Qualità Nascoste e Manifeste

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INTRODUZIONE Eccoci di nuovo qua, ormai è diventata un’abitudine, una bellissima consuetudine! Una tavola rotonda circondata da nuovi e da vecchi conoscenti, tutti accomunati dal desiderio e dall’entusiasmo di varcare il confine della conoscenza, di aggiungere, se possibile, qualcosa di nuovo al proprio bisogno. Questo vale, perché no, anche per quelli che qui non ci sono ma che leggeranno uno di quei libri strani che ogni volta nascono dai nostri incontri. Siamo al sesto incontro e il tema di oggi è più difficile da spiegare a parole che da capire. Per questo ho fatto disegnare al mio amico Burato il contenuto di “Qualità Nascoste” sotto l’armatura del vincitore di una sfida combattuta chissà in quale epoca e chissà per quale motivo. Parleremo della qualità dei supporti, ovvero ciò che consente ad un manifesto, ad un annuncio radiofonico, ad uno spot televisivo oppure ad un banner su web di apparire al massimo della forma, con la massima incisività. Ci chiederemo soprattutto quanto la qualità di questi supporti influenza il gradimento e quindi quanto la qualità sia apprezzabile in termini di resa della campagna pubblicitaria. Per farlo partiremo da una ricerca che abbiamo affidato a Finzi, al solito Finzi potremmo dire, con tutto l’affetto e la stima che ci lega a lui, al suo lavoro ed al suo spirito, sempre impeccabile. Grazie anche all’UPA che, come al solito, promuove con noi queste giornate di studio e grazie soprattutto ai nostri esperti che hanno sacrificato una giornata di lavoro per raggiungerci. Paolo Casti


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1) Tassini 2) Caiazzo 3) Matesich 4) Vasini 5) Maggioni 6) Finzi 7) Giovenali 8) Alessi 5


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9) Corriere della Sera 10) Micheletti 11) Margoni 12) Romoli 13) Villa 14) Casti 15) Briatore 16) Bonato 13







GIOVANNA MAGGIONI -

Inpe

Forse è arrivato il momento di non pensare più solo in termini di dati quantitativi, quelli a cui ci ha abituato troppo la televisione e che abbiamo in questi anni portato avanti come misurazione del fenomeno “media”, per passare ad un discorso sul consumatore più maturo, un consumatore che poi è il nostro target di riferimento, quello a cui le aziende che investono in pubblicità si rivolgono. Ad un target che, avendo ormai soddisfatto una fetta molto consistente dei propri bisogni quantitativi, cerca di andare verso la qualità e il servizio, due elementi estremamente importanti, che ci permettono di veicolare meglio il messaggio pubblicitario e verso le quali molte aziende, molte società – e tra queste, in primis, la Jolly, che da anni organizza convegni avendo come obiettivo la qualità del mezzo - dovrebbero andare. È la strada della qualità e del rapporto con il consumatore e soprattutto della percezione che il consumatore ha della qualità, perché il mezzo qualitativamente valido diventa un ancora più valido veicolo del messaggio pubblicitario, che alla fine è il nostro obiettivo. Nel corso di questa tavola rotonda credo che si intrecceranno diversi punti di vista, da parte di utenti da un lato, di pianificatori dall’altro, ma anche da parte di coloro che forniscono il mezzo come supporto della comunicazione pubblicitaria e mi auguro che si sviluppi un dibattito animato, magari anche con posizioni contrastanti. Grazie.

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ENRICO FINZI -

Astra/Demoskopea

Qual è l’atteggiamento degli italiani nei confronti della qualità dei supporti e dei segnali negli annunci pubblicitari? A tale interrogativo è possibile rispondere sulla base d’un’elaborazione ad hoc realizzata da Astra per Jolly Pubblicità sulla scorta d’un’ampia ricerca demoscopica svolta nel 1997/8 tramite circa 2.000 interviste ‘face to face’ (ossia non telefoniche ma personali e domiciliari) somministrate - in collaborazione con la consociata Demoskopea - in 160 comuni italiani ad un campione rappresentativo della popolazione residente (esclusi gli stranieri ed i membri delle convivenze: convitti, conventi, caserme, ospedali e simili) tra i 14 ed i 79 anni, pari ad un universo di 46.8 milioni di adulti. Tramite l’analisi fattoriale e la ‘cluster analysis’ è stata costruita una tipologia, articolata in 5 clusters. Eccoli. 1) Gli ostili: sono quegli italiani che non pongono alcuna attenzione alla qualità dei supporti e dei segnali pubblicitari semplicemente perchè affermano di “odiare la pubblicità” e di “cercar di non guardarla mai”. Essi ammontano al 13% del campione e dunque a 6.2 milioni di 14-79enni: erano il 19% nel 1984, il che significa che il partito dei “publìfobi” ha perso oltre un terzo dei propri effettivi in quattordici anni. Costoro per tre quarti affondano le loro radici nell’Italia vecchia (il rigetto totale dell’advertising sale al 22% tra i 55-79enni); non o poco scolarizzata, ossia senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare; povera (nella classe socio-economica inferiore si giunge al 31%) o medio-inferiore per reddito e consumi; rurale e micro-cittadina; con infima Forza della Personalità e dunque senza alcuna capacità d’influenzare gli altri. 2) Gli estranei: qui siamo di fronte al cluster più vasto, che ‘pesa’ esattamente un terzo del campione, pari a 15.6 milioni di adulti.

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In gran parte si tratta di gente che sostiene di “non esser interessata alla pubblicità” ma di trovare “qualche annuncio che mi piace”: con accentuazioni che riguardano i 45-79enni, i residenti nel nord-est (specie nel Triveneto) e - ovunque - nei comuni di medie dimensioni, i soggetti ‘bassi’ e ‘medio-bassi’ per scolarità e reddito e consumi e Forza della Personalità; per circa un quinto, però, si tratta di persone che dichiarano di “guardar con interesse molti annunci” pur se “la maggior parte della pubblicità non mi interessa”, essendo per lo più salariati e casalinghe tra ‘medio-bassi’ e ‘medi’ per titolo di studio e reddito e Forza della Personalità. Costoro, pur esposti - in genere senza entusiasmo ad alcuni o molti annunci pubblicitari paiono essere totalmente sordi alle tematiche della qualità dei supporti e dei segnali, che non colgono neppure come esistenti e quindi rilevanti: la qualità dell’advertising è fatta coincidere con la qualità creativa ed ‘ideologica’ degli annunci, ossia con il contenuto dei messaggi, con i valori da essi trasmessi, con le modalità espressive, ecc.. Con i primi due ‘tipi’ (gli Ostili e gli Estranei) si sfiora il 47% del campione: poco meno della metà degli italiani tra i 14 ed i 79 anni - 21.8 milioni di adulti su 46.8 - risulta lontano da un rapporto intenso con il modo di presentare gli annunci pubblicitari, di metterli in pagina sulla stampa o nelle città, di metterli in onda in televisione o in radio o al cinema. All’opposto, oltre il 53% degli adulti è coinvolto in tale ambito, seppur - come subito vedremo - con approcci e giudizi diversificati. 3) I selettivi sono coloro che dedicano attenzione alla qualità dei supporti e dei segnali ma solo con riferimento a taluni ‘media’: raramente la tv e la radio, alle quali pure sono esposti in misura rilevante, ed invece assai più spesso e intensamente per quel che attiene al cinema, alla stampa (in particolare periodica) ed alle affissioni e comunque all’’esterna’. Più attenti che critici, costoro paiono sensibili ad alcune macro-differenze (tra le emittenti televisive e radiofoniche leaders e quelle inferiori, tra gli spot e

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le diapositive al cinema, tra i quotidiani a colori e non, tra i periodici con carta e qualità di stampa elevate e gli altri, tra le affissioni su supporti di qualità e quelle su brutte staccionate, ecc.) e - specialmente - reputano che in generale in tv ed alla radio la qualità del segnale sia garantita senza differenze apprezzabili tra i ‘grandi’, mentre altrove siano presenti e manifeste disparità eccezionali, a volte tali da determinare la scelta del ‘mezzo’ e comunque l’efficacia dei messaggi pubblicitari su di esso veicolati. Si trovano qui due mondi distinti: quello minoritario dei giovani maschi meridionali, di classe medio-bassa e media, con la licenza media ed a volte il diploma, residenti nelle città medie e grandi, di media Forza della Personalità, esposti per lo più ai ‘media’ che non esaminano criticamente; e quello dominante della classe media anzitutto impiegatizia (anche con presenza di casalinghe e di salariati non rurali), urbano-metropolitana, equidistribuita per grandi aree geografiche, con media Forza della Personalità e connotante debolezza dei maschi. Nell’insieme questo cluster sfiora il 12% dei 14-79enni, pari a 5.5 milioni di adulti. 4) Gli attenti soddisfatti sono poco di più dei Selettivi, ossia il 14% del campione e quindi 6.5 milioni. Come dice la loro definizione sono, ad un tempo, attenti alla qualità dei supporti e - un po’ meno - dei segnali (di tipo tradizionale e consolidato) ed inoltre nell’insieme soddisfatti dell’offerta attuale: molto per quel che riguarda i quotidiani ed i mensili, significativamente per gli spot cinematografici e televisivi sulle reti maggiori o più qualificate (in primis MTV), mediamente per mezzi come la radio ed i settimanali, solo abbastanza per la pubblicità ‘esterna’. Le accentuazioni concernono qui anzitutto i giovani 14-24enni, i residenti nei comuni da 30mila abitanti in su, i diplomati ed anche - un po’ meno - le donne, i lavoratori autonomi (oltre agli studenti), i soggetti con media o medio-alta Forza della Personalità, coloro che vivono nelle regioni del nord-ovest; seppur con una piccola minoranza di pensionati di classe media e

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medio-alta assolutamente non marginali ed anzi dotati di strumenti culturali e di buona capacità d’influenzare gli altri. 5) Infine, ecco i fautori insoddisfatti, che ammontano al 28% del campione, pari a 13 milioni circa di 14-79enni. Costoro - la maggioranza degli interessati a questo tema - sono, da un lato, eccezionalmente attenti alla qualità dei supporti e dei segnali degli annunci pubblicitari, che pretendono con particolari forza e coerenza; e, dall’altro lato, assai critici circa l’offerta di tale particolare tipo di qualità dell’advertising in Italia. Si tratta di persone soprammedia 25-54enni (specie 25-44enni); residenti nel nord-est oltre che in Toscana, Umbria e Marche; presenti anzitutto nella ricca provincia centro-settentrionale tra i 50mila ed i 250mila abitanti; laureati e diplomati; imprenditori, dirigenti, professionisti, docenti, quadri, impiegati di fascia alta; di classe socio-economica medio-superiore e superiore (oltre che media); con medio-alta ed alta Forza della Personalità; intensi e variegati consumatori di beni, servizi e ‘media’ diversi (i quali sono stimati ‘pesare’ per oltre la metà del totale consumi privati), per di più con massimo orientamento all’innovazione, al servizio, alla qualità totale per l’appunto. Il loro atteggiamento è aspramente critico nella denuncia dei limiti persistenti della pubblicità su ogni mezzo esaminato in quest’indagine. Insomma, più di un italiano su due presta abbastanza o molta attenzione alla qualità dei supporti e dei segnali degli annunci pubblicitari ma più della metà degli ‘attenti’ risulta essere critica - e spesso aspramente critica - circa tale (inadeguata) qualità. Ma quali sono i punti di debolezza, le insufficienze oggetto di diffuse riserve collettive? A questa domanda ha risposto una ricerca qualitativa, basata su 30 colloqui ‘in profondità’ somministrati nel febbraio-marzo 1999 da ricercatori specializzati ed opportunamente addestrati appartenenti allo staff interno di Astra su incarico della concessionaria Jolly Pubblicità (colloqui che hanno coinvolto soggetti in 3 punti di campionamento del

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nord, del centro e del sud di età comprese tra i 18 ed i 67 anni, per metà uomini, tripartiti per classe socio-economica/titolo di studio, opportunamente segmentati per esposizione ai vari ‘media’). Per quel che attiene al cinema, alla pubblicità al cinema, l’attenzione degli intervistati si concentra su: • le diapositive, considerate universalmente di pessima qualità non solo per i messaggi accolti e gli stessi utenti (per lo più esercizi commerciali, concessionarie, ristoranti ed hotel, ecc. d’ambito locale), oltre che per la peculiare “miserabilità” di tantissimi annunci (massimo esempio d’“assenza d’ogni creatività”), ma anche - ed a volte specialmente - per l’infima qualità del supporto tecnico (la diapositiva) e del sistema di riproduzione, la colonna sonora per lo più inafferente e casuale, l’immagine d’inaccuratezza e di scarso rispetto del consumatore, il conseguente effetto ‘deposizionante’ in basso • gli spot, tornati a crescer di numero e di qualità dopo un lungo periodo di decadenza del ‘mezzo’; qui, oltre allo straordinario incremento percepito, si parla di: - ampiezza dello schermo (molto) - qualità dello schermo (poco) - qualità del proiettore (molto) - qualità del sonoro e dello ‘stereo’ (molto: diversi soggetti citano il Dolby System), dipendenti - come per i privati ma su scala maggiore - dal valore dell’emittente e da quello dell’apparato di diffusione (“le casse”...) La convinzione è che all’aumento quali-quantitativo degli spot cinematografici (specie di quelli “originali” e non ripresi dalla tv) abbia corrisposto l’eccezionale diffondersi - specie al centronord e non solo nelle nuove multi-sale o simili (multiplex, ecc.) -

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di nuovi schermi ed apparati di riproduzione del suono e delle immagini, nell’ambito di un più generale rinnovarsi dell’offerta delle sale, degli arredi (poltrone, ecc.), dei servizi collaterali. Per la pubblicità cinematografica - con l’eccezione delle diapositive - è massima la convinzione relativa all’incremento recente della sua efficacia a seguito della sinergìa positiva di tutti i plus suddetti (mentre il target è il più attento alla validità dei supporti e dei segnali degli annunci pubblicitari). Diverso è il discorso attinente alla pubblicità in radio. Qui, infatti, non si può parlare di supporto, mentre ciò che conta è solo la qualità del segnale, la quale è data, secondo gli intervistati che s’esprimono in merito, da: • la qualità riproduttrice dell’apparecchio, ovviamente non dipendente dall’utente pubblicitario o dall’emittente radiofonica (alla quale compete al massimo la stereofonicità del programma) • la qualità del sonoro dipendente dall’emittente, la quale è considerata essere un mix di: - forza/potenza del segnale, a sua volta derivante sia dalla potenza in emissione sia - specialmente - dalla numerosità e qualità dei ripetitori o comunque delle (spesso ignote) modalità di diffusione/propagazione/trasmissione del suono - assenza di interferenze (per lo più non ben determinate ma avvertite come “fruscii”, “cadute”, ecc.) - distinzione (tramite “stacchi” netti) tra i vari tipi di messaggi e di musica, desiderati “non sovrapponentesi” (il che rinvia anche allo ‘stile d’impaginazione’ e di conduzione della singola emittente: un tema peculiare del mezzo radiofonico). La percezione diffusa è che sia avvenuto e sia ancora in atto un

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consistente (seppur tardivo) processo di qualificazione della radio e della stessa pubblicità radiofonica, specie a seguito dell’affiancarsi alla Rai di networks professionali e ben concentrati, ascoltabili, noti e persistenti; talchè la qualità del segnale incide ormai sull’efficacia dell’advertising radiofonico, a favore delle emittenti che più e meglio garantiscono la soddisfazione delle domande suddette. La pubblicità televisiva - oggetto di numerosissime analisi - è qui affrontata solo dal punto di vista della qualità del segnale: un tema ritenuto rilevante da quasi la metà dei viewers. In analogia con quel che è emerso a proposito del ‘medium’ radio, gli intervistati parlano spontaneamente de: • la qualità dell’apparecchio tv, oggetto di elevato interesse che si tramuta in numerose verbalizzazioni articolatissime: essa non è addebitabile naturalmente all’utente pubblicitario ed all’emittente, ma va ricondotta alle differenze (descritte come sempre più rilevanti ‘in alto’) tra televisore e televisore, con un’immagine dell’offerta caratterizzata dalla sostanziale buona qualità degli apparecchi di fascia media e bassa (distinguentisi tra loro più per altri aspetti: dimensioni dello schermo espressa in pollici, presenza del videoregistratore incorporato, “diavolerie” elettroniche accessorie, ecc.) ed invece da un’inedita segmentazione verticale nelle fasce alta ed altissima (si va dallo stereo ai mega-screens, dagli schermi a cristalli liquidi sino a quelli al plasma) • la qualità dell’immagine, dipendente invece dall’emittente, e derivante (si dice) da: - la forza/potenza del segnale - la numerosità e la potenza dei ripetitori (e dunque anche la loro numerosità ed il loro reticolo a maglie strette con presenza pure nelle aree montagnose)

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fi l’eventuale utilizzo del cavo, del digitale, del satellite (per lo più citati in modo confuso: di chiaro c’è solo la percezione della diversificazione tecnologica dell’offerta televisiva) • la qualità del sonoro, a sua volta derivante - secondo gli intervistati - da un mix di: - forza/potenza del segnale - quantità e qualità dei ripetitori o degli altri mezzi di diffusione/propagazione/trasmissione del suono - volume (un tema specifico della pubblicità tv, legato alla percezione che “in molti casi” - specie sulle reti Mediaset - prosegua l’abitudine deploratissima d’“alzare il volume della pubblicità” rispetto a quello dei programmi, col risultato di renderne l’ascolto “sgradevole” e vissuto come impositivo, “schiacciante”). Il giudizio della gran parte del campione è che, da un lato, i grandi miglioramenti del segnale siano stati acquisiti già alla metà degli anni ‘80 (in connessione col trionfo delle reti allora Fininvest ed in particolare di Canale 5), col risultato di operare una netta distinzione - ormai più che decennale - tra reti di serie A (le tre Rai, le tre Mediaset, a volte e spesso solo recentemente TMC, più di solito due-tre emittenti locali o regionali) e reti di serie B (accoglienti messaggi peggio trasmessi oltre che normalmente anche di qualità creativa e realizzativa assai minore, come avviene peraltro in tutte le tv locali o regionali). Semmai è inedita - rispetto a più vecchie ricerche - l’affermazione secondo la quale “certe pubblicità in televisione sono così belle e spettacolari da richiedere” una qualità audio-video ‘top’. Inoltre, sta diffondendosi l’opinione che le “nuove televisioni” - seppur non ben note nei dettagli o confuse tra loro - apporteranno un ulteriore miglioramento del segnale sonoro e non, ulteriormente enfatizzato dai nuovi apparecchi riproduttori sopra citati. Per finire, va detto che mai come per l’advertising tv la crescente domanda selettiva di qualità del messaggio s’intreccia con la

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crescente sensibilità alla qualità del segnale, entrambe sinergicamente reputate fattori-chiave di successo sul terreno dell’efficacia distintiva. La pubblicità sui quotidiani e quella sui periodici sono oggetto di numerose verbalizzazioni spontanee, favorite dal fatto che qui in massima misura è evidente il supporto materiale degli annunci. Tale supporto viene descritto senza sollecitazioni in termini (identici per tutta la stampa) di: • dimensioni (in generale più apprezzate se più grandi per quel che attiene all’enfasi degli annunci, ma all’opposto più gradite medie - ma non piccole - se l’intervistato ragiona in termini di agevole lettura/consultazione) • carta (peso, qualità, brillantezza/lucentezza, ecc.) • resa di stampa (in generale, per i corpi minori, per la qualità “vera” e “non sbavata” - dei colori, ecc.) • utilizzo del colore in alternativa al b/n (laddove il prodotto non è tutto a colori). Per i soli periodici si parla anche di peso e di difficile lettura, solo per i numeri ad elevata foliazione; per i soli quotidiani - esclusi quelli più importanti - si aggiungono annotazioni e richieste concernenti la “sporchevolezza” dell’inchiostro non perfettamente “assorbito” dalla carta o da essa comunque ceduto. Per entrambi si aggiungono osservazioni (quasi sempre negative) sugli inserti di dimensione diversa dal giornale-madre, specie i “volantini” o simili nei quotidiani e gli inserti (a volte “di cartoncino”) messi al centro o in più parti del periodico e rendenti più ardua la sua lettura/sfogliatura.

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Per i periodici si fanno alcuni spontanei riferimenti negativi ai ‘ribaltelli’ di copertina, alle ‘doppie copertine’, a molte soluzioni cartotecniche innovatrici percepite come “pretenziose” e “poco funzionali”, “disturbanti” (il che non vale, invece, per le “pagine profumate”, alcuni gadgets cellofanati, tutto ciò che è e si presenta - anche nei quotidiani - come “giornale su giornale” ossia arricchimento del giornale-base con supplementi, altri dorsi, ecc. omologhi e qualificati/qualificanti). Infine, la pubblicità esterna: ad un tempo massimamente criticata per la scarsa qualità di moltissimi supporti (a partire dalle staccionate provvisorie, da molti tabelloni brutti e non o mal mantenuti, da tanti supporti - anche in pietra, metallo, ecc. e non solo in legno - obsoleti, degradati, persino in via di polverizzazione o caduta); massimamente richiesta di essere davvero qualificata, per accrescere l’efficacia dei suoi messaggi e specialmente per contribuire al miglior arredo urbano, a render le nostre città e strade (e stadi e aeroporti e stazioni...) più belle, colorate, “a posto”, vivibili, ecc.; massimamente considerata insieme al cinema - in via di crescita qualitativa, almeno in alcune città o zone (di solito centrali o ad alto traffico interessante, dagli aeroporti agli ipermercati), spesso con soluzioni innovative, creative, notabili e quindi costituenti non solo supporto del messaggio ma parte di esso (quando non addirittura messaggio, ‘discorso’ a sè). Qui l’attenzione spontanea degli intervistati si concentra su: • la qualità materiale dei supporti (dimensione, vivibilità legata alla location ed anche all’illuminazione anteriore o superiore o “dietro”, superficie non rugosa, tenuta al maltempo dal vento alla pioggia alla neve, “pulizia” intesa come decoro urbano e pulizia intesa come manutenzione, assenza di residui, ecc.) • il rispetto dell’ambiente (naturale, urbano, ecc.: specie, ma non solo, nei centri storici e nelle zone ‘artistiche’)

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• la qualità estetica e - sempre più spesso - la creatività del supporto ad un tempo tecnica e comunicazionale. In tale contesto la pubblicità a decorazione integrale, taluni mega-posters, alcune soluzioni minori (pensiline, palette indicatrici, fioriere, ecc.) vengono segnalati come esempi preclari del rinnovamento in atto.

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FRANCESCO VILLA -

Rigiflex

La questione della qualità è indubbiamente un argomento estremamente importante per la pubblicità esterna e per questo ho dedicato tanti anni a predicare che ci vuole qualità. Ma non basta la qualità del supporto, ci vuole anche la qualità del prodotto. Se ho un cassonetto luminoso è importantissimo che il telo sia stampato perfettamente. Se ho un affissione è bene che il manifesto sia fatto con carta buona, insomma bisogna integrare le due cose. Sono un amante del buon vino, se vedo una bellissima bottiglia e la compro e dentro c’è un vino di cattiva qualità quel vino non lo comprerò mai più, quindi la qualità è estremamente importante e premia. Un esempio tipico di successo della qualità è evidenziato da un paragone del mercato francese della pubblicità esterna rispetto a quello inglese. La Francia è sempre stata leader del mercato della pubblicità esterna, oggi ancora in crescita, ad esempio la percentuale di sviluppo del mercato francese è del 5% contro il 4% dell’Inghilterra. Se vediamo però il fatturato globale dell’Inghilterra nel mercato della pubblicità esterna questo è il 70% di quello francese, ma se guardiamo i supporti il rapporto poster Inghilterra e Francia è 4 in Francia ed 1 in Inghilterra e se guardiamo il rapporto delle pensiline è 2,5 in Francia ed 1 in Inghilterra. Pochi supporti di qualità premiano, un esempio tipico: la Maiden in Inghilterra ha creato un circuito di 105 bellissime luminose in posizioni strategiche che si vendono a pacchetto a 800 milioni per 15 giorni. Ancora in precedenza la Mills & Allen aveva un circuito di 10 posizioni luminose back-light a Londra e per un mese, nei mesi di punta, lo vendeva fino a 100.000 Sterline; in Spagna, Avenir, vende un circuito di 200 luminose 8x3 in 12 città a 100 milioni di Lire.

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È un momento d’oro per la pubblicità esterna però dobbiamo saperlo sfruttare, stando però attenti perché, come diceva giustamente Finzi, qui in Italia abbiamo veramente esagerato e questo è un pericolo perché se andiamo avanti in questo modo, con la quantità che prevale sulla qualità, ci saranno degli interventi politici sul nostro mezzo. Abbiamo già avuto casi del genere negli Stati Uniti dove parlavano di visual pollution abolendo la pubblicità esterna in alcune città, ed è stato molto difficile farla nuovamente accettare. Troppi spazi vuol dire uno svilimento della pubblicità esterna. Abbiamo credo un esempio caratteristico, che è stato quello della Fap, che aveva fatto un bellissimo prodotto, aumentandone però il numero in modo eccessivo, quando c’è stato il momento della recessione tutto è crollato. L’altra cosa che non dobbiamo dimenticare è l’arrivo delle grandi società di Pubblicità Esterna Americane. Negli Stati Uniti la pubblicità esterna sta muovendo passi da gigante, la catena di televisione CBS ha comprato TDI, che gestiva la pubblicità dinamica in quasi tutti gli Stati Uniti, la Clear Channel che gestisce una rete radiofonica ha comprato in Inghilterra la More O’Ferrall, che commercializza la Pubblicità Esterna in 25 Paesi del mondo. Verranno con nuovi supporti, con cose nuove e li dovremo affrontare, quindi è bene adesso pensare ai prodotti nuovi e ai nuovi supporti. Devo dire che l’Italia in questo campo, e in particolare la Jolly con l’apporto di Paolo Casti, si sta muovendo nella direzione giusta, mi basti ricordare che quando stiamo stati a Montreal al congresso mondiale della pubblicità esterna sono stati gli italiani con Paolo a fare una bella presentazione sul design italiano. Anche il design del supporto pubblicitario è molto importante. Penso che ne vedremo delle belle e la risposta sarà sicuramente più qualità e meno quantità.

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VIRGINIO BRIATORE -

Interni

Io sono contributing editor, così si dice, di una rivista che si occupa di design da tanti anni e che si chiama "Interni". Noi siamo tra le persone che dicono che le idee sono alla base di tante cose e infatti l’idea di un light box è già più interessante che non quella di una superficie noiosa e opaca, così come Finzi ci faceva capire, dato che ormai un 6% di quelli che sono insoddisfatti ma attenti dicono che il mezzo è importante. Ormai dovrebbero saperlo anche i carciofi che il messaggio è il mezzo e quindi se il mezzo è brutto, è orribile, anche il messaggio vive male. La pubblicità esterna siamo abituati a vederla come cartelloni o cose simili o manifesti di varia natura. Noi abbiamo provato in occasione del Salone del Mobile di Milano, che è il momento più importante per pubblicizzare il peso che il design ha nel panorama economico della nostra società, a portare questa presenza dentro alla città. Abbiamo quindi scelto di sottoporre tutti voi, volenti o nolenti, al messaggio, strutturando però un’esterna diversa. L’idea appartiene al direttore di Interni, che è una donna e vi manda i saluti da lontano, dato che oggi è in Argentina, si chiama Gilda Boiardi, ed è una vera potenza di idee e di lavoro. La prima idea, nel 1998, è stata quella di avere un supporto simile, sul quale le aziende potessero esprimere idee e prodotti e che questo supporto servisse anche al nostro giornale come servizio. Questa è la prima innovazione, non solo vendiamo quello che interessa a noi ma vendiamo anche un servizio, in questo caso di informazione sugli eventi del Fuori Salone; questa commistione tra l’interesse privato e collettivo è una delle situazioni che possono essere interessanti, come succede ad esempio anche all’ae-

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roporto Catullo di Verona, progettato da Aldo Cibic, dove le light box alle spalle delle casse possono servire sia come display di advertising sia come messaggi relativi all’utilizzo dell’aerostazione. Il primo anno sono state 7 le aziende che hanno comunicato idee e prodotti servendosi di un unico supporto, una torre: un abbinamento in cui la Jolly è coinvolta perché ha rivestito con le sue capacità tecniche e con le pellicole 3M sia le 7 torri che 7 Ford Ka, a loro volta ammantate con una pelle diversa o come si dice con una “skin” che riprendeva il decoro delle torri. Qui l’interruttore della Biticino è stilizzato da un vecchio grande genio, Achille Castiglioni. Così le aziende e i prodotti sono stati testimoniati da una installazione fissa e da un’altra che invece si muove e che va in giro per la città. Come vedete, dall’altro lato la torre conteneva oltre che il decoro, (questo è quello di Massimo Iosaghini, colui che ultimamente ha curato molti degli stand Omnitel) anche il prodotto che l’azienda intendeva esporre e in basso la locandina, il servizio di Interni che funzionava come una guida. Queste sono le diapositive relative all’anno scorso. Ma perché le Ka? Perché la Ka ad esempio è una realtà in cui il design ha avuto un peso importante nel successo di vendita, e prima ancora la Twingo, perché sono delle situazioni nelle quali il design, come si diceva poc’anzi per MTV, permette un’identificazione immediata, che rende riconoscibile il prodotto e quindi forse anche chi lo usa. La variante di quest’anno serve a comunicare all’esterno che il design è a Milano e che il design è importante per la nostra economia e che 150 mila persone vengono a Milano in quella settimana, così come vengono per la moda. La moda e il design sono le uniche due cose di cui possiamo essere fieri e per le quali vengono a studiare dall’estero e per le quali Milano è in qualche modo importante.

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Per comunicare le aziende, che sorreggono il design, molte delle quali sono in realtà qui nel Triveneto, quest’anno siamo passati da un supporto esterno, che era simile e uguale per tutti, ad un supporto che era direttamente il messaggio. Qui, ad esempio, vedete il cavatappi di Anna Gili, prodotto dalla Alessi: è il totem ed è il messaggio. Questa era una delle cose che già dicevamo l’anno scorso e che se andiamo a Disneyland vediamo già fatto: se si vuol dire Coca Cola si fa una lattina di 30 metri (inutile negare che eccedendo rischiamo di "disneylandizzare " il paesaggio, tipo negli autogrill, o nei centri commerciali.) Il messaggio quindi può coincidere con il mezzo: qui vediamo una torre, quella dell’atelier Mendini, dove il prodotto da comunicare era il mosaico Bisazza ovvero la superficie, la variabilità delle superfici ed in questo caso il decoro ritornava importante. Questa è una piramide, è un oggetto di argenteria, pensate un po’ voi che uscirà l’anno prossimo, nel 2000, è progettato da Roger Tallon (colui che ha progettato il TGV, le Train Grande Vitesse) sarà un oggetto che vorrà testimoniare la civiltà degli esseri umani, è una piramide che verrà venduta in formati vari, da 5 centimetri a 150 centimetri, su ogni lato della piramide ci sono dei messaggi che scandiscono le date, i momenti, le persone più significative della storia dell’umanità degli ultimi 2000 anni, è un segno totemico che l’azienda Cristophle proporrà l’anno prossimo. Questo è un pela-patate della Guzzini, la dimensione lo rende straordinario...il fuoriscala è uno dei piccoli segreti del successo: un cucchiaio da solo non fa niente, 5 mila cucchiai diventano un segnale, un rubinetto di 3 metri è una scultura, è un segno. Un frigorifero di 2 metri e 50 resta sempre un po’ tozzo ma comunica solidità e colore. Pensate che i frigoriferi colorati non esistevano, è stato il pubbli-

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co che li ha chiesti; per cui sarebbe bene che anche gli utenti cominciassero a chiedere una pubblicità esterna meno opaca, meno “coprente”. I tabelloni non fanno che coprire: è chiaro che se invadiamo il centro storico di pannelli e pannelloni ritorniamo ad essere quel 13% degli italiani a cui la pubblicità dà fastidio.. da qui l’importanza che sia ben distribuita... Lasciando sottofondo come ultima immagine il video-wall che dalla vetrina di Fiorucci mandava in diretta immagini digitali prelevate nei luoghi degli eventi, immagini della città, delle stesse sculture e del nostro giornale (altro esempio di esterna innovativa…), concludo questo intermezzo dicendo che le “Y”, gli altri nuovi supporti, sono per noi che ci occupiamo di design un segnale di come l’attenzione stia crescendo. Fenomeno rilevato anche dalla ricerca di Finzi: alla qualità del colore sulla carta stampata non ci badava nessuno, ora stanno attenti che non esca dal filetto; così anche al paesaggio urbano si presta maggiore attenzione. Coloro che progettano i mezzi possono portare un contributo decisivo perché c’è bisogno di idee e cito, chiudendo, una donna che stimo molto: si chiama Lee Edelkoort, è una signora che a Parigi ha uno studio di ricerche e lavora con grandi società di vari settori, dall’automobile, all’abbigliamento, al cibo (a lei si deve in parte anche il riposizionamento di Missoni in una nicchia non grande, non piccola). È un guru, a lei si rivolgono per cercare di capire dove va la società, adesso è il direttore della Design Academy di Eindhoven, che è forse la migliore scuola di design che ci sia in Europa, ed è pure editore di tre riviste "culto". Lei dice che sono poche le idee che non possono essere prodotte e che quindi se riusciamo a pensarle probabilmente riusciremo anche a farle.

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MASSIMO CAIAZZO -

Atelier Mendini

Le enormi potenzialità espresse dai nuovi supporti hanno senz’altro rivoluzionato sia il mondo della comunicazione che il ruolo stesso dei progettisti. Questa continua evoluzione ha addirittura evidenziato come il contenuto e il messaggio risultino spesso l’aspetto più discutibile, mentre i supporti e la resa di stampa costituiscono un punto fermo in grado di garantire un risultato di elevata qualità alla realizzazione di qualsiasi forma di progetto. Oggi la presenza dell’advertising nello scenario urbano costituisce un elemento caratterizzante e sempre più riconoscibile. A volte diviene un vero e proprio punto di riferimento per orientarsi nella città, specie in territori dove l’impatto spersonalizzante di un certo tipo di urbanizzazione ha impoverito lo sky-line della città privandolo di piazze, fontane, monumenti e tutti quegli elementi fondamentali per la memorizzazione dei percorsi. Inoltre una pubblicità posizionata correttamente e ben illuminata contribuisce alla visibilità notturna nei punti più bui della città. Paradossalmente si può affermare che la presenza in aree opportune di alcuni annunci pubblicitari particolarmente felici nel coniugare forme e contenuti contribuisce alla riqualificazione del territorio. Ovviamente parliamo di una percentuale di casi ancora troppo ridotta se confrontata con gli innumerevoli esempi negativi di un certo tipo di comunicazione che, collocata in modo irrazionale ed in completa dissonanza con l’ambiente, ottiene come risultato soltanto l’irritazione e il fastidio del pubblico. Particolarmente complessa poi, è la questione circa la presenza della pubblicità nei centri storici: da un lato vincoli che nella migliore delle ipotesi impongono al progettista l’orrore della pedissequa imitazione in stile finto antico o peggio ancora l’immobilismo che genera a sua volta abusivismo (fenomeno dilagante e da non trascura-

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re), dall’altro informazioni eccessive rispetto a spazi limitati che risultano congestionanti. Sicuramente uno spunto interessante per i progettisti è rappresentato dalla possibilità di arricchire (come già avviene, qualche volta con risultati brillanti) i supporti destinati al messaggio pubblicitario sia con informazioni utili, per esempio di carattere topografico, meteorologico, ma anche trasformando i supporti stessi in elementi di arredo urbano, per offrire agli utenti della città non solo giganteschi pannelli spesso malsopportati ma anche servizi che avvicinino la gente alla comunicazione rafforzando così il rapporto stesso con il consumatore. I nuovi supporti sono lo strumento ideale per esercitare alcune forme d’arte, un’occasione non sempre sfruttata appieno. È questa per me una qualità nascosta con risultati manifesti, magari alti sei metri e larghi venti.

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ROBERTO VASINI -

Consulente di Comunicazione

Mi atterrò a quanto suggeriva il vecchio premier degli anni ‘60 dell’Inghilterra, il conservatore MacMilland che qualcuno di voi ricorderà, che ai giovani deputati della Camera dei Comuni diceva che per farsi ascoltare, quando si è giovani deputati o semplici deputati, non bisogna dire più di una cosa, non bisogna trattare più di un argomento altrimenti l’assemblea non ascolta più. Quando si è ministri si può parlare di due cose, quando si è primi ministri si possono anche affrontare tre cose nel corso di un dibattito o di un discorso alla Camera dei Comuni. Qui mi considero non premier, perché di premier c’è soltanto Finzi in questo consesso, ma almeno ministro, se mi consentite, quindi dirò due cose che si riferiscono appunto alla mia esperienza di direttore marketing prima alla ATM di Milano e poi alla Atac Cotral di Roma. La pubblicità integrale che abbiamo lanciata a Milano all’inizio degli anni ‘90 ha avuto immediatamente un enorme successo, successo enorme perché è stata in quel periodo, relativamente alla pubblicità dinamica, la vera innovazione (non è facile innovare nel campo della pubblicità dinamica). È stata la vera innovazione di quel periodo e ha avuto un successo subito strepitoso, perché era una novità che impattava in maniera straordinaria le città, grandi e medie ma soprattutto e in particolare Milano e Roma, e quindi ha avuto un successo molto forte. Questo a prescindere dalla qualità. C’è stato poi un leggero calo negli anni immediatamente successivi ai primi due, dopodiché c’è stata una ripresa e adesso direi che è stabilizzata su livelli soddisfacenti sia a Milano, dov’è gestita direttamente, sia a Roma dove invece l’abbiamo data, quando ero direttore laggiù, in gestione ad un concessionario. A mio avviso però c’è una ragione di questo trend del successo di

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questa pubblicità rispetto sia agli utilizzatori che al pubblico: abbiamo condotto a suo tempo delle indagini, sia per quanto riguarda le aziende utilizzatrici, sia per quanto riguarda i consumatori cioè la gente, i cittadini. Direi che nella fase iniziale la grande novità e il conseguente grande successo hanno prodotto una grande corsa in cui si prescindeva dalla qualità, sia dal punto di vista del cliente che chiedeva lo spazio, sia dal punto di vista del soggetto del messaggio pubblicitario, prendendo anche clienti e soggetti che non dovevano essere presi. Da qui il risultato che, in effetti, dal punto di vista qualitativo questa pubblicità è stata usata in molti casi impropriamente; non solo in relazione ai messaggi ma anche dal punto di vista della qualità dei prodotti utilizzati. Anche qui c’è stato un assestamento perché, dopo tutta una serie di prove, abbiamo imposto l’uso di un certo tipo di materiale della 3M che doveva dare certi risultati dal punto di vista visivo, del mantenimento della qualità dell’immagine e del mantenimento delle vetture su cui queste pellicole venivano posate. Sbagliando materiale è successo infatti che delle vetture sono andate rovinate completamente perché era impossibile togliere, senza contemporaneamente scollare e scorticare l’intera vettura, la pellicola pubblicitaria. Ora credo che a Milano, e anche a Roma e nelle altre città, la situazione sia molto migliorata complessivamente, sia dal punto di vista della qualità che del supporto. È importante poi anche il mezzo sul quale viene applicata la pellicola adesiva della 3M; chi è di Milano sicuramente lo sa, se ne è reso conto. Certe vetture, come per esempio i tram a tre casse, che girano sulla circolare tranviaria 29/30, quando hanno una pubblicità indovinata sono degli spettacoli straordinari; vederli

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passare, circolare, sono veramente belli e contribuiscono a ravvivare Milano, che di suo non è una città molto vivace dal punto di vista urbanistico, bella ma non così vivace come colori, come Roma per esempio. Attraverso delle indagini abbiamo verificato che effettivamente questa pubblicità ha un impatto positivo sull’ambiente urbano. Lo stesso esperimento portato a Roma nel ‘96, quando mi sono trasferito a Roma a dirigere il settore marketing, anche lì ha avuto subito un grande successo; però che cosa mancava a Roma rispetto a Milano? Mancavano i mezzi, mancavano i tram a tre casse. A Roma ci sono dei tram a una cassa e a due casse al massimo, anche brutti fra l’altro, e degli autobus molto più numerosi che a Milano ma in cattivissimo stato. C’è da dire però che, mentre per i tram la pubblicità non è molto utilizzata, salvo che su qualche due casse dove rende abbastanza bene ma non come le tre casse di Milano, sugli autobus, che hanno una vita media più alta di quelli di Milano (sono più vecchi, più malandati, con una manutenzione meno accurata), quando il soggetto e il materiale sono appropriati la pubblicità ha un effetto ancora superiore rispetto a Milano, perché migliora la qualità complessiva del mezzo di trasporto perché lo rende più bello. Anche questo l’abbiamo verificato. La seconda cosa a cui volevo accennare riguarda le pensiline a Roma. Le pensiline a Roma in questo momento sono poche, sono 370 circa; dovranno diventare 700 e oltre nel giro di sei mesi, un anno al massimo. Non so se voi le avete viste ma nella cartella stampa che è stata distribuita c’è una fotografia di una pensilina della Jolly Pubblicità che è installata a Roma. Queste pensiline hanno avuto un successo enorme, anche se sono soltanto 370, e dal punto di vista pubblicitario credo siano già interessanti, anche se non sono il massimo che si possa chiedere per poter soddisfare una domanda di circuiti nazionali, locali,

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ecc.; quando saranno 700 sarà veramente un’offerta molto migliore. Queste pensiline, che hanno una struttura molto robusta, hanno lo spazio per sedersi, hanno lo spazio per dare informazioni sul servizio e sugli orari, sono veramente molto apprezzate e c’è una richiesta enorme da parte dei cittadini che scrivono all’azienda e anche direttamente alla Jolly che si occupa della posa. Mentre non ci sono problemi per posarle in zone periferiche poco frequentate, ci sono grossi problemi a posarle nel centro della città e nella prima Circoscrizione romana è addirittura impossibile allo stato attuale. Le Circoscrizioni hanno potere di veto sulla posa o meno certi manufatti e finora è stato detto no perché, secondo loro, l’impatto di queste pensiline con l’ambiente sarebbe stato negativo, essendo Roma città d’arte, con il centro storico, in particolare, denso di monumenti e palazzi sotto tutela. Le pensiline quindi, volevo dire, rappresentano uno strumento molto importante dal punto di vista della comunicazione, perché non solo sono uno strumento forte per la pubblicità ma sono uno strumento forte anche per l’informazione dell’azienda di trasporto; sono uno strumento forte per aumentare il comfort del servizio perché ci si può sedere, ci si può riparare. Le pensiline a Roma, se saranno illuminate, come per esempio lo sono a Milano (anche se più fragili e di diverso tipo), daranno poi un ulteriore servizio alla popolazione perché la luce, la luminosità è sinonimo di sicurezza. Sicurezza che nelle grandi città come Roma e Milano non è un problema da poco.

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ENNIO MAZZEI -

“Corriere della Sera”

Dal punto di vista del ragionamento sulla pubblicità esterna, sull’affissione, su questi strumenti, non ritengo davvero di avere alcun titolo per esprimere delle opinioni professionali. Ne ho da esprimerne professionalmente in quanto pianificatore di pubblicità esterna. Scusatemi ma nella fretta ho dimenticato di presentarmi: di mestiere faccio il direttore marketing di “Gazzetta dello Sport” e “Corriere della Sera”. Avendo utilizzato in varie occasioni l’affissione per questi due giornali, devo certamente testimoniare che di risultati ne abbiamo avuti e ne abbiamo avuti di molto importanti. C’è un giudizio poi sull’affissione, se me lo si consente, un po’ da privato cittadino. Sono arrivato qui proprio mentre si proiettavano quelle realizzazioni che Interni con Jolly Pubblicità ha fatto a Milano recentemente. Devo dire che realizzazioni di questo genere, dal punto di vista strettamente di privato cittadino milanese, sono molto importanti e hanno certamente migliorato la nostra graffitata città in questo periodo. Qui mi fermo dal punto di vista dell’affissione. Quello che ho letto invece nella ricerca di Enrico Finzi e che riguarda un pò il giudizio dei fruitori, del campione interessato, sull’affissione e sulla stampa periodica e quotidiana, mi porta a fare alcune brevi e spero non noiose riflessioni con voi. Sono sostanzialmente delle sottolineature di quello che la ricerca evidenzia. Il primo: la qualità della pubblicità è la qualità della materia prima, carta, della tecnologia, stampa, e inchiostri che il quotidiano mette a disposizione del messaggio pubblicitario. Da ricerche che noi facciamo ormai frequentemente, questo tema della qualità si evidenzia in maniera molto forte: è da un anno e mezzo circa che, proprio alla luce delle indicazioni che venivano dalle nostre ricerche, abbiamo messo in atto un piano

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di miglioramento qualitativo della produzione nei vari poli di stampa nei quali sono realizzati i nostri giornali, proprio perché abbiamo capito che su questo tema da parte dei nostri lettori c’è grande interesse. Certamente c’è sempre più attenzione e ripeto, queste non sono opinioni mie ma sono evidenze forti di ricerca, c’è sempre più attenzione da parte dei nostri lettori alla qualità formale, grafica, estetica della pubblicità e su questo noi possiamo incidere in maniera limitata perché il messaggio pubblicitario ci proviene dai nostri inserzionisti e più di tanto non si possono naturalmente forzare gli elementi della grafica. È vero però che noi possiamo fare azioni consistenti dal punto di vista della collocazione della pubblicità nel contesto del giornale. Qui viene fuori un discorso, perdonatemi se vi annoio, più tecnico sulla fattura del giornale, che noi stiamo cercando di orientare sempre di più verso un concetto di posizioni pubblicitarie predeterminate nelle pagine del giornale. Nei quotidiani italiani (e non in quelli stranieri) c’è una inveterata e cattiva abitudine che è quella di scrivere, pensare al contenuto giornalistico e ficcare la pubblicità qua e là dove ci sia posto. Noi crediamo che questa non sia una strada moderna, non sia una strada di sviluppo del mezzo. Stiamo cercando di lavorare per collocare la pubblicità in luoghi predeterminati nel palinsesto del giornale e fare in modo che il contenuto giornalistico vada in qualche modo di pari passo con la pubblicità. Leggevo con preoccupato interesse nella ricerca di Finzi questo rifiuto, questa idiosincrasia, questa difficoltà del consumatore ad accettare insieme con il quotidiano supporti di carattere diverso, di diverse dimensioni, di diverso formato ecc.. Credo che sia vero, e che lo sia in particolare per giornali come i

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nostri, che non sono ancora preparati da un punto di vista tecnologico a presentare un giornale multi-dorso e multi-elemento ma compiegato in se stesso e tutto monolitico in qualche maniera. Un segnale positivo infine viene dal fatto che, come evidenzia la ricerca di Finzi, il numero dei fruitori di pubblicità definiti “ostili” è in continuo calo. Se vi ricordate la premessa, credo che queste siano le cose, spero con un minimo senso, che sono in grado di raccontarvi oggi.

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RICCARDO TASSINI -

Cartiere Fedrigoni

Le Cartiere Fedrigoni producono e distribuiscono “carte speciali” da circa 120 anni. La produzione in termini assoluti non è vastissima, però nel segmento delle carte speciali siamo tra i primi 10 produttori mondiali. Nel listino abbiamo una gamma di circa 120 tipologie, raggruppate in 25 campionari. Per Fedrigoni il significato di carta speciale potrebbe essere così espresso: è un supporto che non si limita ad essere puro veicolo di un testo, di una immagine, di un messaggio, ma esprime e comunica anche un elevato contenuto intrinseco un plus valore proprio. Pur essendo la carta un prodotto antico, inventato più di mille anni fa e fin da allora fatta più o meno con le stesse materie prime, tuttavia si riescono ancora a dare delle caratteristiche e dei significati che la rendono sempre nuova ed attuale. Venendo alle tematiche del convegno, siamo profondamente consci che il messaggio che viene comunicato al cliente è sempre composito e articolato. Chi mi ha preceduto ci ha detto, e la cosa la ritengo interessante, che 6 persone su 30 riconosce o è attratto dal veicolo, dal mezzo che porta il messaggio più che dal messaggio stesso. Condividiamo questo risultato. A conferma la Fedrigoni sta utilizzando da tempo uno slogan, preso in prestito da Mc Luhan, che dice: IL MEZZO È IL MESSAGGIO. Una persona che prende in mano una carta stampata prima ancora di leggere il contenuto, acquisisce una sensazione tattile, riceve già un messaggio che può essere di eleganza, di signorilità, di tecnologia, di tecnicità, riceve già un’informazione. Prima abbiamo detto che il messaggio è composito e articolato: ne siamo completamente convinti. Ricordo quel signore con gli occhi a mandorla che mi diceva che

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la cucina cinese (non quella fast food ormai diffusa dappertutto che purtroppo è surgelata, prodotta centralmente, distribuita ai ristoranti - dove gli involtini primavera vengono serviti in 5 minuti e hanno lo stesso sapore dappertutto) ma la cucina cinese vera, con menu composti da centinaia di portate, si esprime in vari modi e sollecita tutti i sensi. Nel banchetto cinese, il piatto è ricco di forme, di colori, di abbinamenti: componenti che vengono apprezzati con la vista. Il prodotto poi viene anche valutato secondo un altro aspetto che è quello del profumo e degli aromi. Per ultimo si assaggia il cibo e quindi si riconosce e valuta il gusto. Questa globalità di componenti e di valori sono sovrapposti e sinergici. Il messaggio pubblicitario, la comunicazione in genere risponde alle stesse regole. La pubblicità come forma di comunicazione raggiunge il cliente con tutte le sue componenti di contenuto, di colore, di supporto, di veicolo di comunicazione, eccetera. A me fa molto piacere che ci siano persone che apprezzano e pongono attenzione alla globalità dei fattori, penso addirittura che sia anche un indice di maturità che il fruitore sempre più apprezzi all’interno del suo territorio dei messaggi veicolati con degli elementi fisici che siano diversi da una staccionata cadente, da un muro rattoppato o da una lamiera arrugginita, ad esempio. La comunicazione è sempre globale: quando una persona parla, comunica anche col corpo, coi gesti; quando produco uno stampato comunico con l’immagine, col testo, con la confezione con la carta.

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ANTONIO MARGONI -

TP

Intanto, e non vuole certo essere piaggeria, volevo ringraziare l’architetto Casti e con lui tutta la Jolly per questa iniziativa che personalmente ho molto apprezzato. Come quasi tutti i partecipanti sanno, si tratta di un incontro che fa parte di una serie notevole di iniziative mirate a dibattere le problematiche del complesso mondo della pubblicità esterna. Nel mio attuale ruolo di Presidente di TP, e cioè della associazione italiana dei pubblicitari professionisti, credo sia anche giusto sottolineare l’importanza di queste iniziative e nel contempo manifestare la soddisfazione ed un invito a proseguire. Trovo giusto, quindi, ringraziare chi ha il coraggio di fare della ricerca e di investire nello sviluppo, invece che adagiarsi sui risultati conseguiti, come purtroppo succede troppo spesso. Ciò che mi pare particolarmente apprezzabile di questa tavola rotonda è il grande sforzo, da parte di tutti i partecipanti, di introdurre un punto di vista che guardi alla problematica dall’esterno, nel tentativo di evitare una visione ristretta e di parte che, per contro, potrebbe portare a conclusioni parziali e per questo erronee. Così come sono sicuro che non è un caso che, proprio in questo periodo, ci sia data la possibilità di partecipare ad eventi come questo del COM di Vicenza. Non credo però che sia il caso di rubare il vostro tempo per parlare della manifestazione che ci ospita, anche se tutto sommato il desiderio di parlarne è molto forte, ma magari qualcuno ha voglia di farlo, gli lascio volentieri questo piacevole compito. Mi fa piacere sottolineare l’importanza di ritrovarci intorno a questo tavolo in un momento nel quale le cose vanno bene. Vanno bene per l’esterna e per l’intero comparto della pubblicità, vanno bene sostanzialmente per il sistema produttivo.

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Abbiamo ritrovato un equilibrio, abbiamo ritrovato un passo, speriamo che oggetti volanti - purtroppo perfettamente individuabili e individuati - non ci fermino in questa corsa. Saper trarre vantaggio e saper capitalizzare un momento di positività mi pare un atto di grande maturità. È un aspetto di grande lungimiranza, non posso infatti dimenticare come in altri anni, ormai un po’ lontani, nei quali il sistema ha prodotto ricchezza e redditività, questa ricerca e questo sviluppo non sono stati perseguiti con altrettanta forza, con altrettanta determinazione. Questo nuovo modo di approcciare il ‘fare business’, come ben sappiamo, fortunatamente non è un’esclusiva di quest’occasione e di questo mezzo, anche altri media pubblicitari stanno facendo molto. Ne abbiamo già parlato, scorro solamente i principali seguendo l’ordine proposto da Finzi: il cinema sta facendo sviluppo, sta facendo ricerca, sta cercando nuove destinazioni, nuovi orientamenti del prodotto cinema, potenziando le occasioni di consumo delle cassette, ma anche investendo nelle multisale. Sarà stato sicuramente molto bravo l’ex vice presidente Veltroni a fare la propria campagna, ma sono arrivati dei risultati reali. C’è anche qualche effetto negativo che conoscete benissimo: la concentrazione nel sistema, per esempio, che sicuramente comporterà qualche problema, ma mi pare che tale passaggio costituisca un passo obbligato per una vera evoluzione. Ci sarà un assestamento, questo sta succedendo in molte cose così come sta succedendo per la radio, ma il processo di concentrazione è tutt’altro che terminato. Lo sappiamo benissimo, la dimensione degli investimenti necessaria per fare ricerca ed evoluzione richiede quasi obbligatoriamente la concentrazione per raggiungere masse critiche che devono essere forzatamente più ampie. Anche in quell’ambito si sta facendo molta ricerca: trasmissione digitale, sistemazione delle dorsali ed altro. Per quanto attiene infine la televisione il fermento è molto viva-

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ce, magari non per quanto attiene quella generalista, a proposito della quale quello che si sta facendo è meno percepibile, se non per quanto riguarda la ricerca di una migliore qualità che, secondo le risultanze della ricerca di Finzi, è compresa e molto apprezzata. Il pubblico di questo mezzo è ora in grado di disquisire con competenza su molti degli aspetti, anche molto tecnici, che sono coinvolti in questo importantissimo mezzo. La televisione del futuro, questi gadget tecnologici che ci sono stati descritti, lasciano presupporre una forte evoluzione: i video piatti, il surround, la web-TV , i canali tematici via satellite, ecc.. Forse l’area dove si sta andando piuttosto a rilento è quella della stampa. Non voglio certo infierire solamente perché è di moda, anzi mi piacerebbe sentirmi dire che non è vero e butto questa provocazione proprio con questa intenzione. L’evoluzione, e anche molto importante, c’è stata qualche anno fa nel momento dell’introduzione dei supplementi di quotidiani e, più recentemente, con l’implementazione dell’uso del colore in questi ultimi. Oggi una grande opportunità è stata introdotta attraverso una nuova legislazione per la distribuzione. Proprio in questi giorni è iniziato il periodo di sperimentazione, della durata di 18 mesi, di nuovi canali distributivi per quotidiani e periodici. Personalmente ritengo, non so che cosa ne pensiate, che un anno e mezzo sia un po’ poco per una sperimentazione efficace, ma è solo una mia opinione. Credo infatti che sarà difficile trarre delle conclusioni di positività o inutilità di questo ampliamento del sistema distributivo della stampa in così poco tempo. Un’ultima osservazione prima di chiudere riguarda un aspetto del problema che si sta rivelando molto importante, perlomeno che io percepisco come tale, riguarda il fatto che ci stiamo accorgendo che il bello piace. Per fare un esempio: se la pensilina è bella piace, se la pensilina è utile piace ancora di più. E ciò a tutto vantaggio della comunicazione pubblicitaria veicolata.

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Voglio concludere rinnovando il mio forte plauso a tutti gli sforzi che vengono fatti sulla difficile strada dell’innovazione. Tavoli di confronto come questo sono di una importanza straordinaria, proprio perchÊ soltanto la somma di diversi punti di vista ed il confronto serrato tra le varie componenti del mercato, possono contribuire efficacemente ad individuare nuove vie e contribuire a percorrerle nella giusta direzione.

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MARIANGELA BONATTO -

The Media Edge

Quando finiremo questa tavola rotonda credo che ognuno di noi potrà auspicare la clonazione di società come la Jolly, nel senso che la qualità o la voglia di qualità che questa società sta esprimendo, anche attraverso questa Tavola Rotonda, è un segno indiscusso di cambiamento. Di cambiamento ce n’è bisogno soprattutto in questo settore che, fino a ieri, non possiamo proprio dire che facesse della qualità uno strumento di vendita; anzi la qualità non ce l’aveva proprio o anche se ce l’aveva non era così importante. Perché è importante la qualità? L’azienda per la quale io lavoro gestisce due marche importanti che hanno fatto della qualità totale la loro fonte di business, perché il valore aggiunto che vendono è appunto la qualità. Sono due gruppi che lavorano nel mondo del lusso, uno è il gruppo Vendôme e l’altro è il gruppo LVMH. Per darvi un’idea, la produzione delle campagne stampa che voi vedete sui quotidiani, sui periodici o in un qualsiasi mezzo di comunicazione viene sviluppata in Francia; noi, in Italia, non produciamo niente a livello di fornitura di materiali per la stampa degli annunci. I materiali arrivano con almeno 6 mesi di anticipo e le campagne nuove vengono testate; si fa una richiesta all’editore di fare una prova di stampa per verificare se la qualità dell’impianto è tale da esprimere la qualità del prodotto. Penso che aziende come quelle del lusso hanno dei margini tali da consentire sicuramente tempi e sperimentazioni in tal senso. Questo credo che sia un concetto estremamente importante per trasferire che la qualità non fa parte soltanto del prodotto che l’azienda vende, ma fa parte, come diceva qualcuno prima di

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me, anche del mezzo nel quale la qualità deve essere espressa; per cui l’affissione è uno dei mezzi sicuramente più bistrattati da questo tipo di aziende se non attraverso l’uso di maxi-impianti o di posizioni che qualifichino ulteriormente in qualche modo il concetto di prodotto e il posizionamento dell’azienda. Questi clienti ci stressano a tal punto che la nostra selezione, in termini di pianificazione, va al di là del concetto del numero. Prima si parlava di numeri, si diceva che il numero è importante ma non è sicuramente una variabile fondamentale quando la qualità è predominante. Malgara dice: non ci interessano i grandi numeri in televisione, ci bastano le piccole audience purché di qualità. La selezione di un posizionamento in un periodico è talmente stressata che alla fine i groupages di doppie pagine pubblicitarie, che caratterizzavano alcune testate due o tre anni fa, oggi quasi non esistono più perché le aziende hanno detto a questi editori: per cortesia, o cambiate l’impaginazione pubblicitaria o noi togliamo gli investimenti perché il nostro prodotto viene ad essere in un contesto in qualche modo dequalificante o di conflittualità in termini di concorrenza. Mi immagino, e anzi sono sicura, che le stesse riflessioni vengano fatte anche sul mezzo dell’affissione. Un giorno, infatti, un produttore di scarpe mi disse: io in affissione non ci vado perché il mio prodotto ha un alto valore aggiunto, e, visto che devo venderlo a 300 mila lire minimo, non posso pensare di stare in un supporto tutto sommato non così adeguato e soprattutto in una batteria che vede vicino al mio manifesto se va bene l’Esselunga, se va male l’offerta di Città Mercato. Abbiamo parlato di supporti, di design; gli architetti dell’ambiente credo possano sicuramente dire che un manifesto copre e non dà valore all’ambiente. Credo che a maggior ragione quando ci

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sono batterie di poster, qualsiasi sia il tipo di supporto, per quanto qualificato possa essere, è comunque penalizzante. Credo che il ragionamento deve essere fatto tra aziende che puntano sulla qualità in maniera assoluta. Per fare un esempio, il fatto di togliere dei lati alle pensiline e di lasciarle totalmente aperte, perché è importante vedere che cosa succede dall’altra parte, è esattamente lo stesso concetto che dovrebbe essere espresso in un poster, che è una dimensione sicuramente più importante, per cui io auspico soprattutto per questo mezzo una sinergia tra chi si occupa di ambiente in termini di architettura e chi produce comunicazione.

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ANDREA GIOVENALI -

Data Nord

Ci sono osservatori ed esperti della scienza dei mezzi di comunicazione che dicono che, nell’arco di 10-15 anni, l’unico mezzo che permetterà di raggiungere alti numeri di persone, di individui, è proprio la pubblicità esterna. Quindi, aggiungendomi a tutti coloro che hanno menzionato, vorrei anch’io complimentarmi perché vi state preparando a questa grande opportunità, perché questo prepararsi al futuro passa anche attraverso la qualificazione di questo strumento importante. Il mio contributo riguarda quelli che non sono stati ancora evocati né da Finzi né da tanti altri, ovvero quelli che noi chiamiamo i media digitali interattivi, detti anche i nuovi media. Per un po’ non era stato evocato Mc Luhan, non è stato evocato Internet, poi qualcuno ha pensato di evocare Mc Luhan, io vorrei evocare entrambi partendo da una dichiarazione detta da chi si occupa a tempo pieno di questo nuovo mondo, devo dire un po’ inquietante. La verità è che in questo momento, sicuramente più in Italia che in altri luoghi, i media digitali interattivi non sono ancora il messaggio, perché il problema è che il messaggio è più avanti dei media digitali interattivi. In questo momento il gap che separa i mezzi intesi come supporti dai contenuti può essere addirittura, in modo quasi un po’ esasperato, paragonato a come se, negli anni ‘50, mentre tutta l’Italia aveva i televisori in bianco e nero, la televisione RAI avesse trasmesso in alta definizione; questo è quello che in alcuni casi sta avvenendo, e la ragione di questo si riferisce alla questione della “convergenza”. Quello di cui si parla molto oggi è il sistema delle convergenze (non so se avete mai visto rappresentate le tre circonferenze che si sovrappongono) tra l’industria dei produttori di contenuti o

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delle informazioni, cioè quella dell’entertainment, quella dell’information technology, rappresentata dai produttori di hardware e software, e infine il terzo attore, le società di telecomunicazione, cioè coloro che forniscono le infrastrutture. Molta della ragione di quella mia dichiarazione iniziale è data dal fatto che bisogna mettere d’accordo tre mondi che fino a ieri non si parlavano e che hanno un ruolo, vorrei dire non sinergico, perché è una parola abusata, ma complementare. E quindi perché il mezzo diventi il messaggio in questo nuovo contesto le tre cose devono entrare in totale sintonia, devono creare un unicum, cosa che oggi ancora non avviene. Non avviene perché? Veloci riflessioni. Perché, se i produttori di contenuti nuovi o vecchi, quindi anche quelli nuovi che sono nati con la nascita di internet, oggi offrissero già contenuti assolutamente competitivi con quelli che noi fruiamo al cinema o in televisione, oggi sarebbe già possibile fruire multimedialità, scaricare video, ascoltare musica, effettuare transazioni commerciali. La verità è che poi esistono le altre due parti in causa, che sono coloro che forniscono l’infrastruttura, e cioè da una parte le società di telecomunicazione e dall’altro coloro che producono gli apparati con i quali questi contenuti possono essere impiegati. Devo dire che lo sforzo da chi produce gli apparati c’è stato, però esiste ancora un grosso problema, o meglio due grossi problemi, uno più rilevante, anche di carattere un po’ più sociale, e un altro un po’ più superficiale. Il primo è che i personal computer costano ancora troppi soldi e infatti devo dire che l’evoluzione tecnologica, l’esigenza di rispondere ad un’evoluzione di contenuti in termini tecnologici, ha portato a costi sempre più alti e quindi sempre meno accessibili di queste macchine. Attualmente si sta andando verso un appiattimento, un adeguamento in qualche modo, comunque

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questi apparati costano ancora troppo. E poi c’è un altro problema un po’ più superficiale, e cioé che sono anche brutti, i personal computer sono brutti. Questo può sembrare un fatto meno importante per lo sviluppo ma non è così. Prendete per esempio la vicenda Apple di questi ultimi mesi: un signore, che aveva fondato la Apple e poi è andato a fare una vacanza in giro per il mondo, è rientrato in questa azienda e ha risollevato i destini di questa compagnia che tutti davano per spacciata, facendo dei computer verdi, trasparenti, che ha chiamato I-Mac, ai quali ha tolto anche delle cose, ne ha aggiunto altre e adesso sta continuando a lavorare in questa direzione. Attraverso il ripensamento del design di un prodotto come un personal computer, che tutti quelli prima hanno fatto brutto, grigio e che si sporca, ha risollevato un’azienda che vale miliardi di dollari, con capitalizzazione in borsa ed altro. Ha risollevato anche un mito, perché il mito della Apple era un mito antico ed importante per il mondo della information tecnology. Si parla del personal computer nella televisione, la televisione nel personal computer, la verità è che oggi la grande qualità nascosta che tutti stanno ricercando va verso una dimensione che è quella della portabilità, cioè della miniaturizzazione, per darvi un’idea negli Stati Uniti questi apparati già permettono di navigare su contenuti internet collegati o via telefono o via etere, via satellite. Per questi signori la vera scommessa del futuro è quella di sviluppare degli apparati che permettano a chiunque di fruire di questi contenuti. Questo è sicuramente un fatto importante perché per noi significherà usufruire dell’utilità delle informazioni che oggi circolano sulla rete internet in qualsiasi angolo siamo e ci troviamo. Ciò comporta che tutto quello che è stato fatto fino ad oggi, in termini di formattazione di questi contenuti per i perso-

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nal computer, debba essere rivisto per questo tipo di esigenze. Come vedete nell’industria ognuno tira l’acqua al suo mulino perché ognuno ha da vendere più prodotti hardware, e poi è giusto menzionare anche coloro che sono la ragion d’essere, fino ad oggi e lo saranno sempre più domani, del fatto che il mezzo anche in questo caso possa essere il messaggio, ovvero i fornitori di infrastrutture. Quelli che dovrebbero dare un’unica cosa, la velocità di trasmissione, una promessa non mantenuta, una promessa che in realtà all’estero si sono impegnati in modo più determinato ad assicurare. Ci sono problemi perché, almeno attualmente, le velocità di trasmissione di telefoni cellulari non permettono di fruire di contenuti come quelli che sarebbe importante o necessario avere. Fibre ottiche non ce n’è traccia o quanto meno quelle poche che abbiamo ci hanno creato problemi nelle grandi città perché hanno scavato strade per mesi. Devo dire che in questo imbarazzo generale di liberalizzazione, nel quale l’unica cosa giusta che dovrebbero fare le società di telecomunicazione sarebbe fornire velocità di trasmissione, come hanno fatto all’estero, in questa situazione invece loro, magari in modo più o meno palese, fanno gli editori e si mettono a produrre contenuti, situazioni che arrecano o provocano più confusione. A Milano si dice la solita frase: "ofelé fa il to’ meste", ma se loro facessero bene il loro mestiere questa situazione arriverebbe ad una conclusione e anche in tempi molto veloci, dando un contributo importante al nostro paese. Per chiudere abbiamo detto che oggi si producono contenuti molto più avanti rispetto ai supporti e le infrastrutture che oggi esistono e che quindi risultano essere incompatibili o comunque ancora deboli per fruire tutta la ricchezza di cose che oggi esiste su una rete come internet. Tutto ciò per dire che quello che noi osserviamo nel nostro lavo-

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ro, abituati anche a guardare un po’ in là in termini di scenario evolutivo, dovrebbe portare a creare quello che si definisce la “multipiattaforma”, cioé un qualcosa che userà protocolli tecnologici standard, impiegati attualmente da internet, e che sarà possibile che venga fruito su più piattaforme tecnologiche, come la WebTv, i palmari, i telefoni cellulari. Voi sapete che Omnitel ha un progetto per il quale ha investito 100 miliardi per lanciare nel giro di qualche mese servizi a valore aggiunto di informazioni attraverso i telefoni cellulari. Siamo pronti a questo concetto della multipiattaforma che significa che, mentre nel passato i contenuti erano andati troppo avanti, adesso i contenuti dovranno invece rallentare la propria corsa e declinarsi in modo tale da adeguarsi a tutti i vari apparati tecnologici che permetteranno di ospitare questi contenuti. Detto questo il divertente di questa vicenda è che, proprio perché tutto ciò si basa su tre dimensioni, le opportunità che nascono sono 3 alla terza, e non 2 alla seconda, perché dalle sinergie di questi tre mondi nascono molte più opportunità, molto più caos, ma dal caos si creano nuovi principi e nuove opportunità.

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PIERPAOLO MICHELETTI -

Creative Media

Vorrei ritornare ad un discorso più legato al mondo dell’affissione e soprattutto vorrei riprendere alcuni spunti che sono emersi precedentemente in un’ottica più ampia e più a carattere internazionale. In effetti quello che dice la signora Mariangela Bonatto è molto giusto, i prodotti di qualità hanno bisogno di supporti di qualità, infatti i clienti che loro gestiscono in affissione utilizzano l’affissione solo in quei paesi in cui possono avere garanzie di qualità. Ad esempio in Francia, che – tra l’altro – è il Paese di origine delle marche prestigiose con cui loro lavorano. Vorrei entrare sul problema dei volantini, sempre nella logica internazionale. Attenzione perché – a livello internazionale – tutti i quotidiani dei mercati evoluti, specie quelli a grandissima diffusione, sono pieni di volantini. Ad esempio, in Germania la distribuzione organizzata utilizza moltissimo questi strumenti (i “beilagen”, gli allegati, come li chiamano loro). Forse è più un problema di abitudine e di evoluzione del mezzo: abitudine del pubblico a ricevere questo tipo di mezzo e evoluzione del mezzo, nel senso di usare il quotidiano come veicolo distributivo e di creare “volantini” (o piccoli cataloghi) con una propria immagine positiva. Quindi, non credo si debba dire “non vanno bene, ma li facciamo” ma bisogna da una parte distinguere il “veicolo” di distribuzione e dall’altra il contenuto e la forma del supporto di comunicazione, su cui i creativi devono fare la loro parte. Sulle pensiline e su quello che si diceva delle pensiline bisogna aprire il discorso in termini molto concreti ad un aspetto più ampio. C’è infatti un elemento che è stato a mio modo di vedere poco considerato, ed è la manutenzione e la gestione delle pensiline. Molto spesso sono ben disegnate, ben costruite, installate correttamente, ma poi risultano sporche, mal tenute, mal gestite. Qui apriamo il discorso riguardo lo sviluppo a livello internazionale di questo e degli altri supporti.

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Bisogna quindi che le Società di affissione sviluppino i loro sforzi non solo sul design e sull’installazione, ma anche sulla manutenzione e sul servizio alla comunicazione. Occorre anche in questo caso ricordare che due sono gli obiettivi da raggiungere: dotare le città di attrezzature utili al pubblico, fruitore dei trasporti urbani, e fornire agli utenti pubblicitari dei validi supporti di comunicazione, ben disegnati ma anche ben gestiti e conservati (oltre – naturalmente – ad una distribuzione sul territorio che assicuri una valida copertura del pubblico e una soddisfacente frequenza del messaggio). Per quanto riguarda gli autobus e i tram decorati le società dei trasporti non possono lamentarsi dicendo che gli utenti hanno usato male il mezzo e hanno creato dei messaggi inadatti, perché – sin dall’inizio - le società dei trasporti si sono poste come censori della pubblicità. Abbiamo avuto rifiuti a qualsiasi tipo di innovazione in termini creativi nell’uso dei tram decorati, specie a Milano. L’ATM, in particolare all’inizio, si è sempre limitata a dire no, invece di aiutare l’utente a capire: il mezzo fatto così funziona, così gira in questo modo, e così via. Invece, le uniche risposte erano: no, questo non si può fare, questo non si può fare, questo non si può fare. Troppo comodo adesso dire che ci sono stati tanti messaggi poco soddisfacenti. Sul problema degli avvenimenti così brillantemente illustrati io tenderei a considerarli più degli eventi, qualche cosa di particolare, piuttosto che non delle forme di comunicazione esterna, di comunicazione di massa di tipo tradizionale. Noi parliamo di affissione e la intendiamo come strumento di comunicazione di massa. Invece, gli avvenimenti di cui si è parlato - così com’era il telo di Armani in via dell’Orso 10 o 15 anni fa - sono eventi di comunicazione che mi sembra non abbiano una parentela stretta con il discorso dell’affissione come mezzo di comunicazione di massa.

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Poi, devo dire che sono eventi bellissimi e brillantissimi, ma in una logica diversa dall’affissione tradizionale. A Francesco Villa ho già detto che Mills & Allen in Inghilterra proponeva 10 poster luminosi 6X3 a 100.000 sterline, ma non li vendeva. Avevano quindi creato un mezzo particolarmente potente, con un elevato potenziale di reddito per la Società di affissione, che però molto raramente riusciva a realizzarsi. Infatti, il prezzo effettivo di vendita di questi spazi veniva notevolmente ridotto in sede di trattativa e quindi l’alta redditività potenziale non si traduceva in alta redditività effettiva. Ciò nulla toglie alla validità del supporto e alla sua grande capacità di impatto (ma a 30.000 sterline e non a 100.000). Veniamo ora ad alcuni problemi che io considero più importanti: in primo luogo, una notazione di metodo riguardo alle indagini che il dr. Finzi farà ancora nel futuro sull’affissione. A mio avviso nel mondo ampio della pubblicità esterna entrano fenomeni tra loro molto diversi. Rilevare in modo globale le opinioni espresse dagli operatori e dagli utenti sul mondo dell’esterna nel suo insieme potrebbe portare a conclusioni fuorvianti. Ad esempio, un conto è parlare dell’affissione “sulla strada e nella strada” e un conto è parlare dell’affissione in ambienti protetti e circoscritti (gli aeroporti, le metropolitane, gli stadi, i parcheggi dei Centri Commerciali, le stazioni ferroviarie). Certo che – in entrambi questi mondi – usiamo manifesti e molto spesso con gli stessi soggetti, ma credo che, nel fare un’indagine sulla pubblicità esterna, si capirebbero meglio i diversi fenomeni analizzati se i diversi “mondi” fossero analizzati separatamente. Se qualcuno di voi ha avuto recentemente l’avventura o la sventura di andare a Malpensa certamente avrà notato che l’affissione che si vede all’interno dell’aeroporto è una cosa molto diversa dall’affissione che si vede nella città di Milano o nella città di

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Gallarate; quindi, secondo me, bisognerà pensare a questa distinzione perché sono due mondi, anche due modi di vendita, anche due modi di utilizzo, anche due modi di fruizione. Anche la dinamica tenderei se possibile a metterla da parte perché è preparata in stabilimento, non è incollata sul posto, ha tutta una tecnologia diversa, ha tutto un modo diverso di muoversi all’interno del tessuto urbano, così come i mezzi decorati integralmente. Un secondo punto molto importante (e qui i promotori di questo incontro ne sanno qualcosa …) è quello dello stravolgimento che il panorama operativo e finanziario dell’affissione sta avendo a livello internazionale. Ad oggi, il gruppo CLEAR CHANNEL (una società finanziaria americana quotata in borsa, con partecipazioni rilevanti nel settore della radio e della Tv via cavo negli USA) è entrato nell’affissione in Europa in modo deciso: ha innanzitutto comprato il gruppo MORE (More O’Ferral/Adshel in Gran Bretagna, More O’Ferral in Francia e Belgio, acquisendo contemporaneamente Wennegren & Williams, società svedese che il gruppo MORE aveva già acquisito e che – a sua volta – opera anche nei Paesi Baltici e in Russia). Al momento in cui parliamo, MORE ha ulteriormente rafforzato la propria posizione, acquisendo: • Il Gruppo DAUPHIN (Francia, Belgio, Spagna e Italia), • La Società MAGIC in Turchia, • La Società JOLLY in Italia, • Il Gruppo PLAKANDA/AWI, operante in Svizzera e in Polonia. Prima della mossa Dauphin, J.C. Decaux – con il supporto del governo francese – aveva acquisito tutto il gruppo AVENIR, ben noto anche da noi, e TDI (Società facente parte del gruppo CBS = Columbia Broadcasting System) aveva iniziato l’attacco

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all’Europa continentale, comprando la società ALRECON in Olanda, soprattutto per l’attività che questa Società svolge nel settore dei mezzi di trasporto. Cosa succederà adesso in Italia? La mia impressione è che – a breve termine – i cambiamenti saranno pochi: l’affissione, specie in Italia, continua ad essere un’attività molto frazionata, molto legata al territorio, con regolamentazioni molto diverse da città a città, con il fenomeno dell’abusivismo che rende difficile l’evoluzione del sistema verso forme tecniche e commerciali più ordinate. Quindi pochi cambiamenti specie per tutta l’affissione sulla strada. In questo panorama internazionale la situazione un po’ anomala è quella tedesca, dove, al momento, si verificano solo movimenti interni, con la Ströer che sta comprando molte Società locali, forse impaurite da un avvenire senza pubblicità per le sigarette (che ancora oggi dominano il mercato della domanda di affissione). Anche se tutti questi movimenti finanziari non toccano la percezione che il consumatore ha tuttora dal mezzo affissioni, mi è sembrato significativo segnalare il fenomeno, che sicuramente determinerà dei cambiamenti anche a livello dell’immagine del mezzo.

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ALESSIO ALESSI -

Alessi Pubblicità S.p.A.

Il mio nome è Alessio Alessi, sono responsabile tecnico della Alessi S.p.A., la più grande concessionaria di pubblicità esterna del Mezzogiorno d’Italia. In un mondo dei media in cui la ricerca e lo sviluppo tecnologico caratterizzano una continua rincorsa verso la massimizzazione della qualità, anche la pubblicità esterna intesa come affissione partecipa, seppure con una serie di limitazioni che a mio giudizio sono tipiche della sua natura e della sua storia, a questa nuova sfida lanciata dal mercato. Tra le annose problematiche che da sempre affliggono l’affissione in Italia mi permetto di annoverare le seguenti: la polverizzazione del mercato delle concessionarie; la scarsa professionalità e l’improvvisazione di molte piccole concessionarie; la scarsa qualità degli impianti; l’enorme numero d’impianti; le problematiche dovute ad un confuso dettato normativo; la scarsa capacità delle autorità comunali preposte alla regolamentazione del mezzo. Prima di entrare nel merito “della qualità nelle affissioni” è opportuno spendere due parole anche su altri elementi esterni al supporto pubblicitario, che a mio giudizio hanno una grandissima influenza sulla qualità della comunicazione esterna e dell’affissione. Primo fra tutti, per noi società concessionarie che operiamo nel mercato, è proprio il fattore qualitativo legato all’ubicazione. La bontà del posizionamento dell’impianto pubblicitario è un elemento essenziale per l’efficacia della comunicazione. Infatti la dislocazione del mezzo in termini di visibilità rispetto al traffico veicolare, al traffico pedonale, l’altezza, l’angolazione, l’affollamento, sono elementi strettamente connessi all’impatto del messaggio reclamizzato. E’ indubbio che l’impianto isolato permette una percezione del messaggio pub-

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blicitario superiore rispetto agli impianti collocati in “batteria”. Altri aspetti esterni al supporto pubblicitario sono quelli correlati ai servizi connessi all’espletamento delle affissioni, che concessionarie particolarmente evolute hanno ultimamente migliorato. Tra questi ricordiamo: la mappatura degli impianti con sistemi di georefernziazione, lo studio e la realizzazione di determinati prodotti preconfezionati quali i cosiddetti circuiti d’affissione. Tali prodotti di commercializzazione degli spazi permettono, grazie a studi approfonditi sul territorio, che tengono conto delle adiacenze degli impianti ai vari esercizi commerciali o altri punti di concentrazione di target ben determinati, un utilizzo estremamente strategico e tattico del mezzo, che senz’altro lo sta portando ad essere un po’ più evoluto ed elastico rispetto alle logiche di pianificazione un po’ troppo schematiche che si utilizzavano in passato. Ultimo aspetto esterno della qualità dei supporti è quello relativo alla strutturazione delle società dei concessionari. E’ indubbio infatti che le concessionarie che coprono un vasto territorio, e che si trovano quindi a gestire campagne affissionistiche di qualità, sono costrette a dimensionarsi con strutture industriali con una conformazione abbastanza complessa. Volendo fare un esempio cito proprio la mia azienda che, per coprire il territorio Siciliano e Calabrese con uno standard di qualità, si è dotata di un paio di stabilimenti di circa 12 mila metri quadrati con una quarantina di squadre che distribuiscono ed espletano direttamente le affissioni su tutto il territorio. Risulta invece strano capire come facciano molte concessionarie ad offrire affissioni di qualità non avendo una conformazione industriale, alcuna presenza sul territorio né tantomeno filiali od organizzazioni proprie. La strutturazione industriale della concessionaria è sinonimo infatti di efficacia sia in termini di qualità della distribuzione che

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di tempi di espletamento delle campagne. Infatti con strutture così dimensionate si possono raggiungere dei tempi d’espletamento davvero eccezionali, che possono andare anche dalle 24 alle 48 ore, con un sistema di controllo qualitativo elevatissimo completo di documentazione fotografica e mappatura. Ritornando a quello che è il tema dell’incontro di oggi “ la qualità del supporto pubblicitario” è indubbio che, per un cliente che si trova ad utilizzare il mezzo affissione, a mio giudizio dovrebbe essere primario porsi con scrupolo la scelta della società concessionaria che garantisce proprio la qualità del mezzo che si andrà ad utilizzare. Infatti, affiggere un manifesto su supporto pubblicitario o su un impianto pubblicitario in un certo senso significa affrancare la propria immagine a quella di una società concessionaria. Da ciò ne deriva che, se il manufatto è abusivo si diventa per l’immaginario collettivo abusivi, se il manufatto è costruito in legno con tavole scassate per quanto la macchina o il bene prodotto e reclamizzato siano tra i più elevati dal punto di vista tecnologico, gli stessi subiranno indubbiamente tutti i minus qualitativi e d’immagine legati al mezzo. In termini di evoluzione dei supporti pubblicitari, fortunatamente l’Italia sta recependo un influsso positivo di qualità che proviene dagli altri mercati. Tale tendenza si sta concretizzando nei notevoli sforzi di alcune aziende concessionarie che si stanno proiettando e sempre di più stanno investendo nel settore, così come ha fatto la Jolly che ci ha dimostrato con gli impianti che ha esposto in questa fiera di essere in linea con tali nuove esigenze. In tale direzione si sta sempre di più investendo in supporti qualitativi che tendono ad importare materiali nuovi per l’affissione, quali l’alluminio, l’acciaio, gli estrusi di plastica, materiali fino ad oggi mai adoperati. Infatti i poster tradizionali, per i conoscitori del mezzo, sono costituiti da laminati ferrosi o addirittura da materiali fibro-legnosi, quindi da tavole, lamiere e pezzi di fae-

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site tra l’altro molte volte anche male assemblati. In tutto questo evolversi, anche in Italia, fortunatamente non tanto per volontà dei concessionari ma quanto per volere delle Pubbliche Amministrazioni, si segue la tendenza che sta’ portando il settore dell’arredo urbano ad avere un grande sviluppo nell’esterna. Infatti c’è sempre di più il bisogno, da parte di Amministrazioni che hanno e gestiscono dei bilanci disastrati, di vestire le città trovando degli sponsor pubblicitari che possano in un certo senso, con l’abbinamento di spazi pubblicitari ai manufatti di servizio pubblico, permettere di dotarsi di supporti altamente qualitativi, quali pensiline, paline di fermata, indicatori taxi e altri manufatti. Tutto questo a mio giudizio costituisce un ulteriore plus per l’affissione, perché le permette di entrare all’interno del territorio urbano riuscendo a inserirsi in zone nelle quali prima non si poteva effettuare alcuna esposizione. Tale connubio pubblicità-arredo urbano in un certo senso rende più ammiccante la comunicazione pubblicitaria in quanto, agli occhi delle persone e del pubblico degli osservatori, il manifesto è visto come sponsor di un manufatto, che tutto sommato dà un servizio alla collettività. Tale inserimento è sempre visto più di buon grado specie nel momento in cui gli utilizzatori capiscono che questo manifesto ha anche una ricaduta economica e finanziaria sul territorio, perché ricordo che la pubblicità esterna è l’unico mezzo di comunicazione che lascia risorse economiche sul territorio sia in termini di tributi locali, sia anche di realizzazione d’impianti e strutture di pubblica utilità. Tale elemento permetterà in un prossimo futuro alla pubblicità esterna e alle affissioni di essere viste sempre di buon grado, con maggiore attenzione e rispetto anche da parte della gente comune. Per quanto riguarda sempre il tema della qualità delle strutture, altro elemento fondamentale, come si è detto anche nel corso di

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passati interventi, è quello relativo alla manutenzione. Non basta infatti costruire impianti altamente qualitativi, è anche importante mantenerli in tali condizioni. Ci sono moltissime concessionarie che collocano impianti che magari quando sono nuovi hanno una qualità eccezionale, poi nel tempo cominciano a degradarsi e sono oggetto di un vandalismo che purtroppo nel nostro territorio è molto diffuso, per cui il manufatto se non assistito in termini di manutenzione tende a degradarsi e quindi a decadere di qualità. A mio giudizio altro elemento essenziale proprio della strutturazione del manufatto pubblicitario è l’illuminazione. L’illuminazione serve a permettere una fruizione dell’impianto pubblicitario anche in orari notturni in cui tradizionalmente l’affissione si spegne. Illuminare un impianto in modo semplicistico potrebbe consistere nel porre due lampadine all’estremità dello stesso, così come ho visto stamani proprio a Milano passando per alcune strade. Infatti hanno proprio messo delle plafoniere che si trovano in giro per gli stabilimenti industriali su alcuni impianti affissionistici dicendo che quell’impianto è illuminato, e vendendolo per tale. Fà piacere venire oggi qui in questa fiera e vedere un’azienda come la Jolly che su tale tema ha realizzato uno studio tecnologico, così come abbiamo fatto anche noi e pochi altri concessionari seri, che ha identificato nell’illuminazione dell’impianto una garanzia di qualità. Ciò significa non prendere dei comuni proiettori, bensì fare degli studi sull’irraggiamento luminoso, essere sicuri che la qualità della luce sia tale da non alterare il messaggio pubblicitario, quindi perfettamente bianca, adoperando magari dei proiettori a vapori metallici di wattaggio superiore dotati di interruttori di tipo crepuscolare, che possano garantire una continuità nell’illuminazione dell’esposizione. Tali criteri risultano totalmente diversi rispetto a tutta una serie di trucchi che spesse volte vengono realizzati da operatori non

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qualificati, che mettono invece degli orologi, tali da accendere gli impianti solo per due ore, e magari con delle modeste lampadine da 50 watt. E’ indubbio che un servizio d’illuminazione così fatto potrà influire su un maggiore sconto del prezzo finale dell’affissione. Altro aspetto sul quale mi permetto d’intrattenermi, a mio giudizio estremamente importante, è quello della qualità del supporto (il manifesto pubblicitario). Abbiamo parlato dell’impianto, abbiamo parlato dell’illuminazione, ora parliamo invece proprio del manifesto pubblicitario, che come tutti bene o male saprete, è affisso dalla classica figura dell’attacchino, personaggio storico nel nostro settore, che va’ in giro per le strade con la sua lunga scopa, i bidoni di colla, ad incollare i manifesti pubblicitari sugli impianti. Il risultato di un lavoro così artigianale, così antico, così approssimativo, è stato fino ad oggi sempre quello di avere affissioni estremamente scadenti in termini di qualità, quindi manifesti particolarmente rugosi, che per i primi due giorni di affissione, fino a quando la colla non si asciuga, presentano degli effetti di trasparenza che molte volte, quando ci sono dei rossi o dei colori vivi nell’affissione sottostante, permettono la visibilità di questi ultimi, specialmente durante i periodi di pioggia. A tali fenomeni causati da un sistema d’incollaggio così artigianale si associano spesso anche i problemi di sbiadimento, causati dalla causticità della colla, che si uniscono anche a difetti d’accoppiamento dei singoli fogli formanti l’immagine gigantografia e spesso, durante questa operazione d’incollaggio funambolica, risultano delle enormi differenze nell’insieme grafico delle immagini che risultano sfalsate o non allineate. A tale annoso difetto, fin dagli anni ‘70 circa alcune concessionarie serie hanno cercato di dare una corretta risposta, introducendo dapprima dei procedimenti estremamente semplici, quali

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quello dell’affissione sottovetro, che però a mio giudizio non è particolarmente adatto al mondo dell’esterna, perché qualsiasi cosa si frapponga fra il manifesto e i colori su di esso stampati e l’occhio della persona che li deve vedere causa un certo senso di disturbo sia in termini di rifrazione che di riflessi e di aberrazioni cromatiche. Questo penalizza molto il tradizionale effetto impattante del manifesto. In tal senso grandi progressi hanno fatto in questo settore alcune concessionarie, scusatemi se faccio eccessiva pubblicità, quali l’IGP rappresentato dal Dottor Villa, la Jolly Pubblicità e anche la nostra azienda, che hanno puntato molto sui preincollati. Gestire dei preincollati per i non tecnici significa smontare i pannelli delle affissioni dai supporti collocati all’esterno, riportarli in stabilimento e raschiare con delle apposite scarificatrici la carta delle precedenti affissioni, incollare con dei procedimenti industriali i manifesti dei nuovi soggetti e plastificarli con dei comuni materiali di plastificazione, che vanno dall’acetato di cellulosa al PVC, al polietilene al polipropilene. Di tali prodotti protettivi c’è ne sono tantissimi, tutti che hanno come principale requisito quello di rendere lucido, impermeabile, brillante il manifesto, addirittura qualcuno di essi permette anche una certa refrattarietà alle affissioni abusive. Infatti non permette l’incollaggio di altri manifesti sopra questi pannelli plastificati, facendo sì che il manifesto “abusivo” si stacchi quando la colla asciuga. Nell’ambito invece dell’ultimo elemento che costituisce il supporto dell’affissione, cioè la carta, anche lì purtroppo il mercato Italiano non ha recepito le innovazioni apportate nel nord Europa, dove c’è uno standard qualitativo della carta estremamente elevato. In quelle regioni infatti usano delle carte altamente rigide da 120 grammi che ben resistono a dilatazioni termiche, per cui le affissioni così approntate non presentano più quegli effetti di corrugamento tipici delle nostre affissioni.

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Tali carte tra l’altro sono anche stampate di dietro con dei colori che tendono al blu o al grigio, così da coprire le dominanti che provengono dalle precedenti affissioni. Comunemente sul mercato questi prodotti vengono definiti blue back o grey back, in Italia sono di recente introduzione, speriamo che diventino presto anche queste uno standard di qualità. In qualità di supporti alternativi esistenti nel settore, così come accennato dall’Architetto Casti, si sono da un po’ di tempo a questa parte presentati gli adesivi inteso come PVC adesivo o il PVC plastico telato (banners), che sono senz’altro dei materiali altamente qualitativi. La loro diffusione è stata però penalizzata dall’elevato costo sia d’acquisto che di stampa, che di fatto ne ha penalizzato la diffusione per brevi periodi, facendoli invece diventare uno standard ideale per le esposizioni pubblicitarie medie e lunghe. Nell’ambito invece della qualità della stampa, la tecnologia di tipo litografica è oggi divenuta da tempo lo standard del mercato, e ciò malgrado in alcune nazioni del nord Europa, in cui l’aspetto qualitativo è supremo rispetto a qualsiasi aspetto economico, si continua a stampare l’affissione esterna in serigrafia per via delle sue migliori qualità cromatiche. Tale mezzo di stampa (la serigrafia) in Italia non ha mai avuto riscontro per via della maggiore onerosità rispetto alla litografia. Dal punto di vista tecnologico, invece, il settore della stampa ha presentato di recente delle grosse innovazioni nel settore del digitale, non tanto dal punto di vista qualitativo, perché senz’altro l’offset è uno standard da raggiungere, ma quanto dal punto di vista dell’elasticità, della versatilità tipiche di alcune nuove tecnologie di stampa, come quella elettrostatica o inkjet, che hanno permesso a tutti gli utenti del mezzo di poter stampare con dei costi veramente risibili anche piccole tirature di manifesti, cosa fino ad oggi non fattibile nel settore delle affissioni.

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Oggi è possibile infatti realizzare una micro campagna di 5 o 6 poster pagando la stampa di un poster con una qualità davvero eccezionale anche 100/120 mila cadauno come costo stampa. Tutto questo naturalmente volge verso quello che sarà il futuro della tecnologia di stampa, che penso si rivelerà al mondo nel corso della prossima Drupa (nota manifestazione fieristica) nell’anno 2000, che sarà rappresentata dal “computer to plate”, che porterà all’eliminazione a mio giudizio di tutte le tecnologie di stampa ad oggi esistenti verso quella che sarà l’unica tecnologia di stampa del futuro, cioè la tecnologia di stampa offset, con imputazioni direttamente dal computer, quindi con l’eliminazione di tutti quei costi e tempi morti causati dai passaggi che fino ad oggi hanno reso la tecnologia offset difficilmente abbordabile per piccole tirature, e quindi poco elastica. Volendo fare una puntata su quello che a mio parere sarà il futuro dell’affissione concordo con coloro che dicono che l’affissione probabilmente nel futuro diventerà “forse” l’unico mezzo di comunicazione di massa; tale evoluzione porterà infatti alla creazione del manifesto digitale, a tale proposito vi rimando ad una visione di tipo avveniristica, quale quella rappresentata nei noti film di fantascienza quali Blade Runner e Strange Days . In un prossimo futuro penso che in giro per le nostre città ci saranno solo dei grandi manifesti digitali pianificati e gestiti da uniche, grosse e globali centrali multimediali dalle quali si potranno pianificare campagne mondiali o europee in poco meno di un secondo. Questa visione risulta ad oggi futuribile in quanto la tecnologia dei megascreen è una tecnologia in corso di studio e di evoluzione, che raggiungerà un livello qualitativo paragonabile a quello della carta almeno tra un centinaio d’anni. In attesa di quella che sarà la tecnologia del futuro credo che il presente vedrà sempre di più affermarsi sia i preincollati che gli adesivi, che sempre di più andranno a sostituire la carta perché presentano in modo compiuto tutte le caratteristiche di una

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carta nobilitata che migliora la qualità delle affissioni. Dal punto di vista invece proprio del supporto pubblicitario credo sempre di più all’integrazione dell’impianto pubblicitario con l’arredo urbano. In ultima volevo concludere con un appello a beneficio di noi tecnici, rivolto naturalmente a tutti gli utilizzatori del mezzo, con particolare riguardo ai pianificatori ai quali vorrei raccomandare: nel momento in cui trattate una campagna affissionistica e vi trovate innanzi a concessionari che vi parlano soltanto di piani, posizioni, prezzi e sconti,etc… vi prego, mettete per un attimo da parte queste argomentazioni e per 5 minuti chiedete loro di parlarvi della loro azienda, della loro storia, dei loro sistemi di illuminazione, dei loro impianti…. e magari del loro amore del mezzo. Poi una volta completata queste analisi ritornate nuovamente anche a discutere dell’aspetto economico e degli sconti, altri elementi senz’altro importanti della trattativa, ricordando sempre come giustamente ha detto il signor Villa della I.G.P., che la qualità in affissione vince sempre sulla quantità.

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MICHAEL MATESICH -

Sitour

Buonasera a tutti. Ringrazio gli organizzatori della tavola rotonda per avermi inserito come ultimo relatore, così ho avuto modo di seguire quattro ore di lezione in italiano; adesso mi capirete senz’altro meglio. Il mio intervento di oggi inizia proprio dove ha concluso il mio collega Alessi. Mi trovo perfettamente d’accordo con il suo appello rivolto agli utenti ed ai pianificatori: non dobbiamo parlare solamente di prezzi e di sconti. Il vero protagonista è il mezzo. Ed è stato un piacere ascoltare Alessi che per 5 minuti ha parlato del proprio mezzo con molto entusiasmo. Anche io, come lui, sono innamorato del mio mezzo, che probabilmente pochi di voi conoscono, ma che, forse, senza accorgersene lo hanno utilizzato. Tutti coloro che vanno in montagna, uscendo da una funivia o da una cabinovia, si saranno chiesti: ed ora dove siamo, quale montagna abbiamo davanti, come ci orientiamo? Qui inizia l’affascinante mondo di Sitour. Sitour produce tabelloni panoramici che riportano la zona sciistica in inverno e la zona escursionistica in estate. Di solito, in Italia, la montagna viene associata alla neve, agli sci, mentre in Austria, Germania e Svizzera la montagna è diventata una realtà che lavora ininterrottamente 12 mesi su 12. A piccoli passi anche l’Italia si sta muovendo in tale direzione, a ferragosto tanti italiani e stranieri affollano le nostre splendide montagne e gli accoglienti rifugi. Dobbiamo ricordare che in Italia vi sono moltissime montagne e colline, e non solo al nord, da noi è possibile sciare dal Brennero fin giù in Sicilia, sulle pendici dell’Etna. Queste ultime sono stazioni sciistiche che non vengono prese in considerazione, considerate quasi mete estive o addirittura “esotiche”, e ci dimentichiamo che a Sierra Nevada hanno organizzato e disputato addirittura un mondiale.

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Senza dubbio, Sitour è una ditta alquanto particolare: abbiamo esperienza nella televisione, siamo coloro che hanno inventato le telecamere chiamate “panorama”, che riportano in tempo reali le condizioni atmosferiche, climatiche in montagna. Sitour è cresciuta grazie alla produzione dei tabelloni panoramici dipinti a mano, e per offrire questo servizio ai nostri interlocutori (generalmente i proprietari degli impianti di risalita) abbiamo dovuto trovare la forma per finanziarli, e questa è per noi la pubblicità. Grazie ad essa si sono sviluppati i nostri circuiti pubblicitari, sempre abbinati ad un servizio di informazione (fra l’altro siamo anche gli ideatori della classificazione delle piste, segnalate con bollini blu, rossi e neri, cerchi che ricordano il nostro marchio): dai tabelloni panoramici, ai globi segnapiste, dagli orologi presso gli accessi agli impianti, fino ad arrivare alle classiche vetrine all´interno degli impianti di risalita. Attenzione, però, l’affissione viene spesso fraintesa ed associata alla carta ed alla colla, come ha ricordato anche il signor Alessi prima. Fortunatamente non è sempre cosí! Inizialmente Sitour dipingeva a mano i propri messaggi pubblicitari, ovviamente il numero delle affissioni non era elevato; infatti, quando ci siamo trovati nella situazione di dover far fronte alle numerosissime richieste della clientela, abbiamo iniziato ad utilizzare dei supporti di ottima qualità ed esteticamente belli, le cornici a scatto tutt’ora impiegate per esporre i messaggi dei nostri clienti. Ormai siamo diventati azienda leader mondiale nel settore con oltre 1200 località turistiche, di cui quasi 160 situate in Italia. Mi auguro che questo breve intervento vi abbia fornito la possibilità di conoscere dei mezzi di comunicazione alternativi, e spero che gli operatori del settore, agenzie pubblicitarie o aziende, possano prendere in considerazione anche questi mezzi, generalmente considerati di nicchia.

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Progetto e coordinamentro grafico Paolo Casti Elaborazioni grafiche e impaginazione Paolo Menon Composto con caratteri Trebuchet MS DinMittelschrift Stampato su carta Simbol Freelife Satin 115 g. Carta di copertina Splendorlux color pastello grigio 250 g. Fotolito e stampa Gruppo immagine Verona Finito di stampare Verona, Maggio 1999



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