, che ha portato avanti la causa presso la casa editrice e soprattutto la Ciesse Edizioni e il suo Direttore, per avermi fatto avverare un sogno.
Vagava nel cielo un angelo nero il suo lungo mantello un oscuro fardello; per sbaglio o per caso si scontrò contro un vaso in un balcone di pietra scivolò come seta. Non aveva più sonno si alzò a quel tonfo incurante della veste aprì, con eleganza celeste. Uno scontro di sguardi due opposti codardi, che un bizzarro destino stabilì col suo zampino. Il sapore goloso dell’opposto proibito li attraeva entrambi e divennero amanti. Ma il sogno finisce l’opposto proibisce l’oscurità lo reclama anche adesso, che ama… PROLOGO
Londra, nella notte fra il 19 e 20 giugno 2010. Camminava nel buio della notte. Cercava di fare piano, ma i tacchi rimbombavano nel silenzio della strada. Voleva essere piccola piccola, invisibile a tutti. Era fuggita dal locale presa da un forte impulso, lasciando le sue amiche sbigottite al tavolo. Quello che aveva visto l'aveva sconvolta. Doveva essere una serata divertente con vecchie amiche, a bere, a ricordarsi vecchi aneddoti, farsi parecchie risate e invece... Tra il fumo delle sigarette sparso in tutto il locale e forse qualche bicchiere di troppo, andando al bagno, con la coda dell’occhio, aveva intravisto il suo compagno, Colin, flirtare con trasporto insieme a un'altra. Senza farsi troppo notare, si era avvicinata alla sala accanto per guardare meglio. Non c'era dubbio, era lui. Menomale che doveva essere a casa di amici a vedere i mondiali, pensò fra sé irritata. Adesso lui era fianco a fianco alla ragazza e le cingeva la vita. Ecco, ci mancava il bacio. Rimase dentro al bagno un buon quarto d’ora. Non sapeva come comportarsi: fare una bella sceneggiata davanti a tutti o far finta di niente e proseguire la serata lieta e spensierata? Nessuna delle due scelte era nelle sue corde. Non riusciva a essere fredda e calcolatrice, ma neanche travolta dal sentimento ignorando il contesto attorno. Tornò al tavolo e, con la scusa di una chiamata urgente, uscì di corsa. La rabbia la travolgeva.
Camminava veloce e si allontanava senza una meta precisa in testa. Accecata dall'ira, non si rendeva conto del suo vagare. Andava. Andava con smania di arrivare chissà dove, la rabbia le metteva le ali ai piedi fino a quando si ritrovò vicino a un parco. Era disorientata, non riconosceva le strade e il giardino che costeggiava. La consapevolezza le piombò addosso ed ebbe paura. Perché era arrivata proprio lì? Sapeva benissimo quello che succedeva la notte negli angoli più scuri della città. Rallentò in modo da non battere i tacchi sul marciapiede: doveva fare il minor rumore possibile. Pensò a come era vestita: non era proprio un abbigliamento da lucciola, aveva una minigonna, ma l'impermeabile scuro le copriva le gambe fino al ginocchio; se lo abbottonò per coprirsi la maglia scollata e lo strinse alla vita. Il colore dell’impermeabile l’avrebbe aiutata a mimetizzarsi con la notte, si disse per farsi coraggio. All’improvviso si sentì osservata, girò la testa di scatto verso il parco ma, oltre alle foglie degli alti cespugli e al buio, non vide altro. Era stata una sensazione che le lasciò sotto la pelle un forte brivido di adrenalina. Con sollievo scorse il cartello della metropolitana, era in fondo al marciapiede vicino all’entrata; ancora cento metri e sarebbe uscita da quella situazione. Un fruscio delicato la impietrì. Rigirò la testa atterrita, il parco era sempre più buio con lunghe ombre sinistre mosse dalla leggera brezza. Aumentò
il passo, più veloce, sempre più veloce. Voltò l'angolo certa di avercela fatta e si trovò di fronte a due ubriachi. «Ehi, tu, fermati con noi, ti offriamo una birra!», disse il più grosso porgendole la bottiglia. «No, devo andare». Accelerò il passo. Si sentì prendere per un polso. «Aspetta, che fretta hai? Potremo divertirci un po' noi due». Dafne rimase interdetta dal forte odore di alcool emanato dall’uomo e, schifata, si portò una mano al viso per proteggersi il naso. «Vuoi divertirti solo tu?». L'altro le prese le braccia tenendole ben salde dietro. «Aspetta, andiamo dentro al parco. Portala dai». Ecco, era finita: perché non era rimasta nel locale, scioccata, ma almeno salva? Adesso... I pensieri divennero frenetici. Cominciò a urlare con tutto il fiato che aveva, si dibatteva: braccia, gambe, cercava di scuotersi per riuscire a sfuggire alla loro presa, ma era tutto inutile. I due la tenevano e la trascinavano saldamente pregustandosi la scena. La gettarono a terra sotto una grossa quercia e le si avventarono addosso. Cercò di graffiare i loro visi, riuscì a mordere un polso, avrebbe potuto farcela se fosse stato uno solo ma, come si liberava, l’altro la riacchiappava. Si sentiva in trappola e quella certezza le uscì dallo stomaco con una violenza viscerale. Lanciò un acuto “NO” che echeggiò di albero in albero, di ramo in ramo infilandosi tra le foglie,
circondando i tronchi fino a penetrare la terra attraverso le loro radici. Stremata dall’urlo divenne inerte, un topolino spacciato in bocca a un serpente, apatica a tutto, non si rese conto di quello che accadeva. Improvvisamente le avevano lasciato i polsi e le caviglie libere. Aprì gli occhi stordita, non capiva il repentino cambiamento e un barlume di speranza le accese il viso. Vide i suoi assalitori battersi con qualcosa di grosso, molto grosso e scuro, senza avere la meglio. La poca luce della strada che filtrava nel parco non permetteva una buona visibilità, distingueva appena i movimenti veloci e precisi. Tutto accadde rapidamente: quella cosa, con una forza straordinaria, li aveva abbattuti. Ora stava in piedi in mezzo ai due corpi stesi. Ansimava e guardava nella sua direzione. Lei incontrò il suo sguardo, distingueva nella cupa notte solo gli occhi gialli con fessure nere. Rabbrividì. Avrebbe voluto ringraziarlo, ma lo stupore intorpidiva la sua bocca. Percepiva in lui violenza e ira, era consapevole però, che non l’avrebbe toccata. Con un balzo, l’agile figura saltò fra i rami degli alberi e sparì. Tremando si alzò e, con le gambe non del tutto stabili, si avvicinò ai corpi dei due uomini. Il sangue ancora caldo era sparso ovunque. Sembrava che dei coltelli li avessero squartati. Non toccò niente e, prima che quella bestia potesse cambiare idea, scappò. Non era facile correre con i tacchi che si infilavano nel terreno umido.
Riuscì ad arrivare in strada, l’entrata della metropolitana era lì a due passi e con sollievo si precipitò in quella direzione. Scese le scale e fece appena in tempo a prenderla. Sconvolta, si aggrappò al primo palo libero che trovò. Ansimava ancora: la paura, la corsa, la visione dei due corpi smembrati le facevano girare la testa. Vide un seggiolino vuoto e si sedette; lentamente i suoi battiti cominciarono ad acquietarsi. Pensava di continuo alla scena, la rivedeva veloce e immediata; una serie di fotogrammi mescolati a sensazioni forti, drammatiche, surreali e più ci pensava e più dallo stomaco saliva la nausea. Doveva ringraziare quella cosa o era solo un caso che non avesse dilaniato anche lei? Che cos’era? Rivedeva gli occhi gialli neri carichi di collera che la osservavano e una strana inquietudine le sfiorò il collo, ghiacciandola.
1. «Si riparte. Altre missioni da compiere, altri comandi da svolgere… Ogni secolo è così, sarà così, all’infinito e ancora e ancora». Da dove cominciare? Si domandava scrutando il nuovo luogo, il nuovo tempo. Tutte le volte che iniziava una missione cambiavano le ambientazioni e il tempo storico, l’unica variante nelle cose che era costretto a fare, perennemente. L’anno 2010, giugno per la precisione e il parco di quella città, Londra, gli parvero il momento più adatto. Da cosa cominciare? Di solito lasciava che fosse il caso, o Dio, a decidere per lui. Il pensiero lo divertì, in un certo senso lavorava anche per Lui? Era elettrizzato. Si stava avvicinando una vittima. Un brivido di piacere si diramò in tutto il corpo; amava assaporare ogni attimo, di questo non si era ancora annoiato. Si avvicinò piano per osservare la nuova vittima. Carina. Non di impatto. L’osservò. Lei si girò di scatto, guardava nella sua direzione, ma non vide niente. Lui vide e non gli dispiacque ciò che vide. La paura nei suoi occhi la rendeva più attraente. Si era sentita osservata? Strano, nessuno si accorgeva di lui. Adesso la ragazza cominciò a rallentare il passo. I suoi tacchi non risuonavano più sulla strada. Si allacciò l’impermeabile nero. Sì, lei si era accorta di qualcosa. Scaltra, ma non abbastanza.
Ecco, pensò, uno stupro aumenterebbe la tensione. La giovane girò l’angolo e, neanche a farlo apposta, si trovò di fronte a due miserabili ubriachi. Cominciamo! Infuse in loro una pulsione libidica, parecchio forte per contrastare l’effetto dell’alcol. Rise fra sé pensando: ce la faranno a violentarla? La scena si stava avviando bene; la paura nella ragazza crebbe, lui assaporò quelle intense emozioni. Di questo si cibava come ricompensa del lavoro svolto. Ancora di più, il terrore di lei avanzava mentre la trascinavano nel parco. La gettarono a terra. Gustava quel momento centuplicato rispetto al piacere che poteva procurare a due stupratori… Qualcosa, però, cambiò in lui. Un forte urlo di panico penetrò lungo le sue viscere toccando emozioni consapevolmente occultate e facendone uscire una rabbia furiosa che lo percorse lungo il corpo; una tremenda ira. Prese le sembianze di un enorme lupo nero e si scaraventò su di loro. Non ci volle molto, li squartò impossessato da una furia cieca. Fermo in piedi la guardava, sperando fosse incolume. Anche lei lo cercava con lo sguardo, sentiva le sue emozioni. Non c’era terrore, gratitudine, una sensazione diversa che non aveva mai assaporato, ma che… gli piaceva. Ansimava. Cosa aveva fatto? Con un balzo veloce si allontanò dalla sua visuale. Era vicino e la osservava nascosto tra i rami degli alberi. Lei, atterrita, passò vicino ai due corpi, li guardò inorridita e scappò.
Cosa aveva fatto? Si domandò nuovamente. Mai era uscito dalle regole della propria realtà; dopotutto aveva ucciso, anche se l’obiettivo era un altro. Era turbato, un’altra sensazione nuova. Non doveva scappargli. Era una predestinata, doveva finire il compito. La seguì. Entrò anche lui in metropolitana e con l’aspetto di un anziano si mise a sedere dietro di lei. L’osservò. Lentamente vide i suoi respiri placarsi; sentì le sue riflessioni. Era vicina, pericolosamente vicina alla soluzione, ma come tutti non ci credeva con convinzione. Soffiò leggermente nella sua direzione. Vide il brivido insinuarsi sulla pelle. Ecco, stava tornando in sé. Adesso sapeva cosa fare, adesso avrebbe compiuto… Dafne si era appena fatta la doccia. Strizzò con l’asciugamano i lunghi capelli castani a testa in giù, poi alzò il capo di scatto e si guardò allo specchio. Che cosa era successo? Guardava il riflesso del suo viso, ma non si vedeva, attraverso i suoi occhi castani riviveva le scene nel parco, la violenza non ricevuta, la cosa dagli occhi gialli. Voleva salvarla o era passata di lì per caso? Indossò una sottoveste bianca e si mise a letto prendendo un libro dal comodino. Provò a leggere. Inutile. La testa divagava, non riusciva a concentrarsi. Posò il libro sul cassetto e si diresse verso la porta che dava sul balcone di pietra. Viveva in affitto in un piccolo appartamento nel cuore di Londra; una volta era un bellissimo edificio
d’epoca vittoriana, adesso era stato suddiviso in tanti mini appartamenti lasciati andare all’incuria, con qualche balcone qua e là che simboleggiava l’antica ricchezza del palazzo. Uscì. L’aria era leggermente frizzante, ma volle affacciarsi lo stesso. Guardare la città di notte l’affascinava. Di fronte a lei, c’era un alto palazzo in stile gotico con piccoli gargoyles agli angoli, mentre sul lato sinistro alcune palazzine più basse le permettevano di allungare lo sguardo sopra i loro tetti. In lontananza si vedeva il Big Ben e alla sua destra si intravedevano gli alberi di un altro parco. Un forte brivido le diede una scossa. Era meglio rientrare. Chiuse le imposte e, mentre riattraversava la stanza, una gelida brezza l’attraversò, ghiacciandole la schiena. Eppure era sicura di aver chiuso. Si girò e lo vide. Imponente, vestito di nero, un bellissimo volto circondato da folti riccioli scuri e gli occhi: neri con piccole pagliuzze gialle. Si osservarono a vicenda. Si riconobbero. Una presa di coscienza non razionale, ma profonda. Lei, la predestinata, piccola e delicata, i capelli lunghi e castani, gli occhi grandi e puliti, coperta solo da una leggera sottoveste, lo guardava senza timore, ma affascinata. Lui, che avrebbe potuto distruggerla anche solo con lo sguardo, ammirava il suo coraggio e qualcosa di più: il suo candore. Era lì per compiere la sua missione. Moltissime altre volte l’aveva fatto, non si sarebbe fatto distrarre.
Dafne si sentì afferrare per i fianchi e alzare come se fosse una piuma. Schiacciata addosso alla parete, sentì le sue mani esplorare il suo corpo. Lui assaggiò la sua pelle: era morbida, profumata, invitante. Lei, catapultata in quella situazione, non ebbe il tempo di reagire. Sentì la bocca strusciare sulla sua pelle dandole un piacere ipnotico. La testa cominciò a vorticare lungo un fiume di sensazioni nuove, mai provate. Fu trasportata lontano, dove non c’erano pensieri e problemi; dove i sensi avevano la meglio e dominavano il corpo. Le strappò la sottoveste e l’adagiò sul letto. Lussuria. Quale piacere migliore, il suo peccato preferito! Avrebbe goduto di lei, di ogni minima parte del suo corpo; lei lo lasciava fare trascinata da un inesorabile stato di ebbrezza. Poco alla volta, sprofondarono in un turbinio d’infinito piacere, sensazioni nuove e forti, sempre di più, fino a quando travolti dalla passione dimenticarono il mondo intorno a loro e chi erano. C’erano solo loro due e una forte attrazione che li univa. Stremati, crollarono ansimanti, una nelle braccia dell’altro.
2. Qualche mese prima. Golfo del Messico 11 aprile 2010 Piattaforma Over water Arizona. Quella mattina, a controllare la piattaforma, erano venuti in cinque, i soliti visi più uno nuovo. Elmet Browen era uno dei responsabili insieme a Vincent Collins e adesso dovevano illuminare i nuovi responsabili prima di staccare. Quindici giorni soli sulla piattaforma e tutto era stato regolare, ora avevano voglia di riprendere la vita tranquilla di tutti i giorni, non sarebbero tornati prima di un mese. Tre dei nuovi arrivati dovevano rilevare eventuali anomalie, due di questi avrebbero occupato il loro posto. Ognuno aveva il suo settore da verificare, poi avrebbero fatto una relazione da mandare alla Oceans Petrolium, la società che gestiva la manutenzione della maggior parte delle piattaforme nell’oceano Atlantico. Elmet, uomo di mare, annusò qualcosa di strano nell’aria. Era ormai vicino alla pensione e conosceva quasi tutti, ma quel ragazzo sulla trentina con i riccioli neri non gli sembrava un volto familiare. «Sei nuovo della compagnia?» «Sì, è appena un mese che sono stato assunto dalla Oceans Petrolium. Fuscus Implagor», e gli dette la mano. «Elmet Browen. Sei di origine europea?».
« Romane, molto alla lontana, » gli sorrise sardonicamente. «Sì, ora che ci penso, è un nome latino». Il ragazzo lo confermò con un cenno della testa. «Ho bisogno di controllare se ci sono infiltrazioni di gas, mi può indicare dove è l’apposito settore?». «Certo, per di qua». Gli altri si erano già sistemati ognuno al proprio posto di controllo. Scesero lungo una scaletta all’interno di una botola della piattaforma e si ritrovarono in un’ampia stanza piena di monitor e computer. Elmet gli mostrò il settore che gli interessava, dalla parte opposta un altro verificava il flusso di petrolio e la composizione. «Tutto a posto, può andare adesso». Lo sguardo volutamente serio e il tono autorevole fecero pensare a Elmet che probabilmente lo aveva giudicato male. Sembrava molto sicuro di sé e non un ragazzino alle prime armi. Capì il messaggio e andò a liberare la stanza dalle poche cose che si era portato. Fuscus Implagor utilizzava questa identità solo nelle situazioni ufficiali dove serviva un nome e un cognome, i suoi “amici” lo conoscevano semplicemente come Laghor, più americanizzato e “moderno” rispetto all’originale. Laghor azionò gli schermi del computer, si fece fare una cartina dettagliata di come era costituita la pompa, non era l’ultimo modello, ma un blowout preventer con un buon sistema di protezione. Se una parte diveniva difettosa, se ne poteva aggiungere un’altra facilmente e in poco tempo. Laghor prese
dalla tasca dei pantaloni una chiavetta, la inserì nel computer e scaricò un programma particolare e sofisticato; una specie di bomba a orologeria. Un lampo giallo attraversò i suoi occhi: tutto procedeva regolarmente. Nessuno avrebbe potuto accorgersi del virus e una volta utilizzato si sarebbe eliminato da solo. Dopo qualche ora la barca riprese il largo lasciando sulla piattaforma due nuovi responsabili e riportando gli altri a terra. Golfo del Messico, Hotel California, 12 Aprile 2010 ore 5 p.m. Laghor era appena rientrato in albergo dopo essersi fatto un giro di surf nell’oceano; le onde non erano le meravigliose montagne d’acqua della California ma, in mancanza d’altro, si accontentò. Si era fatto una doccia, si accese una sigaretta e: “al lavoro”, si disse. Aprì il portatile e inserì la chiavetta. Sullo schermo gli apparve la pompa dell’Overwater Horizon con tutti i funzionamenti allo stato attuale. Ne verificò la lunghezza della pompa e la profondità necessaria. «Questa dovrebbe bastare». Cliccò sul punto preciso e, senza pensarci più di tanto, premette invio. Golfo del Messico 12 aprile 2010 5,01 p.m.
Nella sala controllo della piattaforma Overwater Arizona c’era Richard Green, mentre il collega era a farsi un pisolino nelle camere. Leggeva, immerso nel racconto de “Il codice da Vinci”, tutti i suoi amici lo avevano già letto e lui, come suo solito, aspettava che la foga finisse per assaporarselo a modo suo. Gli piaceva andare contro corrente, mai eguagliarsi troppo agli altri. Preso dalla trama, non si accorse che una delle luci di controllo aveva cominciato a lampeggiare, poi, fu colto da un forte tremolio. Il terremoto. Subito la mente trovò quella scusante, ma quando vide la luce rossa che si alternava, capì che qualcosa di terribile era successo alla pompa. Accese la sirena per allertare velocemente il collega; azionò il sistema di sicurezza che gli mostrò immediatamente la falla in fondo alla pompa. «Richard, cosa succede?». John saltò direttamente gli ultimi scalini della botola per trovarsi subito nella sala comandi. «John, siamo rovinati, cazzo!». Batté il pugno sul piano di controllo. John guardò lo schermo e il peggiore dei suoi timori prese vita. «Calma. Allora: o raccomodiamo la falla o sostituiamo il meccanismo difettoso. Non c’è problema. Prima, però, dobbiamo sentire i capi in Arizona». «Signor Tyler, secondo me ci metteremo più tempo a raccomodare la falla, ma è la soluzione più sicura». John esponeva la sua idea con piena convinzione.
«No. Assolutamente no. Mi stanno dicendo che la fuoriuscita di petrolio è fluente, noi abbiamo dato delle garanzie sulla sicurezza della pompa; spegnete immediatamente il sistema difettoso e azionatene uno nuovo, è più veloce e non inquina, soprattutto». «È vero, è più veloce, ma se si rompe anche quello non abbiamo altro con cui sostituirlo, invece in due giorni la pompa si può recuperare». «Ho detto di no. Procedi come ti ho ordinato». Clic.
3. Londra mattina del 20 giugno. Come al solito era sempre di fretta, le piaceva dormire fino all’ultimo minuto e si ritagliava solo un’oretta per prepararsi: in bagno a lavarsi, indossare velocemente un paio di jeans e una delle sue magliette attillate; aprì il cassetto e scelse quella rosa scollata, la colazione e una pettinata svelta. E pensare che molte delle sue amiche si alzavano due ore prima solo per truccarsi… Finita la routine del mattino corse in metropolitana. Finalmente seduta accanto al finestrino le vennero in mente le immagini della sera prima. Aveva sognato? Razionalmente quello che credeva di aver vissuto era impossibile, però se faceva parlare il suo corpo, le emozioni riprendevano vita e la sensazione diventava più reale. Non era un fantasma, l’aveva toccato. Cosa aveva vissuto? Era passione? No, però qualcosa di simile; un forte trasporto come quello… Non sapeva a cos’altro paragonarlo. Nei suoi venticinque anni, aveva avuto solo storie serie, o almeno così erano partite; non era mai riuscita a lasciarsi andare per una sera, una notte e via, era troppo viscerale. Ciò che era successo le aveva fatto dimenticare Colin, il suo ragazzo. Tutto a un tratto si rese conto che la ferita appena inferta da lui, non le faceva più male; nell’anno in cui erano stati insieme non c’era mai stato un incontro travolgente come quello.
Ripensandoci, neanche nelle poche relazioni precedenti. Quella “cosa” era apparsa e aveva rivoluzionato il suo concetto di passione. Ma poteva chiamarsi passione? Era talmente nuova e forte che l’aveva lasciata… Non lo sapeva neanche lei, disarmata? Attonita? Presa dai suoi pensieri non si era accorta di essere arrivata alla fermata. Scese e si avviò verso l’uscita. Era in Old Castle Street, lavorava alla Women’s library, una biblioteca gestita da sole donne; aveva un contratto a tempo determinato di sei mesi e stava per concludere il primo. La sua laurea in storia e letteratura antica non le aveva lasciato altra possibilità, almeno per ora. Lavorava nell’archivio all’ultimo piano. Le arrivavano le ordinazioni e doveva trovare i libri e posizionarli su un nastro che, scorrendo, li portava nella sala centrale. Verso mezzogiorno le richieste rallentarono fino a interrompersi e lei poté finalmente mettersi a sedere e riprendere un po’ di fiato. I pensieri ricominciarono a vagare. Chi era? Cosa era? Era certa che nel parco non avesse sembianze umane. Il parco, sembravano passati giorni. Che stupida! Perché non aveva comprato il giornale? Dopo, durante la pausa pranzo, l’avrebbe fatto, si ripromise. Le venne un’idea. Si guardò intorno, non c’era nessuno; si mise davanti al computer e aprì Wikipedia. Cosa doveva cercare? Fantasmi?