MATTEO FRATERNO
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ESPERIENZE/L’infinito intrattenimento di Matteo Fraterno a cura di Pasquale Persico e Loredana Troise Biblioteca per le Arti Contemporanee Fondazione Morra 15 Febbraio - 14 Marzo 2020
Foto: Danilo Donzelli, Matteo Fraterno, Rosaria Millo Crescenzo Zito, Lia Esca, Carlo Mosca Progetto grafico: Rosaria Millo, Pasquale Napolitano Si ringraziano: Gustavo Miracolo, Teodoro Bonavita, La Premiere S.r.l.
FONDAZIONE MORRA
Presidente: Teresa Carnevale Direttore: Giuseppe Morra Coordinamento attivitĂ : Raffaella Morra Vico Lungo Pontecorvo 29/d 80135 Napoli - Italy info@fondazionemorra.org www.fondazionemorra.org 2
In copertina: Matteo Fraterno, pelle di totano su cartoncino, 2020
ISBN: 978-88-7852-042-4
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37 kg di pelle Nico Angiuli
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ESPERIENZE/L’infinito intrattenimento
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Federico Decandia
In verso (performance)
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di Franco Silvestro
[CONVERSAZIONE INFINITA]
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Un libro giallino, piĂš da usare che da leggere
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Cesare Pietroiusti
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Hotel des arts
Manuela Gandini
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Copertina del #46 della rivista Lotta Poetica, marzo 1975 Al centro della foto, non cerchiato, Mikīs Theodōrakīs, compositore e personalità di spicco della cultura greca. Fermo oppositore della dittatura dei colonnelli (1967-1973), fu internato per un periodo nel lager di . Il canto popolare Min Ksehnas ton Oropo divenne l’inno della resistenza alla dittatura.
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37 KG DI PELLE Nico Angiuli “Si era capaci di tutte le grandezze e di tutte le infamie, per salvare l’anima. Non la propria anima soltanto, ma anche quella degli altri. Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle, soltanto per la propria pelle. Tutto il resto non conta. Si è eroi per una ben povera cosa, oggi! […].” Curzio Malaparte
Le pelli che Berti mi ha imbustato sono sei, quattro di montoni e due di agnellini. Natasha, mia suocera, lo aveva chiamato ancor prima che noi si arrivasse in Albania, e la risposta fu affermativa, da Tirana a Fier, anzi più precisamente Apollonia, Berti disse – Sì non ci sono problemi! Ma non era così chiaro se si trattasse di montoni o semplici agnelli. Comunque, poco prima di Natale 2019 arriviamo a Valona da Brindisi in traghetto. Passa qualche giorno a Tirana e io mi interesso di nuovo alla cosa; da Apollonia le notizie che giungono non sono molto chiare, resta il dubbio che siano pelli di agnello, per questo si decide comunque di fare un giro per negozi a Tirana, per capire se ci siano e quanto costino le pelli di ariete. In centro troviamo qualche negozio, i prezzi sono piuttosto alti ma sono negozi turistici e le pelli in alcuni casi sono molto lavorate, perdono cioè quella dimensione “corporea” e diventano più simili a tappetini o poggiapiedi. C'è un posto però che ha una pelle molto grande circa lunga 1 metro e 30 cm, dove il fondo il retro del pelo, la pelle appunto è ancora attaccata, è essiccata e non chimicamente annichilita. Restiamo in contatto, ma ne ha solo una e per cercarne altre chiede circa 100 euro a pelle. Troppi. Intanto ci organizziamo per andare ad Apollo7
nia, nel distretto di Fier, dove abita Berti con la sua famiglia che vive di pastorizia e di agricoltura. Andiamo sul posto, ma prima di raggiungere Berti, facciamo visita al sito archeologico di Apollonia, ai piedi del quale Berti ha il suo gregge di animali. La città è stata fondata nel 588 A.C., fiorisce durante il periodo romano quando è sede di una rinomata scuola di filosofa. Il primo imperatore romano Ottaviano Augusto studia filosofa proprio qui tra le case di Apollonia, dove noi camminiamo. Cicerone nelle sue Filippiche definisce Apollonia ‘’magna urbs et gravis’’ città grande e importante, che disponeva di una propria zecca per la produzione delle monete, ritrovate fino ai piedi del Danubio. Il declino della città sembra conseguenza dall’ascesa al potere di Valona. Fu riscoperta dai classicisti europei nel XVII secolo anche se solo nel 1916-1918 con l’occupazione austriaca che gli archeologi iniziarono ad investigare il sito. Parti del sito furono danneggiate durante la Seconda guerra mondiale. Durante l’anarchia che seguì il crollo del regime comunista del 1990, il sito fu saccheggiato per rivendere le reliquie ai collezionisti stranieri. Noi ci andiamo fuori stagione, il 28 dicembre 2019, il sito è deserto, ma la biglietteria funziona e siamo fortunati ci sono 25 gradi e una vista mozzafiato sull'Adriatico, in lontananza ai piedi della collina dove è sita Apollonia si intravede un gregge, mi piace pensare sia proprio quello di Berti. L'acropoli è in parte distrutta e il colonnato dell'acropoli è ricostruito utilizzato del cemento armato. Resto colpito da come un luogo così importante resti marginale nelle mappe turistiche, per sua fortuna forse. Di sicuro tra le rovine c'è un ristorante e dei tavoli per mangiare fuori difronte il belvedere. Anche questa una cosa bizzarra, ma di cui approfittiamo. L'Albania riserva ancora e forse più dell'Italia dei luoghi senza trucco, dove le cose sembrano quel che sono, che mostrano la pelle senza cosmesi truffaldine. Anche casa di Berti, quando arriviamo nel villaggio, si presenta così in tutta la sua onestà. La casa è un continuum con la terra che coltivano, e la stalla degli animali; si vede che è appartiene alla logica che vede appunto la casa collegata alle stalle e ai depositi, ma la casa è nuova, ricostruita, con quel sapore tipicamente necessario di certi luoghi, dove se 8
proprio si vuole abbellire lo si fa all'interno dello spazio domestico e non esternamente; tutto pulito in ordine e ben tenuto all'esterno sia chiaro, ma è dentro che si scopre la parte più premurosa: il soggiorno con i divani forse di matrice turca, la tv e la parabolica, il mobilio della cucina e le piastrelle estremamente lucide del pavimento. Enea, mio figlio, si è addormentato da poco su uno di questi divani, la figlia di Berti ci ha giocato un bel po' insieme, ed ora prende una coperta e lo copre nel sonno. Siamo seduti e beviamo raki, c'è carne di non ricordo quale volatile preparata per l'occasione, per il nostro arrivo, del buonissimo formaggio preparato da loro e si discute. Passiamo un paio d'ore in compagnia di Berti, Renato, suo fratello, la piccola sorellina e la madre, una donna molto concreta nel suo ruolo. Poi quando quasi è ora di tornare a Tirana, ci ricordiamo delle pelli, motivo per cui siamo venuti fin qui. Allora mi portano sul terrazzo, è buio, con la torcia del telefono illuminiamo le scale e siamo su. Le pelli sono lì in un angolo del solaio nudo, distese l'una sull'altra, non sono pelli essiccate, sono ancora “vive”; sono state raccolte qualche giorno e altri ne servirebbero per essiccarsi. Ma Berti ha messo tanto sale grosso tra una pelle e l'altra che posso vederlo, ne sparge ancora un po' e poi con una lama inizia a tagliare le parti in eccesso: pezzi di pelo e carne volano dal terrazzo nel terreno. Io partecipo un po' stordito un po' incuriosito, l'odore è forte, un misto tra stalla e macelleria, ma non è un puzzo. Questa gente profuma di qualcosa che appartiene a lontani ricordi che tutti abbiamo, la masseria di quel lontano parente cui si faceva visita da bambini o di quei cavalli che si andava a salutare in un posto di famiglia. Berti e suo figlio Renato imbustano le pelli, circa 30 kg, e me le consegnano come sacchi di riso. Le pelli restano vive e il loro profumo lo trasporta Matteo con due valigie fino a Napoli. Qualche settimana dopo, nelle stanze di Fondazione Morra, Matteo mi invita nel giaciglio d'arte che ha realizzato con le pelli. L'odore di Apollonia si sente ancora.
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βιβλιοθήκη
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ESPERIENZE/L’infinito intrattenimento Federico Decandia
Come sognare dentro una biblioteca? È l’enigma che fa da sfondo a ESPERIENZE/L’infinito intrattenimento nella Biblioteca per le Arti Contemporanee della Fondazione Morra, dove Matteo Fraterno ha dimorato per un mese prendendosi cura del luogo come artista bibliotecario, sospendendo il regime di attività ordinaria e attivando un rizoma di relazioni con i libri, i visitatori e l’arredo. Il preludio all’apertura al pubblico è consistito nella visione degli arredi temporanei per far sì che l’artista-viaggiatore giungesse ad una condizione di familiarità con una rinnovata dimensione domestica. Tra questi, il giaciglio è il segno più eloquente dell’origine del progetto di residenza, che prende forma a seguito del viaggio di Fraterno nel sito archeologico di Oropos. Collocare nella biblioteca alcune tracce documentali di questa perlustrazione è un invito a riflettere sulle temporalità multiple, talvolta incommensurabili, che si addensano in ogni luogo. Oropos, lager per i dissidenti durante la Dittatura dei colonnelli, è anche il sito dell’Oracolo di Anfiarao dove, secondo il mito, i pellegrini sostavano per la notte in una condizione di incubazione purificatrice. Di qui l’idea di far migrare il giaciglio – insieme alle condizioni di un “sognare meglio” – da un sito archeologico ad una biblioteca. Le pelli di montone utilizzate per la sua realizzazione, approdano nella biblioteca della Fondazione Morra transitando idealmente e materialmente dalla Via Egnatia, rievocando non soltanto la dimensione mitica, ma ribadendo, tra le relazioni possibili, l’itinerario esperienziale di Matteo Fraterno documentato nel film Radio Egnatia. In una biblioteca il sonno come condizione per poter sognare diventa lo scarto più radicale per renderla non funzionale o per renderla un modello differente, quello della biblioteca universale di Leibniz. Il libro Il bibliotecario di Leibniz di Sergio Givone, insieme a L’infinito 17
intrattenimento – il testo di Maurice Blanchot che dà il titolo a questa esperienza – sono già le tracce di relazioni che hanno il privilegio accidentale di trasfigurarsi in paradigmi per interpretare e attivare una nuova possibile relazione con la conoscenza da possedere. Accidentale perché quello delle relazioni e delle interrelazioni è un carattere costitutivamente orizzontale e antigerarchico, e la centralità generalmente attribuita ai titoli, qua si dissolve in un riferimento tra i possibili. Un esito già realizzato dell’interazione con i materiali bibliografici è la poltrona gialla che l’artista riferisce cromaticamente al libro Pensieri non funzionali (ed. Morra). Con questo stesso modus operandi Fraterno aveva provveduto, nel 2013 durante la residenza al palazzo Cassano Ayerbo D’Aragona in fase di ristrutturazione, al restauro delle porte nel piano nobile superiore, laddove l’ispirazione nasceva dall’attraversamento fisico e immaginativo di un luogo in trasformazione. Durante la quotidiana e ridondante frequentazione del cortile e degli archivi della futura Casa Morra, nella percezione delle mura esterne del retro aveva cominciato ad echeggiare il pensiero de Le Mura di Tebe di Emilio Villa, innescando l’idea per le porte con gli inserti in pietra leccese. Così come l’esplicito richiamo della poltrona è al progetto della “Tappezzeria Fraterno” a Gibellina nel 1998, tra le suppellettili, il vaso sopra la scrivania della biblioteca è il segno di continuità simbolica con la prima esperienza di collaborazione con Giuseppe Morra nella Vigna San Martino del 1995. Quello che potrebbe apparire come un elenco di autoreferenze o un gusto per l’autocitazione è in realtà la necessità di cogliere il carattere intimamente fragile delle relazioni che hanno bisogno di cura, di essere rinnovate e fatte migrare per conversare infinitamente con l’eterogeneità di contesti sempre nuovi. La lunga collaborazione tra Matteo Fraterno e Giuseppe Morra, non cristallizzabile in un elenco, con questo progetto intende ribadire il carattere interrelazionale del lavoro dell’artista, attraverso la realizzazione di una nuova tappa all’interno di una costellazione di “esperienze” che comprende Certosa nel 1995 in Vigna San Martino, l’esperienza di vendita a Palazzo delle Sperimentazioni del 2010, fino alla residenza, nei primi mesi del 2013, nella dimensione più intima e privata del restauro di Casa Morra. 18
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HOTEL DES ARTS
Manuela Gandini
L’ouvre c’est moi! A fianco di Flaubert, eccoli, camminano Marcel Duchamp, Joseph Beuys, Vito Acconci, George Bataille, Antonin Artaud, Gina Pane, Marina Abramović e un nutrito esercito di artisti e anartisti, meno noti ma caparbi, che sono tutti oeuvre d’art più che semplicemente uomini. Opere d’arte che respirano, parlano, amano, mangiano, piangono. Matteo Fraterno è tra loro, è un’opera vivente, reclusa e sognante, nella biblioteca della Fondazione Morra. Non c’è pubblico, in questo tempo incerto, ma solitudine, isolamento e meditazione. Con ESPERIENZE/L’infinito intrattenimento, Fraterno ha portato i suoi gesti quotidiani, i sogni notturni, la sua fame di conoscenza e la natura ascetica che lo caratterizza, nello spazio dell’arte. Anche altri hanno abitato le gallerie sprigionando le proprie energie in quegli speciali hotel des arts. Vito Acconci ha fecondato la Sonnabend Gallery quando, nel 1972, si è appiattito sul pavimento scomparendo sotto una piattaforma inclinata percorribile. Lì, sottratto alla vista delle visitatrici, si masturbava otto ore al giorno per inseminare lo spazio dell’arte. Joseph Beuys, nel 1974, giunse in ambulanza dal JFK a New York alla Galleria Rene Block dove visse e dialogò per tre giorni con un coyote selvaggio che pisciava sulle copie del Wall Street Journal. E Marina Abramović nel 2002, alla Sean Kelly Gallery, visse per 15 giorni su una piattaforma, digiuna e silenziosa come un monaco, con funzioni vitali ridotte al minimo. Era la sua risposta all’11 settembre. Fraterno, all’inizio di questo strano anno pandemico, è vissuto lì, nell’ex centrale elettrica che domina Napoli, come un guardiano del faro portando con sé alcuni “arredi”: indizi antropologici e d’affezione mimetizzati nell’ambiente. Si trattava di estetizzare la scansione dei giorni e delle notti a venire, ricontestualizzando il percorso precedente dell’artista a partire dall’esperienza della “Via Egnatia” e dal rapporto con la Grecia e il mito. La mattina doccia e colazione al ristorante (chiuso). “Aspettavo che il sole se ne uscisse da dietro il Vesuvio e cominciasse a illuminare la biblioteca”. 53
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E allora Fraterno afferrava il libro, in biblioteca, e s’immergeva nella lettura. Anima e corpo affondavano dentro le parole, nelle menti dei filosofi, nei concetti astratti e dentro alla storia. L’infinito Intrattenimento di Maurice Blanchot e Il bibliotecario di Leibniz di Sergio Givone sono i testi dai quali parte questa residenza concettuale. “Non ho mai avuto una libreria in casa, sono nato dentro una tappezzeria”. Intanto Fraterno seguiva il sole che si spostava dalla biblioteca al museo. Quindi saliva e suonava il pianoforte, disegnava, osservava, scriveva, prendeva una boccata d’aria. Prima di cominciare l’esperienza eremitica – che ebbe inizio il 15 febbraio sconfinando poi nel cosiddetto “lockdown” – Fraterno (che è figlio di tappezzieri) costruisce una poltrona gialla con le sue mani. È un’opera e una seduta ma è anche l’aggancio con il progetto “Tappezzeria Fraterno” che l’artista realizzò a Gibellina nel 1998. Essendo ESPERIENZE/L’infinito intrattenimento un set esistenziale – con un fitto ordito di relazioni con il passato e con persone, oggetti e zoomate – ecco che Fraterno si procura pelli di montone facendole arrivare dall’Albania e arrangia, con la paglia, un giaciglio primitivo sul quale sognare. “Preferisco fare esperienza di qualcosa piuttosto che capirla” disse John Cage. “Nel mio viaggio a Oropos ho immaginato di dormire nel sito archeologico. L’idea che ne è nata è stata quella di trasferire quel ‘sognare’ in un altro luogo”. Il viaggio è per Fraterno la realizzazione performativa, in solitaria, della sua indagine antropologica e Oropos – tempio dell’oracolo di Anfiarao e lager per i dissidenti durante la dittatura dei colonnelli – è l’origine del progetto. La fonte sacra di Anfiarao si dice avesse proprietà terapeutiche. Il pellegrino doveva dormire su pelli di montone e sognare. E purificarsi. Il sonno rappresentava il necessario periodo d’incubazione per ottenere la guarigione. Sulla propria linea del tempo, l’artista-pellegrino-fraterno aveva già contattato i numi prima, ben prima che il mondo intero si ammalasse. Ma le risposte oracolari non sono decodificabili ai più. L’artista si è inoltre circondato delle pietre sulle quali ha inciso lettere dorate di un alfabeto sconosciuto. L’esperienza è stata un viaggio immobile, accompagnato dai reperti delle sue esplorazioni filmate, dalle carte geografiche e dalle foto archeologiche. Un viaggio immerso nel silenzio 55
e nella speculazione storica. Fraterno, del tempo passato in biblioteca, ne ha fatto un intimo capolavoro. I libri hanno continuato a parlargli, a ordire combinazioni a sua insaputa, rivelandosi borgesianamente nel corso dei giorni. E poi i sogni si sono palesati richiamandolo da oltre cortina. Che funzione ha l’arte? Tutto ciò è avvenuto in prossimità della frattura tra il vecchio tempo e il tempo nuovo: il tempo dominato dai movimenti del virus e dall’allontanamento dei corpi. Mentre Fraterno consumava le sue ore in biblioteca, il tempo della distanza e della “sicurezza” s’imponeva nel mondo umano. Perché un artista rinuncia a casa propria, alle abitudini e al comfort, per entrare in un diverso rituale? In un rituale a-sociale? Ogni artista che ha abbandonato il proprio contesto domestico per abitare quello artistico, lo ha fatto come rito. Un rito di purificazione e crescita individuale che diventa collettiva, un rito culturale per creare alternative e spostare le condizioni date. Abitare lo spazio pubblico/privato della cultura è uno sconfinamento simbolico, muove forze sottili e invisibili. In tutto ciò, entrano in campo numerosi agenti oltre a quelli non prettamente visivi dell’opera. E la comunità artistica, quella più ristretta e intima, è lì fuori dal muro che partecipa. Non può stringergli la mano ma può apparire via zoom. ESPERIENZE/L’infinito intrattenimento lo ha portato nel vivo dei processi di conoscenza letteraria, di una quotidianità onirica multidimensionale. Le tracce del cammino sono indizi, minime varianti, mimesi incerta o meglio invisibile. Dormire sul giaciglio è come abitare alle pendici del vulcano. Fraterno ha compiuto un viaggio inter-temporale nei documenti, nei libri, nelle foto, alle quali l’artista ha attaccato la propria esperienza. Il suo è stato un lockdown diverso, con i sensi aperti in ogni direzione. Mentre concludo questo testo e un nuovo lockdown si profila all’orizzonte, intravedo Ofelia che continua a galleggiare in su e giù, lungo il fiume, senza che nessuno la veda con i fiori sparpagliati attorno e gli occhi aperti su un mondo cieco. Milano 29 ottobre 2020
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Immagino che nel mio pennino ci sia una vecchia ereditĂ del bisturi (Michel Foucault, Il bel rischio. Conversazione con Claude Bonnefoy)
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