Gestione sostenibile delle risorse forestali nelle aree protette

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Gestione sostenibile delle risorse forestali nelle aree protette

GESTIONE SOSTENIBILE DELLE RISORSE FORESTALI NELLE AREE PROTETTE di Piermaria Corona*

Le linee guida della gestione forestale nelle aree protette sono riferite a tre opzioni principali: preservazione, conservazione (selvicoltura sistemica, rinaturalizzazione), selvicoltura classica. Ognuno di questi scenari riflette peculiari posizioni etiche, culturali e scientifiche: la gestione forestale in una area protetta può teoricamente accoglierle tutte, senza cadere in contraddizione, a condizione che i presupposti teorici e le conseguenze pratiche possano essere riconosciuti in modo informato e trasparente dai portatori di interesse. The guidelines for forest management in areas designated for nature conservation are related to three main options: preservation, conservation (systemic silviculture, renaturalization), classical silviculture. Each of these scenarios reflects distinctive ethical, cultural and scientific points of view: the forest management in a given area designated for nature conservation can theoretically accommodate all of them without contradiction, provided that the theoretical and practical consequences can be recognized in an informed and transparent way by the stakeholders.

1. Quadro programmatico

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a gestione sostenibile delle risorse forestali è chiamata a rispondere ai bisogni della società, perseguendo, in primo luogo, l’obiettivo dell’efficienza del sistema biologico bosco e, in secondo luogo, l’equità intragenerazionale e intergenerazionale. In questa ottica le linee guida per una tale gestione nelle aree protette derivano dall’integrazione tra gli obiettivi di tutela, le conseguenti strategie programmatiche e operative e la reale situazione dei boschi all’interno di ciascuna area. Quanto più il bosco dipende dal mantenimento delle pratiche colturali per garantirne la perpetuazione con i caratteri attuali, tanto più si può dire che il sistema è lontano dalla naturalità (Ciancio et al., 2002a). Prendendo questo parametro come riferimento può essere ipotizzata una scala di naturalità determinata dal tipo colturale (Tabella 1). In relazione al grado di naturalità dei sistemi forestali considerati e alla zonizzazione, così come definita ai sensi della legge quadro 394/1991, sono suggerite in Tabella 2 le linee generali di gestione forestale nelle aree protette.

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Dipartimento di Scienze dell’Ambiente Forestale e delle sue Risorse, Università degli Studi della Tuscia

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Tabella 1 - Grado di naturalità dei soprassuoli forestali in funzione del tipo colturale (*: secondo Ciancio et al., 2007).

Tabella 2 - Linee generali di gestione forestale nelle aree protette in funzione del grado di naturalità dei soprassuoli e della zonizzazione (Ciancio et al., 2002a).

Nella zona A l’obiettivo è la preservazione: questa riguarda tutti i sistemi forestali, indipendentemente dal loro grado di naturalità. Nella zona B la conservazione si concretizza nella selvicoltura sistemica in presenza di soprassuoli boschivi poco alterati nella loro funzionalità dall’azione antropica; tende invece alla rinaturalizzazione per quei sistemi forestali fortemente semplificati nella composizione e nella struttura. Nella zona C, in relazione alle caratteristiche dei soprassuoli boschivi presenti ma anche per considerazioni di tipo socioeconomico, oltre alla selvicoltura sistemica e alla rinaturalizzazione può essere prevista anche la selvicoltura tradizionale (o classica), pur con appropriati correttivi da definire caso per caso. Nella zona D la scelta si amplia: la selvicoltura tradizionale o classica e l’arboricoltura da legno trovano il contesto per una razionale applicazione, ma anche la selvicoltura sistemica e una gestione orientata alla rinaturalizzazione possono essere implementate in relazione al tipo di proprietà e alla disponibilità di specifici incentivi. 2. Indicazioni selvicolturali A scopo indicativo, le opzioni di gestione forestale nelle aree protette

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sono classificate in Tabella 3 in funzione della zonizzazione e con riferimento a tipi selvicolturali esemplificativi. Tabella 3 - Opzioni di gestione forestale nelle aree protette in funzione della zonizzazione e con riferimento a tipi selvicolturali esemplificativi.

2.1. Preservazione Indipendentemente dal loro grado di naturalità, i popolamenti forestali che ricadono nella zona A sono lasciati alla libera e indisturbata evoluzione. Anche i cosidetti boschi vetusti (old-growth forests) sono da destinare a protezione totale, indipendemente dal fatto che ricadano o meno in zona A: in questi boschi l’assenza per un periodo sufficientemente lungo di impatti antropici significativi ha consentito alle dinamiche naturali di esprimersi fino ai limiti della potenzialità stazionale, dando luogo a cenosi strutturalmente complesse e ricche di biodiversità che rappresentano un elemento chiave nelle strategie di conservazione della natura, con la creazione di habitat come alberi cavi e morti in piedi e necromassa in vari stadi di decomposizione, essenziali per lo sviluppo e la sopravvivenza di molte specie animali (es. funghi saprofiti, uccelli specialisti). Non intervenire non vuol dire non gestire: è necessario sempre e comunque verificare e, se possibile, quantificare le dinamiche evolutive naturali. L’osservazione e l’analisi delle connessioni interne ed esterne che si realizzano nel sistema servono per acquisire nuove conoscenze: pertanto, la gestione deve definire e mettere in atto adeguati strumenti di monitoraggio. Particolare impegno gestionale va inoltre dedicato alla protezione di questi sistemi forestali dai fattori di disturbo antropico, con particolare riferimento alla difesa dagli incendi boschivi e alla prevenzione e repressione di usi non consentiti. SILVÆ - Anno V n. 12 -

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2.2. Selvicoltura sistemica La selvicoltura sistemica è modulata secondo una azione colturale estensiva, in armonia con la natura, che sul piano operativo si traduce in un approccio differenziato dalla selvicoltura tradizionale (Tabella 4), particolarmente adeguato per le zone B e C, ma che può trovare applicazione anche nella zona D. Tabella 4 - Confronto fra selvicoltura tradizionale (o classica) e selvicoltura sistemica come forme di gestione forestale (Ciancio e Nocentini, 1999).

I parametri di riferimento si identificano principalmente nella provvigione basata sul criterio minimale, che concretizza l’approccio del safe minimum standard (Callicot, 1997), e nella ripresa legnosa individuata esclusivamente con criteri colturali. I livelli di provvigione minimale variano in funzione delle condizioni stazionali, compositive e strutturali e delle reali necessità dei singoli popolamenti al fine di conservarne e aumentarne la biodiversità e la complessità: valori indicativi di larga massima sono riportati nella Tabella 5. Tabella 5 - Confronto fra selvicoltura tradizionale (o classica) e selvicoltura sistemica come forme di gestione forestale (Ciancio e Nocentini, 1999).

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2.3. Rinaturalizzazione La rinaturalizzazione dei sistemi forestali intende favorire il ripristino dei processi naturali (meccanismi di autoregolazione e autoperpetuazione) e l’aumento della resistenza e della resilienza del sistema: si massimizza il contributo naturale di energia al funzionamento del sistema e si minimizzano gli input energetici artificiali. Rinaturalizzare non vuol dire ritornare alle origini, né tanto meno procedere al restauro di forme naturali, concetto in contrasto con l’idea di bosco come sistema biologico complesso: si asseconda, invece, l’evoluzione naturale (Nocentini, 2006). La verifica degli effetti provocati dagli interventi costituisce un impegno costante per il gestore, che attraverso le reazioni del bosco può seguire e aiutare il processo evolutivo. Si esclude l’individuazione di una struttura predefinita: se la gestione è mirata a una futura, desiderata composizione specifica, si rischia di compromettere gravemente la dinamica e la biodiversità a essa associata. Nella pratica non si prevedono trattamenti selvicolturali orientati a ottenere strutture cosiddette regolari, siano esse coetanee o disetanee; si tende piuttosto alla funzionalità degli ecosistemi: ad esempio, per i rimboschimenti con conifere al di fuori del loro optimum, la rinaturalizzazione deve innescare i processi di reintroduzione per via autonoma delle specie locali. La scelta di rinaturalizzazione è proposta per le zone B e C, ma non è esclusa dalla zona D dove può, in casi particolari, essere addirittura auspicabile. 2.4. Selvicoltura tradizionale Le attività selvicolturali tradizionali sono quelle storicamente condotte per rispondere alle esigenze delle popolazioni locali. Il mantenimento o la riattivazione di queste attività va valutato prendendo in considerazione il valore economico totale del bosco e non solo il valore diretto relativo alla produzione di legno, e quindi in relazione anche ai seguenti aspetti: faunistici (conservazione di habitat, possibilità di fornire cibo agli animali selvatici, etc.), paesaggistici (mantenimento di particolari caratteri di diversità nel paesaggio, etc.), storico-culturali (collegamento a particolari forme di proprietà, etc.), didattici; etc. Va peraltro considerato che spesso le forme di gestione tradizionale sono state abbandonate perché non convenienti e nel riattivarle occorre comunque recuperare anche tutte le fasi colturali che fanno parte del trattamento previsto. Ove nelle zone C e D si vogliano mantenere formazioni a fustaia coetanea è consigliabile, in linea generale, tendere verso: (I) turni più lunghi SILVÆ - Anno V n. 12 -

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rispetto a quelli consuetudinari; (II) sistemi di trattamento basati sulla rinnovazione naturale; (III) tagli di rinnovazione su piccole superfici piuttosto che uniformi su ampie superfici; (IV) salvaguardia delle specie secondarie e sporadiche; (V) rilascio di piante del vecchio ciclo (eredità biologica). Per quanto riguarda le fustaie disetanee, caratterizzate da una struttura a copertura permanente e da rinnovazione pressoché continua e costituita da alberi di diversa età e di varie dimensioni mescolati per piede d’albero o in forma di piccolissimi gruppi, esse manifestano una notevole stabilità se gestite con continuità. Il bosco assume un aspetto che appare naturale ma che dipende strettamente dalle continue cure del selvicoltore: la fustaia disetanea rappresenta un’alto grado di colturalità. Laddove questa forma colturale si realizza è spesso opportuno mantenerla perché ha rilevante valore culturale e paesaggistico oltre che produttivo. La gestione del bosco ceduo nelle aree a selvicoltura tradizionale è riconducibile a due ipotesi di lavoro: (1) il mantenimento del governo a ceduo; (2) la conversione in fustaia. Nelle aree protette dovrebbe essere prevista, in linea di massima e almeno a lungo termine, la conversione dei cedui a fustaia, anche per quelli inclusi nelle zone C e D. D’altro canto, il mantenimento del governo a ceduo costituisce l’obiettivo a cui generalmente tende il proprietario privato. A breve e a medio termine, qualora sussistano o permangano oggettive particolari condizioni, il mantenimento del governo a ceduo nelle aree protette può essere valorizzato con opportune modifiche degli ordinamenti e con il loro graduale, continuo e capillare miglioramento. Allo scopo di favorire la conservazione del suolo e il mantenimento o l’ingresso di specie arboree ecologicamente più coerenti, si consiglia di prescrivere un turno il cui valore minimo può essere stabilito, a seconda delle condizioni ambientali e socioeconomiche, pari a (Ciancio et al., 2002a): cedui a prevalenza di sclerofille sempreverdi: 3040 anni; cedui a prevalenza di querce caducifoglie: 25-30 anni; cedui misti dell’orizzonte submontano: 30-35 anni; cedui a prevalenza di castagno: 30-40 anni; cedui a prevalenza di faggio: 30-50 anni; cedui a prevalenza di robinia: 25-30 anni. Oltre ai vantaggi di ordine ecologico, un allungamento del turno rispetto a quello consuetudinario consente di ridurre, a parità di massa legnosa asportata, la superficie delle singole tagliate, con positive conseguenze sulla qualità del paesaggio. È inoltre necessario che la realizzazione delle tagliate preveda il rilascio di fasce di rispetto nelle aree più critiche e bisognose di protezione, come per esempio lungo i principali impluvi e dovunque siano in atto manifesti e significativi fenomeni erosivi (Corona et al., 1996). La conversione a fustaia può essere attuata con modalità diversificate in relazione alle caratteristiche del ceduo e alla forma di proprietà,

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secondo i seguenti metodi (Ciancio e Nocentini, 2004): (a) conversione per evoluzione autonoma del ceduo: la fustaia è la risultante dell’evoluzione naturale del ceduo sotto la pressione della concorrenza e dell’azione selettiva; (b) conversione con il rilascio intensivo di allievi: si passa attraverso la fase del soprassuolo transitorio; la fustaia presumibilmente avrà composizione similare a quella originaria e struttura coetaneiforme; (c) conversione attraverso la fase a ceduo composto: la conversione si realizza per fasi successive e con l’applicazione di moduli colturali complessi; la fustaia avrà composizione similare a quella del ceduo e struttura tendenzialmente disetanea. 3. Strumenti di pianificazione e monitoraggio Il recente sviluppo dei metodi di pianificazione e gestione forestale è caratterizzato da una specifica considerazione per gli aspetti connessi alla biodiversità e all’ecologia del paesaggio e all’implementazione di algoritmi colturali adattativi sulla base del monitoraggio dei risultati via via conseguiti (Ciancio et al., 2002b). In questa prospettiva e alla luce delle evidenze scientifiche, tre aspetti meritano di essere sottolineati: - il piano di gestione (piano di assestamento forestale) costituisce l’elemento di base operativo per la gestione sostenibile: nella prospettiva di un approccio basato su un orizzonte temporale di almeno medio periodo ciò conduce all’elaborazione di approcci sistemici e complessi nella pianificazione; - al piano di gestione va strettamente connesso il sistema di monitoraggio tramite indicatori (ed eventualmente di certificazione da parte di organismi indipendenti: vd. certificazione forestale); in questa ottica è particolarmente utile che le amministrazioni delle aree protette predispongano strumenti informativi idonei e li rendano accessibili ai proprietari e ai tecnici operativi; - gli indicatori ecologici diventano fondamentali per valutare le prestazioni ambientali della gestione forestale: ciò non è banale, come a prima vista potrebbe apparire, dato che tradizionalmente gli indicatori della gestione forestale sono stati legati in modo prevalentemente univoco, direttamente o indirettamente, al solo trinomio provvigione legnosa / incremento corrente / ripresa legnosa e che, in passato, l’unica sostenibilità conosciuta era quella della produzione con i suoi effetti collaterali di tecnicismo economico-finanziario o al massimo di considerazione, ma non contabilizzazione, dell’indotto dal cosiddetto effetto scia. SILVÆ - Anno V n. 12 -

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4. Considerazioni conclusive Secondo quanto sinteticamente prospettato, le linee guida della gestione forestale nelle aree protette sono riferite a tre opzioni principali: (I) preservazione; (II) conservazione (rinaturalizzazione, selvicoltura sistemica); (III) selvicoltura tradizionale (classica). Ognuno di questi scenari riflette posizioni etiche, culturali e scientifiche diverse: la gestione forestale in una area protetta può teoricamente accoglierle tutte, senza cadere in contraddizione, a condizione che i presupposti teorici e le conseguenze pratiche vengano riconosciuti in modo informato e trasparente (Ciancio et al., 2002a). La sostenibilità è concetto multidisciplinare che necessita di essere interpretato secondo un approccio sistemico da parte di tutti gli attori coinvolti e coniugato sul piano operativo attraverso processi partecipativi condivisi. Risulta conseguente la definizione degli orientamenti gestionali secondo un’agenda di priorità, con riferimento a un ragionevole orizzonte temporale, e la loro implementazione nel quadro di una equilibrata allocazione spaziale delle strategie di sostenibilità, con riferimento alla concreta organizzazione del territorio di ciascuna singola area protetta. Bibliografia CALLICOTT J.B., 1997. Conservation Values and Ethics. In: G.K. Meffe, C.R. Carroll (a cura di), Principles of conservation biology. Second edition. Sinauer Associates, Inc. Sunderland, Massachussets. CIANCIO O., NOCENTINI S., 1999. La gestione forestale sistemica e la conservazione della biodiversità. L’Italia Forestale e Montana 54: 165-177. CIANCIO O., NOCENTINI S., 2004. Il bosco ceduo. Selvicoltura, assestamento, gestione. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Firenze. CIANCIO O., CORONA P., MARCHETTI M., NOCENTINI S., 2002a. Linee guida per la gestione sostenibile delle risorse forestali e pastorali nei Parchi Nazionali. Direzione Conservazione della Natura, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Accademia Italiana di Scienze Forestali, Firenze. CIANCIO O., CORONA P., MARCHETTI M., 2002b. Basi tecnico-scientifiche per l’ecocertificazione della gestione forestale. L’Italia Forestale e Montana 1: 40-57. CIANCIO O., CORONA P., MARINELLI M., PETTENELLA D., 2007. Valutazione dei danni da incendi boschivi. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Corpo forestale dello Stato, Firenze.

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CORONA P., IOVINO F., LUCCI S., 1996. La gestione dei sistemi forestali nella conservazione del suolo. EM-Linea Ecologica 3: 2-10; 4: 4-15. NOCENTINI S., 2006. La rinaturalizzazione dei sistemi forestali: è necessario un modello di riferimento? Forest@ 3: 376-379.

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