enaip monselice La Fenice

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Gran Teatro La Fenice – Venezia Il Teatro La Fenice è il principale teatro lirico di Venezia, ubicato nel sestiere di San Marco, in Campo San Fantin. Più volte distrutto dal fuoco e riedificato, è sede di una importante stagione operistica e del Festival internazionale di musica contemporanea. Ospita inoltre annualmente il concerto di Capodanno. Storia Il Teatro la Fenice di Venezia venne progettato nel 1790 da Giannantonio Selva per una società di palchettisti dell'aristocrazia di Venezia; il teatro veneziano fu costruito celermente nonostante le numerose polemiche sulla sua collocazione e sulla sua struttura neoclassica. Ma la velocità dei tempi di costruzione non smorzò le polemiche dei gruppi contrari al nuovo teatro, i quali, puntarono le loro critiche sul lievitare oltre ogni dire delle spese rispetto agli iniziali 400.000 ducati prevenienti. Il concorso per il progetto era stato indetto il 1º novembre del 1789 e i lavori erano iniziati nell'aprile del 1790 sotto la direzione di Selva. Nell’arco di due anni dalla presentazione del progetto, il Teatro la Fenice di Venezia vide la luce e venne inaugurato il 16 maggio 1792 con la messa in atto de I Giochi di Agrigento di Giovanni Paisiello su libretto di conte Alessandro Pepoli. Prima ricostruzione Il 13 dicembre 1836 il teatro andò distrutto a causa di un incendio, ma fu subito ricostruito sul modello dell'originale, ad opera dei fratelli Tommaso e Giambattista Meduna, rispettivamente ingegnere e architetto. Nel corso del XIX secolo è stato sede di numerose prime rappresentazioni di opere liriche di grandi autori italiani come Gioachino Rossini (Tancredi nel 1813 e Semiramide nel 1823), Vincenzo Bellini (I Capuleti e i Montecchi nel 1830 e Beatrice di Tenda nel 1833) e Giuseppe Verdi (Ernani nel 1843, Attila nel 1846, Rigoletto nel 1851, La traviata nel 1853 e Simon Boccanegra nel 1857). Proprio La traviata, alla prima, fu sonoramente fischiata dal pubblico della Fenice. Nel 1937 il teatro fu restaurato su progetto di Eugenio Miozzi. Seconda ricostruzione Il 29 gennaio 1996 fu completamente (e nuovamente) distrutto da un incendio doloso: le fiamme furono appiccate da un elettricista, Enrico Carella, nel tentativo di evitare penali contrattuali per un ritardo nel suo operato. Il teatro è stato riedificato - nello stile del precedente - in circa otto anni. I lavori di doratura della sala distrutta dalle fiamme sono stati eseguiti dall'azienda fiorentina Giusto Manetti Battiloro. Il 14 dicembre 2003 è stato inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con un concerto diretto da Riccardo Muti, che ha aperto le celebrazioni di una Settimana inaugurale. Durante i lavori, le rappresentazioni dell'ente lirico veneziano hanno avuto luogo al Palafenice, una struttura provvisoria appositamente creata al Tronchetto, e al Teatro Malibran. Dal 1º gennaio 2004, sempre per festeggiare la riedificazione del famoso teatro, vi si svolge, in contemporanea (e, diremmo, in concorrenza) al Musikverein di Vienna, il Concerto di Capodanno, in cui vengono eseguiti pezzi d'opera lirica, in particolare italiana ma anche straniera.


La ricostruzione del Teatro La Fenice tra splendidezze e dorature Distrutto dalle fiamme nell’incendio del 1996, il teatro “La Fenice”, presago il nome, è stato ricostruito com’era ed inaugurato, con una accoglienza in prevalenza positiva, nel dicembre del 2003. Sull’ipotesi apparentemente più logica di un edificio teatrale che avrebbe dovuto nascere sotto il segno del nuovo, prevalsero da un lato le istanze conservative e dall’altro, certamente, le spinte “emotive”. Va ricordato che fu la Città intera (o meglio la volontà unanime del Consiglio Comunale che rappresenta la Città), a chiedere l’immediata ricostruzione di ‘quel suo’ Teatro, ma va ricordato anche che l’edificio teatrale nella sua dimensione urbana non era stato completamente distrutto. Le possenti murature perimetrali avevano, infatti, chiuso all’interno le fiamme, e la facciata come pure le sue articolazioni esterne apparivano intatte, la ricostruzione doveva fondarsi sulla conservazione dei resti come avevano subito rilevato il prof. Paolo Morachiello e l’arch. Mario Piana. Tutto ciò che resisteva, setto murario, lacerto di superficie, preciso elemento decorativo, divenne il riferimento necessario per la ricostruzione. Anche se la componente dell’integrazione è superiore al restauro di quanto si era salvato, il nuovo ha tratto origine e senso proprio e solo da quei resti che, come scriveva Aldo Rossi nel suo progetto, garantiscono la continuità storica alla Fenice che rinasce, e quindi era importante lasciare visibili i segni del tempo ricucendo però tra loro i frammenti con il fine di ottenere delle sale piacevolmente rimesse a nuovo. La sfida ‘impossibile’ era quella di


ricostruire l’interno della sala teatrale per ri-trovarne l’immagine perduta. Quale Fenice ricostruire lo indicava il progetto di Aldo Rossi, proponendo la ricostruzione della sala teatrale progettata a metà ottocento dai fratelli Meduna obiettivo raggiungibile facendo ricorso al dato ‘fotografico’ come immagine visibile del perduto ed alle testimoniane documentali descrittive del concorso vinto appunto dai Meduna architetti - scenografi. Nel 1853 il programma del bando di concorso per una nuova decorazione della sala teatrale, fissava con chiarezza l’effetto decorativo da raggiungere, chiedendo che la decorazione della Fenice avesse “splendidezza di ornamenti e dorature”, e “tinte chiare nei fondi”. Si chiedeva che il teatro avesse risonanza e grandiosità. E così scrive il Meduna di avere voluto mantenere “l’eleganza congiunta alla ricchezza”, di aver fatto sì che “veruna parte scemi di appariscenza”, e che dovunque appaia “lo splendore della sua appariscente bellezza”. E le cronache dell’epoca riportano come lo spettatore possa “impinguarsi delle ricche splendidezze del ‘500 del ‘600 e del ‘700”, come dovunque sia manifesta la “sfarzosa eleganza” essendo sempre presente “tutto quello che di più signorile e sfarzoso uno possa ideare”, per concludere che “chi la vide assicura che più sorprendenti non sono le magnificenze degli addobbi a Versaglia”. La Fenice del Meduna ottenne l’entusiastico consenso di parte del pubblico a lui contemporaneo, abbagliato dallo “stile rigoglioso del Seicento, ch’ora è più in voga”. Tutti questi concetti, la trasformazione di questi ‘enunciati’ in forme, trovano puntuale illustrazione nel sistema decorativo della Sala Teatrale riprogettato dallo scenografo Mauro Carosi che ha ripercorso il cammino progettuale ottocentesche, arrivando a ritrovare e reinterpretare lo spirito antico della decorazione artistica della cavea. Riscoprendo all’interno del partito decorativo le tracce di quei cinquecenteschi ‘teatri di verzura’ che certamente il Meduna conosceva, ecco la nuova realizzazione di quegli stessi temi. Ciò che tiene insieme il decoro è, appunto, il tema sotteso. La decorazione è codice e linguaggio, è tema e argomento. E’ un gioco di anamorfosi la trasformazione di racemi, foglie e fiori in sembianze di volti e animali. E’ foglia che si trasforma in volto o volto si tramuta in foglia? E’ ramo che diventa cigno. Un “regno bucolico” che stava già dentro la Fenice perduta, e che, forse, per molto tempo nessuno aveva più saputo cogliere e ‘vedere’. Il Meduna aveva raccontato una storia che Mauro Carosi riscopre: entrando nella cavea il volto di un satiro, uomo boschivo, con barba di foglie e le braccia trasformate in racemi di foglie d’acanto, allargate in un simbolico abbraccio quasi ad accogliere la gente, segna l’ingresso in un bosco magico, un mondo arcadico proprio di un’epoca in cui la natura conservava la sua sacralità. In mezzo alle foglie d’acanto, che sormontano e travolgono tutte le architetture, sono nascoste teste di fanciulle, di uomini, di donne in maschera di animali, ci sono i fantasmi del bosco, putti, ninfe, geni; cigni e grifoni tutti i personaggi che sanno vivere un bosco incantato. Gli spettatori, aprendo la porta del palco o entrando in sala stanno all’interno di questo bosco, assistono e partecipano anche a questa rappresentazione nella rappresentazione, entrando a far parte del gioco.


La riprogettazione del tema decorativo, l’interpretazione del ‘teatro di verzura’ che ne fa Carosi, si coniuga al tema della ricostruzione geometrica del sistema decorativo. Architettura e decorazione sono legate e tenute insieme dalla geometria della sala; e seppur è vero che l’architettura quasi ‘scompare’ nella ricchissima decorazione, è indispensabile conoscerne con esattezza la geometria per applicare l’ornato.

Fabio Mattei, pittore scenografo, ha ricostruito una modellazione solida della volta a computer, e quindi ha trasformato il modello virtuale in modello ligneo reale in scala 1:10. Per far fronte ai ristretti tempi imposti era necessario anticipare il progetto e la realizzazione della volta quando ancora in cantiere della volta non vi era nessun segno. “Bisognava immaginare. Immaginare quel soffitto concavo, trovare il sistema per misurarne le superfici curve, creare in laboratorio un soffitto virtuale che anticipasse le forme di quello vero”, aveva scritto Fabio Mattei. In tal modo è stato possibile il controllo esatto dei moduli decorativi del soffitto, e l’invenzione, o meglio, la messa a punto di una tecnica in grado di riproporre con precisione il decoro sulla volta reale. Sapere scientifico e sapienza artistica coniugate insieme hanno reso possibile la ricostruzione fuori opera di tutto il complicato gioco di ornamenti, che in soli sette mesi sono poi stati ‘montati’ sullo scheletro vuoto della sala teatrale, grazie alla rigida programmazione dell’impresa e sotto lo stretto controllo della direzione dei lavori. Per ricostruire è stato necessario riappropriarsi del ‘saper fare’ antico, ricostruire non solo ciò che si vede ma ri-costruire il come far con attenzione alla tradizione del lavoro antico e sapiente “lavoro di occhi e mani e memorie” ha scritto Baricco “è un sapere salvato dall’oblio” quello dell’artigiano che si misura con la rappresentazione di una storia perduta e non più attuale. La Fenice ricostruita è esempio di un metodo rigoroso attraverso il quale è stata data nuova forma al Teatro perduto. Visitando la sala teatrale bisogna saper leggere tutta quella “splendidezza di ornamenti e dorature” che tanto stava a cuore a Giovan Battista Meduna e ritrovare il regno bucolico che riscoperto da Mauro Carosi. Nella valutazione del risultato bisogna anche cercare di essere privi di ‘pre-giudizi’, e cercare di capire che cosa era ‘davvero’ il Teatro La Fenice prima dell’incendio. La ricchezza decorativa che è stata ricostruito, può incontrare il piacere di molti, e l’orrore di altri, ma La Fenice non era certo mai stata un teatro perfetto. Subito dopo la costruzione del teatro ad opera del Selva nel 1792 fu composta la rima belle pietre, bei legnami scale larghe, palchi infami. E già dopo il primo incendio e la ricostruzione del 1851-57, su progetto dei fratelli Meduna, sopra ricordati, Pietro Selvatico descriveva La Fenice come ”un’accozzaglia di sfarzose ornature


barocche sovrapposte alla rigida linea classica”. Tuttavia, con la sua indiscutibile ricchezza e sovrabbondanza d’ornamento rappresentava e rappresenta parte di una ‘storia’ viva della città, e come tale è stata ricostruita. Ciò nondimeno sia la ricostruzione della Sala Teatrale che il restauro/ricostruzione delle Sale Apollinee, con le metodologie operative applicate per la ricucitura dei frammenti decorativi e le soluzioni adottate con i necessari compromessi a cui la realtà del cantiere ha via via costretto, dimostrano come La Fenice con le sue sale restaurate e ri-composte e la sua cavea ricostruita non sia copia identica, ma solo una “evocazione dell’antica”.


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