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DOSSIER

LA MAFIA REALIZZATO DALLA CLASSE 3MA DELL'U.O. DI CONSELVE ANNO FORMATIVO 2010-2011 MODULO 7CAS


UOMINI CHE HANNO COMBATTUTO LA MAFIA Uomini e Donne famosi che hanno combattuto la mafia • • • • • • • • •

Giovanni Falcone Paolo Borsellino Peppino Impastato Carlo Alberto Dalla Chiesa Antonio Di Pietro Carla Del Ponte Ferdinando Imposimato Letizia Battaglia Eliot Ness

Giovanni Falcone Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – Capaci, 23 maggio 1992) è stato un magistrato italiano. Assassinato insieme alla moglie e con la scorta dalla mafia e da apparati deviati dello Stato, è considerato un eroe italiano, come Paolo Borsellino, di cui fu amico e collega.

Paolo Borsellino Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano, vittima della mafia. È considerato un eroe italiano, come Giovanni Falcone, di cui fu amico e collega.


Peppino Impastato Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978), è stato un politico, attivista e conduttore radiofonico italiano, famoso per le denunce delle attività della mafia in Sicilia, che gli costarono la vita.

Carlo Alberto Dalla Chiesa

Carlo Alberto Dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 – Palermo, 3 settembre 1982) è stato un generale, prefetto e partigiano italiano. « [...] ci sono cose che non si fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla. » (Carlo Alberto Dalla Chiesa al figlio, citato in 'Delitto imperfetto' di Nando Dalla Chiesa, 1984)


Antonio Di Pietro

Antonio Di Pietro (Montenero di Bisaccia, 2 ottobre 1950) è un politico, avvocato ed ex magistrato italiano. Ha fatto parte del pool di Mani Pulite come pubblico ministero; nel 1996 è entrato in politica, e nel 1998 ha fondato il movimento Italia dei Valori. Dal punto di vista ideologico Di Pietro ha sempre dichiarato la sua estrazione cattolica e il suo non essere né di destra né di sinistra, in un rifuggire dagli estremi che lo porta a considerarsi un liberale e un uomo di centro. Carla Del Ponte Carla Del Ponte (Cevio, 9 febbraio 1947) è una magistrata svizzera. Attualmente è ambasciatrice svizzera in Argentina. È stata procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia dal 1999 al 2007.


Ferdinando Imposimato Ferdinando Imposimato (Maddaloni, 9 aprile 1936) è un magistrato e politico italiano. Avvocato penalista, è Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. Si è occupato della lotta alla mafia, alla camorra e al terrorismo: è stato il giudice istruttore dei più importanti casi di terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro (1978), l'attentato al papa Giovanni Paolo II (1981), l'omicidio del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet, e dei giudici Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione. Si occupa anche della difesa dei diritti umani.

Letizia Battaglia

Letizia Battaglia (Palermo, 5 marzo 1935) è una fotoreporter e politica italiana.

Eliot Ness


Eliot Ness (Chicago , Illinois, 19 aprile 1903 – Cleveland , Ohio, 16 maggio 1957) è stato un agente federale statunitense al servizio del Dipartimento del Tesoro durante il proibizionismo. Famoso per essere stato al comando della squadra di investigatori, meglio nota come gli intoccabili, che riuscì a trovare le prove per far condannare Al Capone per evasione fiscale.

Mafia, il potere delle donne Con i boss in carcere, gestiscono affari e collegamenti Oltre cento sono in cella. Una

ottantenne indagata


L'ultima l'hanno arrestata la scorsa settimana, accusata di partecipazione a Cosa Nostra. E' Mariangela Di Trapani, 40 anni, «donna di mafia» a pieno titolo. Al di là dei presunti reati

per i quali sarà giudicata, infatti, Mariangela è figlia e sorella di due uomini d'onore, nonché moglie di Salvino Madonia, ergastolano per vari delitti tra cui l'omicidio dell'imprenditore antiracket Libero Grassi, e perciò nuora e cognata rispettivamente del vecchio capomafia Francesco Madonia (morto l'anno scorso nel carcere dove stava scontando la condanna a vita) e dei fratelli Nino, Giuseppe e Aldo Madonia, tutti in galera per associazione mafiosa.

In un colloquio intercettato, suo fratello Nicolò Di Trapani raccontava che «Mariangela ha sofferto da picciridda » perché ai tempi in cui lui e suo padre erano latitanti «a scuola non c'è più andata per amore di mio padre e di me... perché se ne è voluta venire con noi». Eppure, ricorda, «era brava a scuola... ci voleva andare...»; per questo «ha sofferto da bambina ». Ora che è donna fatta e madre di un figlio avuto dal marito detenuto grazie alla fecondazione artificiale, i magistrati della Procura di


Palermo hanno spedito in prigione anche lei. L'accusano di aver tenuto i contatti con i fratelli mafiosi costretti al «carcere duro» previsto dall'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario, facendo la spola tra i diversi istituti di pena e riferendo all'uno quello che l'altro diceva con linguaggi cifrati e sotterfugi vari. In più, riceveva e smistava i soldi della cosca, gestendo anche un patrimonio immobiliare occulto di notevole entità. Mariangela Di Trapani in Madonia è dunque finita in cella, ma è solo l'ultima in ordine di tempo. Una delle tante donne accusate di mafia. Nella stessa inchiesta compare anche sua suocera, Emanuela Gelardi, che a novembre ha compiuto 84 anni, rimasta libera proprio a causa dell'età. Probabilmente detiene il record d'anzianità tra gli inquisiti per partecipazione a Cosa Nostra, certamente tra le femmine: nell'indagine affidata ai carabinieri del Ros chiamata «Rebus» ce ne sono altre 25, tutte indagate per «trasferimento fraudolento di valori aggravato» dall'aver favorito l'associazione mafiosa. In pratica facevano da prestanome dei beni immobili della cosca. Sono tutte a piede libero, ma molte altre — come Mariangela — sono in carcere. «Donne d'onore» affiliate a Cosa Nostra, alla


camorra napoletana, alla 'ndrangheta calabrese e altre bande criminali organizzate. Secondo i dati del ministero della Giustizia, al 30 giugno scorso le donne detenute per violazione dell'articolo 41 bis del codice penale (l'associazione mafiosa, appunto) erano 84: 47 ancora in attesa di giudizio, 11 condannate in primo grado, una in appello e 25 con pena definitiva. Ma da allora ne sono state arrestate altre. In Calabria, ad esempio, hanno preso due donne della famiglia Molè, una delle cosche più importanti della piana di Gioia Tauro. E a Casal di Principe è finita la moglie del capoclan dei Casalesi Francesco Schiavone detto «Sandokan», seppure per un reato diverso: ricettazione aggravata, ma in un ovvio contesto camorristico. Se alle detenute per 41 bis si aggiungono le 47 in prigione (dati aggiornati al 28 novembre) per reati aggravati dall'aver favorito l'associazione mafiosa, si arriva a superare largamente la cifra delle cento «donne di mafia» rinchiuse nelle carceri italiane, a fronte di oltre seimila uomini detenuti con accuse dello stesso tipo. A quattro di loro, due napoletane e due calabresi, è imposto anche il «41 bis». Sull'eventuale colpevolezza di molte appartenenti a questa schiera si dovranno naturalmente pronunciare i tribunali, ma intanto viene fuori uno spaccato di mafia al femminile molto più ampio rispetto a quello immaginabile solo poco tempo fa, quando le «donne d'onore » erano una rarità e finivano sulle prime pagine dei giornali. Ancora nel 1999 l'arresto di Nunzia Graviano, esponente femminile della famiglia mafiosa del quartiere palermitano di Brancaccio, mise in luce la novità della donna «reggente» in


sostituzione dei fratelli detenuti di cui rappresentava «l'alter ego in grado di gestire un vero patrimonio», scriveva il giudice; si diceva che seguisse l'andamento della Borsa sul Sole 24 ore e sui bollettini del televideo per orientare gli investimenti della famiglia. Non solo di sangue.

«Ma non si deve immaginare che Cosa Nostra abbia avviato una politica di "pari opportunità" per le donne — avverte Gaetano Paci, uno dei pubblici ministeri titolari dell'indagine "Rebus" —; la mafia era e resta un universo maschilista, ma ha bisogno di risorse femminili dopo che gli uomini sono finiti quasi tutti in galera». Per di più con le limitazioni del «41 bis», di cui gli inquirenti di Palermo denunciano un «progressivo

svuotamento» che si evince proprio dall'indagine su Mariangela Di Trapani Madonia, «monitorata» nei suoi spostamenti da un carcere all'altro della penisola per parlare coi fratelli. Utilizzando aerei e macchine pagati in virtù di «fonti economiche di certa natura illecita». Cioè mafiosa. In più ci sono le lettere criptate e i colloqui telefonici concessi all'unico Madonia risparmiato dal «carcere duro». Quello dei capimafia


che continuano a comandare dalle rispettive celle «è un problema che non può non porsi chiunque abbia a cuore la sicurezza» del Paese, hanno scritto i magistrati nel provvedimento d'arresto. «Certamente non può sostenersi — hanno aggiunto — che sia necessario sopportare che pericolosi mafiosi possano gestire, influenzare, determinare o comunque interagire con il contesto associativo impegnato all'esterno in attività criminose». Spesso grazie alle donne di famiglia. Che curano i contatti con i detenuti, ma a volte pure con la latitanza dei loro uomini. In estate, a Reggio Calabria, è stata arrestata la moglie del capo 'ndrangheta Girolamo Molè anche perché, durante un colloquio in carcere, l'uomo discuteva con la donna di «un codice alfanumerico utilizzando il romanzo "Lo Zahir" di Paulo Coelho, probabilmente per eventuali messaggi da inviare all'esterno ». E quando due settimane fa la polizia ha catturato in Olanda il latitante Giuseppe Nirta, coinvolto nella faida di San Luca, con lui c'erano la moglie e due sorelle. Michele Prestipino, oggi procuratore aggiunto di Reggio Calabria, quando lavorava nell'antimafia palermitana s'è trovato di fronte a parecchie «donne d'onore», alcune delle quali — dopo l'arresto — hanno deciso di collaborare con la giustizia. E commenta: «Un tempo le donne erano custodi del potere mafioso all'interno delle mura domestiche, mentre mariti e fratelli lo esercitavano all'esterno; oggi, per via delle lunghe detenzioni imposte agli uomini, lo garantiscono anche fuori di casa, mantenendo i collegamenti col carcere e la presenza sul territorio».


LE ORIGINI DELLA MAFIA E LA SUA STORIA Non prima degli anni Settanta sappiamo di più delle strutture interne della mafia, dei complicati rapporti sociali e del clima psicologico nei clan della mafia. La legge anti-mafia e poi la sua applicazione conseguente, la regolazione dei testi principali nei processi anti-mafia e il lavoro delle iniziative civiche hanno approfondito le nostre conoscenze della mafia. Allora sospettiamo fino a dove arriva l’influenza della mafia nello stato, nella politica, nell’economia e nella cultura. Le origini della mafia sono sconosciuti. Il concetto mafioso è messo per iscritto per la prima volta nel titolo della commedia I mafiosi della Vicaria nel 1860. Ci i mafiosi sono i detenuti più rispettabili in un prigione. Nel 1865 si è usato questo concetto per i delinquenti. Già nel 1875 quasi tutte le lingue europee sanno il concetto mafia. La formazione della mafia rifletta i cambi sociali del feudalismo siciliano durante il Risorgimento. Dopo i contadini non erano più il possesso dei latifondisti, c’erano amministratori che affittavano il suolo per i latifondisti ai contadini. Questi amministratori si


chiamavano gabellutti. Loro diventavano sempre più forti e al fine hanno esautorato i latifondisti. Mentre i contadini sono rimasti poverissimi (perché dovevano pagare affitti molto cari), i gabellutti sono diventati sempre più forti. Si sono appropriati i diritti dei latifondisti nobili; hanno per esempio accettato gli impegni della polizia e del tribunale. Poco dopo hanno anche appostato le loro proprie truppe di sicurezza. Hanno potuto diventare così influenti solo perché il nuovo stato italiano non era riuscito a chiudere i buchi che il feudalismo ha lasciato in eredità. Fin d’allora si è sviluppata una sub-cultura criminale – è nata la mafia! Voleva essere d’impedimento allo stato italiano in ottenere influenza nel sud, affinché la mafia possa assicurare tutto il potere a se. Infatti era l’unica autorità vera in molti parti di Sicilia, non solo perché soltanto la mafia poteva progettare la gente bene. Ma questa protezione non era gratis, tanto la nobiltà quanto i contadini dovevano pagare il cosiddetto pizzu. Quando il diritto elettorale è stato inteso, la in penetrata nell’ambito della politica. In questo tempo era già così influente che poteva procurare molti voti per i parlamentari conservativi a Roma. Da questo fatto risultano tre conseguenti importanti: La mafia estende il suo potere per la popolazione campagnola di Sicilia, a cui promette protezione per il voto giusto


I deputati eletti impediscono le leggi anti-mafia nel parlamento La mafia e la politica romagnola crescono assieme, l’influenza della mafia non si limita ancora al Sud Lo stato e la mafia lavorano anche in cooperazione contro i movimenti socialisti. Durante la prima guerra mondiale gli uomini d’onore rafforzano il loro potere. Organizzano il rifornimento dell’esercito italiano. Così diventavano anche molto ricchi e all'improvviso erano la nuova nobiltà e stimati da tante persone. Quando i fascisti hanno preso il potere nello stato, la mafia ha fatto una voltafaccia. Ha finanziato la partita fascista ed ha influenzato i deputati, affinché votino per Benito Mussolini. Questo patto però era molto labile. Dopo aver ricevuto il potere Mussolini ha spedito Cesare Mori come prefetto in Sicilia, dove lui dovesse compattare la mafia. Sfortunatamente non era molto coronato da successo, perché allora la mafia aveva già creato troppi rapporti. Anche durante la seconda guerra mondiale i contatti della mafia sono rimasti intatti, per


questo ha collaborato con gli alleati. Dopo la seconda guerra mondiale la mafia ha spostato il suo centro politico definitivamente alla penisola Italia. Ha costruito contatti molto attillati con la partita polita DC (democrazia cristiana). Da questo rapporto è nato il più grande scandalo politico d’Italia: Giulio Andreotti, l’uomo politico nei cabinetti della DC, è stato presidente del consiglio per sette anni. Nel 1995, dopo 15 anni di voci, Andreotti era in stato d’accusa per contatti e collaborare con la mafia. Il 30 aprile 1999 lui e altri sette uomini importanti sono venuti dichiarati colpevoli. Questi procedimenti legali hanno mostrato che anche se la mafia è indipendente finanziariamente bisogna ancora la protezione e la corruzione d’uomini politici. Per dirigere gli uomini politici la mafia spesso usa metodi violenti. I vittime più famosi negli ultimi tempi erano i giudici anti-mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Loro due hanno creato una regolazione per i testi principali nei processi anti-mafia e così hanno violentato l'omertà. I loro assassini, tutti boss della mafia, sono stati condannati all’ergastolo.


In memoria di questi due uomini coraggiosi l'aeroporto a Palermo veniva chiamato aeroporto Falcone – Borsellino. Oggi ci sono vari gruppi della mafia dappertutto nel mondo. La mafia italiana e divisa particolarmente in tre gruppi: La Cosa Nostra in Sicilia La Camorra a Napoli La ‘Ndrangheta in Calabria Ma naturalmente questi tre gruppi hanno i loro brani in tutta Italia. Ho già scritto che ormai la mafia è indipendente riguardo ai soldi, ma da dove vengono i soldi? In linea di massima sbriga soltanto affari illegali, perché sono gli affari più rimunerativi. Dunque gli affari più colti sono: Traffico d’armi Traffico della droga Rapimento e riscatto Riciclaggio Pizzu Non c’è dubbio che la mafia ha una forte copertura delle spalle della popolazione in certi parti d’Italia. Questo fatto si può spiegare con la grande disoccupazione nel Sud. Ci la mafia è l’unico datore di lavoro fidato. Non si deve dire che tutta l’Italia del Sud è parte della mafia (o meglio della ‘ndrangheta), ma è vero che quei che non sono membri della mafia sono d’accordi con la mentalità mafiosa, perché essa ed il sistema patriarcale hanno una tradizione


lunga in queste regioni. Alcune immagini dei boss mafiosi del passato:

Bernardo Provenzano (1933 latitante)

Benedetto (Nitro) Santapaola (1938 – in carcere dal 18/5/1993)

Leoluca Bagarella (1942 - in carcere dal 24/6/1995)


Giovanni Brusca (1957 – in carcere dal 20/5/1996)

Pietro Algeri (1959 – in carcere dal 6/6/1997)

LA MAFIA ITALIANA IN AMERICA Nel periodo compreso tra il 1901 e il 1913, circa 1,1 milioni di siciliani emigrerà dall’isola, un numero pari a poco meno di un quarto della popolazione sicula dell’epoca. Di questi, circa 800 mila sbarcarono negli Stati Uniti, e ovviamente non mancavano tra loro, “ gli uomini d’onore”. Già dall’800, la maggior parte dei delinquenti in fuga che lasciavano la Sicilia, puntava verso il nord america. Ad attrarli, le notizie di un mondo pieno di opportunità e possibilità di guadagno giunte nel mediterraneo grazie al commercio degli agrumi, che legava Palermo a New York sin dal 1870. Un siciliano che emigrava, soprattutto se già criminale, era abituato a guadagnarsi da vivere sulla strada, scegliendo la


fazione più forte. Gli USA di inizio ‘900 avevano in comune con la Sicilia, una società dove il potere clientelare e la legge del più violento, avevano la meglio nei confronti di istituzioni dall’esiguo spessore. Per trovare lavoro nei quartieri, ci si rivolgeva al boss di turno e gli stessi, agganciati ad esponenti politici spesso del partito democratico, procuravano voti in cambio di una “ ampia interpretazione delle libertà imprenditoriali “. Scambiandosi favori e lavoro, senza economie nell’uso di bande di delinquenti, leader senza scrupoli costringevano i lavoratori a subire il frutto di una dilagante corruzione tra malviventi e poliziotti, e brutali violenze senza tutele o diritti. Le condizioni di vita per tantissimi saranno terribili, dove fame, malattie e stenti, mieteranno vittime e mesti ritorni in patria. Su un terreno di questo tipo, fiorisce un mare di attività criminose in mano agli italiani. A New York, nelle affollatissime strade come Elisabeth Street che già nel 1905 vedeva la presenza di 8200 italiani ( in maggioranza siciliani), o lungo le banchine portuali che nel 1919 arrivarono ad essere per il 75% occupate da connazionali, proliferavano il violento racket della protezione, del reclutamento di mano d’opera e una lucrosa mediazione sul traffico dei prodotti commerciali. Anche i molti italiani onesti si dimostrano tra i più attivi: uomini e donne si istruiscono, comprano e affittano case, lottano per conquistarsi un futuro diverso dalla miseria vissuta in patria. Gli americani assistono a questa invasione con un misto di “ inquietudine e pietà “. La mafia riesce in questo contesto a trapiantare in blocco un intero sistema, grazie al dinamismo del nuovo mondo e al


tessuto siciliano importato. Un intero “ Stato ombra “ vedrà la luce oltre oceano, dove le cosche dalla Sicilia inviano menti e braccia in grado di impiantare i sistemi violenti, costruire gli agganci per le protezioni politiche con i potenti del posto e le collusioni con stampa e polizia. L’organizzazione dovrà adattarsi in maniera veloce, imparando a sfruttare ed avvicendare in fretta vittime e manovalanza. I mafiosi in America tendono a spostarsi in fretta, e questo sarà alla base della rapida diffusione di radicate organizzazioni siciliane in molte città. Pur essendo una rete senza una guida, New York con le sue basi a Manhattan e Brooklyn, era vista come il riferimento centrale. La mafia siciliana si ramificò però anche a Pittsburgh, Cleveland, Chicago, Milwakee, Kansas City, San Francisco e in Canada. Una espansione non indolore e soprattutto a New York, dovette scontrarsi molto duramente con altre organizzazioni criminali italiane ( di origine napoletana o campana ), o straniere ( in particolare irlandesi ). Da mafia siciliana a italo-americana.


La lotta per il potere lungo il quindicennio 1920-1935, sarà caratterizzato da un susseguirsi di omicidi eccellenti. Figure

come Al Capone a Chicago e Lucky Luciano a New York, emergono a colpi di sanguinosi scontri nella faida per il controllo dei lucrosi affari mafiosi. Oltre ai liquori, che con l’eliminazione del proibizionismo usciranno dalla illegalità nel 1933, gli affari ruotano attorno al gioco d’azzardo, al racket della prostituzione e delle slot machine. Gli inizi degli anni ’30 vedranno un importante cambio di direzione. Lucky Luciano utilizza i contatti maturati negli ambiti della malavita ebrea e irlandese per spostare il baricentro del sistema. L’elite mafiosa


d’oltre oceano, da siciliana si orienta a Italo americana. La sua composizione diventa più variegata, senza per questo smarrire il riferimento etnico siciliano. Le strade di Sicilia e Stati Uniti tenderanno a spostarsi su binari più paralleli, conservando inalterati i legami alla madre patria nel rispetto e nei vincoli d’affari. Sono dai venti ai trenta milioni gli americani di origine italiana. Qual’è la loro immagine in America? Ha riscosso parecchio interesse un sondaggio fra i giovani americani, promosso dalla Niaf (National Italian American Foundation), organismo che rappresenta efficacemente gli italiani negli Stati Uniti e che spesso ad esempio diventa riferimento obbligato anche per il presidente degli Stati Uniti che è solito intervenire all’importante ritrovo annuale della NIAF, insieme a vari altri illustri ospiti, provenienti sia dall’Italia sia dai più differenti settori della società americana. Il sondaggio è particolarmente importante in quanto mirato sui giovani americani e quindi presumibilmente orientato ad individuare tendenze che saranno ancora presenti per molti anni. I risultati della ricerca promossa dalla Niaf sono stati riportati in Italia dai maggiori organi di informazione. Sottolineiamo in particolare quanto è stato detto dal Messsaggero in un articolo dell’edizione dell’ 8 marzo 2001, firmato dal corrispondente Stefano Trincia. Il sottotitolo eloquente dell’articolo dice: La società degli Stati Uniti cambia, ma vecchi stereotipi resistono. Come dimostra un sondaggio. Il titolo, non meno eloquente, dice: «Italiani mafiosi e pizzaioli». Così prosegue l’articolo: “Secondo il 44 per cento dei teenagers Usa gli italiani sono boss


di Cosa Nostra, mentre il 34 li identifica con pizzaioli e sguatteri di ristorante. Tale percezione è peraltro vera anche tra gli stessi italo americani che guardano spesso con un certo orgoglio al marchio del picciotto. E che con grande entusiasmo seguono, non diversamente dal resto degli americani, la serie mafiosa The Sopranos, giunta con indici di ascolto record alla sua terza edizione. Nell’articolo si sottolinea una verità nota a tutti coloro che conoscono la realtà americana: è altissimo il livello di integrazione dei nostri “connazionali” negli Stati Uniti. Ma è significativo che a livello di censimento siano soltanto tre milioni quelli che dichiarano le proprie origini italiane. Non è chiaro se questa mancata identificazione sia motivata da una efficacissima immersione totale nella società americana o da qualche forma di vergogna.. Dice Stefano Trincia: “Per quanto Cosa Nostra sia stata decimata dalla giustizia Usa negli ultimi anni, a livello di opinione pubblica l’identificazione con la mafia persiste”. Questa forma di identificazione limitata ed ambigua si riflette a molti livelli, come in particolare dimostra la citata serie televisiva dei Sopranos: si ripete la stessa vicenda, come ai tempi del Padrino. La forte identificazione tra mafia e italo-americani rappresenta a volte, a livello popolare, un modello: “ Non è un caso che i film e le serie televisive dedicate alle imprese dei picciotti riscuotano sempre e comunque un notevole successo”. Questo modello italo-americano non deve essere poi un successo del tutto genuino e ingenuo, tanto è vero che nessun candidato italo-americano è ancora stato ritenuto degno di arrivare alla presidenza o alla vicepresidenza degli Stati Uniti. I candidati non sono mancati, ed anche di altissimo livello


personale, ma c’è un limite: quello stereotipo sintetizzato nel titolo dell'’articolo: «Gli italiani sono mafiosi». Enrico Mirabelli, un magistrato che rappresenta a Chicago la American Italian Defense Association (AIDA) ha citato in giudizio la HBO, un segmento del gigantesco conglomerato Time Warner, che ha prodotto la serie. A suo parere, negli Stati Uniti la Anti-Defamation League (ADL) e la National Association for the Advancement for Colored People (NAACP) trovano molto più consenso quando attaccano chi diffama gli ebrei o gli afro-americani. Invece, l'affiliazione degli italoamericani con il crimine organizzato è ormai un luogo comune nella cultura americana, nonostante ovviamente la evidente presenza di persone (da Fiorello La Guardia a Ralph Giuliani) che evidentemente proprio non stanno dalla stessa parte dei mafiosi. Il punto in un certo senso è lo stesso sia negli Stati Uniti sia in Italia: sui temi della legalità, chi è maggioranza e chi è minoranza?

'NDRANGHETA Con il termine 'Ndrangheta si indica la criminalità organizzata calabrese. La 'Ndrangheta si è sviluppata a partire da organizzazioni criminali operanti nella provincia di Reggio Calabria, dove oggi è fortemente radicata, anche se il potere mafioso è in forte espansione nelle province di


Vibo Valentia, Catanzaro, Crotone e Cosenza. Oggi la 'Ndrangheta è considerata la più pericolosa organizzazione criminale in Italiana è anche una delle più potenti al mondo, con una diffusione della presenza anche all'estero (dal Canada ad altri paesi europei meta dell'emigrazione calabrese). Secondo le forze dell'ordine, in Calabria sono attualmente operanti circa 155 clan locali (definiti cosche o 'ndrine) che affiliano circa 6.000 persone dedite ad attività criminali, legate spesso (quasi sempre) tra loro da vincoli familiari. Nella regione Calabria la 'Ndrangheta svolge un profondo condizionamento sociale fondato sia sulla forza delle armi che sul ruolo economico attualmente raggiunto attraverso il riciclaggio del denaro. Attività questa, che le ha permesso di controllare ampi settori dell'economia dall'impresa al commercio e all'agricoltura, spesso con una forte connivenza di aree della pubblica amministrazione a livello locale e regionale. Secondo il rapporto Eurispes 2008 ha un giro d'affari di 44 miliardi di euro. 'ndranghetista: 'Ndranghetista è il nome generico che viene dato a un affiliato alla 'Ndrangheta. È quindi tale una qualsiasi persona che appartiene alle famiglie malavitose, le 'ndrine; picciotto, camorrista, sgarrista, santista, vangelista, quintino e capobastone sono i gradi con cui si identifica uno 'ndranghetista. Una persona diventa 'ndranghetista in due modi: per nascita, quindi essendo già appartenente a una famiglia mafiosa o per "battesimo", cioè tramite il rito di affiliazione che lo lega all'organizzazione fino alla morte. L' ambiente malavitoso


Lo sviluppo economico e militare della 'Ndrangheta si realizza con più facilità se lo Stato è assente o poco presente sul territorio. Di tale assenza, o scarsa presenza, l'organizzazione 'ndranghetistica si avvantaggia sotto vari punti di vista: economico: con meno controlli, pattugliamenti, perquisizioni, è sicuramente più facile intraprendere atti e traffici illeciti ( traffico di sigarette, riscossione del pizzo, traffico di droga e armi, ecc.). politico/militare: diventa anche più semplice stringere la stretta sul territorio, eliminare cosche rivali, piegare ai propri scopi amministratori locali e/o funzionari statali (poliziotti, carabinieri, ecc.), quindi creare e consolidare una rete di protezione sociale molto forte. Struttura: La 'Ndrangheta ha una struttura tentacolare priva di direzione strategica ma caratterizzata da una sorta di intelligenza organica. A differenza di Cosa Nostra, la struttura interna ad ogni cosca della 'Ndrangheta poggia sui membri di un nucleo familiare legati tra loro da vincoli di sangue, le 'ndrine. Si entra nella 'Ndrangheta, o, per dirla nel gergo mafioso, si viene battezzati con un rito preciso, che può avvenire automaticamente, poco dopo la nascita se si tratta del figlio di un importante esponente dell'organizzazione (in questo caso, finché il bambino non raggiungerà i quattordici anni, età minima per entrare nella 'ndrangheta, si dirà che il piccolo è "mezzo dentro e mezzo fuori"), oppure con un giuramento, per il quale garantisce con la vita il mafioso che presenta il novizio, simile ad una cerimonia esoterica, durante la quale il nuovo affiliato è chiamato a giurare nel nome di nostro Signore Gesù Cristo. Il battesimo dura tutta la vita e ad uno sgarro paga


spesso la famiglia del nuovo affiliato. Per questo motivo è difficile trovare pentiti, poiché questi andrebbero contro i loro stessi parenti e familiari, e al giuramento che hanno fatto all'ingresso nel mondo della malavita. A tutt'oggi i pentiti di 'Ndrangheta sono pochissimi, e solo uno è un esponente di spicco dell'organizzazione; tutto ciò rende il fenomeno mafioso difficile da combattere e da arginare. Più 'ndrine nella stessa zona formano un'entità detta "locale"Ogni locale ha un proprio capo, che ha potere di vita e di morte su tutti, un contabile, che gestisce le finanze e un crimine, una sorta di ministro della guerra, che governa le modalità di regolamento dei conti con le cosche rivali, organizzando omicidi, estorsioni ed agguati. Storia: La Storia della 'Ndrangheta inizia nella seconda metà del 1800 in vari paesi della provincia di Reggio Calabria. Con l'inizio del XX secolo e le prime emigrazioni di italiani, si insedia anche all'estero, soprattutto in Canada e Australia. A partire dal 1950 si afferma su tutta la regione a causa della scarsa presenza dello Stato, o addirittura del favoreggiamento di personaggi politici che tramite essa ne potevano dirottare i voti. Negli anni sessanta crescono in importanza 3 cosche: i Piromalli nella piana di Gioia Tauro, i Tripodo a Reggio Calabria e i Macrì nella Locride. In questo periodo la 'ndrangheta, allora ribattezzata l'anonima sequestri, inizia ad usufruire del sequestro di persona per avere immediate liquidità da reinvestire nel narcotraffico. Negli anni novanta per sedare il fenomeno criminoso nell'Operazione Riace si utilizza l'intervento dell'esercito, successivamente si esegue una serie di maxiprocessi: "Wall Street", "Count Down", "Hoca Tuca", "Nord - Sud", "Belgio" e "Fine" che coinvolgono molte ndrine e


la fine del Siderno Group, un consorzio malavitoso tra il Canada e la Calabria. Nel 1991 viene assassinato il magistrato Antonino Scopelliti che stava lavorando al maxiprocesso di Palermo. Oggi: Con l'arrivo del XXI secolo la 'Ndrangheta entra di diritto fra le più potenti organizzazioni criminali al mondo. Di notevole rilievo l'arresto nel 2004 di Giuseppe, il latitante e ricercato numero uno della 'Ndrangheta. Arresti delle forze dell'ordine contro la 'Ndrangheta dal 2003 a oggi: L'8 febbraio 2003 I carabinieri del ROS hanno arrestato Rocco Barbaro, 38 anni, latitante da 10 anni. Il 18 febbraio 2004 è stato arrestato il superlatitante da 12 anni Giuseppe Morabito di 70 anni, considerato il numero uno dell'Ndrangheta, che secondo la commissione parlamentare antimafia è anche più importante dell'ex superlatitante Bernardo Provenzano capo di Cosanostra. Il 5 aprile 2004 in Spagna viene arrestato Alessandro Pannunzi importantissimo narcotrafficante a livello internazionale, con contatti con i colombiani, con la mafia turca, il clan dei marsigliesi. Il 6 agosto 2004 è stato arrestato uno dei 30 latitanti più ricercati Pasquale Tegano di 49 anni. Il 20 dicembre 2004 viene arrestato Antonio Rosmini, dopo 10 anni di latitanza, uno dei capi delle più forti famiglie mafiose di Reggio Calabria. il 16 febbraio 2005 i carabinieri in un bunker nella campagna di Rosario arrestano Gregorio Bellocco, 49 anni, capo dell'omonima 'ndrina.


Faceva parte dei 30 latitanti più pericolosi. Sfuggiva alla cattura da 9 anni. Tra l'altro era già sfuggito all'arresto nel dicembre del 2003 ad Anoia nel reggino. il 21 ottobre 2005 scatta l'operazione "Ciaramella" in merito al traffico internazionale di sostanze stupefacenti; circa cinquanta arrestati (tra i quali spiccano Paolo Codispoti di San Luca, e gli Africesi Francesco Bruzzaniti, Francesco Pizzinga, Salvatore Morabito, ritenuti al vertice dell'organizzazione), 99 gli indagati. Il 13 febbraio 2007 le condanne per complessivi 153 anni di carcere. Il 28 ottobre 2005 un'operazione internazionale di polizia cattura ad Amsterdam Sebastiano Strangio, considerato uno dei più importanti narcotrafficanti calabresi. Il 23 marzo 2006 è stato arrestato Giuseppe D'Agostino uno delle 30 persone più pericolose in ambito nazionale latitante da quasi 10 anni nei pressi del paese di Rosarno in Calabria. Il 3 luglio 2006 nella frazione Castellace del comune di Oppido Mamertina è stato arrestato il boss latitante da 10 anni Teodoro Crea, di 67 anni, durante una riunione della 'Ndrangheta insieme ad altri due affiliati. 11 marzo 2007 a Reggio Calabria viene arrestato da Luigi Silipo uno dei 30 latitanti più pericolosi, Salvatore Pelle, appartenente all'omonima 'ndrina di San Luca, latitante dal 1991 e condannato a 11 anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti. Il 26 luglio 2007 con l'operazione Bless dei Carabinieri vengono arrestate 24 persone tra cui presunti esponenti della potentissima cosca dei Condello. 30 agosto 2007 - Dopo essere stati emessi 43 provvedimenti di fermo dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria,


nell'operazione con quasi 500 persone tra polizia e carabinieri, 31 persone vengono arrestate a San Luca, presunte affiliate alle cosche Pelle-Vottari e Nirta-Strangio. Il 18 febbraio 2008, in un blitz in cui sono intervenuti circa 100 agenti del ROS e del Gruppo Operativo Calabria viene arrestato a Pellaro Pasquale Condello boss dell'omonima cosca e capo indiscusso della 'ndrangheta, latitante da 18 anni. Condello è stato condannato a 4 ergastoli e 22 anni di reclusione, e dal 1993 era ricercato in campo internazionale. Il 7 agosto 2008, i Carabinieri arrestano a San Luca Paolo Nirta, reggente del clan Nirta-Strangio, protagonista insieme a quello dei Pelle-Vottari-Romeo di una faida di 'ndrangheta culminata il ferragosto dell'anno scorso nella strage di Duisburg, in Germania. L'11 gennaio 2009 i carabinieri arrestano a Roma Candeloro Parrello, latitante da circa 10 anni. Il suo nome figura nell'elenco dei 100 latitanti più pericolosi d'Italia. Il 12 marzo 2009 vengono catturati ad Amsterdam (Olanda) Giovanni Strangio, ritenuto promotore, organizzatore ed esecutore materiale della strage di Duisburg e Francesco Romeo, ricercato da oltre 10 anni con mandato di cattura internazionale per associazione per delinquere finalizzata alla produzione e al traffico illecito per fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Il 13 luglio 2010 con l'operazione Crimine che coinvolge 3000 persone tra Carabinieri e Polizia vengono arrestati in tutta Italia 300 soggetti appartenenti alla 'Ndrangheta e imprenditori che hanno legami con essa. MALA DEL BRENTA


Mala del Brenta o Mafia del Piovese sono i nomi attribuiti dal giornalismo italiano ad un'organizzazione criminale di ispirazione mafiosa nata in Veneto intorno agli anni '60 ed in seguito estesasi nel resto del Nord-Est dell'Italia, fino alla sua dissoluzione negli anni '90. Distintasi dalle altre mafie italiane per il carattere rurale mantenuto nel corso degli anni, la mafia piovese si rese protagonista di rapine, sequestri di persona, omicidi e traffici di droga a livello europeo nel giro di pochi anni dalla nascita. Considerata da taluni una vera e propria mafia, e per questo anche soprannominata la quinta Mafia, viene così descritta dalla Prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Venezia da una sentenza emessa il 14 dicembre 1996: « Conclusivamente, può dunque riconoscersi l'esistenza di un'associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio, contro l'incolumità e la libertà individuale, contro le leggi sugli stupefacenti ed all'acquisizione diretta ed indiretta del controllo di attività economiche, sia lecite che illecite. La stessa risulta aver agito avvalendosi della forza intimidatrice promanante dal vicolo associativo e dello stato di assoggettamento e di omertà che ne è derivato per la popolazione del territorio ove essa ha esercitato il proprio controllo. Appartenenti a tale organizzazione, operante dunque con modalità e protocolli operativi di tipo mafioso, sono risultati soggetti del gruppo cosiddetto della Mafia del Piovese


o Mala del Brenta, molti dei quali deceduti per morte violenta conseguente a vicende, interne o esterne, comunque riconducibili alle attività svolte dai medesimi in tale contesto delinquenziale. » Storia La mala del Brenta nacque in un contesto nettamente diverso da quello che portò alla formazione degli altri gruppi di crimine organizzato come Cosa Nostra o Camorra. Nel ventennio successivo al secondo dopoguerra, il panorama malavitoso veneto era composto, come nel resto delle regioni centrosettentrionali, da bande paracriminali di piccolo e medio spessore sguazzanti perlopiù in azioni di microcriminalità e ben lungi dal trasformarsi od unirsi sotto un'unica organizzazione a carattere mafioso per il controllo del territorio. L'arrivo di alcuni esponenti della mafia siciliana costretti al soggiorno obbligato nelle province di Venezia e Padova, in particolare Totuccio Contorno, Antonio Fidanzati, Antonino Duca e Rosario Lo Nardo sul finire degli anni settanta e l'inizio degli ottanta, fu la base per la nascita di un gruppo paramafioso che potesse fare da ponte tra il Nord e il Sud. All’ombra di questi personaggi crebbero e trovarono maturazione le locali giovani leve di una criminalità dai contorni ancora rurali, che tentava generalmente di mutuarne le gesta, le caratteristiche e le imprese. In tale contesto storico si enucleava un gruppo di giovani malavitosi, polarizzatosi intorno alla figura di Felice Maniero,


che assurgeva a ruolo carismatico in un humus delinquenziale sempre più fertile e produttivo, tanto da fare assumere al gruppo Maniero i connotati di un autentico sodalizio, quello che poi passò alla cronaca nera come la "mala del Brenta". Le attività delinquenziali sue e della sua banda composta da oltre 300 "strumentisti criminali", spaziavano dai sequestri di persona alle rapine, dal traffico di sostanze stupefacenti al traffico d'armi, dal riciclaggio di danaro agli omicidi. Nel passare degli anni il sodalizio spostò i suoi interessi dalle grosse rapine ai danni di laboratori orafi, istituti di credito e uffici postali, ai sequestri di persona, al controllo delle bische clandestine e dei cambisti del Casinò di Venezia, nonché al più remunerativo traffico di sostanze stupefacenti, con diramazioni un po' ovunque, da Portogruaro a Chioggia, grazie ad una struttura sempre più stabile e gerarchicamente inquadrata, con la quale sviluppò la propria influenza anche nelle provincie limitrofe. « Carismatico, imprendibile, Felice Maniero negli anni ottanta regnava con le armi sul Veneto, sul Friuli e sull'EmiliaRomagna. Era il boss della Mala del Brenta, una sorta di piccola ma potente Cosa Nostra della Val Padana che puntava in alto, ad accumulare denaro e potere, attraverso atroci azioni di sangue. E proprio lui, il capo capace di guidare i suoi gregari anche dal carcere, o dai nascondigli nei quali si rifugiava tra una evasione e l'altra, alla fine si è trasformato da carnefice in vittima. » (su Felice Maniero, tratto da "Il Resto del Carlino") novanta


Il panorama malavitoso veneto nella metà degli anni All'organizzazione della riviera del Brenta si aggiungevano: A) I "mestrini": il gruppo criminoso di Mestre - strettamente collegato a quello della Riviera - dedito a rapine, estorsioni e traffico di sostanze stupefacenti, che si avvaleva anche del ricavato dell’attività degli “intromettitori”, in zona tronchetto-piazzale Roma di Venezia. Questi ultimi, che rappresentano una figura tipica di operatori della città di Venezia, agiscono quali intermediari tra i turisti ed il mondo del commercio veneziano. Si tratta, per lo più, di motoscafisti abusivi, gondolieri, intermediari di agenzie di viaggio, portieri di albergo, che per la loro attività sono in grado di indirizzare il turista verso determinati negozi, vetrerie, ristoranti ed alberghi. Il giro di affari è stimato in vari miliardi e si presta all’influenza, sotto varie forme, di esponenti della malavita organizzata. Membri conosciuti come "lo zoccolo duro" della banda di Mestre sono: Gino Causin, Gilberto "Lolli" Boatto, Roberto "Paja" Paggiarin, Paolo Tenderini e Paolo Pattarello. B) I "veneziani": il gruppo della laguna, composto da elementi tutti nativi di questo capoluogo, anch'essi dediti al traffico di sostanze stupefacenti e taglieggiamenti, con l’impiego di capitali provenienti, tra l’altro, dalla gestione di vetrerie di Murano e di locali notturni siti in Venezia, acquisiti ed intestati a prestanomi incensurati, nonché dal controllo degli intromettitori abusivi in zona di piazza San Marco.


C) "La banda Maritan": gruppo di San Donà di Piave-Jesolo (zona più orientale della provincia), il cui capo - Silvano "Presidente" Maritan strettamente legato al citato Maniero della Riviera del Brenta, in passato aveva coltivato vincoli di amicizia con il noto mafioso Salvatore Contorno, durante il periodo del soggiorno obbligato nel veneto di quest’ultimo. Anche l’attività illecita di questo gruppo consisteva, prevalentemente, nel traffico di sostanze stupefacenti. Tale assetto generò nel corso degli anni sanguinosi regolamenti di conti, sostanziatisi in una serie notevole di omicidi (circa 20 attribuibili all’organizzazione) e nel conseguente, progressivo emergere del citato Maniero come capo temuto e indiscusso. La scissione veneziana La tentata scissione da parte dell'organizzazione veneziana è uno dei fatti più noti e tutt'oggi sotto analisi, appartenenti alla cronaca nera della malavita veneta. L'organizzazione aveva tre esponenti di spicco, Giancarlo Millo, detto il "marziano", uno storico "ras" della città, ed i fratelli Rizzi, Maurizio e Massimo. Insieme, dal centro storico, gestivano i traffici del loro gruppo, dai taglieggiamenti al più remunerativo spaccio di stupefacenti. Il "sodalizio veneto", creato da Maniero con i maggiori malavitosi della regione -il cartello di San Dona' di Piave e il gruppo di Mestre- non tranquillizzò i Rizzi, che, ormai, si sentivano come semplici subordinati ai mafiosi della terraferma. Millo, al contrario, nutrendo stima e amicizia nei confronti di Maniero, era più che propenso a continuare la collaborazione con gli altri gruppi. Dopo aver liquidato la proposta di scissione da parte dei suoi


due più stretti associati, il "marziano", mentre cenava all'osteria "Al poggio" il 17 marzo 1990, fu vittima di un agguato. Secondo le testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia, furono proprio Maurizio e Massimo Rizzi a freddare Giancarlo Millo. Dopo meno di sei mesi dalla morte violenta del fido "marziano", i Rizzi, insieme al cugino e partner criminale Franco Padovan, furono vittime di un'imboscata, mascherata da "meeting" criminale da alcuni malavitosi della terraferma. Nonostante le cause dell'assassinio siano ormai più che confermate: l'uccisione di un uomo fedele di Maniero e l'insubordinazione "scissionista", a causa delle le dichiarazioni discordanti dei vari pentiti, i mandanti dell'esecuzione sono tutt'oggi sconosciuti. A seguito della sparizione dei Rizzi, Giovanni Giada, uomo fidato di Maniero e navigato malavitoso veneziano, divenne il nuovo capo del gruppo lagunare. Interessi finanziari La crescita dell’organizzazione e il progressivo espandersi dei suoi interessi, nonché il sempre maggiore prestigio e popolarità del suo capo, determinò l’instaurarsi di sempre più stretti legami con esponenti di sodalizi mafiosi operanti in altre regioni d’Italia, per lo più in relazione ad esigenze di approvvigionamento di sostanze stupefacenti: in particolare, oltre a quelli con il gruppo mafioso facente capo ai Fidanzati di Milano e ad Salvatore Enea, venivano accertati frequenti “rapporti d’affari” con esponenti della Camorra, appartenenti alla famiglia Guida e, più recentemente, a quella dei Giuliano. Felice Maniero, oltretutto, era amico del figlio della Repubblica croata Franjo Tuđman, con il quale, durante gli anni 90,


pianifico' diverse tratte attraverso l'Adriatico per il contrabbando di armi e per il traffico di droga. Da sempre la Mala del Brenta deve confrontarsi con altre organizzazioni, venete, dal Sud Italia e dall'estero, che operano nel suo stesso territorio. Soprattutto nell'ultimo decennio, che ha segnato una nuova geografia etno-criminale nel Nord Italia, la Mala del Brenta, trae profitto da diversi traffici creati in joint venture con altri sindacati criminali. L'arresto di Maniero Nel frattempo Felice Maniero, che allo scadere di un quinquennio di sorveglianza speciale nel comune di origine, si era sottratto all’esecuzione di un provvedimento restrittivo emesso nel giugno 1993 dalla magistratura lagunare, per poi essere successivamente catturato a Capri nell’agosto ‘93, assisteva in stato di detenzione al processo avviato a suo carico e di gran parte dei componenti il sodalizio da lui capeggiato. Evasione e pentimento Il 14 giugno 1994 però, con un’azione spettacolare, il boss riusciva a fuggire dal carcere di Padova, unitamente ad altri cinque detenuti, alcuni dei quali suoi fedelissimi, avvalendosi, come successivamente accertato, di complicità interne alla struttura carceraria. Quella data segna il diapason ma, al tempo stesso, l’inizio del declino a seguito della collaborazione fornita ai magistrati della distrettuale antimafia di Venezia dallo stesso Maniero, catturato a Torino nel novembre del 1994. Le dichiarazioni del Maniero hanno contribuito a far luce su omicidi ed altri episodi delittuosi, che non avevano trovato soluzione per via della impermeabilità dell’organizzazione e


dell’atteggiamento omertoso dei suoi componenti; caratteristiche di un’associazione a delinquere di stampo mafioso, come ha affermato la sentenza della corte d’assise di Venezia del 1 luglio 1994. Il "Sodalizio Rivierasco" Sulla scorta della collaborazione del suddetto Maniero, nel marzo 1995, il locale gip emetteva numerosi provvedimenti restrittivi a carico dei componenti del “sodalizio rivierasco”, tra cui due appartenenti alle forze dell’ordine, accusati di corruzione ed adesione alla mala del Brenta, mentre altre precedenti indagini avevano permesso di smantellare una vasta organizzazione dedita alle rapine in danno di istituti di credito, gioiellerie ed uffici postali. Tale ultimo sodalizio, composto prevalentemente da giovani leve del crimine, formatesi intorno ad elementi della “vecchia mala”, che fungevano da collettori con l’organizzazione facente capo al maniero, operava parallelamente alla stessa, con essa convergendo all’atto della perpetrazione di reati di non minore gravità, quali la fornitura di armi, il traffico di droga e la ricettazione dei proventi delle rapine; reati posti in essere da elementi di spicco del clan rivierasco. Negli anni precedenti, fu individuato e deferito all’A.G. un gruppo di persone facenti parte della mala del brenta, che operavano nel reinvestimento dei capitali attraverso la gestione di alcuni casinò della costa istriana nonché a mezzo attività usuraria, che permetteva di rilevare oltre una decina tra immobili ed esercizi pubblici: il flusso circolare del denaro, in entrata ed in uscita dai casinò della ex Jugoslavia, era stato al centro dell’attenzione in un’indagine risalente al 1987, quando


venne accertata la complicità di un funzionario di un istituto di credito friulano, nell’occasione tratto in arresto perché parte attiva nella ripulitura di assegni provenienti da quelle case da gioco. Significativa in proposito un’operazione di sequestro di numerosi beni, condotta tra il ‘92 ed il ‘93, a carico del noto pregiudicato Maritan Silvano, all’epoca - come già detto - a capo di una organizzazione malavitosa operante nel territorio del basso Piave e collegata al sodalizio di Maniero.

La Nuova Mala del Brenta Dopo il 1994, l'organizzazione è andata disciogliendosi anche grazie ai numerosi arresti e prelievi di beni dei suoi membri. Il primo tentativo di rinascita era costituito da un complotto volto a uccidere l'ex boss e pentito Felice Maniero. Per riuscire nell'impresa, i nuovi malavitosi prevedevano di usare un lanciarazzi e altre armi pesanti per colpire la caserma ospitante l'ex boss. Al momento dell'arresto, le autorità identificarono come orditori della cospirazione trentatré persone, tra cui noti rapinatori e delinquenti di piccola taglia. L'operazione venne condotta dal Pubblico Ministero di Padova, Renza Cescon, e impiegò circa 400 uomini della polizia di Stato. Ulteriori informazioni, provenienti dalle rivelazioni del pentito Stefano Galletto, hanno dato vita all'Operazione Ghost Dog, che, una volta portata a termine, ha condannato più di trenta persone tra membri ed affiliati della Mala, compresi dei poliziotti al soldo dell'organizzazione.


Sembra che la "Nuova Mala Veneta" non sia più una vera associazione a delinquere, ma gruppi disuniti tra loro localizzati nel Nord-Est attivi nelle rapine di portavalori e nel traffico di stupefacenti. È comunque opportuno evidenziare come, questi numerosi gruppi, abbiano la capacità di creare brevi alleanze per il proseguimento di colpi e crimini di alto livello. Nel 2008 è stata sgominata una banda di narcotrafficanti e criminali comuni attiva nel Nord-Est, tra i suoi membri Fiorenzo Trincanato, esponente di spicco della Mala del Brenta, ritenuto uno dei capi che presero il posto del più noto Felice Maniero.

FELICE MANIERO Felice Maniero (Campolongo Maggiore, 1954) è un criminale italiano, ex-boss della nota Mala del Brenta.


Soprannominato "Faccia d'Angelo" dallo stesso mondo del crimine, è stato la mente di feroci rapine, sanguinosi assalti a portavalori, colpi in banche e in uffici postali, accusato di almeno sette omicidi, traffico di armi, droga e associazione mafiosa. Oltre che per la sua carriera criminale, è noto al pubblico per il suo stile di vita brillante e le abitudini al lusso appariscente. Inizi La carriera criminale di Felice Maniero incomincia dalla adolescenza quando aiuta lo zio Renato e la sua banda nei furti di bestiame, nelle piccole rapine e nel nascondere le armi lungo le rive del fiume Brenta. Fin da giovane diceva che sarebbe stato felice di andare in carcere perché così avrebbe dimostrato di non essere inferiori agli altri. Quando era da poco maggiorenne capì che l'oro era molto più redditizio dell'abigeato così cominciò a dedicarsi alle rapine di laboratori dove si lavora il metallo biondo facendosi aiutare da alcuni amici di Campolongo Maggiore. In quegli anni in Veneto si lavorava il 25% dell'oro mondiale. Maniero entra quindi in contatto con le bande di Venezia, di Mestre e con i membri delle mafie meridionali in quel periodo in soggiorno obbligato in Veneto. A Venezia il gruppo di Maniero impone ai cambisti del casinò una tangente di 1.500.000 lire al giorno mentre dai gruppi malavitosi ottiene droga e assimila alcune regole tipiche della malavita; in quel periodo la banda si rese colpevole di uno dei primi omicidi, quello di Gianni Barizza, un ricettatore che tenne per sè parte di una refurtiva. I contatti con la malavita si notano anche dalle


condizioni in cui Barizza venne ritrovato, incaprettato,un modus operandi che non apparteneva alla cultura del luogo.

Arresti Arrestato per la prima volta nel 1980, nella sua lunga carriera colleziona una serie di clamorose evasioni: nel 1987 evade dal carcere di Fossombrone; il 16 giugno 1994 è protagonista di un'altra evasione dal supercarcere di Padova assieme al braccio destro Antonio Pandolfo e ad altri fedelissimi. Catturato a Torino nel novembre successivo, viene condannato a 33 anni di reclusione, poi ridotti a venti anni e quattro mesi (pena definitiva). È stato difeso dall'avvocato veneziano Vittorio Usigli, noto alle cronache anche per un flirt con Ornella Vanoni e per essere stato ingaggiato da Berlusconi, in qualità di esperto di risorse umane, nel 2004 per riorganizzare Forza Italia. Dopo vent'anni di rapine, rapimenti, evasioni e omicidi, è divenuto il capo della mala del Brenta, quando nell'agosto 1993 è arrestato sul suo yacht al largo di Capri. Nel febbraio 1995 si pente e contribuisce a smantellare la sua banda. Viene alloggiato a spese dello Stato con la famiglia in una lussuosa villa, tanto che ne nasce uno scandalo con perdita della protezione per pentiti. Il 14 dicembre 1996 è condannato dalla Corte d'assise d'appello di Venezia a 11 anni di carcere e 60 milioni di lire di multa grazie alle attenuanti generiche e alla diminuente per la collaborazione. Solo il 2 maggio 1998 è arrestato per scontare la pena residua, quattro anni. Diviene in seguito collaboratore di giustizia e viene ammesso al programma di protezione, da cui viene escluso per una serie di violazioni delle regole di comportamento. In seguito cambia


nome e sconta la pena in una località segreta. Nel febbraio 2006 il suo nome ritorna sui giornali per il suicidio della figlia trentunenne. Dal 23 agosto 2010 torna in libertà dopo la scadenza dell'ultima misura restrittiva nei suoi confronti.

LA AMERICA

MAFIA IN

Cosa Nostra Americana è il nome con cui viene definita l'organizzazione criminale di stampo mafioso italo-americana, che nasce a inizio XX secolo e nel corso dei primi decenni inizia a strutturarsi e ad arricchirsi. Attualmente negli Stati Uniti è tra le organizzazioni criminali più potenti. Sono 5 le famiglie che formano quest'organizzazione, che pur essendo indipendente da Cosa Nostra Siciliana mantiene con essa stretti rapporti di collaborazione: Famiglia Bonanno: Sono più o meno un centinaio i suoi affiliati. Struttura:


Ogni famiglia viene controllata da un Don, protetto e isolato dalle effettive operazioni mediante un sistema comprendente vari livelli di autorità. Secondo la tradizione, il consigliere più fidato del Don sarebbe il consigliere: in realtà il consigliere svolge principalmente funzioni di mediazione per le dispute interne alla famiglia. Si occupa inoltre della parte economica del business. Al di sotto del Don vi sono poi una serie di decine, i quali contano un numero variabile di uomini d'onore detti soldati, che portano concretamente a termine le operazioni. Ogni decina viene diretta da un capodecina, che deve rispondere direttamente al Don, o al vicecapo, o al consigliere. Quando il Boss prende una decisione, i suoi ordini non vengono direttamente trasmessi ai soldati ma vengono passati di livello in livello rispettando l'ordine gerarchico della catena di comando. In questo modo, i livelli più alti dell'organizzazione vengono effettivamente isolati e riescono ad evitare le possibili incriminazioni derivanti dalla cattura di un soldato.

Verso L’america:

Nel periodo compreso tra il 1901 e il 1913, circa 1,1 milioni di siciliani emigrerà dall’isola, un numero pari a poco meno di un quarto della popolazione sicula dell’epoca. Di questi, circa 800 mila sbarcarono negli Stati Uniti, e ovviamente non mancavano tra loro, “ gli uomini d’onore”. Già dall’800, la maggior parte dei delinquenti in fuga che lasciavano la Sicilia, puntava verso il nord america. Ad attrarli, le notizie di un


mondo pieno di opportunità e possibilità di guadagno giunte nel mediterraneo grazie al commercio degli agrumi, che legava Palermo a New York sin dal 1870. Un siciliano che emigrava, soprattutto se già criminale, era abituato a guadagnarsi da vivere sulla strada, scegliendo la fazione più forte. Gli USA di inizio ‘900 avevano in comune con la Sicilia, una società dove il potere clientelare e la legge del più violento, avevano la meglio nei confronti di istituzioni dall’esiguo spessore. Per trovare lavoro nei quartieri, ci si rivolgeva al boss di turno e gli stessi, agganciati ad esponenti politici spesso del partito democratico, procuravano voti in cambio di una “ ampia interpretazione delle libertà imprenditoriali “. Scambiandosi favori e lavoro, senza economie nell’uso di bande di delinquenti, leader senza scrupoli costringevano i lavoratori a subire il frutto di una dilagante corruzione tra malviventi e poliziotti, e brutali violenze senza tutele o diritti. Le condizioni di vita per tantissimi saranno terribili, dove fame, malattie e stenti, mieteranno vittime e mesti ritorni in patria.

Italini molto attivi: Su un terreno di questo tipo, fiorisce un mare di attività criminose in mano agli italiani. A New York, nelle affollatissime strade come Elisabeth Street che già nel 1905 vedeva la presenza di 8200 italiani ( in maggioranza siciliani), o lungo le banchine portuali che nel 1919 arrivarono ad essere per il 75% occupate da connazionali, proliferavano il violento racket della protezione, del reclutamento di mano d’opera e una lucrosa mediazione sul traffico dei prodotti commerciali.


Anche i molti italiani onesti si dimostrano tra i più attivi: uomini e donne si istruiscono, comprano e affittano case, lottano per conquistarsi un futuro diverso dalla miseria vissuta in patria. Gli americani assistono a questa invasione con un misto di “ inquietudine e pietà “. La mafia riesce in questo contesto a trapiantare in blocco un intero sistema, grazie al dinamismo del nuovo mondo e al tessuto siciliano importato. Un intero “ Stato ombra “ vedrà la luce oltre oceano, dove le cosche dalla Sicilia inviano menti e braccia in grado di impiantare i sistemi violenti, costruire gli agganci per le protezioni politiche con i potenti del posto e le collusioni con stampa e polizia. L’organizzazione dovrà adattarsi in maniera veloce, imparando a sfruttare ed avvicendare in fretta vittime e manovalanza. I mafiosi in America tendono a spostarsi in fretta, e questo sarà alla base della rapida diffusione di radicate organizzazioni siciliane in molte città. Pur essendo una rete senza una guida, New York con le sue basi a Manhattan e Brooklyn, era vista come il riferimento centrale. La mafia siciliana si ramificò però anche a Pittsburgh, Cleveland, Chicago, Milwakee, Kansas City, San Francisco e in Canada. Una espansione non indolore e soprattutto a New York, dovette scontrarsi molto duramente con altre organizzazioni criminali italiane ( di origine napoletana o campana ), o straniere ( in particolare irlandesi ).

Il proibizionismo:

Nel Gennaio del 1919, le autorità statunitensi approvarono il Diciottesimo Emendamento, che salì alla storia per aver dato il


là all’epoca del “ proibizionismo “. Furono definite “ bevande intossicanti “ tutti gli alcolici e divenne proibita la loro fabbricazione, il trasporto e la vendita. Questo evento costituì una svolta epocale per la mafia in America, perché consegnò nelle mani dell’illegalità il lucroso traffico e commercio di un prodotto a cui gli americani non erano disposti a rinunciare. C’è chi sostiene con un margine al difetto, che fino al 1933, anno dell’abrogazione del proibizionismo, il mercato illegale di alcolici abbia procurato introiti per oltre 2 miliardi di dollari. La gente vuole bere, e il decollo della guerra tra gangster per il controllo del traffico, viene liquidato spesso con un “ lascia che si ammazzino tra loro “. Nel frattempo la Prima Guerra Mondiale e un pacchetto di leggi successive, frenarono l’immigrazione italiana. In pratica solo chi aveva agganci nella mafia riusciva agevolmente a dirigersi negli Stai Uniti.

La presenza della mafia in America è riconducibile ad un episodio passato alla storia. Nel 1890 la lotta fra due pericolosissime “famiglie” di immigrati siciliani a New Orleans, i Matranga e i Provenzano, si era conclusa con violenze a catena culminate con l’uccisione del capo della polizia Hennessey. Una folla inferocita si ribellò, prelevò dal carcere giudiziario decine e decine di italiani linciandoli e uccidendone undici. Questa carneficina costituisce una pietra miliare nella storia della presenza siciliana oltreoceano. L’America avverte il pericolo della mafia e prova a difendersi senza successo dall’organizzazione mafiosa indicata a New York come la Mano Nera, che successivamente si congiunse nell’Unione Siciliana,


un’associazione etnica con quarantamila iscritti, divisi in trentotto logge, spesso usata come copertura di loschi affari.

La mafia

La mafia italo-americana è denominata La Cosa Nostra. Questo termine fu coniato da Salvatore Maranzano, boss mafioso di Castellamare del Golfo, emigrato negli Stati Uniti dopo la fine della prima guerra mondiale. La mafia in America, nel gergo del tempo, è stata denominata anche Mob. Cinque sono le famiglie mafiose più importanti d'America: Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese. La città in cui hanno sede i loro quartieri generali è New York, ma la loro azione si estende anche in altre città come Chicago, Detroit, Philadelphia e in stati come il New Jersey e il New England. La scoperta dell'esistenza di una apposita "Commissione" mafiosa agente nella città americana fu fatta a New York nel 1985 dal Procuratore federale di Manhattan, Rudolph Giuliani, il quale condusse le sue indagini applicando uno speciale provvedimento denominato Racketeer Influenced Corrupt Organizations, più noto con l'acronimo di RICO. Secondo gli studi più accreditati la comparsa dei primi germi mafiosi in territorio statunitense è da collegarsi con i flussi migratori che dal meridione d'Italia, e dalla Sicilia in particolare, giunsero negli Stati Uniti, tra la fine dell'800 e i primi anni del '900. Tra la maggioranza delle persone che lasciavano la loro terra per poter trovare un lavoro e per vivere


una vita più dignitosa, si infiltrarono anche gli appartenenti alle organizzazioni mafiose italiane. Gli uni e gli altri abitarono inizialmente in quartieri che venivano definiti Little Italy. Il primo rilevante omicidio di mafia in America avvenne a New Orleans, il 15 ottobre 1890, quando fu assassinato il capitano della polizia David P. Hennessy, il quale, indagando sull'omicidio di un immigrato italiano, aveva scoperto l'esistenza della società criminale segreta denominata mafia. Dell'omicidio si autoaccusò un tale di nome Manuel Polizzi, che fu arrestato insieme ad altre 8 persone. Il 14 marzo 1891, mentre alcuni degli arrestati stavano per essere scarcerati, una folla di seimila persone si diresse verso il carcere e procedette ad un linciaggio di massa, tacitamente permesso dal sindaco della città e dal nuovo capo della polizia. Sei degli arrestati furono impiccati agli alberi. Un altro omicidio eccellente avvenne il 12 marzo 1909, a Palermo, quando fu assassinato Joe Petrosino, poliziotto newyorchese, che stava svolgendo una indagine sul rilascio di passaporti a importanti boss mafiosi del calibro di Giuseppe Morello (capo della Mano Nera), Ignazio Saietta, Giuseppe Fontana e Vito Cascio Ferro. Quest'ultimo è stato considerato il capo della mafia siciliana sino ai primi anni venti. Nei primi anni del '900, in America ha operato una organizzazione criminale denominata Mano Nera il cui capo fu, come già detto, Giuseppe Morello, di Corleone. L'organizzazione delinquenziale era specializzata nell'esercizio delle estorsioni in danno dei commercianti, i quali venivano


sollecitati a versare una somma periodica mediante una lettera che portava come firma lo stampo annerito di una mano. Queste prime forme di crimine organizzato furono definite gang. Il leader delle gang italiane che combattevano contro quelle irlandesi ed ebree per il controllo dei quartieri della città di New York è stato senza dubbio Paul Vicarelli. Quest'ultimo fu il primo ad intuire l'importanza di evitare lotte intestine tra le diverse organizzazioni criminali e per questa ragione stabilì una sorta di codice di comportamento tra i vari gruppi criminali. Vicarelli fu colui che iniziò alla carriera criminale molti dei futuri boss di La Cosa Nostra. I nomi più famosi che si sono susseguiti nel corso del tempo sono quelli di Salvatore Maranzano, Johnny Torrio, Al Capone, Lucky Luciano, Albert Anastasia, Vito Genovese, Carlo Gambino, Joe Adonis, Joe Profaci, Frank Costello, Paul Castellano, John Gotti. Le principali attività svolte dalle famiglie mafiose di La Cosa Nostra sono state le seguenti: il controllo dei porti delle principali città americane; l'infiltrazione nel mercato degli appalti pubblici e del settore edilizio; la gestione della prostituzione e del gioco d'azzardo; il racket. Tutte azioni svolte ricorrendo alla corruzione di politici, funzionari pubblici, giudici, membri delle forze dell'ordine, insieme all'esercizio della violenza e dell'intimidazione. Fu certamente tra il 1920 e i primi anni '30 del XX secolo che i


boss mafiosi americani - in particolare Al Capone - videro aumentare enormemente la loro ricchezza e il loro potere. È questo il periodo del cosiddetto proibizionismo. Nella legislazione americana venne inserito un apposito provvedimento con il quale venivano vietati la produzione, il trasporto e la vendita di alcolici. I mafiosi intercettarono abilmente la continua e crescente domanda di rum e whisky che giungeva dalla popolazione americana e, per tale ragione, costruirono più di 2.000 distillerie clandestine, organizzarono i trasporti e diedero vita ad un mercato illecito della vendita degli alcolici che fruttò loro, in poco tempo, ricchezze ingentissime. Nel 1932 il provvedimento che diede vita al proibizionismo fu abolito.

La camorra oggi Ma quali sono i numeri e quali i campi d’azione della camorra oggi? 40 i clan a Napoli, di cui 35 egemoni e 5 minori; 41 egemoni e 14 minori nella Provincia; 9 a Benevento e provincia, tra i quali 6 egemoni e 3 minori; 4 ad Avellino; 13 a Salerno. Un unico cartello a Caserta e provincia: quello dei Casalesi. Questi i numeri diffusi dalla Relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel secondo semestre del 2008. La camorra si presenta fortemente capace di infiltrarsi nella sfera imprenditoriale, di penetrare nel campo produttivo campano e di inquinare segmenti di mercato particolarmente


redditizi, come quello del ciclo dei rifiuti. Pervasiva e penetrante, la camorra costituisce “un fenomeno parassitario di elevate dimensioni globali a livello regionale, tanto da costituire una pesantissima remora sulle ordinate prospettive di sviluppo”. ’O sistema è struttura fluida, policentrica e conflittuale capace – sua grande forza - di saldare le forme associative più strutturate con la criminalità comune. A Napoli e nel suo hinterland sembra resistere il “modello gangsteristico”, caratterizzato da instabili equilibri e da un rapido turn-over delle alleanze e delle conflittualità. Ma è nella città di Caserta, e nello specifico nell’Agro Aversano, che si registra l’espressione più evoluta del “sistema camorristico”, dove il sistema si è evoluto in un modello di camorra imprenditrice, con traffici illeciti di portata transnazionale. Con grosse capacità di infiltrazione in redditizi ambiti economici e l’indiscussa forza militare, i Casalesi si sono oggi estesi nell’intera provincia casertana e nel basso Lazio, esercitando una fortissima pressione criminale sul territorio, con la collusione di ampi settori della società civile. Diverse le tipologie di guerre che si sono consumate sul territorio campano. Gli scontri hanno visto contrapporsi interi cartelli criminali per il dominio di un grosso territorio o mercato, come nel caso della NCO contro la NF, oppure dei Badellino-Alfieri contro i Nuvoletta-Gionta, ma anche dell’Alleanza di Secondigliano contro Misso, Mazzarella e Sarno. Si tratta di guerre totali che arrivano a interessare gran parte del territorio regionale. Di diverso tipo sono le faide, più


circoscritte a un territorio, finalizzate al dominio di una porzione dello stesso. Faida fu quella, ad esempio, tra i Giuliano e i Misso, clan fortissimi e limitrofi, tra Forcella e la Sanità. Scissioni, invece, sono le guerre interne a un clan, dove una costola si stacca e fa la guerra. Quella all’interno del clan Di Lauro e, tra le più recenti, quella nel clan Bidognetti, con la scissione del gruppo di fuoco di Giuseppe Setola. Ma quali sono i mercati più redditizi? Primo è quello delle sostanze stupefacenti, al quale si affiancano estorsione e usura, che per la camorra tutta rappresentano una fonte primaria di reddito e, da sempre, di controllo del territorio. Produzione illecita e commercializzazione di articoli ed accessori di pelletteria, di capi d’abbigliamento contraffatti sono altri importanti campi che delineano il grande mercato del falso, non solo produttivo ma anche di scarso allarme sociale per cui facilmente praticabile. Significativo è, in Campania, anche il campo delle infiltrazioni e del condizionamento della Pubblica Amministrazione, con la regione che conferma, anche nel 2008, il triste primato per gli Enti commissariati. Altro campo fertile è quello del riciclaggio e del reinvestimento di proventi illeciti, con l’acquisizione, attraverso prestanome, di immobili, attività commerciali ed esercizi pubblici ma soprattutto l’investimento si dirige oggi verso realtà societarie. Pervasività dei gruppi criminali, uso della violenza, capacità di intimidazione, fanno da sfondo. In conclusione le indagini rilevano una significativa infiltrazione nel tessuto economico e sociale della regione Campania ad opera della criminalità organizzata. Con le aree


di maggiore rischio individuate dalle province di Napoli e Caserta. Rilevanti le dimensioni internazionali delle organizzazioni criminali di matrice camorristica, specie nel traffico di stupefacenti. La situazione oggi sembra caratterizzata da una stabile globalizzazione delle varie forme di malavitose, specialmente sul mercato illegale degli stupefacenti. Le necessità connesse al riciclaggio dei soldi sporchi spingono i clan a cercare sempre più contatto col resto del territorio nazionale e con l’estero. Un intreccio tra globale e locale che sembra la cifra della camorra di oggi. Moderna e globalizzata ancora una volta mostra il suo opportunismo e la sua capacità di adattarsi al tempo.

"Dire camorra oggi": forme e metamorfosi della criminalità. NAPOLI - Quello delle connessioni tra certa borghesia e la camorra, da tempo esistenti a Napoli, è un tema che merita di essere approfondito. Un'occasione proprizia è stata la presentazione del libro "Dire camorra oggi" a cura Giacomo Di Gennaro e Domenico Pizzuti, dedicato ai rapporti economici e finanziari della malavita organizzata, ai suoi cambiamenti nel tempo. Per il prefetto Pansa sono due i motivi che vedono imputata questa parte della borghesia, attratta dal ritorno economico che deriva dall'investire in affari "sporchi": "Vi è una parte - ha spiegato Pansa -probabilmente marginale, che è camorrista, ma ce n'è un'altra che deve trovare il coraggio per distruggere ed emarginare una minoranza che inquina il nostro


sistema". Oggi, ha continuato, sarebbe meglio parlare di "società per delinquere piuttosto che di associazione per delinquere". Nella lotta alla camorra "è stato privilegiato il contrasto all'ala militare delle organizzazioni", ma è mancato l'approfondimento dell'area grigia. Ad affermarlo è Santi Giuffré, questore di Napoli, per il quale "bisogna delineare l'area grigia, individuare quella borghesia che non disdegna il rapporto con la camorra". Secondo il questore, se la Sicilia, sua regione d'origine dove ha lungamente lavorato, è "all'avanguardia" da questo punto di vista non è un caso. "La Sicilia - ha sottolineato - ha conosciuto le stragi del '92 che hanno imposto un'accelerazione e l'impiego delle migliori energie per contrastare il problema delle connessioni". "Dal punto di vista giudiziario, le indagini le stiamo facendo ha dichiarato Giovandomenico Lepore, procuratore di Napoli ma non è facile scoprire i rapporti. La mia idea è che molta gente che ha disponibilità di denaro, investe somme che vengono restituite chiaramente con forti interessi". "Si sbaglia a considerare la camorra come un fenomeno plebeistico perché non lo è - ha precisato Tano Grasso, presidente onorario della Federazione italiana antiracket - La scelta che certa borghesia fa di diventare camorrista non è per la mancanza del pane, ma per un esponenziale e straordinario ritorno economico."


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