Editoriale
Effetto da crisi, non si opera! di Angelo Nardi Forse già siamo entrati nel gi-
rone dantesco in cui è l’economica che governa in assoluto la gestione della Sanità.
In molti si temeva fosse questa
la conseguenza possibile della managerialità nella gestione delle
aziende sanitarie ma forse già ci siamo dentro.
A rilevarlo una decisione che riguarda l’azienda sanitaria di
Savona, ma potrebbe riguardare qualsiasi azienda sanitaria.
In questa Asl di Savona si è deciso di non fare prestazioni sanitarie importanti come le stesse operazioni chirurgiche, che
possono essere calendarizzate. Niente operazioni! Stiamo parlando - va chiarito - di interventi che riguardano perlopiù il
settore dell’oculistica, nulla di emergenziale. Ma comunque il dato è eloquente anche perché di stretta attualità.
Da ottobre incluso fino a fine anno non si faranno interventi
chirurgici calendarizzabili. Questo per non fare esorbitare i costi in azienda sanitaria, la spiegazione ufficiale che arriva
dall’amministrazione savonese. Siamo già nel caso in cui l’eco-
nomia regola nel dettaglio la sanità.
Sospese per tre mesi le attività della day surgery. L’area di
competenza riguarda, oltre Savona, Pietra Ligure ed Albenga.
La dura lex è stata imposta nella chirurgia programmabile:
oculistica, chirurgia della mano e protesica, la previsione è di
570 interventi in meno.
Obiettivo: rimanere sotto al 5% di disavanzo. Una misura
che il governo della Regione Liguria intende necessaria perché non scattino le addizionali Irpef e Irap.
Era inevitabile. Le aziende sanitarie si muovono come le
aziende accreditate nella sanità pubblico privato. Questo, sempre, perché le ragioni di bilancio siano soddisfatte.
La domanda allora è, perché queste regole valgono solo a Sa-
vona? Cosa succede nel resto d’Italia? Se tutta la Sanità non
può che realisticamente rispondere alla regola del rientro dal deficit, questa dura lex deve valere per tutti.
Il criterio può essere discusso e anche contestato. Purché un
criterio ci sia. Se abbiamo stabilito che debba esser governato dall’economia, che la gestione di grandi sistemi sanitari non debba differire dall’economia domestica, sia! Ma questo deve
valere per tutti.
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CO2 e H2S, quando il pericolo viene dalla terra Donne il sesso forte In morte di un genio Equilibrio tra piaceri
Rubrica Prevenzione & Salute
Intolleranze alimentari, Nutrigenetica. Un legame indissolubile
IHG/ La tutela giuridica dei pazienti in carico al Ser-
vizio di Assistenza Domiciliare Alzheimer A dicembre arriva l’influenza Contro il caro-medici Attenti alla gotta!
Il bello dell’aerobico: toglie la pancia! Depressione, per curarla bisogna ri-conoscerla Lotta di classe tra malattie Campagna Nastro Rosa al nastro di partenza Sesso non protetto, il male delle donne
Cittadini & Salute Mensile di informazione Socio-Sanitaria Editore e Direttore Generale Mario Dionisi Direttore Responsabile Angelo Nardi Art Director Antonella Cimaglia Webmaster Mariano Trissati Redazione Via Galletti,16 00012 Villanova di Guidonia (Rm) E-mail: redazione@cittadiniesalute.it Tel e Fax 0774 529498 - 0774 320278 Stampa Fotolito Moggio strada Galli, 5 Villa Adriana (Rm). Registrazione n. 31 del 29/06/2010 presso il Tribunale di Tivoli. Tutte le collaborazioni sono considerate a titolo gratuito, salvo accordi scritti con l’editore. Tutto il materiale cartaceo e fotografico consegnato alla redazione, non verrà restituito. Chiuso il 07/10/2011
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Cittadini & Salute
Attualità
CO2 e H2S, quando il pericolo viene dalla terra
Se li conosci li eviti. Ma devi conoscerli. In alcuni casi uccidono. Sono i gas naturali emessi in aree vulcaniche. Sì, perché l’idrogeno solforato (H2S) e l’anidride carbonica (CO2) inalati, anche in piccole dosi, possono essere letali.
Il 5 settembre. in un tennis club di Lavinio quattro operai hanno rischiato di morire perché intossicati dai gas emessi dal fondo di una piscina vuota che stavano pulendo. A luglio, invece, è stata meno fortunata una coppia di bagnanti in provincia di Latina, nei pressi delle terme di Suio, a Castelforte. I due si immergono in una piscina interdetta al pubblico e, intossicati e storditi dai gas provenienti dalla stessa, annegano. In quella stessa pozza, 35 anni fa, si consumò un’analoga tragedia: a morire fu un 17enne del luogo sempre per asfissia da esalazioni. I colpevoli sono ben noti: i gas provenienti dai complessi vulcanici. Sia che si tratti dei Colli Albani (Roma) che di Roccamonfina (Caserta) queste emissioni sono normali in aree vulcaniche, e caratterizzano la gran parte del territorio laziale. Provengono dal profondo della terra: bisogna trovare modi per convivere con questi fenomeni. Innanzitutto conoscerli. L’anidride carbonica, il 98% della miscela dei gas, essendo più pesante dell’aria tende a
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concentrarsi verso il basso così come l’idrogeno solforato che è però individuabile per l’odore di uova marce già a dosi molto basse, inferiori a 1 parte per milione (10.000 ppm = 1%). Associato a questi due vi è inoltre una componente di radon, un isotopo radioattivo, anch’esso nocivo per la salute, ma su lunghi periodi. A torto queste aree vulcaniche spesso sono considerate spente. La conseguenza consiste nella nascita di interi quartieri. Bisogna anche ammettere che le ricerche in aree vulcaniche e sui loro possibili pericoli per la salute non sono molte. Sconosciuta la patologia anche dai medici che spesso non riescono a unire la causa all’effetto: i malori accusati dai pazienti non sono associati all’emissione di gas. Necessario, quindi, informare i medici di base sulla presenza di tali fenomeni. Le stesse ricerche non sempre riescono a venirne a capo: qualche anno fa, un’indagine sui Colli Albani, dove è presente un’area a forte emissione di anidride carbonica e idrogeno solforato,
che nel 2000 ha causato una vittima, non produsse alcun risultato. Nell’asse tiburtino ci sono le aree adiacenti alle sorgenti di acqua solfurea che sono state spesso luogo di svenimenti, accompagnati anche da fatti di cronaca cruenta. In sostanza oltre a pensare giustamente ai gas e alle polveri nell’aria determinati dalle esalazioni delle auto, delle industrie, delle cave bisognerebbe pensare alle esalazioni che arrivano da terra. Inoltre bisogna tenere presente l’elevata pericolosità dell’idrogeno solforato a cui è probabilmente imputabile la morte frequente di animali domestici e da pascolo. A tutto questo, però c’è da aggiungere una questione tutta aperta: l’individuazione dei valori limite di anidride carbonica e idrogeno solforato non ha ancora una tabella riconosciuta a livello internazionale. I valori di riferimento sono i Threshold Limit Value (TLV): “valore limite di soglia”, che non riguardano gli ambienti domestici ma quelli lavorativi. In questi valori ci sono i Time Weighted Average (TWA), cioè la concentrazione limite, calcolata come media ponderata nel tempo (8 ore/giorno; 40 w w w.cittadinies alut e.it
Attualità ore settimanali), alla quale tutti i lavoratori possono essere esposti, giorno dopo giorno senza effetti avversi per la salute per tutta la vita lavorativa. Poi ci sono anche gli Short Term Exposure Limit (STEL): valore limite per esposizioni brevi - non oltre 15 minuti ed occasionali - non oltre quattro esposizioni nelle 24 ore, intervallate almeno ad un’ora di distanza l’una dall’altra. Quindi sono importanti concentrazione e tempi dell’esposizione. Questi i limiti di esposizione per la salute umana delle concentrazioni in aria indoor (in volume) di anidride carbonica e idrogeno solforato, stabiliti per gli ambienti di lavoro seguono questo livello di concentrazione nell’aria:
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- TWA, Time Weighted Average, 8 ore: CO2=0,5 vol% H2S=10 ppm (0,0001%); - STEL, Short Term Exposure Limit, 15 minuti: CO2=3 vol% H2S=15 ppm (0,00015%). I parametri sono validi per ambienti di lavoro frequentati da persone adulte di sana e robusta costituzione fisica. Non esistono invece soglie ufficiali stabilite da organismi internazionali per la concentrazione indoor di CO2 e H2S in ambienti abitativi che possono essere frequentati anche da bambini, anziani e da persone malate o fisicamente debilitate. Quando in aria c’è il tre per cento di anidride carbonica c’è già il raddoppio del ritmo respiratorio.
La conseguenza del cinque per cento nell’aria respirata in un ambiente rende fortemente problematica la continuità in stato di lucidità. Quando la percentuale sale all’otto per cento arriviamo a livelli letali. L’idrogeno solforato, diventa molto pericoloso quando si è esposti a percentuali che vanno dallo 0,04% allo 0.07% per un tempo di mezz’ora. Provoca innanzitutto vertigini e vomito. Ma esposizioni per tempi maggiori provocano l’edema polmonare. Quando la percentuale aumenta da quelle indicate diventa letale, in pochi minuti viene attaccato il sistema nervoso e provoca affanno, quindi il blocco respiratorio. Nicola Pagliuca
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RICERCA
Donne il sesso forte
Lo dicono i cromosomi X. Non è una grande novità. Nuova invece la scoperta di piccole molecole di Rna dalla funzione regolata.
Esiste il cromosoma X, col quale si evince che il sistema immunitario femminile è più forte. I maschi hanno una sola copia di questo cromosoma, le donne ne hanno due, quindi sono svantaggiati. Non è ancora una certezza riscontrabile. Si tratta di un’ipotesi ma molto ben costruita. Elaborato dall’Università di Gand, in Belgio, questo meccanismo consiste nell’esistenza di piccole molecole di Rna dalla funzione regolata. Si tratta di micro Rna che sono impegnati nella regolazione della risposta immunitaria e dello sviluppo dei tumori. Queste ulltime sono localizzate su questo cromosoma, possono spiegare
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perché le donne rispondono meglio alle infezioni e sono meno propense a sviluppare il cancro. La ricerca pubblicata sul periodico di aggiornamento scientifico Bio Essays ha aggiunge una nuova argomentazione alla nozione già diffusa per cui le cellule femminili resistono di più e meglio perché si adattano meglio. Come se anche le cellule femminili avessero maggiore elasticità di quella degli uomini. Sanno compensare meglio gli stress ambientali come quelli farmacologici. Per contro le cellule maschili, invece, presentano una caratteristica lineare nella dinamica stimolo-risposta.
La sua coerenza, per certi versi è maggiormente prevedibile. Una coerenza che si denota anche nelle sperimentazioni farmacologiche tanto da rendere estremamente coerente il complesso organico maschile, quindi anche più facile da studiare sotto il profilo delle applicazioni sperimentali farmacologiche. Insomma, l’uomo sotto il profilo cellulare è meno flessibile. Più facilmente lo stress farmocologico e ambientale porta alla morte alcune sue cellule. Ma ancor più recentemente arriva un’altra ricerca che nel confermare la maggiore longevità delle donne, rispetto l’uomo, ipotizza che potrebbero vivere molto di più se nella dotazione genetica non ci fossero tracce del padre. Rex Stout
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Curiosità
In morte di un genio
Si è spento l’inventore del pacemaker. Oggi un milione di persone porta la sua invenzione nel cuore. Non si calcolano le persone che gli debbono la vita.
Si dà il Nobel a tanti insigni studiosi le cui ricerche si perdono poi nella storia della letteratura scientifica. Wilson Greatbatch avrebbe senz’altro meritato un Nobel. Troppo tardi per riconoscerglielo. Il genio della tecnica e della medicina si è spento a novantadue anni il 27 settembre. Statunitense, Wilson Greatbatch, dovrebbe avere una via intitolata in ogni strada di ogni città del mondo. L’ingegnere ha inventato il pacemaker impiantabile. Si tratta di quella micromacchina stimola-cuore che ha salvato la vita a un numero di cardiopatici che sarebbe impossibile enumerare. Con la solita ironia degli americani teneva a sottolineare che, come tutte le grandi trovate in medicina, la scoperta era avvenuta per sbaglio. La trovata gli venne dalla sua passione per le onde corte nelle radio amatoriali. Durante la Seconda Guerra mondiale era radio-operatore in Marina. Da ingegnere si incaponì nello studio della relazione tra battiti cardiaci e induttanze, tra sistema elettronico e sistema cardiocircolatorio. Conseguente il lavoro su nuovi transistor in grado di rilevare accelera-
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zioni nell’andamento delle pulsazioni cardiache. Inserendo il resistore con una resistenza sbagliata le pulsazioni erano identiche al normale battito del cuore. Il pacemaker nacque così. Era evidente che il circuito aveva un valore d’uso per controllare l’andamento del battito cardiaco. Con l’aiuto di studi di tecnologia avanzata, superando lo scetticismo della classe medica in quel fine anni cinquanta, Greatbatch ridusse la mole degli strumenti di cui aveva bisogno per effettuare il controllo e il posizionamento degli strumenti in un piccolo apparecchio dalle proporzioni comunque ben visibili. La sua grandezza, al tempo era quello di circa sedici centimetri quadrati. Il 1960 costituisce la nascita del pacemaker: per la prima volta viene impiantato su un uomo. Che sopravvisse per diciotto mesi. Ancora più ottimistiche le prime sperimentazioni sugli uomini: su quindici pazienti col pacemaker, cinque avevano avuto una vita normale per altri diciannove anni. Tecnicamente il pacemaker consiste in uno stimolatore cardiaco. In altri termini si tratta di un generatore di impulsi elettrici stimolati da una causa naturale. La loro periodicità co-
stante induce eccitazione negli atrii o nei ventricoli. Ne viene sollecitata la contrazione, il cuore riesce a svolgere il suo normale lavoro di pompa. Gli impulsi vengono applicati tramite un elettrocatetere introdotto attraverso la vena succlavia destra o la vena brachicefalica sinistra e condotto nelle cavità cardiache. Batteria, circuiti, componentistica stanno dentro a una piccola cassa in titanio. Impiantato per via chirurgica, il dispositivo ha le dimensioni 7x6x1 cm. e il peso di ventuno grammi. Il pacemaker viene impiantato sotto cute. Esaurita la carica della batteria interna, è agevole da espiantare per essere sostituito. Oramai l’intervento chirurgico non ha grande rilevanza, a livello di difficoltà operativa. La degenza dura appena due giorni. Quanto sarebbe durata la vita di tutte quelle persone che in questi trenta anni hanno visto in questo piccolo strumento il valido ancoraggio alla vita? La risposta è impossibile da darsi, anche perché la domanda serve a suggerire una riflessione. Quanto i grandi della scienza siano molti, sconosciuti, donne e uomini, che quotidianamente si dividano nell’ottenimento di nuove cognizioni che solo accompagnate da applicazioni terapeutiche e tecniche trovano il loro compimento. Le celebrazioni e i pubblici riconoscimenti invece guardano ai grandi “soloni”. Rex Stout w w w.cittadinies alut e.it
Cinema
Equilibrio tra piaceri
Affermazione al lavoro, famiglia, amicizie, amore, cura della fisicità. I pilastri del quotidiano vivere sono troppi e troppo impegnativi. Il raggiungimento di questo risultato corrisponde alla felicità?
Il 23 settembre è uscito nelle sale il classico film che nel voler essere leggero tocca la questione fondante del benessere che riguarda qualsiasi persona: la giusta disposizione tra bisogni ed appagamenti. Di alcuni piaceri è impossibile far a meno. Messi tutti insieme sono molti, troppi, da appagare. Il senso di frustrazione nel perseguirli conduce ancor più a un senso di sfiducia verso sé stessi. Il film che tratta con estreme levità l’argomento è ispirato al bestseller di Allison Pearson, “Ma come fa a far tutto?” La commedia parla a coloro che debbono costruire la loro graduatoria delle cose veramente importanti per vivere, pena la depressione, la crisi, la perdita di
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fiducia in sé stessi. La protagonista, moglie, madre, professionista in carriera, finora è riuscita a mantenere in equilibrio tutti gli ambiti della vita. Ma è vero? Per quanto può durare questo primato? Cosa significa vivere in una dimensione agonistica della propria esistenza? Qui non si tratta di prendere a prestito le competizioni di altri: campioni dello sport o squadre, oppure passioni politiche, tutte cose rispettabili ma sono ben diverse dall’essere la propria persona sempre in discussione per il raggiungimento costante di obiettivi che si ripetono nella quotidianità. Un compulsivo costante aggiornamento di obiettivi senza fine, che inevitabilmente arriva alla rottura. In altri termini potrebbe essere considerato il
male più diffuso delle società occidentali. A terapia è recentemente approdato in Italia il “mindfulness”. Tradotto potrebbe suonare: “pienezza della mente”. Ed anche qui si parla di un tutto pieno e non di spazi vuoti lasciati deliberatamente sospesi per un tempo di sospensione del giudizio sul da farsi. Un tempo che implica riposo, riflessione, sollevamento da oneri di scelta. No, il metodo mindfulness presentato a Roma a fine settembre i cui corsi iniziano ad ottobre promette di ritrovare il benessere psicologico per affrontare il rapporto con gli altri. L’inventore è un biologo molecolare: Jon Kabat-Zinn. Le prime sperimentazioni a metà degli anni Settanta. Ma a contrario di quel che predice il suo assioma fondamentale - pienezza della mente - nella pratica applicazione c’è l’ammissione che i risultati migliori si ottengono a mente sgombra. John Dixton Carr
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Rubrica
Prevenzione & Salute
Prevenzione & Salute vuole informare, in maniera semplice ed efficace, sulla prevenzione e sul modo di combattere le patologie più diffuse del terzo millennio.
A metà dicembre all'Hotel Duca d'Este a Tivoli Terme un convegno tematizza le intolleranze alimentari dal punto di vista della Nutrigenetica
Dottoressa Helen Costanzi Specialista in Scienza della Nutrizione GRUPPO EUROMED Via Roma 186 (Guidonia Montecelio) Tel. 0774 300401 gruppoeuromedguidonia@gmail.com
Intolleranze alimentari, Nutrigenetica. Un legame indissolubile
La Nutrigenetica non è ancora considerata da tutti i medici. La ricerca e la sua conoscenza devono ancora essere diffuse in modo capillare anche tra la classe dei primi professionisti che studiano i metodi per preservare la cura della salute. Eppure la Nutrigenetica riesce a spiegare reazioni indesiderate ad alcuni alimenti. Si tratta di reazioni fisiologiche che evidenziano lo stato di sofferenza dell'organismo quando arrivano alcuni elementi c'è uno stato di saturazione. La Nutrigenetica spiega il motivo di questo stato di saturazione e ne individua le risposte. Il convegno spiega l’evoluzione dei test di laboratorio che consentono di scovare le intolleranze e danno forza alle statistiche di positività nei confronti di alcuni gruppi di alimenti. Verranno messi a confronto i diversi approcci e le relazioni esistenti tra i vari test, in particolar modo si parlerà di questa nuovo filone di ricerca. La nutrigenetica studia le variabili genetiche, i cosiddetti polimorfismi. Queste variabili genetiche sono alla base delle risposte più o meno adeguate ai singoli nutrienti che ogni giorno introduciamo nella dieta. Sono molti gli alimenti messi sotto la lente d'ingrandimento. Primo fra tutti il latte. Si stima che il 70% delle persone possiede un
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genotipo che compromette la capacità di scindere il lattosio, in glucosio e il galattosio. Nella valutazione nutrigenetica si parla, almeno per il lattosio, di deficit di un enzima (beta lattasi), prodotta dalle cellule del primo tratto dell'intestino che può essere primaria ed è ereditaria, ma anche secondaria cioè acquisita (celiachia, infiammazioni, morbo di Crohn). È importante conoscere i problemi che derivano dall’alimentazione attraverso lo studio delle intolleranze con un buon test di laboratorio. Ancor più importante affrontare e migliorare il nostro stato di salute applicando la nutrigenetica. Nel test si studiano venti geni. Sono in larga misura impiegati nel processo di detossificazione del nostro organismo: nichel, radicali liberi, caffeina, specie che si formano durante la cottura alla griglia. Ma c'è di più! C’è la possibilità di sapere se il genotipo è associato ad alti livelli di colesterolo LDL e di trigliceridi. Queste e altre strategie di prevenzione saranno gli argomenti di questo incontro, che rappresenta un momento di riflessione su ciò che la scienza mette a disposizione per migliorare la nostra salute. Partecipano medici, biologi e nutrizionisti.
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Italian Hospital Group
CENTRALINO 0774 38.61 FAX 0774 38.61.04 188, Via Tiburtina 00012 Guidonia (RM) www.italianhospitalgroup.it
La tutela giuridica dei pazienti in carico al Servizio di Assistenza Domiciliare Alzheimer del Centro Demenze IHG Dott.ssa Francesca Barreca Neurologa - Dr.ssa Patrizia Carrozzo Assistente Sociale Centro Demenze Unità Alzheimer IHG
Le persone che giungono nel nostro Centro presentano un’impossibilità, parziale o totale, di provvedere autonomamente ai propri interessi. Tale situazione può ripercuotersi sia sul processo clinico-assistenziale durante il ricovero sia sulla continuità assistenziale alla dimissione e, soprattutto, nei casi in cui manchi una figura in famiglia che possa aiutare il soggetto “fragile” nelle scelte di cura. Con la Legge n. 6/2004 e le conseguenti riforme degli articoli 404 e ss. del C.C. in materia di interdizione e di inabilitazione la cura della persona e dei suoi interessi morali può essere demandata alla figura dell’Amministratore di Sostegno (AdS). La nomina di un rappresentante legale, nello specifico di un AdS, si iscrive nell’ambito del progetto assistenziale personalizzato per la persona fragile. La sua scelta avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi del beneficiario. Risulta uno strumento flessibile e modificabile in relazione all’interesse dello stesso. Scopo dell’AdS è di “tutelare, con la minor limitazione possibile della capacità d’agire, le persone prive in tutto od in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana attraverso interventi di sostegno temporaneo o permanente”. Tale istituto va a rivoluzionare quello dell’interdizione e dell’inabilitazione. Dal 2005 al 2008, nel nostro Centro sono stati assistiti a domicilio 227 pazienti e tutti sono stati informati riguardo alla figura dell’AdS. Tuttavia, nonostante la capillare informazione, solo tre famiglie (appena l’1,34%) hanno attivato le procedura di nomina. Partendo da questi dati, si è concordato con il CAD Aziendale della ASL RmG di inserire nella modulistica per la richiesta di accesso ai servizi del Centro Demenze l’impegno, da parte del paziente o del caregiver, ad attivare la procedura per la nomina di un AdS. Dal gennaio 2009 si richiede formalmente alle famiglie dei pazienti del nostro Centro di attivare la procedura per l’AdS. Riportiamo quanto accaduto per i pazienti presi in carico nel Servizio
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di Assistenza Domiciliare Alzheimer (ADA) nel periodo gennaio 2009-dicembre 2010. In tale periodo sono stati assistiti in ADA 112 pazienti (67 F e 45 M) provenienti dai vari Distretti Sanitari della RmG, distribuiti nel seguente modo: 55 dal CAD di Guidonia, 36 dal CAD di Tivoli entrambi afferenti al Tribunale di Tivoli, 14 dal CAD di Monterotondo, 6 dal CAD di Palestrina, dal CAD di Colleferro afferenti ai rispettivi Tribunali. Tutti i familiari sono stati informati dall’assistente sociale, in modo ampio ed esaustivo, sulla procedura da seguire per arrivare alla nomina di un AdS. Dei 112 pazienti: 46 non hanno attivato la procedura, 26 sono in attesa di nomina dell’AdS da parte del Tribunale di appartenenza, 30 hanno ottenuto la nomina, 4 hanno ottenuto la procura notarile, 6 avevano l’interdizione. Prima di accedere al nostro servizio solo 8 pazienti avevano un rappresentante legale (3 procura notarile, 3 interdizione, 2 AdS), accedendo al nostro servizio 56 hanno attivato la procedura per l’AdS (30 l’hanno conclusa), mentre 46 non si sono ancora attivati. In conclusione, il 50% ha attivato la procedura per AdS , il 41,7% non ha ancora attivato alcuna procedura, solo il 7,1% aveva già un rappresentante legale/AdS. Non sono emerse differenze significative riguardo alla gravità della compromissione cognitiva, comportamentale, funzionale e le condizioni sociali, culturali ed economiche delle famiglie tra i pazienti che hanno attivato la procedura per la nomina dell’AdS rispetto a quelli che non hanno ancora avviato nessuna procedura .I tempi medi di attesa per ottenere la nomina dell’AdS sono di due mesi per tutti i Tribunali. C’è stata, quindi, una significativa risposta alla “sollecitazione formale” di nomina dell’AdS/rappresentante legale (50% versus 1,34%) condivisa con il CAD ASL RmG, che ha quindi sensibilizzato verso il delicato aspetto della giusta tutela di questi malati, anche se molti caregivers manifestano ancora esitazioni e reticenza.
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Attualità
A dicembre arriva l’influenza Si prevedono 60 mila italiani a letto per colpa degli sbalzi di temperatura esterna. Per non farci mancare nulla però arriva anche una pre-influenzina ottobrina.
Ma l’influenza è già una realtà. Gli sbalzi di clima, il caldo perdurato e l’autunno arrivato in ritardo ma repentinamente sembrano favorire i virus parainfluenzali. Spossatezza, febbre e raffreddore La sintomatologia è quella nota. La terapia pure. Farmaci sintomatici. I virologi assicurano trattarsi di forme pre-influenzali. E non si capisce bene in che senso questa debba essere una rassicurazione. La vera influenza arriva a dicembre. Gli italiani si preparino. E allora ci penseranno gli amici americani che dai loro centri di ricerca hanno scoperto un composto per battere molti virus che portano a stati influenzali.
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Hanno trovato il rimedio anche grazie all’antivirus per l’influenza spagnola che nel 1918 causò la morte di milioni di persone. Pare che da questa composizione si possa arrivare a realizzare potenti farmaci influenzali, perché in grado di sconfiggere anche laddove ci siano mutazioni genetiche. Quindi inutile fasciarsi la testa immediatamente. L’influenza, quella vera, quella che tradizionalmente arriva, ci sarà tra Natale e fine gennaio. Ma non è sono solo il Natale e l’influenza le ricorrenze che si dovranno rispettare. Nei protocolli di profilassi del vaccino - lo dice sia l’Oms che il ministero della Salute - “il virus pandemico A/H1N1, ha essenzialmente co-circolato con i virus A/H3N2 e B, essendo più
o meno predominante nei diversi paesi dell’emisfero settentrionale”. La comunicazione della composizione del vaccino alla vigilia di ogni nuova stagione di influenza “è un atto dovuto sempre il ministero - dal momento che, ogni anno, la modifica dei ceppi di virus influenzali circolanti rende necessario modificare la composizione del vaccino antinfluenzale stagionale”. I rimedi sono da prendere subito. Almeno da noi, in Italia. La Regione Lazio stavolta fa da apripista in fatto di previdenza. Nonostante il caldo ottobre l’ente Regione ha lanciato una campagna di prevenzione. Dove e come, rimane da stabilire. La Regione l’ha lanciata però. Si ripetono i contenuti dello scorso anno. Il vaccino sarà a disposizione nelle farmacie, assicurano dal Ministero della Salute. Confermato il fatto che conterrà gli antigeni a più ceppi virali. Rex Stout
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Attualità
Contro il caro-medici
La medicina da punto di vista dell’esercizio economico non fa eccezione alle regole di libera concorrenza, questo non piace all’Ordine dei Medici
Il gruppo telematico Groupon da circa tre anni in Italia sta scuotendo i tariffari medici con offerte economiche di prestazioni mediche a livello di dumping. Prezzi stracciati per visite mediche specialistiche. Succede a Firenze dove la visita di un chirurgo vascolare con ecodoppler a risposta immediata e tre esami diagnostici costa 39 euro invece di 250. A Grosseto una seduta di linfodrenaggio a 39 euro invece che 180. A Livorno una visita specialistica chirurgica con mappatura dei nei costa 59 euro, quasi il 70% in meno dei prezzi di listino. Tendenze come queste fanno presto a proliferare in tutta Italia. La conseguenza di questa contesa sui prezzi era prevedibile: la Federazione Nazionale Ordine Medici Chirurghi e Odontoiatri denuncia all’Antitrust il portale per le promesse di cura a basso costo non compatibili con le garanzie minime sanitarie. La denuncia è arrivata il 29 settembre. Chiaramente le argomentazioni messe in campo dall’Ordine recitano il concetto di tutela del paziente. Non bisogna essere maliziosi di natura se invece si so-
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spetta una difesa corporativa. Ma come fanno questi medici legati a Groupon a prevedere tariffe così basse? Lavorano su grandi gruppi di consumo, leggasi di pazienti, e va bene. Ma si può pensare a un endocrinologo che visita cento pazienti al giorno con il medesimo problema riuscendo a effettuare visite e piccoli interventi in modo sistematico? È possibile questo in Medicina? O forse è reso possibile dalle esigenze della nostra economia polverizzata che adotta anche nella Sanità le sue contromisure a un sistema di cura della salute in gestione privata che, come quello pubblico, non funziona? Chiaramente ci sono ragioni a favore e contro. Lungi dal nostro avamposto giudicare l’una o l’altra. Da questa postazione le legittime argomentazioni possono solo essere evidenziate perché il lettore dia la sua valutazione. A sostegno di Groupon c’è l’argomentazione delle argomentazioni: la cura deve esser accessibile a tutti, gli attuali tariffari privati o pubblico-privati, non garantiscono la cura della salute a tutti, anche in interventi piccoli e ordinari che invece Groupon allestisce con tutte le ga-
ranzie di una grande organizzazione che scommette molto della sua immagine su questa impresa. La risposta della Medicina ufficiale mostra lo sconquasso che potrebbe derivare da una corsa al ribasso sui suoi costi. Infatti, prezzi così bassi non fanno altro che abbassare gli standard sanitari. Così facendo, si arriverebbe a offrire un servizio su due grandi categorie: la Sanità per poveri, leggasi gente comune, con un livello di qualità sempre più basso e la Sanità per benestanti di alta qualità con tutti le garanzie possibili. Quello sanitario è un servizio, non un prodotto. Non può conoscere un costo a ribasso se non riducendo la qualità del servizio. Ma il messaggio che passa da queste offerte di Groupon è ancora più grave: se fossero plausibili questi prezzi se ne dedurrebbe che anche le azienda sanitarie speculano sulle tariffe. Se il costo di una prestazione si può ottenere a un quarto, perché il tariffario sanitario dovrebbe essere quattro volte più alto? Questa medicina fatta in discount in verità uccide la medicina. Se il dumping sanitario sarà solo una provocazione di qualche giorno saranno i fatti a dircelo. L’unica speranza che, anche stavolta, a decidere non siano i giudici, ma il tribunale della verità. Quello a cui ci siamo disabituati a credere. Francesca da Polenta w w w.cittadinies alut e.it
Curiosità
Attenti alla gotta!
Non è una novità che l’eccesso di carne la produce Novembre è il mese della gotta. Un tempo era la malattia dei potenti. Di coloro che non avevano problemi a mangiare carne abitualmente, come si fa oggi a livelli comuni. La gotta era considerata una malattia dei ricchi e dei potenti. Forse il primo a intuirne le origini fu John Locke, genio filosofico del diciassettesimo secolo. Secondo il primo empirista della storia del pensiero umano era chiaro che quei pranzi fastosi e senza limiti non potevano non avere un ruolo nello sviluppo di questa malattia. Quindi lo stesso Locke consigliava di mangiare meno carne per scongiurare la gotta. In un bel servizio sul Corriere della Sera si fa la storia di questa malattia. Nell’Ottocento si scopre che la sua causa deriva dall’eccesso di acido urico. Nel dopoguerra arriva l’allopurinolo come rimedio. Il farmaco è in grado di diminuire la produzione di acido urico e quindi tenere sotto controllo la malattia. Ma la gotta oggi si manifesta in modo diverso. In passato gli attacchi arrivavano dall’alluce, oggi riguardano le articolazioni. Colpa la vita sedentaria. In verità la gotta è una malattia del metabolismo. Meno rara di quanto il senso comune ritiene, anche perché non è sufficientewww.cittad inies alut e.it
mente oggetto di ricerca e di analisi. Non è tematizzata come tante altre malattie. Ma esiste. È al secondo posto delle patologie articolari. Solo l’artrosi la precede. In Italia son un milione di persone a soffrirne. L’errore consiste nel sottovalutarla quando dà i primi timidi accenni attraverso i valori degli acidi urici più alti della media. Le conseguenze sono gravi sulla salute e sulla qualità di vita. Oggi è chiaro che la gotta non dipende solo dalle cattive abitudini alimentari. Con buona pace di John Locke non è semplicemente astenendosi dal mangiare carne che si scongiura. L’aumento nell’organismo della presenza di acido urico provoca incremento del livello di uricemia nel sangue. Questi accumuli formano depositi di cristalli di acido urico a livello articolare. Di qui, arrivano le infiammazioni molto dolorose a carico delle articolazioni. La degenerazione consiste nello sviluppo di forme di artrite cronica deformante. Ma un’altra parte del corpo che è destinata a soffrire del carico eccessivo di acido urico sono i reni. Una delle conseguenze più tipiche consiste nella calcolosi renale. Oppure nel tessuto sottocutaneo, la sua manife-
stazione consiste nei cosiddetti tofi, che sono noduli. L’informazione pubblica non può rimanere a digiuno di queste importanti nozioni. Per questo la Società Italiana di Reumatologia (SIR) e la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) promuovono per la prima volta in Italia l'iniziativa “Mese della Gotta”. L’iniziativa prevede un fitto calendario di iniziative gratuite che si svolgeranno nel mese di novembre in 8 piazze e in 20 centri commerciali delle città del nostro Paese. Lo scopo divulgativo consiste nel dare informazione sulla malattia. La Campagna verrà realizzata con il contributo non condizionato di Menarini. Un altro strumento costante di aggiornamento consiste nel sito telematico realizzato appositamente. Si può leggere digitando sul web www.lagotta.it e vuole esser un informatore permanente sulla malattia e sul modo di scongiurarla. Al momento il sito è un condensato di pubblicità sulla dieta e sui modi migliori per dimagrire senza sforzi. Non ci voleva una campagna contro la gotta per leggere queste paccottiglie già impartite su ogni mezzo di comunicazione. I contenuti, si spera, arrivino con lo sviluppo del mese dedicato alla prevenzione della malattia. Vanni Fucci
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Curiosità
Il bello dell’aerobico: toglie la pancia! Arriva l’autunno, cambia la temperatura che induce comportamenti sportivi più pigri: i pesi e la palestra
Bisogna sudare. Affidarsi a un allenamento aerobico e non lasciarlo mai. Questa è il modo migliore per togliere il grasso inutile. A confermarlo una ricerca statunitense pubblicata ad inizio settembre. Diminuire i livelli di grasso che si annidano all’interno della cavità addominale, proprio nelle viscere, diventa un imperativo categorico per scongiurare affezioni cardiache e diabete. L’esperienza pilotata tramandata nella ricerca è semplice: in otto mesi in cui 196 persone in sovrappeso tra i 18 e i 70 anni sono state divise in tre gruppi: Allenamento aerobico, sollevamento pesi, l’uno
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e l’altro degli allenamenti. L’esercizio aerobico è andato molto meglio degli altri. I fortunati di quel gruppo non hanno perso tempo in questi otto mesi avendo perso in media 6,3 centimetri quadrati di grasso sulla pancia. I pesisti hanno avuto la metà degli aerobici come performance. Bene anche coloro che hanno fatto l’uno e l’altro degli allenamenti. Come dire, un po’ di pesi non guastano ma la corsa è meglio. Pubblicato su American Journal of Physiology Endocrinology and Metabolism, lo studio ha il merito di dire qualcosa di nuovo su una materia in cui si riteneva aver detto tutto.
E cioè, che l’allenamento aerobico riesce a debellare quella mole di grasso invisibile, nascosta tra i tessuti e non esteticamente rilevabile. L’altro elemento di novità consiste nel fatto che nel dibattito tra aerobico e anaerobico, seguire entrambe le direzioni, compatibilmente alle proprie energie è meglio. Il tempo che si dedica all’an-aerobico non è mai perduto. Rafforzare la massa muscolare con esercizi specifici, provare a innalzare i battiti cardiaci sul finale di allenamento - compatibilmente a controindicazioni da ipertensione - costituisce l’allenamento perfetto. Si sconsigliano, invece, pratiche per alzare il metabolismo con allenamenti forsennati. Piccarda Donati
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RICERCA
Depressione, per curarla bisogna ri-conoscerla Un convegno al teatro S. Chiara organizzato dall'Osservatorio Sanità e Salute, presieduto dal senatore Cesare Cursi, con proiezione del film Mr Beaver, protagonista Mel Gibson
La depressione si può curare evitando l’ospedalizzazione. La tesi sostenuta nel convegno organizzato dall’Osservatorio Sanità e Salute presieduto dal senatore Cesare Cursi il 27 settembre al Palazzo Santa Chiara in Roma. Presenti la senatrice Paola Binetti, neurologa infantile prestata alla politica, che ha rappresentato gli stati sintomali che si accompagnano nelle manifestazioni più varie e che come tali debbono essere riconosciuti da tutte le specializzazioni mediche. Anche Paola Binetti ha espresso la ferma convinzione del fatto che gran parte delle depressioni possono esser trattate con l’apporto della rete amicale e di rapporti veri. Ed è proprio dalla rete di relazioni la speranza, nella sua perdita la peggiore sconfitta e la sfiducia verso sé stessi. I più rifuggono il depresso considerando il suo malessere contagioso. Lo specialista invece deve comprendere questa patologia, sapersi distac-
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care e offrire le sue terapie interpersonali di supporto. Anche il senatore Claudio Gustavino, presidente della commissione per l’infanzia e l’adolescenza, evidenzia la centralità del medico di famiglia che per primo deve saper riconoscere le avvisaglie della depressione nel soggetto che non ha consapevolezza. La sua esperienza di specialista invece vede la depressione non come conseguenza di una circostanza avversa. Tutt’altro. Il caso tipico è quello di una partoriente. Importante qui l’uso delle medicine specifiche, perché non si passi dall’esaltazione del farmaco alla sua denigrazione. Oggi è possibile non ripetere gli errori diagnostici commessi nel recente passato. I trattamenti inadeguati. Esistono due forme di terapia che debbono essere applicate a seconda delle necessità: quando esiste una vera e propria patologia allora bisogna somministrare i farmaci, quando la sindrome ha invece carattere fisiologica o
che si esprime in forma di disadattamento la psicoterapia diventa la terapia più efficace. Specialmente se adotta il metodo cognitivo. L’aumento dei casi percepiti di depressione divulgati attraverso gli organi di stampa dopo il dato emesso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e pubblicati su Nature deve quindi dare massimo risalto al problema depressione ma deve ricondurre la questione entro gli ambiti appropriati di cura e prevenzione. Il rischio infatti è di “overmedicalization”. In altri termini il pericolo consiste nel rendere patologiche forme che non lo sono e si possono ascrivere piuttosto ai disturbi di adattamento, ad umore sottotono, a effetto da scoraggiamento per le difficoltà materiali incontrate in situazioni specifiche. Situazioni ampiamente condivisibili da tutti e che possono essere combattute con strumenti che vanno al di là dell’uso del farmaco. Un problema, quello della depressione, che facendo parte delle sindromi mentali difficilmente riesce ad esser affrontato dal comune senso diffuso come una malattia ordinaria. Non a caso il film Mr Beaver non ha avuto successo. Piccarda Donati w w w.cittadinies alut e.it
Curiosità
Lotta di classe tra malattie Dimmi di cosa sei ammalato e ti dico la tua classe sociale e intellettuale L’Istituto Superiore di Sanità il 22 settembre ha pubblicato i risultati di una ricerca dove le differenze di appartenenza sociale e culturale tra persone evidenziano patologie diverse tra loro. Come se esistessero malattie da ricchi e malattie da poveri, lo stesso tra persone di cultura e viceversa. I livelli di istruzione giocano in tal senso un ruolo chiave. Diabete Tra quelli che hanno bassa istruzione il 6,7% ha dichiarato di avere il diabete contro il 2,1% di pazienti diabetici riscontrato tra chi aveva un elevato grado di istruzione. Depressione Analogamente tra chi ha mostrato un basso livello di istruzione il 6,3% si è dichiarato depresso contro il 2,6% di pazienti tra i più istruiti. Asma Tra i meno istruiti il 3,6% ha affermato di avere l’asma contro il 2,5% di pazienti tra i più istruiti. Bronco-pneumatia cronica ostruttiva (COPD). Tra quelli coloro hanno bassa istruzione il 5,3% ha dichiarato di essere affetto da COPD contro il 1,4% di pazienti con un più alto grado di istruzione. Pressione arteriosa Tra chi si è mostrato scarsamente qualificato dal punto di vista dell’istruzione il 22% aveva la www.cittad inies alut e.it
pressione alta contro il 9,4% di coloro con valori elevati tra i più istruiti. Incidenti Tra quelli che hanno bassa istruzione il 6,3% ha dichiarato di essere vittima di incidenti domestici e in ambito scolastico durante le attività ricreative contro il 5,1% di riscontrato tra chi aveva un elevato grado di istruzione. Fumatori abituali In questo caso la forbice si accorcia: tra i meno istruiti fuma il 21,1% e tra i più istruiti il 20%. Consumo di frutta e verdura Una tendenza analoga che per il fumo si può osservare tra i consumatori di frutta: tra i meno istruiti ne consuma il 79,4% e lo fa una proporzione identica (79,4%) tra i più istruiti. Per la verdura, tra i meno istruiti ne consuma il 57,8% contro il 62,5% tra i più istruiti. Ma la malattia non ha solo una classe sociale, ha anche un genere: maschile e femminile. In tal senso il 29 settembre è stato presentato il Libro bianco sulle più frequenti cause di morte nel gentil sesso. Ne risulta che le malattie cardiovascolari non hanno sesso né classe sociale. Nell’insieme rappresentano una tra le principali cause di morte e di invalidità nell’Unione Europea e nei Paesi più industrializzati sia per la loro diffusione,
in continua crescita, che per la mortalità. Nello specifico, l’indagine della III edizione del Libro Bianco sulla salute della Donna considera le malattie cerebrovascolari non più una patologia strettamente maschile. Recenti studi condotti fra la popolazione femminile attestano infatti in Italia ogni anno 130 mila decessi, di cui 33 mila per infarto del miocardio, arrivando così a numeri pari a più del triplo per il tumore della mammella. In generale aumento mortalità femminile per malattie ischemiche del cuore pari a 8,56 per 10.000 con una punta di 92,56 nella classe di età 75 anni ed oltre. La classificazione sociale delle malattie, quindi il grado della sua emergenza, d’altra parte non è un problema solo italiano. Ci sono le patologie dei paesi ricchi, si tratta di malattie causate dall’alimentazione, dall’inquinamento, dalla scarsa attività fisica, dal consumo di alcol e tabacco. Abitudini che, dall’Occidente, si stanno diffondendo sempre più anche nel Terzo mondo che aspira ai modelli di consumo dei Paesi ricchi. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità 36 milioni di morti dipendono da queste patologie. Va ricordato che ogni anno nel mondo muoiono 57 milioni di persone. Louise Salomé
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Regione
Campagna Nastro Rosa al nastro di partenza Non basta la Pellegrini come testimonial per pubblicizzare la prevenzione al tumore. C’è bisogno di finanziamenti veri per diffondere in modo capillare l’informazione e la prima prevenzione. L’anno scorso è stato il cavallo di battaglia del governatore Renata Polverini. Oggi molti punti dove viene effettuata la prevenzione, nel Lazio, restano chiusi. Lo evidenzia un servizio del Corriere della Sera che fa di questa incongruità la vera novità dell’edizione 2011 per la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT) specificamente dedicata alla prevenzione del tumore al seno. A ottobre riparte la campagna di sensibilizzazione. Si evidenziano trecentonovantacinque punti ai quali dedicarsi, ma la realtà vera è ben diversa. Del resto quando si impronta una politica di risparmi non si può recedere anche davanti alla prevenzione. La prevenzione sembra non fare cassa eppure fa risparmiare molti soldi alla Sanità. La patologia neoplastica è causa di meno mortalità di un tempo ma è più frequente. Si prevede quest’anno siano diagnosticati 41 mila nuovi casi. Saperla anticipare nelle sue evoluzioni significa diminuire costi per cure e terapie, oltre all’innegabile vantaggio morale ed esistenziale della campagna. Ma, pare, quest’ultimo non essere più un argo-
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mento d’attualità, le ragioni di economica superano ogni considerazione. Il tumore del seno non è una malattia potenzialmente grave se individuata e curata per tempo. Come sempre avviene il suo proliferare dipende da alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne. Il problema è quando queste cellule si distaccano dal tessuto dove sono nate e circolano nel corpo. Bisogna scongiurare che si arrivi a questa fase. Quindi il tumore va stroncato per tempo. Ma sulla malattia sono in arrivo novità che fanno ben sperare. Dall’università di Torino, alcuni ricercatori hanno dimostrato che le cellule tumorali resistenti alla radio come la chemioterapia seguono la caratteristica di attivare una risorsa genetica. La ricerca è stata pubblicata sul Journal of the National Cancer Institute. Ora i ricercatori stanno tentando di scoprire i meccanismi della radioresistenza per inattivarli e aumentare l’efficacia della terapia. Il problema consiste nel fatto che il danno causato dalle radiazioni scatena la risposta di autoconservazione delle cellule malate.
Oggi la radioterapia è combinata con un farmaco capace di bloccare la difesa delle cellule tumorali. Questo trattamento combinato ha perciò eliminato le cellule tumorali in modo più efficace del solo trattamento radioterapico. Questi studi però, al momento, sono ancora in una fase sperimentale. Si ritiene che in tempi prossimi la somministrazione di questo farmaco con la chemioterapia sarà la normalità del protocollo. Ma la migliore terapia resta sempre la prevenzione della prevenzione. Cioè adottare il migliore stile di vita per scongiurare ogni possibilità di insorgenza del male. L’Organizzazione mondiale della Sanità nel ricordare i dati delle morti per cancro - 3,2 milioni di morti l’anno, di cui 2,6 milioni nei paesi a basso e medio reddito - ha visto nel corretto stile di vita l’arma di prevenzione migliore. E tra i migliori stili di vita c’è anche l’attività fisica. L’inattività fisica è il quarto fattore di rischio in ordine di importanza fra tutti i decessi a livello mondiale e il 31% della popolazione nel mondo non è fisicamente attiva. Il cancro alla mammella si può ridurre svolgendo almeno 150 minuti settimanali di moderata attività fisica di tipo aerobico... Questo perché a detta di tutti i medici, l’inattività fisica è un fattore di rischio per le malattie non trasmissibili. John Dixton Carr Cittadini & Salute
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Curiosità
Sesso non protetto, il male delle donne
In Italia è stimato a quattro milioni il numero delle donne colpite da malattie a trasmissione sessuale. Negli Usa sembra uno sport quello delle cinquantenni che fanno sesso non protetto Lo dicono le due Reti sentinella dell’Istituto Superiore di Sanità presentati in occasione del X Congresso Nazionale della Società di Malattie Infettive e Tropicali, effettuato il 6 ottobre in Sardegna. La caratteristica di donna riguarda prevalentemente chi ha vita sessuale intensa. Secondo i dati riportati al Congresso un terzo delle pazienti ha un’età media di trent’anni. Ma il dato più allarmante riguarda il pianeta della comunicazione sulla tutela della salute. Secondo gli stessi dati, infatti, il numero di nuovi casi di donne con infezioni sessualmente trasmesse è rimasto stabile dal 1991! Il tipo di malattie però è cambiato. Si tratta in molti casi di vaginosi batteriche, al 38% dei casi consistono in infezioni non specifiche. Ancora del tutto non spiegato il dato per cui che dal ‘99 diminuiscono, mentre sono in aumento dal 2004 le diagnosi di condilomi (più noti come “creste di gallo”), che riguardano un terzo dei casi, e le infezioni da Clamidia o l’Herpes genitale, relativi, per ciascuna specificità, il 6% delle pazienti. Non poteva che emergere la questione Hiv.
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E tra le donne con infezione da trasmissione sessuale solo il 65% si è sottoposto al test. Di queste, il 5 per cento sono risultate positive. Sempre in tema di sesso non protetto la tendenza sembra riguardare anche il mondo femminile degli Stati Uniti, ma più in particolare le donne cinquantenni che hanno deciso di gestire la loro vita in modo disinibito. Ebbene, in questa categoria sociale dove ci si aspetterebbe donne fortemente emancipate si attesta una stragrande maggioranza che fa sesso non protetto. Il monito e l’allarme sono stati lanciati dai ginecologi americani con uno studio pubblicato su Journal of Consumer Affair. E anche qui c’è un vuoto che riguarda strettamente il mondo della comunicazione. Le campagne di informazione sociale relative alla necessità di fare sesso protetto sono rivolte a un pubblico giovanile, non a donne cinquantenni. Ad appesantire l’allarme sulla sessualità concorre anche uno studio pubblicato su Journal of Clinical Oncology. In questa ricerca la fellatio è accusata essere una delle cause del cancro al cavo orale.
Esiste, infatti, un aumento di casi di cancro alla gola le cui origini sono additate alla pratica del sesso orale. Il cancro alla bocca e alla gola trova una radice comune con la diffusione del virus HPV, o Papilloma virus umano, quindi della diffusione del sesso orale: negli ultimi dieci anni le diagnosi di cancro orale legate al virus HPV sono triplicate. Sillogismo, questo incremento di casi di cancro alla bocca e alla gola dipendono dal sesso orale. A rafforzare questa tesi c’è anche il fatto che i casi di cancro orale correlati all’infezione da HPV sono in aumento, mentre quelli non correlati al virus sono in diminuzione. Si tratta però di una tipologia di malattia con una prognosi meno drammatica che quella più conosciuta. Conan Doyle
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