La Balestra Aviglianese

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La Regina dei coltelli, la Balestra, è oggi il simbolo della storia del popolo aviglianese, nel "cuore caldo della montagna" lucana: per oltre quattro secoli è stata protagonista di amori, vittorie, sconfitte, controversie, storie di famiglie, tradizioni, leggende. Nei suoi scritti, Lello Colangelo, profondo conoscitore delle tradizioni locali, così descrive la Balestra: "Non è il solito coltello. E' qualcosa di più. La balestra sembra confezionata da mani di fata: bella nella forma, simile a foglia di ulivo. I disegni della lama sembrano copiati da quelli che il vento scolpisce quando gioca con le nuvole. Mandava la gente all'altro mondo con una eleganza che la morte normale non ha".

Il Sindaco Vito Summa


 

Copertina e progetto grafico: Claudio Miglionico Testi: Mariassunta Telesca Stampa: Tipografia Pisani Teodosio, Avigliano (Pz)

Le fotografie della Balestra sono state concesse dal proprietario Vito Aquila e hanno scopo puramente illustrativo, non pubblicitario.


Avigliano, una Città di circa 12000 abitanti, nella parte nord-occidentale della provincia di Potenza, in Basilicata, ha da sempre basato la propria economia sull’artigianato locale, dapprima legato al mondo agricolo-pastorale, poi esteso anche alla produzione di beni e manufatti per le classi più elevate, fino a diventare, nel Novecento, il centro dell’artigianato artistico regionale con artisti che, tutt’oggi, rappresentano delle eccellenze. Artigianato e tradizione si sono, così, legati, nel tempo, in un connubio perfetto che ha dato vita a una serie di usanze, consuetudini e leggende. Regina indiscussa della storia artigiana e leggendaria della Città è, però, la Balestra: il coltello-pugnale aviglianese per antonomasia, così chiamato per via di una molla fissa ed elastica utilizzata nel meccanismo di apertura, che è simile nella forma all’arco di una balestra, antica arma da lancio di frecce e dardi.


LA CITTÀ DI AVIGLIANO Il territorio

Foto di Antonio Chianese

I primi reperti archeologici e documenti che testimoniano l'esistenza di Avigliano risalgono agli inizi dell'Alto Medioevo, per cui sono state elaborate diverse teorie ed ipotesi sull'origine della città. Una leggenda vuole che il centro sia stato fondato intorno al V secolo a.C. dai Sanniti, attratti dalla sicurezza del luogo e dalla salubrità dell'aria; un'altra leggenda fa derivare il toponimo di Avigliano da Avis locum, cioè “luogo dell'uccello”, denominazione data al territorio da un gruppo di marinai provenienti dall'Oriente. L'aviglianese Andrea Corbo, invece, ipotizza che il toponimo derivi da “locum avellani”, “luogo dei noccioli”: pare infatti che il territorio di Avigliano fosse ricoperto di boschi, in particolare di nocciolo. Sembra, tuttavia, più attendibile l'ipotesi che Avigliano sia sorta su un fundus tra la fine della Repubblica e l'inizio dell'Impero Romano, poiché già al tempo dell'imperatore Traiano si menziona un Fundus Avillanus, o Avilius. Giacomo Racioppi, storico per eccellenza della Basilicata, fa risalire il nome della città a quello di una famiglia gentilizia romana, Avilia, assegnataria di fondi in queste zone; questa ipotesi è condivisa da molti studiosi lucani. Pochi anni fa, però, è stata ritrovata una lapide funeraria dedicata a una donna della famiglia Villiana, portando a ipotizzare, quindi, che l'abitato abbia preso denominazione da questa famiglia che viveva nella zona. Avigliano ha dato i natali a molti uomini illustri, che hanno dato il proprio contributo alla storia nazionale, tra cui Emanuele Gianturco, Nicola Palomba, i fratelli Vaccaro, i fratelli Coviello, Tommaso Claps, Padre Virgilio Corbo e altri.


All’inter no del centro urbano, perla rara è la Chiesa di Santa Lucia, perché tra le mura rinascimentali conser va alcuni affreschi di inestimabile valore, attribuiti a Giovanni Todisco, artista lucano del 1500, tra i più apprezzati e ricercati del suo tempo. Essi raffigurano la Vergine Maria mentre viene incoronata dalla SS. Trinità, circondate da numerosi angeli musicanti, Dio con il globo terrestre nella mano sinistra, Il Cristo che sostiene la Croce. Sono rappresentate anche scene relative ad episodi della vita di Sant'Antonio di Padova e Sant'Antonio Abate, eseguite nel 1567. La gran parte della parete destra è interessata da alcuni dipinti che narrano la storia di Santa Lucia, , mentre la parete di sinistra è molto degradata.


Altro gioiello prezioso della cittadina è il complesso monastico Santa Maria degli Angeli, costruito nel 1615 dai frati francescani dell'Ordine dei riformati: all’inizio del XIX secolo l'edificio monastico si estendeva su un'ampia area, comprendente un chiostro, una biblioteca, un giardino e circa 25 stanze disposte su due piani. La facciata con elementi in bugnato è lunga oltre 50 metri ed è caratterizzata da due portali. All'interno del chiostro si trova il pozzo, costruito in stile rinascimentale, unica costruzione originaria sopravvissuta nei secoli ai vari rifacimenti del monastero. La facciata principale, costruita in stile barocco, si sviluppa su di un piano avanzato rispetto al muro del monastero; essa è costruita in pietra liscia ed ai lati dei portoni d'accesso presenta due lati obliqui. Alcune nicchie probabilmente contenevano statue di santi, così come molte statue sono ancora visibili ad ornamento di tutta la facciata: teste di angeli, un busto di angioletto, statue di San Francesco, Sant'Antonio e Santa Maria degli Angeli.


Al territorio di Avigliano appartiene il castello di Lagopesole: un castello medievale di epoca federiciana. Il castello fu dimora ideale di Manfredi, figlio di Federico II, che privilegiò Lagopesole alla capitale del suo regno, Palermo. Lo stato presente del castello riflette le modifiche apportate al progetto normannosvevo da Carlo I d'Angiò, che lo utilizzò soprattutto come prigione di lusso (vi rinchiuse fino alla morte Elena di Epiro e i suoi figli). A pianta rettangolare e racchiuso fra quattro torri angolari, è posto in posizione collinare e domina l'intera valle. La parte più interessante del Castello è quella che dà accesso ad una bellissima Cappella di stile angioino e a diverse sale di notevole pregio artistico. Il castello, per i suoi fregi e per l'alternarsi di stili che lo compongono, rappresenta uno degli esempi più belli e caratteristici di castelli federiciani nel Sud Italia. Oggi ospita “Il Mondo di Federico II”, composto dal museo narrante e dallo spettacolo Multivisione: un progetto che rientra tra i “Grandi Attrattori tra storia, natura ed emozioni" della Regione Basilicata, che fanno di Lagopesole l'unico castello federiciano in Europa a parlare dell’Imperatore Svevo.


AVIGLIANO E LA LEGGENDA La Regina dei coltelli

Stando alla tradizione, la prima “Balestra” fu realizzata probabilmente verso la metà del 1600, a cui risale una leggenda, oggi rielaborata: «C'era una volta un fabbro innamorato. E cercava moglie, ma era povero. Nessuna ragazza del paese accettava la sua corte, non tanto perché non avesse soldi, ma perché fabbro. Ad Avigliano, come in tanti altri paesi, i fabbri non godevano di molte simpatie. Erano discendenti diretti di quelli che avevano fatto i chiodi per crocifiggere Cristo. E per questo erano maledetti. Brutta cosa i pregiudizi. Per sua fortuna incontrò una ragazza che accettò il suo amore. Forse non per amore, ma perché sola: era orfana e non aveva altri parenti. Era sfortunata. Tutti la sfuggivano, anche se era bella e buona. Scoppiò così tra loro la scintilla, come colpo di fulmine e decisero di sposarsi. 
 Allora il paese era governato da un feudatario, il quale, come in tanti altri paesi, pretendeva che la sposa trascorresse la prima notte al castello (“ius primae noctis”). Una prepotenza di quelle che la povera gente era costretta a subire. Una bestemmia contro l'amore che veniva infangato con una mera esigenza di piacere fisico. Il fabbro era povero di soldi, ma non di idee. Come avrebbe potuto consentire a un estraneo di umiliare la sua donna, di mortificarne la dignità e di accampare diritti che non stavano scritti né m cielo, né in terra. E così cominciò a lavorare alla realizzazione di un coltello dalla lama sottile e micidiale, con il quale la sua donna si sarebbe presentata all'appuntamento. Lo nascose tra le pieghe ampie della gonna, tipica del costume aviglianese. E quando il signorotto pensava di cogliere il frutto proibito, la donna gli inferse un colpo di balestra, sbudellandolo. Il signorotto si trascinò per la strada e andò a morire in un vicolo che ancora oggi si chiama “Cavalcavia del Riscatto”». Il primo a parlare della Balestra, narrando una simile storia, fu l’Ardoini, amministratore dei Doria in terra lucana, nella relazione presentata ai Pamphili, che avevano appena acquistato il Ducato di Avigliano: «Li maritato sono zelanti dell’honore […] e non timerono di tagliare il capo a lor Padrone Caracciolo e ponergliela alla finestra a causa d’havergli voluto toccare nell’honore delle donne». Dalla questa storia nacque l’usanza da parte del novello fidanzato di regalare una Balestra alla propria promessa, affinché potesse difendere il suo onore, nel caso ce ne fosse bisogno: insieme alle forbici divenne un accessorio importante del costume femminile tradizionale aviglianese. Si diffuse, così, l’abitudine tra i fidanzati, gli amanti e gli sposi, di donarsi reciprocamente un coltello come pegno d’amore e promessa di fedeltà.


Il coltello della donna era dotato di un anello sulla punta del manico, cosicchĂŠ potesse essere appeso al fazzoletto insieme alle forbici; il tutto veniva agganciato alla cintola del costume. Quello dell’uomo era, invece, di dimensioni maggiori. Molte donne, inoltre, facevano incastonare “la corniolaâ€? sul puntale del manico.


GIOIELLO DELL’ARTIGIANATO La struttura

Ad Avigliano, nella realizzazione della Balestra, si unirono le varie tradizioni dei coltellinai armaioli, creando una sintesi armonica delle tecniche più complesse, con una produzione di alta qualità, ricca di soluzioni di eccellente fattura. La Balestra ha una forma leggermente arcuata, a “fronda d’ulivo”, unico in ogni esemplare, perché realizzato artigianalmente; chiusa, è lunga dai 12 ai 28 centimetri, mentre aperta va dai 22 ai 52,2 centimetri. Il manico è ricavato da un pezzo unico di corno a punta piena del bufalo maschio, artisticamente decorato con fili metallici di ottone, argento e oro, per il cui approvvigionamento gli armieri si rivolgevano agli orefici e agli ottonari del luogo; lungo il dorso del manico si scava l’incisione per la lama e si creano due puntali: in quello superiore è inserito il congegno con la molla a tre scatti, mentre in quello inferiore anticamente venivano incise le proprie iniziali. La lama, che rappresenta una foglia d’ulivo, ha uno specifico meccanismo chiamato “scrocco”, per far sì che una volta aperto, il pugnale non si possa richiudere accidentalmente; ogni Balestra, quando si apre, fa tre “scrocchi”, che, nel tempo, hanno assunto anche un valore simbolico: prima di un duello, con il primo “scrocco” si minaccia, con il secondo si sfida e il terzo indica l’inizio del duello, secondo le tecniche della scuola schermisca spagnola (mantello o giacca a difesa su un braccio e pugnale nell’altro). Particolarità della lama è “lo scolasangue”: incisioni e forme a tacche che provocano profonde lacerazioni.

La lama è in acciaio speciale, anticamente importato dall’Inghilterra; nel corso del XVII secolo, essa veniva forgiata nelle balestre dei carri, che contenevano silicio, poi era passata nel fuoco, da cui acquisiva altro carbonio, cosicché diventasse maggiormente tagliente.



Ancora oggi, ad Avigliano, artigiani, artisti e hobbisti mantengono viva la passione per questa “arma bianca”, realizzando pezzi rari da collezione, che conservano tecniche tramandate dalla tradizione. I modelli costruiti da artigiani diversi si differenziano per dettagli caratteristici, che consentono di attribuirne datazione e paternità. Tra i maggiori artisti contemporanei ricordiamo, ad esempio, Vito Aquila, Maestro della Corporazione Italiana Coltellinai.

La Balestra oggi viene forgiata a fuoco lento e ricamata con arabeschi di altissima precisione, la cui realizzazione richiede un lungo lavoro di molatura e incisioni di mano ferma ed esperta; è affilata lungo un lato, ma anche semi affilata verso la punta dell’altro, per meglio incidere nelle carni. Per questo motivo e per le sue dimensioni, la “Balestra” è una vera e propria arma, e così è stata considerata nel corso della sua lunga storia.

A sinistra alcuni passaggi della lavorazione di una Balestra


La leg genda della Balestra ha incuriosito, soprattutto negli ultimi anni, i reporter di tutta la nazione: nel 1964, ad esempio, nel n. 702 del settimanale “Epoca”, Giuseppe Grazzini parla de “il terribile coltello di Avigliano”: «A venti chilometri da Potenza funziona tuttora la fucina dove per secoli è stato temprato l'acciaio della balestra, la lama a foglia d'olivo che ha lampeggiato in mille vicende di oppressione o di vendetta, in mano a patrioti e a briganti, a tiranni e a giovani donne insidiate».


L’ARMA La storia

I primi modelli di Balestra, risalenti al Seicento, erano sprovvisti di molla e avevano un’apertura a due ribattini, ma erano esteticamente simili ai modelli successivi. La fabbricazione del coltello raggiunse livelli artigianali di perfezionamento a partire dal 1700, con lame incise e manico decorato. Il coltello aviglianese fu anche una delle armi simbolo del brigantaggio, e numerosi racconti e atti processuali testimoniano degli scontri, delle aggressioni e dei delitti perpetuati da celebri capibanda, tra cui l’aviglianese Nicola Summa, conosciuto come Ninco Nanco, e Carmine Crocco, che fecero della Balestra la loro arma preferita. In quegli anni la domanda di acquisto dell’arma era così elevata che al manico in corno di bufalo si sostituì il legno, così da incrementare la produzione. Negli anni della compilazione della Statistica Murattiana (1814-17) la “Balestra” è già considerata nell’ ambito delle manifatture di ferro-oggetto di pregio: «Si travagliano de’ coltelli ornati di ottone, e di argento de’ quali si fa un commercio nelle fiere. […] Vi sono armieri i quali montano degli archibugi con esattezza di lavoro». Dagli atti processuali della prima metà del XIX secolo i ferimenti, le aggressioni e gli omicidi avvenivano quasi sempre con tale coltello.


Nel Novecento ci fu un ulteriore incremento nella produzione dell’arnese: gli emigranti che all’inizio del secolo lasciavano l’Italia per raggiungere le Americhe, in cerca di migliori condizioni di vita, si portavano il coltello a foglia d’ulivo per non dimenticare la propria terra e potersi difendere in circostanze avverse. Anche i giovani che partivano per il servizio militare o raggiungevano il fronte di guerra, ricevevano dai genitori la Balestra da usare per potersi difendere in caso di necessità. La Balestra ha identificato per tutto l’Ottocento e parte del Novecento il carattere fiero e risoluto del popolo aviglianese.



Bibliografia

• L. COLANGELO, La Leggenda della Regina dei Coltelli, «Il Laboratorio – Avigliano. Sagra d’agosto, Saperi e Sapori di una terra antica dal cuore artigiano», Associazione Amici di Ypsilon (a cura di), 2005. • G. GRAZZINI, Il terribile coltello di Avigliano in Storie dal Sud, «Epoca», XV, 8 marzo 1964, n. 702, Mondadori Editore. • F. MANFREDI , Note storiche sull’artigianato aviglianese e sull’arte dei coltellinai, «Basilicata Regione Notizie», 98, anno XXVI, 2001, pp. 79-82. • F. MANFREDI, Avigliano: Storia urbana, Territorio, Architettura, Arte., Politeia Edizioni, 2010. • Archivio Comunale, Avigliano (PZ)

Sitografia • L. PISANI, La Balestra Aviglianese: il pugnale nato con una leggenda, leonardopisani.blogspot.it/2012/10/labalestra-aviglianese-il-pugnale-nato.html; • L. PISANI, le prime forme di vita nell'aviglianese, leonardopisani.blogspot.it/2012/10/le-prime-forme-di-vitanellaviglianese.html; • L. PISANI, Gli affreschi rinascimentali del Todisco nella Chiesa di Santa Lucia di Avigliano, leonardopisani.blogspot.it/2012/12/gli-affreschi-rinascimentali-del.html; • www.prolocoavigliano.it/; • www.prolocolagopesole.it/ • www.aptbasilicata.it/Castello-di-Lagopesole.518.0.html;




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