L’universo è reale ma non lo puoi vedere Creatività è Progetto in Romeo Gigli
Tesi di : Claudia Nesi Relatore : Bonizza Giordano Aragno Correlatore : Liliana Tudini
Accademia di Costume e di Moda
Anno Accademico 2009/2010
INDICE 8
Introduzione
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L’Immaginario
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Colore e Cromatismi
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La Scelta della Materia
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Forma e Decoro
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La Collezione
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Gli Spazi
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Un Progetto: Portraits of Woman
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Note bio-bibliografiche
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Riferimento immagini
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INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE
“Io faccio quello che vedo. Il problema sta solo nel vederlo. Se riesci ad immaginare una cosa, farla apparire nello spazio, allora puoi realizzarla tout de suite, sei un realista. L’universo è reale ma non lo puoi vedere. Lo devi immaginare. Una volta che lo immagini puoi essere realista nel riprodurlo.” Leggo e rileggo questo pensiero di Katherine Kun affascinata dal suono che produce oltre che dal significato che esprime. Dopo essermi concentrata per molto tempo su come sarebbe stato meglio affrontare il tema della creatività, e applicarlo poi alla moda, ho deciso di partire dall’idea di rappresentazione del reale qui descritto in modo convincente e suggestivo. Poi giorni e giorni per trovare la definizione teorica di creatività più utile per descrivere quello che penso a riguardo e capire, alla fine, che una definizione sola non sarebbe potuta bastare. Vado quindi avanti e cerco aiuto in Werner Kirst-Ulrich Diekmeyr: “E’ creativo chi esamina a fondo gli aspetti, le possibilità, i lieviti del domani contenuti nell’oggi, con la disponibilità ad accettare il nuovo al posto del noto, del solito, dell’ieri” In questo aforisma ho trovato diversi punti in comune con il mio pensiero, con l’idea che, da sempre, ho di ricercare nel presente come nel passato le basi per il domani, a prescindere da ciò che conosciamo, aprendoci al nuovo. La creatività è evidentemente il tratto distintivo delle discipline artistiche e progettuali. All’interno di queste discipline la creatività ha assunto una valenza quasi “magica”, scaturita dal talento personale e dal genio creativo. In realtà questo tipo di visione legata all’individuo, pare oggi meno significativa; citando S.Vicari “il problema non è avere idee come alcuni guru della creatività predicano, il problema è modificare la realtà, il mondo che ci circonda… La creatività dunque non è una banale condizione, è invece un’attitudine positiva, orientata alla modifica, al cambiamento, all’innovazione”.
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INTRODUZIONE
E ancora Rick Robinson “Molte idee sulla creatività sono centrate sull’individuo. Se fosse così sarebbe inutile cercare modi per fare della creatività una parte integrante dei processi operativi di un’organizzazione. La tesi centrale da noi proposta è che invece la creatività sia un cambiamento radicale ed efficace di qualcosa che si è esplorato in profondità, piuttosto che l’abilità di creare qualcosa di nuovo dal nulla”. La creatività è vista come qualcosa che si esercita, un’attitudine che dipende fortemente dal contesto nel quale un individuo e un’organizzazione operano; perde una valenza esclusivamente individuale prendendo invece un “attitudine collettiva”: non si tratta di un processo magico, ma di un processo conoscitivo, la creazione di un nuovo modello di realtà che modifichi il contesto presente. Dopo essermi persa a riflettere sulla pericolosità di un creativo nella società contemporanea e sul diffondersi quindi dell’idea di una creatività collettiva, sono arrivata alla conclusione che l’arte dello stilista di moda si è di fatto progressivamente trasformata in creatività del progetto, ovvero in quella sintesi tra creatività individuale e creatività collettiva, dei luoghi, delle culture locali, della operosità artigiana, delle industrie che rappresentano il senso del made in Italy, e questo mi ha portato a riflettere sul rapporto che c’è tra creatività e fattibilità. “L’“immaginazione” può proporre novità in termini individuali. L’individuo - anche l’individuo architetto - può avere un’idea originale, può anche provare a rappresentarla e comunicarla; ma quest’idea può essere definita atto “creativo” solo a condizione che se ne dimostri la realizzabilità. Leggendo questo pensiero di Donald Mac Kinnon ho immediatamente ricordato la risposta di Romeo Gigli alla mia domanda di cosa fosse la creatività e se i suoi progetti ponessero il problema della fattibilità: “Creatività è catturare il desiderio altrui latente e fare in modo che diventi progetto; la creatività gratuita non ha senso, non può essere un peana a se stessi, deve essere sempre un omaggio agli altri... Si! se un progetto è un “ progetto”, è “fattibile”, altrimenti è un” idea”, non un progetto.
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INTRODUZIONE
La Fattibilità diventa un problema non solo dell’individuo creatore ma della collettività che lavora alla realizzazione del progetto, mettendo in moto un processo che non esclude, anzi rafforza, l’idea secondo cui la moda, un po’come l’architettura, non può rinunciare alla “sperimentazione”. E, con riferimento a ciò, nel progetto, pur restando importante la “sintesi”, acquista un ruolo crescente il coordinamento, che orienti gli specialisti verso obiettivi e, soprattutto, verso risultati unitari. Inoltre, come un architetto che progetta case che saranno abitate, lo stilista, catturando il desiderio altrui - anche se latente - progetta abiti che saranno desiderati, comprati e indossati. Una precisazione indispensabile, perché spesso si pensa che lo “stilista”sia un artista, un individuo che crea senza vincoli e senza metodo, negando così il concetto di progettazione. Al contrario l’ analisi attenta delle radici storiche, dei processi e della struttura del settore mettono in luce la forte presenza di “progetto”, ovvero di metodo, organizzazione e finalizzazione strategica dei processi di creazione e di sviluppo dei prodotti. Il mio obiettivo è quello di raccontare come la creatività si trasforma in un progetto di moda attraverso una metodologia progettuale, quella di Romeo Gigli. L’elaborazione prevede un’articolazione in capitoli, ognuno dei quali definisce una fase metodologica della sua idea di progetto di moda : L’immaginario Colori e cromatismi La scelta della materia Forma e decoro La Collezione Gli Spazi Ogni capitolo è introdotto da una serie di domande e, soprattutto delle risposte di Romeo Gigli che ricercano il senso del progetto di moda, che nel suo caso è anche progetto culturale e di comunicazione.
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
Sei stato definito “Poeta del un nuovo romanticismo” in un momento in cui la moda che nasceva era invece espressione di “Potere e Successo”. Quale è stata la spinta che ti ha fatto creare una metrica così diversa dal contesto circostante?
“Ma sai io sono comunque un ragazzo del sessantotto. Negli anni ottanta indubbiamente gli uomini e le donne si erano allontanati tantissimo con una moda rampante, scostante in qualche modo quasi una donna virago e l’uomo altrettanto. Tutto ciò non avvicina ma allontana: la donna ha paura dell’uomo, l’uomo ha paura della donna. Ho cosi iniziato ad immaginare una donna sensuale, sottile che non si impone perchè arrogante ma affascina con abiti che si muovono al vento lasciando intravedere una spalla in una sensualità che lentamente si scopre e non che ostenta una “tetta” che sobbalza ad ogni passo. Questo mio modo di lavorare è stato percepito subito con molto entusiasmo e la cosa che ancora oggi mi gratifica molto è che agli uomini piaceva molto una donna vestita così: ho avuto quasi la percezione di riavvicinare così i due sessi”.
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
“La bellezza di una persona è solo interiore, una forza, un’energia, è un balance che è dentro di te. La bellezza di un’opera d’arte è la capacità di trasmettere il proprio raccontare. Comunque in tutti e due i casi non c’è bellezza se non attraverso le emozioni e le passioni”. Romeo Gigli, intervista Francesca Alfano Miglietti
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
Quando parti per un nuovo “Viaggio” la meta è decisa o parti senza sapere bene dove andare?
“Al primo momento il vuoto...”
Il foglio bianco...
“…No, il foglio non c’è mai all’inizio, c’è un nuovo progetto e dove vado? per cui comincio a elaborare il mio pensiero, comincio ad immaginare se mi piacerebbe il movimento oppure no, se voglio lavorare sulla forma, in che modo voglio coprire o scoprire la donna, l’uomo a seconda del progetto, a quel punto, una volta deciso ciò, mi chiedo che cosa vorrei in questo momento: “vorrei degli abiti molto semplici fatti solo di tagli grafici oppure mi piacerebbe il decoro oppure no…”a questo punto comincio a collocare quello che è il pensiero della collezione negli spazi che servono per cui se c’è il decoro comincio ad immaginarlo, se il colore… e dopo di che, questa è una grande fortuna che ho e che spero di continuare ad avere, ad un certo punto riesco ad avere un immagine globale del progetto e gli spazi vuoti si riempiono”.
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L’IMMAGINARIO
Ci sono immagini che ti hanno ispirato, ti ispirano e ti ispireranno sempre? Quali?
“No, non ci sono delle immagini in particolare, ho la testa ovunque, indubbiamente se immagino la donna è sempre un immagine sensuale in modo sottile però in certi momenti mi affascina anche quella piccola arroganza che ci poteva essere negli anni sessanta per cui la donna si scopre in un modo però sempre voluttuoso non nel modo di oggi per cui veramente spazio in questo senso all’infinito. Altrettanto dicasi dell’uomo. Quando immagino le collezioni da uomo è bene o male lo stesso percorso, ovviamente al maschile, la cosa per me molto forte dell’uomo è riuscire a catturare immagini dell’uomo in movimento, sempre, però è un uomo vero, concreto, che esiste e che è esistito, anche perché l’uomo ancor più della donna ha un continuo bisogno di concretezza e questo dà sicurezza alla collezione”.
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
“Il gesto della mano, la sinuosità delle spalle e del collo, la dolcezza del seno, la dinamicità delle gambe, la meraviglia della loro mente”.
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L’IMMAGINARIO
“L’uomo è un viaggiatore che raccoglie tutto ciò che incontra: mille culture, manipolazioni, libri, musica, movimenti”.
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
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L’IMMAGINARIO
“L’Immagine è un’emozione, sempre. Non può essere nient’altro, solo se è emozione è un’immagine, altrimenti è una brutta rappresentazione di qualche cosa”. Con queste parole Romeo Gigli mi chiarisce subito il suo punto di vista rispetto al suo modo di veder il reale: c’è sempre un filtro, quello emozionale, tra lui e il reale. Fin dall’inizio la progettazione è guidata da un’emozione, un desiderio del momento, poi inizia la ricerca delle immagini, immagini del passato nelle quali ogni volta si ritrova e nelle quali ogni volta vede qualcosa di diverso. La ricerca di un uomo in movimento, di una donna sottile, fragile quindi sensuale; ogni immagine trovata è filtrata dalle emozioni che la foto trasmette per cui risulta modificata perdendo così di oggettività. La ricerca iniziale è fatta a trecentosessanta gradi ma tutto si compone in un omogeneità data dal suo sguardo e una foto usata in passato in un altro progetto può vivere ancora in una nuova ricerca perché vicino ad altre. La ricerca è stimolata da un desiderio latente che c’è nella gente e che solo una particolare sensibilità può cogliere. Non c’è mai un foglio e una matita all’inizio, ci sono sensazioni, percezioni che danno la spinta emotiva, passionale e c’è soprattutto il desiderio di creare un micromondo che contenga il progetto stesso, e ogni pezzo contenuto all’interno dovrà vivere con la realtà. La sua ricerca attinge dalla tradizione sartoriale maschile che si ritrova ovviamente nelle collezioni uomo ma anche reinterpretata singolarmente in quelle donna; attraverso l’antropologia studia il comportamento dei popoli del mondo stratificando culture lontane attraverso forme pure, colori, materie. Il suo primo viaggio fu in India e fu una rivoluzione: un modo di aprire la mente alle culture “ vive”e non solo alle “letture”sulle culture. Nel racconto l’India è un cromatismo, il Marocco un drappeggio, l’Africa un decoro ma, quando la collezione è composta, tutto è fuso in un insieme nel quale non si legge più una contaminazione a preferenza di un’altra, acquistando così una forte contemporaneità.
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COLORI E CROMATISMI
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COLORI E CROMATISMI
Le immagini si trasformano in colori, mai isolati ma sempre in rapporto tra loro, da dove provengono i colori di Romeo Gigli?
“Qui è emozione, fa parte del racconto, come ti voglio raccontare la donna, come ti voglio raccontare l’uomo in questo momento, il colore serve per incidere ancora di più il racconto. Io ho una collezione di colori infinita raccolti ovunque e a seconda di come in quel momento il mio occhio rispetto al progetto vede, esce un rosso piuttosto che un altro; oppure i colori possono essere completamente negati per diventare polverosi ma poi ci serve essere sempre qualcosa che li illumina: è come quando c’è una giornata d’inverno e improvvisamente entra un raggio di sole che non è caldo ma è freddo però ha luce e tutto serve per dare l’inquietudine, il movimento alla collezione. Come nascono i miei colori è molto difficile da raccontare, è un mio filtro emotivo.
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COLORI E CROMATISMI
Secondo me è molto riduttivo dire il rosso o il blu “Romeo Gigli”, è come quando si dice: “questi sono i grigi di Armani… I grigi di Armani sono una palette infinita di grigi che qualcuno neanche vede come grigi, quando penso ai tuoi colori, visualizzo un cromatismo che racconta insieme a delle forme e a dei tessuti dei mondi…”
“E’ proprio così i colori sottolineano un mondo attraverso un cromatismo; potrei farti vedere alcune mie collezioni degli anni ottanta in cui i colori freddi, polverosi quasi monocromatici vengono illuminati a piccole dosi da un colore luminoso evitando così che il racconto sia monotono… è come ti dicevo prima, un raggio di sole in una giornata d’inverno che illumina tutto e gli stessi colori che vicino al grigio vedresti in un modo, improvvisamente con il raggio di luce diventano altro.
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LA SCELTA DELLA MATERIA
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Karaikal
Madras
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Ginger
Tiruppur
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“Avevo affrontato il mio primo viaggio a Londra nel 65, a 15 anni e lo shock culturale di Londra mi fece vedere improvvisamente tutto ciò che da noi ancora non c’era: la musica dei Beatles e dei Rolling Stones che era proprio in strada, le ragazze con la minigonna, le parrucche enormi e le ciglia finte e portavo i pantaloni corti e i calzettoni al ginocchio”.
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COLORI E CROMATISMI
Elemento fondamentale nella ricerca di Romeo Gigli è la luce che, nel racconto, si concretizza nell’uso del colore. Da un lato la luce fredda che si alterna al blu trasparente della notte, la luce solare e la penombra dell’imbrunire, dall’altro il ricordo di luci di paesi lontani, caldi e assolati, luci ricche di densità speziate: il colore è emozione, è un profumo, un ricordo dimenticato, la natura, lo spazio. Questo alternarsi emozionale di colori fa sì che non si può definire un colore “Romeo Gigli”, possiamo parlare di accostamenti, rapporti cromatici tipici di Romeo Gigli, identificativi di una sensibilità ben dichiarata e per questo riconoscibile a molti, ma non di un unico colore identificativo (come il Rosso Valentino). E’ molto difficile descrivere a parole quello che in realtà è emozione: il colore è comunicazione di uno stile, identificativo di una sensibilità sussurrata mai gridata, riconoscibile perché carico di soggettività. Non esiste un colore che possa intridere ogni materia e non esiste materia che possa raccogliere qualsiasi colore. In ogni progetto la colorazione delle materie è frutto di un lavoro fatto di “concentrazione emozionale”: lo studio della struttura delle materia e la spinta emozionale del momento verso un colore o verso un altro. Tutti i colori, abbinati alle materie, sono concertati in un racconto complessivo, mantenendo la forza singolare e ispessendosi nel rapporto con gli altri. Cipria, Vaniglia, Cannella, Melograno, Mirtillo, Verbena, Avio, Petrolio, Siles, Terra… Ho sempre pensato che il nero fosse nero fino a che non ho scoperto la scatola dei “neri” Romeo Gigli: Fango, Carbone, Notte, Inchiostro, Grafite… un nero a seconda della materia da tingere. Nelle collezioni degli esordi i cromatismi sono cupi, notturni, illuminati da piccoli tocchi di luce poi con la sperimentazione arrivano anche i contrasti più caldi, decisi, le nuances opalescenti, metalliche sempre visti attraverso quel filtro emotivo che li rende incredibilmente Romeo Gigli.
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LA SCELTA DELLA MATERIA
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LA SCELTA DELLA MATERIA
C’è un tessuto in cui ti identifichi… una materia sempre presente nelle tue collezioni?
Domada difficile... così a brucia pelo direi lo chiffon ma non è mica del tutto vero, in tante collezioni in realtà non l’ho usato! In realtà non c’è un tessuto, diciamo che ho due modi per cercare i tessuti: la loro contrapposizione… sempre. Da una parte ricerco materie che mi potranno dare la scultura e dall’altra materie iper fluide con cui poter drappeggiare, giocare col corpo: questo è il metodo che seguo sempre perché mi consente di inventare tantissime silhouette e il racconto non diventa monotono. E’ anche vero che quando io disegno penso a forme che devono poter stare tra loro ma è anche importante che ognuna abbia un’anima e che possa vivere oltre che all’interno di una proporzione anche da sola: questo dà una grande duttilità al progetto.
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LA SCELTA DELLA MATERIA
Ogni tessuto racconta una forma e ogni forma è sostenuta da un tessuto... nel processo creativo cosa arriva prima?
E’ di nuovo emozionale. E’ indubbio che al momento in cui ho immaginato che una collezione debba prendere quel tipo di forma, di concetto, la materia dovrà sottolinearlo maggiormente.
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LA SCELTA DELLA MATERIA
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LA SCELTA DELLA MATERIA
Chi non fa il tuo mestiere molto spesso è portato a pensare che prima lo stilista disegna il modello e poi sceglie la materia con cui realizzarlo…
Questo è assolutamente improbabile… è chiaro che in principio anche se vagamente ho nella mia testa l’idea delle forme che sto inseguendo e cerco delle materie che potranno sottolinearlo maggiormente aiutandomi a costruire quello che sto immaginando. Per me è molto difficile disegnare senza avere la materia in mano: davanti allo specchio muovo le materie per catturarne la luce, il movimento, la fluidità… la caduta. Il tessuto è strumentale perché, nel momento in cui lo scelgo tra tanti, suppongo di arrivare a certe forme però nel momento in cui ho un grande pezzo di tessuto in mano, elaboro maggiormente questo mio processo creativo e arrivo ad altre forme ancora che sono evidentemente nella mia intenzione… Ogni volta l’intento è quello di sottolineare l’anima del tessuto attraverso la forma.
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LA SCELTA DELLA MATERIA
LA SCELTA DELLA MATERIA
Che rapporto c’è tra Forma, Tessuto e Colore in Romeo Gigli? Non ci può essere forma che prescinde dal tessuto, non ci può essere tessuto che prescinde dal colore. Quando io “coloro” i tessuti che ho selezionato, ho davanti a me, su un enorme pavimento, una scelta di tutti quei colori che in quel momento mi emozionano e non è detto che li userò tutti, li scelgo a seconda della materia da colorare, di come rifrange e ci vado dentro creando cromatismi per cui è un tono di rosso rispetto ad un altro perché in rapporto ad un giallo e faranno in modo di sottolineare di più il racconto. E’ fondamentale che i colori che vado a comporre possano in modo totale, il più possibile collaborare tra loro, essere sempre in fusione tra di loro anche se sono dei colori in contrasto perché tutto ciò darà maggiore duttilità al progetto e dar modo al consumatore finale di ricomporre a suo piacimento la collezione senza mai trovare pezzi, colori fuori posto… è il desiderio che ogni progetto sia quasi all’infinito, non nel senso di non finito ma è l’idea che ognuno possa raccogliere dei pezzi del racconto renderli diversi da come io li ho raccontati ma mantenendo sempre vero, vivo il mio pensiero.
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LA SCELTA DELLA MATERIA
“Non potrò mai progettare un abito senza poter toccare prima il tessuto, non è possibile per me, devo capire cosa sensualmente mi trasmette la sua forza, la materia deve essere accanto a te, così come facevano gli artigiani duemila anni fa, la materia è fondamentale. Posso fare uno schizzo veloce pensando “così… forse sarà così”, ma non sarà mai un progetto” (Romeo Gigli, Festival della mente , Sarzana, 2005) Il tessuto, la materia che genererà la collezione è sempre strutturale. Il racconto vive attraverso il tessuto (colorato), si muove con la naturalezza che gli è propria, respira e si articola in un racconto fatto di architetture e leggerezze. Materie inusuali nell’abbigliamento, fibre metalliche in mischia con sete e cotoni, plastiche iridescenti, tessuti jacquard da cravatteria e cotoni ritorti da tappezzeria, tutto sperimentato e studiato per ottenere la resa desiderata. Romeo Gigli parte dalla materia, la rispetta, ne esalta ogni volta la luce che naturalmente possiede, le caratteristiche strutturali “giocandoci” davanti ad uno specchio, curioso di scoprirne tutte le qualità e gli eventuali difetti. L’idea di partenza è sempre che la materia è qualcosa di duttile, di manipolabile e quindi la si può catturare e domare per generare nuove forme. In ogni racconto i tessuti vengono rielaborati, studiati appositamente per la collezione, modificati nella “mano” grazie a finissaggi sempre nuovi, divenendo così “esclusivi” dello stilista. Nella progettazione ogni tessuto ha la sua funzione, lo scopo di generare forme che vivranno da sole e in rapporto proporzionale con le altre. La ricerca è sempre duplice: da un lato l’esigenza di tessuti strutturati per dare la costruzione, l’architettura, dall’altro materie leggere che sembrano dissolversi sul corpo. Molti tessuti di tradizione maschile sono presenti nelle collezioni donna: flanelle inglesi, panni double, grisaglie gessate, velluti di lontana memoria vestono donne con grandi cappotti, giacche dalle spalle rotonde, abiti sinuosi. Dalla tappezzeria ruba jacquard a piccoli disegni cravatteria, taffetas cangianti, bourette nodose e tele croccanti E così in contrapposizione la scelta è tra chiffon increspati dai molteplici colori, garze impalpabili, pizzi incrostati o aperti come ragnatele, organze leggere e asciutte. Se la donna ruba i tessuti all’uomo spesso accade l’inverso e cotoni ricamati “Sangallo” danno vita a virili camicie da uomo, lane lavorate punto croce costruiscono giacche sartoriali, pellicce di agnello afgano scaldano doppiopetto accostati al corpo.
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Fin dalle collezioni degli esordi il jersey diviene strumento di racconto nei progetti donna: abiti che si annodano, costumi da bagno, t-shirt dai grandi volumi con piccole maniche lunghe a coprire la mani vengono realizzati in jersey pesanti, doppi in cotone o lana dalla mano rotonda studiati appositamente da Dondi jersey su sua indicazione. Il corpo è ridisegnato anche da materie elastiche fino ad allora confinate al mondo della lingerie: lane, cotoni, fibre sintetiche come poliestere e nylon lavorate con lycra ed elastomero si modellano in pantaloni dalla vita alta, giacche, piccoli top ma sempre mantenendo nella resa la morbidezza del tessuto. Le materie, a seconda del progetto in studio, possono subire più di una manipolazione: un tessuto può essere usato per base di ricami, stampe, lavorazioni a laser acquistando così nuove caratteristiche strutturali e di conseguenza generando forme nuove. In molti progetti fondamentale è la sperimentazione con le tinture orientali come il Batik lo Shibori e il Tie-e- dye che su velluti di cotone lisci o millerighe, collant coprenti, garze di seta, si trasformano in segni contemporanei tramutando il tessuto in un “pezzo unico”, cioè riproducibile ma sempre unico.
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FORMA E DECORO
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Come per Vionnet e Myake la forma bidimensionale ha caratterizzato e caratterizza la tua progettazione… da dove parte?
Parte dal costume. La prima cosa che io ho fatto, quando ho iniziato a dedicarmi alla moda e ancora prima, è stato di immergermi nei libri di mio padre: libri di costume, di viaggio per cui la forma è bidimensionale. E c’è un motivo preciso in questo orientamento, perché la forma bidimensionale è quello che io ricerco: anche il vestito più complesso una volta indossato prende la forma col corpo . La forma bidimensionale nei secoli è rimasta quella nei costumi delle popolazioni di tutto il mondo, non è mai cambiata e questo le dà una forza fuori dal tempo… non è facile da trovare e una volta raggiunta sono passato anche al tridimensionale ma la forma bidimensionale per me rimane la partenza perchè è come se potessi non consumarla mai.
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“E’ con lo spirito del collezionismo che ho pensato a CALLAGHAN,” dice Romeo Gigli “una donna molto sicura alla quale propongo degli assemblaggi che la portano a riflettere e a scegliere tra quello che ha accumulato durante il percorso di vita…”
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Tutte le tue collezioni degli esordi sono caratterizzate da donne sottili, minimali, vestite di forma e colore che camminano lentamente. Dopo i primi successi la Zamasport ti propone di progettare la Callaghan e a quel punto il minimalismo lascia il posto a una grande opulenza, al decoro. Perché questo “cambiamento”?
All’inizio del mio lavoro ho cercato la sintesi: forma, totale purezza, un segno, un gesto, un movimento; di qui la necessità di sottolineare una spalla, il collo, la gestualità delle braccia avvolte in maniche sottilissime e lunghissime; ogni abito era bidimensionale e quindi appoggiandolo su un piano disegnava una forma con la quale la donna si poteva vestire e sottolineare... Trovato questo, è arrivata la scoperta del decoro per cui questi abiti che sono sempre di grande semplicità strutturale iniziano ad essere impreziositi da ricami. Il processo decorativo è iniziato con Callaghan per evitare che divenisse la cannibalizzazione della mia collezione. Inizio a lavorare un pochino sulla tridimensionalità, raccolgo tutto quello che conosco di storia del costume e comincio a farlo diventare il segno di Callaghan; a quel punto entra il decoro che si unisce alla forma non in aggiunta ma come se fosse un gioiello o meglio una collezione di gioielli.
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Da Milano a Parigi con una collezione di grandi decori ispirati a Bisanzio, alla regina Teodora che fa entrare il decoro anche nella tua collezione, ti aspettavi l’enorme successo?
Influenzato dal lavoro su Callaghan, decido di cambiare qualcosa nella mia collezione per cui immagino di lavorare con i colori dei mosaici, di Bisanzio.
Quindi sei partito dai mosaici non dalla regina Teodora, musa...
Sono partito da Bisanzio e dai suoi decori; a Teodora ho rubato una cosa: i gioielli suoi e del suo corteggio. Per cui immagino dei grandi orecchini che potessero riportare al mosaico bizantino…inizio a collezionare piccoli gioielli fatti a Venezia fine ‘800 primi del ‘900 (braccialetti, spille, ciondoli…) smonto tutto e realizzo grandi orecchini per Teodora. Comincio a decorare i cappotti con elementi che mi riportavano a Bisanzio ma rendendoli sempre contemporanei…dopo aver studiato nel profondo l’arte bizantina riesco a catturarne i colori rendendo le forme contemporanee. Decido all’ultimo momento di sfilare a Parigi, con una collezione quindi non pensata per sfilare a Parigi, obbiettivamente sapevo essere una bella collezione ma non avrei mai immaginato il grande successo che ebbe. Ti dirò di più, poco prima della sfilata Issey Miyake mi invitò a vedere la sua collezione in cui donne siderali con tute dipinte essenzialissime, quasi futuribili entusiasmarono il pubblico… ne uscii depressissimo pensando che le stesse persone dopo poco avrebbero visto i miei ricami e mi avrebbero certamente “mandato a casa”… non fu così. 134
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Il Decoro nella progettazione nasce dopo la forma o la determina?
Il Decoro non nasce mai dopo la forma! Dal momento che sento in una collezione l’esigenza del decoro a quel punto nasce sempre insieme alla forma. Ti faccio un esempio: nella collezione che sto preparando adesso ho pensato a dei decori fatti di cristalli che si ammassano e da placche metalliche che disegnano geometrie, non facili da usare. E’ indubbio che la forma è stata pensata per posizionare quei ricami e che ovviamente le forme che ho usato mi piacciono anche senza i decori però, senza ombra di dubbio, su ogni capo il decoro ha condizionato la forma. In ogni mio racconto le forme se decorate non sono mai troppo opulente e soprattutto il decoro è posizionato sull’indumento in un punto in cui non fa decoro applicato ma ha una sua funzione strutturale è un gioiello che impreziosisce. Ho posizionato i cristalli di cui parlavo in precedenza su delle piccole maniche come bracciali su t-shirt diverse e al momento di consegnare i disegni mi è stato fatto notare che una donna amerebbe molto quel tipo di decoro sul décolletè. In principio ho pensato che mai avrei potuto decorare quel punto del corpo femminile, poi, come un tarlo nella testa ho pensato al piacere che avrei provato riuscendoci. Dopo varie riflessioni è nata una t-shirt semplicissima da uomo sulla quale, come un collier primitivo appoggiato, ho posizionato il decoro e sotto ho staccato la t-shirt che a quel punto casca giù, lasciando intravedere così una luce di pelle.
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“La donna è di cristallo, è fragile come il cristallo, è vestita dai colori che si rifrangono nei vetri veneziani… O almeno questo fu il sogno”.
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“Il desiderio di catturare con il decoro la magia esoterica del mondo: dall’India alla Cina passando per l’America, decori con cui vestire grandi maghe”.
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Quindi alla fine una cosa che non avevi mai pensato di fare, una limitazione che avevi nel tuo processo creativo si è tramutata in una nuova idea?
Certo, al momento in cui si è al servizio degli altri e si fanno delle consulenze (ho lavorato per Allegri, CP Company, Callagan, etc.) è fondamentale entrare comunque nello spirito di quello che è quel tipo di richiesta, quella collezione: ogni volta il processo iniziale è quello di entrare nel mondo dell’azienda col mio punto di vista, con tanta apertura, immergermi in quel mondo e riemergere poi con la mia percezione restando vicino e anche lontano da quel mondo ma rendendolo sempre riconoscibile…
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Raffinate giacche sartoriali, tessuti maschili, jacquard con disegni cravatteria, caratterizzano collezioni donna fin dagli esordi. Qual è il legame tra abbigliamento maschile e femminile in Romeo Gigli? Quale la collezione in cui maggiormente viene espressa la contaminazione?
Sin dall’inizio ho cercato di trovare un equilibrio tra le forme femminili e la contaminazione maschile perché trovo che una cosa incredibilmente erotica è quando una donna spalanca l’armadio del suo uomo e ruba dei suoi pezzi : una giacca, una camicia, un golf; per cui questo gioco ho cercato di inventarmelo all’infinito in tutte le collezioni donna. Quelli che io chiamo “maschietti” non li ho mai dimenticati nella progettazione ma, senza dubbio, un lungo racconto l’ho fatto nella “Napoletana” dove veramente il primo passo è stato rielaborare la sartorialità napoletana maschile rivisitando quello che poteva essere il guardaroba dell’uomo del sud da inizio secolo agli anni settanta; poi da lì è successo di tutto come al solito per cui cappelli e scarpe da uomo sono vicini a collane, foulard, cercando di esaltare la donna e non di punirla.
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Ponendosi davanti grandi tagli dei tessuti scelti il progetto prende corpo e sul manichino la materia diviene forma. L’approccio iniziale è bidimensionale: un rettangolo, un quadrato, un triangolo e un cerchio con proporzioni stravaganti disegnano uno spazio sul pavimento e prendono forma sul corpo, diversa a seconda di chi la indossa. Ogni allacciatura annodata, drappeggio, torsione è vera, mai indotta, sempre spontanea, dinamica con il corpo che veste. In principio non sapeva bene cosa fosse un vestito da donna, conosceva la sartoria maschile perché andava dal sarto a farsi fare giacche e camicie, ma la donna era diversa e la partenza non poteva che arrivare dalla materia e dai numerosi libri antichi visti e rivisti durante la sua infanzia. Se Issey Miyake vive la forma bidimensionale come il ricordo della sua tradizione giapponese (Kimono) e Madeleine Vionnet ne studia le proporzioni dai pepli classici, lo studio di Romeo Gigli viene dal costume di tribù lontane che da sempre coprono il loro corpo con pezzi di stoffa geometrici, avvolgendosi con tecniche varie ma sempre con il rispetto del corpo che coprono. La forma bidimensionale è sempre la partenza ma con lo studio e la sperimentazione arriva anche a lavorare su quella tridimensionale rubando ricordi di forme degli anni cinquanta ma anche sessanta e settanta, sempre stravolti da quel filtro emotivo che cancella ogni riferimento tangibile al passato. Ci sono dei “segni” che rendono le sue forme riconoscibili nel tempo: i colli a “cappuccio” montanti sul dietro quasi a volerti avvolgere, le spalle rotonde che si allungano in maniche sottilifino a coprire le mani, affusolati pantaloni dalla vita alta sotto giacche stondate, gonne a petalo ma anche a ruota e a piccole balze plissettate, cappotti rotondi con revers maschili, t-shirt di jersey annodate con piccoli nodi stondati.
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E per l’uomo è lo stesso: le giacche sono per la prima volta svuotate da adesivi e costruzioni interne che siano over o sciancrate, i pantaloni piccoli si ammassano al fondo o si allargano restando corti alla caviglia, le camicie dai colletti piccoli enormi e incrociate nei pantaloni o strette al corpo con sottili cravatte grafiche. La donna sensuale e fragile, protagonista di tutte le collezioni, fin dagli esordi, apre l’armadio del suo uomo e “ruba” giacche, camicie, pantaloni, se ne appropria rendendoli seducenti, abbinandoli a leggerezze, trasparenze. Così, una stagione dopo l’altra i così detti “maschietti” si evolvono, si raccontano sempre diversi tra loro ma avendo in comune lo stesso spirito, la stessa carica di sensualità. Questi sono i segni che a distanza di tempo conferiscono a Romeo Gigli uno stile riconoscibile, ma la ricerca è continua e ogni volta che una forma, un concetto arriva alla sua espressione massima, il viaggio riparte verso nuove proporzioni, nuovi racconti. “Pensa che noia quello che ripete il suo segno all’infinito, all’infinito, all’infinito. Una volta che sei arrivato alla sintesi totale devi trovare un altro mondo, anche perché hai esaurito il racconto e pensi che gli altri vogliono,si aspettano qualcosa di diverso. Quasi come un guerriero ogni volta mi espongo scendendo nell’arena pronto a gettare il sangue che il mondo si aspetta da me e da quelli come me: l’emozione, l’attesa deve essere sempre altissima”. (Romeo Gigli, Festival della mente, Sarzana, 2005) Il periodo iniziale è stato definito minimalista e poneva come soggetto del progetto una donna sottile, fragile, pura, vestita principalmente di forma bidimensionale, raccontata attraverso tessuti nuovi e colori inusuali. Arrivato all’esaurimento di questo racconto così minimale, e dopo l’enorme successo avuto con la diversissima collezione progettata per Callaghan, le sue collezioni subiscono una sostanziale modifica (1989): dal minimalismo al massimalismo con lo studio della forma tridimensionale e il lavoro sul decoro. Nulla è lasciato al caso, tutto nasce dall’esperienza di cose già vissute, studiate e pensate e il decoro diventa elemento culturale, non perché filologico, bensì perché ogni pezzo che viene aggiunto diventa parte di una grande collezione: è come se questa donna, sottile e fiera volesse dirci attraverso ciò che indossa: “io ho viaggiato il mondo e mi adorno con ciò che ho incontrato”. Il decoro nasce sempre con la forma, sia nella donna che nell’uomo; è una forma semplice, mai troppo opulenta che possiede una forte identità e che viene impreziosita dal decoro come da un gioiello. Come un bracciale, una collana, i ricami e le lavorazioni speciali, si posizionano sul corpo mai come un’applicazione, un dettaglio, sempre con un forte impatto strutturale. L’idea di un decoro, il desiderio di una lavorazione, nasce nel progetto nel momento in cui si definiscono le materie e con esse diventano la base del racconto. 183
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Dopo aver scelto i tessuti inizia la progettazione dei modelli che comporranno la collezione. Da cosa inizi a progettare e come nascono le silhouette?
Le silhouette nascono prima, cioè al momento in cui ho catturato o sono convinto di aver catturato il racconto, comincio a schizzare delle cose che non è detto poi siano quelle che mi ritrovo… quando poi comincio a disegnare pezzo per pezzo e a comporre realmente la collezione quelle silhouette iniziali sono davanti a me, sono la partenza ma possono essere anche modificate e componendo il tutto si moltiplicano o si dimezzano ma racchiudendo in sé sempre quelle sensazioni iniziali. Nella progettazione posso dire di essere “calvinista”: stendo tutti i tessuti in ordine esattamente come li ho progettati, dai tessuti da cappotto alle giacche arrivando a tutti i frizzi e lazzi che servono e, esattamente alla stesso modo, inizio a disegnare i cappotti (o gli impermeabili d’estate) poi le giacche, di conseguenza le camicie, le gonne e i pantaloni e poi gli sfizi che nel frattempo appunto; però ogni cosa al suo momento perché ci devo andare dentro e perché ogni modello deve essere funzionale all’altro, mantenendo comunque il suo spessore cioè quella giacca è una giacca e sarà tale a prescindere da quella camicia che vi metterò sotto; al momento che affronterò le camicie che andranno o no sotto quelle giacche andrò a disegnare delle camicie con un’ anima tutta loro che dovranno essere belle da sole e funzionare con il resto già progettato…
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Alla fine la collezione viene lanciata e assemblata in una concertazione di forme, tessuti e colori che raccontano una, dieci infinite donne. Dal momento in cui l’hai immaginato a quello in cui lo hai visto concretizzato, è cambiata qualche cosa?
Nelle mie collezioni non “cade “mai nulla a meno che non ci siano dei problemi tecnici, se faccio centocinquanta disegni, centocinquanta prototipi vengono provati, senza modifiche intendo… mi hai mai visto aggiungere un modello all’ultimo momento, una rouche o una paillette?
No, se mai è successo di dover duplicare all’ultimo una camicia o un pantalone gia esistente per inserirli in un altro outfit di sfilata…
Si è vero, questo e’capitato diverse volte!
Quindi le tue sfilate non sono il frutto dell’immaginazione di uno stylist?
Negli anni è capitato che lo stylist mi abbia assistito ma sempre come supporto, come sicurezza, mai con il compito di definire o cambiare lo spirito del racconto. Il progetto come nasce e si sviluppa così viene conseguentemente raccontato in passerella… è il mio immaginario che si concretizza…
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“Tutte le donne sono piccole lolite: leggere, sottili, fragili e trasparenti ma anche scattanti e pestifere. I capelli sono corti, le gambe si intravedono sotto leggerezze ma sono coperte da calze colorate dipinte come quadri, i colori impolverati giocano in stampe naif�.
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“Il suo corpo è tatuato, le sue scarpe hanno tacchi altissimi e sottili. La vedi uscire dalla metropolitana con lo sguardo occultato da occhiali scuri e avvolgenti”.
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“Il desiderio era di incontrare a Los Angeles Jimy Hendrix negli anni sessanta ma al femminile”.
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“C’è un paese che non conosco, che non ho mai visitato ma che mio padre amava e mi ha sempre raccontato: l’Africa. Mi immergo nelle immagini, ne vengo “aggredito”. Questa donna è africana ma si fa tagliare gli abiti a Londra: le camicie sono impeccabili e al posto delle minigonne ci sono dei drappeggi africani. E’ una donna che viaggia e va a New York dove scopre i graffiti i segni di contemporanee tribù; i tessuti non sono originali africani, sono comprati a Como, ricamati in India e poi ancora rielaborati in altre parti del mondo”.
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Hai sfilato con Issey Miyake e le vostre donne erano decisamente diverse, non avevi paura del confronto ?
No, paura no. E’ stata una bellissima esperienza. Andai a Tokyo, nel 1992, con la mia collezione “ Spazio”e in un palasport diviso quasi fosse un quadrivio, le mie donne incrociavano quelle di Issey e iniziava in questo modo: ogni modella indossava un’uscita della sfilata “Spazio” con cappotti, cappe di plastica dipinte e nel centro del quadrivio incrociavano le donne di Issey vestite con i suoi abiti. A quel punto le mie donne venivano “derubate” dei cappotti dalle donne d’Issey, creando così l’unione… da quel momento in poi le modelle che uscivano in passerella indossavano pezzi miei e pezzi di Issey mischiati creando una nuova collezione data dal mix delle due. E’ stato molto bello perché abbiamo lavorato due giorni insieme cooperando, montando questa cosa, unendo veramente le due collezioni.
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Devo fare in modo che tutto questo sogno, tutto ciò che sogno diventi abito. Abito è una cosa che si può indossare e quello che io desidero è che un vestito come un tavolo, un sedia, una luce non abbia tempo. Oggi tu compri un mio pezzo di moda e potrai portarlo, mi auguro, per vent’anni senza stancartene perché sono arrivato alla sintesi di quel pezzo a prescindere dal progetto cui appartiene: può essere Teodora, la collezione Esoterica, la collezione Cristalli , può essere Lolita, può essere quello che vuoi… Ogni pezzo ha la sua identità… ogni cosa deve vivere della sua anima a prescindere dal racconto, questa è la grande fatica”. (Romeo Gigli, festival della mente, Sarzana, 2005) Le collezioni sono come un grande guardaroba in cui tutto si somma e mai nulla viene eliminato perché ogni singolo pezzo è studiato nei suoi dettagli e può vivere di vita propria e allo stesso tempo essere funzionale all’insieme. In maniera “calvinista” progetta cappotti, giacche, gonne, pantaloni, camicie, abiti e tutto ciò di cui il racconto necessita. Ogni progetto nasce e si sviluppa in un racconto che come inizia così si conclude: non ci sono mai modifiche, inserimenti di dettagli non previsti perché tutto è coerente e frutto di quel filtro emotivo che caratterizza quel determinato momento creativo. Così ogni racconto ha un’identità definita, un fil rouge che non può definirsi “ispirazione” piuttosto un’eco lontano, un ricordo, un profumo che dà uno volto ad una protagonista o ad un’altra senza mai divenire vincolante. Quel filtro emotivo che caratterizza ogni progetto in maniera differente racconta tutto: i giochi cromatici, le silhouette in movimento, gli accessori che verranno abbinati come anche il trucco o l’acconciatura della protagonista: tanti strumenti che suonano in un gran concerto. Questa modalità non richiede la presenza di uno stylist che definisca atmosfere o che componga outfit di sfilata: dal momento che la collezione nasce, dentro di essa c’è già tutto il racconto, ogni minimo dettaglio è lì perché è lì che deve essere; tutto è coerente perché è frutto di un’unica spinta emotiva. Questo accade sia per le collezioni donna che per quelle uomo, con l’unica differenza che se per la donna ogni collezione è come un omaggio, è il desiderio di regalarle qualcosa di diverso ogni volta, disegnare per l’uomo vuol dire tornare sempre a qualcosa che è già nella memoria, una sorta di ricordo e di base c’è una grande ricerca di materie e di colori in modo estremamente familiare.
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Nel 1995 Romeo Gigli interrogandosi sul futuro della moda: “Qual è la mia riflessione sul futuro della moda? Credo che in questi ultimi dieci anni ci sia stata un’overdose di progettazione. Penso sia venuto il momento di riportare le cose nei loro limiti… Ma oggi ognuno deve ricominciare a scegliere i propri abiti solo per sottolineare la sua personalità. Il vestito non deve mai essere uno status – symbol, ma farti ritrovare una piccola parte di te”. (Romeo Gigli, 50 anni di moda italiana, 1995) Diceva queste parole ignaro di ciò che sarebbe accaduto nei quindici anni successivi, nei quali il mercato si è ulteriormente appesantito con progetti sempre meno personali e sempre più monopolizzati dall’intervento di comunicatori d’immagine e non più da portatori di idee di moda.
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I tuoi progetti alla fine vengono raccontati in uno spazio, come avviene la contestualizzazione, lo studio dell’ambiente, delle luci, della musica?
Nel momento in cui inizio ad immaginare la collezione comincio anche a pensare a come questo uomo o questo donna si muoveranno nello spazio. Difficilissimo è ovviamente trovare a posteriori uno spazio esattamente come l’ho pensato: è d’abitudine, guardare quattro, cinque location possibili e sceglier quella che più gli si avvicini... Una volta identificato lo spazio più consono allora di conseguenza riuscirò comunque a creare l’atmosfera che ho in mente fin dall’inizio componendo la scena con le luci, la musica, eventuali scenografie affinché tutto sia funzionale al mio racconto.
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Questo che sia una sfilata o un allestimento per una mostra sulla Cina?
E’ esattamente la stessa cosa… quando mi hanno chiesto di occuparmi della mostra sulla Cina a Palazzo Strozzi a Firenze, la prima cosa che ho fatto prima di accettare è stata rivederlo per capire eventualmente se e come poterlo manipolare. Conoscevo Palazzo Strozzi ma ovviamente non lo avevo mai immaginato come contenitore di una mostra sulla Cina. Quando l’ho visitato mi sono accorto che non era lo spazio ottimale ma che poteva diventarlo, potevo trovare un bilance per sfruttarlo al meglio nel mio racconto. Ad un certo punto il tuo immaginifico deve riuscire a catturare quelli che sono gli elementi che possono sottolineare maggiormente e fare in modo di cancellare quelli che non ti aiutano… così ho fatto! Il parallelismo concettuale che immediatamente provo è tra il periodo Tang (rinascimento cinese) e palazzo Strozzi (rinascimento fiorentino). In questo caso, avendo una conoscenza discreta sulla Cina, subito trovo la congiunzione con lo spazio nei pavimenti di cotto rossiccio molto vicino alla terra di Cina. La cosa inquietante di Palazzo Strozzi è il muro bianco che non essendo un colore rinascimentale dà alle sale una freddezza scostante e prepotente… da qui l’idea di riportare il bianco ad uno dei colori rinascimentali conferendo corpo al cotto dei pavimenti e alla pietra serena di camini e portali… così tutto si ammorbidisce e lo spazio diviene meno incombente. Viene privilegiato un giallo leggerissimo e come pensato tutti gli elementi non galleggiano più come prima in modo preponderante ma si fondono .
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A quel punto inizio a pensare al rapporto con l’esterno: non volevo oscurare le finestre ne lasciare la luce naturale entrare direttamente nelle sale. Penso quindi a dei filtri di gelatina grigi lasciando così entrare la Firenze rinascimentale ma in bianco e nero come una vecchia cartolina. L’idea di partenza era il rapporto tra i due Rinascimenti e così non eliminando Firenze bensì esaltandola, la rendendo parte del racconto. La lascio “entrare” nella Cina senza farla divenire predominante. Poi mi concentro sull’esposizione degli oggetti: la gente non deve avvicinarsi troppo e le opere vanno rialzate per cui progetto dei tronchi di cono ricoperti di graniglia color terra di Cina sempre contenuti da un segno nero intorno alla base . I coni sono di tante forme a seconda di cosa devono contenere e sui pavimenti vedi questi elementi grafici che delineano le basi fatti da una lamina di metallo di due centimetri per due come un segno di lapis. Così ho mantenuto la relazione con il palazzo nel raccontare col mio sguardo la Cina rinascimentale.
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Quindi tutto è il frutto della tua visione anche l’idea per le luci o per la musica?
Ovviamente supportato da professionisti che scelgo in base ad affinità comunicative ma si, ogni parola fa parte del mio racconto. Oggi credo che l’unico progetto creativo di moda che abbia veramente spessore sia Prada: ha un filo logico che accomuna tutto e probabilmente è così perché sono abili nello “stressare” l’idea. Non c’è uno stilista come nel mio caso, c’è una filosofia, un concetto di azienda e che sia il macramé o le piume, l’idea è così stressata che rimane impressa negli occhi della gente divenendo riconoscibile non come idea ma come identità del marchio.
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Sei stato tra i primi ad andare oltre la comune passerella creando dei veri racconti in movimento facendo indossare i tuoi capi ad attori, ballerini in originali performance. Ricordi la collezione donna di Parigi A/I 2004-05 in cui ballerine e modelle immerse nel colore si muovevano esaltando le linee di cappotti, gonne, camicie..? Si l’ho fatto in varie occasioni, per lo più con l’idea di cercare occasioni d’incontro, musica dal vivo, cose che avvenivano durante la kermesse. Sì, è il mio modo di raccontare: io ritengo che la sfilata da sola sia limitata e che il racconto è sì di moda ma può essere sottolineato da tante arti come la musica: nella collezione “Africana” per l’Estate 1995 musicisti africani accompagnavano cantando le ragazze che sfilavano, per cui era gia performance. Per una collezione Romeo Gigli Uomo e G Gigli trasformai gli spazi della Bicocca (allora abbandonati oggi spazi espositivi): si passava per un corridoio allestito con una mostra di fotografie, che Max Vadukul fece per me, illuminate da piccole luci laser ricreando un’atmosfera alla Blade Runner. La sfilata avveniva sotto le campate della Bicocca dove avevo fatto montare delle enormi tende da campo militari da cui uscivano i modelli e nel frattempo musici intervenivano con altri racconti creando situazioni parallele.
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Un’altra performance bellissima fu quella sotto la stazione centrale di Milano, nei depositi. Dopo aver scoperto questo spazio infinito con altissimi soffitti a volte con colonne e mattoni a vista che delimitano enormi sale, decisi di far sfilare l’uomo e la linea jeans; con ponteggi di tubi innocenti costruisco delle tribune e chiudo le “stanze” con dei teloni di copertura dei camion: per cui lo spettatore entrava e i modelli sfilavano con la collezione; alla fine si abbassavano le luci e dei ragazzi in tuta blu spalancavano i tendoni e all’interno di ogni tenda succedeva qualcosa: ballerine indiane, musici marocchini, sollevatori di pesi nudi che si appendevano con il corpo e ancora si apre un’altra tenda ed era la prima volta che presentavo la collezione jeans e in questa lunga stanza avevo messo allineate le panchine della sala d’attesa della stazione e avevo trovato mensole e candelabri tra i più disparati e lo Studio Azzurro mi aveva fatto un’istallazione di video per cui sotto le mensole con i candelabri c’erano questi monitor che giravano ad elle e tu vedevi passare un tapiroulan di un aeroporto, tutte valige e ne esplodeva una lasciando uscire un Romeo Gigli jeans. La cosa molto bella era che tu entravi in questa stanza inaspettatamente illuminata solo dalle candele e dal video e i ragazzi erano tutti seduti sulle panchine appoggiati in modo precario e c’era chi aveva gli occhi dipinti, chi i capelli intinti nel colore… fu molto impressionante anche perché nuovo per l’epoca…
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Gli Spazi progettati non sono mai costrittivi, l’obiettivo è sempre di aver la possibilità di poterli modulare continuamente perché devono poter raccogliere tutto. Questa visione spaziale è presente fin dagli inizi con la progettazione degli spazi ufficio, show room, boutique di Corso Como al 10. Un vecchio garage dismesso, con alti soffitti viene ristrutturato per diventare multifunzionale: dalle sfilate alle campagne vendita, dalla presentazione del profumo “Romeo”, alla mostra della pittrice Nathalie du Pasquien fino ad ospitare Milano Poesia e numerosi designer per il primo Salone del Mobile milanese. E così avviene per tutte le boutique monomarca e gli show room che si susseguono negli anni: ciascuno spazio è progettato, arredato illuminato a seconda della sua struttura architettonica e del luogo in cui è contestualizzato; ogni progettazione si pone l’obiettivo di esaltare la natura del luogo attraverso i materiali inseriti, i colori aggiunti, gli oggetti d’arredo, tenendo conto di ciò che verrà di volta in volta inserito, esposto.
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Romeo Gigli Presenta Milano Poesia Corso Como 10. Milano.
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Allestimento Natalie Dupasquier, Corso Como 10
Allestimento per il lancio del profumo “Romeo” di Romeo Gigli Corso Como 10. Milano.
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Corso Venezia, Milano.
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46 Rue de Sevignè, Paris
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South Molton Street, London
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69th. Street Madison Avenue, New York
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Poststrasse, Zurich
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Ogni collezione alla fine avrà il suo spazio e il racconto sarà “letto” ad un pubblico vasto ma selezionato, in una sfilata-performance in cui tutto sarà filtrato dall’emotività generatrice. La sfilata non basta, il desiderio è quello di creare un momento d’incontro in cui l’ospite possa immergersi dimenticando, anche se per poco, tutto il resto. C’è di fatto il sano desiderio di incantare, stupire, meravigliare lo spettatore, il piacere di donare qualcosa mantenendo però sempre un senso di leggerezza, di gioia nel realizzarlo. Le luci, la musica, eventuali scenografie vengono studiate per contenere ed esaltare abiti in movimento: la luce elemento fondamentale con il potere di sottolineare, nascondere, velare, creare atmosfere, la musica, che entra già durante la progettazione con quegli otto, dieci brani selezionati che in maniera quasi ossessiva si ripetono, accompagna i movimenti definisce il ritmo delle performance e tutto contribuisce a sottolineare il racconto creando l’atmosfera sognata. Alla fine, quando il progetto è terminato, quando il racconto si è concluso ed è pronto per essere percepito da un pubblico più vasto, nel creativo resta come un senso di insoddisfazione che non gli permette mai di guardare ciò che gli altri hanno approvato del progetto ma lo spinge soltanto alla ricerca del lato critico, a quello che poteva essere fatto meglio. Questa assenza di appagamento unito al desiderio continuo di stupire lo spinge così ad andare sempre avanti alla ricerca di quel “Nirvana” che una volta raggiunto lo farà forse smettere di raccontare, progettare...
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UN PROGETTO: PORTRAITS OF WOMAN
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Un Progetto: Portraits of Woman
Ho voluto frammentare la progettazione di Romeo Gigli in fasi metodologiche per arrivare a dimostrare come il racconto, in questo caso il racconto di moda, sia il frutto di passaggi obbligati e coerenti perché risultato di una visione, di un filtro emotivo che per una breve ed intenso periodo crea una realtà parallela, modificata, dentro la quale tutto è in equilibrio, in armonia a trecentosessanta gradi. E’ così che un creativo progetta abiti, oggetti d’arredo, spazi architettonici, tenendo sempre conto della funzionalità, pensando per prima cosa alla materia, alla sua duttilità, al colore e alla luce; in ogni progetto la metodologia è la stessa, le tempistiche anche, cambiano i materiali e le tecniche di realizzazione ma il procedimento di elaborazione mentale è analogo. Questa metodologia progettuale diventa metodo di lavoro per tutti coloro che come me collaborano con lo stilista e forma una “scuola” riconoscibile, indipendentemente dal settore in cui poi si opera. Accade così che, dopo anni di collaborazione al suo fianco, non è più possibile affrontare un lavoro in maniera diversa. Così quando ci fu l’occasione di progettare con Daniela D’Ortenzi oggi make up artist ma anche lei tra le “allieve” del “maestro”, il progetto Portraits of woman, avvenne qualcosa di simile. Terminato entrambe di lavorare nell’ufficio stile di Romeo Gigli accettammo di collaborare con la fotografa Michela Taddio (Micky Modo) ad un progetto fotografico di moda che aveva per soggetto il “ritratto di donna”. Il primo passo fu quello di individuare le cinque donne del passato così affascinanti da aver lasciato, a nostro parere, un segno indelebile, sia attraverso le loro opere che con le loro forte personalità: la fotografa Tina Modotti, la regina Elisabetta I, le pittrici Frida Kalho e Tamara de Lempicka, la marchesa Luisa Casati. L’idea fu quella di creare delle immagini di moda che si allontanassero dal ritratto storico ma che ne traessero ispirazione per una rilettura contemporanea. . Studiate nei minimi dettagli le protagoniste e concentrandoci sugli elementi caratterizzanti e fondamentali per comunicare il racconto, ci siamo interrogate su una linea paradossale: come sarebbero stati oggi quegli elementi se queste cinque donne fossero in vita?
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Abbiamo così analizzato ogni singolo personaggio ricostruendone l’immagine attraverso il trucco, i capelli, lo styling, e provvedendo direttamente alla realizzazione dell’insieme. L’idea di moda che viene comunicata non ha nulla a che vedere con l’impostazione che da tempo hanno i redazionali di moda su riviste di settore: i vestiti diventano pezzi di un guardaroba senza stagioni e senza temporalità, con in comune solo l’esigenza di raccontare il personaggio. Dopo aver selezionato le cinque modelle interpreti del racconto e averle trasformate in contemporanee Tina, Elizabeth, Frida, Tamara, Luisa, scatto dopo scatto abbiamo visto concretizzarsi il nostro immaginario.
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“El Machete sirve para cortar la cana, para abrir las veredas en los bosques umbrios, decapitar culebras, tronchar toda ciana y humillar la soberbia de los ricos impios.
Il machete serve per tagliare la canna da zucchero, per aprire sentieri attraverso boschi oscuri, per decapitare le vipere, per tagliare le erbacce e umiliare la superbia dei ricchi tronfi. El Machete, primo numero del 16 Marzo 1924
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I Re non sono che gli schiavi del trono e non possono seguire gli impulsi del proprio cuore Da Maria Stuarda di Friedrich Schiller atto II, scena II
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“Il surrealismo è la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio dove si voleva prendere una camicia.” Frida Kahlo
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“L’essere naturale è semplicemente una posa, la posa più irritante che conosca”. Da Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.
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“Voglio essere un’opera d’arte vivente” La marchesa Luisa Casati
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NOTE bio-bibliografiche
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BIOGRAFIA
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BIOGRAFIA
Biografia Romeo Gigli nasce nel 1949 a Castelbolognese, vicino Faenza, in una provincia ricca di storia e di cultura. La sua formazione è classica, figlio di librai antiquari, studia architettura a Firenze, ma sceglie il nomadismo per arricchire la sua formazione. Durante dieci anni alla scoperta dell’Oriente colleziona oggetti di tutti i tipi: tessuti, abiti antichi, gioielli, tappeti, colori. Nel 1979 è a New York, assistente nella sartoria maschile Dimitri, dove apprende le tecniche di costruzione sartoriale. Venne il momento in cui tutti si persuasero che aveva un bellissimo occhio per scegliere le cose e, dopo poco tempo, Dimitri gli propone di creare per lui una collezione da donna. Nei quattro mesi successivi passa le sue giornate con una modella di colore e con tessuti, appositamente fatti tingere, che avvolge sul suo corpo per trovare delle forme. Il progetto è ancora onirico. Viene fuori una collezione in cui le donne indossano giacche di taglio maschile ma viste col suo occhio: tessuti - cravatta che diventano camicie, gonne che ricordano i sari, una profusione di ambre, coralli, gioielli etnici che adornano il corpo. Ebbe un grande successo. Tra il 1983 e il 1984, tornato in Italia, con l’aiuto di Edi Radaelli, agente milanese che aveva lavorato con Walter Albini, presenta la sua prima collezione nella sua casa di via Larga a Milano. Ricorda lo stilista: “Erano cose semplici, abiti da sera in jersey, uno che aveva la schiena nuda e un nastro che strizzava l’arricciatura, giacche e cappotti maschili riletti, gonne lunghe e strette, piccolissimi golf con maniche lunghissime...” Ma il debutto ufficiale è nel 1985 con la collezione di pret-à-porter femminile che presenta nello showroom di via Spiga. E’uno choc: nasce con Gigli la “contro-moda” ovvero la reazione ad una moda troppo esibita, a favore di una femminilità fatta di fragilità e grazia. Rifiuta tutti i segnali aggressivi degli anni Ottanta, abolisce le spalle imbottite scegliendola linea sciolta del “dressing grown”, ricercando la purezza delle forme. “Tutto deve essere rimescolato per essere vitale - dichiara Gigli – cerco di fare abiti che rappresentino la libertà della donna da condizionamenti, da regole di mercato, da vincoli sociali, per ridarle il piacere di scegliere in piena libertà” (Gastel 1995). I vestiti hanno colori strani, fatti di sete indiane e di tessuti da cravatteria; il concetto è quello dell’inizio: tagli maschili portati in modo femminile, con richiami etnici. Nel 1986 è la volta di Millenovecentoventi, una collezione che come ricordava lo stesso stilista alludeva a: “un’estetica eterea ed impalpabile sottolineata da grandi cappotti chiusi al fondo da nastri che inducevano ad una camminata a piccoli passi, da abiti in velluto resi fragili da dettagli precari di pizzo Chantilly nei punti più sensuali” (Archivio Gigli 2004).
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BIOGRAFIA
Le sue presentazioni in un vecchio e spoglio garage di Corso Como, a Milano, diventano l’appuntamento più esclusivo e ambito della settimana della moda milanese. Nel 1987 la Zamasport, azienda di Novara già confezionista della sua linea, lo chiama a progettare la linea Callaghan, disegnata fino ad allora prima da Walter Albini poi da Gianni Versace e ora da Gigli (fino al 1995). Non volendo fare una copia o una rivisitazione della sua collezione, Gigli riversa nella Callaghan tutta la sua voglia di decoro: la prima collezione è dedicata a una donna gipsy vestita di righe indiane, gonne che si gonfiano, top che si avvolgono, collane, bracciali, gioielli etnici. “Per la Callaghan ho recuperato il bello della mia giovinezza che credevo perduta - dice Romeo Gigli – E’ con lo spirito del collezionismo che ho pensato a questa donna… una donna molto sicura, alla quale propongo degli assemblaggi che la portano a riflettere e a scegliere tra quello che ha accumulato durante il suo percorso di vita. Un immenso guardaroba dove attingere liberamente. Cerco di fare abiti che siano liberi materialmente e spiritualmente: è nel mio carattere perché io non potrei imporre niente a nessuno”. Nulla è lasciato al caso, tutto nasce dall’esperienza di cose già vissute, pensate cercando di trasformare le proporzioni “classiche”in qualcosa di diverso, sperimentando l’unione di etnie lontane. A grandi lunghezze e ampiezze affianca piccole forme e microlunghezze; le gonne sono larghe al fondo, riprese e ribaltate all’interno, mentre i fianchi fasciano la silhouette, drappeggiata come un pareo o stratificata in leggere balze di tessuto. La ricerca dei materiali è interessante, perché inusuale nei temi delle tinture e degli accostamenti: tessuti operati, passamanerie, patchwork, sete rigate a tinte vivaci, cotoni grezzi a righe stinte, tessuti maschili in contrasto con pizzi in lana o ricami in seta. Gigli per Callaghan si oppone alla presentazione tradizionale di una collezione e volendo ricreare atmosfere di riti lontani le indossatrici compaiono dal fondo camminando come passanti assorte lungo la strada di una città del mondo, percorrendo la pedana con andamento lento e distaccato, mentre la musica segue il suo corso. Nel 1989 Gigli lascia Milano per Parigi con la collezione Teodora, uscendo così da un meccanismo saturo di regole imposte dal potere economico. Questa collezione in qualche modo ha rappresentato un nuovo corso nel suo stile divenendo da grafico e minimale a prezioso ed opulento . Di quel giorno Romeo Gigli ha ricordato: “Due ore prima dell’inizio della mia sfilata venni invitato da Issey Miyake. Aveva fatto una collezione stupenda, pensai: farò un grande fiasco, io con le mie ragazze bizantine e lui che fa la moda per la luna. Arrivò il momento della mia sfilata. Tutto si svolse normalmente. Le ragazze erano pronte per l’ultima uscita. Andai fuori dalla tenda, mi sedetti sul bordo della fontana al centro della Cour Carrée del Louvre a fumare una sigaretta. Ero sicuro dell’insuccesso. Dopo un quarto d’ora vengono a cercarmi i miei studenti mi dicono: il pubblico è impazzito, a venti minuti dalla fine della sfilata stanno battendo le sedie per terra. Tornai nel bakstage e arrivò una tale quantità di gente che non riuscii neanche ad uscire in passerella. Era il 18 Marzo del 1989. Da quel momento in poi non mi mossi più da Parigi per presentare le mie collezioni” (Gigli 1995). E così fu: sfila al Louvre per tre stagioni, poi comincia a cercare altri spazi per il piacere di sottolineare anche nel contenitore il suo concetto di collezione diversa dalle altre: prima nello showroom del Marais, poi il giardino del Centro culturale svedese, quindi il Museo Carnevalet, la Borsa, la Salle Wagram. 340
BIOGRAFIA
A Parigi sfilarono collezioni ispirate ai vetri di Venezia (P/E 1990), allo Spazio ( P/E 1992), alla Persia (A/I 1994-95), all’Africa tribale (P/E 1995), al Rock di Jimmy Hendrix (A/I 1995-96)… seguendo un percorso estetico originale, mai integrato in una tendenza o uno stile comune ad altri. Nel 1989 firma la linea uomo, prodotta da Zegna; nel 1991 lancia la linea G Gigli uomo e donna (prodotta da Stefanel) per un mercato più giovane, poi la linea Jeans e linee di accessori, occhiali, un profumo. Nel 1999 il gruppo IT Holding, che fa capo a Tonino Perna, rileva le quote di maggioranza del marchio per implementare lo sviluppo sul mercato mondiale. “Il marchio senza lo stilista dietro non ha senso - spiega Tonino Perna -. Perciò l’accordo, oltre alla proprietà di Romeo Gigli, prevede che lo stilista continuerà a lavorare con noi… Noi con la nostra struttura possiamo offrire il supporto industriale e commerciale necessario per il rilancio”( corriere della sera – Aprile 1999) Nel 2000 a Milano, in un exfabbrica di giocattoli anni Cinquanta, Gigli apre il nuovo spazio Pangea, showroom e spazio espositivo. Nella primavera del 2004 il gruppo IT Holding dismette la Gigli srl aprendo un contenzioso con lo stilista che a tal proposito dichiara: “una politica dissennata che nel giro di poco tempo ha portato al crollo dell’immagine mia e della firma che avevo creato” (La Repubblica- gennaio 2009). Da allora lo sviluppo del marchio Romeo Gigli non ha più alcun collegamento con lo stilista Romeo Gigli; in tribunale tuttora pendono diverse cause, tre delle quali gia vinte da Gigli: “Ho vissuto questo periodo anche con lo spirito di rivincita consapevole che la guerra contro IT Holding che mi ha letteralmente annichilito l’avrei vinta, non solo in tribunale, ma anche e soprattutto come stilista che si è trovato a non potersi più esprimere in un mondo che gli apparteneva” (La Repubblica – Gennaio 2009). Attualmente titolare del marchio Romeo Gigli è il curatore fallimentare della Gigli srl che fa capo ad un gruppo di società lussemburghesi. Dopo una pausa di lontananza dal mondo della moda, nel 2008 Romeo Gigli ritorna con il nuovo progetto uomo e donna Io Ipse Idem: “Due parole latine che come due antichi pilastri sostengono la rotondità del mio “se”, come dire: sempre me stesso ma mai uguale a me stesso” ( La Repubblica - Gennaio 2009). Gli interessi di Romeo Gigli sono volti anche verso il design d’arredo: Tappeti fatti a mano per Christopher Farr (1993) e per Altai (2010), oggetti di vetro per la tavola per la vetreria Pauly di Venezia (1997), mosaici per Biscazza (1997), lampade e specchi per Ycami (1998), consolle per la collezione Intarsia di Laura Meroni (2004). Nel Gennaio 2005 per Alta Moda Roma reinterpreta usi e costumi del popolo gitano: tra piccoli focolai, caldarroste e pentole tipiche della tradizione Rom, crea nel quartiere Testaccio un vero e proprio spettacolo interpreti del quale sono ballerine rom vestite con ampie gonne e colorate maglie che lo stilista ha realizzato grazie ad un attento e scrupoloso lavoro di ricerca che ha coinvolto tre sartorie rom della capitale. Numerosi sono gli allestimenti di mostre ed eventi come quello nel 2008 per la mostra“Cina. Alla corte degli Imperatori” tenutasi a Palazzo Strozzi a Firenze.
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BIBLIOGRAFIA
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BIBLIOGRAFIA
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BIBLIOGRAFIA DELLE IMMAGINI
p. 82 Cappotto velluto lavorato pelle d’elefante, collezione Romeo Gigli donna A/I 89-90, Vogue Italia Ottobre 1989 p. 84 Completo Romeo Gigli donna A/I 1991-92 da “La Sardegna veste la Moda” p. 86, 87 Sfilata Romeo Gigli donna A/I 1994-95 collezione “ Persiana” (uscite: 72, 36) p. 88, 89 Sfilata Romeo Gigli uomo A/I 1999-00 (uscite: 38, 11) p. 90/92 Sfilatra Romeo Gigli uomo A/I 1997-98 (uscite: 19, 21, 22) Forma e Decoro p. 94, 95 Catalogo Romeo Gigli donna P/E 1990 collezione “Cristalli”, foto I.Gallo p. 98 Illustrazione di pepli greci dal libro “Goddess: the classical mode” p. 99 Abito MadeleineVionnet dal libro “Goddess: the classical mode” p. 100 Immagine da libro “Miyake I.” p. 101 Abito Issey Miyake P/E 1985 foto I. Peen p. 102 Disegni “ Pijamas”, India p. 103 Women at harvest festival, Indonesia p. 104 Madhur Jaffrey and the purah ladies, India p. 105 Disegni “ Ghaghra”, India p.106, 107 Disegni e foto abiti jersey sfilate Romeo Gigli donna dal 1987 al 1989 p. 108 Sfilata Romeo Gigli donna P/E 1989 (uscite: 2a, 2b) p. 109 Abito Romeo Gigli donna P/E 1988 foto di J.Vallhoirat dal libro “Goddess: the classical mode” p. 110/113 Sfilata Romeo Gigli donna A/I 1988-89 collezione “Millenovecentoventi”(uscite: 13, 18, 25, 44, 6, 49, 27, 76 – 68,79) p. 115, 117 Catalogo Callaghan collezione P/E 1987 p. 118 Disegni cappotti Callaghan collezione A/I 1988-89 p. 119 Cappotto Callaghan collezione A/I 1988-89 foto S.Caleca p. 120 Bolero Callaghan collezione A/I 89-90 e pantalone tessuto cravatteria A/I 88-89, foto S.Caleca p. 121 Sfilata Callaghan A/I 1989- 90 p. 122 Sfilata Callaghan collezione P/E 1990, sfondo diario Frida Kahlo, Leonardo, Milano, 1995 p. 123 Dettagli sfilata Callaghan collezione P/E 1990 p. 124 Disegni gonne Callaghan da P/E 1987 a P/E 1988 p. 125 Gonna balze di pizzo di cotone Callaghan P/E 1990 foto S.Caleca p. 126 Immagine Callaghan da Elle dicembre 1989 e Foto R.Lewis da Style India p. 127 Immagine Callaghan, foto A. Watson, Vogue Italia, Gennaio 1990 p. 128 Immagine abiti Romeo Gigli e Scott Crolla, Vogue Italia Luglio 1989 p. 129 Immagine Callaghan da Marie Claire foto M.Branding, Febbraio 1992 p. 130 Articolo “ Parigi e Milano, le grandi rivali” di Giusi Ferré p. 131 Copertina rivista “Vanity”, ottobre 1989 p. 133 Catalogo collezione A/I 1989- 90.Imperatrice Teodora, chiesa di S.Vitale, Ravenna p. 134, 135 Sfilata Romeo Gigli donna A/I 1989-90 collezione “Teodora”(uscite 1,16,20,25,39,43,59,78) p. 136 Catalogo collezione A/I 1989-90, La corte di Teodora, chiesa di S.Vitale, Ravenna p. 137 Catalogo collezione A/I 1989-90, Immagine di sfilata 348
BIBLIOGRAFIA DELLE IMMAGINI
p. 138 Catalogo collezione A/I 1989-90, Immagine di sfilata p. 139 Catalogo collezione A/I 1989-90, Dettaglio del Palazzo di Teodorico, chiesa diS. Vitale, Ravenna p. 140 Cappotto Poul Poiret collezione “ La Perse”, 1911 p. 141 Benedetta Barzini indossa un cappotto ricamato collezione A/I 89-90, foto S.Meisel, Vogue Francia, Ottobre 1989 p. 142, 143 Scarpe ricamate con cristalli, foto P.Roversi p. 147 Catalogo collezione donna P/E 1990, foto I.Gallo p. 148, 149 Sfilata Romeo Gigli donna P/E 1990 collezione “ Cristalli”(uscite: 2, 34, 40, 42, 44, 45, 64, 91) p. 150, 151 Catalogo collezione A/I 1990-91, Illustrazione M.Gustavson p. 152, 153 Look book Romeo Gigli donna A/I 1990-91 collezione “ Esoterica”, foto I.Gallo p. 154, 155 Sfilata Romeo Gigli donna P/E 1992 (uscite: 64, 72, 73, 73 finale) p. 156, 157 Sfilata Romeo Gigli donna P/E 1994 collezione “ Viaggio nel Mediterraneo”(uscite: 16, 69) p. 158, 159 Catalogo collezione donna P/E 1995 collezione, foto M.Vadukul p. 160 Illustrazione M.Gustavson per Romeo Gigli p. 162, 163 P.Rovrsi per Romeo Gigli, immagini da catalogo mostra “una Donna”, New York, 1989 p. 164, 165 Sfilata Romeo Gigli donna A/I 1993-94 collezione “ Napoletana”(uscite: 1, 4, 3) p. 166/169 Catalogo Romeo Gigli donna A/I 1994-95 collezione “ Persiana”, foto M.Vadukul p. 170 Jimy Hendrix , foto J. Mankowitz, 1967 p. 171 Sfilata Romeo Gigli donna A/I 1995-96 collezione Jimy Hendrix (uscite: 42, 47) p. 172 Insieme fotografico in senso orario: Ci.dessus, foto P.Roversi 1997; Jean Gabin, foto W.Carone 1964; Londra, raduno Mods, 1963; Bob Dylan foto R.Avedon, 1965 p. 173, 175/177 Sfilata Romeo Gigli uomo A/I 2001-02 (uscite 58, 51, 23, 49 - 33, 63, 43, 48 - 1, 5) p. 174 Immagini “ Rolling Stones” anni sessanta p. 178 Immagine camicia Romeo Gigli A/I 1989-90 foto T. Young, Vanity, Ottobre 1989 p. 180 Foto P.Lindberg per Romeo Gigli La Collezione p. 182, 183 Catalogo Romeo Gigli donna P/E 1990 collezione “Cristalli”, foto I.Gallo p. 186, 187 Catalogo Io Ipse Idem donna P/E 2009 p. 188, 189 Catalogo Io Ipse Idem uomo A/I 2009-10, immagini da performance p. 191 Immagini sartoria e backstage sfilata Romeo Gigli donna, P/E 2002 p. 192 Invito sfilata Romeo Gigli donna A/I 2004-05 p. 193 Relise sfilata Romeo Gigli donna A/I 2004-05 p. 194, 195 Polaroid fitting sfilata Romeo Gigli donna A/I 2004-05 p. 196 Twiggy 1966 foto B.Lategan p. 197 Sfilata Romeo Gigli donna P/E 1998 (uscite: 45, 55) p. 198, 199 Sfilata Romeo Gigli donna A/I 1997/98 collezione “ Ristorante Giannino, via Scesa, Milano” (uscite: 28, 48, 69, limitata) p. 201/203 Sfilata Romeo Gigli donna P/E 1997 collezione “ Lolita”(uscite: 62, 2, 7) 349
BIBLIOGRAFIA DELLE IMMAGINI
p. 204, 205 Sfilata Romeo Gigli donna A/ I 1996-97 collezione “Principessa contemporanea” (uscite: 41, 31, 38, 88) p. 207/209 Sfilata Romeo Gigli donna P/E 1996 collezione “ Aggressiva” (uscite: 3A, 5A- 1B, 16B, 20A) p. 211 Sfilata Romeo Gigli donna A/ I 1995-96 collezione “ Jimy Hendrix”(uscita 8) p. 213 Catalogo romeo Gigli donna P/E 1995 collezione “ Africana” ,foto M.Vadukul p. 214, 215 Sfilata Romeo Gigli donna A/ I 1995-96 collezione “ Persiana” (uscite: 1, 11, 18, 61) p. 217/219 Sfilata Romeo Gigli donna A/I 1992-93 collezione “Spazio” (uscite da video) Gli Spazi p. 222, 223 Catalogo Romeo Gigli donna P/E 1990 collezione “Cristalli”, foto I.Gallo p. 226, 227 Allestimento Parigi sfilata Romeo Gigli donna P/E 2002 p. 230, 231 Immagine mostra “ Cina. Alla corte degli imperatori” p. 232 Immagini allestimento tappeti Romeo Gigli per Altai edizione numerata p. 233 Copertina catalogo “Altai”, Salone del mobile, Milano 2010 p. 234/247 Catalogo Romeo Gigli uomo P/E 1995, foto M.Vadukul p. 249/251 Corso Como al 10, foto Cassani & Varchetta p. 252 Immagine presentazione Milano Poesia in Corso Como, 10 p. 253 Immagine allestimento mostra di Natalie Du Pasquier in Corso Como, 10 e allestimento per presentazione profumo “ Romeo”in Corso Como, 10 p. 255/257 Immagini boutique Corso Venezia, Milano p. 259/261 Immagini boutique 46, rue de Sevignè, Paris p. 263/265 Immagini boutique South Molton street, london p. 267/271 Immagini boutique 69th street Madison Avenue, New York p. 273/275 Immagini boutique Zurich
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BIBLIOGRAFIA DELLE IMMAGINI
Un Progetto: Portraits of woman p. 283 Style life tableaux pervinka, foto Franco Petter p. 284 Bozzetto di studio per Hair & Make up Tina Modotti, Daniela D’Ortenzi by Pervinka p. 287, 288, 291 Bozzetti 1°, 2°, 3° Styling per Tina Modotti, Claudia Nesi by Pervinka p. 285, 286, 289, 290 Ritratti Tina Modotti, foto Micky Modo p. 293 Style life tableaux Pervinka, foto Franco Petter p. 294, 300 Bozzetti 1°, 2°di studio per Hair & Make up Elizabeth, Daniela D’Ortenzi by Pervinka p. 297, 298, 303 Bozzetti 1°, 2°, 3°Styling per Elizabeth, Claudia Nesi by Pervinka p. 295, 296, 299, 301,302, 304, 305 Ritratti Elizabeth, foto Micky Modo p. 305 Style life tableaux Pervinka, foto Franco Petter p. 309 Bozzetto di studio per Hair & Make up Frida Kahlo, Daniela D’Ortenzi by Pervinka p. 306, 309 Bozzetti 1°, 2°, Styling perFrida Kalho, Claudia Nesi by Pervinka p. 308, 311,312 Ritratti Frida Kalho, foto Micky Modo p. 315 Style life tableaux Pervinka, foto Franco Petter p. 316 Bozzetto di studio per Hair & Make up Tamara De Lempicka, Daniela D’Ortenzi by Pervinka p. 319, 320 Bozzetti 1°, 2°, Styling per Tamara De Lempicka, Claudia Nesi by Pervinka p. 317, 318, 321/323 Ritratti Tamara De Lempicka, foto Micky Modo p. 325 Style life tableaux Pervinka, foto Franco Petter p 326 Bozzetto di studio per Hair & Make up Marchesa Casati, Daniela D’Ortenzi by Pervinka p. 329, 330, 333 Bozzetti 1°, 2°, 3°Styling per Marchesa Casati, Claudia Nesi by Pervinka p. 327, 328, 331, 332 Ritratti Marchesa Casati, foto Micky Modo Note Bio-Bibliobrafiche
p. 336 Ritatto Romeo Gigli p. 340, 343 Immagini libreria casa Romeo Gigli p. 344 Sfilata Romeo Gigli donna A/I 88-89 uscita 1 finale Copertina: Catalogo Romeo Gigli donna P/E 90, foto I.Gallo
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L’universo è reale ma non lo puoi vedere
Ringrazio : Romeo e Lara che mi hanno sostenuta nel progetto in ogni fase della sua esecuzione. Daniela che generosamente mi ha permesso di utilizzare il materiale progettato insieme come Pervinka. Attilio e Roberta, Lucia che mi hanno sempre incoraggiato verso la conclusione e Massimiliano che pazientemente ha tollerato questa ultima lunga fase di “distrazione”.
ARTWORK: DEPARTPOURLIMAGE