COMUNICAZIONE E CONTESTAZIONE

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COMUNICAZIONE E CONTESTAZIONE I sistemi di comunicazione dei movimenti di contestazione. Analisi storica e definizione linee guida di un progetto di contestazione urbana.

Tesi di laurea di primo livello in Progetto Grafico e Virtuale Studente: Claudio Chiangone Relatore: Paolo Tamborrini


Offlaga Disco Pax

La maestra mi chiese di Massimiliano Robespierre. Le risposi che i giacobini avevano ragione e che, terrore o no, la rivoluzione francese era stata una cosa giusta. La maestra non ritenne di fare altre domande.



1a Facoltà di Architettura A.A. 2011/2012 Tesi di Laurea in Progetto Grafico e virtuale Relatore: Paolo Tamborrini Titolo tradotto in lingua inglese: ACTIVISM AND VISUAL COMMUNICATION Hystorical research and analysis of communication systems. Definition of guidelines for a draft protest. Contenuti, impaginazione e progetto grafico: Claudio Chiangone / 146241 mail: claudiochiangone@gmail.com Testo composto in Helvetica Neue LT Std Icone: http://thenounproject.com/ Stampa e rilegatura: Sirea Digital Printing - Via Belfiore 60, Torino Febbraio 2012 Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons


COMUNICAZIONE E CONTESTAZIONE I sistemi di comunicazione dei movimenti di contestazione. Analisi storica e definizione linee guida di un progetto di contestazione urbana.

Tesi di laurea di primo livello in Progetto Grafico e Virtuale Studente: Claudio Chiangone Relatore: Paolo Tamborrini


INDICE RICERCA ATTIVISMO

ATTIVISMO NO GLOBAL

I MOVIMENTI SOCIALI 14 Definizione e caratteristiche 17 Insoddisfazione ideologia e ira 18 Leadership e la teoria di Blumer 20 Evoluzione di un movimento sociale 22 Strategie di protesta

PANORAMICA ATTIVISMO NO GLOBAL 58 Origine 60 Fondatori ideologici 62 Caratteristiche 63 Ideali 66 Analisi comunicazine visiva 70 Tavola di sintesi 72 Buy Nothing Day 74 World Social Forum 75 Reverend Billy 76 Reclaim The Streets 78 Kein Mensch Ist Illegal 80 Biotic Baking Brigade 81 Zerouno.Org 82 Infernal Noise Brigade 83 Yomango 84 Rebel Clown Army 86 Anti Advertising Agency 87 Telekommunisten

STORIA CONTESTAZIONE NELLA STORIA 28 Analisi comunicazine visiva 30 Categorie di contestazione 32 Martin Luther King / Gandhi 34 Movimento Studentesco Italiano 35 Radio lbere 36 Amnesty International 38 Pantere Nere 40 Greenpeace 42 Caduta del Muro di Berlino 44 Critical Mass 46 Torino Pride 48 No Tav 49 Femen 50 Indignados 51 Primavera Araba

TIPOLOGIE DI ATTIVISMO 88 Strumenti di comunicazione CASE HISTORY 94 Introduzione 96 Linee guida case history 98 Occupy Wall Street 110 Serpica Naro 120 The Yes Men


PROGETTO

APPENDICE

METAPROGETTO

DOCUMENTAZIONE

SCENARIO DI CONTESTAZIONE 134 Modelli di sharing 136 Focus ANALISI CONCETTUALE 138 Obiettivo 140 Concept CASE HISTORY 142 Introduzione 144 Sao Paulo No Logo 146 Ken Josephson 147 To Design To 148 Red Bull Street Art View 149 Steinbrener Dempf TABELLA ESIGENZIALE

192 Bibliografia 193 Sitografia

ENJOY THIS VIEW CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE 154 Progetto STRUTTURA COMUNICAZIONE 158 Attacco virale 160 Liberazione virtuale 162 Piattaforma online 164 Logotipo 166 Manifesto Enjoy This View 168 Enjoy This Park 170 Enjoy This Hill 178 Applicazione Mobile 182 Sito web

RINGRAZIAMENTI 196 Grazie moltissimo


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INTRODUZIONE Con il termine rivoluzione si parla di un profondo mutamento di una situazione politica, sociale, economica, o culturale. Alla base di ogni rivoluzione c’è un senso d’insoddisfazione generale, un malumore venutosi a creare nei confronti di situazioni di vita precarie o di grandi ingiustizie sociali. Come sarà trattato nello specifico nelle pagine di questa tesi, dietro ogni rivoluzione ci sono delle persone che si uniscono sotto un’unica identità per manifestare ed esprimere insieme il senso di disagio che ha spinto loro a scendere nelle piazze e alzare la voce. Nella fase di ricerca si è deciso di soffermarsi sul concetto d’identità. Essendo questo un corso di comunicazione visiva il tema era ambizioso: capire quali sono i metodi di comunicazione usati dai diversi movimenti di contestazione e se era possibile definire delle linee guida comuni, delle caratteristiche rappresentative che sintetizzino le azioni rivoluzionarie. Ad esempio: qual è la forza comunicativa che rende cosi forte un manifesto politico, un logo, o un simbolo, con il quale il popolo si raffigura? Cosa c’è dietro uno slogan? E perché le

più riuscite contestazioni nel corso della storia sono quelle avvenute per mano di movimenti sociali che avevano un’identità netta, rigorosa, ben progettata, con un’organizzazione simile a quello di una grande azienda multinazionale, le stesse aziende che sono messe in discussione da questi movimenti? Quest’affermazione nasce come una provocazione, una sorta di dissidenza interna che mi spinge sempre a mettere tutto in discussione, anche le teorie di Naomi Klein, fondatrice ideologica dei no global, movimento sul quale è stata fatta un’ampia e scrupolosa analisi, partendo da una panoramica generale di attivisti per arrivare a casi specifici, analizzati nel dettaglio dal punto di vista comunicativo e visivo. È stato stimolante accostare strumenti del campo del graphic design, uno su tutti il concetto di immagine coordinata, ad un movimento che fa della lotta al brand il suo punto di forza. Oltre alla fase di ricerca storica e quella più specifica sull’attivismo no global sono state tracciate delle linee guida sui sistemi di comunicazione, analizzando prima le diverse tipologie di attivismo e


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gli strumenti adottati per ciascuna. Per quanto riguarda la parte di progetto la scelta del tema è stata un pretesto per usare le conoscenze acquisite durante la fase di ricerca. Partendo da un caso specifico come la gestione degli spazi pubblicitari da parte di una multinazionale nella città di Milano, si è deciso di approfondire il tema dell’invasività da parte dei manifesti pubblicitari, definendo quattro concept generali per poi analizzare una serie di casi studio che mi hanno aiutato in fase di tabella esigenziale. Il progetto ENJOY THIS VIEW si pone come proposta a livello internazionale, vuole radunare attraverso un sistema ludico persone che contestano l’abusivismo e l’invasività con cui molti cartelloni pubblicitari sono stati impiantati negli spazi cittadini.


RICERCA


Corteo Movimento Studentesco


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ATTIVISMO


I MOVIMENTI SOCIALI 14

DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE I movimenti sociali sono definiti come ‘reti di relazioni prevalentemente informali, basate su credenze condivise e nuove identità, che si mobilitano su tematiche conflittuali, attraverso un uso frequente di varie forme di protesta. In primo luogo, i movimenti sociali possono essere considerati come sistemi di relazioni informali tra una pluralità di individui, gruppi e/o organizzazioni. A differenze dei partiti o dei gruppi di pressione, dove l’appartenenza è generalmente sancita da una tessera d’iscrizione, i movimenti sociali sono composti da reticoli dispersi e debolmente connessi di individui che si sentono parte di uno sforzo collettivo. È importante definire alcune caratteristiche fondamentali per la caratterizzazione di un movimento sociale. Innanzitutto è corretto distinguerli dalle organizzazioni: sono reti di relazioni tra diversi attori, che possono includere, a seconda delle condizioni, anche organizzazioni dotate di una struttura formale. Una delle caratteristiche dei movimenti è il poterne far parte, sentendosi coinvolti in uno sforzo collettivo, senza dover aderire a una specifica

organizzazione. In secondo luogo tali reticoli, per essere considerati un movimento sociale, e quindi differenziarsi da semplici fenomeni collettivi di aggregato, come le mode o il panico, devono elaborare un sistema di credenze condivise e una nuova identità. Caratteristica dei movimenti sociali è infatti l’elaborazione di visioni del mondo e sistemi di valori alternativi rispetto a quelli dominanti. Per questo motivo i movimenti sono considerati come protagonisti del mutamento sociale, “profeti del presente”, poiché “come i profeti, parlano avanti, annunciano il mutamento possibile”. Diversamente dai gruppi di pressione, i movimenti sociali non mirano prevalentemente a rappresentare gli interessi dei loro iscritti o simpatizzanti, ma si propongono come portatori di modelli alternativi per la società e il sistema politico in generale. Terza caratteristica, che li contraddistingue dalle altre forme di azione collettiva come il volontariato, l’associazionismo, il gruppo d’interesse o il partito, è che l’azione dei movimenti sociali è di tipo conflittuale. I movimenti


Manifestazione a favore dei dirittii degli omosessuali


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avanzano rivendicazioni mediante un’azione di sfida diretta, rivolta contro autorità politiche, determinati codici culturali o altri gruppi. Infine, i movimenti sociali si distinguono da altri attori politici, come i partiti e i gruppi di pressione, per il fatto di adottare forme particolari di comportamento politico, in primis l’utilizzo della protesta come modo di fare pressione politica. Chi protesta si rivolge in genere all’opinione pubblica, prima ancora che ai rappresentanti elettorali o alle burocrazie pubbliche. Mancando di canali d’accesso alle istituzioni, i movimenti sociali tendono ad utilizzare i mass media come cassa di risonanza: da ciò ne consegue il bisogno di forme d’azione inusuali che attraggono l’attenzione dei media stessi. I movimenti sociali hanno origine nei momenti di crisi, o di diffusa insoddisfazione e critica nei confronti dell’ordine sociale esistente. Sono i sentimenti d’insoddisfazione e d’ingiustizia, che causano frustrazione e risentimento nei confronti delle norme e dei valori di un dato sistema sociale. Come è stato riscontrato dagli studiosi di scienze sociali, un movimento si forma

quando individui, che hanno in comune un’identità collettiva, condividono questo sentimento di insoddisfazione e si aggregano per protestare contro lo stato delle cose. Bisogna fare un appunto e dire che questi stessi fattori che facilitano la mobilitazione, sono in realtà anche potenziali fattori di disgregazione del movimento stesso. Un movimento sociale si forma attraverso la convergenza e la fusione di appartenenze precedenti: è stato riscontrato che gli individui che prendono parte alla mobilitazione, hanno già un’esperienza di partecipazione in altre reti organizzative. Questa fusione di appartenenze precedenti rende i movimenti instabili al loro interno, poiché emergono continui problemi d’integrazione e di mantenimento dell’unità. Mancando procedure istituzionalizzate per la formazione di decisioni e un sistema riconosciuto di norme, ogni sottogruppo tenderà a partecipare in funzione dei propri interessi particolari. Questo insieme di spinte devono essere controllate perché il movimento possa sopravvivere.


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INSODDISFAZIONE IDEOLOGIA IRA Il sentimento che accomuna gli individui che fanno parte del movimento sociale è l’insoddisfazione nei confronti delle realtà esistente, e la convinzione che non viene fatto nulla da parte del sistema per migliorare la situazione presente; questi soggetti ipotizzano una visione ideale di come dovrebbero andare le cose, creano un’ideologia. Le funzioni dell’ideologia sono molteplici: la definizione dei problemi, l’individuazione delle possibili soluzioni, la motivazione dell’azione, l’identificazione di un avversario, la definizione di un oggetto o di una posta in gioco. L’ideologia è l’elemento che fornisce unità al movimento e rafforza i legami tra i membri, che crea in poche parole tutte le condizioni che permettono la mobilitazione dell’attore sociale. Le ideologie dei movimenti sociali sono state considerate come utopiche, astratte, basate sulla netta distinzione tra amici e nemici. La loro forza risiederebbe nella capacità di convincere la popolazione dell’importanza degli obbietti perseguiti dal movimento. L’ideologia, grazie alla definizione degli obiettivi collettivi delle

lotta e dell’identificazione dell’avversario contro cui il movimento si batte, permette di passare dall’insoddisfazione all’azione per cambiare le condizioni che generano il malcontento. L’azione è spesso motivata dalla rabbia, detta più propriamente ira, e definita come stato psichico alterato, in genere suscitato da uno o più elementi di provocazione, capace di rimuovere alcuni dei freni inibitori che, normalmente, stemperano le scelte del soggetto coinvolto. L’ira, data dall’insoddisfazione di una determinata condizione sociale, ha un’altissima capacità di mobilitare folle di persone, classi sociali o interi popoli che si sentono oppressi, discriminati, vittime di soprusi e torti. In questo senso è una passione contagiosa e dirompente, che può fermentare in maniera spontanea, macerando l’animo o, essere manipolata e utilizzata come testa d’ariete per produrre eventi di portata storica, alcuni dei quali verranno analizzati nella sezione successiva: La contestazione nella storia.


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LEADERSHIP E LA TEORIA DI BLUMER AGITATORE DI FOLLE PROFETA DEL PRESENTE RESPONSABILE INTERNO UOMO DI STATO

Per poter trasformare in realtà la visione ideale, si deve sviluppare un sistema organizzativo che sia in grado di “mantenere in vita” il movimento, e di coordinare le azioni del movimento verso la realizzazione del proprio fine. Questo processo è gestito da un gruppo di persone, che costituiscono il nucleo attorno al quale verrà formandosi il nuovo movimento, e che diverranno i leaders dello stesso. I leaders (anche se spesso viene identificato in un movimento sociale un unico leader, è più appropriato esprimersi nei termini di un gruppo di leaders) hanno il compito di definire gli obiettivi del movimento, di provvedere ai mezzi per l’azione, di proporre l’ideologia ai seguaci per mezzo di discorsi e pubblicazioni, di pianificare la strategia. Le diverse fasi di sviluppo di un movimento collettivo richiedono una leadership diversa con caratteristiche specifiche. Se distinguiamo nel ciclo vitale di un movimento quattro fasi, come ha fatto Blumer, possiamo descrivere il tipo di leadership presente in ciascuna fase. Ad ognuna delle quattro fasi corrisponde un tipo diverso di lea-


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dership. Blumer sostiene che durante la prima fase di fermento sociale, il leader tipico è un agitatore, una persona che ‘smuove le acque’. Durante la seconda fase di eccitazione popolare, è necessario un profeta, per diffondere il messaggio e suscitare entusiasmo tra i seguaci. Nella terza fase di organizzazione formale c’è bisogno di un amministratore, che organizzi e coordini il movimento e ne definisca i requisiti di appartenenza. Durante la fase finale d’istituzionalizzazione, il movimento diventa più burocratico e il leader tipico è un uomo di stato, che capisce la realtà politica, e aiuterà il movimento a raggiungere i suoi obiettivi. A volte, un solo leader può riassumere in sé tutte le caratteristiche sopra menzionate ma, di solito, un movimento ha bisogno di leader diversi per le varie fasi del suo sviluppo. Ciò comporta la possibilità che, all’interno del movimento, accadano conflitti tra soggetti che rivestono posizioni di vertice. I fondatori del movimento, per esempio, possono essere in disaccordo con coloro che lo gestiscono in quel determinato momento, con una conseguente formazione

di fratture o correnti all’interno del movimento stesso. Da quanto emerge sopra, anche per i movimenti sociali sembrerebbe valida la legge ferrea dell’oligarchia, enunciata da Robert Michels, secondo la quale per sopravvivere come organizzazione un “partito politico” deve dare sempre meno importanza all’ideologia, e concentrarsi sulla propria sopravvivenza all’interno del sistema. Secondo questa teoria i movimenti sociali, come i partiti politici, si burocratizzano. Nella realtà è stato riscontrato dagli studiosi che l’evoluzione dei movimenti sociali non segue un modello costante: i movimenti sociali si evolvono in modi diversi, e l’analisi di Blumer sui cicli di vita dei movimenti sociali e sui relativi tipi di leadership presenti nel movimento, non può essere considerata valida per tutti i movimenti sociali. Sembrerebbe più giusto affermare che ci sono movimenti che completano il ciclo (s’istituzionalizzano), altri invece che si fermano a una delle fasi del ciclo e altri ancora che scompaiono del tutto.


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EVOLUZIONE DI UN MOVIMENTO SOCIALE Il movimento per mantenersi nel tempo, cercare di raggiungere i propri obiettivi e non esaurirsi al termine di una protesta, deve sviluppare una struttura organizzativa al proprio interno. In realtà i movimenti non diventano un’organizzazione nel senso proprio del termine, ma restano sempre delle reti di relazioni. Diviene necessaria una coordinazione interna per svolgere tutte quelle attività necessarie sia al mantenimento in vita del movimento, che al raggiungimento dei propri fini. I compiti dell’organizzazione di un movimento sono diversi: come l’elaborazione delle strategie per raggiungere l’obiettivo, il coordinamento delle campagne di protesta e la rappresentazione del movimento all’interno delle istituzioni. Caratteristica dell’organizzazione è di essere segmentata con differenti cellule che crescono e muoiono in breve tempo, policefala, con numerosi leaders che controllano piccole frazioni del movimento, reticolare, cioè basata su legami multipli tra cellule autonome che costruiscono delle reti dai confini indefiniti. Altra caratteristica dell’organizzazione è la struttura partecipativa, dove si afferma

come valore principale la democrazia diretta, tendendo a distribuire il potere fra molti individui, riconoscendo in maniera solo limitata la delega e favorendo le elaborazioni di decisioni consensuali. Il passaggio dalla protesta all’organizzazione interna di un movimento avviene secondo modalità diverse, non segue un modello unico. Il tipo di organizzazione che emerge dipende da come il movimento risponde agli stimoli e ai vincoli che gli provengono dalla sua struttura interna e dall’ambiente in cui opera, e anche dal fatto che il tipo di organizzazione muta anche a seconda di come si evolve il movimento. Più che una classificazione delle formule organizzative, è preferibile elencare alcune caratteristiche dei movimenti sociali che influenzano il tipo di organizzazione che questo assume. Queste caratteristiche sono: il tipo di obiettivo perseguito, i requisiti di appartenenza richiesti, i rapporti che s’instaurano con l’ambiente esterno e gli incentivi che forniscono ai membri. In base al tipo di obiettivo perseguito dal movimento si avrà una particolare forma


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di organizzazione. Si può distinguere tra movimenti espressivi e movimenti strumentali. Altra caratteristica cui fanno riferimento gli studiosi delle scienze sociali per individuare le caratteristiche che assume l’organizzazione del movimento, sono i requisiti di appartenenza richiesti agli individui. Si può distinguere in organizzazioni inclusive ed esclusive. Le prime non hanno meccanismi rigidi di selezione dei membri e richiedono un livello d’impegno relativamente scarso, non prevedono specifici doveri, e il ruolo dell’ideologia è molto debole. Le organizzazioni esclusive invece, controllano rigidamente i processi di aggregazione all’interno dei movimenti, richiedono un’intensa identificazione ideologica e un elevato impegno all’interno dell’organizzazione, qui invece ci sarà un’organizzazione di tipo più centralizzata. Ancora possiamo distinguere l’organizzazione dei movimenti sociali in base ai rapporti che instaurano con l’ambiente e, in particolare con le altre organizzazioni. Ci sono movimenti che non hanno rapporti con altre reti associate, oppure quelli che hanno appartenenze multiple e

leadership comunicanti con altre organizzazioni. Le organizzazioni possono essere classificate anche secondo il tipo d’incentivi che forniscono ai membri: come incentivi materiali, di solidarietà, di valore. Trasformazioni tecnologiche, sviluppo economico, hanno influenzato non solo le tattiche dei movimenti, ma anche la loro struttura organizzativa. L’evoluzione dei mezzi di comunicazione, dalla carta stampata ai media elettronici come radio, televisione e internet (nella nuova forma del web 2.0, con tutte le piattaforme sociali che sono nate fuori di conseguenza), ha permesso di esternare alcuni costi: se prima erano necessarie organizzazioni ben strutturate per far circolare i messaggi, oggi sono sufficienti organizzazioni “leggere” che catturino l’attenzione dei media. La diffusione dei mezzi di comunicazione globali (social networks, blog, forum, posta elettronica e, come ultimo fenomeno, il crow-funding) ha ridotto drasticamente i costi del coordinamento.


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STRATEGIE DI PROTESTA NON VIOLENTA

PERTURBATIVA

VIOLENTA

Per protesta s’intende una forma nonconvenzionale di azione che interrompe la routine quotidiana. Le forme di protesta utilizzate dai movimenti sociali, possono essere distinte in non-violente, perturbative e violente. Le forme di protesta sono un indicatore dei comportamenti dei movimenti, sono considerate come forme tipiche di azione collettiva dei movimenti sociali (anche se altri attori la utilizzano), cioè propria di quegli attori che, a differenza dei partiti o dei gruppi di pressione, sono meno dotati di canali di accesso ai decisori pubblici. E’ stato osservato dagli studiosi delle scienze sociali che i movimenti utilizzano forme di protesta che mirano a intimorire le èlite attraverso una dimostrazione della forza numerica ma anche della determinazione degli attivisti. La protesta serve anche a raccogliere consensi: deve essere abbastanza innovativa da raggiungere i mezzi di comunicazione di massa e, attraverso essi, un pubblico ampio che i movimenti cercano di convincere della giustezza dei loro obiettivi. Oltre alla distinzione già accennata sopra fra forme di prote-


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sta pacifiche, perturbative e violente, le forme d’azione dei movimenti possono essere distinte anche a seconda che abbiano strategie culturali, cioè mirano ad una trasformazione interiore, o strategie politiche, cioè che cerchino soprattutto un cambiamento della realtà esterna. Ma a loro volta queste strategie si caratterizzano per i diversi gradi di radicalismo: dalla moderata evoluzione subculturale alla radicale sfida controculturale nel primo caso, dal negoziato allo scontro, nel secondo. Le tattiche di protesta messe in atto dai movimenti sono influenzate dagli scopi che si vuole raggiungere con la protesta. Le varie forme di protesta sono essenzialmente riconducibili a tre logiche: quella dei numeri, quella del “danno materiale” e quella della testimonianza. La prima fa leva sul numero dei sostenitori del movimento ed è alla base di forme di protesta come i cortei, i referendum e le petizioni, che ad esempio negli anni Ottanta venivano utilizzate dai movimenti pacifisti per bloccare l’installazione dei missili a testata nucleare Cruise e Pershing II. I movimenti sociali cercherebbero

di mobilitare il maggior numero possibile di dimostranti, con lo scopo di richiamare i rappresentanti eletti mostrando che, almeno su alcuni temi, esiste nel paese una maggioranza diversa rispetto a quella parlamentare. La paura di perdere elettori dovrebbe quindi spingere i rappresentanti del popolo a rivedere la propria posizione, riallineandola con quella del paese reale. La seconda si basa sulla capacità di produrre danni a cose o persone, il che può derivare da scioperi, da azioni di boicottaggio o, addirittura quella prospettiva violenta che è alla base degli atti terroristici. Questa è la logica che troviamo alla base ad esempio dello sciopero nell’industria. Scopo di questo tipo di protesta è arrecare un danno materiale al datore di lavoro; il danno economico dovrebbe spingere l’imprenditore razionale a scendere a patti con i lavoratori per evitare altre perdite. A parte il caso specifico degli scioperi nelle fabbriche, nella maggior parte delle forme di protesta utilizzate dai movimenti, possiamo riscontrare un tipo di azione che cerca di interrompere la ruotine quotidiana, che minaccia disordine.


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Accanto ad azioni che seguono la logica dei numeri o quella del ‘danno’, si sono sviluppate, soprattutto a partire dagli anni Settanta, forme di protesta basate su una logica delle testimonianza. Queste azioni non mirano a convincere il pubblico o gli eletti che coloro che protestano rappresentano la maggioranza, né che essi costituiscono un potenziale di minaccia per l’equilibrio del sistema, ma vogliono dimostrare un forte impegno per un obiettivo considerato di vitale importanza per le sorti dell’umanità. Attraverso azioni come la disobbedienza civile (infrazione consapevole di una serie di leggi considerate ingiuste), sciopero della fame e tante altre, i dimostranti cercano di testimoniare la convinzione che sia indispensabile, anche correndo alti rischi (come l’arresto), fare qualcosa contro una decisione o una situazione ritenuta profondamente ingiusta. Le forme di protesta, come l’ideologia, l’organizzazione e la leadership possono variare nel tempo: negli anni Sessanta si era osservata una tendenza a mantenere l’attenzione dei media e il potenziale di minaccia accentuando soprattutto la

radicalità delle azioni. Recentemente sono state individuate dagli studiosi due nuove tendenze: la diffusione della protesta anche ad attori istituzionali, e la crescente moderazione dei repertori d’azione utilizzati dai movimenti stessi.Per forme di protesta non-violente s’intendono gli scioperi, le azioni dimostrative come i cortei o i raduni pubblici, le petizioni e il volantinaggio. Le azioni perturbative sono di vario tipo: le occupazioni (la forma più diffusa negli anni Sessanta), i sit-in, le irruzioni in scuole o edifici pubblici cui è vietato l’accesso, il blocco di pubbliche funzioni (come ad esempio il blocco del traffico), bruciare delle effigi o delle immagini, lo sciopero della fame, incatenarsi ad un cancello. Le forme di violenza utilizzate negli episodi di protesta sono gli scontri con la polizia, quelli di piazza, i danni ai beni materiali, gli attacchi violenti, la violenza contro obiettivi causali. I movimenti utilizzano in genere queste forme di violenza quando le azioni collettive non-violente perdono la loro capacità comunicativa non riuscendo più ad avere lo stesso impatto mediatico iniziale.


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STORIA


CONTESTAZIONE NELLA STORIA 28

ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA L’origine della parola attivismo è attribuibile alla stampa belga che adoperò nel 1916 la parola activisme e activiste riferendosi al movimento Flamingant. L’attivismo come attività o organizzazione collettiva che cerca volontari per preparare azioni – che comprende le più disparate – contro l’ordine precostituito appare molto prima ed è riscontrabile in diversi momenti nella storia e sotto le più diverse e svariate forme. Storicamente possiamo individuare nelle corporazioni medievali un primo impulso verso l’associazionismo spontaneo, inizialmente esterno al potere, che poi sarà determinante nel formare gruppi di persone dissidenti, con gli stessi interessi e obiettivi, nella fattispecie, per salvaguardare il monopolio e le autonomie conquistate. Ma il termine attivismo è sicuramente un termine maggiormente legato al XX secolo per il fatto che questo è il secolo delle masse e della comunicazione di massa, in cui ogni fenomeno o diventa “di massa” oppure non esiste, in cui la diffusione del fenomeno non è trascurabile data l’importanza che assume a

livello sociale. Perciò, seppur esistevano già organizzazioni “attiviste”, si può parlare d’attivismo, nella connotazione che ha assunto attualmente, quando questo sviluppa la volontà di comunicare con le masse. Ciò accade a partire dal 1900 e raggiunge il suo culmine dopo la seconda guerra mondiale, con il movimento del ‘68, arrivando fino ai giorni nostri con la Primavera Araba. Sono stati analizzati alcuni dei movimenti più importanti avuti nel corso della storia, quelli che hanno fatto della contestazione il proprio cavallo di battaglia, i più incisivi dal punto di vista dello sviluppo dell’identità visiva, dei sistemi di comunicazione adottati e dell’approccio mediatico scelto per reclamare i propri ideali. Per un’esigenza di ordine progettuale e una maggiore comprensione da parte del lettore, sono state create quattro categorie di contestazione: diritti umani, politica, ambientale, culturale.


presidio Pantere Nere davanti la lora sede


CATEGORIE DI CONTESTAZIONE

D

P

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DIRITTI UMANI

POLITICA

In questa categoria sono stati trattati alcuni delle persone (o gruppi di attivisti) che si sono battute affinché vengano rispettati i fondamentali diritti dell’uomo. Sono stati trattati personaggi del calibro di Gandhi o Martin Luther King, nonostante non abbiano utilizzato un sistema d’identità visiva, ma non si poteva ignorare chi ha fatto della disobbedienza civile pacifica il proprio manifesto politico, utilizzando metodi a quell’epoca rivoluzionari come i sit-in o l’occupazione non violenta. Negli stessi anni si affermano sulla scena sociale alcuni movimenti come quello omosessuale e quello femminista (in realtà il femminismo nasce storicamente nell’Ottocento). Per quanto riguarda questi ultimi due movimenti, sono state analizzate realtà più odierne, come il gay pride di Torino del 2006 e il movimento Femen, dato che hanno un’immagine coordinata ben delineata. Non si poteva tralasciare Amnesty International, che si annovera in quella fascia dell’attivismo che più si è avvalsa di mezzi non convenzionali per comunicare i propri intenti.

Rientrano dentro la categoria di contestazione politica movimenti come quello delle pantere nere che scriverà alcune delle pagine più famose della contestazione statunitense dove le olimpiadi di Messico 68 diventarono la vetrini per gli atleti neri per dare alle loro medaglie una forte valenza ideologica. La premiazione di Tommie Smith e John Carlos, che ricevono rispettivamente una medaglia d’oro e una di bronzo è diventata un’immagine iconografica talmente forte da vivere ancora adesso nella memoria collettiva. Un evento odierno di contestazione, che ha aperto un po’ il passo all’ondata di rivoluzioni avvenute nel corso degli anni è stata la Primavera Araba. Si definiscono così proteste ed agitazioni in corso nelle regioni del medio oriente e vicino oriente e del nord Africa. Questa rivoluzione è importante anche da un punto di vista comunicativo, dato che sono stati prodotti molti manifesti politici anti regime. Con la mostra Le Peuple Veut avvenuta a Torino, sono stati riproposti molti dei poster utilizzati in Tunisia e affissi lungo le strade.


A

C 31

AMBIENTALE

CULTURALE

Dal punto di vista comunicativo sono diversi i movimenti che si battono per la tutela delle risorse ambientali, non si poteva non citare Greenpeace che, fin dal suo primo intervento, ha unito l’azione sul campo con quella mediatica. In generale potremmo definire il modo di agire e di comunicare di Greenpeace come non convenzionale, perché unisce l’azione alla comunicazione. Sea Sheperd è un’associazione nata da uno dei primi attivisti di Greenpeace, Paul Watson. Come si potrà vedere nella panoramica dedicata, i sistemi di comunicazione (a partire dal logo stesso, una bandiera di pirati) sono molto più duri e impositivi di quelli di Greenpeace. Di Critical Mass è molto importante il concetto alla base: più che un movimento è una situazione, un’occupazione temporanea, una rivendicazione del suolo pubblico. Come ultimo movimento si è analizzato quello No Tav, che nonostante sia nato da poco riflette una scarsa progettazione dal punto di vista visivo.

Per contestazione culturale s’intendono tutti quei movimenti o eventi che culturalmente hanno rivoluzionato, o comunque influito di molto, la nostra società. Il 1968 è stato per molti versi un anno particolare, nel quale grandi movimenti di massa sembrarono far vacillare governi e sistemi politici in nome di una trasformazione radicale della società. La portata della partecipazione popolare e la sua notorietà, oltre allo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente concentrato ed intenso, contribuirono ad identificare col nome dell’anno il movimento, il Sessantotto appunto. Sempre in questi decenni di protesta gli stessi movimenti furono laboratori di una cultura underground che sperimentava nuovi messaggi e nuovi linguaggi come le radio libere. Verso la fine degli anni 80 un altro avvenimento segnerà nettamente la nostra società: la caduta del Muro di Berlino, su cui molti artisti internazionali hanno posto la loro “firma”. In tempi odierni, in Spagna è avvenuta una nuova rivoluzione sociale partita dal movimento 15M, più comunemente conosciuti come Indignados.


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USA1961

MARTIN LUTHER KING / GANDHI Il movimento per i diritti civili di Martin Luther King e quello pacifista sono i classici esempi in cui scopi e mezzi coincidono indissolubilmente. Infatti, è impossibile ricercare la pace e attraverso la guerra. Emblematica la figura di Gandhi che con il suo movimento non violento riuscì a portare l’indipendenza nel suo paese e a far conoscere la pratica della disobbedienza civile e dei sit-in che vennero ben presto utilizzati anche in occidente. Unanimemente riconosciuto apostolo instancabile della resistenza non violenta, eroe e paladino dei reietti e degli emarginati, “redentore dalla faccia nera”, Martin Luther King si è sempre esposto in prima

Apparizioni pubbliche di Martin Luther King e del Mahatma Gandhi

linea affinché fosse abbattuta nella realtà americana degli anni cinquanta e sessanta ogni sorta di pregiudizio etnico. Ha predicato l’ottimismo creativo dell’amore e della resistenza non violenta, come la più sicura alternativa sia alla rassegnazione passiva che alla reazione violenta preferita da altri gruppi di colore, come ad esempio, i seguaci di Malcolm X.


La marcia su Washington avvenuta nel 1963


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Italia 1968

MOVIMENTO STUDENTESCO ITALIANO 68 Movimento Studentesco o MS fu il nome di un’organizzazione extraparlamentare studentesca di sinistra, forte in molti atenei, particolarmente a Milano. Le iniziative furono per lo più contraddistinte da occupazioni (di scuole e fabbriche) e manifestazioni con tutto l’apparato comunicativo che si trascinavano dietro (slogan, striscioni, volantini, scritte sui muri) ma, come detto prima, anche da una forte partecipazione operaia. I documenti storici, come le fotografie e i video, che adesso potevano essere prodotti molto più facilmente divennero uno degli strumenti più efficaci per informare la popolazione

ignara e influenzare l’opinione pubblica, specie quando fu chiaro che i governi alteravano le notizie per non perdere il sostegno. Nonostante fosse diffusa in tutto il mondo, la protesta giovanile si spense, all’inizio degli anni ‘70, ovunque senza aver riportato apparentemente risultati significativi. Il Sessantotto, quindi, si caratterizzò come una rivolta etico-politica dei giovani contro la società, piuttosto che come un insieme di movimenti politici finalizzati alla realizzazione di un programma ben definito.

A sinistra una manifestazione studentesca, a destra un manifesto che incita l’unione con la classe operaia


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Italia 1960 - 70

RADIO ALICE E A/TRAVERSO Sempre intorno agli anni sessanta e settanta, nascono le prime radio libere e impazzano le riviste che fanno controcultura e controinformazione. Tra le più importanti c’è sicuramente A/traverso, una rivista underground fondata a Bologna nel 1976. La rivista nacque all’interno dell’ambiente universitario bolognese; molti dei membri del collettivo facevano parte del nucleo redazionale di Radio Alice. Nel 1976 la redazione della rivista realizzò anche un libro che esponeva il manifesto programmatico del gruppo: “Alice è il diavolo. Sulla strada di Majakovskij: testi per una pratica di comunicazione sovversiva”. Al centro degli interessi della rivista c’era

soprattutto una riflessione critica sull’uso dei mezzi di comunicazione e sull’elaborazione di un linguaggio autenticamente rivoluzionario, capace di interrompere ed invertire il flusso comunicativo tradizionale. Il tentativo di elaborare una “nuova comunicazione” passava anche attraverso l’impostazione grafica della rivista, ottenuta con un cut-up di ritagli di giornale, vignette, slogan scritti a mano e articoli battuti a macchina e stampati in modo caotico. Il gruppo diede vita ad una serie di azioni urbane come il sabotaggio dei semafori, le occupazioni di teatri e sale cinematografiche, la stampa e distribuzione di falsi biglietti del treno e dell’autobus.

Pagine della rivista A/Traverso


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Londra 1961

AMNESTY INTERNATIONAL Amnesty International è un’organizzazione non governativa sovranazionale impegnata nella difesa dei diritti umani. Lo scopo di Amnesty International è quello di promuovere, in maniera indipendente e imparziale, il rispetto dei diritti umani sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani e quello di prevenirne specifici abusi. Fondata il 28 maggio 1961 dall’avvocato inglese Peter Benenson, l’organizzazione conta oggi oltre due milioni di sostenitori, che risiedono in 140 nazioni. Il suo simbolo è una candela nel filo spinato. Ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1977 per l’attività di “difesa della dignità umana contro la tortura, la violen-

Azione/sit in Close Guantanamo

za e la degradazione”. L’anno seguente è stata insignita del Premio delle Nazioni Unite per i diritti umani. La visione di Amnesty International è quella di un mondo in cui ad ogni persona sono riconosciuti tutti i diritti umani sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Nel perseguimento di questa visione, la missione di Amnesty International è quella di svolgere ricerche e azioni per prevenire e far cessare gravi abusi dei diritti all’integrità fisica e mentale, alla libertà di coscienza e di espressione e alla libertà dalla discriminazione, nell’ambito della propria opera di promozione di tutti i diritti umani.


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Campagna It’s not happening here. But is happening now.


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Oakland 1966

PANTERE NERE Pantere Nere o Black Panther Party è stata un’organizzazione rivoluzionaria afroamericana marxista-leninista-maoista degli Stati Uniti. Nata alla fine degli anni sessanta, l’organizzazione divenne famosa nella scena politica nazionale statunitense ottenendo anche una notevole considerazione all’estero, fino a quando, a causa di divisioni interne e repressione da parte del governo, cominciò la sua parabola discendente. Il simbolo, la pantera nera, deriva dalla preesistente “Organizzazione per la libertà della contea di Lowndes”, in seno alla quale i membri del futuro Black Panther Party iniziarono a organizzarsi politicamente. L’organizzazione fu fondata ufficialmente a Oakland (California) nel 1966, per iniziativa di due ex-compagni di scuola, Huey P. Newton e Bobby Seale. L’obiettivo era di sviluppare ulteriormente il movimento di liberazione degli afroamericani fino ad allora pesantemente discriminati, socialmente, politicamente e legislativamente. La peculiarità delle Pantere fu quella di rifiutare le istanze integrazioniste di King: al principio della nonviolenza sostituirono quello dell’autodifesa

Olimpiadi Messico 1968, premiazione 200 metri

(self-defence) come strumento di lotta fondamentale. Militante del Black Panther Party, di cui divenne in seguito Ministro della Cultura, Emory Douglas rappresenta meglio di chiunque altro la figura dell’artista che si pone al servizio della rivoluzione e della causa del suo popolo. La sua è una rappresentazione viva di una rabbia e un indignazione che devono diventare lotta e che spingono alla rivolta poveri ed emarginati. Anche la tecnica è nuova; collage di disegni e fotografie utilizzo di tecniche fotostatiche, presstype, texture, mescolati ad una stampa quasi sempre in bicromia. Il tutto è dovuto alla velocità delle esigenze politiche, ai pochi soldi e ad i limitati mezzi tecnologici a disposizione, ma contribuisce a creare un iconografia potente e di riferimento che segnerà profondamente gli anbiti culturali di quegli anni diventando anche riferimento per molta della cultura street-art dei decenni successivi. Emory Douglas ha tra l’altro creato il design del giornale/settimanale del Black Panther Party, supervisiondone il layout e la produzione fino a quando l’esperienza ebbe fine nel 1979-80.


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Una delle copertine del giornale/settimanale The Black Panther

Illustrazioni di Emory Douglas


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Vancouver 1971

GREENPEACE Greenpeace è un’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista fondata a Vancouver nel 1971. È famosa per la sua azione diretta e non violenta per la difesa del clima, delle balene, dell’interruzione dei test nucleari e dell’ambiente in generale. Negli ultimi anni l’attività dell’organizzazione si è rivolta ad altre questioni ambientali come il riscaldamento globale, l’ingegneria genetica e la pesca a strascico. Greenpeace ha uffici nazionali e regionali in quarantuno paesi, tutti affiliati con Greenpeace International, con sede ad Amsterdam. L’organizzazione è finanziata tramite contributi individuali da parte di circa 2,8 milioni donatori e fon-

Campagna Green Fishing

dazioni non profit, ma non accetta fondi da governi o grandi aziende. Greenpeace basa la propria testimonianza su tre fattori fondamentali. Il primo è l’azione diretta e non violenta, manifestando direttamente in luoghi ritenuti importanti per i messaggi che vuole trasmettere, ma senza l’uso della forza. Il secondo è la scientificità in quanto ogni dossier, report o altra documentazione sono basati su una precedente ricerca. L’ultimo fattore è l’indipendenza in quanto non riceve cospicui sostegni in denaro da nessun ente governativo o multinazionale privata per evitare possibili manipolazioni dei risultati scientifici o delle attività intraprese.


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Usa 1977

SEA SHEPHERD La Sea Shepherd Conservation Society è un’organizzazione non-profit, registrata negli Stati Uniti, e una fondazione (Stichting) registrata in Olanda. I membri si autodefiniscono eco-pirati e navigano battendo bandiera nera (Jolly Roger), che è anche il logo dell’associazione. L’organizzazione è stata fondata nel 1977 da Paul Watson, uno dei tre fondatori di Greenpeace, dopo aver concluso che il testimoniare “con contegno” ai disastri ambientali era una risposta inadeguata se confrontata all’applicazione dell’attuale sistema internazionale di leggi, regolamenti e trattati. Sebbene accusati di usare violenza, i membri hanno dichiarato che, per

impedire questi crimini, applicano la forza, non la violenza. In effetti tale affermazione è supportata dal fatto che, in diversi decenni di attività, i membri dell’organizzazione non sono mai stati condannati. In una serie di poster scene di pesca nella quale i panda prendono il posto dei tonni. Le immagini choc proposte dall’associazione usano la fama del panda simbolo di una specie da proteggere per sensibilizzare sull’estinzione del tonno rosso. Riferisce Sea Shepherd che si è persa già l’85% della popolazione di tonno rosso a causa dell’industria della pesca.

Campagna contro l’estinzione del tonno rosso


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Berlino 1989

CADUTA DEL MURO DI BERLINO A partire dagli anni ottanta, alcuni artisti famosi come Keith Haring e Thierry Noir iniziarono a dipingere il lato del muro che dava su Berlino Ovest, in seguito migliaia di artisti, conosciuti e sconosciuti, utilizzarono il muro per i loro progetti artistici. Il muro si coprì quasi interamente di murales, dalle semplici scritte a disegni molto elaborati e ben eseguiti, alcuni dei quali si guadagnarono una certa notorietà, come quello che raffigurava una Trabant bianca che sfonda il muro, o quello in cui si vedeva l’ex capo della Germania Est comunista Erich Honecker baciare sulla bocca il segretario del PCUS Leonid Brežnev. La East Side Gallery lunga più di 1 km che

Alcune illustrazioni celebri sul muro di Berlino

fu pitturata subito dopo il crollo del muro, è stata definita la più grande galleria di pittura all’aria aperta del mondo. Solo pochi dei murales hanno resistito al tempo e ai turisti che continuano a scrivere i loro nomi sul muro. La città di Berlino, a corto di fondi, ha investito pochissimo nel restauro del muro e nel 2000 solo alcuni dei dipinti furono restaurati e protetti dai vandali.



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San Francisco1992

CRITICAL MASS La massa critica (spesso chiamata col termine inglese critical mass) è un raduno di biciclette che, sfruttando la forza del numero (massa), invadono le strade normalmente usate dal traffico automobilistico. Se la massa è sufficiente (ovverosia critica), il traffico non ciclistico viene bloccato anche su strade di grande comunicazione, come viali a più corsie. Nonostante questa descrizione, la massa critica è un fenomeno di difficile definizione, trattandosi di evento spontaneo privo di struttura organizzativa formalizzata. Il fenomeno si è sviluppato, a partire da San Francisco dove nel 1992 si svolse la prima Critical Mass, in molte grandi città

e consiste in appuntamenti convenzionali (“coincidenze organizzate”) di ciclisti che attraversano insieme tratti di percorso urbano in sella ai loro mezzi. Il termine Critical Mass è anche utilizzato da sociologi, che sostengono che una rivoluzione sociale sia possibile solo dopo che una quantità “critica” di supporto popolare sia assicurato. Questo modo di pensare riflette il proposito di chi partecipa alla Critical, i quali ritengono che la mobilità nelle città possa essere migliorata grazie alle biciclette e ad altri mezzi di trasporto alternativi rispetto al trasporto privato delle automobili. La CM delle origini è una pedalata premeditatamente casuale, uno

A sinistra azione rappresentativa durante un evento critical, a destra il poster usato a Budapest nel 2009


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spostamento in “massa” da un luogo a un altro, con l’intento di riappropriarsi di uno spazio teoricamente pubblico, ma che di fatto non prevede– se non addirittura esclude – per la mobilità in bicicletta. Essa nasce con la volontà di reinventare lo spazio pubblico, di restituirgli la dimensione umana che gli apparteneva, «La strada ha sempre e comunque espresso il bisogno di condividere con gli altri e il desiderio di comunità» (Virginia Hamilton, scrittrice afroamericana di libri per bambini), di creare un luogo di incontro e di scambio. Dal 1992 ad oggi CM ha messo in strada arte, creatività, festosità, teatralità, passando dalle estati in costume, ai

rigidi mesi invernali, dalle pedalate su lunghe salite panoramiche a gite balneari in mari, dalle feste di Halloween ai carnevali. Inglobando ogni tipo di ciclista: sportivi e urbani, militanti o simpatizzanti, ognuno mosso dalle più svariate motivazioni. L’ultimo copioso documento riguardante gli sviluppi di CM è We are Traffic!, il documentario di Ted White, del 2002, anno in cui si parla del movimento ancora con fervore. Attualmente, in Italia, trascorsi ulteriori dieci anni, le città coinvolte sono un po’ assuefatte al fenomeno. Esso rimane un punto fermo per i ciclisti convinti, ma l’entità del messaggio e dello spirito originario sono ormai molto sfumati.

A sinistra un’illustrazione Critical Mass, a destra una gosthbike, le bici dedicate per onorare la scomparsa di persone vicine al movimento


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Torino 2006

TORINO PRIDE Il “Coordinamento Torino Pride LGBT” è un raggruppamento di associazioni cui aderiscono le realtà associative Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender (LGBT) operanti nel territorio della Regione Piemonte, insieme ad associazioni non LGBT impegnate nel sostegno dei valori della laicità, del rispetto e della valorizzazione della differenze. Il Coordinamento progetta e organizza iniziative politiche, sociali e culturali sul tema dei diritti delle persone LGBT, a difesa della loro identità e dignità e per il superamento di ogni forma di pregiudizio e discriminazione legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Persegue rapporti di confronto e dialogo

Costruzione del logo Torino Pride

con le Amministrazioni pubbliche, le Istituzioni politiche e sindacali, le rappresentanze della pubblica istruzione e delle fedi religiose. Ricerca lo scambio e la sinergia con le realtà dell’associazionismo sociale, studentesco, giovanile e del movimento delle donne. Tra le tappe del suo percorso e le sue iniziative, ricordiamo l’organizzazione del Pride Nazionale del 2006 a Torino, i Pride regionali del 2007 a Torino e del 2008 a Biella (il primo Pride italiano in una cittadina di provincia) e l’ingresso nell’I.L.G.A. (International Gay and Lesbian Association) nel 2008.


ph Riccardo Del Conte


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Val Susa 2006

NO TAV NO TAV è un movimento attivo nella Val di Susa contrario alla realizzazione della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, parte del Progetto Prioritario 6 pianificato dall’Unione europea per collegare Lione a Budapest e successivamente arrivare fino al confine ucraino. Il leader storico del movimento è Alberto Perino. L’idea alla base della protesta è che la linea ad alta velocità progettata in Val di Susa sia un’opera inutile alla popolazione italiana ed europea, ma spinta da varie lobby che intravedono la possibilità di ingenti profitti. In particolare i No TAV sostengono che la linea attuale (Ferrovia del Frejus) è ben sotto la saturazione e non ci sono studi

Manifestazione NO TAV per le vie del centro di Torino

imparziali che prevedano un aumento del traffico sulla direttrice Torino - Lione. Il movimento NO TAV non ha una vera e propria data di inizio in quanto è nato spontaneamente in seguito alle prime assemblee pubbliche sull’argomento tenutesi fin dai primi anni novanta.


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Kiev 2008

FEMEN Femen è un movimento di protesta ucraino fondato a Kiev nel 2008. Il movimento divenne famoso su scala internazionale per la pratica di manifestare in topless contro il turismo sessuale, il sessismo e altre discriminazioni sociali. Alcuni degli obiettivi dell’organizzazione sono “di incrementare le capacità intellettuali e morali delle giovani donne in Ucraina” e “ di ricostruire l’immagine dell’Ucraina, un paese dalle ricche opportunità per le donne”. Già dall’aprile del 2010 l’organizzazione sta stimando l’idea di diventare un vero partito politico per partecipare attivamente alle prossime elezioni parlamentari. Studentesse universitarie tra

18 e 20 anni formano la colonna portante del movimento. A Kiev, ci sono circa 300 attive manifestanti che fanno capo al movimento. Non mancano gli uomini altresì interessati alla causa e attivamente coinvolti. Alle manifestazioni del gruppo partecipano circa 20 volontarie in topless insieme agli oltre 300 membri completamente vestiti. L’obiettivo del movimento è di “smuovere le donne in Ucraina, rendendole socialmente attive; di organizzare entro il 2017 una rivoluzione femminista.” Femen giustifica i suoi metodi provocatori affermando “che è l’unico modo per essere ascoltati in questo paese.

Attiviste Femen


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Madrid 2011

INDIGNADOS Il Movimiento 15-M, noto anche come movimento degli indignados è un movimento sociale di cittadini che ha dato vita ad una larga mobilitazione di protesta pacifica dal basso contro il governo spagnolo di fronte alla grave situazione economica in cui versa il Paese. Le proteste sono iniziate il 15 maggio 2011 in occasione delle elezioni amministrative. L’obiettivo del movimento è promuovere una democrazia più partecipativa, superando il dualismo Partito Socialista Operaio Spagnolo – Partito Popolare che dagli anni ‘80 caratterizza la politica spagnola. Il movimento è composto da cittadini in generale, disoccupati, mileuristas, casa-

Occupazione della città di Madrid

linghe, immigrati, uniti dallo slogan: Noi non siamo marionette nelle mani di politici e banchieri. È stato essenzialmente pacifico e privo di interferenze politiche. A 5 mesi di distanza, il 15 ottobre 2011, nel nome comune degli Indignados, decine di proteste hanno scosso il mondo intero, interessando gran parte delle capitali occidentali. Si pensa che l’ispiratore di questo movimento sia Stéphane Hessel, soldato della resistenza francese durante la seconda guerra mondiale, che pubblicò un libro dal titolo Indignez-vous.


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Tunisi 2011

PRIMAVERA ARABA La Primavera Araba è una serie di proteste ed agitazioni in corso nelle regioni del medio oriente, vicino oriente e nord Africa. I paesi maggiormente coinvolti dalle sommosse sono l’Algeria, il Bahrein, l’Egitto, la Tunisia, lo Yemen, la Giordania, il Gibuti, la Libia e la Siria, mentre incidenti minori sono avvenuti in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Somalia, Iraq, Marocco e Kuwait. Le proteste, che hanno colpito paesi riconducibili in vario modo all’universo arabo ma anche esterni a tale circoscrizione come nel caso della Repubblica Islamica dell’Iran, hanno in comune l’uso di tecniche di resistenza civile, comprendente scioperi, manife-

stazioni, marce e cortei. Talvolta anche atti estremi come suicidi (divenuti noti tra i media come “auto-immolazioni”) e l’autolesionismo, così come l’uso di social network come Facebook e Twitter per organizzare, comunicare e divulgare gli eventi a dispetto dei tentativi di repressione statale. I social network tuttavia non sarebbero il vero motore della rivolta, secondo alcuni osservatori, per i quali “il network della moschea, o del bazar, conta assai più dì Facebook, Google o delle email”. Alcuni di questi moti, in particolare in Tunisia ed Egitto, hanno portato ad un cambiamento di governo, e sono stati denominati rivoluzioni.

DIVIETO D’AFFISSIONE - LE PEUPLE VEUT - a cura del prof. Gianfranco Torri



DIVIETO D’AFFISSIONE - LE PEUPLE VEUT - a cura del prof. Gianfranco Torri


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DIVIETO D’AFFISSIONE - LE PEUPLE VEUT - a cura del prof. Gianfranco Torri


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ATTIVISMO NO GLOBAL


PANORAMICA ATTIVISMO NO GLOBAL 58

ORIGINE Il movimento studentesco, che fu importante nello sviluppo creativo di pratiche non-convenzionali di comunicazione in tutto il mondo, negli anni ottanta attraversa quello che sarà definito il periodo del riflusso, nel quale i leader e i vari appartenenti confluiranno nei partiti politici già presenti. In Italia si sviluppavano allo stesso tempo le nuove realtà giovanili di lotta politica molto localizzata e sotterranea come i Centri sociali autogestiti (CSA), da cui poi nascerà il movimento no-global italiano. Questo compare per la prima volta, a livello internazionale, in occasione della Conferenza Ministeriale della WTO (World Trade Organization) a Seattle nel 1999 ed è per questo che viene anche chiamato popolo di Seattle. In ambito accademico, alcuni autori parlano di Global Justice Movement per sottolinearne due caratteristiche peculiari: il suo essere una rete transnazionale di movimenti sociali e il suo focalizzarsi su diverse aree tematiche che possono essere ricondotte alla più generale richiesta di una giustizia globale. Il movimento si sviluppa con numerose iniziative di protesta contro i processi

di globalizzazione dell’economia e di tutto quanto ad essa connesso, resi possibili dagli accordi sul commercio internazionale, sanciti nell’ambito del WTO, e dalle scelte di parlamenti e governi, questi ultimi riuniti in organismi quali il G8, nonché di alcune istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Solitamente in occasione dei meeting del G8 le città che li ospitano sono assediate dai manifestanti e dalle forze dell’ordine con conseguenti scontri e tensioni. Il G8 svoltosi a Genova nel 2001 è stato al centro di un processo che vede coinvolte le forze armate italiane e i loro vertici. Ma tra le varie forme di protesta che promuove il movimento, ci sono anche quelle più civili e raffinate come “il boicottaggio definito etico-strategico, consistente nel rifiuto di acquistare quei prodotti ritenuti “eticamente scorretti”, attraverso una sorta di strategia, si tratta cioè di un boicottaggio che porti dei danni economici alle aziende incriminate.


-28 NOV 22

Manifesto Carnivalesque Rebellion


FONDATORI IDEOLOGICI

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NAOMI KLEIN

NOAM CHOMSKY

Nata a Montreal, in Canada, in una famiglia di origini ebraiche, Naomi Klein è una giornalista professionista pluripremiata. È autrice del famoso saggio No Logo, che è considerato il manifesto del movimento no-global ed è stato tradotto in ventotto lingue, divenendo rapidamente un bestseller internazionale. Come giornalista, ha ricevuto numerosi premi e ha una rubrica su The Guardian e su The Nation; ha anche pubblicato su testate prestigiose come The New York Times e The Village Voice. Sta attivamente collaborando con il settimanale L’espresso. Molti suoi articoli sono stati pubblicati in Italia da Internazionale e Il manifesto. Negli ultimi anni ha lavorato alla stesura del saggio Shock economy, commentandolo con articoli ed interviste per CNN, BBC, RAI, Los Angeles Times e The Washington Post.

A partire dagli anni sessanta, grazie alla sua forte presa di posizione contro la guerra del Vietnam ed al suo notevole impegno politico e sociale, Chomsky si è affermato anche come intellettuale anarchico e socialista libertario. La costante e acuta critica nei confronti della politica estera di diversi paesi e, in particolar modo, degli Stati Uniti, così come l’analisi del ruolo dei mass media nelle democrazie occidentali, lo hanno reso uno degli intellettuali più celebri e seguiti della sinistra radicale americana e mondiale. A partire dalle proteste per la guerra in Vietnam, Chomsky ha preso parte a numerosi incontri e dibattiti sui più disparati temi sociali, da problematiche di politica internazionale alla critica al neoliberismo (tema centrale dei suoi incontri e dei suoi scritti), inteso come dottrina economica basata sulla radicalizzazione della centralità del mercato che, secondo Chomsky, ha portato a vari disastri sociali, come il crescente divario tra ricchi e poveri (in particolar modo nei paesi dell’America latina) e la perdita di controllo sul potere statale da parte dei cittadini.


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EDUARDO GALEANO

ARUNDHATI ROY

Eduardo Galeano è uno scrittore latinoamericano impegnato in numerose lotte sociali che, nel suo stile ironico e poetico, apre le porte ad un altro mondo, voluto e intenzionato. I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue e combinano documentazione, narrazione, giornalismo, analisi politica e storia, sebbene l’autore stesso non si riconosca quale storico. Galeano è nato in una famiglia cattolica della classe media di discendenza gallese, tedesca, spagnola e italiana. Da giovane Galeano fece svariati lavori: operaio, pittore di insegne, messaggero, dattilografo, cassiere di banca. All’età di quattordici anni vendette il suo primo fumetto politico al settimanale del Partito Socialista dell’Uruguay, El Sol. Cominciò la carriera di giornalista all’inizio degli anni sessanta come direttore di Marcha, un influente settimanale cui collaboravano Mario Vargas Llosa, Mario Benedetti, Manuel Maldonado Denis e Roberto Fernández Retamar. Per due anni diresse il quotidiano Época e lavorò come capo redattore di University Press.

Arundhati Roy una scrittrice indiana e un’attivista politica impegnata nei movimenti anti-globalizzazione. Sua madre è originaria del Kerala e di religione cristiana, suo padre è un coltivatore di tè bengalese e di religione induista. Trascorre l’infanzia nel Kerala e a sedici anni va a vivere a Delhi in condizioni da senzatetto, dimorando in una baracca all’interno del Feroz Shah Kotla, il campo da cricket di Delhi. Inizia a scrivere Il Dio delle piccole cose nel 1992 e lo termina quattro anni dopo. Il libro è semi-autobiografico e racconta molta dell’infanzia trascorsa ad Aymanam. Da quando ha vinto il PremioBooker, Arundhati Roy ha preferito concentrare la propria attività di scrittrice scrivendo saggi su questioni politiche e sociali. Tra i temi affrontati vi sono il progetto della Diga del Narmada, le armi nucleari dell’India, il fanatismo religioso induista, le attività della multinazionale Enron in India. È considerata una delle figure guida del movimento mondiale antiglobalizzazione


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CARATTERISTICHE Non c’è un’identità unica, ma sono più realtà di attivisti, accomunati dalla critica del sistema economico neoliberista. La critica principale del movimento è volta verso le multinazionali: secondo gli aderenti, il loro potere è così forte da condizionare le scelte dei singoli governi verso politiche non sostenibili da un punto di vista ambientale ed energetico, imperialiste, non rispettose delle peculiarità locali e dannose per le condizioni dei lavoratori. Il manifesto della lotta alla globalizzazione è No Logo di Naomi Klein, pubblicato nel 2000. Il libro non è solo una denuncia dettagliata alle politiche economiche intraprese dalle multinazionali verso la metà degli anni Ottanta, ma analizza le nuove politiche di marketing commerciale: La crescita astronomica del potere culturale e patrimoniale delle multinazionali negli ultimi quindici anni può essere sostenibilmente ricondotta a un’idea apparentemente innocua concepita da teorici del management a metà degli anni Ottanta, secondo la quale le grandi aziende devono produrre principalmente marchi e non prodotti. Il movimento no global non

ha confini netti, anche se fa riferimento a gruppi e movimenti estranei al mondo politico tradizionale; esso contiene moltissime istanze della società civile, che spesso si esprimono politicamente e operano in ambiti limitati e con caratteristiche peculiari. Vuole di fatto essere un momento di rinascita della società civile, promuove la democrazia diretta e partecipativa, promuove il consumo critico e lo sviluppo sostenibile, è pacifista, ambientalista e antiproibizionista. Coerentemente con la propria collocazione al di fuori delle tradizionali logiche partitiche, le tecniche di azione politica del movimento sono di tipo diverso dalla tradizionale raccolta di consenso finalizzata alla vittoria nel confronto elettorale con altre forze politiche democratiche e si allontanano anche nettamente dalle dottrine di ispirazione marxista che vedevano nella rivoluzione armata il momento centrale dell’azione politica, cui la lotta di classe avrebbe dovuto necessariamente convergere.


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IDEALI SVILUPPO SOSTENIBILE CONSUMO CRITICO POLITICHE PACIFISTE IMPATTO AMBIENTALE DEMOCRAZIA DIRETTA SOFTWARE LIBERO

La critica principale del movimento no global è volta verso le multinazionali: secondo gli aderenti, il loro potere è così forte da condizionare le scelte dei singoli governi verso politiche non sostenibili da un punto di vista ambientale ed energetico, imperialiste, non rispettose delle peculiarità locali e dannose per le condizioni dei lavoratori. Secondo gli attivisti del movimento no-global la globalizzazione causerebbe un impoverimento maggiore dei paesi poveri, attribuendo sempre più potere alle multinazionali, favorendo lo spostamento della produzione dai paesi più industrializzati a quelli in via di sviluppo, zone franche i cui tutti i diritti umani non sono garantiti e dove i salari sono più bassi. Tutto questo senza dare reali benefici alla popolazione del posto, anzi distruggendone buona parte dell’economia locale. I new-global asseriscono che uno stato nazionale, limitato entro i propri confini, non può più dettare regole ad imprese transnazionali, capaci di aggirare con la loro influenza ogni barriera politica e condizionare le decisioni dei governi. Il potere dello stato è inoltre smantellato


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dalla possibilità di pagare le tasse dove costa meno, giocando sulla sede fiscale. Una delle proposte è appunto l’abolizione dei cosiddetti paradisi fiscali. Gli attivisti del movimento precisano però che non sono contro la globalizzazione ma per un diverso modello di essa, più solidale, che tenga più conto delle diversità culturali e non cerchi di omologare tutto il pianeta sul modello occidentale. È molto criticato il fatto che sia stata attuata in modo selvaggio, senza assumere dentro i criteri del commercio internazionale un limite allo sfruttamento delle risorse umane e ambientali, il cosiddetto sviluppo sostenibile. Nello specifico lo sviluppo sostenibile è un processo finalizzato al raggiungimento di obiettivi di miglioramento ambientale, economico, sociale ed istituzionale, sia a livello locale che globale. I presupposti per uno sviluppo sostenibile sono il riconoscimento del valore incommensurabile dell’ambiente e dei beni liberi, l’estensione dell’orizzonte culturale al fine di incoraggiare politiche a lungo termine e il perseguimento dell’equità intra-generazionale e inter-genera-

zionale. Come conseguenza di quanto scritto sopra spesso l’attivista no global pratica un’azione di consumo critico. Con questo termine s’intende la pratica di organizzare le proprie abitudini di acquisto e di consumo in modo da accordare la propria preferenza ai prodotti che possiedono determinati requisiti di qualità differenti da quelli comunemente riconosciuti dal consumatore medio. In particolare il consumatore critico riconoscerà come elementi essenziali della qualità di un prodotto alcune caratteristiche delle sue modalità di produzione, ad esempio la sostenibilità ambientale del processo produttivo, l’eticità del trattamento accordato ai lavoratori, le caratteristiche dell’eventuale attività di lobbying politica dell’azienda produttrice. La pratica del consumo critico si distingue dall’adesione ad una specifica campagna di boicottaggio, anche se ovviamente vi può coesistere (vedi Buy Nothing Day nella panoramica degli attivisti), in quanto è un atteggiamento che ha motivazioni e conseguenze più generali. Il termine in genere non fa riferimento,


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riduttivamente, solo agli acquisti di beni materiali: il consumo critico può anche riguardare le scelte inerenti al risparmio (finanza etica) e all’uso di servizi come ad esempio i trasporti o le telecomunicazioni. Chi si riconosce dentro il movimento no global sposa l’ideale del pacifismo, cioè il rifiuto di qualsiasi forma di guerra e l’impegno costante a favore della pace, è sensibile al tema dell’ambientalismo e promuove la democrazia diretta. Quest’ultima è la forma di democrazia nella quale i cittadini, poiché popolo sovrano, non sono soltanto elettori che delegano il proprio potere politico ai rappresentanti ma sono anche legislatori e amministratori della cosa pubblica. La democrazia diretta è stata la prima forma di un governo democratico, essendosi affermata nel V secolo a.C. ad Atene. Nel Contratto sociale Jean-Jacques Rousseau descrive la democrazia diretta come la sola forma di governo con la quale il popolo sovrano esprime la volontà generale. Un successivo esempio notevole di democrazia diretta è stata la Comune di Parigi oltre ai soviet in Russia e Germania nel 1917 che

si erano formati in seguito alle idee rivoluzionarie che serpeggiavano in Europa in quegli anni. La democrazia diretta venne anche utilizzata nelle assemblee decisionali del Sessantotto. La democrazia diretta è un’alternativa ideologica e pratica alla democrazia rappresentativa, molto più diffusa nel mondo occidentale. Per quanto riguarda le problematiche connesse al copyright, il movimento in gran parte condivide la visione di Richard Stallman, principale sostenitore del software libero e del contenuto libero come pratiche di condivisione dotate di significato etico e politico.


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ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA Il marchio, o brand, diventa la rappresentazione visiva del nemico da colpire, perciò vediamo nascere dagli inizio degli anni fino ad adesso moltissimi movimenti anti-identità. Alcuni di questi movimenti sono decaduti, vittime di azioni non progettate a tavolino. Il rischio principale di un movimento noglobal è, infatti, il nascere istintivamente. Questo può avere dei riscontri negativi perché passata la prima fase di fermento sociale, se non c’è un’organizzazione dietro e delle idee ben precise da proporre si rischia un rapido declino. I gruppi di attivisti nati negli ultimi anni (vedi Serpica Naro, Occupy Wall Street su tutti) sembrano aver imparato la lezione, infatti, sfruttano il fermento sociale iniziale per poi evolversi in altre forme di attivismo, più costruttive, come laboratori creativi o workshop itineranti che portino avanti i concetti iniziali. Da un’attenta analisi sulle identità di ogni gruppo di attivisti, si evince che pochissimi hanno un’immagine coordinata ben progettata. La maggior parte dei simboli indicativi è difficile definirli come loghi,

perché non rispettano nessuna regola progettuale. Il problema della mancanza d’identità ricorre spesso, specialmente nei primi movimenti nati verso la fine degli anni Novanta. Si potrebbe spezzare una lancia a favore di questi attivisti dicendo che è difficile avere un marchio quando uno dei concetti principali della lotta no global è il marchio stesso, sintesi estrema delle multinazionali cui fanno la guerra. È impossibile però rifiutare totalmente un’identità visiva, uno dei mezzi più immediati per facilitare l’unione sociale. Prima è stata citata l’identità collettiva come uno degli attributi più importanti per la creazione di un movimento sociale, è impossibile quindi rifiutare il concetto di corporate image. Il branding è una leva competitiva capace di consentire la costruzione di una proposta unica e in sostanza impossibile da duplicare. In un’epoca in cui l’immagine visiva è il modo più facile per arrivare al pubblico, seppur opinabile, non si può non prescindere da un logo, ma anzi per colpire il mondo del business bisogna sfruttare i suoi stessi strumenti, e il logo è il primo mezzo con il quale far traspa-


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rire il proprio credo. La brand identity, intesa come l’insieme dei codici visuali, testuali e verbali che, coerentemente con gli obiettivi strategici, hanno il compito di rendere riconoscibile l’emittente e di costruire una memorizzazione differenziante, deve essere la base anche di un buon movimento sociale. È importante soffermarsi sulla parola “coerenza”, uno degli attributi principali in campo di psicologia della comunicazione per affermare la propria credibilità. L’attivismo no global, per mettere in dubbio i concetti proposti dalle società che vuole combattere, deve essere lui in primis a proporre un giusto modello di credibilità se vuole attirare a sé più persone possibili e la prima cosa per farla trasparire è il proprio logo. Non bisogna sottovalutare l’aspetto visivo e di cosa si vuole comunicare, deve essere tutto perfettamente coerente, specialmente in una società ormai satura di codici visivi come la nostra, dove le persone hanno sviluppato una sorta d’istinto naturale per difendersi da essi. Per arrivare a scuotere l’animo di queste persone è necessario sviluppare un’identità seria

e di conseguenza anche un’immagine coordinata importante. Occorre dare dei punti di riferimento saldi: l’utente esterno, ma anche lo stesso attivista che vive dall’interno il movimento, deve essere in grado di orientarsi nel sistema visivo proposto. Di questo fortunatamente l’attivismo no global se n’è reso conto. Se nei primi anni non esisteva una coordinazione dal punto di vista comunicativo ma era tutto lasciato in mano a singoli individui che agivano per esigenze personali (ad esempio: se c’era bisogno di creare un volantino o un sito lo si faceva e basta, senza tenere troppo conto se i volantini o i siti dello stesso movimento in un altro paese avevano lo stesso logo o la stessa impostazione grafica), ora si è sviluppata una maggiore consapevolezza delle nuove forme comunicative e si prova a dare (non riuscendoci sempre) un criterio e un metodo progettuale visivo più solido. Nel caso dei manifesti no-global, lo scopo principale è esortare alla partecipazione degli eventi e informare gli attivisti su quali saranno le modalità per parteciparvi. Nei visual dei manifesti presentati troviamo un


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utilizzo bilanciato d’illustrazioni, fotografie e tipografica. Il visual gerarchicamente è sempre il più importante, serve a colpire l’attenzione. Nel caso delle illustrazioni (sia fatte a mano che in vettoriale), si tende sempre a utilizzare non più di tre colori. Gli sfondi hanno una campitura piatta, il colore utilizzato è sempre un colore saturo, nella maggior parte dei casi è il nero, o, in casi più rari, il rosso. Per quanto riguarda i visual fotografici, le tecniche più utilizzate sono le foto in studio con pochi elementi presentati o foto che documentano i raduni di persone (manifestazioni, cortei, concerti). Le tipografiche presentano una maggioranza di carattere sans serif in maiuscolo e in bold. Per quanto riguarda la contestazione, può avvenire in maniera diretta o ironica, sfruttando le tecniche dell’assurdo o del fake (vedi l’esempio di Yomango). Dato che alcuni dei movimenti analizzati sono morti prima dell’avvento del web 2.0, alcuni siti (4/15) sono di concezione vecchia o totalmente in disuso. La problematica dell’identità si ripresenta anche nel web: in molti gruppi manca la

presenza di un sito di riferimento forte, che faccia da colonna portante agli altri. Un’altra criticità riscontrata è che spesso i siti dello stesso evento ma in paesi diversi (vedi l’esempio di Buy Nothing Day) non hanno un’immagine coordinata uguale, si ha, infatti, l’impressione che siano delle cose totalmente scollegate tra loro. Con l’avvento de web 2.0, la rete ha sovvertito le vecchie regole della comunicazione: prima c’era un emittente attivo e un ricevente passivo, oggi il ricevente diventa emittente, divulgando informazioni che a volte condizionano l’immagine di una marca. I movimenti più recenti sfruttano abilmente questi nuovi mezzi. Twitter e Facebook sono un ottimo strumento per aggiornare gli utenti in tempo reale e organizzarsi in maniera veloce, abbassando ai minimi termini la possibilità di essere intercettati per le azioni di contestazione. L’editoriale è il punto più debole degli attivisti no global. Solo 4/15 hanno un progetto editoriale che li rappresenti. I prodotti sono libri-manifesti (vedi l’esempio di Telekommunisten) o biografie degli artisti (vedi l’esempio di Zerouno.


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org). Solo in un caso (Anti Advertising Agency) si è creato un progetto editoriale online, sotto forma di portfolio scaricabile gratuitamente. Le azioni analizzate puntano, oltra che a contestare, a invitare le persone che si ritrovano negli stessi ideali a partecipare all’azione stessa o a condividerla con altre persone. Le azioni si possono dividere principalmente in due: quelle dei movimenti che contestano direttamente in prima persona e quelle che hanno più fasi. Nel secondo caso c’è sempre una prima fase virale, dove si tende a mascherarsi (tramite un processo di identity correction, vedi l’esempio dei The Yes Men) o infiltrarsi nel sistema di chi si vuole colpire (vedi l’esempio dei Zerouno.org). Dopo la fase virale avviene lo smascheramento, che può essere volontario o invonlontario. Dato che lo scopo principale è di attirare l’attenzione, l’originalità delle azioni sta alla base di tutto. Oltre alle forme “classiche” di contestazione come cortei, manifestazioni, affissioni, c’è sempre una ricerca verso le nuove tecniche di comunicazione non convenzionale come

guerilla marketing, guerilla theatre, stencil, flash mob, subvertising, massive knit. Non sempre c’è un’attenzione nei confronti dell’ambiente, ne sono un esempio i muri imbrattati delle città.


SINTESI ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA PANORAMICA ATTIVISTI NO GLOBAL

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LOGO / IDENTITÀ

MANIFESTI

Da un’attenta analisi sulle identità di ogni gruppo di attivisti, si evince che pochissimi (2 /16) hanno un’immagine coordinata ben progettata. Gli altri è difficile definirli loghi, perché non rispettano nessuna regola progettuale. Il problema principale è la mancanza di un’identità ben progettata, specialmente nei primi movimenti nati verso la fine degli anni ‘90. Si potrebbe spezzare una lancia a favore di questi attivisti dicendo che è difficile avere un marchio quando uno dei concetti principali della lotta no-global è il marchio stesso, sintesi estrema delle multinazionali cui fanno la guerra. In realtà si potrebbe ovviare a questo problema sviluppando un sistema d’identità variabile, che chiaramente comporta uno studio attento e ben delineato del movimento stesso. Il livello di progettazione dovrebbe essere uguale se non più alto del livello di progettazione di un logo normale, cosa che comunque manca. Provando comunque a fare un’analisi delle proposte presentate come loghi si nota una maggioranza di simboli e/o illustrazioni rispetto a dei logotipi, anche se questi li troviamo nei loghi migliori (Anti-Advertising Agency, Telekommunisten e Occupy Wall Street).

Nel caso dei manifesti no-global, lo scopo principale è esortare alla partecipazione degli eventi e informare gli attivisti su quali saranno le modalità per parteciparvi. Nei visual dei manifesti presentati troviamo un utilizzo bilanciato di illustrazioni, fotografie e tipografica. Il visual gerarchicamente è sempre il più importante, serve a colpire l’attenzione. Nel caso delle illustrazioni (sia fatte a mano che in vettoriale), si tende sempre a utilizzare non più di tre colori. Gli sfondi hanno una campitura piatta, il colore utilizzato è sempre un colore saturo, nella maggior parte dei casi è il nero, o, in casi più rari, il rosso. Per quanto riguarda i visual fotografici, le tecniche più utilizzate sono le foto in studio con pochi elementi presentati o foto che documentano dei raduni di persone (manifestazioni, cortei, concerti). Le tipografiche presentano una maggioranza di carattere sans serif in maiuscolo e in bold. Per quanto riguarda la contestazione, può avvenire in maniera diretta o in maniera ironica, sfruttando le tecniche dell’assurdo o del fake (vedi l’esempio di Yomango).


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WEB / EDITORIALE

AZIONI

Dato che alcuni dei movimenti analizzati sono morti prima dell’avvento del web 2.0, alcuni siti (4/15) sono di concezione vecchia o totalmente in disuso. La problematica dell’identità si ripresenta anche nel web: in molti gruppi manca la presenza di un sito di riferimento forte, che faccia da colonna portante agli altri. Un’altra criticità riscontrata è che spesso i siti dello stesso evento ma in paesi diversi (vedi l’esempio del Buy Nothing Day) non hanno un’immagine coordinata uguale, si ha, infatti, l’impressione che siano delle cose totalmente scollegate tra loro. I movimenti più recenti sfruttano invece abilmente le caratteristiche del web 2.0 e l’avvento delle nuove piattaforme. Twitter e Facebook sono un ottimo strumento per aggiornare gli utenti in tempo reale e organizzarsi in maniera veloce, abbassando ai minimi termini la possibilità di essere intercettati per le azioni di contestazione. L’editoriale è il punto più debole degli attivisti no global. Solo 4/15 hanno un progetto editoriale che li rappresenti. I prodotti sono libri-manifesti (vedi l’esempio di Telekommunisten) o biografie degli artisti (vedi l’esempio di Zerouno.org). Solo in un caso (Anti Advertising Agency) si è creato un progetto editoriale online, sotto forma di portfolio scaricabile gratuitamente.

Le azioni analizzate puntano, oltra che a contestare, a invitare le persone che si ritrovano negli stessi ideali a partecipare all’azione stessa o a condividerla con altre persone. Le azioni si possono dividere principalmente in due: quelle dei movimenti che contestano direttamente in prima persona e quelle che hanno più fasi. Nel secondo caso c’è sempre una prima fase virale, dove si tende a mascherarsi (tramite un processo di identity correction, vedi l’esempio dei The Yes Men) o infiltrarsi nel sistema di chi si vuole colpire (vedi l’esempio dei Zerouno.org). Dopo la fase virale avviene lo smascheramento, che può essere volontario o invonlontario. Dato che lo scopo principale è di attirare l’attenzione, l’originalità delle azioni sta alla base di tutto. Oltre alle forme “classiche” di contestazione come cortei, manifestazioni, affissioni, c’è sempre una ricerca verso le nuove tecniche di comunicazione non convenzionale come guerilla marketing, guerilla theatre, stencil, flash mob, subvertising, massive knit. Non sempre c’è un’attenzione nei confronti dell’ambiente, ne sono un esempio i muri imbrattati delle città.


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Mexico 1992

BUY NOTHING DAY La giornata del non acquisto, in inglese Buy Nothing Day, è un evento proposto di anno in anno ai consumatori di tutto il mondo. L’idea è quella di passare un giorno intero (tipicamente un sabato di novembre) senza acquistare nulla, dimostrando così di non essere del tutto schiavi del consumismo. È una giornata per riflettere sulle abitudini di consumo e sulla possibilità di fare acquisti in maniera più ragionata. Non esiste un logo unico che si identifichi in tutti i paese, ci sono diverse declinazioni degli stessi elementi o concetti come ad esempio la rottura dello scontrino o il concetto dell’evasione. Questi analizzati sono i manifesti della

Poster Buy Nothing Day 2006-2007

campagna del 2007, il visual è un oggetto di consumo annerito, rappresentazione visiva del concetto di indipendenza da un bene materiale. Il sito internazionale dell’IBN non è in realtà il sito più importante, nonostante dovrebbe essere di riferimento per ogni paese. Il sito inglese e quello olandese, nonostante siano molto diversi tra loro sono i soli ad avere un’immagine coordinata. Per promuovere l’evento vengono utilizzati affissioni o stencil. Questi ultimi solitamente hanno prima una fase di teaser per attirare l’attenzione, dopodichè si promuove l’evento generale.


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A destra una parodia del più famoso manifesto “Keep Calm And Carry On” che invita le persone a non fare acquisti

Sito web Buy Nothing Day UK

Azioni virali di stencilistica


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Brasile 2001

WORLD SOCIAL FORUM Il Forum Sociale Mondiale (in inglese World Social Forum) è un incontro annuale dei membri dei movimenti per la globalizzazione alternativa, per coordinare le campagne mondiali, condividere e raffinare le strategie organizzative, informarsi vicendevolmente sui diversi movimenti sparsi per il mondo e sulle loro tematiche. L’incontro è spesso in concomitanza con il rivale, il Forum Economico Mondiale. Il logo ufficiale è stato definito solo nel 2010 nonostante il Movimento sia del 2001. Ci sono stati differenti loghi, che davano più importanza alla manifestazione in quel momento che a creare un’immagine duratura. L’immagine varia ogni

Manifesti della manifestazione avvenuta a Madrid

anno, si tende a utilizzare i simboli più importanti quali l’immagine del globo e lo slogan che ha reso storico il Movimento: “un altro mondo è possibile”. Non esiste un’immagine coordinata delineata ma un semplice utilizzo dei simboli principali. Si denota una mancanza di regole progettuali ben definite da poter essere di riferimento per ogni evento. Manca un sito di riferimento che archivi tutti gli eventi passati. L’ultimo sito, anche se è presente il logo dell’ultima edizione, non presenta un’immagine coordinata ben delineata. Il WSF è fondamentalmente un evento che si tiene in 3-4 giorni. Le azioni principali sono dibattiti, conferenze, marce pacifi-


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New York 1990

REVEREND BILLY Utilizzando prediche e sermoni, sui marciapiedi e nelle catene di negozi, il reverendo Billy e il suo coro gospel esortano i consumatori ad abbandonare i prodotti delle grandi aziende e dei mass media. Il gruppo predica anche un messaggio più ampio reclamano la giustizia economica, la tutela dell’ambiente, e sono contro l’occupazione militare americana in Iraq. Un logo non esiste. L’unica cosa più vicina ad un logo, usata anche con frequenza, sono le spillette con impresse graficamente la faccia del reverendo Billy Talen. I manifesti sono illustrazioni, avvisano i giorni e i luoghi che il reverendo Billy andrà ad “esorcizzare”. Sono utilizzati

anche degli adesivi con tipografica bianca su sfondo nero e viceversa. Sul sito sono presenti gli eventi dove sarà presente il Reverendo ma è anche aggiornato sulle azioni di attivisti che hanno intrapreso la stessa strada, ovvero la lotta al consumismo. Niente di religioso in senso canonico, ma un movimento - ridefinito di guerrilla theater - che con un sincretismo piuttosto innovativo raggruma umori e ‘fedi’ disparate: le performance di strada teatrali e i flashmob (le riunioni di gruppo improvvise e spesso non sense), la new age e la disobbedienza civile, il liberalismo economico della sinistra e il conservatorismo regionale della destra.

a sinistra il reverendoin’azione dimostrativa,a destra “What would Jesus buy”, il primo libro di Bily Talen


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Londra 1991

RECLAIM THE STREETS Reclaim The Streets è il nome di un collettivo di attivisti che sostengono l’idea che gli spazi pubblici siano di proprietà collettiva. Gli attivisti mettono in atto un movimento di opposizione nei confronti dell’utilizzo dell’automobile come mezzo di trasporto che soverchia gli altri mezzi e, più in generale, nei confronti del dominio delle multinazionali nel processo di globalizzazione. Il logo più diffuso fonde i concept del movimento e della strada: le figure ballano dentro il cartello stradale “precedenza”. Spesso nei party sono presenti le bandiere con le saette su sfondo verde. I manifesti fanno quasi sempre riferimento al logo, senza però una regola

Sit in e manifestazione per le strade di Londra

ben precisa: non si può quindi dire che esista un’immagine coordinata delineata ma un semplice utilizzo dei simboli principali. Nei vari paesi i simboli usati sono gli stessi ma senza un criterio progettuale. Navigando sul sito, si evince come questo movimento sia in sostanza abbandonato e in disuso. Oltre alle “classiche” manifestazioni, l’originalità dei sistemi di contestazione fa sempre da padrone a RTS. Il concetto di protesta si fonde a quello di party, le manifestazioni diventano una grande festa popolare, dove la musica e la gogliardia sono l’elemento principale. Nelle foto si possono vedere degli ironici sit in e azioni di subvertising.


Happening Reclaim The Streets


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Kassel 1997

KEIN MENSCH IST ILLEGAL Migranti e profughi non sono desiderati. Quindi è diventato impossibile per loro rifugiarsi in maniera legale, accedere ed emigrare in Europa, il passaggio del confine è possibile solo in maniera illegale ed è collegato ad un rischio mortale. Kein Mensch Ist Illegal (nessun essere umano è illegale) si batte dal 1997 in azioni che difendono le fondamenta dei diritti umani. Il logo è uno sviluppo della tipografica su quattro righe orizzontali, racchiude dentro un quadrato con quattro filetti, a rappresentazione di una prigione. I manifesti hanno sempre un ruolo di sensibilizzazione molto importante. Sono utilizzate tecniche di percezione della comunicazione

Alcune foto della campagna Luftransa Deportation Class

visiva, come le leggi della Gestalt. Il sito web è un archivio dei lavori fatti nel corso degli anni, è molto attivo e aggiornato. Il collettivo utilizza anche i social network quali Facebook per avere un riscontro diretto con gli utenti. L’azione Deportation Class, ha preso la forma di una vera e propria campagna pubblicitaria e di marketing per una nuova classe turistica, la Lufthansa Deportation Class. Solo nel 1998 Lufthansa ha rimpatriato oltre 40.000 persone contro la loro volontà, un business colossale che ultimamente, date le proteste degli attivisti e dei viaggiatori, rischia di danneggiare l’immagine della compagnia.


Muarales Kein Mensch Ist Illegal


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USA 1998

BIOTIC BAKING BRIGADE Le Biotic Baking Brigade sono un gruppo di attivisti no global famosi per prendere letteralmente a torte in faccia personaggi accostati al mondo del neoliberalismo. Solitamente accostati ai gruppi di sinistra radicale, i principi fondamentali del gruppo sono: la tutela dei diritti umani, i diritti dei gay, degli animali, il femminismo, l’ecologia, la giustizia sociale. Il logo è composto da un illustrazione dell’azione e dal logotipo che percorre il perimetro del cerchio. Sia simbolo che logotipo sono stati fatti a mano. Recentemente sono comparsi dei manifesti a difesa dei diritti umani che avevano come visual dei fotomontaggi con dei personaggi di rilievo

nella scena politica colpiti dalle torte in faccia. Il manifesto del film è sviluppato sulla falsa riga del logo, con grafica e tipografica fatta a mano. Non è stata rilevato alcun sito internet perché l’indirizzo url è disattivato. Le uniche tracce sul web le possiamo avere dal film sul Movimento che gira sulla piattaforma di condivisione video You Tube, ma non c’è un canale ufficiale di distribuzione né un punto di riferimento principale. Nel corso degli anni sono stati colpiti tantissimi personaggi pubblici, tra i più importanti: Bill Gates, il sindaco di San Francisco Willie Brown, il prete anti-gay Fred Phelps, l’economista Milton Friedman.

A sinistra una delle foto della campagna per i diritti umani, a destra un attacco dei brigatisti pasticceri


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Bologna 1998

ZEROUNOPUNTOORG Gli 0100101110101101.ORG (il nome sta per la lettera “K” nel codice binario) sono un gruppo italiano di net artisti nato nel 1998 a Bologna. I giovani artisti che si nascondono dietro al nome sono gli italiani Eva e Franco Mattes, che hanno scelto l’arte come forma di critica sociale. La scelta iniziale di rimanere anonimi è stata dettata dalla critica alla proprietà, al marchio del copyright, alla legge che uccide l’arte. L’unico “logo” rintracciato è quello presente sul sito, che è più una scritta con un determinato font. Non esiste un’immagine coordinata data dalla declinazione del logo. Di manifesti troviamo quelli fatti dal duo per un loro proget-

to: United we stand, sparsi in tutta la città come se sponsorizzasse un film vero, in realtà è stata un’azione virale. Il sito web è un archivio dei lavori fatti nel corso degli anni. Anch’esso è vittima della loro azione di digital hacktvisim. Recentemente è stata pubblicato una biografia dei lavori di Eva e Franco Mattes, intitolata semplicemente con il loro nome di battesimo, non quello artistico. Le azioni principali sono fatte sul web tramite digital hacktvisim: incursioni negli altri siti, occupazioni digitali, avatar fittizi che disturbano gli altri utenti.

A sinistra la locandina del finto film United we stand, a destra il libro Eva and Franco Mattes


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Seattle 1999

INFERNAL NOISE BRIGADE Infernal Noise Brigade (1999-2006) è stata una band che ha composto venti pezzi di marcia, colonna sonora delle proteste di globalizzazione che ha aperto questo secolo, a cominciare dal blocco del vertice WTO di Seattle. Infernal Noise Brigade è stato appositamente creato per portare la musica a movimenti politici in strada. Non esiste un logo principale, il primo però è il più usato. I due concept sono esperimenti di utenti trovati sul web. Gli unici due poster rintracciati non hanno una grafica coerente tra loro. Non si trova un’immagine coordinata ben progettata. Dato che il movimento è chiuso, del sito è rimasta usabile soltanto l’homepage, che è usata

Marce musicali che fanno da contorno agli eventi no-global più importanti.

come una sorta di commemorazione del progetto. A livello editoriale sono state sviluppate le copertine dei cd musicali mentre per quanto riguarda le loro azioni, sono stati prodotti cd audio venduti poi su canali di distrubuzione online come i - tunes.


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Cataluna 2002

YOMANGO Yomango realizza l’ideale utopico di una marca che non prevede la produzione di alcuna merce materiale o immateriale che sia. Yomango è infatti esclusivamente un mondo possibile, la proposta di uno stile di vita estremo, libertario, ribelle. Potrebbe quasi assomigliare a una qualsiasi altra marca di abbigliamento giovanile, non fosse per il fatto che Yomango è un brand destinato unicamente a prodotti rubati. Il logo è uno solo, solitamente il logotipo è su uno sfondo giallo ma può anche variare in rosso o può anche non esistere. I manifesti richiamano il concetto dell’identità rubata, i visual infatti si rifanno a campagne promozionali di moda o di

arredamento. Dato che in realtà la merce è rubata, il prezzo degli oggetti sponsorizzati valgono zero. Il sito è di facile utilizzo, è presente un’immagine coordinata delineata e ben progettata. Nei loro tour promozionali i ragazzi de Las Agencias organizzano dei workshop in cui oltre a spiegare il senso politico culturale di tutta la campagna illustrano tecniche e accessori adeguati al taccheggio anche in quei punti vendita che dispongono di sistemi di sicurezza sofisticati.

Il libro rosso e il libro rosa di Yomango


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USA 2003

REBEL CLOWN ARMY La Clandestine Insurgent Rebel Clown Army, nasce a Londra in occasione del Forum Sociale Europeo del 2004 dal Laboratory of Insurrectionary Imagination e sviluppa le sue azioni durante i grandi eventi internazionali come ad esempio il Summit G8 tenutosi nel Luglio 2005 a Gleneagles in Scozia. Sono presenti due loghi, quello ufficiale del movimento e quello del movimento parallelo sviluppatosi in Francia. I manifesti del movimento sono propagandistici. Invitano all’arruolamento di nuove forze giovanili, per unirsi alla presa in giro del capitalismo. Il sito presenta un’immagine coordinata ben delineata e precisa: accostando mimetica

Alcuni attivisti CIRCA durante azioni che ridicolizzano le forze dell’ordine

al colore rosa richiama i concetti della guerriglia a quello della presa in giro, del divertimento. Il gruppo, con le sue azioni, non veicola direttamente significati politici ma cerca di attaccare i momenti estetici dell’esercizio del potere attraverso azioni ridicole. Lo stesso nome del gruppo, esercito dei clown ribelli, è un’associazione che ha del ridicolo.


Azione dimostrativa


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USA 2004

ANTI ADVERTISING AGENCY Anti-Advertising Agency critica la pubblicità attraverso interventi d’autore. L’AntiAdvertising Agency prende in prestito la struttura e le modalità di un’agenzia di pubblicità, ma crea opere d’arte che esaminano criticamente il ruolo della pubblicità nella vita quotidiana. Il logo è una composizione delle tre iniziali in una struttura piramidale. Spesso è utilizzato solo il simbolo, sia a colori che in bianco e nero. I manifesti sono esortazioni a privarsi della pubblicità o critiche su quanto i nostri spazi siano ormai saturi di messaggi pubblicitari. Non esiste un’immagine coordinata di fondo, ma la tipografica cambia a seconda del messaggio. Il sito dell’a-

Campagna You don’t need it

genzia è ancora attivo nonostante l’attività sia cessata nel 2010. I progetti sono tutti visibili e scaricabili. L’azione principale è “liberare” gli spazi pubblici dai messaggi pubblicitari, sostituendo questi ultimi con messaggi esortativi (you don’t need it) o richiami ai paesaggi decontaminati dalla pubblicità.


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Berlino 2009

TELEKOMMUNISTEN Chi lavora in rete – ha sostenuto Kevin Kelly – adotta modi di produzione sociali e paritari, al di là dello stato e del mercato, che sembrano approssimarsi al socialismo. Dmytri Kleiner, sviluppatore e attivista, trasforma quest’intuizione diffusa in un programma politico ed economico complessivo. Telekommunisten è il collettivo che si occupa di fondere le teorie socialiste reintrpretandole in chiave moderna. Oltre al logo del collettivo sono presentati anche i loghi delle varie azioni portate avanti nel corso degli anni. Sia il sito del Movimento, sia quelli delle loro azioni hanno un’immagine coordinata. Il manifesto del telecomunista è fruibi-

le sia a livello stampato sia scaricabile online gratuitamente. Uno dei progetti di Telekommunisten si chiama DeadSwap e nasce con l’intento di ribellarsi alla tendenza sempre più incentrata sui server dei maggiori siti sociali, la quale ha minato la limpidezza collaborativa e libertaria del peer-to-peer. Deadswap è un’iniziativa di file-sharing offline,

A sinistra volantino informativo, a destra copertine del libro The Telekommunist Manifesto


TIPOLOGIE DI ATTIVISMO 88

STRUMENTI DI COMUNICAZIONE Secondo quanto scritto finora possiamo definire l’attivismo come una modalità di agire non istituzionalizzata, che si oppone per lo più a istituzioni, leggi, sistemi commerciali o mediatici, largamente accettati. Esso nasce dall’idea di poter cambiare le cose dal basso, arrampicandosi eventualmente in diramazioni più o meno vicine – per natura o consensi – alle strutture “alte”. Esistono varie forme di attivismo “codificate”, ma per rimanere coerenti con la ricerca fatta fino ad ora, si è deciso di analizzare nel particolare quello no global. Per delineare quali sono le possibili tipologie di attivismo no global, ovvero i diversi modi di contestare il sistema è stata fatta una breve analisi deduttiva, dal generale al particolare. L’attivismo si può dividere in due grandi tipologie generali: l’attivismo violento e quello che si avvale di mezzi non violenti. Dato che l’obiettivo ultimo di questa tesi è realizzare un processo di comunicazione non convenzionale senza sfociare in atti violenti o vandalistici, la prima tipologia è stata messa da parte, a favore di un’analisi sulle tipologie di

attivismo non violento. Tra tali tipologie riconosciute possiamo citarne alcune per meglio inquadrare il fenomeno: - la Semplicità Volontaria, ovvero la decisione di sottoporsi a orari di lavoro ridotti, con conseguente abbassamento salariale, in favore di una maggiore libertà personale. - il Boicottaggio: di coscienza, come quello che portò all’abolizione del regime di apartheid in Sud-Africa; strategico (politico o economico), consistente nell’attuazione di ritorsioni politiche o commerciali su stati o aziende; etico-strategico, il quale unisce i primi due e si concretizza nella ribellione e il rifiuto di prodotti “eticamente scorretti” in maniera strategica, in modo da provocare danni a determinate aziende. - le Azioni Dirette, sono azioni che intervengono direttamente sull’obiettivo designato in funzione del risultato che si vuole ottenere. Importante è anche l’obiettivo mediatico che si auspica derivi dall’azione. - le Manifestazioni, sono una forma di attivismo che solitamente si svolgono


Copertina Time dicemebre 2011


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per mezzo di persone che si riuniscono insieme. In questo modo, l’opinione che si vuole manifestare prende significato grazie alla moltitudine di persone che sono d’accordo con essa e si radunano per dimostrarlo visivamente. Le manifestazioni sono di solito utilizzate per mostrare un punto di vista a proposito di un problema pubblico, specialmente a proposito di reclami o diseguaglianze sociali. Una manifestazione solitamente è considerata di maggior successo se vi partecipa un alto numero di persone. Argomenti per manifestare riguardano spesso la politica, l’economia e i problemi sociali. - la Petizione, è un documento indirizzato a un soggetto pubblico o privato e sottoscritto da numerosi individui. - la Raccolta Fondi, è il modo con cui si cerca di propagginare l’operato delle organizzazioni attiviste, ovvero sostenendo loro in maniera economica. Quelle di cui abbiamo parlato sopra sono tipologie classiche di attivismo, cosa succede quando nuove forme di comunicazione vanno a fondersi con esso? Si parla mediattivismo quando l’attivismo

si unisce all’utilizzo dei mass media, in generale, è la forma che comprende tutte quelle azioni dirette che si avvalgono della tecnologia della comunicazione per promuovere finalità sociali e modificare/contestare il rapporto tra produttori e utenti della comunicazione dei mass-media tradizionali. Esso comprende a sua volta tutte quelle azioni virali o di puro raggiramento mediatico. Si sviluppa nella promozione di campagne relative alla comunicazione e ai media, la realizzazione di inchieste audio e video, la raccolta e diffusione di notizie attraverso il web. Il mediattivismo si configura come una pratica di azione politica, ma nel contempo è messo in atto come forma culturale e strumento di sperimentazione di nuovi linguaggi e forme comunicative. Si avvale di strumenti come forum, chat, blog, piattaforme di sharing quali Facebook (per citare la più importante) o micro blogging (Twitter). Andando più nello specifico e trattando uno dei media più usati oggi dai movimenti di contestazione, ossia internet, esiste una pratica chiamata hacking.


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Il termine hacking è uno dei più inflazionati vocaboli legati all’informatica; avendo accompagnato, fin dall’inizio, lo sviluppo delle tecnologie di elaborazione e comunicazione dell’informazione, ha assunto diverse sfumature a seconda del periodo storico e dello specifico ambito di applicazione; in ambito tecnico, lo si può definire come studio dei sistemi informatici al fine di potenziarne capacità e funzioni. Quando si usa quest’ultimo al servizio dell’attivismo otteniamo l’hacktivism. Nell’ambito della filosofia hacktivist, le forme dell’azione diretta tradizionale sono trasformate nei loro equivalenti elettronici: la manifestazione di piazza, il corteo, diventa il netstrike, ovvero il corteo telematico; l’occupazione di stabili in disuso, nel cybersquatting; il volantinaggio all’angolo delle strade nell’invio massivo di e-mail di partecipazione e di protesta, il banchetto delle petizioni nelle petizioni on line; i tazebao scritti a mano diventano pagine web e le scritte sui muri e i graffiti vengono sostituiti dal defacciamento temporaneo di siti web. In omaggio all’etica primigenia dell’hacking, gli hacktivisti agiscono

mettendo a disposizione di tutti risorse informative e strumenti di comunicazione. Le pratiche hacktivist si concretizzano nella realizzazione di server indipendenti e autogestiti per offrire servizi di mailing list, e-mail, spazi web, ftp server, sistemi e database crittografici, circuiti di peer to peer, archivi di video e foto digitali, webradio. La guerra dei segni che da sempre ha accompagnato i conflitti sociali e culturali, e che ha avuto negli anni Settanta una larga presa nell’area degli studiosi e degli operatori della comunicazione, si è sviluppata in seguito anche attraverso forme di arte urbana, nel movimento dei graffiti, nelle pratiche di sniping, attraverso forme di hackeraggio dell’etere come quelle di Orson Clarke negli anni Ottanta verso il segnale televisivo, e nelle pratiche di jamming culture. La guerra semiotica ha avuto un risvolto recente in rete con pratiche a cavallo tra arte e movimenti controculturali quali il Digital Hijacking, i Defacements, i Netstrike e le strategie di disturbo elettronico. Queste operazioni hanno in comune la messa in discussione del senso dominante. Fanno controinformazione


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non solo fornendo punti di vista differenti sullo stato delle cose, ma mettendo anche in crisi la legittimazione e l’autorità dei media ufficiali. Esportano scetticismo, instillano un dubbio nella coscienza, producono senso non autorizzato. Nell’arte semiotica la produzione di effetti sovversivi attraverso eventi ed interventi nel processo comunicativo si basa su due principi fondamentali: lo straniamento derivante da sottili cambiamenti introdotti nella rappresentazione del quotidiano con il risultato di produrre significati imprevisti e la sovra identificazione che esasperando i modelli logici di pensiero, dei valori e delle norme dominanti, ne porta in luce le contraddizioni. La guerriglia semiotica è quindi è il tentativo di produrre effetti sovversivi attraverso eventi ed interventi nel processo comunicativo. L’invenzione di informazioni false per la produzione di eventi veri è un metodo per svelare e per criticare i meccanismi della produzione egemonica di immagini mediatiche e politiche della realtà. L’ultima forma di attivismo trattata si chiama craftivism: è un movimento nato

dalla passione per il craft (in italiano il suo significato è usato per la tessitura) e l’impegno politico, nasce dalla congiunzione di femminismo, anticapitalismo, sostenibilità ambientale, pacifismo e istanze umanitarie. Il termine è stato coniato nel 2003 dalla scrittrice Betsy Greer ma in realtà le radici di questo fenomeno sono riscontrabili anche più indietro nel tempo, ad esempio nei quilts che segnalavano i percorsi sicuri per la fuga degli schiavi in America durante lo schiavismo, con il motto “possa il lavoro dei nostri aghi tormentare la coscienza degli schiavisti” che venne adottato dalle ricamatrici , oppure le numerose coperte cucite e vendute per supportare il movimento delle Suffragette. Lo scopo di tale movimento è, da una parte, quello di creare una coscienza su temi particolarmente sensibili (sfruttamento del lavoro, ecosostenibilità, teorie queer e femministe, etc), e dall’altra quello di ripensare il mondo in un’ottica differente. Il mezzo privilegiato delle azioni è quello delle cosiddette “arti femminili” (cucito, maglia, uncinetto, ricamo etc), per secoli relegate in uno spazio marginale in


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quanto attività prettamente “da donna” e “non produttive”. Oggi queste tecniche sono state rivalutate da una battagliera nicchia di attivisti che ha deciso di farne uno dei punti focali delle proprie rivendicazioni, attraverso il massive knit (anche detti knit-in: una sorta di flash mob in cui ci si “infiltra” in uno spazio pubblico e si lavora in gruppo a maglia. Questa forma di protesta genera una rottura della tradizionale contrapposizione fra spazio domestico e spazio privato che porta a ridiscutere i ruoli di genere, i simboli del potere maschile e della repressione patriarcale. Un altro strumento utilizzato è quello della guerilla art, che inserisce attraverso il riarredo urbano (come le coperture a maglia di lampioni e corrimano) dei messaggi politici all’interno degli spazi pubblici. Si può concludere affermando che le quattro tipologie trattate (mediattivismo, hacktivism, semiotic art e craftivism) possono coesistere insieme. Spesso vediamo come alcuni degli strumenti utilizzati per una tipologia, siano usati anche in un’altra. Oltre agli strumenti utilizzati, e

l’origine da cui nascono, la cosa che più accomuna queste quattro diverse forme di attivismo è senz’altro il concetto di disturbo culturale, detto anche culture jamming. Il culture jamming è una pratica contemporanea che mira alla contestazione dell’invasività dei messaggi pubblicitari veicolati dai mass media nella costruzione dell’immaginario della mente umana. Il risultato è in genere la trasmissione di un messaggio di critica radicale del sistema economico che avviene per mezzo dello stravolgimento del suo apparato ideologico-pubblicitario, nel tentativo di liberare l’individuo dal ruolo di ricevente passivo e indurlo a un consumo critico e consapevole


CASE HISTORY 94

Introduzione

OCCUPY WALL STREET / THE YES MEN / SERPICA NARO Per analizzare le case history presentate è stata fatta una ricerca sulle tipologie di attivismo no-global più utilizzate, per poi studiare le proposte più contemporanee. I concept in comune tra questi tre movimenti sono senz’altro la lotta nei confronti di un’istituzione o di un concetto che si crede sbagliato e per il quale delle persone si ritrovano unite a combatterlo. Il concetto di condivisione è quindi una chiave fondamentale dell’unione dei movimenti, tutti gli strumenti utilizzati (social networks come Facebook o Twitter) ne sono poi una conseguenza, non la causa. I social networks facilitano senz’altro l’organizzazione e velocizzano le tempistiche di una contestazione, ma alla base di movimenti duraturi c’è un’ottima consapevolezza dell’ambiente di riferimento, di cosa si vuole colpire e di come lo si vuole colpire. È solo con la motivazione interna che si riesce a creare un qualcosa, i casi-studio analizzati ne sono un esempio, perché sono riusciti a evolversi in qualcosa di più di una semplice contestazione. Ogni movimento di contestazione analizzato ha avuto il proprio slogan evocativo,

semplice e immediatamente comprensibile. Gli stessi movimenti giovanili hanno adottato nomi brevi ed evocativi, simili tra di loro. L’idea di base è di sfruttare le strategie del marketing commerciale (corporate branding) per fare politica e/o contestare un qualcosa o un qualcuno. Il movimento in questo caso si muove come un vero ufficio, deve avere un dipartimento marketing.


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LINEE GUIDA COMUNICAZIONE VISIVA CASE HISTORY ATTIVISTI NO GLOBAL

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FOTOGRAFIA

TIPOGRAFICA

Le fotografie utilizzate per i manifesti e per le campagne-fake sono dei primi piani, degli still-life o dei reportage di lavoratori che vivono in condizioni precarie. Quando utilizzata, la fotografia ha spesso un ruolo principale: o è lo sfondo generale del poster (in questo caso le foto sono in b/n) o è posta al centro o in altri posti gerarchicamente più importanti.

La tipografica ha due ruoli: dare un messaggio efficace e successivamente informare. Troveremo quindi messaggi esortativi con non troppe parole, affiancati (non sempre) da blocchetti tipografici in minuscolo e in carattere medium, che comunicano informazioni sintetiche sul visual utilizzato. In tutti i manifesti analizzati, per i messaggi esortativi è utilizzata una tipografica sans serif, lineare, con il peso in bold. Chiaramente il suo utilizzo è giustificato dal fatto che i messaggi studiati per esortare devono avere un’enfatizzazione strutturale di base: più un carattere ha un peso marcato, più il messaggio acquista importanza e rigorosità. Per lo stesso motivo, unito al fatto che dà maggior visibilità, anche l’utilizzo del maiuscolo acquisisce un ruolo di base: si può trovare in quasi tutti i manifesti.


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COLORE

NEW MEDIA

I colori più utilizzati sono il nero e il rosso. Il nero è la negazione del colore: rappresenta il limite assoluto oltre il quale non c’è più nulla. E il “no”, in opposizione al “sì” del bianco di sfondo. Chi sceglie il nero rinuncia a tutto e protesta energicamente contro una situazione che non è come vorrebbe che fosse. Il rosso rappresenta uno stato fisiologico che provoca energia: accelera il polso e la respirazione, aumenta la tensione. Il rosso sottolinea lo slancio spontaneo, la “forza di volontà” e tutte le forme di vitalità e di forza, dalla capacità sessuale al desiderio di cambiamenti rivoluzionari. È uno slancio verso l’azione, lo sport, la lotta, la competizione, l’eroismo e la produttività. Nel Test dei Colori, quello che si avvicina più al bianco è il giallo vivo, accostato alle fotografie di sfondo e spesso usato in overprinting. La scelta del nero e del giallo indica perciò un atteggiamento estremista. Nei poster analizzati si da di solito un livello gerarchico ai colori: ce n’è sempre uno principale e gli altri che gli fanno da contorno. Un altro sistema è utilizzare una paletta cromatica dello stesso colore (vedi poster D17 di Occupy Wall Street).

I nuovi media sono senz’altro degli ottimi strumenti di supporto per i Movimenti analizzati. È d’obbligo dire che le contestazioni più importanti degli ultimi anni sono nate tutte sui social networks come Facebook o Twitter (la case-history Occupy Wall Street ne è un esempio). Un aspetto molto interessante è senz’altro il finanziamento tramite piattaforme online, detto anche crowdfunding, fonte principale dell’indipendenza dei movimenti che non si devono quindi appoggiare a enti esterni, rischiando successivamente di prescindere dalle loro decisioni.


DISOBBEDIENZA CIVILE / MEDIATTIVISMO

OCCUPY WALL STREET 98

New York 2011

NASCERE DA UN TWEET

04 07 11

Appare per la prima volta l’hashtag #OccupyWallStreet, pubblicato su Twitter di Adbusters. Il tweet è ripreso da altri utenti trentotto volte nello stesso giorno.

13 07 11

Adbusters riprende l’hashtag su Twitter, questa volta con una data, quella del 17 settembre, e l’invito a prendere parte all’occupazione.

15 07 11

Inizia a girare voce di una manifestazione davanti a Wall Street e l’edizione online di Forbes pubblica un articolo sull’occupazione che si terrà a settembre.

11 09 11

L’hashtag OccupyWallStreet compare 128 volte su Twitter. Da questo momento i riferimenti sul social network all’evento si moltiplicano.

17 09 11

È il giorno della manifestazione a New York, ripresa da più di 19mila tweet. Su Internet i video in streaming della manifestazione. Da quel giorno, l’ascesa.


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IDEALI Occupy Wall Street è un movimento spontaneo, e quindi democratico nel senso più elementare del termine, perché ispirato a ideali di auto-governo e di eguaglianza di cittadinanza. Lo slogan “Noi siamo il 99%” non intende fare guerra all’1%, cioè ai miliardari. L’equità fiscale non è proprio un obiettivo rivoluzionario. Se così appare è perché le diseguaglianze economiche e sociali sono ormai così radicali da aver dato vita a due popoli. Occupy Wall Street mette in luce questa antica e sempre nuova lotta tra oligarchia e democrazia. Soprattutto, mostra come la seconda non sia semplicemente una forma di governo, ma anche un ideale, una visione di società che quando le diseguaglianze si radicalizzano, come ora, non riesce più ad avere il consenso di tutti. L’1% simbolico sta a significare che alcuni sono fuori dal patto democratico dell’eguaglianza. Secondo Occupy Wall Street l’economia esiste per soddisfare i bisogni dell’Uomo, non privatizzarli, e come tale, dovrebbe favorire lo sviluppo di un’economia sostenibile che assicuri la sopravvivenza delle generazio-

ni future. Da quanto si evince OWS non è contrario – in senso assoluto – all’economia di mercato e al capitalismo. Nella speranza che il Nuovo Statuto possa favorire il rinnovo (non la soppressione) del sistema economico, vengono anche elencate delle linee guida per le eventuali riforme che dovrebbero avere a che fare con l’economia: essere consone a un sistema democratico, essere in linea con la Costituzione degli Stati Uniti, evitare gli interventi governativi, rispettare l’economia di mercato, evitare di creare incentivi perversi. La richiesta di OWS è quella di un sistema politico al servizio di tutti, non solo dei molto ricchi e molto potenti. Lo slogan chiede più semplicemente che chi ha più deve più contribuire anche perché quel di più lo ha in ragione di politiche adottate dai governi americani dalla fine degli anni ‘70. Politiche alle quali tutti hanno obbedito e che però hanno favorito non tutti allo stesso modo.


DISOBBEDIENZA CIVILE - MEDIATTIVISMO / CONCEPT

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Concept 1

PROTESTA Occupy Wall Street nasce innanzitutto come un’azione: l’occupazione di Zuccotti Park, sede della Finanza Americana, per protestare contro l’alto tasso di povertà e disoccupazione che sta colpendo l’America e reclamare a favore di una maggiore equità fiscale. In seguito alla prima fase è succeduta un’azione di resistenza, poiché l’occupazione dell’area è durata fino al 15 novembre 2011. L’occupazione iniziale, tramite veri e propri accampamenti di tende dentro tutta l’area di Zuccotti Park, ha permesso nel corso dei mesi di dare sempre più risalto al Movimento. La Fase iniziale consisteva nell’accentrare tutte le proteste intorno ad una sola area, questo

Occupazione di Zuccotti Park

per fare gruppo, per stringersi tutti intorno agli stessi ideali. Fino al 15 Novembre sono stati diversi gli scontri con la polizia, molti filmati attestano atti di violenza da parte dei poliziotti addetti allo sgombero contro i manifestanti inermi che praticavano sit in non violenti. Il clamore di queste azioni ha dato ancora più forza agli attivisti, che non hanno mai smesso di diminuire.


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Concept 2

ORIZZONTALITÀ Durante l’occupazione OWS non è rimasto fermo, anzi contro ogni previsione è riuscito ad organizzarsi al meglio, riuscendo ad autofinanziarsi tramite offerte libere sia da chi ne faceva parte in prima persona, sia da “esterni” sensibili alla causa. Durante il corso di questi due mesi OWS si è evoluto, mantenendo sempre l’orizzontalità di dibattito e reclamandosi sopra i due partiti principali. Durante i due mesi trascorsi OWS si è evoluto. Gli attivisti, prendendo spunto dalle azioni degli Indignados spagnoli, sono riusciti ad applicare un modello democratico orizzontale (senza nessun rappresentante a farne le veci). Occupy Wall Street è nato

dal basso. Non c’è una struttura centrale né un’agenda politica. Tramite assemblee e cortei si sono man mano organizzati, sfruttando la piazza come agorà e creando all’interno dell’area anche un campo medico, una libreria e diversi banchetti sia per la raccolta fondi, sia per ricevere consigli su come migliorarsi.

Assemble e raccolta firme


DISOBBEDIENZA CIVILE - MEDIATTIVISMO / CONCEPT

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Concept 3

DECENTRALIZZAZIONE Dopo il 15 Novembre, OWS sta attraversando una fase apparentemente di tranquillità. In realtà si è in una fase di brainstorming e si sta cercando di tirare fuori più idee possibili per evolvere il Movimento. Una strategia della nuova fase già messa in atto è la decentralizzazione degli attacchi: se prima Zuccotti Park era il polmone della protesta, ora si cerca di creare più occupazioni lampo, per mettere in contropiede le istituzioni. Un altro cambiamento riguarda l’organizzazione: anziché occupare un parco come base stabile, e poi diramare i propri messaggi e le proprie iniziative da lì, si va verso una tattica fatta di attacchi a sorpresa.

Attacchi delocalizzati e specifici

L’idea principale è di colpire sempre obiettivi fortemente simbolici in diversi momenti: un giorno potrebbe essere la sede di una banca, un altro giorno la facoltà di Economia di una nota università. Non ci sono però date o preavvisi, verrà tutto comunicato pochissimo tempo prima, in modo da non lasciare punti di


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Concept 4

DISCUSSIONE Uno dei concetti-chiave del movimento è l’idea di arrivare tramite un confronto diretto a delle soluzioni. Sfruttando i nuovi sistemi di comunicazione, il profilo Facebook di OWS in un solo mese ha raggiunto i 250 mila fan. Il controllo dei governi sui social networks diventa sempre più stretto. E i movimenti si adeguano, sperimentando nuovi media in grado di sfuggire alle maglie della censura. Oltre a Facebook, è stato creato un social network chiamato New York City General Assembly. In questo caso si tratta di un sito sviluppato su una piattaforma WordPress, che, come ha spiegato uno dei suoi ideatori, Drew Hornbein, ha lo

scopo di riprodurre sul web gli incontri e i dibattiti che avvengono quotidianamente tra i manifestanti, consentendo la discussione anche a chi non può raggiungere fisicamente Zuccotti Park. Altrettanto diffuso a Zuccotti Park, è Tumblr, la piattaforma di tumblelog che si pone a metà strada tra Twitter e un blog classico. Il riferimento in questo caso è la pagina “We Are The 99 Percent”, seguita da migliaia di utenti, che qui possono trovare immagini delle manifestazioni di New York, Boston e Chicago, inclusi striscioni

Piattaforme di sharing utilizzate dagli attivisti di Occupy Wall Street


DISOBBEDIENZA CIVILE - MEDIATTIVISMO / CONCEPT

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Concept 5

PARTECIPAZIONE Partecipare, essere attivi, organizzarsi, riuscire a comunicare in maniera sintetica e istantanea: le piattaforme di micro blogging come Twitter sono adatte a questo concept. L’anti-popolar social media strategy si scatena attraverso le piattaforme di micro blogging o le app. Una di queste è Vibe, un’applicazione per iPhone che consente di scambiare messaggi con gli altri utenti del servizio, mantenendo l’anonimato e senza bisogno di alcuna registrazione. Gli utenti devono solo stabilire il raggio di diffusione del messaggio desiderato (da poche centinaia di metri fino all’intera superficie terrestre) e il suo periodo di “vita”

Piattaforme di microblogging utilizzate dagli attivisti di Occupy Wall Street

(da quindici minuti a sempre). Scaduto il tempo programmato, il messaggio scompare, senza lasciare traccia. Proprio Vibe, creato originariamente per comunicare all’interno dei college e in occasione dei concerti, è stato utilizzato dagli attivisti di Occupy Wall Street a fine settembre per raccontare i primi arresti e denunciare i maltrattamenti della polizia, senza il rischio di essere intercettati.


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Concept 6

CONDIVISIONE La condivisione ha avuto un ruolo molto importante nello sviluppo di OWS. Lo sharing è, infatti, una parola-chiave sia a livello ideologico che pratico: l’idea è di condividere tutto, dalle ideologie alle azioni. Esiste una questione tecnologica che favorisce il passaparola su certi ambiti di rete rispetto ad altri e OWS è riuscita a sfruttarli al meglio. Grazie alle piattaforme di sharing è possibile condividere gli avvenimenti successi a Zuccotti Park con tutto il mondo. Spesso gli attivisti si sono avvalsi di questi strumenti di condivisione per denunciare gli abusi subiti durante l’occupazione pacifica. I video degli sgomberi su You Tube

hanno subito destato molto scalpore, così come le foto pubblicate su Flickr. Su tutte e due le piattaforme OWS ha un canale personale, ma ne esistono altre migliaia, creati da utenti attivisti o simpatizzanti.

Piattaforme di photo e video sharing utilizzate dagli attivisti di Occupy Wall Street


DISOBBEDIENZA CIVILE - MEDIATTIVISMO / ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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OccupyWallStreet

IDENTITÀ / SITO WEB È presente un’immagine coordinata adeguata, con il logo declinato per creare altri servizi. La grande forza di questo Movimento è senz’altro il web. Ottima consapevolezza delle possibilità che offre il mondo del web 2.0, il sito è designedoriented, improntato sulla funzionalità e sull’immediatezza. È stato sviluppato un sito parallelo chiamato Occupy Design, da la possibilità ai grafici di tutto il mondo di creare materiale per la protesta e c’è anche la parte dedicata agli utenti con le istruzioni.

Identità varie


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Sito di Occupy Design


DISOBBEDIENZA CIVILE - MEDIATTIVISMO / ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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OccupyWallStreet

MANIFESTI In questi due poster analizzati il visual è fotografico con delle sovrapposizioni di tipografica che invitano ad unirsi alla protesta. La frase What is our one demand?, la più utilizzata nella prima fase del movimento, é diventata di diritto il claim della prima campagna utilizzata per coinvolgere più persone possibile nell’occupazione dell’area di Zuccotti Park. Il carattere usato è un sans serif, in bold, di colore rosso. La scritta è articolata su quattro linee, in modo da dare importanza ad ogni parola che compone la frase. Il visual, che fa da

Manifesti campagna promozionale Occupy Wall Street

sfondo a tutto il poster, è una fotografia in bianco e nero e rappresenta Il Toro di Wall Street, scultura di bronzo realizzata dall’artista siciliano Arturo Di Modica e collocata presso il Bowling Green Park, nel quartiere della borsa di New York (la New York Stock Exchange) a Wall Street. Il contrasto cromatico tra tipografica e sfondo risalta in maniera rilevante il tono “accesso” di protesta. Sul fondo del poster troviamo il pay off in bianco che informa gli attivisti sulla data della protesta e sul materiale da portare (bring tent,


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ovvero porta una tenda). Il primo poster è composto da un’illustrazione affiancato a diversi blocchi tipografici. L’illustrazione è una composizione in vettoriale mischiata a elementi tipografici che formano una frase d’incitazione, che diventerà l’headline del manifesto. I colori utilizzati per le scritte e l’illustrazione sono un giallo porpora e un beige chiaro, che risaltano molto sullo sfondo nero. Per il secondo poster si ritorna a uno sfondo fotografico, che rappresenta un’azione di massa. L’headline si può scom-

porre in due livelli gerarchici, dati dalle differenti dimensioni delle scritte e dalle loro disposizioni. In alto troviamo la frase principale WE WANT che, oltre ad attirare l’attenzione sul poster, reclama una serie di diritti (che si sviluppano per la lunghezza del poster sotto forma di quadrati gialli collegati tra loro tramite filetti “fatti a mano”). Al fondo del poster troviamo la seconda headline che invita i partecipanti alla manifestazione di prendere in mano il proprio futuro e di iniziare la global revolution. Le scritte in giallo risaltano molto

Manifesti campagna promozionale Occupy Wall Street


SEMIOTIC ART - CRAFTIVISM

SERPICA NARO 110

Milano 2005

LA FALLA NEL SISTEMA MODA

26 02 05

Il brand Serpica Naro è stato lanciato in occasione della giornata conclusiva di Milano Fashion Week, il 26 febbraio 2005. In realtà la stilista non esisteva.

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DAYS

Il numero di giorni che sono serviti agli attivisti per creare il marchio e inserirlo nel circuito di Milano Fashion Week 2005.

MODELS

Sono otto i modelli presentati. Erano una rappresentazione sarcastica di alcuni aspetti della precarietà.

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15 00 € 2

CENTO

Sono state spese alcune migliaia di euro. Ma non tanto per il lavoro preparatorio: il 70 per cento è stato assorbito dalle spese per la sfilata, il tendone, il riscaldamento. Le persone coinvolte nel processo di creazione e sviluppo del marchio Serpica Naro durante Milano Fashion Week 2005. Tutti lavoratori precari del settore moda.


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IDEALI Serpica Naro è un luogo dove s’incontrano immaginari e autoproduzione, creatività, stile e radicalità. Serpica Naro decreta la fine dei simboli e afferma una metodologia, un immaginario, un’apertura attraverso la quale esprimere produzione sociale e conflittualità. Serpica Naro è produzione autonoma di senso, un metodo di condivisione, apertura pubblica dei “codici”, liberazione e messa in rete di competenze e intelligenze. Serpica Naro è una modalità di relazione, in forma reticolare, continua, completamente aperta. Serpica Naro è anche un sito web per inventare un laboratorio di stile precario, per raccogliere le autoproduzioni per socializzare le competenze lavorative e le informazioni. L’instabilità diviene ricchezza attiva, il divenire continuo fa muovere e creare nuovi stili. Entrare nella Settimana della Moda non per esserne nota di colore o per chiederne asilo, ma per gridare ad altissimo volume il proprio essere altro, l’essere capaci di mettere in campo un meccanismo diverso di produzione, di attingere alle proprie capacità di interpretare i meccanismi della comunica-

zione mainstream per costruire un’identità (immagine coordinata) forte abbastanza da attirare l’attenzione dei media e della commissione. Serpica Naro è diventato un brand aperto a nuove forme di cooperazione (il logo già esiste ed anche il marchio è stato registrato), un l(u)ogo di reti di autoproduzioni tessili, di condivisione dei saperi, di creatività e immaginario di contrapposizione alla moda. Creatività e sperimentazione sociale si muovono insieme. Serpica Naro come meta-marchio delle autoproduzioni è la risposta con la quale dichiara chiusa la settimana della moda e aperta la stagione della cospirazione precaria e creativa. La condivisione delle competenze, la cooperazione, la costruzione di nuovi immaginari sono le armi determinanti che hanno fatto emergere le potenzialità della produzione sociale di cui i precari e le precarie, i creativi e le attiviste sono i veri protagonisti. La condivisione non produce capitale vampirizzabile e non usa lavoratori come se fossero una qualsiasi risorsa rinnovabile. La condivisione significa contenuto open in cambio di contenuto open.


SEMIOTIC ART - CRAFTIVISM / CONCEPT

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Concept 1

CAMOUFLAGE La singolare biografia di Serpica Naro, le riviste e i siti che parlano di lei e del suo stile, il suo look book, i buyer, l’ufficio stampa, lo show-room, l’ufficio di corrispondenza a Tokyo. Tutto architettato per accedere al circuito ufficiale “Milano Moda Donna”. Così ben realizzato da sedurre e affascinare persino la Camera della Moda che ha, infatti, concesso senza esitare tutti i permessi necessari. Grazie ad un falso è riuscito a superare tutti gli ostacoli di questo grande “Castello” che è la Settimana della Moda, “le sue torri d’osservazione, le sue guardie a ogni porta”. Ha svelato beffandolo che il suo prestigio è vapore e, come se non

Il tendone di Serpica Naro, ufficialmente registrato a Milano Fashion Week 2005

bastasse, ne ha alterato (de-formato) il senso, attribuendogliene un altro; l’ha adattato, anche se solo per breve tempo, attraverso uno sviamento, un sabotaggio, un dirottamento (e il detournament non è altro che questo) a nuove intenzioni.


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Concept 2

PROTESTA Affinché non vi fosse il benché minimo sospetto riguardo alla vera identità della stilista e i media si accorgessero proprio di lei tra la marea (cento da tutto il mondo) di altri brand, si è fatto in modo che San Precario e gay le fossero contro. Niente protesta invece. Solo la rivelazione dell’inganno. Tuttavia la sfilata c’è stata davvero, organizzata dal gruppo di atttivisti Chainworkers. Quando manca ormai poco alla sfilata, il tendone è gremito, sono presenti sul posto le telecamere di Studio Aperto e del TGR di Raitre. A pochi minuti dall’inizio della manifestazione, nonostante tutto, dal Pergola Move, centro sociale situato

nelle vicinanze della location, parte l’annunciato corteo di protesta. Questa “contrapposizione contestativa”, così è definita nella cartella stampa messa a disposizione in rete, l’avrebbe resa certamente unica, inconfondibile, e degna di attenzione.

Rivendicazione della verà identità


SEMIOTIC ART - CRAFTIVISM / CONCEPT

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Concept 3

SFILATA DETOURNEMENT Abiti che nascondono la maternità per non essere licenziate, minigonne sexy per fare carriera più in fretta, abiti da sposa per donne senza cittadinanza italiana, tute da lavoro che nascondono il pigiama, per essere sempre pronti a lavorare notte e giorno, abiti double face per chi fa due lavori e quelli antistress per quando sei sfinito dalla fatica, le magliette con il numero di giorni che mancano al licenziamento. Serpica Naro ha messo in scena un’economia che funziona secondo logiche diverse, un meccanismo diverso di produzione controllato dal basso. Ha reso quelle passerelle uno spazio di protesta creativa e propositiva.

Abiti di Serpica Naro in passerella


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Concept 4

METABRAND Ispirandosi alla filosofia open source, il marchio Serpica Naro è libero di essere utilizzato da chiunque si riconosca nei percorsi che hanno portato alla sua creazione, il che significa anche rispettare vincoli riguardanti le condizioni lavorative degli addetti alla produzione, i materiali e le tecniche di produzione utilizzate, e accettare che tutte queste creazioni siano liberamente riproducibili. Serpica Naro ha sempre dichiarato la propria natura di MetaBrand, in altre parole un processo sociale che crea produzione autonoma di senso, apertura pubblica dei codici, liberazione e messa in rete di competenze e intelligenze. Non avrebbe

mai pensato di divenire un marchio registrato ufficialmente, ma così è successo. A questo punto, l’unica strada percorribile è stata la liberazione del marchio, ovvero la definizione della sua licenza. Licenziare un marchio significa condividere tutti i diritti che la legge riserva al proprietario del marchio stesso. Il vero proprietario di un processo sociale è la collettività che sa condividere saperi ed esperienze e attraverso questo metodo riesce a fare breccia nell’istituzione della precarietà.

Griglia grafica e etichetta che attesta la liberazione del brand


SEMIOTIC ART - CRAFTIVISM / CONCEPT

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Concept 3

LABORATORIO Dal 2006 Serpica Naro si è trasformato in un collettivo/associazione culturale nonprofit che organizza eventi, laboratori e iniziative in particolare intorno ai concetti di proprietà intellettuale, soggettività nelle industrie creative, lavoro e precarietà nella moda. Serpica Naro vuole diffondere l’idea che si possa essere i creativi del proprio stile e allo stesso tempo vuol far comprendere, attraverso il fare, quanto lavoro e impegno ci siano dietro la confezione di un capo di abbigliamento; forse l’unico modo in grado di sviluppare vera empatia nei confronti degli sfruttati del Sistema Moda, ovunque nel mondo.

Workshop Serpica Naro


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Concept 4

TUTELA LEGALE Serpica Naro vuole diventare un punto di aggregazione solidale in cui, grazie alla collaborazione volontaria di avvocati professionisti, i lavoratori precari possono ottenere consulenza specialistica. Il servizio è gratuito, e, nel caso di vittoria della causa, il lavoratore precario può decidere in modo volontario se destinare parte dell’indennizzo ottenuto per contribuire al progresso e alla costruzione del Punto San Precario.

L’assistenza legale di Serpica Naro si avvale di poster informativi


SEMIOTIC ART - CRAFTIVISM / FOCUS

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Serpica Naro

BRAND Con il termine brand solitamente si indica la marca, il logo di un determinato prodotto, spesso sovrapposto al prodotto stesso (es. “passami la bic”, per indicare la penna). Negli ultimi anni questa sovrapposizione è andata sempre più aumentando di pari passo con la percezione che il brand non indichi più una tipologia di prodotto, quanto uno “stile di vita”, “un modus vivendi”, diventando il veicolo principale della produzione delle merci ad alto contenuto ideologico. Il brand oggi supera il prodotto stesso: la Apple non trasmette il proprio brand attraverso la semplice produzione di personal computer, ma tramite la proposizione di uno stile

Concetto di cattedrale

di vita. L’ advertising e la comunicazione sovrastano questo meccanismo: attraverso un simbolo si evoca un mondo. L’immaginario prodotto sfrutta la frammentazione creata dal meccanismo di produzione e contemporaneamente crea un’identità collettiva che invita al consumo compulsivo e reiterato e al mantenimento dell’atomizzazione esistente. Oggi i grandi brand si svelano come strutture economiche e comunicazionali in grado di gestire una manipolazione complessa della società attuale.


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METABRAND Il Meta brand è produzione autonoma di senso, un metodo di condivisione, apertura pubblica dei “codici”, liberazione e messa in rete di competenze e intelligenze. Il meta brand ha bisogno di cura e lunga preparazione e, necessariamente, dimolte mani e molti occhi. La proprietà privata dei saperi ci ha messo di fronte ad un’instabilità che noi trasformiamo in ricchezza attiva liberandoli. La condivisione continua ci spinge a creare nuove cose. Il meta brand, più che un marchio diverso, è un metodo, un processo, una cospirazione. E’ tanto spazio, dove ognuno può inserire immaginari, autoproduzione, creatività, stile e radicalità. Il meta brand

in sé non esiste: come una ricetta magica, possono prepararlo e usufruirne tutti, ma nessuno può mangiarselo da solo. Ingrediente segreto: genio e disperazione.

Concetto di bazar


HACKTIVISM - SEMIOTIC ART

THE YES MEN 120

New York 2003

DITEGLI SEMPRE DI SI

19 91 ®

Insieme fondano Registered Trade Mark (®TMark), corporation virtuale con una mission ai limiti del paradosso: boicottare altre aziende.

∆ 20 03

Completata la transizione da ®Tmark agli Yes Men, con le apparizioni pubbliche diventano volti sempre più noti al pubblico.

3

CENTO

È di circa 300 il numero degli attivisti che gira intorno al mondo degli Yes Men.

FILM

The Yes Men (2003)e The Yes Men fix the world (2009). Questi sono i film prodotti tramite autofinanziamento e presentati nei festival cinematografici più importanti.

2

W T O

La “vittima” preferita degli Yes Men è il WTO (World Trade Organization) le loro tecniche: la clonazione e la parodia.


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IDEALI La disobbedienza civile elettronica è l’uso politico di computer in network gestiti con l’intenzione di provocare un cambiamento sociale e culturale nel mondo offline. I gruppi che si dedicano al sabotaggio creativo sono insomma molti e agiscono tutti in maniera ludica e sovversiva. Resta comunque evidente che spesso il confine fra Net Art e politica è molto sottile, e anzi, spesso l’arte e la rete si rivelano validi strumenti per fare attivismo sociale se non vera e propria politica e che gli esempi di questa commistione sono molti e in particolare vari gruppi di persone e associazioni. Gli Yes Men sono fra questi. Il nome del gruppo si riferisce, ovviamente in tono sarcastico, agli “uomini sì”, ossia i consiglieri e lo staff dei potenti uomini politici o industriali, in grado solo di dire sì ai padroni. I nostri sono un gruppo di jammer diventato famoso grazie al New York Times e ad un’intera pagina che il giornale gli ha dedicato in seguito ad una delle loro performance. Le azioni degli Yes Men sono di terroristi non violenti, che usano le armi dell’ironia, vestiti con costumi dorati con ridicole proboscidi falliche

che, a dire loro, dovrebbero implementare e ottimizzare i loro attacchi. La parodia degli Yes men è spesso evidente, ma il pubblico delle conferenze rispetta il loro status e non si scompone di fronte anche alle proposte più impossibili, a dimostrazione che alle multinazionali, spesso, non si contesta nulla. La contestazione del potere da parte degli Yes Men si basa sul principio della contro-informazione. La loro guerrilla communication va ricondotta a strategie sovversive di attivismo politico che possiamo confrontare a quelle attuate dai situazionisti negli anni cinquanta o dagli hacker negli anni ottanta e novanta. Costruendo finte campagne stampa su diversi media, in primo luogo Internet, da dove diffondono false dichiarazioni, mettono in crisi un’azienda o un governo colpendone la reputazione pubblica. La loro azione diviene così più forte rispetto ad altre strategie di contestazione, poiché le moderne multinazionali, le istituzioni e gli enti politici basano la loro attendibilità, e dunque il loro potere, sulla studiata costruzione di un’immagine pubblica positiva.


HACKTIVISM - SEMIOTIC ART / CONCEPT

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Concept 1

SABOTAGGIO CULTURALE Altra pratica frequente è la clonazione dei siti, che ha le sue radici nelle tecniche di falsificazione e detournement. La clonazione è una delle pratiche più diffuse dagli attivisti The Yes Men, da quella del sito del WTO nel 2001 fino a quella di Chevron nel 2010. Computer e reti non sono più solamente mezzi produttivi ma strumenti di un nuovo conflitto politico e sociale che sono usati soprattutto in due modi: per un’informazione libera e prodotta ‘dal basso’ e per sabotare simboli e modelli della comunicazione dominante.

Sito internet fake “Chevron We Agree”


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Concept 2

IDENTITY CORRECTION Come loro stessi dichiarano, gli Yes Men si occupano di “Identity Correction”: impersonano i “cattivi” e ne svelano pubblicamente le malefatte con azioni di forte impatto mediatico. Lo scambio identitario si è dimostrato comunque assai gradito agli organizzatori delle conferenze cui gli Yes Men partecipano, grazie al convinto “sì alla globalizzazione” di cui il gruppo si fa assertore. La satira che adottano questi attivisti cos’è se non il giocoso smascheramento delle ipocrisie dei discorsi ufficiali? La differenza è che qui la satira agisce attivamente (arrivando a far perdere 2 miliardi di dollari alla Dow Chemicals).

Aspetto ludico sempre presente nelle aziioni


HACKTIVISM - SEMIOTIC ART / CONCEPT

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Concept 3

INTRATTENIMENTO Nelle loro azioni sono stati chiamati a rappresentare gli ideali delle grande aziende che, sotto falsa identità, rappresentavano. Veri e propri happening dove le proposte più assurde, spesso ridicole, sono le protagoniste dei loro discorsi tenuti nelle conferenze alle quali sono invitati. Quello che gli Yes Men attraverso queste divertenti azioni cercano di dimostrare è la totale mancanza di obiettività nei confronti delle autorità, in questo caso il fatto di essere un rappresentante del WTO può giustificare qualsiasi tipo di comportamento, e come ebbe modo di dichiarare Bilchbauer “nel nome del WTO si potrebbe anche giustificare un omicidio”.

L’ironia è il tratto caratteristico presente nelle azioni degli Yes Men


HACKTIVISM - SEMIOTIC ART / ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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OccupyWallStreet

IDENTITÀ / SITO WEB Sono presenti tre loghi: il primo è quello principale, il secondo è quello usato per il film e per gli eventi a seguire correlati alle azione del film, il terzo invece è del laboratorio di idee Yes Lab. Probabilmente perchè si è deciso di puntare a livello comunicativo su Yes Lab, il sito è più aggiornato di contenuti rispetto a quello principale. È presente sul social network facebook con un proprio profilo, da dove aggiorna costantemente gli utenti con post e link.

Identità


HACKTIVISM - SEMIOTIC ART / ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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The Yes Men

LOCANDINE FILM A metà strada tra il documentario e la candid camera, questo film è il resoconto di come un gruppo di attivisti molto creativi e intraprendenti sia riuscito con una serie di sarcastiche messe in scena a prendersi gioco di alcune grandi imprese finanziarie ed economiche, evidenziando le ipocrisie del sistema liberistico e la disumanità dell’economia moderna. Le locandine del film sono tante, variano sia perché il film è stato pubblicato in diversi mercati cinematografici (americano ma anche europeo) e sia perché ha attirato l’attenzione del mondo indipendente. Molti grafici hanno partecipato alla realizzazione progettuale dei manifesti.

Le locandine con un visual fotografico sono quattro: se nella prima è tagliata e posta al centro pagina, nelle altre tre la fotografia è usata come sfondo dell’intera locandina. L’illustrazione con fondo nero è stata creata tramite un’illustrazione/composizione in vettoriale; si differenzia anche per la dimensione gerarchica del titolo, notevolmente più piccolo rispetto agli altri. La penultima locandina presentata è un mix tra fotografia e illustrazione stile “cartoon”, mentre l’ultima ha uno “screenshot” tratto dal film. In tutti i manifesti si tende sempre a mettere i riconoscimenti ottenuti e i festival in cui il film è stato presentato.

La foto sopra raffigura un’azione degli Yes Men, quando diretta nazionale fecero grossi danni economici alla ditta che volevano colpire


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Locandine


HACKTIVISM - SEMIOTIC ART / ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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The Yes Men

CHEVRON - CAMPAGNA SOCIALE La multinazionale petrolifera Chevron è da anni nel mirino di ecologisti e attivisti. Soprattutto in Sud America, le sue attività stanno danneggiando in maniera irrimediabile l’ecosistema. Alcune associazioni, come Rainforest Action Network, si occupano invece da decenni esattamente dell’opposto: ridicolizzarle. E’ una guerra in cui si possono usare molte armi non convenzionali: ad esempio, quelle creative. Così, cosa c’è di meglio di una campagna di comunicazione sociale totalmente fake? Basta fingersi la mul-

Poster fake We Agree

tinazionale stessa, e farle dire ciò che si vorrebbe: che si sono accorti che stanno distruggendo il pianeta, e vogliono rimediare. Ecco così che compare sul web il sito We Agree: un finto sito in cui la Chevron annuncia la svolta in tema ambiente e responsabilità sociale; il lavoro ideato ha il pregio di fare il verso molto bene alla vera campagna “verde” di Chevron. Svelato il mistero, la campagna è stata “liberalizzata” a chiunque volesse dire la sua in merito alle strategie della Chevron. Sono quindi stati creati da moltissimi


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utenti poster ironici, che seguivano le linee grafiche di base usate dagli attivisti The Yes Men. I poster erano orizzontali, divisi in due creando due sviluppi verticali, uno di sinistra e uno di destra. Nella parte di sinistra sono presentate fotografie d’impatto (primi piani o reportage di situazioni lavorative precarie) mentre nella parte di destra era una tipografica nera su sfondo bianco. Tipograficamente si è utilizzato un carattere senza grazie in bold, l’headline era tutta scritta in maiuscolo mentre il body copy è presente in

bianco in basso a sinistra sopra la fotografia. Nella prima parte della campagna (i poster presentati in alto) il logo è posto sopra il body copy, entrambi allineati a sinistra. Nella seconda fase della campagna, quella creata per gli utenti, il body copy sparisce, il logo acquisisce più importanza gerarchica e le immagini hanno uno stile più ironico, paradossale. Anche i messaggi nella seconda parte non sono più un fake, ma puntano chiaramente sull’assurdo e sul ridicolo.

Poster ironici We Agree


PROGETTO


ph Maurizio Montagna


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METAPROGETTO


SCENARIO CONTESTAZIONE 134

MODELLI DI SHARING Inzialmente la ricerca progettuale è partita analizzando i diversi modell di sharing su scala internazionale, per capire se il sistema era cosi funzionale come annunciato. Leggendo un articolo sui diversi modelli di business fin qui attuati dalle circa cento città del mondo in cui è stato attivato il bike sharing, si può essenzialmente trovare due grandi scuole di pensiero: in una a pagare sono le concessionarie di pubblicità specializzate in spazi esterni (che, a fronte della copertura dei costi del bike sharing, ottengono dalle municipalità delle metropoli in cui operano numerosi spazi pubblicitari cittadini outdoor); nell’altro è il Comune, con i fondi di cui dispone, a finanziare l’attività tout court. Il primo modello, quello più battuto dato la sua migliore funzionalità, è utilizzato anche dal servizio di bike sharing della città di Milano, Bike-Mi, oltre che di quelli più importanti come Parigi, Londra. Per approfondire il tema è stata effettuata una ricerca per capire quali sono le modalità alla base di questi sistemi di business. Il meccanismo non è difficile, anzi decisamente intuitivo. Si tratta di creare un accordo finanziario

tra il comune e la concessionaria, solitamente queste sono grandi aziende multinazionali che si occupano tra le altre cose di pubblicità outdoor. L’accordo stabilito prevede un investimento inziale da parte del comune che investe nell’acquisto delle biciclette e delle stazioni, mentre lo sponsor, in cambio di spazi pubblicitari posti sulle biciclette, lungo le ciclabili o adiacenti alle stazioni, mantiene i costi di gestione del servizio (gestione delle postazioni, manutenzione e sostituzione bici, manutenzione hardware e sofware, furti e danneggiamenti). In questo modo si offre alle persone un servizio dinamico, intelligente, moderno, sostenibile mantenendo i costi bassi, quasi a costo zero. Questo è quanto affermato dai siti ufficiali di ogni città che adotta il servizio, in realtà ampliando la ricerca tra diversi blog o forum gestiti dai fruitori del servizio, sono state riscontrate diverse anomalie, specialmente per quanto riguarda la sostenibilità dei costi. è da questo riflessione che quindi ho deciso di focalizzarmi in particolare sul servizio di bike sharing milanese (bikemi) per capirne i pregi e i limiti strutturali.


ph Maurizio Montagna


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FOCUS Forse focalizzandoci su un esempio pratico come quello della città di Milano potrebbe aiutare il lettore a farsi un’idea più chiara. A maggio 2008 Clear Channel Jolly Pubblicità si è aggiudicata la gara pubblica di Bike sharing per la città di Milano, indetta dalla società di trasporto ATM su indicazione del Comune. La gara prevedeva un sistema complessivo di 5.000 bici e 250 stazioni. Ad oggi è stata realizzata la prima fase del progetto: 103 stazioni da 24 stalli e circa 1.400 bici con una contropartita pubblicitaria di 206 impianti di formato europeo da 2 mq bifacciali retroilluminati con tecnologia scroller.
Il nuovo accordo di ampliamento del progetto prevede ulteriori 100 nuove grandi stazioni da 33 stalli e 2.250 nuove biciclette. La contropartita prevede 2.926 mq di pubblicità, da suddividersi tra impianti pubblicitari retroilluminati ed appositamente studiati per la città di Milano di formato europeo da 2 mq e da 8 mq.
La durata del contratto è di 15 anni. Il servizio sarà completamente gestito da Clear Channel che curerà la manutenzione ordinaria e straordinaria, la regolazione

delle stazioni, il Customer Care, la progettazione e l’installazione di nuove stazioni. Il servizio è attivo tutti i giorni dell’anno, dalle 7 del mattino con estensione fino alle ore 24. In sintesi si può definire quest’accordo come un grosso baratto: il comune concede aree urbane da poter usufruire sotto forma di impianti pubblicitari fissi outdoor e in cambio la multinazionale garantisce ai cittadini un servizio a costo zero. Come può però Bike-Mi essere a costo zero? Con la pubblicità? La pubblicità “regalata” è un costo, o meglio un mancato guadagno per la collettività. Soprattutto in un anno di crisi come quello passato e quello in corso, bisogna pagare la differenza a chi mette le infrastrutture. Il problema riguarda i manifesti pubblicitari che dovrebbero coprire i costi di gestione: come già scritto prima, il contratto tra Atm e Clear Channel prevedeva l’acquisto delle biciclette da parte del comune, mentre i costi di manutenzione del servizio sono a carico della multinazionale, che in cambio ha ottenuto la concessione di spazi outdoor. Dato che però molte stazioni sono state completate in


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ritardo rispetto ai patti, automaticamente anche gli spazi pubblicitari previsti sono venuti meno. Si è creato un indebitamento da parte del Comune nei confronti di Clear Channel, cui è stata data ancora più libertà di manovra, spesso chiudendo un occhio su alcuni spazi non del tutto a norma. Da un articolo di Davide Tosio sul giornale online Milano Web, vengono denunciate le installazioni di impianti luminosi per tutto il centro storico di Milano avvenute in agosto, periodo perfetto per lavorare data l’assenza di molti cittadini causa vacanze estive. Sempre su diversi blog cittadini sono stati riscontrati diversi abusi ambientali, ne è un esempio, l’installazione di un cartellone pubblicitario di otto mq che svetta lungo via Facchinetti sorretto da un mastodontico pilastro. Non pubblicizza un bel niente, per ora, ma è li, inutile, a occupare metà dello stretto marciapiede della via. Si tratta di uno degli spazi pubblicitari, che in molti chiamano già ecomostri, inseriti nell’accordo economico fra Comune, Atm e Clear Channel. Facendo un’ulteriore ricerca sul web, si scopre che quello di via Facchinetti non

è un caso isolato: in via Amedeo, vicino all’incrocio con via Aselli, in zona Città Studi, spunta un mostruoso monolite in acciaio. Uno scempio, considerando che è davvero sproporzionato rispetto alla grandezza della strada. Non a torto i residenti di via Aselli 18, il palazzo ai piedi del monolite, hanno avviato una petizione per chiedere la rimozione immediata di questo bell’esempio di arredo urbano.


ANALISI CONCETTUALE 138

OBIETTIVO Provando a fare un ragionamento induttivo, ovvero trarre da un caso particolare un problema generale, si può affermare che il vero problema su cui dedicarsi sia dunque la pubblicità outdoor. Ray Bradbury, nel suo epocale romanzo “Fahrenheit 451”, sembra volersi sottrarre alla descrizione dei luoghi che caratterizzano il desolante mondo nel quale Guy Montag, protagonista del racconto, vive la sua catarsi. L’unico elemento a cui, tuttavia, sceglie di dedicare un’attenzione più approfondita sono quei maestosi pannelli pubblicitari - definiti “alti come grattacieli” - che costellano le strade al fine di catturare, almeno per un secondo, lo sguardo degli automobilisti che sfrecciano quasi fossero saette. La scelta narrativa dell’autore dà la misura di quanto egli reputi la presenza invadente dei cartelloni pubblicitari una componente essenziale di una società angosciante che schiaccia l’individuo. Siamo ormai arrivati a un punto che ci sembra tutto normale. Anche avere la proprià città tempestata da cartelloni e affissioni pubblicitarie. La pubblicità non ha più bisogno di percorrere traiettorie

subliminali e può campeggiare liberamente in quelli che sono gli spazi riservati alla collettività, riparandosi placidamente sotto l’egida di chi dovrebbe garantire proprio la libertà di quegli stessi ambienti. La “prassi” è ormai talmente “consolidata” che neppure i cittadini si stupiscono più, come se fosse “naturale” vivere in un contesto urbano “impacchettato” nelle réclame. È normale quindi adeguarsi all’invasività della pubblicità? Specialmente quando imposta e non scelta? La pubblicità è un linguaggio comunicativo stressato e condizionante: ciascun cittadino dovrebbe essere libero di fruire nelle forme e nei modi che si è scelto, deve poter operare una censura nel proprio modo di guardare. Oggi, in epoca di “consumo critico” e critical mass, forse è il caso di reintrodurre il concetto di un’etica militante dello sguardo. Bisogna riabituarci a ragionare su ciò che si vuole e non si vuole vedere. E la libertà che c’è in questa “scelta” è un bene non “mercificabile”, né scambiabile con il miraggio di un’utilità “collettiva” che nasconde un cospicuo interesse “privato”.


ph Maurizio Montagna


CONCEPT

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RELAX VISIVO

ATTIVAZIONE

La comunicazione visiva avviene per mezzo di messaggi visivi i quali fanno parte della grande famiglia di tutti i messaggi che colpiscono i nostri sensi, sonori, termini, dinamici, ecc. Si presume quindi che un emittente emetta i messaggi e un ricevente li riceva. Il ricevente è però immerso in un ambiente pieno di disturbi i quali possono anche alterare o addirittura annullare certi messaggi. In questo caso i messaggi sono veramente troppi, difficilmente memorizzabili, il rumore è assordante. L’obiettivo è di abbattere il rumore con il silenzio. Delle volte infatti può fare molto più rumore un messaggio muto, specialmente quando tutti intorno stanno urlando.

Per attivazione s’intende – in generale – il livello globale di attività espresso in un dato momento dal sistema nervoso: ad es. l’attivazione è minima nel sonno profondo, e aumenta gradualmente man mano che cresce lo stato di veglia del soggetto. L’aumento del livello di attivazione è anche strettamente correlato con lo stato emozionale dell’individuo: una persona in uno stato di forte eccitazione emotiva presenta un livello di attivazione molto alto. Di fronte a una prova, un pericolo o una minaccia, l’organismo si prepara a reagire innalzando il livello di attivazione.


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LUDICITÀ

DECONDIZIONAMENTO

Gregory Bateson individua l’essenza del gioco nel suo essere metalinguaggio: dato che i giochi sono qualcosa che “non è quello che sembra”, perché un’attività ludica sia veramente tale ogni giocatore deve poter affermare: “Questo è un gioco”, cioè ci deve essere la consapevolezza che l’azione è fittizia e che “meta-comunica” questa sua finzione. La metacomunicazione, quindi, per Bateson serve per rivelare la natura del “come se” del gioco, e la sua creazione di un mondo irreale in cui azioni fittizie simulano azioni reali.

Il decondizionamento è il processo che porta all’estinzione o alla rimodulazione di un comportamento. E’ un concetto della psicologia comportamentista, a partire dagli studi di Pavlov. Nel condizionamento, Pavlov associava uno stimolo che provoca una certa risposta comportamentale ad un altro stimolo; in modo tale che questo secondo stimolo portasse alla stessa risposta comportamentale di cui sopra. Ad esempio, associava il suono di un campanello prima della presentazione della ciotola del cibo che è uno stimolo che aumenta la salivazione del cane, ovviamente. Dopo aver associato i due stimoli per più volte, anche la sola presentazione del suono del campanello stimolava la risposta di salivazione del cane, perché ormai la associava al cibo.


CASE HISTORY 142

Introduzione

SAO PAULO NO LOGO / KEN JOSEPHSON / TWDC 2008 / Le case history analizzate sono il frutto di una ricerca data dai concept, e sono servite in maniera molto precisa a tracciare una via di progettazione. Ogni case history riguarda un contesto specifico (fotografia, azione virale, manifesti, piattaforme online). I casi studio, trattano diversi

concetti, tra cui lo spazialismo (ne sono un esempio i lavori di Kennet Josephson), l’oscuramento visivo (Steinbrener Dempf), la ludicità (To Design To), l’interazione tra gli utenti (la galleria urbana di Red Bull).


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RED BULL STREET ART VIEW / STEINBRENER DEMPF


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Brasile

SAO PAULO NO LOGO In Brasile, nella grande metropoli di San Paolo, è in atto da un anno la legge comunale “lei cidade limpa” (legge per la città pulita) che ha portato alla campagna “São Paulo No Logo” contro la grande invasione pubblicitaria che copriva ogni spazio disponibile dai manifesti e cartelli, insegne e neon, schermi elettronici, promozioni sulle fiancate di taxi e bus, distribuzione di volantini per arrivare, a volte, a coprire interi palazzi non permettendo quindi a chi ci abita di vedere il sole. Fotografie alte dieci piani; neon su ogni tetto; più di 13.000 cartelloni extralarge; manifesti “selvaggi” incollati su ogni superficie disponibile. Per non parlare

Catalogo cartaceo di Sao Paulo No Logo

degli studenti assunti per appostarsi agli angoli delle strade sventolando bandiere con i colori di una marca o di un’altra. Era diventato vero e proprio inquinamento visivo. La popolazione paulistana ha gradito molto questa legge perché non era contro la pubblicità per sé, ma contro i suoi eccessi. Ora la città è già molto migliorata anche se rimangono, dopo questa pulizia radicale, gli enormi scheletri delle strutture che reggevano tali pubblicità, i muri grigi sporcati dallo smog che hanno lasciato l’impronta di ciò che vi era appoggiato sopra che stanno per essere ridipinti. Il bisogno urgente è di riqualificare questi spazi visivi per il bene della città.


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Alcuni billboard spogliati dalle pubblicitĂ


GUARDARE OLTRE

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Detroit

KENNETH JOSEPHSON Kenneth Josephson nacque il 1 luglio del 1932 a Detroit. A seguito dell’arruolamento nell’esercito americano, fu inviato di guerra in Germania; in quegli anni ebbe l’occasione di sperimentare l’uso della fotografia come strumento militare. In particolar modo lavorò sui sistemi fotografici aerei di rilevamento. L’interesse crescente verso l’ambito artistico portò dunque Josephson a fondare nel 1963 la Society for Photographic Education. L’ambizioso progetto, portato avanti da trenta illustri professionisti, prevedeva un primo approccio divulgativo in campo fotografico. La sua influenza nella storia della fotografia è ormai affer-

Il concetto di spazialismo attraverso la fotografia

mata e ben nota, avendo egli insegnato a ben due generazioni di artisti e avendo prodotto interessanti ricerche formali e visuali. I suoi primi scatti si concentrarono sulla gestualità e la meccanicità dell’atto di fotografare. Egli innescò meccanismi ludici di prospettive distorte, sovrapposizioni improbabili ed illusioni geometriche. Memorabile è la sua serie d’inclusioni fotografiche all’interno della fotografia stessa, critica all’attendibililità documentaristica della fotografia ed acuta analisi concettuale circa situazioni della vita reale.


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Torino

TWDC 2008 / TO DESIGN TO Torino è stata la prima World Design Capital, un titolo mondiale per una città contemporanea. To design To è stato un progetto di comunicazione che invitava ad ampliare le percezioni del design attraverso una partecipazione attiva guidata da un approccio democratico e diffuso al progetto, lavorando attraverso l’autoproduzione e al tagging stradale fotografando luoghi e personaggi della città visti attraverso la mascherina stencil To design To per completare l’immagine di una città che accoglie e amplifica l’attitudine a vedere oltre, attraverso. Le mascherine sono state donate gratui-

tamente ai cittadini durante tutto il corso degli eventi annuali che si sono tenuti presso la città. Questa case history è stata presa in considerazione per il forte aspetto ludico. Da un semplice pezzo di carta con fustella annessa si è lavorato sul concetto di spazialità e di riappropriazione di una vista.

Flyer a carattere ludico


GUARDARE OLTRE

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New York

RED BULL STREET ART VIEW Sviluppato grazie a una partnership con Red Bull Brasil, Street Art View è l’evoluzione della funzione Street View di Google applicata ai graffiti. Il sito altro non è che una somma di contributi creati da utenti di tutto il mondo e visti attraverso Google Street View, luogo in cui l’arte di strada è presente, seppur nascosta in ogni angolo. La navigazione e l’interfaccia permettono ai visitatori di interagire con il contesto in cui l’arte è inserita e nello stesso tempo di interagire con il paesaggio urbano circostante. Un portale che raccoglie le opere di street art sui muri di tutto il mondo, mappate grazie a Google Maps. Il sito può essere esplorato selezionando la

Il concetto di galleria urbana è sintetizzato alla perfezione da questo progetto

location oppure l’artista che ha realizzato l’opera (Os Gêmeos, Banksy, Blu, Space Invader, Keith Haring, Shepard Fairey). Oppure si possono visionare le ultime aggiunte o la “Random Art”. Per aggiungere il proprio contributo, basta invece scorrere la mappa fino a trovare l’opera di street art, scegliere l’angolazione migliore e infine indicare nome dell’artista (se conosciuto) e tipo di lavoro realizzato (Graffiti, Painting, Stencil, Paste Up). Al momento, sono inseriti più di 6 mila muri in tutto il mondo (circa 150 in Italia).


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Vienna

STEINBRENER DEMPF Il duo austriaco Steinbrener ha nascosto per due settimane tutte le insegne commerciali, i loghi e i cartelloni pubblicitari della frequentatissima Neubaugasse viennese sotto un rivestimento in cartoncino giallo fluo. Il progetto, iniziato nel 2005, si chiama Delete, Delettering the city.

CittĂ di Vienna


TABELLA ESIGENZIALE

CONCEPT

ESIGENZE PROGETTUALI

REQUISITI TECNICI

SILENZIO

LEGGEREZZA

ZONE ALL’APERTO

CONTESTO URBANO

RISCOPERTA

APERTURE

ASSENZA PUBBLICITÀ

CENSURA

PARTECIPAZIONE

STIMOLARE

COLPIRE L’ATTENZIONE

ATTACCO MASSICCIO

RISVEGLIARE SENTIMENTI

ACCATTIVANTE

FACILE COMPRENSIONE

ESSERE DIRETTI

COINVOLGIMENTO

ASPETTO LUDICO

INTERAZIONE TRA LE PERSONE

CONIVOLGERE

POSSIBILITÀ DI SCOPERTA

INFORMARE

INTRATTENERE

SEMPLICITÀ

CONSAPEVOLIZZAZIONE

SENSIBILIZZAZIONE UTENTI SITO

RISCOPERTA

WAY FINDING

CONTATTO CON GLI UTENTI

FRUIZIONE VELOCE

IMMEDIATEZZA

FACILITÀ DI COMPRENSIONE


PRESTAZIONI RICHIESTE

PRESTAZIONI FORNITE

MONOCROMATICITÀ

LOGO / HEADLINE BIANCA

BILLBOARD

LAVORARE SU AMPI RAGGI

VISUALE DI UN TEMPO

MANIFESTO / PANORAMA

OSCURAMENTO

APPLICAZIONE DI POSTER

CODICI VISIVI MODERNI

QR CODE CHE RIMANDA ALL’APP

COMUNICAZIONE VIRALE

AFFISSIONE AREA SPECIFICA

LINGUAGGIO MODERNO

APPLICAZIONE MOBILE

GRAFICA IMMEDIATA

TASTO HOW TO APP E SITO

POSSIBILITÀ DI COMMENTO

ADD YOUR COMMENT

CONDIVISIONE DELLA FOTO

TASTI SHARING

CONOSCERE IL POSTO DIETRO

GOOGLE GOGGLES

FACILITÀ DI UTILIZZO

INTERFACCIA APP FUNZIONALE

FILOSOFIA PROGETTO

TASTO MISSION SUL SITO

MAPPA MANIFESTI LIBERATI

INDEX / MAPS SUL SITO

AGGIORNAMENTI RAPIDI

TASTO FEEDBACK

TASTO CHE AIUTI A CAPIRE

TASTO LATEST ADDITION


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ENJOY THIS VIEW


CAMPAGNA COMUNICAZIONE 154

PROGETTO Le città sono state vendute sotto forma di spazi pubblicitari. I manifesti si sono impadroniti degli spazi pubblici. Dove una volta si poteva vedere un monumento storico, un parco, un sentiero, ora la vista è ostacolata da questi spazi outdoor. L’obiettivo di ENJOY THIS VIEW è ridare alle persone la possibilità di gustarsi la vista di un tempo. La campagna di comunicazione si sviluppa in due fasi principali e una terza fase che servirà da appoggio per entrambe. Le fasi saranno analizzate nello specifico nelle pagine a seguire, ora è importante capire il concetto che c’è alla base di ognuna e del progetto stesso. La prima fase è sviluppata partendo dall’esigenza di creare del relax visivo, di ostacolare l’ostacolo stesso. Essendo i billboard praticamente ovunque è necessario individuare una zona specifica, settorializzata in base al target principale, ovvero l’utente urbano. Chi viene a contatto con i messaggi pubblicitari sono senz’altro i fruitori della città. Con questo termine si vogliono indicare quelle persone che svolgono un ruolo attivo, che la vivono. Fondamentalmente l’utente

urbano potrebbe essere uno studente che compie il tragitto pedonale per recarsi a scuola così come un pensionato che esce da casa la mattina per andare a comprare il giornale o semplicemente farsi una passeggiata al parco cittadino. Le zone di maggiore densità di sviluppo pedonale sono senz’altro le zone del centro città, le aree pedonali o le aree verdi. La seconda fase serve per attivare un senso critico nel cittadino e risponde pienamente ai due concept di base ovvero attivazione e ludicità. Sfruttando uno strumento molto in voga come gli smarthpone, o tutti i dispositivi mobili di logica moderna (quelli che sfruttano le peculiarità del web 2.0 per far interagire l’utente nel migliore dei modi viene creata un’applicazione mobile che consente all’utente di liberare le panoramiche virtualmente. La terza fase ha la funzione conclusiva di decondizionare lo spettatore a continuo contatto con i messaggi pubblicitari.


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STRUTTURA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE

CONCEPT COMUNICAZIONE

1 2

ATTACCO VIRALE

LIBERAZIONE VIRTUALE

LUOGO

SPAZI PUBBLICI AD ALTA FREQUENZA DI PERSONE: CENTRI STORICI / PARCHI / ZONE PEDONALI

PER UNA QUESTIONE FUNZIONALE LA LIBERAZIONE SI SPOSTERÀ NEL MONDO DEL WORLD WIDE WEB

3

SI CONTINUA A RIMANERE

PIATTAFORMA ONLINE

NEL MONDO DEL WORLD WIDE WEB UTILIZZANDO PERÒ UN SITO DI RIFERIMENTO

FRUIZIONE PRIMARIA


OBIETTIVO

TARGET

STRUMENTI E AREA

RIAPPROPRIARSI DEGLI

PERSONE 15 - 70 ANNI /

MANIFESTO DA

SPAZI PUBBLICI, RIDANDO FREQUENTATORI DI AREE

APPLICARE SUI

POTERE ALLA VISUALE

CARTELLONI

URBANE / FRUITORI DEI

NASCOSTA DAL BILLBOARD MEZZI PUBBLICI /

PUBBLICITARI

COINVOLGERE LE PER-

PERSONE 20 - 40 ANNI /

APPLICAZIONE

SONE A PARTECIPARE

SENSIBILI AI TEMI

MOBILE PER

AL MECCANISMO DELLA

SOCIALI / POSSESSORI

DISPOSITIVI

LIBERAZIONE USANDO UN

DI SMARTPHONE

MOBILI (IPHONE)

SISTEMA LUDICO.

E TABLET /

(ANDROID)

FARE SITO D’APPOGGIO

PERSONE 15 -50 ANNI /

SITO SU CUI CI

CHE AMPLI IL PROGETTO

FRUITORI DEL WEB /

SONO LE AREE

A CHI L’HA SCOPERTO

FREQUENTATORI DI BLOG,

LIBERATE

TRAMITE PASSAPAROLA/

FORUM O SOCIAL NET-

UTILIZZA

INDIRIZZO WEB

WORK /

GOOGLE MAPS

FRUIZIONE SECONDARIA


FASI CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE

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Fase 1

ATTACCO VIRALE Una volta individuata una di queste zone contaminate dalla troppa pubblicità cartellonistica può avvenire la prima parte del progetto, definita anche come “liberazione fisica”. Dati i metodi studiati nella parte di ricerca della tesi, si è deciso di optare per un attacco virale, un’azione notturna di affissione manifesti ad ampio raggio, in modo da coprire in maniera totale la zona prescelta. L’obiettivo è spezzare la catena dell’abitudine, riuscire a decondizionare le persone. Lo stupore è alla base di tutto se si vuole attirare l’attenzione. Il concetto è far sì che le persone trovino una città “riscoperta”, liberata da tutti i codici visivi presenti prima. L’azione consisterà nel far vedere quello che c’era prima, per riflettere sul concetto di spazio pubblico, uno spazio appunto al servizio dei cittadini. Il manifesto applicato sopra il billboard avrà nient’altro che la visuale

che si dovrebbe vedere se non ci fosse quell’ostacolo visivo. Ad accompagnare graficamente il visual sarà presente il logo, che in questo caso funziona benissimo anche come headline, il messaggio è “enjoy this view”, goditi questo panorama, qualunque esso sia, sarà sicuramente più bello di un cartellone pubblicitario. Oltre al manifesto principale saranno presentate delle varianti, con la sostituzione della parola “view” con parole più specifiche come “park”, “road”, “tree”, “hill”.


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Fase 2

LIBERAZIONE VIRTUALE Sul manifesto oltre all’headline e all’indirizzo del sito web sarà presente anche un QR CODE che rimanderà ad un’applicazione mobile. Quest’ultima è stata progettata partendo dai concept di attivazione e ludicità: c’era bisogno di rendere attive le persone, di coinvolgerle dentro il progetto sfruttando dei meccanismi molto noti nel mondo del web 2.0. Con l’applicazione l’utente tramite lo smartphone potrà liberare la vista dietro al manifesto con due semplici fotografie, una davanti e una dietro al billboard. Una volta scattate le due fotografie starà al software dell’applicazione scansirle, creando esattamente la stessa resa grafica proposta nella prima fase. La liberazione online, rispetto ad una liberazione vera e propria è più pratica, più funzionale e ha molte più probabilità di coinvolgere gli utenti nel partecipare all’azione. Quando la liberazione è effet-

tuata l’utente è messo nelle condizioni di fare diverse azioni: commentare l’azione svolta, condividere la fotografia sulle piattaforme di sharing principale (facebook e twitter), sfruttare l’applicazione google goggles per ricevere ulteriori informazioni sul panorama fotografato durante il secondo scatto. Queste serie di possibilità sono state progettate tenendo conto del funzionamento dei meccanismi del web 2.0: più l’utente è messo nelle condizioni di interagire con altri utenti (i tasti si sharing ad esempio), più produrrà dei feedback positivi nei confronti del progetto.


FASI CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE

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Fase 3

PIATTAFORMA ONLINE L’ultima icona presente nell’applicazione un tasto di feedback, in modo far risparrimanda al sito, che è una piattaforma miare all’utente con un semplice tasto la d’appoggio che sfrutta le peculiarità di fatica di tenersi aggiornato. google maps per far vedere alle persone quali sono le zone liberate. Sul sito è presente un tasto search che permette all’utente di andare direttamente alla località desiderata. Data la facilità di fruizione e l’argomento trattato, che può essere esportato in qualunque città del mondo, Enjoy This View si pone nel mercato come progetto internazionale, quindi i testi sono in inglese e la mappa inziale è globale, non locale. Per rendere più accattivante il sito è stato creato un bottone che fa vedere le ultime foto postate. In questo modo si crea un aggiornamento continuo, stimolando l’utente a tenersi in costante aggiornamento. Da quest’ultima affermazione, oltre ai tasti di sharing già usati nell’applicazione, viene installato anche


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ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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LOGOTIPO Siccome l’obiettivo è di creare uno spazio nel flusso visivo a cui ormai siamo abituati, un qualcosa di nuovo, nessun’altra forma era più adatta di una parentesi, sinonimo di digressione, la cui definizione è quella di deviazione del percorso che si sta seguendo. Questo è l’obiettivo primario del progetto: deviare la vista delle persone, disabituarle proponendo loro qualcosa di nuovo, che non gli opprima visivamente ma che, anzi, dia loro un senso di leggerezza. La scelta del bianco come colore unico è una scelta necessaria se si svuole rispettare appunto l’idea di tranquillità che il progetto vuole percorrere.

Variazione del messaggio


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Logo con griglie e unità di costruzione. Il carattere usato è l’Aksidenz -Grotesk - Pro.


ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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Manifesto 1

ENJOY THIS VIEW



ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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Manifesto 2

ENJOY THIS PARK



ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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Manifesto 3

ENJOY THIS HILL



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WWW.ENJOYTHISVIEW.COM


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WWW.ENJOYTHISVIEW.COM


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WWW.ENJOYTHISVIEW.COM


ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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How to

APPLICAZIONE MOBILE Nell’interfaccia principale sono presenti tre pulsanti: HOW TO, CAMERA, MAP. Ogni icona simboleggia una funzione dell’applicazione: la prima sono le istruzioni per l’uso, mentre il pulsante CAMERA è ciò che consentirà di liberare virtualmente i manifesti. Una volta liberati si possono vedere nella galleria virtuale con il tasto MAP.

Il tasto HOW TO consente all’utente di capire come funziona l’applicazione. L’interfaccia è funzionale, con informazioni mirate e sintetiche, per consentire la massima immediatezza dei meccanismi di “gioco”.


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Cliccando sul tasto START dalla precedente schermata (HOW TO) o direttamente sul tasto CAMERA, nel caso in cui si fosse già a conoscenza della funzionalità dell’app e si voglia saltare le istruzioni, l’utente dovrà scattare la prima foto, che dovrà essere fatta di fronte al billboard. L’utente ha a disposizione una griglia per centrare il manifesto da liberare.

Nella seconda foto, da fare rigorosamente mettendosi di fronte al billboard, la griglia prende tutto il display. Questo perché in fase di scansione il software dovrà mixare le due prospettive, e la seconda, avendo il panorama ingrandito dato che è stata fatta da una visuale più vicina, verrà rimpicciolita e centrata rispetto alla griglia presente nella prima foto.


ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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How to

APPLICAZIONE MOBILE Una volta eseguite le due foto e dopo una bravissima attesa, l’utente avrà il manifesto liberato. Appariranno diverse funzioni opzionali, tra cui aggiungere del testo o caricarla direttamente sul sito.

Se si clicca sull’opzione ADD THE TEXT, l’utente potrà commentare la sua foto. Il commento sarà visibile a tutti gli utenti che andranno in seguito a vedere questa foto.


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Cliccando sul tasto MAP si avrà la possibilità di appoggiarsi al sito www.enjoythisview.com, che è una galleria dei billboard liberati. Ogni selettore rappresenta una zona in cui è stata fatta una liberazione. in alto a destra sono presenti i tasti di sharing per condividere il progetto.

Cliccando sul selettore comparirà un’immagine che mette a confronto lo stesso billboard, prima e dopo la fase di liberazione. Il confronto serve a stimolare l’utente e indurlo a migliorare più visuali possibili.


ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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SITO WEB

INDEX


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ZOOM 1


ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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SITO WEB

ZOOM 2


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ZOOM 3


ANALISI COMUNICAZIONE VISIVA

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SITO WEB

GALLERY


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MOBILE APP / HOW TO


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APPENDICE


Azione di subvertising firmata Billboard Liberation Front


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DOCUMENTAZIONE


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BIBLIOGRAFIA Publiartivismo, Tesi di Bellini Francesca / Enrico Panzetta, Politecnico di Torino, A.A. 2009/2010 No Logo, Naomi Klein, Baldini Castoldi Dalai editore, 2000 Culture Jam, Lasn, Kalle, Quill, 2000 Manuale di psicologia della comunicazione persuasiva, Davide Vannoni, Utet Libreria, 2001, I movimenti sociali - Formazione, ideologia, organizzazione e comportamenti, Stefano De Luca 2007 Il fare ecologico, Carla Lanzavecchia, Time & Mind Edizioni, 2004 Brand identikit - Trasformare il marchio in una marca, Gaetano Grizzanti, Fausto Lupetti logo editore, 2011 Design e comunicazione visiva, Bruno Munari, Editori Laterza, 1993 Invertising, Paolo Iabichino, Guerini e Associati, 2009 Il culture jamming come fenomeno artistico, Tesi di Simona Avena, UniversitĂ degli studi Roma Tre Disobbedienza civile elettronica, Graham Meikle, Apogeo, 2004


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SITOGRAFIA http://www.wikipedia.org/ http://www.wikiartpedia.org/ http://www.adbusters.org/ http://www.repubblica.it/2004/h/sezioni/esteri/revbilly/revbilly/revbilly.html http://antiadvertisingagency.com/ http://www.0100101110101101.org/blog/ http://telekommunisten.net/ http://www.guerrigliamarketing.it http://occupywallst.org/ http://thenounproject.com/ http://www.repubblica.it/http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=130 http://theyesmen.org/ http://www.serpicanaro.com/ http://www.buynothingday.co.uk/ http://rts.gn.apc.org/ http://www.kmii-koeln.de http://www.clownarmy.org/ http://www.greenpeace.org/italy/it/ http://www.amnesty.it/index.html


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RINGRAZIAMENTI


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GRAZIE MOLTISSIMO A mio papà e mia mamma perché ci sono sempre, anche quando non ci sono io. A Paolo Tamborrini, la cui pazienza e disponibilità nel modo di approcciarsi al mio disordine mentale sono di grande insegnamento; la chiacchierata al telefono durante la pulizia dei denti del pargolo credo che resterà un ricordo decisamente indelebile. Al mio caro e buon vecchio amico Spiz, con cui ho condiviso quattro anni e mezzo importanti, o come siamo soliti dire noi: pazzeschi. Anni di risate spensierate e risate amare, anni di crescità, sia dal punto di vista umano che tecnico. Un punto di riferimento molto importante che ha saputo capirmi e starmi vicino anche nei momenti più grigi, con una sobrietà caratteriale che spesso gli invidio. A Marco “pannocchia” Sartori, una delle fonti di stress più belle che possano esistere, colui che fa tutto quello che vorrei fare io ma che è il primo a dirti poi che non vale la pena farlo, smontando qualunque mio sogno di gloria. Anche senza dirmi nulla mi hai insegnato ad approcciarmi alle cose con maggiore criterio, senza buttarmi a razzo come sono solito fare. Diciamo che devo ancora lavorare parecchio su questa cosa ma il sentiero è stato piano piano battuto. Ad Alfi e Cri, la cui mansarda è stata (e sarà) sede di ritiri spirituali sempre molto produttivi: ora come ora siete la mia seconda casa. A Valentina, una personalità forte con la quale ogni tanto ho degli scontri ma rimane decisamente una figura importante per la mia vita. Stimo da morire la tua forza interna, frutto anche di due bambine stupende come Emma e Clelia. A Bosso, Pelle, Lemon (già alle memorie come Tigre, Banana, Sciuscia), Elisa, Piera, Irene Frigo, Simona, chi per una cosa chi per l’altra, mi è stata di grande aiuto per lo sviluppo di questo volume. Un sentititissimo ringraziamento a Francesca Bellini, Enrico Panzetta, Undesign e il prof. Gianfranco Torri, per la loro disponibilità e gentilezza nel donarmi del materiale valido e pertinente.


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Kalle Lasn

Uno dei grandi segreti per liberare dalla dittatura dei consumi il sogno americano è di mettere in atto il détournement, di sostituirlo cioè, nell’immaginario collettivo, con un sogno ancora

più

intrigante.

Cosa c’è di meglio che essere ricchi? Essere spontanei, autentici e pieni di vita.


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