7 – Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento (Clima e cambiamenti climatici)

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Consiglio Nazionale delle Ricerche

Clima e Cambiamenti Climatici le attivitĂ di ricerca del CNR

A cura di B. CARLI, G. CAVARRETTA, M. COLACINO, S. FUZZI


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

A cura di Bruno Carli, Giuseppe Cavarretta, Michele Colacino, Sandro Fuzzi CNR - Dipartimento Terra e Ambiente Direttore Giuseppe Cavarretta Impaginazione e grafica Fortunato Antonelli, Elisabetta Gallo, Luigi Mazari Villanova Pubblicazione su web Daniela Beatrici (www.dta.cnr.it) Stampa Istituto Salesiano Pio XI - Roma Editore Consiglio Nazionale delle Ricerche - Roma Copyright © 2007, Consiglio Nazionale delle Ricerche Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-8080-075-0

In copertina: il Colosseo; emissioni di un'acciaieria; acqua alta a piazza San Marco, Venezia. Sul retro: il Sole (elaborazione di una immagine del satellite SOHO, collaborazione ESA-NASA); la Terra (immagine NASA) e la Luna; Strombus bubonius e ricostruzione di Mammuthus primigenius, rispettivamente “ospiti” caldo e freddo nell'area Mediterranea durante le ultime oscillazioni climatiche.


Presentazione Cambiamenti climatici, emissioni in atmosfera, modificazioni antropiche del territorio, sviluppo sostenibile e, più in generale, qualità ambientale: sono concetti e problematiche di interesse generale su cui i media sensibilizzano l'opinione pubblica con una comunicazione quotidiana e una profondità crescente. Le agende dei Governi dei Paesi industrializzati e in via di sviluppo sono dense di impegni relativi a incontri multilaterali finalizzati a concordare strategie comuni di mitigazione e di adattamento alle possibili condizioni climatiche di metà e fine secolo. L'ONU, la Commissione Europea e i Governi nazionali promuovono, programmano e finanziano studi sempre più approfonditi su questi argomenti. Malgrado ciò, molti problemi sono ancora in attesa di soluzione ed è lecito porsi alcune domande: Quale è il contributo dei fattori naturali e di quelli antropici sui cambiamenti climatici? Quale è il livello di certezza delle previsioni su cui fondare le decisioni? Quali i cambiamenti e i relativi impatti a scala regionale e locale? Quali le limitazioni da far accettare al sistema produttivo e alle popolazioni? Solo la ricerca scientifica può fornire risposte che possano essere condivise dal sistema-Paese che dovrà sostenere i costi e gli effetti delle possibili azioni di mitigazione e adattamento. Tutta la comunità scientifica internazionale sta quindi lavorando alacremente per fornire ai responsabili delle scelte le migliori basi di conoscenza, con investimenti molto consistenti in termini di risorse umane e finanziarie. Nel CNR il clima e i cambiamenti climatici sono oggetto di studio già da diversi decenni, con un approccio multidisciplinare, il coinvolgimento di diversi Istituti e la collaborazione a progetti internazionali e nazionali. In termini di risorse umane sono impegnati in queste ricerche circa 500 ricercatori e tecnici, tra cui molti giovani e associati delle Università, per un importo full cost di circa 44 milioni di Euro/anno di cui 9 finanziati dalla Commissione Europea, Ministeri, Enti locali e Aziende. I


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

Il Dipartimento Terra e Ambiente ha chiamato i ricercatori di tutti gli Istituti del CNR che si occupano di clima a presentare in forma sintetica i risultati degli studi realizzati negli ultimi anni, pubblicati in questo volume, per fornire ai fruitori istituzionali delle ricerche una panoramica delle diverse attivitĂ realizzate dall'Ente. Questi sono essenzialmente volti a incrementare la conoscenza necessaria a prevedere l'evoluzione del clima in risposta alle forzanti naturali e antropiche. Si segnalano in particolare: la ricostruzione dei climi del passato, lo studio dei processi di interazione tra le componenti ambientali che costituiscono il complesso sistema-clima, la valutazione degli impatti del cambiamento climatico tra cui sono in evidenza quelli riguardanti i sistemi agro-forestali, la realizzazione di modelli numerici predittivi, lo sviluppo e la messa a punto di nuovi metodi di osservazione e misura. Ăˆ con soddisfazione che presento quindi quest'opera, nella certezza dell'elevata qualitĂ dei contributi scientifici e nella fiducia che il CNR possa accrescere ulteriormente la consistenza del proprio apporto allo sviluppo economico ed al benessere sociale del Paese.

Federico Rossi Vice Presidente del CNR

II


Prefazione Il CNR ha nel settore degli studi sul clima una lunga tradizione che risale agli anni ’30 dello scorso secolo quando, sotto la Presidenza di Guglielmo Marconi, venne avviato il progetto Ricerche storiche sulle variazioni climatiche in Italia. L’Ente ha continuamente incrementato il proprio impegno in questo settore con una ricerca fortemente multidisciplinare maturata all’interno dei suoi Istituti che ha prodotto significative competenze, riconosciute a livello internazionale, sulla modellistica ed i processi chimico-fisici del clima, la ricostruzione dei climi del passato, le ricerche polari, gli impatti sugli ecosistemi terrestri ed acquatici ed i rischi socio-economici dei cambiamenti climatici. Il CNR ha anche sviluppato ampie competenze ed importanti infrastrutture per le osservazioni della Terra dal suolo e da satellite e gestisce o collabora a programmi osservativi a livello nazionale ed internazionale che forniscono basi-dati di primaria importanza per l’inizializzazione e la validazione dei modelli climatici. Dai risultati ottenuti analizzando alcuni indicatori climatici, quali l’aumento della temperatura media, la variazione nel regime delle precipitazioni con l’incremento degli eventi molto intensi, la riduzione della estensione dei ghiacciai alpini, l’innalzamento del livello del mare, emerge in modo inequivocabile che un cambiamento climatico è in atto e rappresenta un fenomeno globale, che coinvolge tutto il pianeta. Un maggior grado d’incertezza riguarda, invece, l’individuazione delle cause del cambiamento e la previsione delle future evoluzioni del clima. Secondo alcuni studiosi i cambiamenti potrebbero essere spiegati dalla naturale variabilità del clima e dalle variazioni della forzante esterna costituita dalla radiazione solare; tuttavia, l’interpretazione giudicata più probabile dalla maggioranza della comunità scientifica è che accanto alla variabilità naturale stia diventando significativa una variazione indotta dalle forzanti interne al sistema clima dovute alle attività antropiche. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che fa capo alle Nazioni Unite, ha reso pubblico a maggio 2007 il Quarto Rapporto sul Clima ed i Cambiamenti Climatici, al quale hanno contribuito anche ricercatori del III


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

CNR. Nel Rapporto si afferma che il riscaldamento globale è un fatto reale e che l’aumento della temperatura media globale osservato a partire dalla metà del XX secolo è molto probabilmente (probabilità superiore al 90%) dovuto in gran parte all’aumento della concentrazione dei gas serra causato dalle attività umane. Una valutazione più certa della situazione attuale e della futura evoluzione del clima a scala globale e regionale, richiede la disponibilità di modelli matematici in grado di fornire un’accurata descrizione dei processi fisici, chimici e biologici che hanno luogo all’interno del sistema climatico. Tale descrizione è ancora frammentaria, data l’estrema complessità del sistema. Le eruzioni vulcaniche, la presenza in atmosfera di aerosol e polveri, il ruolo delle nubi, le variazioni della composizione chimica dell’atmosfera, della radiazione solare, delle correnti atmosferiche ed oceaniche, del ciclo idrologico e del bilancio delle precipitazioni, i processi di deforestazione e, in generale, le modificazioni nell’uso del territorio sono alcune degli attori presenti sulla scena climatica. La sfida della ricerca è dunque comprendere i processi che operano all’interno del sistema clima e valutare correttamente il loro ruolo nel contesto della variabilità climatica globale. Modelli sempre più perfezionati sono infatti necessari per prevedere come evolverà il clima a scala globale e regionale in risposta a diversi scenari di intervento (o non intervento) e contemporaneamente a predisporre misure di adattamento a condizioni climatiche diverse da quelle del passato. Sono questi i temi di ricerca sul clima sui quali si concentra l’attività degli Istituti del CNR, i cui risultati, con riferimento agli ultimi anni, sono raccolti in questo volume. Il patrimonio di competenze, strutture e dati, che qui viene presentato, è stato costruito dal CNR al servizio del Paese, anche in collaborazione con gli altri Enti di Ricerca attivi nel settore, soprattutto per fornire ai decisori politici le conoscenze necessarie al fine di predisporre opportune misure di contrasto, mitigazione ed adattamento ai cambiamenti in atto e previsti per il futuro. Modellistica e processi chimici e fisici del clima Negli ultimi anni si è verificato un notevole progresso nei modelli climatici e nell’interpretazione dei risultati da essi ottenuti, anche se l’affidabilità delle previsioni climatiche è ancora oggetto di valutazione e discussione. Fondamentale è in questo campo la comprensione dei processi chimico-fisici che caratterizzano il sistema clima e lo studio dei cicli di retroazione (feedback) che determinano non linearità nei meccanismi causa-effetto del sistema. Varie IV


Prefazione

ed ampie sono le attività del CNR nel campo della modellistica del clima: dai modelli a scala globale a quelli a scala regionale, dai modelli climatici a complessità intermedia a quelli a rete neurale. Le tematiche di ricerca affrontate comprendono le anomalie climatiche nelle regioni tropicali e le teleconnessioni con la regione Mediterranea, la variabilità e predicibilità climatica dei regimi di circolazione atmosferica, la descrizione degli ecosistemi marini e terrestri. Importanti ricerche riguardano inoltre lo sviluppo di parametrizzazioni dei processi che coinvolgono l’aerosol atmosferico e le nubi e la validazione dei modelli con dati sperimentali, mentre gli studi sui processi chimico-fisici del clima coprono tematiche molto ampie che includono le variazioni della composizione chimica dell’atmosfera ed i conseguenti effetti radiativi, i sistemi nuvolosi precipitanti e gli eventi estremi, la variabilità del monsone africano e la circolazione termoalina. Ricostruzione dei climi del passato La ricostruzione dei climi del passato è di grande interesse al fine di valutare la variabilità naturale del clima. Le ricerche sono condotte con metodologie diverse: carotaggi, analisi dei sedimenti, dendrocronologia, analisi dei pollini, rapporti isotopici per gli studi paleoclimatici, documenti storici e serie di dati strumentali per le variazioni climatiche recenti. Gli studi del CNR riguardano la ricostruzione paleoclimatica attraverso l’analisi di lunghe registrazioni sedimentarie di aree continentali e bacini lacustri. Un altro indirizzo di ricerca è finalizzato alla ricostruzione, con particolare attenzione alle temperature e alle precipitazioni, degli andamenti climatici dell’Italia negli ultimi 200 anni. Queste indagini sono effettuate utilizzando serie storiche di dati meteorologici, che sono state raccolte, omogenizzate ed esaminate criticamente, andando a costituire banche dati che rappresentano un patrimonio unico nel loro genere. Vengono anche analizzati altri indicatori del cambiamento climatico come il livello del mare, le piogge molto intense e le onde di calore. Le ricerche polari ed i cambiamenti climatici Le aree geografiche utilizzate dall’attività umana non esauriscono la variabilità terrestre e lo studio degli ambienti estremi è fondamentale per completare la conoscenza dei processi fisici, chimici e biologici che determinano il clima globale. Il CNR contribuisce allo studio degli ambienti estremi polari con una significativa partecipazione al Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e V


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

con la gestione della stazione Dirigibile Italia nelle isole Svalbard. Le aree polari sono sede ideale per lo studio delle interazioni idrosfera-criosfera-atmosfera e l’Antartide in particolare per le indagini sul paleoclima con l’analisi dei ghiacci continentali e dei sedimenti marini. Inoltre gli ambienti estremi, per la loro collocazione remota rispetto alle sorgenti antropiche, forniscono un banco di prova privilegiato per l’identificazione precoce delle perturbazione globali (riduzione dell’estensione dei ghiacciai, cambiamento delle specie dominanti, perdita di biodiversità). Gli studi del CNR analizzano infine i processi di tipo radiativo, dinamico e biologico con cui i mari e le aree polari interagiscono con le variabili climatiche (interazione aerosol-radiazione, segregazione marina del carbonio, teleconnessioni fra processi remoti). Osservazioni da satellite, reti di misura e basi-dati sui cambiamenti climatici Il CNR è molto attivo nel campo dello sviluppo ed implementazione di nuova strumentazione scientifica, metodi di misura, reti di osservazione, come dimostra la realizzazione di boe marine di vario tipo, strumenti per la caratterizzazione degli aerosol atmosferici, torri per la determinazione dei flussi di CO2, misure di CO2 lungo rotte marine ed osservazioni di indicatori climatici. Importanti sono anche i risultati ottenuti grazie ad infrastrutture come le piattaforme aeree a bassa quota per la misura dei flussi superficiali, la camera climatica per lo studio degli effetti delle alterazioni ambientali sulle piante ed i sistemi informativi geografici. Numerose sono le partecipazioni del CNR a reti osservative a livello nazionale ed internazionale. Significativa è l’iniziativa EvK2-CNR che gestisce il Laboratorio Piramide collocato a 5050 metri in Himalaya. I problemi climatici richiedono osservazioni di tipo globale che sono efficacemente ottenute con telerilevamento da satellite. Accanto alle misure tradizionali da terra, è pertanto aumentato il numero dei progetti in cui il CNR utilizza i dati satellitari per ricavare campi di precipitazione operativi, temperatura superficiale del mare, proprietà delle nubi, copertura vegetale e risposta della vegetazione alle variazioni dell’irraggiamento e delle precipitazioni. Impatti dei cambiamenti climatici L’analisi dell’impatto dei cambiamenti climatici sull’ambiente ha particolare importanza, nell’attuale panorama delle ricerche sul clima. L’aumento della

VI


Prefazione

temperatura, oltre a determinare lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare, influisce in modo diretto sugli ecosistemi, che sono anche sollecitati dal cambiamento della composizione dell’atmosfera e del regime pluviometrico. Le ricerche del CNR sono molteplici e diversificate: dalla modifica del ciclo idrologico all’erosione delle coste, dalla perdita di biodiversità alla presenza di specie ittiche aliene, dalle comunità fitoplanctoniche alle popolazione di piccoli pelagici con attenzione ai problemi della pesca. L’impatto dei cambiamenti climatici sui laghi viene studiato relativamente agli aspetti fisici, chimici, e biologici sia per i corpi idrici italiani sia per quelli himalayani, per i quali è in corso di realizzazione una banca dati unica nel suo genere. Un ulteriore ambito di studio è rappresentato dalla valutazione dell’impatto dei cambiamenti sul suolo, la vegetazione e la produzione agricola: le ricerche riguardano da un lato l’erosione, i nutrienti, la siccità, la desertificazione e dall’altro le colture mediterranee, gli ecosistemi forestali, la diffusione di insetti e parassiti delle piante. Una rilevante attività concerne lo studio delle risposte degli ecosistemi all’aumento della concentrazione di CO2 ed alla capacità di sequestro da parte della vegetazione, anche con esperimenti di arricchimento in ambienti non confinati. Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento Anche nel settore di prevenzione del rischio e di adattamento ai cambiamenti climatici il CNR è presente con numerose iniziative. Le ricerche riguardano argomenti diversi, dall’ambito socio-economico alla pianificazione degli interventi di salvaguardia e mitigazione. In primis vanno ricordati gli studi sull’impatto dei cambiamenti sull’agricoltura con indagini finalizzate alla valutazione della quantità e qualità dei prodotti e del degrado del suolo, alla classificazione delle aree agricole ed alle infestazioni di parassiti ed insetti. Altre ricerche sono dedicate all’analisi delle modificazioni ambientali, alla pianificazione e gestione delle risorse idriche, ai problemi degli incendi boschivi ed all’evoluzione del paesaggio. Passando dall’ambiente naturale a quello antropizzato, vanno ricordati gli studi sviluppati per esprimere in termini quantitativi il disagio climatico e per valutare l’impatto del clima sul patrimonio culturale ed anche sul tempo libero. Sul piano tecnologico le ricerche riguardano lavori finalizzati alla riduzione delle emissioni con studi concernenti sia il confinamento dei gas serra, che lo sviluppo di tecnologie per la riduzione dei consumi energetici. Vanno infine citati, ultimi ma non per importanza, i lavori di natura socio-economica aventi come obiettivo l’analisi e la valutazione degli strumenti finora adottati, anche in campo internazionale, per mitigare i rischi. VII


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

VIII


Indice

INDICE Presentazione Prefazione Indice

I III IX

Modellistica del clima

1

PlaSim-LSG: un modello climatico a complessità intermedia

3

J. von Hardenberg, A. Provenzale, K. Fraedrich, E. Kirk, F. Lunkeit

Scenari climatici e predicibilità: indizi di uno stretto rapporto da un’analisi dinamica e neurale del toy-model di Lorenz

7

A. Pasini

Analisi climatiche di attribution a scala globale e di influenze a scala regionale e locale mediante un modello a rete neurale

11

A. Pasini

Anomalie climatiche ed onde planetarie

15

G. Dalu, M. Baldi, G. Maroscia, M. Gaetani

Predicibilità climatica dei regimi di circolazione atmosferica alle medie latitudini e ai tropici

17

S. Corti

Connessioni tra il clima della regione Mediterranea e l’Africa Occidentale attraverso la circolazione meridiana di Hadley

23

M. Gaetani, M. Baldi, G.A. Dalu, G. Maracchi

BOLCHEM: uno strumento numerico per la simulazione della composizione dell'atmosfera

27

A. Maurizi, M. D'Isidoro, M. Mircea, F. Tampieri

Il vortice stratosferico: indice di teleconnessione per previsioni a lungo periodo

31

G. Messeri, D. Grifoni, B. Gozzini, G. Maracchi, C. Tei, F. Piani

Caratterizzazione della variabilità spazio-temporale del vapor d’acqua come diagnostico per un modello di clima

35

G. L. Liberti, F. Congeduti, D. Dionisi, C. Transerici, L. Velea, F. Cheruy

Valutazione delle nubi simulate da un modello di clima (LMDZOR) in Area Mediterranea tramite dati da satellite

39

G. L. Liberti, F. Cheruy

IX


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Diagnostici basati su disaggregazione spazio-temporale per la valutazione delle nubi in un modello di clima.

43

F. Cheruy, F. Aires, G. L. Liberti

Riduzione dinamica degli scenari climatici a scala di bacino tramite modellistica numerica regionale

47

M. Pasqui, M. Ceseri, G. Maracchi, F. Meneguzzo, F. Piani

Risultati preliminari di downscaling statistico delle precipitazioni invernali nella Regione Puglia

51

L. Palatella, P. Paradisi, M.M. Miglietta, P. Lionello

L’igroscopicità e l’attivazione dell’aerosol nei modelli climatici

55

M. Mircea, M.C. Facchini, S. Decesari, S. Fuzzi

Produttività primaria dell’ecosistema marino, turbolenza oceanica e cicli biogeochimici globali

59

A. Bracco, I. Koszalka, C. Pasquero, A. Provenzale

Sviluppo di una funzione sorgente di spray marino per predire la componente organica dell’aerosol marino

63

M. C. Facchini, S. Fuzzi, M. Mircea

Processi chimico-fisici del clima

67

Caratterizzazione dello spettro di emissione atmosferica con misure a larga banda nell'infrarosso termico

69

L. Palchetti, G. Bianchini, B. Carli, U. Cortesi, S. Del Bianco

Modificazione dell’aerosol marino dovuta alle attività antropiche ed effetti sul clima

73

M. C. Facchini, S. Fuzzi, S. Decesari, M. Mircea, M. Rinaldi, C. Carbone

Caratteristiche del particolato atmosferico da emissioni di combustione di biomasse

77

S. Decesari, M. C. Facchini, M. Mircea, S. Fuzzi

Studio dei composti organici solforati volatili di origine marina e loro relazione con i cambiamenti climatici.

81

A. Gambaro, P. Cescon, C. Turetta, R. Piazza, I. Moret

Misura dei flussi di gas traccia da piattaforma oceanografica: il progetto OOMPH S. Taddei, P. Toscano, B. Gioli, A. Matese, F. Miglietta, F. P. Vaccari, A. Zaldei, G. Maracchi

X

85


Indice

Dinamica delle emissioni di mercurio da incendi forestali nell’area Mediterranea: implicazioni del climate change

89

S. Cinnirella, N. Pirrone

ECHMERIT – Un modello atmosferico a scala globale per studiare le dinamiche del mercurio con i cambiamenti climatici.

93

G. Jung, I. M. Hedgecock, N. Pirrone

Forcing radiativo diretto degli aerosol al TOA per modelli di riflettanza superficiale anisotropa

97

C. Lanconelli, A. Lupi, M. Mazzola, C. Tomasi, V. Vitale

Influenza delle forze foretiche nel processo di scavenging e negli effetti indiretti dell’aerosol sul clima

101

F. Prodi, G. Santachiara, L. Di Matteo, A. Vedernikov

Un nuovo indicatore climatico per il Mediterraneo: la densità di vapore alla superficie del mare

105

M. E. Schiano, S. Sparnocchia, R. Bozzano, S. Pensieri

Formazione di nuove particelle, nuclei di condensazione di nubi ed effetti sul clima

109

M. C. Facchini, S. Fuzzi, S. Decesari, M. Mircea

Climatologia di nubi precipitanti nella stagione calda: Primi risultati sull’Europa ed il Mediterraneo

113

V. Levizzani, R. Ginnetti, M. Masotti, S. Melani, M. Pasqui, A. G. Laing, R. E. Carbone

Alla ricerca di similarità nelle configurazioni della pressione al livello del mare associate a eventi di precipitazione intensa sull’Italia

117

N. Tartaglione, A. Speranza, T. Nanni, M. Brunetti, M. Maugeri, F. Dalan

Caratterizzazione sinottica del clima estivo e della sua variabilità interannuale, sul Mediterraneo e l’Europa

121

F. Piani, A.Crisci, G. De Chiara, G. Maracchi, F. Meneguzzo, M. Pasqui

Effetto delle variazioni dell’uso e copertura del suolo sul clima a scala regionale.

125

G. Dalu, M. Baldi

Confronto fra metodi di stima dell’EI30 ai fini del calcolo dell’erosione

129

R. Ferrari, L. Bottai, R. Costantini, L. Angeli, L. Innocenti, G. Maracchi

XI


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

L’impatto della circolazione termoalina sulle scarpate del Mediterraneo

133

G. Verdicchio, F. Trincardi

L’influenza dei cambiamenti climatici sul ciclo del mercurio su scala regionale e globale

137

F. Sprovieri, I. M. Hedgecock, N. Pirrone

Ricostruzione dei climi del passato

145

I travertini quaternari dell’Italia centro-meridionale quali indicatori climatici

147

E. Anzalone, B. D’Argenio, V. Ferreri, M. Sprovieri

Variazioni nel flusso di ferro tra periodi glaciali ed interglaciali nel corso degli ultimi 780.000 anni. Implicazioni climatiche

153

C. Barbante, V. Gaspari, P. Gabrielli, C. Turetta, P. Cescon

La registrazione dei cicli glaciali quaternari sui margini del Mediterraneo

157

A. Asioli, A. Piva, F. Trincardi

Il record paleoclimatico Plio-Quaternario del Salento (Puglia meridionale)

161

M. Delle Rose

Le variazioni eustatiche e le influenze climatiche sull’evoluzione della Piana di Sibari nel tardo Quaternario

165

R. Pagliarulo

Gli ultimi cinque cicli climatici nella successione sedimentaria della pianura friulana

169

R. Pini, C. Ravazzi, M. Donegana

Controllo climatico sull’accumulo di sedimenti di margine Olocenici e Pleistocenici del Mar Tirreno Orientale

173

M. Iorio, L. Sagnotti, F. Budillon, J. C. Liddicoat, R. S. Coe, E. Marsella

L’evoluzione del clima nell’area mediterranea durante l’intervallo 20.000-70.000 anni

177

M. Sprovieri, N. Pelosi, R. Sprovieri, A. Incarbona, M. Ribera d'Alcalà

L’impatto dell’evento combinato Ignimbrite Campana-Heinrich Event 4 sugli ecosistemi umani europei di 40 ka BP B. Giaccio, F. G. Fedele, R. Isaia

XII

181


Indice

L’ultima transizione glaciale-interglaciale sul versante meridionale delle Alpi e in Pianura Padana

185

C. Ravazzi, R. Pini, E. Vescovi, W. Tinner, L. Wick,

Variazioni climatiche ed evoluzione della zona costiera

189

F. Marabini

La ricostruzione di paleoclimi e paleoambienti mediante l’uso degli isotopi radiogenici e stabili nei reperti fossili

193

M. Pellegrini, A. Longinelli, P. Iacumin

Paleoclimatologia e sedimenti lacustri

197

P. Guilizzoni, A. Lami, A. Marchetto, M. Manca, S. Musazzi, S. Gerli

Clima e tassi di sedimentazione nell’area veneziana

201

S. Donnici, R. Serandrei-Barbero, G. Canali

Possibili cause delle variazioni dei tassi di sedimentazione della Laguna di Venezia nella cronozona subatlantica

205

S. Donnici, A. D. Albani, A. Bergamasco, L. Carbognin, S. Carniel, M. Sclavo, R. Serandrei-Barbero

Periodicità submillenarie registrate nei sedimenti marini degli ultimi 2000 anni (Tirreno orientale)

209

F. Lirer, M. Sprovieri, N. Pelosi, L. Ferraro

Cascate sottomarine nel Mediterraneo

213

G. Verdicchio, F. Trincardi

Considerazioni sulle modificazioni climatiche e ambientali nel periodo storico e nel prossimo futuro

217

S. Pagliuca, F. Ortolani

Variabilità climatica in Italia nord-occidentale nella seconda metà del XX secolo

221

J. von Hardenberg, N. Ciccarelli, A. Provenzale, C. Ronchi, A. Vargiu, R. Pelosini

Variabilità e cambiamenti climatici in Italia nel corso degli ultimi due secoli

225

T. Nanni, M. Brunetti, M. Maugeri

Variazioni nella frequenza e nell’intensità delle precipitazioni giornaliere in Italia negli ultimi 120 anni

229

T. Nanni, M. Brunetti, M. Maugeri

XIII


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Climatologia delle temperature ed eventi estremi estivi a scala nazionale e regionale

233

G. Bartolini, M. Morabito, T. Torrigiani, M. Petralli, L. Cecchi, S. Orlandini, M. Baldi, D. Grifoni, G. Dalu, M. Pasqui, G. Maracchi

Valutazione dei trend pluviometrici in Calabria

237

G. Buttafuoco, T. Caloiero, R. Coscarelli

Dalla scala locale alla scala regionale: la pluviometria del bacino del fiume Arno come segnale del cambiamento climatico del Mediterraneo.

241

Gozzini B., M. Baldi, G. Maracchi, F. Meneguzzo, M. Pasqui, F. Piani, A. Crisci, R. Magno, F. Guarnieri, L. Genesio, G. De Chiara, L. Fibbi, F. Marrese, B. Mazzanti, G. Menduni

Analisi climatologica degli eventi estremi di Libeccio a Livorno

245

A. Scartazza, G. Brugnoni, B. Doronzo, B. Gozzini, L. Pellegrino, G. Rossini, S. Taddei, F. P. Vaccari, G. Maracchi

Evoluzione secolare del livello marino dalle osservazioni mareografiche di Trieste (Adriatico Settentrionale)

249

F. Raicich

Anomalie nello stato della copertura vegetale in Africa da serie storiche di dati satellitari

253

P. A. Brivio, M. Boschetti, P. Carrara, D. Stroppiana, G. Bordogna

Le ricerche polari ed i cambiamenti climatici

257

La ventilazione profonda nel mare di Ross

259

A. Bergamasco, W. P. Budgell, S. Carniel, J. Chiggiato, M. Sclavo, R. Purini

La convezione “shelf-slope” a Baia Terra Nova: un approccio modellistico numerico

263

A. Bergamasco , S. Aliani , R. Purini

Incidenza dei cambiamenti climatici sull’ecosistema pelagico del Mare di Ross (Antartide)

267

M. La Mesa, M. Azzali, I. Leonori

La pompa biologica del carbonio nel mare di Ross (Antartide). G. Catalano, M. Ravaioli, F. Giglio, L. Langone, G. Budillon, A. Accornero, V. Saggiomo, M. Modigh, P. Povero, C. Misic, O.Mangoni, G. C. Carrada, R. La Ferla, M. Azzaro

XIV

271


Indice

Cambiamenti climatici e vita negli ambienti estremi. Struttura, funzione ed evoluzione delle emoglobine dei pesci polari

277

C. Verde, G. di Prisco

Evoluzione adattativa delle molecole anticorpali dei teleostei polari

283

U. Oreste, M. R. Coscia

Ricerche climatiche e paleoclimatiche in Antartide: un tuffo nel passato presente e futuro del clima globale.

287

F. Giglio, L. Capotondi, M. Frignani, L. Langone, M. Ravaioli

I cambiamenti della temperatura degli stati superficiali del mare nella polynya di Baia Terra Nova (Mare di Ross, Antartide) negli ultimi dieci anni

291

S. Aliani , A. Bergamasco , R. Meloni

Ricostruzioni paleoambientali e paleoclimatiche in ambienti estremi: l’esempio di un lago artico

295

S. Musazzi, A. Marchetto, A. Lami, M. Manca, L. Langone, A. Brauer, F. Lucchini, N. Calanchi, E. Dinelli e P. Guilizzoni, A. Mordenti

Influenza sul ciclo del carbonio della variabilità spazio-temporale della biomassa e della attività microbica nel Mare di Ross (Antartide)

299

R. La Ferla, F. Azzaro , M. Azzaro , G. Maimone , L.S. Monticelli

Periodicità orbitali ed influenza eustatica nelle oscillazioni degli ultimi 2,6 Ma della calotta glaciale Antartica

303

M. Iorio

Monitoraggio delle coperture nevose con tecniche satellitari per lo studio dei cambiamenti climatici in aree polari

307

R. Salvatori

Il ruolo del clima nel controllo del flusso di iridio e platino di origine cosmica

311

C. Barbante, P. Gabrielli, G. Cozzi, C. Turetta, P. Cescon

Determinazione delle specie gassose e particellari nella troposfera polare mediante i denuders di diffusione

315

A. Ianniello, I. Allegrini

Risposta diretta del contenuto colonnare di NO2 e O3 al ciclo solare di 27 giorni nell'ottica dei problemi climatici

319

I. Kostadinov, G. Giovanelli, A. Petritoli, E. Palazzi, D. Bortoli, F. Ravegnani, R. Werner, D. Valev, At. Atanassov, T. Markova, A. Hempelmann

XV


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

I valori di fondo della CO2 atmosferica a Jubany e le interazioni con il fenomeno de El Niño

323

C. Rafanelli, L. Ciattaglia, S. Carnazza

Effetti radiativi diretti indotti dagli aerosol presso le stazioni MZS e Dome C in Antartide

327

A. Lupi, C. Lanconelli , M. Mazzola, V.Vitale, C. Tomasi

Osservazioni da satellite, reti di misura e basi-dati sui cambiamenti climatici

331

Temperatura Superficiale del Mare da dati satellitari

333

S. Melani, A. Orlandi, C. Brandini, A. Ortolani

La Boa meteo-oceanografica ODAS-Italia1: un laboratorio marino d’altura

337

R. Bozzano, S. Pensieri, M.E. Schiano, S. Sparnocchia, M. Borghini, P. Picco

Variabilità dell’oceano globale da dati di boe flottanti: distribuzione e ruolo di cicloni e anticicloni

341

A. Griffa, M. Veneziani

La temperatura superficiale del Mar Mediterraneo negli ultimi 21 anni: analisi delle misure satellitari

345

B. Buongiorno Nardelli, R. Santoleri, S. Marullo, M. Guarracino

SuMaRad: strumento per la misura della trasmittanza dell'acqua marina

349

G. Fasano, A. Materassi, F. Benincasa

Il Pianosa LAB: un laboratorio naturale per lo studio delle interazioni fra atmosfera e biosfera terrestre

353

F. P. Vaccari, F. Miglietta, G. Maracchi

Mappe di flussi di calore ad alta risoluzione con dati multispettrali da piattaforma aerea: l’approccio MSSEBS

357

M. Esposito, V. Magliulo, J. Colin, M. Menenti

Risposta della vegetazione alla radiazione netta ed alle precipitazioni: serie temporali di dati da satellite M. Menenti, L. Jia , W. Verhoef

XVI

361


Indice

I sistemi CNR-FACE (Free Air CO2 Enrichment) per lo studio dell’impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi terrestri: tecnologie e risultati

365

F. Miglietta, S. Baronti, M. G. Lanini, A.Raschi, A. Zaldei, F. P. Vaccari, G. Maracchi, F. Selvi, R. Tognetti

Camera climatica per studi sulle relazioni piante-ambiente

369

A. Materassi, G. Fasano, F. Benincasa

Analisi delle dinamiche della vegetazione nella regione Saheliana (Africa dell’ovest) mediante uso d’immagini telerilevate.

373

P. Vignaroli, L.Genesio, F. Maselli, C.Vallebona, B. Canessa, V. Capecchi, A. Di Vecchia, G. Maracchi

Osservazione e previsione del Monsone dell’Africa Occidentale

377

S. Melani, M. Gaetani, M. Pasqui, G.A. Dalu, A. Ortolani, M. Baldi, G. Maracchi

Stime di precipitazione mediante dati da piattaforme satellitari

381

A. Antonini, S. Melani, A. Ortolani, A. Orlandi, G. Maracchi

Individuazione dei segnali di cambiamento climatico a scala locale e regionale

385

V. Capecchi, A. Crisci, L. Fibbi , B. Gozzini, D. Grifoni, F. Pasi, M. Rossi, C. Tei, F. Piani

Monitoraggio a scala globale della superficie terrestre con radiometri a microonde da satellite

389

S. Paloscia, G. Macelloni, P. Pampaloni, E. Santi

Misure radiometriche al suolo per lo studio delle proprietà ottiche degli aerosol e del vapor d’acqua

393

G. Pavese, F. Esposito, G. Masiello, C. Serio, V. Cuomo

Osservazione della composizione chimica dell'atmosfera e delle sue evoluzioni con i cambiamenti climatici: l’importanza strategica delle stazioni CNR in Calabria

397

N. Pirrone, F. Sprovieri

Otto anni di osservazioni a Mt. Cimone: analisi climatologica del biossido di azoto in stratosfera

401

A. Petritoli, E. Palazzi, F. Ravegnani, I. Kostadinov, D. Bortoli, S. Masieri, G. Giovanelli

Valutazione e definizione degli standard per la spazializzazione dei parametri meteo-climatici

405

R. Ferrari, L. Bottai, F. Maselli, R. Costantini, A. Crisci, R. Magno, G. Maracchi

XVII


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Realizzazione per l’Italia di una banca dati climatologia di serie storiche strumentali utrasecolari

409

T. Nanni, M. Brunetti, M. Maugeri

Sviluppo di tecnologie WebGIS Open Source per il monitoraggio dell’impatto dei cambiamenti climatici nell’Africa sub-sahariana.

413

T. De Filippis, L. Rocchi, P. Vignaroli, B. Canessa, A. Di Vecchia, G. Maracchi

Ricerche ecologiche di lungo termine (LTER) e cambiamenti climatici: il ruolo del CNR

417

G. Matteucci, F. Bianchi, R. Bertoni, A. Pugnetti, M. Ravaioli

Velocità di crescita della CO2 atmosferica lungo rotte emisferiche dall’Italia all’Antartide

421

L. Langone, F. Giglio, C. Ori, R. Lenaz, A. Longinelli, E. Selmo

Nuove tecnologie per la misura di emissioni e assorbimenti di gas serra a scala regionale

425

B. Gioli, A. Matese, F. Miglietta, P. Toscano, A. Zaldei, G. Maracchi

Misura delle emissioni di gas ad effetto serra di un sistema urbano

429

A. Matese, B. Gioli, F. Miglietta, P. Toscano, F.P. Vaccari, A. Zaldei, G. Maracchi

Monitoraggio pollinico per lo studio dell’effetto dei cambiamenti climatici in ambiente mediterraneo

433

G. Pellizzaro, B. Arca, A. Canu, C. Cesaraccio

Un approccio Bayesiano per la stima del flusso superficiale di CO2 a partire da misure rilevate da piattaforma aerea

437

A. Riccio, G. Giunta, S.M. Alfieri, M. Esposito, V. Magliulo

Caratterizzazione delle proprietà radiative degli aerosol nella pianura padana da misure delle stazioni AERONET

441

C. Di Carmine, C. Tomasi

Caratterizzazione dell’aerosol urbano ed extraurbano mediante misure di telerilevamento passivo da terra e da satellite.

447

M. Campanelli, G. P. Gobbi, C. Tomasi, T. Nakajima

Analisi di dati da satellite per lo studio della forzatura radiativa diretta degli aerosol su scala regionale

451

M. Mazzola, C. Lanconelli, A. Lupi, V. Vitale, C. Tomasi

La rete lidar europea “EARLINET” per lo studio degli aerosol a scala continentale G. Pappalardo e il team di EARLINET

XVIII

455


Indice

Misura dell’indice di rifrazione di particelle di aerosol mediante nefelometro polare

459

F. Prodi, L. Di Matteo, G. Santachiara, F. Belosi

Climatologia dell’aerosol atmosferico: tTelerilevamento di variabili con impatto climatico e ambientale

463

G. P. Gobbi, F. Angelini, F. Barnaba, T. C. Landi

Microfisica delle nubi e loro impatto sul clima

467

F. Romano, E. Di Tomaso, T. Montesano, E. Ricciardelli, V. Cuomo, E. Geraldi

Lo studio dell'atmosfera e del clima presso la Stazione WMOGAW “O. Vittori” di Monte Cimone (2165 m slm)

471

P. Cristofanelli, J. Arduini, U. Bonafè, F. Calzolari, A. Marinoni, M. Maione, F. Roccato, P. Bonasoni

L’osservatorio ABC-Pyramid a 5079 m slm in Himalaya. Una stazione per la misura di aerosol, ozono e gas serra alogenati

475

A. Marinoni, P. Cristofanelli, U. Bonafé, F. Calzolari, F. Roccato, F. Angelini, S. Decesari, MC. Facchini, S. Fuzzi, G. P. Gobbi e P. Bonasoni, P. Laj, K. Sellegri, H. Venzac, P. Villani, M. Maione, J. Arduini, E. Vuillermoz, G. P. Verza

Monitoraggio dei cambiamenti globali in Himalaya e Karakorum

479

G. Tartari, E. Vuillermoz, L. Bertolani

Studio delle variazioni di NO2 nella stratosfera antartica a diverse scale temporali

483

D. Bortoli, G. Giovanelli, F. Ravegnani, I. Kostadinov, S. Masieri, E. Palazzi, A. Petritoli, F. Calzolari, G. Trivellane

La concentrazione di O3 e dei gas serra nell’atmosfera polare

487

Impatti dei cambiamenti climatici

493

Ciclo del carbonio in mare e cambiamenti climatici

495

C. Rafanelli, A. Damiani, E. Benedetti, M. Di Menno, A. Anav, I. Di Menno

C. Santinelli, L. Nannicini, A. Seritti

Analisi di parametri meteomarini per studi energetici e morfodinamici di lungo periodo

501

C. Brandini, A. Orlandi, A. Ortolani, G. Giuliani, B. Gozzini

XIX


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Accelerati tassi di sequestro di anidride carbonica nelle acque profonde del Mediterraneo Orientale durante il transiente

505

M. Azzaro, R. La Ferla

Simulazione dei trasporti allo Stretto di Sicilia come indicatore della variabilità della circolazione termoalina mediterranea

509

R. Sorgente, A. Olita, A. Ribotti, A. Perilli, S. Natale, S. Mazzola, G. Basilone, A. Cuttitta

Presenze di specie ittiche esotiche come possibili indicatori di cambiamenti climatici: il caso dello Stretto di Sicilia

513

M. L. Bianchini, S. Ragonese

Effetti dell'anomalia termica dell'estate 2003 sull'idrodinamica del Canale di Sicilia

517

A. Olita, R. Sorgente, A. Ribotti, A. Perilli, S. Natale, A. Bonanno, B. Patti, G. Buscaino

Canali e stretti quali punti di osservazione privilegiata per lo studio della variabilità interannuale nel bacino Mediterraneo

521

G. P. Gasparini, K. Schröder, A. Vetrano e M. Astraldi

Variabilità interannuale della produzione primaria nel Mar Mediterraneo: 8 anni di osservazioni SeaWiFS

525

S. Colella, R. Santoleri

Effetti della temperatura (SST) sulla biomassa dei riproduttori di acciughe (Engraulis encrasicolus)

529

G. Basilone, A. Bonanno, B. Patti, A. Cuttitta, G. Buscaino, G. Buffa, A. Bellante, G. Giacalone, e S. Mazzola, A. Ribotti, A. Perilli

Influenza delle variabili ambientali sulle fluttuazioni della biomassa di sardine (Sardina pilchardus) nello Stretto di Sicilia

533

A. Bonanno, S. Mazzola, G. Basilone, B. Patti, A. Cuttitta, G. Buscaino, S. Aronica, I. Fontana, S. Genovese, S. Goncharov, S.Popov, R. Sorgente, A. Olita, S. Natale

Fluttuazioni interannuali nell’abbondanza degli stadi larvali di Engraulis encrasicolus e di Sardinella aurita in relazione al riscaldamento delle acque superficiali nello Stretto di Sicilia

537

A. Cuttitta, B. Patti, G. Basilone, A. Bonanno, L. Caruana, A. Di Nieri, C. Patti, C. Cavalcante, G. Buscaino, G. Tranchida, F. Placenti e S. Mazzola, L. Saporito, G.M. Armeri, V. Maltese, R. Grammauta, M. Zora

Analisi di variabili climatiche in funzione della comprensione della variabilità planctonica (caso di studio: Golfo di Trieste) A. Conversi, F. Crisciani, S. Corti, T. Peluso

XX

541


Indice

Fluttuazioni spazio-temporali della biomassa dei piccoli pelagici nel Mare Adriatico in relazione ai cambiamenti climatici

547

M. Azzali, I. Leonori, A. De Felice

Comunità fitoplanctoniche e climatologia nell’Adriatico Settentrionale

551

A. Pugnetti, M. Bastianini, F. Acri, F. Bernardi Aubry, F. Bianchi, A. Boldrin, G. Socal

Risposta dei sistemi costieri alle variazioni climatiche globali

557

G. De Falco, A. Cucco, P. Magni, A. Perilli, M. Baroli, S. Como, I. Guala, S. Simeone, F. Santoro, S. De Muro

Ricostruzione della variabilità biogeochimica nel Mediterraneo: risposta microbica ai cambiamenti globali.

561

R. La Ferla , M. Azzaro , G. Caruso, G. Maimone , L.S. Monticelli, R. Zaccone

Studio degli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi marini lungo le coste europee

565

P. Magni, A. Cucco, G. De Falco, A. Perilli, S. Como, G.A. Fenzi, S. Rajagopal, G. van der Velde

Il ruolo dei cambiamenti climatici nella dinamica dei nutrienti nel continuum bacino del Po - nord Adriatico

569

S. Cinnirella, G. Trombino, N. Pirrone

Impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi fluviali a regime temporaneo: modellizzazione idrologica e dinamica dei processi di trasformazione del sedimento

573

A. Puddu, A. Lo Porto, A. Zoppini, A. Barra Caracciolo, S. Fazi, P. Grenni, A. M. De Girolamo, S. Amalfitano, F. De Luca

Influenza dei cambiamenti climatici sul regime idrologico di due bacini idrografici in ambiente mediterraneo

577

A. Lo Porto, A. M. De Girolamo, A. Abouabdillah, D. De Luca, G. Santese

Impatto del cambiamento climatico su erosione e perdita di nutrienti dal suolo agricolo nel bacino dell’Enza.

581

M. Garnier, G. Passarella, A. Lo Porto

Trend termopluviometrico, siccità e disponibilità di acque sotterranee in Italia meridionale

585

M. Polemio, D. Casarano, V. Dragone

XXI


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Fattori climatici che influenzano la struttura termica e la qualità delle acque lacustri. Prospettive di ricerca nell’ambito delle risposte ai cambiamenti globali

589

D. Copetti, G. Tartari, Jörg Imberger

Gli effetti del riscaldamento climatico sulla chimica delle acque in ambiente alpino

593

M. Rogora, P. Guilizzoni, A. Lami, A. Marchetto, R. Mosello

Influenze climatiche sui corpi lacustri del Sagarmatha National Park, Mount Everest, Nepal

597

A. Lami, A. Marchetto, G. Morabito, M. Manca, R. Mosello, G. A. Tartari, R. Piscia, G. Tartari, F. Salerno

Riscaldamento delle acque profonde nei laghi italiani: un indicatore di cambiamenti climatici

601

W. Ambrosetti, L. Barbanti, E. A. Carrara

Indagini paleolimnologiche in laghi himalayani: ricostruzioni del clima del passato ed effetti delle variazioni climatiche sulle biocenosi.

605

A. Lami, S. Musazzi, M. Manca, A. Marchetto e P. Guilizzoni, L. Guzzella

Cambiamenti climatici: quali effetti sulle piogge e sui livelli del lago

609

M. Ciampittiello, A.Rolla

Cambiamenti climatici e fioriture di cianobatteri potenzialmente tossici nel Lago Maggiore

613

R. Bertoni, C. Callieri, E.Caravati, G. Corno, M. Contesini, G. Morabito, P. Panzani, C.Giardino

Variazioni climatiche interannuali e dinamica stagionale del fitoplancton nel Lago Maggiore

617

G. Morabito

Impatto del riscaldamento globale sullo zooplancton e sull’efficienza della catena trofica pelagica

621

M. Manca, A. Visconti, R. de Bernardi

Metodologia di bilancio di massa per la stima degli scambi gassosi superficiali a scala territoriale

625

U. Amato, M. F. Carfora, S. M. Alfieri, M. Esposito, V. Magliulo

Analisi multiscala del rischio desertificazione per gli agroecositemi R. Magno, L. Genesio, A. Crisci, G. Maracchi

XXII

629


Indice

Stima dei tempi di correlazione caratteristici dell’attività fotosintetica terrestre su scale climatiche

633

M. Lanfredi, T. Simoniello, V. Cuomo, M. Macchiato

I composti organici volatili di origine biogenica (BVOC) nell’atmosfera e loro ruolo nei cambiamenti climatici

637

P. Ciccioli, F. Loreto

Impatto dell’aumento della CO2 atmosferica sull’emissione biogenica di composti organici volatili (VOC)

641

R. Baraldi, F. Rapparini, F. Miglietta, G. Maracchi

Sequestro del C del suolo: la mappatura del C del suolo in ecosistemi mediterranei

645

L . P. D’Acqui, F. Maselli, C. A. Santi

Studio delle interazioni clima-vegetazione mediante applicazione degli isotopi stabili 13C e 18O

649

E. Brugnoli, M. Lauteri, M. Pellegrini, G. Scarascia Mugnozza, L. Spaccino, M. Manieri

Le sorgenti naturali di CO2: quindici anni d’attività di ricerca scientifica

653

S. Baronti, F. Miglietta, A. Raschi, R. Tognetti, F. P. Vaccari, G. Maracchi

I modelli di simulazione nello studio dell’impatto dei cambiamenti climatici sulle colture mediterranee

657

C. Cesaraccio, P. Duce, A. Motroni, M. Dettori

Valutazione della vulnerabilità degli ecosistemi arbustivi ai cambiamenti climatici: esperienze di manipolazione climatica in pieno campo

661

P. Duce, G. Pellizzaro, C. Cesaraccio, A. Ventura, D. Spano, C. Sirca, P. De Angelis, G. de Dato

Il contributo degli impianti da frutto all’assorbimento della CO2

atmosferica

665

O. Facini, T. Georgiadis, M. Nardino, F. Rossi, G. Maracchi, A.Motisi

La diffusione di Aedes Albopictus (Skuse) (Zanzara Tigre) in relazione ai cambiamenti climatici

669

R. Vallorani, A. Crisci, G. Messeri, B. Gozzini

Gilia: 4 anni di monitoraggio della migrazione primaverile delle rondini (Hirundo rustica L.)

673

L. Massetti, G. Brandani, A. Crisci, G. Maracchi

XXIII


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Impatto della variabilità climatica sugli ecosistemi alpini: esempi dal Parco Nazionale Gran Paradiso

677

B. Bassano, A. von Hardenberg, R. Viterbi, A. Provenzale

Bilancio dei flussi di tre gas serra (CO2, CH4, N2O) in un pratopascolo alpino: confronto tra 2003 e 2004

681

F. Berretti, S. Baronti, M. Lanini, G. Maracchi, A. Raschi, P. Stefani

Caratterizzazione meteo-climatica degli eventi pluviometrici in ambiente alpino: metodologia e primi risultati

685

G. Nigrelli

Verso un modello per l’analisi non lineare delle influenze climatiche sulle densità di popolazione di roditori in Appennino

689

A. Pasini, G. Szpunar, M. Cristaldi, R. Langone, G. Amori

Cambiamenti globali e complessità della conservazione delle risorse geniche – Il modello della specie polifunzionale Castanea sativa Mill

693

F. Villani, C. Mattioni, M. Cherubini e M. Lauteri

Impatto del cambiamento climatico sulle interazioni ospiteparassita in specie coltivate: il caso della dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata Say)

697

F. P. Vaccari, F. Miglietta, A. Raschi, G. Maracchi

Uso di serie temporali NDVI per stimare l’effetto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi forestali

701

F. Maselli, M. Chiesi, A. Rodolfi, G. Maracchi

Produttività primaria e assorbimento di carbonio in ecosistemi agro-forestali: l’impatto dei cambiamenti atmosferici previsti a metà del secolo XXI

705

G. Scarascia-Mugnozza e C. Calfapietra, P. De Angelis, F. Miglietta

Ecosistemi forestali e mitigazione dei cambiamenti ambientali: sequestro di carbonio in foreste italiane

709

G. Matteucci, G. Scarascia-Mugnozza

Modellizzazione dell’accumulo di carbonio in ecosistemi forestali tramite elaborazione di dati telerilevati ed ausiliari

713

L. Fibbi, M. Chiesi, F. Maselli, M. Moriondo, M. Bindi, G. Maracchi

Impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi agro-forestali mediterranei M. Centritto

XXIV

717


Indice

Effetto dei cambiamenti climatici sul rischio di incendi boschivi in area mediterranea

721

B. Arca, G. Pellizzaro, P. Duce, A. Ventura, P. Zara, D. Spano, C. Sirca, M. Salis, R. L. Snyder, K. T. Paw U

Variazioni climatiche e cambiamenti faunistici: l’evoluzione delle faune a mammiferi del Mediterraneo occidentale durante gli ultimi 3 milioni di anni

725

M. R. Palombo

Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

733

Stima della sensibilità all’erosione del suolo attraverso l’analisi di scenari climatici

735

L. Angeli, L. Bottai, R. Costantini, R. Ferrari, L. Innocenti, G. Maracchi

Valutazione ed analisi dei fenomeni di degrado del suolo

739

R. Coscarelli, I. Minervino, M. Sorriso-Valvo, B. Ceccanti, G. Masciandaro

Erosione del suolo, stabilità degli aggregati e clima

743

M. P. Salvador Sanchis , M. S. Yañez, P. Cassi, D. Bartolini, L. Borselli, F. Ungaro, D. Torri

Ricorrenza degli eventi alluvionali, dissesto idrogeologico e trend climatico nella Locride (Calabria SE)

747

O. Petrucci, M. Polemio

Ricorrenti variazioni del clima ed eventi alluvionali nel nord Italia

751

D. Tropeano, L. Turconi

Modificazioni nell’ambiente fisico d’alta montagna e rischi naturali in relazione ai cambiamenti climatici

757

M. Chiarle, G. Mortara

Cambiamenti climatici, processi di abbandono, conservazione e sviluppo sostenibile in paesaggi marginali mediterranei

761

M. Lauteri, M. Alimonti, A. Oriani, A. Pisanelli

Metodologie per la classificazione delle aree agricole e naturali in relazione al rischio climatico

765

P. Duce, C. Cesaraccio, D. Spano, A. Motroni

Effetto dei cambiamenti climatici in atto sulla qualità dei vini

769

D. Grifoni, G. Zipoli, G. Maracchi, S. Orlandini, M. Mancini

XXV


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Adattamento alla siccità e utilizzazione di risorse idriche differenziate nelle specie delle dune costiere

773

M. Lauteri, E. Brugnoli

Monitoraggio delle condizioni meteorologiche nella prevenzione delle infestazioni da Locusta del deserto

777

C. Vallebona, L. Genesio, A. Crisci, M. Pasqui, A. Di Vecchia, G. Maracchi

Ruolo fotoprotettivo degli antociani in piante di mais esposte a episodi di gelo improvviso durante la fase vegetativa

781

F. Pietrini, A. Massacci

Tendenze e prospettive climatiche della frequenza di grandine in Toscana e nel centro Italia

785

F. Piani, A. Crisci, G. De Chiara, G. Maracchi, F. Meneguzzo, M. Pasqui

Ondata di calore 2006 in Toscana: il circolo vizioso dell’effetto serra

789

L. Genesio, F. P. Vaccari, F. Miglietta, R. Magno, P. Toscano

Un modello di riscaldamento del Mediterraneo: le sorgenti idrotermali sono oasi termofile per insediamento di specie lessepsiane

793

S. Aliani, A. M. De Biasi

Microclimatologia dell’involucro urbano

797

T. Georgiadis, F. Rossi, G. Maracchi

Cambiamenti climatici: comfort e turismo in Italia centrale

801

M. Morabito, S. Orlandini, A. Crisci, G. Maracchi

Cambiamenti climatici e patrimonio culturale. Contributi sugli effetti dei cambiamenti climatici sul patrimonio costruito e sul paesaggio culturale

805

C. Sabbioni, A. Bonazza, P. Messina

Variazioni climatiche, comfort termico e tipologia di abbigliamento in Italia (1950-2000).

809

A. Crisci, M. Morabito, L. Bacci , G. Maracchi

La scarsità idrica in agricoltura: strumenti di supporto per l’analisi economica e la definizione di politiche sostenibili

813

G. M. Bazzani

Processi decisionali partecipativi per la definizione di strategie di mitigazione dello stress idrico R. Giordano, V. F. Uricchio

XXVI

819


Indice

La costituzione di una banca dati agrometeorologica e socioeconomica per l’analisi dei cambiamenti climatici nella regione saheliana.

823

M. Bacci, T. De Filippis, A. Di Vecchia, P. Vignaroli, V. Tarchiani, G.Maracchi

Uno strumento di pianificazione delle risorse idriche sotterranee sotto l’influenza dei cambiamenti climatici

827

I. Portoghese, M. Vurro, G. Giuliano

Possibili metodi di sequestro di gas serra in Italia

831

L. Dallai, C. Boschi, A. Dini, G. Ruggieri, F. Gherardi, S. Biagi, C. Geloni, G. Gianelli, M. Guidi

Confronto tra climatologia del vento nel Mediterraneo simulata con modello di clima e osservazioni da satellite

835

A. M. Sempreviva, F. Cheruy, B. Furevick, C. Transerici

Refrigerazione magnetica: un’alternativa alla tradizionale tecnologia basata sulla compressione dei gas.

839

L. Pareti, F. Albertini, A. Paoluzi, S. Fabbrici, F. Casoli, M. Solzi

Minimizzazione dei consumi energetici negli impianti di depurazione e riduzione dell’impatto sul clima

843

G. Mininni, M. C. Tomei, D. Marani, C. M. Braguglia

Sviluppo di Strumenti di Supporto alle Decisioni per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente.

847

G. Trombino, S. Cinnirella, N. Pirrone

Utilizzo di modelli comprehensive per l’individuazione di strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici

851

C. Cosmi, S. Di Leo, S. Loperte, F. Pietrapertosa, M. Salvia, V. Cuomo

Struttura produttiva territoriale ed efficienza di emissioni attraverso la NAMEA regionale

855

M. Mazzanti, A. Montini, R. Zoboli

Emission trading europeo e processi di eco-innovazione industriale

859

S. Pontoglio, R. Zoboli

Indice degli Autori

865

XXVII


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento



Stima della sensibilità all’erosione del suolo attraverso l’analisi di scenari climatici L. Angeli, L. Bottai, R. Costantini, R. Ferrari, L. Innocenti, G. Maracchi Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia angeli@lamma-cres.rete.toscana.it SOMMARIO: La problematica legata alla perdita di produttività e fertilità dei suoli nell’area Mediterranea sta diventando molto importante alla luce degli ultimi scenari climatici, con l’aumento degli eventi estremi di tipo meteorico. Il fenomeno, in continua evoluzione, si manifesta con evidenti processi di erosione del suolo, dovuti anche alle alterazioni della copertura vegetale e alle modifiche dell’attività agricola. L’Ibimet, attraverso il proprio Centro Ricerche Erosione Suolo (LaMMA-CRES), ha avviato un progetto il cui obiettivo è quello di fornire uno strumento di supporto alla gestione e pianificazione territoriale, valutando quantitativamente i processi di erosione e identificando futuri scenari climatici, con cambiamenti nella gestione agronomica, in un’area pilota della Toscana meridionale. Le precipitazioni future sono state valutate sulla base dello scenario A2 dell’IPCC (International Panel on Climate Change), mentre per il cambiamento delle pratiche agricole è stato condotto uno specifico studio socio-economico.

1 INTRODUZIONE L’aumento dei fenomeni estremi di tipo meteorico è una delle principali cause del degrado della risorsa suolo, inteso come perdita di fertilità ed erosione degli strati superficiali. Come affermato dall’IPCC (2000), esistono le evidenze che eventi estremi saranno più frequenti e intensi a causa del riscaldamento globale. La variabilità dei fenomeni climatici, come il lungo periodo siccitoso del 2003, può causare modifiche rilevanti nella copertura vegetale e quindi nei processi erosivi e di trasporto dei sedimenti. Lo scopo dello studio è valutare gli effetti di queste variazioni, tramite lo sviluppo e l’applicazione di scenari futuri che tengano conto dei cambiamenti climatici e delle pratiche agricole.

L’analisi multicriteriale, Social Multi–Criteria Evaluation (SMCE) (Munda, 2004) svolta sui dati storici, istituzionali e sulle interviste agli stakeholders ha permesso l’individuazione di tre tipologie di gestione agronomica: - sistema colturale convenzionale, con il ricorso alle tecniche usualmente adottate, caratterizzata da una generalizzata pratica di mono-successione di grano o rotazioni colturali non idonee, - sistema colturale biologico, con l’ introduzione o il mantenimento dei metodi a basso

2 METODOLOGIA L’area di studio si trova all’interno del bacino idrografico del Fiume Albegna, nella Toscana meridionale (Fig. 1), ed è caratterizzata da un’intensa attività agricola.

Figura 1: Localizzazione dell’area di studio (Fiume Albegna, Toscana meridionale).

735


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

impatto ambientale, che prevede la realizzazione di successioni colturali nel rispetto delle caratteristiche fisiche e strutturali del suolo, - sistema colturale di transizione, rappresentata dal passaggio dal convenzionale al biologico. La valutazione dell’erosione del suolo per lo scenario attuale e futuro è stata calcolata tramite l’implementazione del modello RUSLE (Revised Universal Soil Loss Equation) (Renard et al., 1997) in un software GIS (Geographic Information System). La perdita annuale di suolo, espressa in tonnellate per ettaro, dovuta a processi di erosione superficiale e per rigagnoli, può essere calcolata secondo Wischmeier e Smith (1978) con l’equazione 1: A = R ⋅ L ⋅ S ⋅ K ⋅ C ⋅ P [t ha-1 anno-1]

(1)

dove: A = perdita di suolo, R = erosività della pioggia, LS = lunghezza e pendenza del versante, K = erodibilità del suolo, C = fattore di copertura, P = fattore di protezione. Il fattore R è stato calcolato sulla base delle precipitazioni mensili con il modello lineare (Eq. 2) di Rufino et al., 1993. Rx= 19,55+(4.2*Mx)

(2)

dove Rx = fattore R mensile, Mx = precipitazione mensile. Il fattore K è stato calcolato utilizzando i valori di tessitura e contenuto organico del suolo, ricavati dal Progetto Carta del Suolo 1:250.000 della Regione Toscana. I parametri morfometrici, L e S, sono stati elaborati dal Modello Digitale del Terreno della Regione Toscana con risoluzione 10 m. Il valore del fattore C dipende essenzialmente dal grado di copertura delle coltivazioni e dei residui colturali e dal tipo di lavorazioni del terreno effettuate; i dati derivano dalla carta dell’uso del suolo in scala 1:10.000 realizzata ad-hoc. Infine, il fattore P, legato alle pratiche di protezione, è stato considerato uguale a 1, cioè 736

Tabella 1: Fattore C per il bacino del fiume Albegna (Zanchi e Giordani, 1995). Uso del suolo

Fattore C

Urbano e corpi d’acqua

0

Bosco

0,003

Macchia

0,005

Bosco tagliato

0,007

Pascoli

0,04

Seminativi convenzionale, biologi- 0,12 – 0,07, co, di transizione 0,09 Oliveti

0,3

Vigneti

0,451

senza nessuna forma di protezione nei confronti dei fenomeni erosivi. Per lo studio degli effetti del cambiamento del clima e delle pratiche agricole, i fattori K, LS e P sono stati mantenuti costanti per le condizioni attuali e per gli scenari futuri, mentre variano i fattori R e C (seminativi). 3 RISULTATI Lo scenario IPCC-SRES A2 fornisce informazioni sulle precipitazioni mensili che, per le aree costiere della penisola italiana, mostrano un decremento nei valori totali annui rispetto al periodo climatico normale 19601990 (Alcamo et al., 2003; Kabat e Van Schaik, 2002). La RUSLE è stata applicata al sottobacino sia per le condizioni attuali (periodo 1960-1990), che per le condizioni future (A2 IPCC-SRES periodo 2050-2100) per i tre scenari di pratiche agricole (in quest’articolo sono riportati solamente i risultati dello scenario biologico e convenzionale). Nella Figura 2 si osserva una riduzione della perdita di suolo in Giugno nelle condizioni climatiche future (diminuzioni delle precipitazioni primaverili-estive) per entrambi gli scenari delle pratiche agricole. In Dicembre, a causa del previsto aumento delle precipitazioni, invece, si riscontrano valori di erosione del suolo più alti, sempre per tutti e due gli scenari delle pratiche agri-


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Tabella 2: Cambiamenti percentuali delle precipitazioni previste nello scenario A2 2075, rispetto alle condizioni climatiche del trentennio 19960-1990 per il bacino dell’Albegna.

erosione molto importanti. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Dallo studio si può sostenere che una riduzione del quantitativo di suolo eroso nelle condizioni climatiche attuali e future potrebbe essere raggiunto passando a pratiche agricole con gestione biologica. Sarà opportuno valutare, inoltre, l’effetto dei prolungati periodi di siccità, seguiti da eventi piovosi intensi, che potrebbero dare tassi di

Alcamo J., Märker M., Flörke M., Vassolo S., 2003. Water and Climate: A Global Perspective. Kassel World Water Series, No. 6. Center for Environmental Systems Research, University of Kassel, Germany. IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), Nakicenovic N., Alcamo J., Davis, G. et al., 2000. Special report on emission scenarios. Intergovernmental Panel on Climate Change. Cambridge University Press: Cambridge. 599 pp. Märker M., Angeli L., Bottai L., Costantini R., Ferrari R., Innocenti L., Siciliano G., 2007. Assessment of land degradation susceptibility by scenario analysis. A case study in Southern Tuscany, Italy. Geomorphology, in stampa. Munda G., 2004. Social Multicriteria evaluation (SMCE): methodological foundations and operational consequences”, Forthcoming European Journal of Operational Research. Renard K.G., Foster G.R., Weesies G.A., McCool D.K., Yoder D.C., 1997. Predicting Soil Erosivity of water: A Guide to Conservation Planning with the Revised Universal Soil Loss Equation (RUSLE). Agriculture Handbook N° 703. U.S. Department of Agriculture Research Service, Washington, District of Columbia, USA., 404.

Figura 2: Valori per il mese di Giugno delle aree (ha) delle classi di perdita del suolo (t/ha anno) per le condizioni climatiche attuali (sinistra) e future (a destra per lo scenario biologico e al centro per lo scenario convenzionale).

Figura 3: Valori per il mese di Dicembre delle aree (ha) delle classi di perdita del suolo (t/ha/anno) per le condizioni climatiche attuali (sinistra) e future (a destra per lo scenario biologico e al centro per lo scenario convenzionale).

Mesi Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

1960-90 mm 70,5 68,8 68,4 64,2 54,6 47,1 32,0 48,7 70,7 90,0 107,0 79,0

Cambiamento % 9,2 -11,8 -18,9 -38,9 -56,2 -60,1 -33,7 -74,7 -42,7 -1,3 -19,8 34,2

cole (Fig. 3). In generale è possibile notare valori di erosione più alti per lo scenario convenzionale rispetto allo scenario biologico. 4 PROSPETTIVE FUTURE

737


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Rufino R.L., Biscaia R.C.M., Herten G.H., 1993. Determinacão do potencial erosivo da chuva do estado do Parana´. Rev. Bras. Cieˆnc. Solo, 17: 439-444. Wischmeier W.H., Smith D.D., 1978. Predicting rainfall erosion losses-A guide

738

to conservation planning. Agricultural Handbook no. 537, Sci. and Educ. Admin., U.S. Dept. Agr., Washington, D.C. Zanchi C., Giordani C., 1995. Elementi di conservazione del suolo. Bologna: Pàtron Editore.


Valutazione e analisi dei fenomeni di degrado del suolo R. Coscarelli1, I. Minervino1, M. Sorriso-Valvo1, B. Ceccanti2, G. Masciandaro2 Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, CNR, Rende (Cs), Italia Istituto per lo Studio degli Ecosistemi, CNR, Pisa, Italia r.coscarelli@irpi.cnr.it

1 2

SOMMARIO: Lo studio dei fenomeni di degrado del suolo, secondo gli attuali modelli previsionali del clima, si sta delineando come strumento conoscitivo di causa ed effetto delle dinamiche e delle variabilità climatiche. In quest’ottica, lo studio della desertificazione, fenomeno complesso legato a vari fattori, tra cui anche le variazioni climatiche e le attività antropiche, si configura come il giusto approccio alla conoscenza della relazione clima-biosfera, posta alla base degli attuali modelli globali climatici. Il gruppo di lavoro composto da ricercatori degli istituti IRPI ed ISE ha condotto uno studio in un’area del Crotonese (Calabria), volto alla caratterizzazione della sensibilità ambientale alla desertificazione e alla validazione della metodologia utilizzata per tale applicazione, basata sulla valutazione della funzionalità del suolo e, quindi, del suo stato di qualità e della sua resilienza.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO Gli attuali modelli previsionali del clima (definiti “globali”) si distinguono dai primi, risalenti agli Anni 70 del secolo scorso, in quanto nella loro elaborazione considerano tutte le componenti del sistema climatico. Queste contribuiscono all’evoluzione del clima, sia autonomamente sia interagendo con tutte le altre. Le modellazioni attuali, poi, divengono addirittura complesse, quando considerano le scale temporali caratteristiche dei singoli sottosistemi, ossia i diversi tempi di risposta alle sollecitazioni esterne (forzanti esterne al sistema). Ultimamente, infatti, l’interesse dei climatologi si sta focalizzando sui processi legati al bilancio energetico del sistema Terra e a quei fenomeni che, benché di natura locale, possono avere influenze globali. Gli attuali modelli globali di clima comprendono, quindi, oltre ai “classici” fattori atmosferici, terra-oceano, ghiaccio marino, solfati e aerosol, anche il ciclo del carbonio, la chimica dell’atmosfera e l’interazione con la vegetazione. Si sta, quindi, iniziando a delineare una rela-

zione clima-biosfera che potrà servire a interpretare i punti oscuri delle dinamiche e delle variabilità climatiche. D’altronde, risulta anche sempre più importante la valutazione degli effetti “al suolo” che le variazioni climatiche possono innescare, congiuntamente ad altri fattori legati pure all’attività antropica. Da questo punto di vista lo studio del fenomeno della desertificazione, intesa come “il degrado delle terre aride, semi-aride e sub-umide secche attribuibile a varie cause, fra le quali le variazioni climatiche e le attività umane” (art.1 dell’UNCCD), risulta sempre più attuale e in linea con quanto si sta facendo nelle valutazioni dei cambiamenti climatici. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA Il gruppo di lavoro composto dagli istituti IRPI (Sede di Rende, CS) e ISE (Sede di Pisa) del CNR, nell’ambito del progetto di ricerca dell’IRPI di Rende “ISPARIDE – Identificazione e Stima dei Parametri per la Valutazione del Rischio di Desertificazione”, cofinanziato nel 2004 dall’allora M.I.U.R., ha condotto recen739


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

temente uno studio in un’area del Crotonese, lungo il litorale ionico della Calabria, volto alla caratterizzazione della sensibilità ambientale alla desertificazione e alla validazione della metodologia utilizzata per tale applicazione. L’area in esame, coincidente con il distretto viti-vinicolo del Cirò D.O.C., può essere infatti potenzialmente considerata a rischio di desertificazione, se si considerano le sue caratteristiche geomorfologiche, climatiche e vegetazionali, la pressione subita dal territorio a causa delle intense attività agricole che vi si praticano ed i trend climatici verso condizioni di aridità che sono stati individuati anche attraverso recenti studi idrologici (Coscarelli et al., 2004; Cotecchia et al., 2004). 2.1 La metodologia ESAs La metodologia impiegata, basata sulla procedura sviluppata da Kosmas et al., (EC, 1999) nell’ambito del progetto europeo MEDALUS, nota come ESAs (Environmentally Sensitive Areas), è scomponibile in due fasi. Nella prima, mediante l’assegnazione di punteggi a determinati indicatori di desertificazione, distinti per categorie, avviene la valutazione di quattro indici di qualità relativi alle categorie considerate: Indice di Qualità del Suolo – SQI; del Clima – CQI; della Vegetazione – VQI; e della Gestione Territoriale – MQI. L’elaborazione degli indici SQI, VQI e CQI si basa su dati di carattere fisico-ambientale, espressione delle caratteristiche climatiche, pedogenetiche, morfologiche e di qualità della copertura vegetale insistenti sull’area in studio; l’elaborazione dell’indice MQI è, invece, basata sull’analisi dell’intensità d’uso del suolo e sull’implementazione delle politiche di protezione ambientale. La seconda fase porta, mediante la media geometrica dei valori espressi dagli indici di qualità, alla definizione di un valore di sensibilità ambientale alla desertificazione, attraverso l’Indice ESAI (Environmentally Sensitivity Areas Index). ESAI = (SQI·CQI·VQI·MQI)1/4

(1)

Detto indice, sulla base dei valori che può 740

assumere, esprime, quindi, la sensibilità ambientale alla desertificazione, secondo quattro classi: non affette, potenzialmente affette, fragili e critiche. La procedura descritta può essere applicata anche in modo parziale, elaborando, ad esempio, come è stato effettuato nell’ambito del progetto di ricerca “ISPARIDE”, un indice attinente esclusivamente ai tematismi fisiconaturali, denominato ESAPI (Environmentally Sensitivity Areas Physical Index) (Coscarelli et al., 2005). ESAPI = (SQI·VQI·CQI)1/3

(2)

Anche l’indice ESAPI, che può essere considerato espressione della propensione intrinseca del territorio a sviluppare fenomeni di desertificazione, in base alle sole caratteristiche chimico-fisiche-naturali e a quelle climatiche esistenti, si esprime in quattro classi, suddivise tramite lo stesso criterio adoperato per l’indice ESAI. 2.2 La validazione della metodologia ESAs Un ottimo strumento operativo per quantificare la degradazione del suolo, e quindi la desertificazione, consiste nella misura della persistente riduzione della sua capacità funzionale. Questa può essere valutata mediante analisi di caratteri chimico-fisico-biologici e, pertanto, può essere monitorata nel tempo. Le procedure di validazione della metodologia adottata nello studio in parola si sono basate sulla valutazione della funzionalità del suolo e, quindi, del suo stato di qualità e della sua resilienza. In maniera campionaria, in alcune zone dell’area di studio, individuate tra quelle più rappresentative delle diverse situazioni di sensibilità alla desertificazione definite in base alla classificazione ESAI ed ESAPI, sono stati prelevati campioni di suolo e su di essi effettuate analisi chimico-fisiche per valutare la qualità della sostanza organica e la presenza e attività di complessi umo-enzimatici. Tali complessi sono stati proposti come le ultime difese biologiche del suolo, quando è esposto ad un processo di degradazione grave e irreversibile, quale


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

la desertificazione, o a forme di inquinamento cronico (Ceccanti e Masciandaro, 2003). Si possono quindi considerare dei “biomarcatori”, in quanto riflettono lo stato metabolico del terreno e i cicli degli elementi nutritivi (C, N, P, S) attivati nei processi di mineralizzazione dei composti organici naturali. La misura dell’attività di questi enzimi risulta un efficace parametro marcatore della bioattività generale del suolo e costituisce un buon approccio per monitorare l’evoluzione e la dinamica di un suolo soggetto a perturbazioni antropiche e/o naturali. La riduzione o distruzione di questi complessi umo-enzimatici può, infatti, condurre ad una perdita irreversibile di materia organica e conseguentemente alla desertificazione. La caratterizzazione chimico-strutturale della sostanza organica è stata effettuata mediante la tecnica della pirolisi gas-cromatografica a cui sono state affiancate altre analisi chimico-fisiche convenzionali, quali la granulometria e la stabilità degli aggregati. La caratterizzazione dei complessi umo-enzimatici è stata compiuta mediante la combinazione di due tecniche separative, quali l’ultrafiltrazione su membrana (UF) e l’isoelettrofocalizzazione (IEF). I risultati delle analisi chimico-fisiche, effettuate sui campioni di suolo presso il Laboratorio dell’ISE di Pisa, sono stati, quindi, oggetto di un’indagine statistica multivariata. Sulle variabili individuate, mediante analisi fattoriale, è stata effettuata una classificazione dei campioni analizzati, procedendo ad accorpamenti in gruppi omogenei, sulla base di fattori, combinazioni “pesate” di più variabili.

re la progressiva desertificazione del territorio. Il quadro ottenuto dall’elaborazione dell’indice ESAI (Fig. 1) rivela una sensibilità alla desertificazione della zona in studio ancora più spiccata. Gran parte del territorio risulta essere, infatti, già affetta da fenomeni di degrado, rientrando nella classe critica alla desertificazione con una percentuale del 46%. Il confronto tra gli indici in questione ha evidenziato il ruolo fortemente condizionante svolto dalla gestione territoriale sull’instaurazione di fenomeni di degrado (Coscarelli et al., 2007). Nel passaggio dall’ESAPI all’ESAI, infatti, il 76% del territorio cambia classe verso un aumento della sensibilità alla desertificazione. 3.2 Validazione della metodologia ESAs I risultati delle analisi statistiche effettuate a corredo della validazione indicano una corretta descrizione, sebbene “statica”, delle condizioni del suolo basata sulle variabili chimicofisiche utilizzate. La classificazione è stata ricavata accorpando i campioni in quattro gruppi sulla base della loro collocazione in uno spazio tridimensionale (Fig. 2) descrivente i punteggi delle tre variabili più significative, ovvero IS - indice di stabilità degli aggre-

3 RISULTATI RILEVANTI 3.1 Applicazione della metodologia ESAs Sulla base dei dati di carattere fisico-ambientale, relativi alle categorie suolo, clima e vegetazione (indice ESAPI), l’area in studio (Coscarelli et al., 2005) risulta in massima parte fragile (60%), cioè in una condizione di equilibrio precario esistente tra le componenti del sistema, tali che alterazioni anche minime di questi equilibri (ad esempio, usi non sostenibili delle risorse naturali), possono provoca-

Figura 1: Mappa relativa all’indice ESAI.

741


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

5 RINGRAZIAMENTI Si ringrazia la Dott.ssa Eleonora Peruzzi, CNR-ISE, per la trattazione statistica dei dati. 6 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Figura 2: Classificazione dei campioni di suolo sulla base delle tre variabili più significative: Indice di Stabilità degli aggregati, attività IEF in banda 3, acidi umici.

gati e IEF 3 - attività IEF nella banda 3, disposti, rispettivamente, lungo l’asse delle X, Y, e acidi umici, utilizzando isolinee. Le stesse indagini statistiche sono state applicate alle classificazioni ESAI ed ESAPI, per operare una verifica della loro funzionalità a descrivere la propensione alla desertificazione del territorio indagato. I risultati di tale indagine hanno dimostrato che i gruppi individuati mediante procedure analitiche, denominati in maniera coerente con la classificazione ESAs, concordano in buona misura con la procedura ESAPI. Il confronto con la classificazione ESAI ha fornito risultati meno significativi, in quanto nello stesso indice è insita una componente “dinamica”, legata ai fattori economicogestionali e di uso del suolo, che forniscono indicazioni di tendenza e non di stato. 4 PROSPETTIVE FUTURE La strada tracciata in questo studio circa la validazione dei risultati si crede possa condurre ad interessanti risultati se applicata per la creazione di un sistema di monitoraggio, con campionamenti periodici, osservando le variazioni nel tempo dei parametri descrittori del degrado. Inoltre, per le aree che risultano con un più alto grado di sensibilità alla desertificazione, si possono ipotizzare scenari alternativi prevedendo azioni e misure per la mitigazione dei fenomeni di degrado.

742

Ceccanti B., Masciandaro G., 2003. Stable humus-enzyme nucleus: the last barrier against soil desertification. In Preserving soil quality and soil biodiversity-The role of surrogate indicators. M.C. Lobo e J.J. Ibanez (eds.) pp. 77-82. CSIC-IMIA, Madrid. Coscarelli R., Gaudio R., Caloiero T., 2004. Climatic trends: an investigation for a Calabrian basin (southern Italy). IAHS Publ., 286: 255-266. Coscarelli R., Minervino I., Sorriso-Valvo M., 2005. Methods for the characterization of areas sensitive to desertification: an application to the Calabrian territory (Italy). IAHS Publ., 299. Coscarelli R., Minervino I., Sorriso-Valvo M., 2007. L’influenza dei fattori antropici nei fenomeni di degrado del suolo. Un caso di studio nel Crotonese. Convegno su “La crisi dei sistemi idrici: approvvigionamento agro-industriale e civile”. Accademia Nazionale dei Lincei, 22 marzo, Roma. Cotecchia V., Casarano D., Polemio M., 2004. Characterisation of rainfall trend and drought periods in southern Italy from 1821 to 2001. In R. Gaudio (eds.). New Trends in Hydrology. CNR-GNDCI Publ. 2823. EC–European Commission, 1999. The Medalus project Mediterranean desertification and land-use. Manual on key indicators of desertification and mapping environmentally sensitive areas to desertification. C. Kosmas, M. Kirkby and N. Geeson (eds.). EUR 18882.


Erosione del suolo, stabilità degli aggregati e clima M. P. Salvador Sanchis, M.S. Yañez, P. Cassi, D. Bartolini, L. Borselli, F. Ungaro, D. Torri, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, CNR, Firenze, Italia pilar.salvador@irpi.cnr.it SOMMARIO: I processi legati ai trend attuali di innalzamento della temperatura, al progressivo intensificarsi dei caratteri temporaleschi delle piogge e alle variazioni di precipitazioni totali annue hanno un immediato riflesso sui processi di erosione del suolo. Poiché l’erodibilità del suolo è attualmente minore in ambienti tropicali che in ambienti temperati o continentali freschi o freddi, ci si può attendere una riduzione del rischio di erosione come risposta dei processi pedogenetici al cambio climatico. È però evidente che i vari processi in competizione devono essere aiutati da una oculata gestione. Il supporto scientifico a questi aspetti è ancora basato su conoscenze insufficienti.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO I processi globali legati all’aumento di temperatura, al progressivo intensificarsi dei caratteri temporaleschi delle piogge e alle eventuali variazioni nelle precipitazioni totali annue in Italia mostrano un clima più aggressivo. Questo si traduce in una serie di effetti sull’ambiente che localmente possono favorire intensi processi di degradazione del suolo, sopratutto in assenza di una oculata gestione. La Commissione Europea, con la “Thematic strategy on the protection of soil” (22/09/06) ha individuato nell’erosione una delle principali cause di degradazione del suolo, responsabile di 38 miliardi €/anno di perdite economiche (Van Camp et al., 2004), con oltre il 15% di suoli ormai degradati permanentemente (Oldeman et al., 1991). Se la maggior aggressività climatica può produrre tassi di erosione del suolo molto elevati, un ambiente climatico diverso, più caldo, può determinare la formazione di aggregati di suolo più stabili, favorendo così il raggiungimento di un equilibrio suolo-clima. Questo ha un effetto sui processi di erosione del suolo e sugli scenari che possono essere proposti per individuare la ricerca, di base e applicata, necessa-

ria per affrontare i problemi che stanno presentandosi. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA L’attività di ricerca ha radici molto antiche (PF Conservazione del Suolo, 1980), con recenti espressioni in termini di progetti europei: MWISED, TERON, RECONDES relativi all’erosione idrica del suolo, a quella dovuta alla normale gestione degli arativi, all’effetto della vegetazione su erosione e connettività dei deflussi in ambienti ad alto rischio desertificazione, attività riprese nell’appena iniziato I.P. DESIRE. Queste attività si basano su ricerche di campo e di laboratorio con strumenti non convenzionali. 3 RISULTATI RILEVANTI Mentre è di per se evidente che gli attuali trend climatici hanno un effetto sulla vegetazione, in particolare sulla protezione che tali piante offrono (schermo dall’impatto delle gocce di pioggia, riduzione dell’insolazione e delle escursioni termiche), non esistono studi che indichino un effetto di tali trend sul suolo, anzi non esistono studi che stabiliscano se vi sono 743


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Figura 1: Box & whisker plots relativi ai raggruppamenti dei valori di erodibilità in base alle zone climatiche di appartenenza (classificazione di Köppen-Geiger: A e B indicano gruppi climatici tropicali, Df e Cf gruppi continentali da temperati a continentali freschi). Una ulteriore differenziazione è dovuta alla presenze di pietre (pietrosità p<10% oppure p>10%). In entrambi i sottogruppi di pietrosità i raggruppamenti Df, Cf risultano essere caratterizzati da una maggior erodibilità che i gruppi A, B (differenze altamente significative ai sensi del test di Kolmogoroff-Smirnoff).

differenze nel comportamento dei suoli nei confronti dell’erosione sulla base della collocazione climatica del suolo stesso. Mettere in evidenza se esiste una differenza nel comportamento dei suoli tra zone ad ambiente fresco oppure caldo, richiede un data base di caratteri del suolo pertinenti l’erosione che spazi sui principali ambienti climatici. L’unico database con queste caratteristiche è quello studiato da Salvador et al. (in stampa) relativo all’erodibilità del suolo così come definita nell’equazione di Wischmeier e Smith (Renard et al., 1997), dove l’erodibilità rappresenta la risposta globale del suolo e include i processi di erosione diffusa fino alla formazione di rigagnoli (erosione lineare), ma non include i processi di erosione lineare intensa (gully). La Figura 1 mostra come si differenziano le distribuzioni dei valori misurati di erodibilità nei vari gruppi climatici per i quali si possiede un numero sufficiente di osservazioni per una analisi statistica. Le differenze sono altamente significative (test di Kolmogoroff e Smirnoff) tra i gruppi di ambiente più fresco, (Cf, e Df, N-America, Europa continentale, parte dell’Italia) e quelli di ambiente più caldo (Af, Aw, B, in fasce equatoriali e tropicali), 744

Figura 2: Stagionalità nel comportamento della erodibilità. La temperatura di riferimento è una cumulata a partire dal mese con la temperatura media minore divisa la temperatura media annua (i valori negativi non si addizionano).

con suoli meno erodibili. Per questi dati (che per entrambi i gruppi sono distribuiti su tutte le tipologie di tessitura e quantità di sostanza organica del suolo – SO) non si è trovata alcuna relazione con capacità predittiva per stimare l’erodibilità. Il comportamento stagionale (Figura 2) della erodibilità (media mensile, divisa per l’erodibilità media annua), interpolabile in base alla temperatura cumulata relativa, vale solo per dati di ambiente fresco, incluso il mediterraneo (Csa, vicino al limite con Cf). In ambienti del gruppo tropicale (A,B) tale periodicità è assente (p. es. Indonesia), indicando una ulteriore differenza dovuta a diversità climatiche. L’unica grandezza che potrebbe mettere d’accordo sia il gruppo caldo che quello fresco sembra essere la stabilità degli aggregati (Fig. 3).

Figura 3: L’erodibilità media annua del suolo sembra decrescere esponenzialmente con la stabilità degli aggregati.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

I pochi dati disponibili indicano una via da seguire che altre evidenze confermano: in molti processi di erosione la parte di competenza del suolo è proporzionale alla stabilità degli aggregati (risposta all’impatto delle gocce di pioggia, controllo dell’intensità dei processi di soil crusting e di generazione di ruscellamento, distacco e trasporto di sedimenti). Tra questi, i risultati discussi da Torri et al. (2002) sulle differenze di intensità di erosione tra due suoli agricoli, il secondo dei quali è uno stadio molto eroso del primo con totale rimozione della parte più superficiale e fertile, mostrano che il suolo originale può essere anche 10 volte meno erodibile. L’ evidente differenza di erodibilità tra zone climatiche fresche e calde può attribuirsi al fatto che i legami che si stabiliscono in ambienti più caldi (Af, Aw, B) sono generalmente più stabili di quelli che si formano in ambienti a clima fresco e umido (Df, Cf) quindi i suoli sono naturalmente meno erodibili. Se affrontiamo un periodo di transizione verso un clima più caldo possiamo attenderci un graduale istaurarsi di legami forti tra particelle di suolo con formazione di aggregati più stabili e con riduzione dell’erodibilità del suolo. In questo modo, lentamente, si costruiscono suoli in equilibrio con il nuovo e più aggressivo ambiente climatico in un processo naturale di damping dei processi di erosione. L’aumento di aggressività climatica (già in atto in Italia, Torri et al., 2006) può accompagnarsi a una riduzione della protezione che la vegetazione offre, con un ulteriore aumento dell’erosione. I processi che portano ad una maggior stabilità degli aggregati sono lenti ad affermarsi mentre i processi di tropicalizzazione delle precipitazioni sono decisamente più rapidi. Si possono così realizzare situazioni in cui il tasso di erosione dovrebbe inizialmente aumentare, contrastando i processi pedogenetici di cui sopra e rallentandoli. Una poco oculata politica di prevenzione e mitigazione di questi effetti (mancata adozione di pratiche conservative) può permettere ai processi di erosione di prevalere fino al punto di generare aree di badlands quando avvenga la rimozione

degli orizzonti di suolo meno erodibili (Torri et al., 2002). Quanto detto assume ulteriore importanza alla luce della funzione svolta dal suolo come sink di oltre i 3/4 del C immagazzinato nella biosfera. Questa funzione viene svolta grazie a tre azioni principali che includono sequestro di SO (e quindi di C) con processi di umificazione e di aggregazione, e per azione della fauna e flora del suolo. L’erosione può inibire questi processi e addirittura invertirne gli effetti, con rilascio di CO2 e retroazione positiva sull’effetto serra. Così, sequestro e rilascio di C passano attraverso uno stesso parametro, l’aggregato di suolo. 4 PROSPETTIVE FUTURE Quanto detto individua alcune necessità di intervento che investono aspetti legislativi e normativi mentre in ambito scientifico lo stato delle conoscenze è ancora insufficiente. È attualmente materia di dibattito quanto rapidamente il C organico, rimosso con i sedimenti, venga liberato nell’atmosfera. I processi di aggregazione, le modalità e la velocità con cui questi si sviluppano sono tuttora ignoti, così come la stima della rapidità di adattamento di un suolo ad un altro regime termo-udometrico è del tutto aleatoria. È evidente che sono necessari ulteriori studi per costruire scenari validi, basati su modelli consistenti e informati ed individuare processi per accelerare l’adattamento del suolo alle nuove condizioni. Gli studi finora effettuati pongono però delle valide basi scientifiche ed un chiaro indirizzo di ricerca. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Lal R., 2002. Soil conservation and restoration to sequester carbon and mitigate the greenhouse effect. In Rubio, J.L., Morgan, R.P.C., Asins, S. & Andreu, V. (eds.) Man and Soil at the Third Millennium; Vol.I, Geoforma Ed. S.L., Logroño, Spain, pp. 37-51. Oldeman L.R., Hakkeling R.T.A., Sombroek W.G., 1991.World map of the status of human-induced soil degradation, an 745


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

explanatory note. 2nd revised edition. Global Assessment of Soil Degradation (GLASDOD), ISRIC, Wageningen, UNEP, Nairobi. Renard K.G., Foster G.R., Weesies G.A., McCool D.A., Yoder D.C., 1997. Predicting soil erosion by water: a guide to conservation planning with the Revised Universal Soil Loss Equation RUSLE. Agric. Hndbk., 703, USDA, WA. Salvador Sanchis M.P., Torri D., Borselli L., Poesen J., 2007. Climate Effects on Soil Erodibility. Earth Surface Processes and Landforms, in stampa. Torri D., Borselli L., Calzolari C., Yañez M.S., Salvador Sanchis M.P., 2002. Soil erosion, land use soil qualities and soil functions: effect of erosion. In Rubio, J.L.,

746

Morgan, R.P.C., Asins, S. and Andreu, V. (eds.) Man and Soil at the Third Millennium; Vol.I, Geoforma Ed. S.L., Logroño, Spain, pp. 131-148. Torri D., Borselli L., Guzzetti F., Calzolari C., Bazzoffi P., Ungaro F., Bartolini D., Salvador Sanchis M. Pilar, 2006. Soil Erosion in Italy: an overview. In Soil Erosion in Europe, Boardman J. and Poesen J. (eds.), J. Wiley & Sons. Van-Camp L., Bujarrabal S., Genillo A.R., Jones J.R.A., Montanarella L., Olazábal C., Selvaradjou S.K., 2004. Reports of the Technical Working Groups Established under the Thematic Strategy for Soil Protection. EUR 21319 EN/2, 872 pp., Official Publ. of European Communities, Luxembourg.


Ricorrenza degli eventi alluvionali, dissesto idrogeologico e trend climatico nella Locride (Calabria SE) O. Petrucci1, M. Polemio2 Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, CNR, Cosenza, Italia Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, CNR, Bari, Italia o.petrucci@irpi.cnr.it

1 2

SOMMARIO: Si definisce Evento Alluvionale (EA) l’insorgere simultaneo, a seguito di periodi piovosi, di frane, piene e/o allagamenti responsabili di danni a beni e/o persone. Si propone una classificazione degli EA basata sull’uso di dati storici. Distribuzione e ricorrenza degli EA sono discusse a confronto con le variabili climatiche, con riferimento alle piogge innescanti e agli effetti del trend climatico su tali variabili. Si considerano la ricorrenza, l’estensione dell’area colpita e la gravità dei danni, nonché il tempo di ritorno, la durata critica delle piogge innescanti e la piovosità totale nelle aree colpite. La metodologia è stata applicata alla Locride (Calabria SE), un’area di 686 km2, per la quale l’analisi si basa su 24 EA verificatisi in 80 anni. L’analisi mostra che tendenzialmente gli eventi non presentano una maggiore ricorrenza e che l’area colpita si riduce nel caso di eventi rara eccezionalità.

1 INTRODUZIONE Quando la pioggia supera valori soglia, tipici per ogni area, si generano crisi territoriali indicate come Eventi Alluvionali (EA), ossia periodi piovosi non più lunghi di 10 giorni a seguito dei quali si verificano danni, dovuti a frane, piene e/o allagamenti (Petrucci e Polemio, 2003). La nota mette in relazione i caratteri spazio-temporali degli EA con le principali variabili climatiche e le variazioni tendenziali delle stesse. 2 CARATTERISTICHE DEI DISSESTI Previsione e prevenzione dei danni conseguenti alle piene fluviali sono attività per le quali la comunità scientifica ha individuato, per bacini idrografici con tempi di corrivazione elevati, soluzioni affidabili mediante modelli matematici, meteorologici o idrologici. Minore è la qualità dei risultati conseguita nel caso delle flash floods, eventi di piena che si attivano e si esauriscono con elevata rapidità in corsi d’acqua a regime torrentizio come

le fiumare, molto diffuse in Calabria e nel resto dell’Italia meridionale. Per le frane, la letteratura individua nelle piogge la più comune causa d’innesco ma la relazione pioggia-frana è complessa. La pioggia in grado di innescare una frana, dipende dall’assetto litologico e morfologico, dallo spessore di terreno coinvolto e dai caratteri meteo-climatici dell’area. Laddove la pioggia media annua è modesta, i terreni hanno raggiunto condizioni di stabilità in un ambiente poco umido. Qui, a parità di altre condizioni, le piogge in grado di alterare tale equilibrio, pur superando le medie dell’area, sono inferiori a quelle che innescano fenomeni analoghi in aree a clima più umido. I valori soglia in grado di attivare le frane dipendono, quindi, da diversi fattori, quali la piovosità media annua e la stagione di occorrenza (Polemio e Petrucci, 2000). Per allagamenti si intendono ristagni d’acqua su superfici naturali poco permeabili e/o ad acclività trascurabile o su superfici impermeabilizzate da interventi antropici. I danni indotti dai tre tipi di fenomeni variano a secondo del tipo di uso del suolo. 747


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

2 METODO DI CARATTERIZZAZIONE La metodologia utilizza la serie storica degli EA ed i relativi dati di pioggia. L’approccio è applicabile su aree vaste purché climaticamente e geomorfologicamente omogenee. Ricostruito il quadro geologico, geomorfologico e climatico di un’area, la classificazione degli EA si basa sull’analisi comparata di piogge innescanti e dissesti indotti. La raccolta dati prevede almeno 3 fasi: A) caratterizzazione geologico-geomorfologica dell’area mediante dati di letteratura ed integrazioni mirate; B) creazione di una banca dati degli EA storici (tipi di fenomeni, località colpite ecc.); C) creazione di una banca dei dati climatici (temperature mensili, piogge giornaliere, mensili ed annuali). I dati devono essere trattati in modo da caratterizzare almeno i seguenti fattori: 1) Regime annuo degli EA: totale mensile di EA, confrontabile col regime climatico. Si valuta dal numero di EA per mese ricavandone la distribuzione stagionale. 2) Localizzazione dei dissesti. Se non si dispone di relazioni di sopralluoghi postevento, aree inondate o a franosità diffusa non sono circoscrivibili. Se è individuabile il comune e/o il bacino di occorrenza si può suddividere l’area in celle irregolari derivanti dall’intersezione dei limiti comunali con i bacini e riferire i dissesti a tali celle. 3) Densità areale dei fenomeni. Per ogni cella C di area Ac in cui durante tutti gli EA si verificano Nc dissesti, la densità dei dissesti è data dal Fattore di Densità Dc (1). Dc(1/10-4km2)=(Nc/Ac(km2) ΣNc) 10.000 (1) 4) Ricorrenza media. Per valutare la ricorrenza di uno o più tipi di fenomeni in una data cella C si calcola Tc mediante la (2), in cui ∆T è il periodo di studio (anni).

ture si determina l’evapo-traspirazione media mensile e la durata delle stagioni umida e secca (Thornthwaite-Mather, 1957). Il regime delle piogge si può così comparare a quello dei dissesti. 6) Indice annuale della piovosità globale. L’occorrenza di cambiamenti climatici modifica regime, frequenza e/o intensità degli EA. Per valutare l’esistenza e l’eventuale effetto delle variazioni della piovosità, si introduce un indice annuale delle piovosità Ipy espresso dalla (3), in cui APi,y è l’altezza di pioggia dell’anno idrologico y al pluviometro i; MAPi è la pioggia media annua al pluviometro i; il valore massimo di i è pari al numero di pluviometri disponibili nell’anno y. La serie storica Ip può essere confrontata con quella degli EA. Ipy (%) = Σi APi,y /Σi MAPi %

(3)

7) Tempo di ritorno delle piogge innescanti. La risposta dell’area a piogge intense o prolungate di durata variabile si ottiene mediante modelli empirici che legano il tempo di ritorno della pioggia all’occorrenza degli EA. Per ogni pluviometro si calcola la pioggia cumulata giornaliera PCnj in cui n (pari a 1, 5, 10, 20, 30, 60, 90, 120, 180) è il numero di giorni antecedenti l’EA e j è il numero progressivo di valori giornalieri disponibili. Per ogni anno, durata e stazione si determinano i massimi annuali; per ogni serie di massimi annuali si determina la distribuzione di probabilità con funzioni a tre parametri come la GEV (Jenkinson, 1955). Per ogni EA si calcola il tempo di ritorno T di ogni PCnj per tutte le stazioni pluviometriche riferibili alle celle in cui si sono registrati i dissesti. Se il T delle piogge associate all’EA è molto basso, si deve valutare la presenza di eventuali concause. Il valore minimo di T va valutato per ogni area di studio assumendo preliminarmente un valore basso (in genere 2 anni). 3 L’AREA DI STUDIO

Tc(anni) =∆T / Nc

(2)

5) Bilancio e regime idrologico annuale. Usando le medie mensili di piogge e tempera748

La metodologia è stata applicata alla Locride, un’area spesso affetta da EA, localizzata sul versante ionico dellla Calabria. L’area, di alti-


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

tudine compresa fra 0 e 1900 m s.l.m, si estende per 686 km2. Essa è costituita da una sequenza di terreni affioranti in fasce a direzione NE-SW. Rocce metamorfiche e rocce intrusive acide affiorano nei settori montuosi mentre rocce detritiche costituiscono i rilievi collinari. Nella zona di transizione alla pianura si rinvengono terreni flyscioidi e rocce pelitiche con evaporiti. Terrazzi marini e continentali, ed alvei a fiumara, caratterizzano il paesaggio costiero. Versanti in precarie condizioni di equilibrio e corsi d’acqua a fiumara si attivano durante gli EA, generando danni ad insediamenti ed infrastrutture (ASICaL). L’area, suddivisa in 22 comuni, è poco popolata nell’entroterra (Comune di Ciminà: 17 ab/km2). Il clima è mediterraneo, con estati calde e siccitose e autunni e inverni piovosi. L’area è dotata di 12 stazioni pluviometriche, poste fra 7 e 970 m s.l.m., attive dal 1920, due delle quali misurano anche la temperatura. La pioggia annua minima varia fra 281 e 1365 mm; la massima fra 1235 e 3754 mm. Il regime pluviometrico è omogeneo; la stagione umida si estende da ottobre ad aprile con minimo in luglio. La stazione pluviometrica di Siderno (pioggia media annua=685 mm; temperatura media=17,8 °C) è rappresentativa del regime dell’area; il regime termico è moderato; la pioggia netta è 229 mm ed è maggiore di zero da ottobre ad aprile. Dati di portata sono disponibili per 12 anni solo per la fiumara Careri. Si distinguono 19 bacini con foce a mare: intersecandone il perimetro con i limiti comunali, l’area è stata suddivisa in 54 celle usate come unità territoriali di base per il calcolo delle densità di accadimento. Sono stati raccolti 235 dati di dissesti, raggruppati in 24 EA verificatisi fra il 1927 ed il 1999. La funzione GEV è stata determinata per ogni serie giornaliera di piogge cumulate. 4 RISULTATI Solo 7 delle 54 celle suddette (19 km2, il 3% dell’area) non registrano fenomeni. Gli EA si distribuiscono da ottobre ad aprile.

Considerando piovosità effettiva e temperatura, la correlazione fra regime climatico e regime degli eventi è bassa ma migliora considerando la piovosità efficace. Ottobre e novembre totalizzano il massimo numero di dissesti, di cui il 40% sono frane. La densità Dc per frane, piene, allagamenti e totale dei fenomeni, è stata ricavata con la relazione (1). Circa il 40% dell’area mostra una densità di frane omogenea e circa pari al valore medio per l’intera area. Le piene si addensano nelle celle costiere, dove gli elementi più vulnerabili sono i ponti e gli insediamenti abitativi costieri. Sia per le frane che per le piene, la densità maggiore si registra nelle celle più antropizzate, ove l’impatto dei fenomeni genera più danni che nell’entroterra disabitato. Gli eventi più recenti si addensano in poche celle, manifestando un carattere locale. Il periodo di ricorrenza medio Tc per frane, piene, allagamenti e totale dei fenomeni, è stato ottenuto dal’equazione (2) con ∆T=72 anni (dal 1927 al 1999, periodo di occorrenza degli EA). Bassi intervalli di ricorrenza delle frane (6-18 anni) caratterizzano le celle montane e in totale il 60% dell’area. Ciò può dipendere dall’attivazione di vari fenomeni o da riattivazioni di una determinata frana (es: comune di Careri). Basso il periodo di ricorrenza delle piene nei due maggiori bacini (Torbido e Bonamico), anche nei settori interni ove danneggiano alcuni abitati. Gli allagamenti sono diffusi in pianura; l’83% dell’area è stata colpita almeno una volta da tale tipo di fenomeni. L’indice di pioggia annua Ip (3) è stato calcolato per tutta l’area. Gli EA degli ultimi 20 anni si associano a piogge dai tempi di ritorno spesso elevati. Essi si concentrano negli anni in cui Ip è molto alto. Se si considerano anni con più di 10 EA il valore minimo, medio e massimo di Ip è rispettivamente uguale a 102, 147 e 226%. Il calcolo del trend lineare di Ip, validato con il test Mann-Kendall, indica un calo del 20% nel periodo di studio (circa 80 anni). Il trend degli EA è stato determinato calcolando la 749


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

variabile N10,y pari ogni anno y alla somma degli eventi osservati nel medesimo anno e nei 9 precedenti. Valori elevati di N10 si osservano fra il 1954 e il 1963; dal 1987 i valori di N10, sono molto bassi e ciò determina un gradiente negativo della retta trend di N10 (1,2 eventi in 80 anni), ma il calo è sottostimato per le lacune di dati sugli EA della prima parte del ‘900. La correlazione lineare tra Ip e N10 è bassa ma statisticamente significativa. Si può quindi avanzare l’ipotesi che il calo pluviometrico possa aver contribuito alla riduzione degli EA. Lo studio ha condotto all’individuazione di 4 tipi di EA, con livello di danno crescente. Ordinari: EA che causano danni di gravità bassa; si verificano fra novembre e gennaio, nel settore costiero, con esondazioni fluviali e allagamenti. Sono innescati da piogge di durata da 1 a 20 giorni aventi T<10 anni. Frequenti: EA di gravità da bassa a media che accadono fra gennaio e marzo nell’entroterra con frane e allagamenti. Sono innescati da piogge di durata da 1 a 10 giorni aventi T<30 anni. Gravi: EA di gravità da media ad alta che fra ottobre e gennaio interessano il settore centromeridionale, dalla costa all’entroterra con frane, piene e allagamenti. Le durate critiche sono sui 30 giorni con T<50 anni. Molto Gravi: EA di gravità massima che accadono fra ottobre e dicembre provocando su tutta l’area frane, piene e allagamenti. Sono innescati da piogge di durata minore di 60 giorni aventi T>50 anni. 5 CONCLUSIONI Si presenta un approccio per lo studio delle cause (piogge) e degli effetti (dissesti) degli EA. Gli EA registrati nell’area test (Locride, Calabria) sono stati classificati in 4 tipi, considerando: a) settori coinvolti, b) tipi di dissesti innescati; c) stagionalità; d) durata piogge critiche; e) tempo di ritorno piogge critiche; f) gravità dei danni. Negli 80 anni analizzati si è registrato un calo tendenziale della piovosità che è stimabile in circa il 20% del valore medio. Tale trend è correlato con quello del numero di EA. Gli 750

EA più recenti sono meno numerosi, a carattere locale e di maggiore eccezionalità. La metodologia è applicabile a differenti contesti climatici e geomorfologici purché siano disponibili dati storici sui dissesti. La prosecuzione dell’attività prevede: a) ampliamento della serie dei dati di pioggia per gli eventi più recenti; b) applicazione della metodologia ad altre aree di studio per ampliare la casistica dei tipi a scala locale ed individuare tipologie comuni a scala regionale; c) ricostruzione condizioni meteorologiche antecedenti ai diversi tipi di EA (Petrucci e Polemio, 2002) da utilizzare a fini di protezione civile; d) analisi più approfondita del ruolo del cambiamento climatico sulla frequenza degli EA, riconsiderando il ruolo delle variazioni termiche e dell’intensità di pioggia. 6 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE ASICal Historically Flooded Areas in Calabria, http:\\www.camilab.unical.it. Jenkinson A.F., 1955. The frequency distribution of the annual maximum values of meteorological elements, Q. J. Roy. Meteo. Soc., 81: 158-171. Polemio M., Petrucci O., 2000. Rainfall as a landslide triggering factor: an overview of recent research. 8th Int. Symp. on Landslides. Cardiff: 1219-1226. Petrucci O., Polemio M., 2002. Hydro-geologic multiple hazard: a characterisation based on the use of meteorological and geomorphological data. In: Landslides, Rybar, Stemberk & Wagner (eds.): 269274. Rotterdam: Balkema. Petrucci O., Polemio M., 2003. The use of historical data for the characterisation of multiple damaging hydrogeological events. NHESS, 3: 17-30. Thornthwaite C.W., Mather J.R., 1957. Instructions and tables for computing potential evapotranspiration and the water balance. Drexel Inst. of Climat., Centerton, 10, 323 pp.


Ricorrenti variazioni del clima ed eventi alluvionali nel nord Italia D. Tropeano, L. Turconi Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, CNR, Torino, Italia d.tropeano@irpi.cnr.it SOMMARIO: I dati archivistici disponibili e le osservazioni ininterrottamente condotte sul territorio a partire dal 1970 permettono di delineare con buona approssimazione il quadro delle inondazioni e frane avvenute nell’Italia del Nord negli ultimi cinque secoli. Tutti i fenomeni, scomposti in serie decennali si sono manifestati con maggiore intensità e frequenza, nella media generale, a pulsazioni di 25-40 anni; ciò pare una risposta evidente a fasi alterne di stasi e recrudescenza climatica (eventi meteopluviometrici estremi) che gli strumenti per misure meteoidrologiche non hanno ancora potuto documentare in modo sufficiente per la relativa brevità del periodo di osservazione alle diverse stazioni, ancorché di lunga durata. I tempi di ricorrenza degli eventi, a livello locale appaiono per contro estremamente differenziati, funzione di variabili orografiche e soprattutto geomorfologico-dinamiche. La corretta interpretazione dei numerosi dati disponibili, da integrare con elementi di conoscenza opportuni, permette di realizzare scenari di rischio sempre più appropriati e attendibili.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

Nelle aree subalpine, alterne fasi di “deterioramento” e “ottimo” climatico nel Quaternario recente sono la regola, testimoniate da datazioni al 14C, analisi dendrocronologiche, analisi polliniche, combinate con “testimoni silenti” o evidenze geomorfologiche relitte di trascorsa attività dinamica di versanti e rete idrografica, forme d’accumulo o di erosione, conseguenza spesso brutale di intemperanze del clima. I millenni, dal Tardiglaciale in poi, sono costellati da testimonianze di fenomeni gravitativi, di trasporto in massa torrentizio, di alluvionamento massivo dei fondivalle e delle pianure allo sbocco delle valli alpine. Nelle Alpi Occidentali, dati editi e inediti permettono di collocare alcuni dei fenomeni su citati in intervalli temporali vagamente definiti, come nell’intorno di 12.000-11.000, 9000-8000, 6000-5000, 3000-2000 anni dal presente. È però estremamente difficile, se non impossibile, proporre a livello quantitativo un prospetto a ritroso delle oscillazioni, o caratteristiche del clima che presenti valenza univoca rispetto alle evidenze morfologiche così “incasellate” nello spazio-tempo.

Per ciò che riguarda i tempi storici, l’elaborazione di fonti di conoscenza integrata (antichi manoscritti, relazioni tecnico-descrittive, bibliografia, cronache giornalistiche, dati dendrogeomorfologici), acquisite via via dall’IRPI-CNR, Sede di Torino, in lunghi anni di sistematiche ricerche presso Archivi, Biblioteche e da capillari indagini territoriali permette oggi di tracciare, con sufficiente completezza, un quadro cronologico e descrittivo degli eventi alluvionali e di frana nelle valli alpine e sul versante appenninico padano. Tramite opportune tecniche di omogeneizzazione, compattazione e filtraggio dello sterminato numero di informazioni così raccolte, è così possibile redigere prospetti storicodescrittivi dei fenomeni accaduti attraverso i tempi ed i loro effetti, nell’Italia Settentrionale, sia per ciò che riguarda 40 valli principali che, con sufficiente dettaglio, singoli bacini idrografici e oltre 3000 tributari sparsi lungo l’arco alpino e la dorsale appenninica. Va da sé che tale complesso di notizie, opportunamente interpretate e validate, quando pos751


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

sibili, con accurati riscontri con la situazione territoriale odierna, integrate e corroborate da osservazioni e applicazioni di metodologie e tecniche provenienti dalla geomorfologia applicata e discipline tematiche complementari, costituiscono riscontro operativo per attività di previsione e prevenzione (scenari di rischio) e di pianificazione territoriale. Ciò che è di interesse rilevare in questa sede, è la ricorrenza ciclica con cui i fenomeni, univocamente testimoniati dagli effetti (danni) prodotti, si manifestano attraverso il tempo, sia a scala vasta (regionale) sia a livello locale (valli e sottobacini). Nel nord Italia, anche se non mancano episodici riferimenti a inondazioni remote (ad es. quella del Trebbia che recò scompiglio nelle legioni romane che affrontavano l’esercito di Annibale alla sua discesa verso Roma, descritta da Silio Italico, o il “diluvio” generale in tutto il Settentrione, del 589 d.C., riferito da Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum), e tralasciando le decine di date che la bibliografia tramanda nei secoli

successivi, è possibile stilare un elenco degli eventi, in forma utilizzabile per le elaborazioni di sintesi, solo a partire dall’inizio del Secolo XVI. Certamente le notizie si fanno più dense con il trascorrere degli anni, mano a mano che l’indagine retrospettiva si approfondisce in un maggior dettaglio geografico. Ne consegue, ad esempio, che le principali date di alluvioni sino ad oggi censite, relative all’intero territorio padano-veneto, per gli ultimi 500 anni, ammontano a circa 1200; se l’indagine è più ristretta, ad esempio limitata agli eventi alluvionali torrentizi dei piccoli corsi d’acqua delle Alpi piemontesi, per lo stesso lasso di tempo, il dato risultante, e certamente in difetto, è di un migliaio di corsi d’acqua interessati da oltre un migliaio di date di “alluvioni”, ossia circa 3000 casi/evento. Per i torrenti della Valtellina nelle Alpi centrali (140 considerati) le date/evento conosciute sono circa 500; procedendo verso le Alpi orientali il numero di casi noti tende a diminuire e ciò in evidente riflesso con una minor frequenza storica di eventi documentati, ancorché catastrofici in

45

40

Eventi con 1-2 bacini colpiti 35

Eventi con 3-6 bacini colpiti Eventi con oltre 6 bacini colpiti

30

25

20

15

10

5

15 10 15 30 15 50 15 70 15 90 16 10 16 30 16 50 16 70 16 90 17 10 17 30 17 50 17 70 17 90 18 10 18 30 18 50 18 70 18 90 19 10 19 30 19 50 19 70 19 90 20 10

0

Figura 1: Distribuzione cronologica preliminare di eventi alluvionali e frane in Italia Settentrionale. Numero di casi per decennio in relazione alle diverse estensioni territoriali.

752


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

molte occasioni e tali da aver dato alimento a un cospicuo numero di resoconti bibliografici. Anche nelle valli appenniniche il numero di eventi è relativamente minore, ad esempio per il gruppo vallivo Bormida-Orba-ScriviaCurone esso si riduce a circa 390 casi/evento. 3 RISULTATI RILEVANTI Una sintesi grafica generale per l’Italia del Nord è rappresentata in Figura 1, da cui può esser valutata la frequenza complessiva degli eventi dannosi, combinata con tre livelli di “criticità”, espressi in termini di estensione geografica, ossia numero di valli contemporaneamente colpite da un singolo evento meteopluviometrico. Sono così condensate situazioni in cui si sono manifestati effetti più o meno leggeri, più o meno gravi, a livello puntuale o distribuiti su versanti e lungo la rete idrografica, in a) 1-2 valli principali, b) da 3 a 6 valli, c) oltre 6 valli. Di norma le valli interessate da evento sono contigue tra loro: è fatto estremamente raro che uno stesso evento interessi, quanto meno con effetti di pari gravità, zone delle Alpi Centro-Occidentali e delle Alpi Orientali. La constatazione di base è che, nella norma, le alluvioni dagli effetti più gravi, che indirettamente riflettono una magnitudine maggiore dei processi fisici, si manifestano in concomitanza di periodi caratterizzati da un’insolita frequenza di episodi alluvionali di minore portata. La serie degli eventi è disposta per decenni. È possibile discernere, nell’intero periodo 1510-2010, tredici massimi di frequenza, irregolarmente distribuiti nel tempo, con intervalli medi di ricorrenza di 35-40 anni. A commento della espressione “pulsatoria” in cui ricorrono gli eventi, si può osservare che essa rimane sostanzialmente immutata nonostante l’influenza di variazioni climatiche connesse alla “Piccola Età Glaciale” che pertanto non è possibile discernere. Altro commento può esprimersi a proposito dell’improvviso incremento di frequenza degli eventi a partire dalla seconda metà del 19° Secolo, dovuto con buona probabilità a una maggior disponibilità di dati archivistici e ad un accre-

sciuto numero di segnalazioni di danno in territori non urbanizzati per l’addietro. Lunghe serie di registrazioni pluvio-idrometriche sono diffusamente disponibili soltanto a partire dagli Anni ’20 e soprattutto dalla metà degli Anni ’50 del secolo scorso. Di sicuro interesse sarebbe un’elaborazione comparativa di dati su vasta scala, tale da permettere una sorta di “calibrazione” degli eventi in rapporto agli effetti prodotti. Elaborazioni a scala territoriale più ridotta (valli afferenti al Po piemontese) permettono una comparazione valida in tal senso per ciò che concerne i valori critici di piovosità rilevati a determinate stazioni di riferimento, più aleatoria nei risultati per ciò che riguarda la serie delle registrazioni idrometriche e di portata. Con opportune mediazioni l’approccio documentaristico, così come suggerito anche da Studiosi d’Oltralpe (es. metodo “Historisk”, progetto del CEMAGREF), può sopperire alla non-disponibilità di serie idrologiche a ritroso nel lungo periodo; ciò, quando sono disponibili, ad esempio, testimonianze topocartografiche di eventi straordinari di piena, quando è possibile ricostruire la frequenza di determinate piene, o frane, capaci di introdurre radicali cambiamenti morfologici nel territorio. Tali indicazioni sono debitamente parametrizzabili per quanto deducibile dalle descrizioni, spesso accurate, che ne vennero fornite (ad esempio: la serie degli Atti di Visita per Corrosione nello Stato Sabaudo, tra l’inizio del 1600 e metà 1700; i rapporti di servizio e le relazioni tecniche degli Ingegneri dell’Imperial Regio Governo Austro-Ungarico nel periodo 18101860 nelle valli lombarde). Prendendo in considerazione la serie cronologica degli ultimi 200 anni, per cui l’informazione, dovuta alla quantità dei dati disponibili, può esser ritenuta la più affidabile per dettaglio e continuità, appare che ogni valle è stata colpita nella sua interezza da una grave alluvione più d’una volta nell’Era moderna, mentre settori più limitati della medesima presentano intervalli di ricorrenza, tra un evento e l’altro, di 2-3 anni sino a 25-40 anni. Ciò dipende non soltanto dalla diversa confi753


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

gurazione che le masse atmosferiche, interagendo con l’orografia locale, sono in grado di assumere, ma anche dai tempi di costituzione e residenza delle coperture detritiche in seno ai bacini idrografici, estremamente differenziati tra loro per ciò che concerne la suscettività alla produzione dei materiali amovibili, quindi in grado di generare masse critiche necessarie e sufficienti allo scatenamento di processi di instabilità. Ad esempio vi sono torrenti nelle Alpi, anche contigui geograficamente, che sono in grado di liberarsi bruscamente dalle loro riserve detritiche soltanto a pulsazioni ultrasecolari, oppure in forma graduale praticamente ogni anno, o più volte l’anno (es. T. Marderello in Val Cenischia, Alpi Occidentali; T. Moscardo in Val Tagliamento, Alpi friulane); si conoscono circa 2000 torrenti nelle Alpi italiane, che nella norma, vanno soggetti a piene parossistiche da 1 a 10 volte in un secolo. Con l’approfondirsi delle conoscenze, meglio si può determinare l’approssimarsi a livelli di pericolosità, ponendo in relazione biunivoca la ricorrenza media temporale di tali eventi (in base storica) e la dimensione delle masse detritiche che possono esser trascinate a valle (valutazione delle magnitudo). Espressioni, quasi frasi fatte, per definire l’eccezionalità di un evento meteoidrologico, sono frequenti nei testi antichi e nelle cronache giornalistiche di ogni epoca. Fraseologie che si richiamano alla “memoria d’uomo”, o alla “straordinarietà” di un evento, o ancora alla “inusitata frequenza” di alluvioni ricorrono decine e decine di volte nella documentazione fino a qui consultata. Gran parte dei documenti sinora trascritti permettono un rapido esame della frequenza di espressioni, oggi nell’uso comune e non soltanto nel linguaggio giornalistico, talora usate negli antichi documenti e soprattutto negli ultimi 150 anni. Più precisamente, il termine “tromba d’acqua” ricorre una ventina di volte, “frequenti inondazioni” compare 34 volte, “a memoria d’uomo” 33 volte, “straordinario” (evento, piogge) almeno 300 volte. Il “déjà vu” non è una novità di questi tempi, eccone alcuni esempi. 754

Anno 1701, Piemonte - "La Communità di Traversella nella Valle di Brosso sotto li 24 del corrente giugno ha patito tempesta fierissima… è caduto un diluvio d'aqua … qual ha fatto crescer li rivi… in modo straordinario…” (Atti di Visita per Corrosione). Anno 1722, Piemonte - La Comunità di Villanova Solaro lamenta i continui danni per le “frequenti inondationi occorse massime nelli anni 1705 et 1706” (Atti di Visita di Corrosione della Communità di Villanova Solaro; 1722, 12-14 marzo). Anno 1724, Monasterolo di Savigliano (Piemonte) – Un Testimone di Visita sostiene aver “veduto et osservato… da anni trenta in qua sin'al presente gli gravi et frequenti danni... per le frequenti inondazioni et massime quelle seguite negli anni 1705, 1706 et 1714... " (Visita de beni corosi della M.o Mag.ca Comunità di Monasterolo;1724, 18-25 agosto). Anno 1728, Piemonte - La Comunità di Condove lamenta "beni... corosi, e danneggiati dal Fiume Dora e da diversi Rivi… dall'anno 1665 in poi, e specialmente nell'ultima escrescenza del fiume Dora seguita nel maggio or prossimo scorso, in modo tale, che da tal tempo sino al presente non solo hanno li danni continuati, ma sempre aumentati” (Atti di visita di Corrusione per la Comunità di Condove; 1728, 3-4 luglio). Anno 1810, 13-15 settembre (Piemonte) – “I dintorni di Vercelli e la maggior parte della pianura del Sesia sono stati preda dei torrenti, gonfi per le continue piogge, e per una fusione straordinaria delle nevi. La caduta della pioggia nelle prime 24 ore è stata tremenda, e come nei più forti temporali. Non si subivano da 35 anni circa inondazioni così repentine, così generali e pure disastrose" (Le Courrier de Turin, anno 1810). Anno 1829, Lombardia - "L'acqua dirotta che nel giorno 14 corrente caddeva” provocò una tremenda inondazione del Lario. “L'escrescenza delle acque di questo Lago... è giunta sul far del giorno d'oggi a 68. e 6. e quindi alcun poco più a quello che pervenne nel 1823. e dista solo di sei oncie dal punto al quale arrivò nel 1810. che a ricordanza d'uomi-


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

ni e di memoria fu la massima… parte di Città [di Como] e dei Borghi allagati" (Rapporto a S. E. il S.r Conte Presidente dell'I.R. Governo, da Como, 16 settembre 1829). Anno 1850, Piemonte - "Nel comune di Vernante... al disboscamento delle selve, massime sui monti, si attribuisce la causa di tante e così frequenti inondazioni" (Gazzetta Piemontese, 8 giugno 1850). Anno 1864, Lombardia – Il 20 agosto “il torrente Rezzelasco irruppe improvvisamente… e portò al piano una quantità enorme di materie. L’Adda strozzata fra queste materie e quelle trasportate dal burrone situato sulla riva opposta del fiume inondò l’abitato delle Prese Vecchie che, da allora in poi molestato da sempre più gravi e frequenti inondazioni fu a poco a poco dovuto abbandonare” (MLLPP, Ufficio del Genio Civile di Sondrio, ‘Relazione sui bacini idrografici della Provincia. Fiumi Adda e Mera’, Relazione inedita ante 1960). Anno 1882, Val Posina (Triveneto) – “La pioggia caduta in questa valle, accompagnata da fortissimo vento, è stata direttissima e strabocchevole dal giorno 15 al 16 settembre 1882; né i più vecchi terrazzani si ricordano di averne avuta un’eguale” (Giacomelli C. 1883. Le inondazioni della Regione Veneta nel 1882 in rapporto al disboscamento dei monti e gli effetti delle briglie e delle serre specialmente nella Provincia di Sondrio, Min. di Agricoltura, Industria e Commercio, Annali di Agricoltura: 1-143, Tip. Eredi Botta, Roma). Anno 1993, Valle di Gressoney (Aosta) – Il 24 settembre il nucleo storico di Gressoney St. Jean è stato totalmente invaso dalle acque del Lys. Secondo gli abitanti del luogo allora intervistati “questo evento a memoria d'uomo non ha precedenti”. In realtà una lapide posta sul muro perimetrale della chiesa parrocchiale riporta la testimonianza della piena del 17 agosto 1868, incomparabilmente più grave. 4 PROSPETTIVE FUTURE Oltre agli esempi su citati, in cui è più volte ribadito attraverso i tempi il concetto di “disa-

stro senza precedenti”, ricorrono non di rado, soprattutto in fonti giornalistiche ma anche in manoscritti inediti di cronisti dei secoli andati, testimonianze di lunghi inverni in cui gelarono i grandi fiumi, di periodi di caldo troppo lunghi e intensi, di periodi asciutti protrattisi per lunghi mesi, di piogge ininterrotte, tanto che con una certa abitudine, in città e paesi di valle come di pianura, furono prescritte funzioni religiose per impetrar grazia dal Cielo, per far cessare le piogge e inondazioni o le prolungate siccità. Nei tempi di laicismo attuali tale pratica andrebbe quanto meno sostituita con una rapida crescita collettiva di coscienza e di responsabilità, sia per difenderci dall’ambiente che cambia, sia per difendere l’ambiente stesso in cui micro-cambiamenti di natura antropica sono quotidiani e repentini, ove indiscriminate azioni “decisioniste”, a livello planetario come a scala locale, possono costantemente mettere a repentaglio risorse di uso comune quali aria, acqua, suolo. Pare opportuno concludere traducendo le parole usate da Ledoux (1995), quando già era assodata la consapevolezza delle variazioni in atto del clima: "Signori, da alcuni anni siamo testimoni di raffreddamenti sensibili nell'atmosfera, di variazioni improvvise nelle stagioni, di uragani e inondazioni straordinarie a cui la Francia sembra esser sempre più soggetta". Questa inquietante constatazione è l'oggetto di una circolare ministeriale indirizzata ai Prefetti nel 1821. La perdita di memoria sull'argomento è sorprendente, ma costante. Talora in cattiva fede, essa è per lo più sincera. Ciò resta in ogni caso inammissibile e l’espressione "un fatto così non s'è mai visto", constatazione d'impotenza o frase-scappatoia per prevenire le critiche, tradisce sovente una misconoscenza grave delle catastrofi del passato e dei rischi attuali. Per ciò che riguarda la sola Italia settentrionale, le perdite di vite umane dal 1970 a oggi, a causa di inondazioni e frane, ammontano a circa 790, a fronte di circa 5100 casi di decesso a partire dal 1850. 755


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Questo dato, seppure in apparente contraddizione con quanto emerge dalla figura 1, in cui la distribuzione grafica degli eventi ricavata per l’ultimo ventennio appare nell’insieme comparabile con la serie storica, sembra testimoniare un accresciuto grado di vulnerabilità a cui sono esposte le popolazioni, anche in aree industrializzate e tecnologicamente evolute. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Ledoux B., 1995. Les catastrophes naturelles en France: 1-455, Editions Payot & Rivages, Paris. Tropeano D., 1989. An historical analysis of flood and landslide events, as a tool for risk assessment in Bormida Valley. Suolosottosuolo. Int. Congress of Geoengineering, Proceedings, 1: 145-151.

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Tropeano D., Turconi L., 2004. Using Historical Documents for Landslide, Debris Flow and Stream Flood Prevention. Applications in Northern Italy. Natural Hazards 31: 663-679. Special Issue on Strategies and Applications in Natural Hazard Research Using Historical Data (Glade T. & Lang M. Eds.), Kluwer Academic Publishers, The Netherlands.


Modificazioni nell’ambiente fisico d’alta montagna e rischi naturali in relazione ai cambiamenti climatici M. Chiarle, G. Mortara Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, CNR, Torino, Italia marta.chiarle@irpi.cnr.it SOMMARIO: L’ambiente glaciale e periglaciale, sensibile indicatore climatico, sta rispondendo con sorprendente tempestività al riscaldamento globale in atto. Nelle Alpi sono infatti ormai numerose le segnalazioni di eventi che ragionevolmente possono essere considerati i primi effetti/indizi di un rialzo termico accelerato che influenza non solo il regime delle precipitazioni ma anche la distribuzione del permafrost. Le modificazioni morfologiche che l’alta montagna sta sperimentando sono rilevanti sotto l’aspetto ambientale e per i risvolti sociali ed economici associati. L’insorgenza sempre più diffusa di manifestazioni d’instabilità naturale potenzialmente pericolose, cui è fatto riferimento nel presente contributo, rappresenta un altro aspetto non secondario dell’impatto dei cambiamenti climatici.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO 1.1 Cambiamenti climatici ed implicazioni per l’ambiente glaciale e periglaciale Nell’attuale frangente climatico le aree glaciali e periglaciali dell’arco alpino italiano stanno denunciando trasformazioni fisicoambientali che si ripercuotono significativamente anche sotto l’aspetto sociale ed economico a causa di: i) riduzione della risorsa idrica per l’accentuata contrazione delle masse nivo-glaciali (nella torrida estate 2003 l’ablazione consumò mediamente 3-5 m di spessore di ghiaccio, con tassi di circa 10 cm/giorno); ii) difficoltà per il turismo e per le pratiche sportive in alta quota (mutazione o scomparsa di abituali paesaggi glaciali; difficoltà/impossibilità di esercizio di impianti per la pratica dello sci estivo su ghiacciaio; scomparsa di classiche vie alpinistiche su ghiaccio, ecc.); iii) incremento dei fenomeni d’instabilità naturale e dei rischi associati (insorgenza di crolli di roccia lungo itinerari finora ritenuti sicuri; problemi di stabilità di strutture

in alta quota, quali rifugi alpini e impianti funiviari, attribuibili alla degradazione del permafrost; accresciuta esposizione di persone e strutture al rischio di rotte glaciali e di valanghe di ghiaccio/roccia). 1.2 Fenomeni d’instabilità in alta quota In merito alle peculiari manifestazioni di instabilità naturale che stanno caratterizzando l’ambiente glaciale e periglaciale alpino ed ai rischi associati, si segnalano: Comparsa di laghi di contatto glaciale. È frequente la comparsa di laghi nelle aree liberate recentemente dal ghiaccio o sulla superficie stessa dei ghiacciai. In quest’ultimo caso, i laghi epiglaciali tendono ad ampliarsi per l’instaurarsi di processi termocarsici. Il lago marginale del Ghiacciaio del Rocciamelone (q. 3200 m, Alpi Graie) raggiunse nelle estati 2003 e 2004 un volume di circa 600.000 m3. Il ridursi a soli 15 cm di altezza del franco spondale impose il sollecito svuotamento artificiale del lago onde scongiurare il rischio di una rotta glaciale (Fig. 1). Innesco di colate detritiche torrentizie. Trovano facile innesco e alimentazione nelle 757


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Figura 1: Il Lago del Rocciamelone, sullo spartiacque Italia-Francia, è stato motivo di rischio per le aree soggiacenti prima dello svuotamento artificiale.

aree di recente deglaciazione; talora possono generarsi per fusione di masse di ghiaccio sepolto, come avvenuto in Val di Fosse (BZ) il 29 luglio 2005, con cielo sereno. La colata (15.000 m3) si propagò da q. 3000 m sino a q. 1900 m, mettendo in difficoltà alcuni ignari escursionisti (Chiarle et al., 2007). Rimodellamento di morene storiche. Le morene geneticamente collegate alla Piccola Età Glaciale (PEG) stanno denunciando collassi parziali per fusione di masse di ghiaccio sepolto (es. Ghiacciaio dei Forni, Valtellina) o per il venir meno del contrasto che i ghiacciai esercitavano nelle fasi di espansione (Mortara e Chiarle, 2005). Imponente il cedimento in atto sulla morena delle Locce (Monte Rosa) come conseguenza del rapido esaurirsi del surge che portò ad uno straordinario aumento volumetrico del Ghiacciaio del Belvedere negli anni 2001-2004. Crolli e valanghe di roccia/ghiaccio. Innumerevoli sono stati i distacchi di roccia durante l’estate 2003 (Monte Bianco, Cervino, 758

Bernina), modesti di dimensioni ma sufficienti a rendere insicure molte vie alpinistiche. Talora l’attività di crollo ha raggiunto livelli parossistici con l’innesco di imponenti, mobilissime valanghe di roccia/ghiaccio (Brenva, 1997; Barla et al., 2000; Thurwieser, 2004), provocando conseguenze anche molto gravi per la vita umana e seria minaccia a infrastrutture molto distanti (km) dalle aree sorgente. Valanghe di ghiaccio. La degradazione dei versanti glacializzati correlabile all’innalzamento della temperatura sta compromettendo la stabilità di fronti glaciali sospese e di seracchi. La transizione da ghiacciai freddi - saldati al substrato roccioso intorno a 4000 m sulle Alpi - a ghiacciai temperati fa sì che la circolazione d’acqua faciliti il distacco di masse di ghiaccio in situazioni dinamiche limite. La valanga di ghiaccio avvenuta nell’agosto 2005 sul versante nord orientale del Monte Rosa (1,1 milioni m3, una delle maggiori degli ultimi 100 anni sulle Alpi) invase una zona in cui, il giorno precedente, si trovavano centinaia di escursionisti. Trasformazioni plano-altimetriche dei ghiacciai. Tutti i ghiacciai alpini sono in uno stato di palese sofferenza che si manifesta con: forti riduzioni volumetriche e planimetriche, che preludono all’estinzione degli apparati minori nell’arco di pochi anni; comparsa di “calderoni di sprofondamento” su lingue di ablazione stazionarie; cessazione dell’alimentazione da parte di ghiacciai tributari; frammentazione dei ghiacciai in corpi minori; incremento della copertura detritica superficiale (“ghiacciai neri” o debris covered glaciers). Tra gli esempi più significativi i ghiacciai Invergnan, Brenva, Lys (Val d’Aosta), Belvedere (Ossola), Forni (Valtellina), Malavalle (Alto Adige). 2 ATTIVITÀ DI RICERCA 2.1 Rischi connessi alla dinamica glaciale Il crollo improvviso del Ghiacciaio Coolidge Superiore sul Monviso (Alpi Cozie) nel 1989 diede occasione all’IRPI di Torino di avviare studi mirati alla conoscenza dei fenomeni d’instabilità tipici dell’ambiente glaciale, argomento pressoché sconosciuto alla comunità scienti-


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fica italiana e agli enti preposti alla gestione del territorio (Dutto e Mortara, 1992). L’esperienza acquisita nell’analisi di un quadro insospettato di situazioni si è consolidata con la partecipazione al Progetto UE “GLACIORISK”. Il progetto, finalizzato all’identificazione dei ghiacciai potenzialmente fonte di rischio nelle regioni montuose europee, ha avuto tra i suoi prodotti più significativi un database degli eventi d’instabilità di natura glaciale occorsi in passato, ricco di centinaia di segnalazioni (http://glaciorisk.grenoble.cemagref.fr/). Alla raccolta ed organizzazione della documentazione storica, si è accompagnato il monitoraggio e la modellazione di alcune situazioni particolarmente critiche, svolti in collaborazione con altri enti scientifici e territoriali. Lago marginale del Ghiacciaio del Rocciamelone. L’invaso lacustre, comparso intorno al 1985 (cfr. § 1.2), è stato oggetto dal 2001 di rilievi radar, topografici e batimetrici per quantificare il volume dell’invaso e lo spessore della diga di ghiaccio. Ghiacciaio della Croce Rossa (Alpi Graie). Il ghiacciaio ha fronte pensile sull’invaso idroelettrico del Lago della Rossa: ai fini di valutare la stabilità del corpo glaciale e prevedere eventuali crolli nel sottostante bacino, è stato avviato fin dal 1998 un organico programma di indagini glaciologiche, le cui indicazioni hanno portato all’adozione di azioni cautelative di gestione dell’impianto idroelettrico. Bacino glaciale del Belvedere. L’intero bacino si è trasformato in pochi anni in uno straordinario laboratorio dinamico, caratterizzato da una serie impressionante di processi d’instabilità (cfr. § 1.2; Kääb et al., 2004). Terminata la fase di acuta emergenza legata alla possibile rotta del lago epiglaciale “Effimero”, l’attenzione è ora rivolta alla stabilità degli argini morenici (Fig. 2), ma soprattutto dei versanti in roccia e dei seracchi sospesi. È del 21 aprile 2007 un grande crollo in roccia a quota 4000 m, poco sotto il Colle Gnifetti, che ha ripercorso in parte il tragitto della valanga di ghiaccio del 25 agosto 2005 (cfr. §1.2). 2.2 Stabilità di pareti rocciose di alta quota Una particolare attenzione è stata rivolta in

Figura 2: Morena frontale del Ghiacciaio delle Locce (Monte Rosa). E’ evidente la fessura perimetrale che delimita un vasto cedimento in atto (foto Schranz, 2006).

questi ultimi anni ai crolli di roccia in aree di possibile occorrenza di permafrost. Gli studi sono stati realizzati nell’ambito del Progetto Interreg III Alcotra n. 196 “PermaDataRoc”. Il progetto, cui collaborano Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur (capofila), CNR-IRPI Torino, Arpa Valle d’Aosta, e Université de Savoie - Laboratoire Edytem, ha preso impulso in considerazione dell’eccezionale numero di frane accadute in alta quota nell’estate 2003. Il progetto si prefigge di identificare il ruolo della degradazione del permafrost sulla stabilità delle pareti rocciose e di sperimentare metodologie e tecniche d’indagine in ambiente estremo. 2.3 Ricerche nella catena himalayana Per confronto con la realtà alpina, in relazione alle trasformazioni ambientali indotte dal riscaldamento globale, l’IRPI di Torino ha svolto attività di ricerca (1996-2005) nei massicci dell’Everest e del Kanchendzonga, nell’ambito del Progetto Strategico “CNREverest-K2” e del Programma interuniversitario Cofin “Evoluzione strutturale della catena himalayana”. Obiettivi principali delle ricerche sono stati: i) individuare situazioni di instabilità naturale suscettibili di procurare rischio lungo itinerari percorsi da spedizioni alpinistiche e scientifiche; ii) fornire un contributo alle comunità locali per una maggior conoscenza delle condizioni ambientali del loro territorio (Pecci e Mortara, 2005). 759


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3 RISULTATI RILEVANTI Le attività fin qui svolte in ambiente glaciale e periglaciale hanno consentito: a) una definizione tipologica delle fenomenologie legate all’attuale evoluzione della criosfera (cfr. § 1.2); b) la creazione di una banca dati degli eventi d’instabilità passati, recenti ed in atto; c) l’elaborazione di un modello concettuale per l'analisi della distribuzione spazio-temporale dei processi d'instabilità in relazione alle modificazioni della criosfera, con la delineazione di scenari attuali e futuri di rischio nelle aree considerate, utili ad azioni di protezione civile e pianificazione territoriale. Un significativo risultato dell’attività svolta è stata infine la verifica dell’applicabilità di metodologie di indagine, monitoraggio e modellazione in uso in altri settori allo studio di ambienti così peculiari ed estremi come quelli descritti. 4 PROSPETTIVE FUTURE Una delle maggiori difficoltà incontrate è la scarsissima disponibilità di informazioni su eventi d’instabilità in ambienti d’alta quota, pochissimo documentati per la limitata diffusione di nuclei abitativi, vie di comunicazione e infrastrutture. Tenuto conto che l’estrema vivacità dell’ambiente considerato comporta una continua e rapida evoluzione delle dinamiche territoriali e dunque delle situazioni di rischio ad esse collegate, la documentazione accurata di eventi d’instabilità in atto e pregressi rappresenta una priorità anche per il futuro. La base dati disponibile potrà accrescersi ulteriormente attraverso l’ampliamento degli areali indagati e della “rete di osservatori” del territorio, e con l’affinamento delle tecniche d’indagine utilizzate.

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I dati ottenuti rappresentano una preziosa ed indispensabile base per un’analisi spaziale, in ambiente GIS, che consenta di quantificare il peso dei diversi fattori morfologici, geologici e meteorologici, da una parte, e della degradazione della criosfera, dall’altra, nel determinare l’instabilità geo-idrologica in ambienti glaciali e periglaciali. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Barla G., Dutto F., Mortara G., 2000. Brenva Glacier Rock Avalanche of 18 January 1997 on the Mount Blanc Range, Northwest Italy. Landslide News, 13: 2-5. Chiarle M., Iannotti S., Mortara G., Deline P., 2007. Recent debris flow occurrences associated with glaciers in the Alps. Global and Planetary Change, 56: 123-136. Dutto F., Mortara G., 1992. Rischi connessi con la dinamica glaciale nelle Alpi Italiane. Geog. Fis. Dinam. Quat., 13: 85-99. Kääb A., Huggel C., Barbero S., Chiarle M., Cordola M., Epifani F., Haeberli W., Mortara G., Semino P., Tamburini G., Viazzo G., 2004. Glacier hazards at Belvedere Glacier and the Monte Rosa East face, Italian Alps: processes and mitigation. Int. Symp. “Interpraevent 2004” Riva del Garda, 24-27 maggio 2004. I/67-78. Mortara G., Chiarle M., 2005. Instability of recent moraines in the Italian Alps. Effects of natural processes and human intervention having environmental and hazard implications. Giornale di Geologia Applicata, 1: 139-146. Pecci M., Mortara G., 2005. Everest versante nord. Neve e ghiaccio dell’alta quota himalayana. Neve e Valanghe, 56: 32-43.


Cambiamenti climatici, processi di abbandono, conservazione e sviluppo sostenibile in paesaggi marginali mediterranei M. Lauteri1, M. Alimonti3, A. Oriani2, A. Pisanelli1 Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, CNR, Porano, Italia Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, CNR, Montelibretti (Rm), Italia 3 Comunità Montana dell’Aniene, Ufficio Tecnico, Agosta, Italia marco.lauteri@ibaf.cnr.it 1 2

SOMMARIO: Tematiche ambientali e socio-economiche in paesaggi ecologici marginali mediterranei (Valle dell’Aniene, Provincia di Roma) sono analizzate relativamente ai cambiamenti climatici globali. Gli studi di conservazione e recupero della biodiversità, così come quelli di ecologia del paesaggio, sono inquadrati a definire scenari futuri. Grande attenzione alla complessità paesaggistica deve essere prestata nell’esecuzione di studi necessariamente multidisciplinari, per coniugare risultati scientifici ed applicazioni di sviluppo sostenibile. Seguendo questo approccio integrato, l’attività agroforestale può costituire un elemento funzionale del paesaggio nella misura in cui in esso è contestualizzata. Vengono presentati risultati di studi ecofisiologici in campi sperimentali siti nella Valle. In particolare le basilari funzioni biogeochimiche del territorio vengono associate all’analisi d’uso del suolo ed alla percezione del territorio da parte delle popolazioni locali. Le prospettive aperte dallo studio riguardano lo sviluppo sostenibile e l’impostazione di una rete ecologica locale, a partire dal recupero dell’agricoltura tipica in una matrice di naturalità diffusa.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO 1.1 Cambiamenti globali, vulnerabilità e resilienza dei sistemi territoriali L’aumento esponenziale dell’impatto antropico sulla biosfera ha di fatto mostrato la limitatezza e la vulnerabilità delle risorse ambientali. Lo sviluppo sostenibile si idealizza così quale modello di vita e cultura che dovrebbe interessare la globalità della popolazione al fine di prevenire uno sfruttamento irreversibile delle risorse globali, intese nel loro complesso quali patrimonio dell’umanità. La conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile (Nazioni Unite, 8-14 Giugno, Rio de Janeiro, 1992) adotta nell’Agenda 21 un approccio integrato per la pianificazione e gestione delle risorse territoriali, puntualizzando la necessità di obiettivi, azioni e metodi ripartibili sui diversi livelli di governo del territorio: da quello intergovernativo a quello nazionale fino alle amministrazioni locali, custodi que-

ste ultime delle risorse territoriali e portavoce insostituibili delle aspettative sociali ed economiche delle popolazioni. Un tale approccio si pone come obiettivo l’integrazione delle esigenze ambientali, sociali ed economiche da parte delle amministrazioni. In questo contesto una corretta valutazione e gestione della biodiversità locale assume un ruolo centrale. Le tematiche ambientali accennate hanno grande valenza nella bioregione del Mediterraneo. I paesaggi ecologici che costituiscono la regione sono intrinsecamente ricchi di biodiversità. Tuttavia, la profonda specializzazione del bioma mediterraneo e l’intima coevoluzione con la componente antropica rendono i paesaggi dell’area mediterranea particolarmente vulnerabili al cambiamento climatico. Fenomeni di vasta scala quali l’estremizzazione degli eventi climatici ed i profondi mutamenti nell’organizzazione socio-economica e nell’uso del territorio ne mettono a repentaglio la resilienza e la capacità di evoluzione. 761


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Scopo delle attività presentate è lo studio delle interazioni tra complessità dei mosaici ecosistemici e modelli agroforestali d’uso del suolo in ambito mediterraneo. Analisi ed esperimenti in ambito reale sono in corso in un paesaggio mediterraneo sub-montano: la media Valle dell’Aniene in provincia di Roma. L’integrazione degli aspetti ecologici ed agroforestali nel contesto socio-economico del comprensorio punta allo sviluppo teoricosperimentale di modelli d’uso del territorio capaci di aumentare la resilienza del sistema a mutamenti globali. È da sottolineare come l’adeguatezza ambientale di un modello non può prescindere dalle aspettative ed esigenze di sviluppo delle popolazioni locali. 1.2 Complessità ecologica e relazioni con i cicli di acqua e carbonio in sistemi agroforestali I paesaggi culturali relitti sono numerosi negli ambiti mediterranei. Tali paesaggi sono stati ampiamente oggetto di abbandono con perdita delle funzioni socio-economiche. Una notevole complessità dei mosaici ecosistemici generalmente persiste con il prevalere dei processi di rinaturalizzazione. Tuttavia le funzioni paesaggistiche preesistenti sono fortemente compromesse in conseguenza dei repentini cambiamenti d’uso del suolo e dei processi di degrado idrogeologico legati alla deficienza di sorveglianza e manutenzione. È dunque rilevante studiare sia i processi biogeochimici legati alle funzioni primarie di ecosistemi compenetrati da complessi reticoli ecotonali (scambi di CO2 e ciclo dell’acqua) che la percezione e la propensione d’uso delle risorse ambientali da parte delle popolazioni locali. Strumenti adeguati per lo studio dei cicli di carbonio ed acqua in ecosistemi terrestri sono rappresentati dalle tecniche di analisi degli isotopi stabili di C ed O. L’analisi spaziale di comprensori complessi è attualmente consentita dalle tecnologie dei sistemi geografici informatizzati (GIS). Infine le indagini socioeconomiche classiche, basate sulla somministrazione di questionari individuali, sono consone ad indagare la percezione del contesto paesaggistico da parte delle popolazioni. 762

2 ATTIVITÀ DI RICERCA 2.1 Isotopi stabili e cicli biogeochimici del paesaggio Il carbonio è presente in natura con due isotopi stabili. Il rapporto isotopico (13C/12C) varia ampiamente nelle piante a metabolismo C3 ed è in relazione alla loro efficienza d’uso idrico (WUE, rapporto tra C assimilato e H2O traspirata; Brugnoli e Farquhar, 2000). WUE è un importante fattore fisiologico che influenza l’ecologia a livello di ecosistema o paesaggio. WUE incide sui consorzi di vegetazione (Alessio et al., 2004), sulla produttività, sull’adattabilità a condizioni e cambiamenti climatici (Lauteri et al., 2004). Gli isotopi stabili dell’ossigeno sono potenti traccianti naturali per studiare le fonti di captazione di acqua per le piante (Lauteri et al., 2006). Lungo il profilo del suolo l’acqua è caratterizzata da pattern di composizione isotopica (δ18O) determinati da clima, idrologia e profondità. Tuttavia δ18O non varia durante l’assorbimento radicale ed il trasporto xilematico, riflettendo il δ18O dell’acqua captata. Al contrario l’acqua fogliare è arricchita in 18O durante la traspirazione. Tale arricchimento dipende in buona parte dalle interazioni microclimatiche tra vegetazione ed atmosfera. Il ciclo dell’acqua, nel continuum suolo – pianta – atmosfera, rappresenta una importante funzione ecosistemica con effetti sulle dinamiche paesaggistiche. Gli isotopi possono, così, dare risposte sulla vulnerabilità delle biocenosi ai cambiamenti climatici, in relazione con la complessità paesaggistica. 2.2 Proprietà emergenti del paesaggio e reti ecologiche Le tecnologie GIS (Geografic Information System) rappresentano lo strumento di analisi spaziale e temporale del territorio attualmente più avanzato. Utilizzando cartografia geo-referenziata (ortofotocarte, cartografia IGM, carte tecniche regionali, cartografia catastale) è possibile ottenere informazioni su corologia, distribuzione spaziale dei diversi elementi ecosistemici, grado di connettività, grado di fram-


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

mentazione. Una rete ecologica rappresenta una interpretazione reale o teorica del paesaggio, dove si definisce uno scenario nel quale convivono e sono connessi siti a diversa valenza ecologica. Le analisi GIS evidenziano criticità ed eccellenze di struttura e funzioni di un paesaggio, consentendone la pianificazione. 2.3 Analisi socio-economica del contesto paesaggistico Sono varie le ragioni che causano l’abbandono ed il degrado del territorio. Tuttavia, la complessità del fenomeno è massima nelle aree mediterranee. Processi degenerativi del paesaggio hanno interessato ed interessano il comprensorio della Valle secondo modalità peculiari di molte aree marginali appenniniche, modalità riconducibili di fatto a dinamiche socio-economiche e demografiche. La caduta di importanza del settore primario ha pressochè azzerato l’economia agroforestale e zootecnica della Valle, determinando esodo e pendolarismo della popolazione. La vicinanza alla capitale non ha compensato, in assenza di offerte ambientali fruibili, l’indebolimento delle filiere economiche tradizionali. Nasce, dunque, il bisogno di modelli di uso del territorio atti a ravvivare l’interesse socio-economico delle popolazioni, quali protagoniste di gestione sostenibile. Interventi innovativi sul territorio richiedono una piattaforma di discussione per generare consenso ed obiettivi. Idee ed aspettative vengono messe in comune, permettendo uno sviluppo equilibrato del processo decisionale (Pisanelli et al., 2006). Così, aziende agricole marginali, possono essere recuperate e valorizzate attraverso l’introduzione di pratiche sostenibili, capaci di un reddito adeguato agli operatori. 3 RISULTATI RILEVANTI L’analisi degli isotopi stabili del carbonio sulla sostanza secca fogliare, durante il ciclo ontogenetico di coltivazioni erbacee tipiche della valle (Phaseolus spp.), ha mostrato interessanti risultati. Può essere utile rimarcare qui che la segnatura isotopica della sostanza secca di una

pianta contiene un’informazione fisiologica integrata temporalmente e pesata sulla assimilazione fotosintetica nel periodo stesso di formazione della sostanza secca (Brugnoli e Farquhar, 2000). Così, il ripartire la sostanza secca di una pianta a crescita indeterminata su tre porzioni verticali, un settore basale, uno medio ed uno apicale, permette di analizzare le risposte isotopiche durante la sequenza temporale della sua crescita e sviluppo. Nel caso in esame (Alimonti et al., 2006) i valori di δ13C si sono gradualmente, ma in modo rilevante, arricchiti dell’isotopo pesante passando dalla fase giovanile (settore basso) a quella matura (settore alto). La variazione media è risultata di +1.4‰ in prove asciutte e di +2.0‰ in prove irrigue, valori assolutamente rilevanti per il loro significato fisiologico. L’aumento di area fogliare ed altezza espongono notevolmente la coltura alla richiesta traspirativa atmosferica, generando stress idrico e perdite di produzione. Ne segue l’idea di sperimentare modelli agrotecnici più resilienti ed adeguati a zone ad elevata naturalità. L’indagine partecipativa, effettuata mediante questionario sottoposto ad un campione di popolazione locale, ha permesso una prima valutazione delle percezioni delle popolazioni stesse verso le risorse naturali e le problematiche sociali, ambientali ed economiche del territorio. Dall’indagine è emerso che la popolazione generalmente percepisce il valore ambientale del territorio e ne utilizza direttamente le risorse. Tuttavia, diverse problematiche affliggono l’area, da quelle di natura ambientale (degrado, inquinamento) a quelle sociali ed economiche (abbandono colturale, disoccupazione). La popolazione, inoltre, ritiene che la valorizzazione dei prodotti tipici potrebbe rappresentare un volano per l’economia locale, qualora inserita in programmi di sviluppo integrati e multidisciplinari a cura degli amministratori locali. 4 PROSPETTIVE FUTURE Forme agroforestali di uso della superficie agraria, che vedano consociate le coltivazioni 763


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

tipiche con strutture lineari arbustive, potrebbero migliorare sia la complessità ambientale, con vantaggi per biodiversità e resilienza, sia le condizioni microambientali, edafiche e fitosanitarie, con vantaggi produttivi per le colture. In proposito il CNR-IBAF sta conducendo esperimenti per vagliare l’effettiva fattibilità e funzionalità di moduli orticolturali cinti da reticoli ecotonali (siepi di specie arbustive e forestali autoctone). Tali moduli sarebbero eventualmente proponibili nella media ed alta Valle dell’Aniene, per l’esercizio sostenibile di un’agricoltura di nicchia ad alto valore aggiunto. Un rinnovato interesse verso un uso del suolo e verso funzioni biogeochimiche ecosistemiche più resilienti potrebbero rappresentare elementi di sostenibilità a fronte di scenari di cambiamento globale. Un’analisi GIS su un fondovalle di 700 ha, ha evidenziato la matrice rurale relitta del territorio. Di pregio conservazionistico è risultata la compenetrazione tra ecosistemi agrari ed ecosistemi forestali igrofili. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Alessio G.A., De Lillis M., Brugnoli E., Lauteri M., 2004. Water sources and water-use efficiency in Mediterranean

764

coastal dune vegetation. Plant Biology, 6: 350-357. Alimonti M., Scarascia Mugnozza G., Berardi M.A., Lauteri M., 2006. Produzioni di nicchia in Valle dell’Aniene e sviluppo sostenibile del territorio. Linea Ecologica, 3: 10-23. Brugnoli E., Farquhar G.D., 2000. Photosynthetic fractionation of carbon isotopes. In R.C. Leegood, T. Sharkey & S. von Caemmerer (eds.), Advances in Photosynthesis: 399-434. The Netherlands: Kluwer A. P.. Lauteri M., Alessio G.A., Paris P., 2006. Using oxygen stable isotope sto investigate the soil-plant-atmosphere hydraulic continuum in complex stands of walnut. In M.E. Malvolti e D. Avanzato (eds.), Acta Horticulturae: 223-230. Belgium: ISHS. Lauteri M., Pliura A., Monteverdi M.C., Brugnoli E., Villani F., Eriksson G., 2004. Genetic variation in carbon isotope discrimination in six European populations of Castanea sativa Mill. originating from contrasting localities. J. Evol. Biol., 17: 1286-1296. Pisanelli A., Holding C., Scarascia Mugnozza G., Pantanella E., 2006. La divulgazione è essenziale per la gestione delle foreste. Alberi e territorio, 12: 47-50.


Metodologie per la classificazione delle aree agricole e naturali in relazione al rischio climatico P. Duce1, C. Cesaraccio1, D. Spano2, A. Motroni3 Istituto di Biometeorologia, CNR, Sassari, Italia Dipartimento di Economia e Sistemi Arborei, Università di Sassari, Italia 3 Servizio Agrometeorologico Regionale, SAR-Sardegna, Sassari, Italia p.duce@ibimet.cnr.it 1 2

SOMMARIO: In questo lavoro è stata sviluppata una metodologia affidabile e facilmente trasferibile per l’individuazione delle aree agricole e delle colture a rischio climatico nella regione mediterranea. Le procedure di analisi messe a punto sono state applicate ai casi reali della Sardegna e dell’Emilia-Romagna nelle condizioni climatiche attuali e secondo alcuni scenari climatici futuri. Lo studio è stato condotto secondo i principi della Land Capability e si è basato su un insieme integrato di informazioni territoriali (geologia, morfologia, pedologia, clima, ecc.). La metodologia ha consentito di rappresentare graficamente il rischio climatico per l’agricoltura nelle diverse aree del territorio. Nelle aree climaticamente e pedologicamente più vocate per l’agricoltura, è stato possibile discriminare, per aree di analoga vocazionalità agricola, livelli di rischio climatico significativamente differenti. La metodologia risulta direttamente applicabile ad altre aree con caratteristiche climatiche simili a quelle delle due regioni considerate e, con i dovuti adattamenti, a regioni climaticamente diverse.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO 1.1 Introduzione Le più recenti osservazioni sui cambiamenti climatici hanno evidenziato una tendenza globale all’aumento delle temperature superficiali e una certa disomogeneità nella tendenza delle precipitazioni (IPCC 2001, 2007). Per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, il recente report dell’IPCC (2007) ha confermato quanto emerso da precedenti studi, evidenziando come, nelle ultime decadi, si sia verificato un aumento superiore a quello medio globale della temperatura media annua e della frequenza delle onde di calore. Inoltre, una recente analisi delle serie storiche termo-pluviometriche italiane ha mostrato un significativo aumento della temperatura media annua (0.4 °C al Nord, 0.7 °C al Sud) e una significativa diminuzione delle precipitazioni annue, in particolare nell’Italia meridionale (Brunetti et al., 2000). Nelle regioni aride e semi-aride la variabilità dei fattori ambientali e meteorologici è un elemento chiave nel determinare la produzione

agricola. In queste regioni la variabilità interannuale del clima e, in particolare, delle precipitazioni piovose rappresenta, infatti, una componente intrinseca del sistema e il principale fattore di rischio. Già negli anni ’80, Parry e Carter (1988) e Rosenzweig (1982) evidenziarono le difficoltà che si incontrano nella valutazione del rischio climatico per le colture e le aree agricole quando si opera a una scala spaziale di tipo locale. In letteratura sono tuttora reperibili pochi esempi di studi in cui le normali fluttuazioni interannuali del clima sono incorporate in una metodologia di valutazione del rischio agricolo di un territorio (van Lanen et al., 1992; Hudson e Birnie 1999; Duce et al., 2006). 1.2 Obiettivi I principali obiettivi di questa attività di ricerca sono lo sviluppo di una metodologia affidabile e facilmente trasferibile per l’individuazione delle aree agricole e delle colture a rischio climatico nella regione mediterranea e l’implementazione di uno strumento operati765


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

vo sia per la pianificazione territoriale nel lungo periodo sia per la gestione del territorio nel breve periodo. In sintesi, gli scopi del programma di ricerca sono riconducibili a due tipologie: (i) metodologici, attraverso la messa a punto di indici di rischio climatico e di metodologie di analisi per la valutazione della suscettibilità alle variazioni climatiche delle aree agricole e delle colture, e (ii) operativi, al fine di fornire mappe di rischio climatico attuale e futuro delle produzioni agricole e di rendere disponibili strumenti quantitativi e qualitativi per decisioni in materia di programmazione agricola del territorio. Le procedure di analisi messe a punto sono state applicate ai casi reali della Sardegna e dell’Emilia-Romagna facendo ricorso al sistema di classificazione della Land Capability for Agriculture (LCA, valutazione della capacità d’uso di un territorio ai fini agricoli). 2 ATTIVITÀ DI RICERCA In questo lavoro è stata sviluppata una metodologia per la stima, alla scala locale, del rischio climatico, attuale e futuro, in agricoltura basandosi sui principi della Land Evaluation. Tale tecnica fornisce informazioni qualitative su un territorio (il potenziale produttivo, le limitazioni, la vulnerabilità, ecc.) attraverso l’analisi di precise caratteristiche bio-fisiche e socio-economiche. L’applicazione delle tecniche di Land Evaluation richiede una particolare attenzione quando si analizzano le qualità di un territorio che derivano dalla misura di variabili dinamiche, come ad esempio le variabili meteorologiche (Rossiter, 1996). In questo caso, infatti, le variabili dinamiche sono di solito convertite in variabili statiche perdendo così l’informazione legata alla naturale variabilità dei fenomeni. I dati utilizzati ai fini dell’analisi sono stati: (a) la Carta Ecopedologica della Sardegna, predisposta nell’ambito delle attività per la realizzazione della Carta dei Suoli di Europa alla scala 1:250.000; (b) la Carta Pedologica dell’Emilia Romagna; (c) la Carta di Uso del Suolo della Sardegna CASI 3, realizzata dall’INEA (Istituto 766

Nazionale di Economia Agraria); (d) le serie storiche termopluviometriche della Sardegna (1961-2000) e dell’EmiliaRomagna (1951-2000); (e) gli scenari climatici futuri previsti per la regione Sardegna, sulla base del modello climatico HADCM3 sviluppato dall’Hadley Centre for Climate Prediction and Research, UK Met. Office. La gestione e l’elaborazione dei dati e l’analisi dei diversi tematismi (suolo, clima e uso del suolo) sono stati effettuati tramite un Sistema Informativo Geografico in ambiente ArcGIS. La classificazione dei territori della Sardegna e dell’Emilia Romagna in termini di LCA climatica è stata effettuata analizzando le due principali variabili che rendono possibile lo svolgimento dell’attività agricola: la disponibilità idrica e la disponibilità di energia. La prima è stata determinata attraverso la stima del massimo deficit idrico potenziale del suolo (PSMDmax) mentre la seconda attraverso il calcolo della sommatoria dei gradi giorno cumulati a partire dal 1 gennaio di ciascun anno (CDD). In sostanza, sono stati calcolati i valori climatici di PSMDmax e CDD dei trentenni 1951-1980 (per l’EmiliaRomagna), e 1961-1990 e 1971-2000 (per entrambe le regioni). Attraverso un algoritmo di cluster analysis e alcune valutazioni empiriche si è giunti alla classificazione dei territori in termini di LCA climatica. Allo scopo di valutare la variabilità spaziotemporale del rischio climatico, è stata analizzata la variazione interannuale di PSMDmax e CDD nelle diverse aree durante il periodo considerato. Da questa analisi è emerso che la variazione numericamente e agronomicamente più significativa è rappresentata dai valori assunti nei diversi anni da PSMDmax. La determinazione dell’indice di rischio climatico è stata infine effettuata analizzando, per ciascun area, le transizioni osservate nel periodo considerato tra le classi di deficit idrico. Nel caso della Sardegna, l’intera procedura è stata quindi applicata agli scenari climatici futuri con proiezioni sino all’anno 2099.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

3 RISULTATI RILEVANTI Questo studio ha consentito classificare i territori esaminati in termini di rischio climatico e di Land Capability per l’agricoltura (Fig. 1 e 2). Nelle aree climaticamente e pedologicamente più vocate per le attività agricole, è stato possibile discriminare, per aree di analoga vocazionalità agricola, livelli di rischio climatico significativamente differenti (Tab. 1). La metodologia risulta direttamente applicabile ad altre aree con caratteristiche climatiche simili a quelle delle due regioni considerate e, con i dovuti adattamenti, a regioni climaticamente diverse. In particolare, si deve sottolineare che i valori dell’indice di rischio climatico messo a punto non sono risultati correlati con le classi climatiche attribuite alle diverse porzioni di territorio sulla base dell’analisi delle serie storiche termopluviometriche. Tabella 1: Variazione percentuale, rispetto al periodo 1971-2000, delle superfici agrarie che ricadono in aree molto vocate della Sardegna per il trentennio 2070-2099 e gli scenari climatici A2 e B2. Orticole

Oliveti

Vigneti

A2

-39

-26

-55

Seminativi non irrigui -57

B2

-37

-9

-43

-42

Questo risultato indica che le variabili meteorologiche sono state integrate nella procedura di valutazione tenendo effettivamente conto

Figura 1: Carte del Rischio Climatico in agricoltura per la Sardegna relative ai periodi 1961-1990 e 1971-2000.

della loro natura dinamica. Pertanto, le mappe di rischio climatico realizzate riescono a includere l’informazione relativa alla variabilità climatica e a dare un’idea immediata e sintetica sia delle condizioni “medie” del territorio sia della sua naturale variabilità interannuale. 4 PROSPETTIVE FUTURE I promettenti risultati ottenuti in questa ricerca verranno perfezionati nell’ambito di una serie di attività in corso di svolgimento. La procedura messa a punto per le regioni Sardegna ed Emilia Romagna sarà implementata a livello nazionale nel quadro delle attività svolte in collaborazione con la Divisione Impatti sull'Agricoltura, Foreste ed Ecosistemi Naturali (IAFENT) del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC). Nel quadro di un progetto di collaborazione internazionale con l’Institut National de la Recherche Agronomique (INRA, Marocco) è previsto l’adattamento della metodologia per la sua applicazione nelle aree agricole del Paese maghrebino. Infine, a seguito di accordi con il Natural Resources Management and Environment Department della FAO, con l’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA, Austria) e l’International Maize and Wheat Improvement Center (CIMMYT, Messico) è in corso di elaborazione un progetto di cooperazione internazionale di più ampia portata sulle tematiche affrontate da questa ricerca.

Figura 2: Carte della Land Capability for Agriculture pedo-climatica della Sardegna relative al periodo 19712000 e al trentennio 2070-2099 (scenario A2).

767


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Brunetti M., Maugeri M., Nanni T., 2000. Variations of temperature and precipitation in Italy from 1866 to 1955. Theor. Appl. Climatol., 65: 165-174. Duce P., Cesaraccio C., Canu S., Motroni A., Dettori M., Cocco T., Antolini G., Zinoni F., 2006. Individuazione delle aree agricole e delle colture a forte rischio per variazioni climatiche. In Risultati Conclusivi del Progetto finalizzato di ricerca “Climagri – Cambiamenti climatici e agricoltura”: 7991. Roma: CRA-UCEA. Hudson G., Birnie R.V., 1999. A method of land evaluation including year to year weather variability. Agric. For. Meteorol., 101: 203-216. IPCC, 2001. Climate Change 2001: the scientific basis. The third IPCC assessment report. Cambridge: Cambridge University Press. IPCC, 2007. Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Working Group I

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Contribution to the Fourth Assessment Report. http://www.ipcc.ch/present/ presentations.htm Parry M.L., Carter T.R., 1988. The assessment of effects of climatic variations on agriculture: aims, methods and summary of results. In The impact of climatic variations on agriculture, 1: 11-95. Dordrecht: Reidel Publ. Co. Rosenzweig N.J., 1982. Potential CO2Induced climatic effects on the North American wheat producing regions. Clim. Change, 7: 367-389. Rossiter D.G., 1996. A theoretical framework for land evaluation. Geoderma, 72: 165-190. van Lanen H.A.J., Hackten Broeke M.J.D., Bouma J., de Groot W.J.M., 1992. A mixed qualitative-quantitative physical land evaluation methodology. Geoderma, 55: 37-54.


Effetto dei cambiamenti climatici in atto sulla qualità dei vini D. Grifoni1, G. Zipoli1, G. Maracchi1, S. Orlandini2, M. Mancini2 Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia Dip. di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agroforestale, Università di Firenze, Italia grifoni@lamma.rete.toscana.it

1 2

SOMMARIO: I cambiamenti climatici osservati negli ultimi anni sono in gran parte attribuibili all’effetto dell’antropizzazione e principalmente causati dall’aumento nell’atmosfera di gas a effetto serra (anidride carbonica, metano, ossidi di azoto), che impediscono la dispersione del calore verso lo spazio aumentando l’energia disponibile sul pianeta. Tutto ciò si ripercuote sul clima modificando gli equilibri che regolano la circolazione generale dell’atmosfera. La presente ricerca è consistita nell’individuazione di possibili correlazioni esistenti fra qualità del vino e indici bioclimatici su alcune aree del centro nord Italia. Le relazioni individuate sono state quindi utilizzate per verificare l’esistenza di trend temporali nell’andamento delle condizioni e quindi per valutare eventuali segnali di cambiamento climatico e il loro impatto sulla qualità dei vini.

1 PROBLEMA SCIENTIFICO

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

L’importanza dell’andamento meteorologico durante la stagione vegetativa per la vite (Vitis vinifera L.) è ormai nota a tutti; i fattori del clima (precipitazioni, temperatura, radiazione, umidità dell’aria) influenzano i diversi elementi del ciclo vegeto - produttivo della vite e l’efficacia delle operazioni colturali, agendo in ultima analisi sulla qualità e quantità finale delle produzioni. L’effetto dei cambiamenti climatici finora osservato o previsto sulla base di scenari futuri è principalmente collegabile a una variazione nella data di comparsa di alcune fasi fenologiche, mentre molto meno sappiamo dell’impatto in termini quali-quantitativi sulla produzione. Questo studio si propone di analizzare le relazioni esistenti tra la qualità di alcuni pregiati vini italiani e la variabilità meteo-climatica sia mediante i classici indici bioclimatici, che tramite informazioni meteorologiche di carattere generale.

2.1 Serie storiche disponibili La ricerca è stata svolta su vini del centro nord Italia e in particolare su Brunello di Montalcino, Vino Nobile di Montepulciano, Chianti Classico, Barolo, Barbaresco e l’Amarone; i dati di qualità del vino disponibili hanno permesso di analizzare il periodo 1970-2002. La qualità del vino può essere determinata mediante analisi chimiche sia sull’uva sia sul vino stesso, utilizzando recenti strumentazioni (gas cromatografia in combinazione con sensori artificiali tipo l’olfattometro), tuttavia, per motivi di disponibilità, i dati di qualità dei vini impiegati in questo studio sono quelli dell’analisi sensoriale, basati sulla valutazione delle proprietà mediante caratteristiche visive, olfattive e gustative. La qualità di molti vini qualitativamente pregiati viene annualmente ed efficacemente descritta con un indice sintetico che si basa su analisi sensoriali ed è espresso attraverso un punteggio che varia da un minimo di 1 ad un massimo di 5. 769


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

770

Le informazioni meterorologiche utilizzate nel lavoro provengono dal sito del Climate Diagnostics Center, Boulder, Colorado, USA, (http://www.cdc.noaa.gov/). Le variabili ed i campi meteorologici sono stati ottenuti mediante il progetto NCEP/NCAR Reanalysis (Kalnay, 1996), che mette a disposizione variabili meteorologiche a partire dal 1948 con una risoluzione spaziale di 2,5° (Lat.-Long.). Questo progetto ha permesso la ricostruzione a livello globale dello stato dell’atmosfera, rendendo disponibili tutte le variabili meteorologiche con una discreta continuità spazio/temporale. In particolare, nel lavoro sono state utilizzate le variabili temperatura e precipitazione relative alle aree di produzione, i campi di geopotenziale a 500 hPa e di temperatura superficiale del mare (SST) (spazializzati sul domino Europa/nord Africa/Atlantico) e l’indice NAO (North Atlantic Oscillation). Il geopotenziale a 500 hPa e la SST sono due dei principali campi meteorologici. In particolare il primo rappresenta l’altitudine in metri del livello in atmosfera dove la pressione dell’aria è pari a 500 hPa ed è ben correlato con le caratteristiche meteorologiche al suolo. La SST rappresenta la temperatura superficiale del mare. Il NAO è definito come la differenza normalizzata delle anomalie di pressione atmosferica fra le Azzorre e l’Islanda. Queste ultime tre informazioni meteorologiche sono alcune tra quelle impiegate dai climatologi per descrivere lo stato dell’atmosfera e degli oceani anche al fine di prevederne l’evoluzione a medio e lungo termine.

3.1 Indici bioclimatici: relazioni con la qualità e trend Per quanto riguarda gli aspetti termici, è stata utilizzata la sommatoria delle temperature attive (STA) nel periodo aprile-ottobre espressa in gradi giorno (GG) (Winkler et al., 1974), mentre per quelli pluviometrici è stata considerata la sommatoria delle precipitazioni durante il periodo vegetativo, considerato da aprile a settembre espressa in mm. Analizzando in dettaglio i singoli effetti, è stato possibile osservare che la relazione con la temperatura è direttamente proporzionale, con probabilità di avere qualità migliori all’aumentare del accumulo termico disponibile nella stagione vegetativa (Fig. 1). Le precipitazioni mostrano, invece, un’influenza negativa sulla qualità, con una diminuzione della possibilità di avere annate ottime o eccezionali quando le precipitazioni sono elevate (Fig. 2). Risultati paragonabili a quelli qui menzionati si sono trovati anche utilizzando dati meteorologici ottenuti da stazioni meteorologiche nel

2.2 Metodologia impiegata La ricerca è consistita nell’individuazione di possibili correlazioni esistenti fra qualità del vino e indici bioclimatici (per l’analisi sono stati utilizzati il valore medio delle qualità dei vini considerati e quello degli indici climatici calcolati sulle aree di produzione). Successivamente sono state elaborate mappe di correlazione fra la qualità media dei vini e i campi meteorologici geopotenziale a 500 hPa e SST, al fine di evidenziare il possibile impatto di fenomeni a larga

Figura 1: Relazione tra la sommatoria delle temperature attive (STA) e la qualità media dei vini.

scala sulla qualità. Queste mappe, mediante la distribuzione spaziale del coefficiente di correlazione, permettono di verificare l’esistenza di relazioni tra la qualità del vino e il valore assunto dal campo meteorologico sul dominio considerato. In tal modo è possibile individuare le aree in cui l’instaurarsi di determinati valori delle variabili meteorologiche risulta legato (teleconnessioni) con la qualità dei vini. 3 RISULTATI RILEVANTI


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Figura 2: Relazione tra precipitazioni nel periodo aprile.

Figura 3: Trend delle STA per il periodo 1951 - 2005.

caso specifico del Brunello di Montalcino (Orlandini et al., 2006). Combinando i due indici, la significatività della regressione multipla (non mostrata) risulta ancora più elevata (p < 0,001), e il coefficiente di determinazione evidenzia come il solo regime termo-pluviometrico sia responsabile fino al 35% della variabilità interannuale nella qualità del vino. Al fine di evidenziare la variabilità climatica osservata negli ultimi anni per entrambi gli indici bioclimatici, sono stati analizzati i trend per il periodo 1951-2005 mediante lo sviluppo di regressioni ed è stata calcolata la differenza (anomalia) annuale rispetto alla media climatica di riferimento (1961-1990). A tale proposito non si evidenziano trend statisticamente significativi (in particolare per le precipitazioni cumulate (dati non mostrati), ma in ogni caso i risultati hanno mostrato un aumento di frequenza delle annate con valori di STA sopra la media a partire dagli anni ottanta (Fig. 3). La migliore qualità della produzione evidenziata negli ultimi anni sembra quindi climaticamente imputabile soprattutto a una più elevata disponibilità termica.

Africa, Atlantico) nel corso della stagione vegetativa. Tale approccio è giustificato dal fatto che i valori assunti da tali campi (SST, geopotenziale a 500 hPa ecc) o indici (NAO ecc.) possano avere un impatto sull’andamento meteorologico sull’area di produzione dei vini studiati. Emerge una buona correlazione fra i valori di geopotenziale a 500 hPa sulla parte meridionale del Mediterraneo nel periodo aprile-settembre e la qualità media dei vini (dati non mostrati). Questo risultato è in accordo con i precedenti risultati ottenuti tra STA e qualità dei vini essendo la temperatura del periodo aprile–ottobre correlata significativamente con il valore di geopotenziale a 500 hPa. Buone correlazioni positive sono state ottenute anche tra la qualità del vino e la SST del periodo maggio-giugno della porzione dell’oceano Atlantico ad ovest delle isole Canarie e in minor misura del’ Mediterraneo occidentale (Fig. 4). Tale risultato è probabilmente da imputare a una relazione esistente fra la SST delle aree citate precedentemente per il periodo maggiogiugno e l’andamento termico sulle aree di produzione durante la stagione vegetativa. La correlazione, inversamente proporzionale, fra l’indice NAO e la qualità dei vini ha mostrato i maggiori valori dei coefficienti di determinazione per il periodo aprile – luglio (dati non mostrati). Alcuni dei risultati così ottenuti possono avere importanti applicazioni previsionali, in quanto già nelle prime fasi della stagione vegetativa sarà possibile ottenere indicazioni sulla qualità della produzione. Ciò consentirà di intervenire per ottimizzare la commercializzazione e aumentare la qualità in annate

3.2 Campi meteorologici e indici climatici: relazioni con la qualità e trend Per verificare il possible impatto di alcuni fenomeni a più ampia scala sulla qualità del vino, sono state realizzate mappe di correlazione al fine di poter individuare l’esistenza di possibili teleconnessioni tra la qualità del vino e il valore assunto da alcuni campi meteorologici su un ampio dominio geografico (Mediterraneo, Nord

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Figura 4: Mappa di correlazione fra la qualità media dei vini e l’SST di maggio-giugno. Le gradazioni di grigio rappresentano i coefficienti di correlazione positivi. La mappa è stata ottenuta grazie al NOAA-CIRES Climate Diagnostic Center, Boulder, Colorado, USA (http://www.cdc.noaa.gov/).

meteorologicamente sfavorevoli. Ulteriori dettagli della ricerca possono essere visionati su Grifoni et al., 2006.

modo sarà possibile individuare gli interventi necessari a gestire i cambiamenti, riducendo le conseguenze negative per la produzione e valorizzando i possibili effetti positivi.

4 CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE 5 BIBLIOGRAFIA Gli indici climatici e bioclimatici adottati hanno evidenziato una correlazione significativa con la qualità dei vini. In particolare l’indice WI ha mostrato di influire positivamente sul prodotto e, almeno nei limiti di variazione attuale, l’analisi dei trend climatici ha evidenziato un miglioramento della qualità. Nei prossimi anni il mantenimento di questa tendenza incrementale potrebbe portare ad un’eccessiva disponibilità termica, con ripercussioni sulla qualità. Per quanto riguarda le precipitazioni, gli eccessi idrici sono risultati negativamente correlati col prodotto finale. L’analisi dei dati pluviometrici non ha tuttavia mostrato particolari tendenze negli ultimi anni. È opportuno che questi studi vengano condotti anche in altre realtà produttive, per definire le prospettive della viticoltura regionale e nazionale, soprattutto in funzione di un sempre maggiore sviluppo dei modelli di simulazione degli scenari climatici futuri e quindi di una loro maggiore attendibilità. In questo

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Grifoni D., Mancini M., Maracchi G., Orlandini S., Zipoli G., 2006. Analysis of italian wine quality using freely available meteorological information. Am. J. Enol. Vitic., 57(3): 339-346. Orlandini S., Grifoni D., Mancini M., Maracchi G., Zipoli G., 2006. Effetto della variabilità meteoclimatica sulla qualità dei vini. VQ, 1: 9-17. Winkler A., Cook J.A., Kliewer W.M., Lider L.A., 1974. General Viticulture. University of California Press, Berkley. Kalnay Y.E., Kanamitsu M., Kistlter R., Collins W., Deaven D., Gandin L., Iredell M., Saha S., White G., Woolen J., Zhu Y., Chelliah M., Ebisuzaki Higgins W., Janowiak J., MO K.C., Ropelewski C., Wang J., Leetma A., Reynolds R., Jenne R., Joseph E.D., 1996. The NCEP/NCAR 40-year reanalysis project. Bullet. Amer. Meteorol. Soc., 77: 437-471.


Adattamento alla siccità e utilizzazione di risorse idriche differenziate nelle specie delle dune costiere M. Lauteri, E. Brugnoli Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, CNR, Porano, Italia marco.lauteri@ibaf.cnr.it SOMMARIO: Le specie vegetali, nell’assumere acqua dal suolo, entrano in un complesso di interazioni competitive, specialmente in condizioni di carenza idrica. Queste interazioni, di difficile caratterizzazione diretta, possono essere indagate mediante studio degli isotopi stabili di ossigeno e carbonio utilizzati a concentrazioni naturali come traccianti degli scambi suolo-pianta-atmosfera. Alcuni ecosistemi sono particolarmente vulnerabili a fronte di cambiamenti climatici. È il caso delle fasce litoranee, ed in generale degli ecosistemi ecotonali, quelli che fanno da transizione tra condizioni ambientali ampiamente contrastanti. Gli ambienti ecotonali sono solitamente caratterizzati da ampi contenuti di biodiversità. Questo consente di studiare aspetti ecofisiologici salienti di sistemi complessi, di acquisire conoscenze indispensabili ad azioni di conservazione e gestione ambientale in zone a limitata resilienza. Il presente lavoro descrive alcuni studi ecofisiologici in corso in zone litoranee mediterranee. Gli studi effettuati vengono poi comparati ai pochi analoghi effettuati in ambienti simili. Attenzione è rivolta alla tematica dell’uso di risorse idriche ben differenziate ma depauperabili, a fronte del cambiamento globale in corso. In particolare, viene studiata la capacità di adattamento e colonizzazione di specie delle dune, che svolgono un ruolo primario di protezione dall’erosione della fascia costiera anche in conseguenza dell’innalzamento del livello dei mari.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO 1.1 La vulnerabilità degli habitat costieri tirrenici La frammentazione rappresenta il maggior pericolo per le biocenosi litoranee e può precludere i flussi genici all’interno delle metapopolazioni, pregiudicandone la capacità evolutiva. Tuttavia, può essere riduttivo indicare la frammentazione come causa unica della perdita dei biotopi costieri. Questa è dovuta a molte concause come l’eccessiva pressione antropica (es. urbanizzazione delle coste, turismo di massa, arretramento della falda dolce per eccessivi prelievi urbani ed agricoli) e i cambiamenti climatici che svolgono un ruolo di primo piano e possono determinare alterazioni delle correnti marine e del bilancio tra asporto e deposito sabbioso. Inoltre, la diffusione di specie aliene rappresenta un ulteriore pericolo per la biodiversità della fascia costiera. Questo quadro porta all’esigenza di una

migliore conoscenza dei meccanismi ecologici e fisiologici che regolano le comunità vegetali delle dune mobili e delle prime dune fisse, che rappresentano dei baluardi di transizione tra l’ambiente marino e quello terrestre. L’ambiente delle dune costiere è severamente limitante per le specie vegetali. Il clima mediterraneo tipico dell’area tirrenica espone le biocenosi a frequenti e prolungati periodi di carenza idrica. L’aerosol marino e la natura sabbiosa del suolo, con la sua scarsa capacità idrica e l’elevata salinità, esasperano lo stress. Le biocenosi di questi ambienti devono intrinsecamente essere specializzate e in grado di sfruttare risorse idriche diverse, variabili nel tempo e nello spazio. 1.2 Uso delle risorse idriche ed isotopi stabili A causa di fattori fisici e climatici, le risorse idriche sono caratterizzate da firme isotopiche differenti, sia per quanto concerne il rapporto isotopico 18O/16O che per il rapporto D/H 773


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

(δ18O o δD, Craig, 1961; Dansgaard, 1964). Questo determina nel suolo la stratificazione di acque con differente composizione isotopica. L’acqua xilematica riflette generalmente la composizione isotopica dell’acqua captata dalla pianta (Dawson et al., 2002). Per tale ragione i valori di δ18O e δD dell’acqua consentono lo studio dei flussi idrici dal suolo all’atmosfera, attraverso la vegetazione. Tuttavia, studi sulla vegetazione alofitica hanno mostrato come l’interpretazione di modelli d’uso idrico a partire da analisi di δD (Lin e Sternberg, 1992) possa risultare fuorviante rispetto all’informazione contenuta nell’analisi di δ18O dell’acqua xilematica. Un frazionamento isotopico contro D è stato infatti osservato in specie alofite. Si ipotizza che tale frazionamento si verifichi durante l’assorbimento radicale a livello delle bande del Caspary. Poiché l’isotopo 18O non appare coinvolto in questo frazionamento, la sua analisi nell’acqua xilematica consente, di ottenere informazioni congrue sulla profondità di azione degli apparati radicali e sulle relazioni funzionali tra vegetazione e tipi di risorsa idrica nell’ambito degli ecosistemi litoranei. In aggiunta allo studio delle risorse idriche utilizzate attraverso δ18O, l’efficienza d’uso idrico (WUE: rapporto tra carbonio assimilato ed acqua traspirata) può essere quantificata dall’analisi della discriminazione isotopica del carbonio (∆13C; per una review si veda Brugnoli e Farquhar, 2000). Strategie specifiche diversificate nell’uso delle risorse idriche ambientali possono riflettersi in modelli specifici di WUE. Un approccio isotopico multiplo può aumentare l’accuratezza di studi dedicati alla complessità delle strategie d’uso idrico a livello di biocenosi e agli effetti di variazioni climatiche. Questo approccio è stato utilizzato da Valentini et al. (1992) e, più recentemente da Alessio et al. (2004) su ecosistemi costieri mediterranei. In questi ecosistemi molte specie presentano apparati radicali bistratificati, rendendo più complesse le interazioni tra risorse idriche e strategie d’uso idrico. In particolare, le biocenosi litoranee possono accedere a risorse idriche ben differen774

ziate nello spazio e nelle stagioni: acque meteoriche stratificate nel suolo, falde freatiche superficiali, acqua marina ed acque salmastre. I cambiamenti climatici, così come i mutati usi del territorio, possono condurre a squilibri nella disponibilità delle diverse risorse idriche, determinando il temuto prevalere dell’intrusione d’acque salse o la salinizzazione dei suoli. Alcune indagini effettuate sulla complessità funzionale della vegetazione litoranea e sulla valutazione di possibili impatti del cambiamento globale su questi ecosistemi vengono qui brevemente illustrate. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA 2.1 I rilievi effettuati e l’ambiente sperimentale Scambi gassosi (CO2 e H2O), misure di ∆13C della sostanza organica fogliare e la composizione δ18O dell’acqua xilematica vengono effettate per comprendere le dinamiche di assimilazione fotosintetica e d’uso idrico delle specie considerate. Le specie che caratterizzano i litorali sabbiosi sono molteplici. Tra le più significative troviamo le erbacee perenni delle dune mobili (Ammophila littoralis, Elymus farctus) e le sclerofille arbustive e lianose (Arbutus unedo, Pistacia lentiscus, Phillyrea angustifolia, Qercus ilex, Juniperus oxycedrus, Smilax aspera) delle dune consolidate. Il clima cui sono soggetti questi ecosistemi è tipicamente mediterraneo, con precipitazioni concentrate in autunno, inverno e primavera, con ampie oscillazioni interannuali. I cambiamenti climatici in atto possono influire sull’entità di queste fluttuazioni e sembrano determinare la frequenza di eventi estremi sia di siccità che di piovosità. 2.2 Metodiche isotopiche e definizioni L’analisi della discriminazione isotopica del carbonio viene effettuata sulla CO2 prodotta da combustione di campioni di sostanza organica o di metaboliti purificati. I rapporti isotopici (R=13C/12C) vengono determinati con spettrometri di massa isotopici (IRMS), che forniscono la composizione isotopica (δ13C)


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

rispetto ad uno standard. La discriminazione isotopica del carbonio viene infine calcolata in accordo a Farquhar e Richards (1984): ∆13C = (δair - δplant)/(1 + δplant)

(1),

dove δplant è δ13C del materiale vegetale e δair, la composizione isotopica della CO2 atmosferica (= -8.0‰). I campioni di acqua xilematica vengono estratti criogenicamente da porzioni di fusti o rizomi lignificati. Le analisi di δ18O di campioni acquosi vengono effettuate mediante equilibrio con CO2 che viene poi analizzata. La composizione isotopica δ18O è calcolata in riferimento allo standard internazionale VSMOW. 3 RISULTATI RILEVANTI L’assimilazione fotosintetica rilevabile negli ecositemi litoranei è generalmente ridotta dalle condizioni di siccità estiva. Alcune specie possono presentare valori particolarmente ridotti, come nel caso della lianosa sclerofilla S. aspera. Tuttavia, differenti strategie ecofisiologiche sono state individuate sulla base delle analisi di δ18O e di ∆13C. I valori di δ18O dell’acqua xilematica delle fanerofite (le sclerofille arbustive di macchia mediterranea) sono risultati relativamente costanti e prossimi a quelli dell’acqua di falda, suggerendo la dipendenza di queste specie da sorgenti idriche profonde e affidabili nel tempo. Per queste specie i valori di ∆13C sono risultati relativamente alti, indicando alta conduttanza stomatica e bassa WUE intrinseca, con l’eccezione di J. oxycedrus. Quest’ultima specie utilizza anche acque saline di origine marina. Valori molto arricchiti di δ18O sono stati trovati nell’acqua xilematica di S. aspera durante periodi spiccatamente siccitosi. Ciò fa ipotizzare retrodiffusione di acqua fogliare, dopo l’arricchimento traspirativo, verso i condotti xilematici dei fusti, o captazione diretta di acqua di condensa notturna da parte di foglie e fusti verdi. Bassi valori di ∆13C indicano elevata WUE e bassa conduttanza stomatica

in S. aspera. Le specie delle dune mobili hanno, infine, mostrato strategie contrastanti di uso idrico: E. farctus sembra fare affidamento su acque superficiali di origine meteorica, associando questa strategia ad una WUE relativamente bassa, in accordo al suo ciclo vitale terofitico, capace di sfruttare i periodi più miti evitando le siccità estive; al contrario, A. littoralis ha mostrato preferenza per risorse idriche più profonde e durevoli, parallelamente ad una più alta WUE e bassa conduttanza stomatica in relazione al suo ciclo vitale prolungato. 4 PROSPETTIVE FUTURE La conoscenza dei meccanismi ecofisiologici che regolano gli scambi atmosfera-vegetazione è di grande rilevanza per la conservazione di quegli ecosistemi che costituiscono una difesa dall’erosione costiera e dall’esposizione diretta delle biocenosi più interne all’aerosol marino. Questo è tanto più importante in considerazione dell’innalzamento del livello degli oceani come conseguenza dei cambiamenti climatici. I risultati brevemente presentati fanno comprendere come lo studio del comportamento fisiologico e gli scambi isotopici consentano il monitoraggio della vegetazione, in relazione a stress ambientali esasperati dai mutamenti climatici, che rendono le risorse idriche più scarse e/o meno affidabili. Gli effetti dei cambiamenti climatici sulle biocenosi costiere potrebbero essere fruttuosamente ed economicamente monitorati, ad esempio, attraverso lo studio fisiologico di piante “sonda” quali Juniperus oxycedrus. Un’eventuale intrusione della falda marina, dovuta a processi di erosione costiera, di innalzamento del livello del mare o ad uso eccessivo della falda dolce, potrebbe essere prontamente individuata attraverso il monitoraggio stagionale dell’acqua xilematica. Al di là delle applicazioni dirette degli isotopi stabili nel monitoraggio di biocenosi “baluardo” come quelle della fascia costiera, ulteriori prospettive risiedono nelle potenzialità di 775


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

indagine di funzioni ecosistemiche legate ai cicli di carbonio ed acqua (Brugnoli et al., in questo volume). In particolare, a livello fogliare nella vegetazione terrestre, si ha il punto di accoppiamento unico tra i cicli globali di carbonio e acqua, mediante l’equilibrio bicarbonato, mediato dall’enzima anidrasi carbonica. Pertanto, gli studi sull’aricchimento isotopico dell’acqua fogliare (Lauteri et al., 2006) e di δ18O nella CO2 incrementeranno, in futuro, le nostre conoscenze sugli scambi globali tra atmosfera e biosfera e la ripartizione dei flussi legati ai sinks oceanici e terrestri. Concetti fondamentali di sinecologia e fisiologia ecosistemica, quali la resilienza a disturbi ecologici, potranno essere utilmente gestiti in relazione alle tematiche dei cambiamenti globali. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Alessio G.A., De Lillis M., Brugnoli E., Lauteri M., 2004. Water sources and water-use efficiency in Mediterranean coastal dune vegetation. Plant Biology, 6: 350-357. Brugnoli E., Farquhar G.D., 2000. Photosynthetic fractionation of carbon isotopes. In R.C. Leegood, T. Sharkey & S. von Caemmerer (eds.), Advances in Photosynthesis: 399434. The Netherlands: Kluwer A. P..

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Craig H., 1961. Isotopic variations in meteoric water. Science, 133: 1702-1703. Dansgaard W., 1964. Stable isotopes in precipitation. Tellus, XVI: 436-468. Dawson T.E., Mambelli S., Plamboeck A.H., Templer P.H., Tu K.P., 2002. Stable isotopes in plant ecology. Annu. Rev. Ecol. Syst., 33: 507-559. Farquhar G.D., Ehleringer J.R., Hubick K.T., 1989. Carbon isotope discrimination and photosynthesis. Annu. Rev. Plant Physiol. Plant Mol. Biol., 40: 503-537. Farquhar G.D., Richards R.A., 1984. Isotopic composition of plant carbon correlates with water-use efficiency of wheat genotypes. Australian J. of Plant Physiol., 11: 539-552. Lauteri M., Alessio G.A., Paris P., 2006. Using oxygen stable isotope to investigate the soil-plant-atmosphere hydraulic continuum in complex stands of walnut. In M.E. Malvolti & D. Avanzato (eds.), Acta Horticulturae: 223-230. Belgium: ISHS. Valentini R., Scarascia Mugnozza G.E., Ehleringer J.D., 1992. Hydrogen and carbon isotope ratios of selected species of a Mediterranean macchia ecosytem. Functional Ecology, 6: 627-631.


Monitoraggio delle condizioni meteorologiche nella prevenzione delle infestazioni da Locusta del deserto C. Vallebona, L. Genesio, A. Crisci, M. Pasqui, A. Di Vecchia, G. Maracchi Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia c.vallebona@ibimet.cnr.it SOMMARIO: La Locusta del deserto rappresenta una seria minaccia per la sicurezza alimentare in molti paesi africani ed asiatici. La sensibilità del ciclo biologico di questa specie a fattori meteorologici ed ambientali conferisce al monitoraggio delle condizioni meteorologiche a diverse scale spaziali, insieme alla comprensione delle condizioni meteo-climatiche che favoriscono l’innesco delle invasioni, un ruolo fondamentale per un approccio preventivo al problema. Nell’ipotesi per cui determinati pattern climatici possano sviluppare le condizioni favorevoli per le popolazioni della Locusta del deserto ed innescare l’inizio di un’invasione, le invasioni passate sono state caratterizzate da un punto di vista climatico per evidenziare le anomalie rispetto agli anni in cui nessuna invasione ha avuto inizio. L’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBIMET/CNR) in collaborazione con FAO/EMPRES (Emergency Prevention System for Transboundary Animal and Plant Pests and Diseases) ha instituito il servizio DELOMM (Desert Locust Meteorological Monitoring) allo scopo di assicurare ai paesi interessati l’accesso agli strumenti necessari, in termini di informazione meteorologica, per la pianificazione delle azioni di controllo sulle popolazioni della Locusta del deserto e la prevenzione delle invasioni.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO 1.1 Introduzione La Locusta del deserto, Schistocerca Gregaria [Forskål], è un insetto appartenente alla famiglia degli Acrididi avente come areale di distribuzione della forma solitaria le zone aride e semi-aride del Sahel, Nord Africa, Penisola Arabica e Asia Sud-Occidentale. Questa specie di locuste è considerata la più pericolosa in quanto condizioni climatologiche ed ecologiche favorevoli possono promuovere in individui solitari una pesante moltiplicazione, concentrazione e gregarizzazione con la formazione di sciami capaci di migrare ed invadere ampie superfici (Fig. 1). L’area di invasione della locusta del deserto può arrivare a coprire il 20% della superficie mondiale, interessando 60 paesi in Africa, Medio Oriente ed Asia e rappresentando una potenziale minaccia per l’agricoltura e la sicurezza alimentare delle regioni colpite.

1.2 Stato dell’arte Le invasioni della Locusta del deserto si verificano con intermittenza ma senza evidenze di periodicità. Tutte le fasi del ciclo di vita, in primo luogo la riproduzione, e la diffusione attraverso migrazioni della specie sono fortemente influenzate da parametri meteorologici quali piogge, temperature e vento, e parametri correlati ad essi come umidità del suolo e sviluppo della vegetazione (Symmons e Cressmann, 2001). Un probabile ruolo giocato dalla meteorologia sullo sviluppo e mantenimento delle passate infestazioni è stato teorizzato in letteratura (Rainey, 1963; Pedgley, 1979; Cheke e Holt, 1993) ma i meccanismi generali di azione a scala sinottica non sono ancora stati spiegati. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA 2.1 Caratterizzazione climatica delle infestazioni della Locusta del deserto nell’Africa occidentale 777


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Colorado, USA, sono disponibili attraverso il sito internet: http://www.cdc.noaa.gov/. L’elaborazione dei dati è stata condotta al fine di evidenziare eventuali anomalie nella circolazione atmosferica verificatisi agli inizi delle invasioni passate rispetto ad una condizione media di recessione. In particolare è stata individuata da bibliografia (Symmons, Cressman, 2001; Burt et al., 2000; http://www.fao.org) una serie di anni successivi al 1979 caratterizzati da inizio di invasione in Africa occidentale. È stata quindi effettuata una analisi dei compositi estraendo medie mensili sugli anni di inizio invasione, medie mensili sui restanti anni e quindi anomalie mensili date dalla differenza delle suddette medie. Per rendere queste valutazioni più oggettive e stabilire se le differenze tra le medie fossero significative oppure semplicemente dovute al caso è stato applicato il test statistico di Student (per i valori di probabilità di considerare le due medie significativamente diverse quando non lo fossero di 0.5, 0.2, 0.4, 0.1 e 0.05).

Figura 1: Siti di riproduzione stagionali (dall’alto: primavera, estate, inverno) durante le recessioni (grigio scuro) e le invasioni (aree in grigio chiaro). Con linea continua e linea tratteggiata sono rappresentati rispettivamente i limiti dell’area di recessione ed invasione (modificato da Popov, 1997; Roffey, Magor, 2003).

La recente disponibilità di serie temporali abbastanza estese per numerosi parametri atmosferici e di una vasta bibliografia sulle infestazioni storiche ha reso possibile un’analisi integrata. Al fine di descrivere un tipico pattern di circolazione atmosferica associato ad un maggior rischio di invasioni di locuste, sono stati analizzati alcuni parametri atmosferici (altezza del Geopotenziale al livello di pressione di 500 hPa, Temperatura dell’aria a 1000 hPa, componente zonale del vento a 700 hPa) e le SST (Sea Surface Temperatures) sul periodo 1979÷2005 con risoluzione temporale mensile e risoluzione spaziale di 2.5º. I dati utilizzati, prodotti da NOAA/OAR/ESRL PSD, Boulder, 778

2.2 Risultati rilevanti Dalle analisi effettuate sui parametri climatici emerge che le medie mensili per i periodi di invasione successivi al 1979 risultano significativamente diverse rispetto alle corrispondenti calcolate sui periodi in cui nessuna invasione ha avuto luogo, ma soprattutto esse evidenziano dinamiche ben distinte di circolazione atmosferica. Tali differenze sono più accentuate nei mesi non interessati dal regime monsonico. In Figura 2 è riportata, a titolo di esempio, la significatività statistica associata al test di Student, per il parametro SST per il mese di marzo. Volendo focalizzare l’attenzione sull’Africa occidentale, il periodo invernale-primaverile è considerato strategico perchè qui le invasioni si verificano prevalentemente in estate-autunno: le dinamiche di popolazione che portano all’innesco di una piaga sono dinamiche di lungo periodo che interessano diverse generazioni ed il lag temporale intercorrente tra l’innesco climatico e l’upsurge può essere verosimilmente considerato dell’ordine dei 3-6 mesi.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Figura 2: Significatività statistica associata al test di Student sui campioni di anni rispettivamente di invasione e di non invasione per le SST nel mese di marzo.

L’analisi ha evidenziato, nel periodo invernaleprimaverile, una anomalia negativa dell’altezza del geopotenziale in alta Troposfera su Africa e Medio Oriente con orientamento NESW, ed in parallelo un’anomalia positiva ad alte latitudini. Tale configurazione della circolazione atmosferica può produrre un’avvezione di aria fredda atlantica verso l’Africa nordoccidentale, e l’analisi dei compositi sulle temperature dell’aria conferma questa ipotesi, ma soprattutto essa può dare origine ad intrusione di aria umida e precipitazioni di origine atlantica. Una anomalia negativa del geopotenziale interessa inoltre le Azzorre in aprile, indicando una debole alta pressione subtropicale e quindi un pattern di circolazione caratterizzato da un indice NAO negativo. Particolarmente visibile in marzo è l’anomalia negativa di geopotenziale sulla Libia, regione su cui risiede un anticiclone semi-permanente che caratterizza l’evoluzione della stagione estiva su tutta la regione del bacino del Mediterraneo. Questa anomalia può quindi assumere un significato fisico particolarmente importante: anticiclone libico e

venti Harmattan più deboli implicano un maggior afflusso di aria umida sulla Mauritania da nord ed un aumento delle precipitazioni su quelle zone. L’African Easterly Jet, evidenziato dalla componente zonale negativa del vento a 700 hPa, è stato meno intenso e più meridionale negli anni di invasione rispetto agli altri. Questo è sicuramente indice di un regime diverso, essendo l’African Easterly Jet una componente primaria della circolazione a quelle latitudini. Negli anni di invasione comunque la circolazione è stata più meridionale, permettendo una maggiore penetrazione di aria atlantica umida da ovest verso il Sahel. Una prima ipotesi che è possibile fare circa il ruolo di un abbassamento della temperatura riguarda i suoi effetti sulle condizioni ambientali, con la modulazione della copertura della vegetazione, che può così durare più a lungo e quindi sostenere parecchie generazioni. Una seconda ipotesi può considerare il ruolo di tale abbassamento di temperatura alla superficie in concomitanza con la discesa di aria umida: tale condizione favorisce la condensazione dell’umidità al suolo, per altro in un periodo, marzo, che rappresenta il momento di transizione verso il picco della stagione secca prima della stagione monsonica. La temperatura può essere infine vista come effetto di un aumento della copertura nuvolosa, ma in generale quindi semplicemente come proxy dell’apporto di umidità, grandezza fondamentale per la biologia della Locusta del deserto. Da notare il fatto che il regime delle precipitazioni su queste zone, al di fuori del periodo monsonico, è intermittente, erratico. Sotto questa prospettiva sembra essere abbastanza ragionevole che, benchè la pioggia sia una condizione necessaria per lo sviluppo di un ambiente favorevole e quindi un buon sincronizzatore per le riproduzioni, essa da sola non possa costituire il segnale climatico sinottico percepito dalla Locusta del deserto. 3 SERVIZIO OPERATIVO Il servizio DELOMM è disponibile alla pagina web: http://www.ibimet.cnr.it/Case/sahel/ e fornisce previsioni stagionali di pioggia (per il 779


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

mese o il trimestre successivo) per tutta l’area del Sahel espresse in termini di anomalie. Per i paesi Mauritania e Senegal il servizio, attivato in fase pilota, fornisce le previsioni di pioggia a sette giorni con aggiornamento giornaliero e risoluzione spaziale di 0.1°, basate sul downscaling statistico del GFS (global forecast system, NOAA); esso inoltre fornisce le stime di pioggia giornaliera o cumulata su cinque giorni da MSG (Meteosat Second Generation) con una risoluzione di 3Km. Tale servizio è volto a prevenire il verificarsi delle piaghe supportando le istituzioni nazionali e regionali, consolidandone le capacità di monitoraggio delle popolazioni di locuste e delle condizioni meteorologiche in aree chiave, di sviluppo di sistemi di allerta precoce e messa in atto di azioni di controllo preventive. 4 PROSPETTIVE FUTURE La comprensione dei meccanismi meteo-climatici di innesco delle invasioni ha un potenziale enorme nell’implementazione di sistemi operativi di allerta precoce e nella messa in atto di politiche di prevenzione delle infestazioni: le azioni di controllo sulle popolazioni della Locusta del deserto potrebbero infatti essere programmate alla luce di un monitoraggio delle condizioni meteo-climatiche a scala sinottica e focalizzato su zone chiave.

780

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Burt P.J.A., Larkin A.D., Magor J.I., 2000. Bibliography on Upsurges and Decline of Desert Locust Plagues 1925-1998. 2nd edn. Department for International Development, Natural Resources Institute, the University of Greenwich. Cheke R.A., Holt J., 1993. Complex dynamics of desert locust plagues. Ecol. Entomol., 18: 109-115. Pedgley D.E., 1979. Strategy and tactics of control of migrant pests. Philos Trans R Soc Lond B., 287: 387-391. Popov G., 1997. Atlas of Desert Locust Breeding Habitats. FAO, Rome. Rainey R.C., 1963. Meteorology and the migration of desert locusts. Applications of synoptic meteorology in locust control. Technical note 54, Anti-Locust Memoir 7 Anti-Locust Research Centre, London also as WMO 138 T.P. 64, World Meteorological Organization, Geneva. Roffey J., Magor J.I., 2003. Desert Locust population parameters. FAO Desert Locust Technical Series AGP/DL/TS/30. Food and Agriculture Organization of the United Nations, Rome. Symmons P.M., Cressman K., 2001. Desert Locust Guidelines: Biology and behaviour, 2nd edn. FAO, Rome.


Ruolo fotoprotettivo degli antociani in piante di mais esposte a episodi di gelo improvviso durante la fase vegetativa F. Pietrini, A. Massacci Istituto di Biologia Agroambientale e Forestale, CNR, Roma, Italia fabrizio.pietrini@ibaf.cnr.it SOMMARIO: Gli studi sui cambiamenti climatici stanno fornendo indicazioni sugli scenari futuri che il nostro pianeta dovrà sperimentare nei prossimi anni. Uno degli aspetti che è emerso da queste indagini, riguarda la maggiore frequenza con cui si manifesteranno eventi meteorologici estremi. Tra questi possibili fenomeni, le gelate primaverili potrebbero essere estremamente pericolose per la produttività delle specie coltivate. Infatti, l’aumento delle temperature determina un anticipo della stagione vegetativa con la possibilità che l’emissione di nuove foglie vada a cadere in una fase in cui il rischio di gelate è ancora elevato. In base a queste considerazioni, risulta importante individuare negli organismi dei caratteri fisiologici che abbiano la capacità di proteggere la pianta da abbassamenti repentini e improvvisi della temperatura. In questo lavoro definiamo il ruolo degli antociani come pigmenti in grado di ridurre il rischio di fotoinibizione e aumentare la capacità di fotoprotezione, particolarmente in presenza di basse temperature.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO Numerosi studi, legati ai cambiamenti climatici, hanno evidenziato un aumento della temperatura e una diminuzione delle precipitazioni a livello globale negli ultimi decenni. Modelli climatici hanno permesso di simulare simili tendenze anche per gli scenari futuri. Generalmente, tuttavia, tali modelli trascurano o sottovalutano l’effetto rilevante che taluni eventi meteorologici estremi potrebbero avere sulla produzione agricola, come le gelate, o la grandine. Le gelate, in particolare quelle primaverili, sono la calamità naturale più rilevante per la perdita di produzione agricola alle medie latitudini. Nell’ultimo decennio, si sono verificati diversi eventi di gelo che hanno in parte compromesso la produzione frutticola e cerealicola (Zinoni et al., 2002). Le elevate temperature, infatti, anticipano la stagione vegetativa così che le nuove foglie vengono emesse quando il rischio di gelate risulta ancora alto. Inoltre, se le gelate sono associate a giornate limpide e con alta intensità luminosa, gli effetti dannosi risultano anco-

ra più severi. In queste condizioni, l’energia luminosa che arriva ai cloroplasti non è utilizzabile per la fotosintesi e non può essere del tutto convertita in calore. Pertanto, la formazione delle specie reattive dell’ossigeno (AOS) diviene inevitabile e quando la capacità dei meccanismi di detossificazione è superata, tali specie danneggiano i pigmenti, le membrane tilacoidali e i vari componenti dell’apparato fotochimico (Asada e Takahashi, 1987). In condizioni ottimali o di leggero stress, le xantofille possono contribuire alla dissipazione efficiente di questa energia in eccesso, sotto forma di calore, mentre il sistema antiossidante può rimuovere le AOS eventualmente formate. Il mais è una specie tropicale non adatta alla crescita in climi freddi e può patire notevolmente improvvisi abbassamenti della temperatura, soprattutto all’inizio della stagione vegetativa. Una strategia efficace per identificare le specie vegetali in grado di tollerare tale rischio è quella di associare, nella selezione varietale, caratteri fisiologici che conferiscono protezione con quelli, normalmente considerati, legati alla produtti781


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

vità. Per individuare questi caratteri è necessario analizzare specie che crescono in zone climatiche in cui le basse temperature sono abbastanza frequenti. Un interessante esempio è stato studiato in alcune varietà di mais dell’altopiano del Messico, che crescono in zone dove il mais originario della pianura non può essere coltivato (Eagles e Lothrop, 1994). Tra le caratteristiche fenotipiche mostrate dalle varietà di alta montagna c’è la tendenza ad accumulare antociani nei fusti e nelle foglie. Questi pigmenti sono flavonoidi solubili in acqua che sono concentrati nei vacuoli delle cellule ed assorbono la radiazione luminosa compresa tra 400 e 550 nm. La loro sintesi è determinata da fattori ereditari ed è aumentata da alcune condizioni quali la combinazione di basse temperature e alte intensità luminose. Il ruolo degli antociani non è chiaro e può dipendere dalla loro posizione, infatti, possono trovarsi nei vacuoli dell’epidermide inferiore o superiore della foglia, nel cytosol delle cellule del mesofillo, nelle radici, o nel fusto. In alcune specie gli antociani sono stati considerati pigmenti in grado di ridurre la fotoinibizione della clorofilla (Gould et al., 1995). Tuttavia, in molte altre specie l’accumulo degli antociani non sembra avere alcuna funzione fotoprotettiva. Queste osservazioni suggeriscono che il ruolo degli antociani dovrebbe essere studiato più a fondo, specialmente riguardo agli effetti relativi sulla fotosintesi e sugli altri meccanismi fotoprotettivi. Scopo di questo lavoro è stato lo studio del ruolo degli antociani in piante di mais esposte a bassa temperatura, valutandone l’abilità nel ridurre il rischio di fotoinibizione e aumentare la capacità di fotoprotezione, senza limitazione per la fotosintesi.

tura di 25°/20°C giorno/notte, un’intensità luminosa fotosinteticamente attiva (PPFD) di 800 µmol m-2 s-1, un’umidità relativa del 6070% ed un fotoperiodo di 16 ore. Il regolare apporto nutritivo è stato garantito con una soluzione di Hoagland. Un numero significativo di piante di ogni genotipo è stato cresciuto in queste condizioni per due settimane, poi per 2 giorni la temperatura è stata ridotta a 18/16°C, per permettere l’accumulo degli antociani, prima di essere riportata a 25/20°C. Misure di scambi gassosi sono state eseguite su singole foglie utilizzando il sistema HCM1000 (Walz, Germany) per la rilevazione degli scambi gassosi, configurato per la simultanea lettura della emissione di fluorescenza della clorofilla “a”, con il fluorimetro a luce modulata MINI-PAM (Walz, Germany). Una sorgente di luce bianca (KL 1500; Schott, Mainz, Germany) e una rossa, (composta da 6 LEDs; Toshiba, Tokyo, Japan; picco di emissione a 650 nm) sono state usate per l’illuminazione delle foglie durante le misure. La fotosintesi e la conducibilità stomatica sono state calcolate secondo von Caemmerer e Farquhar (1981). La resa quantica del trasporto elettronico attraverso il PSII (∆F/Fm) è stata misurata come riportato da Genty et al. (1989) L’assorbanza fogliare nei due genotipi di mais è stata misurata con uno spettoradiometro, come descritto da Pietrini e Massacci (1998). Infine campioni di foglia, sono stati prelevati in azoto liquido e conservati a -80°C per le analisi dei pigmenti, che sono state effettuate seguendo i metodi descritti da Lichtenthaler (1987) per la clorofilla e i carotenoidi e da Mancinelli (1984) per gli antociani. Tutti i dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza e le medie sono state comparate con il test di Student-Newman-Keuls.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA 3 RISULTATI RILEVANTI Semi di due genotipi di mais (Zea mays L.), HOPI (con antociani) e W22 r-g (priva di antociani) (Petroni et al., 2000), sono stati posti a germinare in vasi di 2 l in camera di crescita. Le condizioni ambientali sono state impostate in modo da mantenere una tempera782

Clorofille, carotenoidi e antociani sono stati misurati nelle foglie di HOPI e W22, cresciute ad un’intensità luminosa di 800 µmol/m2s1 ed una temperatura di 25°C per due settimane e poi esposti per due giorni a 18°C, per stimola-


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Tabella 1: Contenuto di clorofilla “a” , “b”, carotenoidi e antociani nei genotipi HOPI e W22 cresciuti per 2 settimane a 25°C e per 2 giorni a 18°C. Nelle colonne, a lettere differenti corrispondono valori statisticamente diversi (test di StudentNewman-Keuls, P<0.05). Genotipi

Clorofilla Clorofilla Carotenoidi Antociani a b -2

HOPI W22

µg cm 19,0 a 18,9 a

-2

µg cm 5,1 a 4,5 a

-2

µg cm 4,0 a 3,3 a

Tabella 2: Fotosintesi e resa quantica del PSII (∆F/Fm) misurate in foglie di HOPI e W22, esposte per 2 ore a 25°C e 5°C e ad un’intensità luminosa di 1000 µmol m-2 s-1 (PPFD), utilizzando una sorgente di luce bianca (B) e rossa (R). Nelle colonne, a lettere differenti corrispondono valori statisticamente diversi (test di Student-NewmanKeuls, P<0.05). Genotipi Temperatura

-2

µg cm 8,1 a 0,1 b

re la sintesi e l’accumulo degli antociani. Nei due genotipi di mais non sono state individuate differenze significative nel contenuto dei pigmenti ad eccezione degli antociani (Tab. 1). In un precedente lavoro (Pietrini e Massacci, 1998) è stata quantificata, in termini percentuali, la capacità degli antociani di ridurre la radiazione luminosa sui cloroplasti. L’assorbanza fogliare in HOPI, è stata significativamente più elevata rispetto a quella in W22 (89 contro 80%), tuttavia l’effettiva radiazione assorbita dai cloroplasti è stata del 61% in HOPI e 80% in W22. Per verificare se questa riduzione ha avuto un ruolo effettivo nel proteggere l’apparato fotochimico dalla fotoinibizione, sono state utilizzate due sorgenti di luce una bianca e una rossa. La luce rossa prodotta dai LED, è stata usata per il suo stretto spettro di emissione con un picco a 650 nm, che non è assorbito dagli antociani. In Tabella 2 sono riportati i valori di fotosintesi e resa quantica del PSII (∆F/Fm) ottenuti esponendo le foglie di HOPI e W22 ad una temperatura di 25°C e 5°C ed una intensità luminosa fotosinteticamente attiva di 1000 µmol m-2 s-1 per 2 ore. In particolare possiamo notare che il dato di fotosintesi e il valore di ∆F/Fm risultano meno inibiti in HOPI rispetto a W22. Una misura di controllo, utilizzando luce rossa, è stata effettuata per evidenziare che, in assenza di assorbimento da parte degli antociani, le risposte dei due genotipi sono simili. Questi dati mostrano come la presenza degli antociani nel genotipo HOPI non solo non riduca la fotosintesi ma anzi, in presenza di basse temperature, permetta un miglior utiliz-

°C

PPFD

Fotosintesi

∆F/Fm

µmol m-2 s-1 µmol m-2 s-1 unità relative

HOPI

25

1000 (B)

30,6 a

0,44 a

W22

25

1000 (B)

29,7 a

0,36 b

HOPI

5

1000 (B)

7,2 b

0,09 c

W22

5

1000 (B)

1,2 c

0,04 d

HOPI

25

1000 (R)

30,2 a

0,38 b

W22

25

1000 (R)

30,0 a

0,36 b

HOPI

5

1000 (R)

0,2 d

0,02 d

W22

5

1000 (R)

0,2 d

0,02 d

zo della radiazione luminosa diminuendo l’eccessivo carico energetico sui cloroplasti. Per verificare quest’ultimo aspetto le foglie dei due genotipi di mais sono state sottoposte ad un trattamento fotoinibitorio più drastico. In Tabella 3 sono riportati i valori di efficienza del PSII (Fv/Fm) ottenuti esponendo le Tabella 3: Efficienza del PSII (Fv/Fm) misurata in foglie di HOPI e W22, esposte per 2 ore a 5°C e ad intensità luminose crescenti, utilizzando una sorgente di luce bianca (B) e rossa (R). Nelle colonne, a lettere differenti corrispondono valori statisticamente diversi (test di Student-Newman-Keuls, P<0.05). Genotipi

Fv/Fm(B)

PPFD -2

µmol m s

-1

Fv/Fm(R)

unità

unità

relative

relative

HOPI

0

0,81a

0,80 a

W22

0

0,80 a

0,81 a

HOPI

600

0,65 b

0,54 b

W22

600

0,52 d

0,53 b

HOPI

1200

0,57 c

0,40 c

W22

1200

0,38 e

0,38 c

HOPI

2400

0,40 e

0,20 d

W22

2400

0,21 f

0,20 d

783


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

foglie di HOPI e W22 ad una temperatura di 5°C e ad intensità luminose crescenti per 2 ore, utilizzando le due sorgenti luminose, bianca e rossa. Come possiamo notare dai dati, una riduzione del 50% in Fv/Fm è stata rilevata in foglie di HOPI esposte, con luce bianca, ad una intensità luminosa fotosinteticamente attiva di 2400 µmol m-2 s-1. Per avere una riduzione analoga in W22 è stato sufficiente esporre le foglie ad una radiazione luminosa di 1200 µmol m-2 s-1. Al contrario, quando è stata utilizzata la sorgente di luce rossa in tutti i trattamenti luminosi, la riduzione in Fv/Fm è stata la medesima per entrambi i genotipi, ed uguale a quella ottenuta in W22 in presenza di luce bianca. Pertanto possiamo affermare che il ruolo fotoprotettivo degli antociani è legato alla capacità di ridurre il carico energetico sui cloroplasti, in particolare in condizioni di basse temperature. 4 PROSPETTIVE FUTURE Gli studi sui cambiamenti climatici prospettano una maggiore frequenza di eventi meteorologici improvvisi ed estremi, come le gelate primaverili. In quest’ottica risulta fondamentale individuare negli organismi dei caratteri che conferiscono resistenza a questi shock termici. Come riportato in questo lavoro gli antociani possono proteggere da episodi di gelo colture come il mais ed evitare una notevole riduzione della produttività. Pertanto, gli antociani potrebbe rappresentare un carattere importante per selezionare varietà con spiccata resistenza alle basse temperature. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Asada K., Takahashi M., 1987. Production and scavenging of active oxygen in photosynthesis. In: Kyle, D.J., Osmond, C.B., Arntzen, C.D. (Eds.), Photoinhibition. Topics in Photosynthesis, 9: 227-287. Elsevier, Amsterdam.

784

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Tendenze e prospettive climatiche della frequenza di grandine in Toscana e nel centro Italia F. Piani1,2, A.Crisci1, G. De Chiara1, G. Maracchi1, F. Meneguzzo1, M. Pasqui1 Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia Laboratorio per la Meteorologia e Modellistica Ambientale, Firenze, Italia piani@lamma.rete.toscana.it, f.piani@ibimet.cnr.it

1 2

SOMMARIO: I danni da eventi atmosferici estremi sono drammaticamente aumentati negli ultimi anni, causando un aumento dei costi per agricoltori, industrie, compagnie assicuratrici, enti locali. Le rianalisi NCEP-NCAR, con risoluzione 2.5 gradi di latitudine e longitudine sono state usate per identificare delle forzanti da cui ricavare relazioni statistiche per prevedere la frequenza delle grandinate. Le stesse forzanti sono state anche derivate dagli scenari CGCM2-A2 del CCCma (con risoluzione 3.75 gradi di latitudine e longitudine) per valutare i cambiamenti attesi per il futuro nella frequenza. Per gli anni in comune tra rianalisi e scenari, le serie storiche delle forzanti sono comparate per ottenere un’indicazione dell’affidabilità delle proiezioni future della frequenza di eventi di grandine. Da questa analisi risulta una adeguata rappresentazione dei trend passati, dimostrando un aumento significativo nella frequenza di eventi di grandine.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO Gli effetti dei cambiamenti climatici in molti campi si riflettono, tra le altre cose, anche in un aggravio di costi conseguenti a eventi estremi sempre più frequenti e intensi. Non solo eventi con una scala spaziale piuttosto estesa, come alluvioni, mareggiate ma anche fenomeni a scala molto più limitata, come ondate di calore a cui possono essere collegati periodi di siccità, gelate, specialmente tardive, con tutti i problemi annessi per le colture e le piante, grandinate, comportano costi sempre maggiori da fronteggiare. Negli ultimi anni, gli eventi dell’ultimo tipo cominciano ad assumere una crescente importanza, in ambito agrometeorologico. È noto che i danni sono collegati al logaritmo dell’energia cinetica che, considerando una particella sferica, è pari alla quarta potenza del diametro. Mentre in alcuni paesi anglosassoni (Stati Uniti e Nuova Zelanda su tutti) esistono notizie riguardanti la grandine e le sue dimensioni da circa un secolo, in Europa mancano totalmente queste informazioni. In Italia, soltanto la

regione Friuli Venezia Giulia dispone di una rete di monitoraggio, per quanto riguarda frequenza e dimensioni dei chicchi di grandine. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA Questo studio prende le mosse da queste considerazioni per cercare di valutare la possibilità di giungere a una previsione della frequenza degli eventi di grandine e quali possono rivelarsi i mezzi più idonei per una previsione. A tal proposito, uno studio particolarmente interessante si è rivelato quello di Billet et al. (1997) basato su un approccio statistico, l’unico percorribile con pochi dati a disposizione. I dati di base su cui il lavoro è fondato sono le rianalisi NCEP-NCAR (National Centre for Environmental Prediction – National Centre for Atmospheric Research) giornaliere con una risoluzione di 2.5 gradi sia in latitudine che in longitudine e lo scenario climatico CGCM2-A2 del CCCma (Canadian Centre for Climate Modelling and Analysis) con una risoluzione di 3.75 gradi, derivato da un modello accoppiato sulla base 785


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

dello scenario di emissione IPCC SRES “A2” (rapida crescita della popolazione, lento sviluppo economico e tecnologico). Variabili atmosferiche correlate a questi fenomeni e facilmente derivabili dai dati utilizzati sono il lapse rate, definito come differenza di temperature a due quota bariche di riferimento (nel caso in questione 850 hpa e 500 hpa), l’acqua precipitabile, definita come il contenuto di vapore acqueo nella colonna di atmosfera, tra le due stesse quote bariche, e l’umidità relativa, intesa come media tra 850 hpa e 500 hpa. A causa della diversa risoluzione spaziale dei due datasets usati si è reso necessario un resample dei dati di rianalisi, attraverso un algoritmo di interpolazione basato sull’inverso del quadrato della distanza. Le variabili così determinate sono state associate a giorni in cui si sono verificati eventi di grandine e giorni con assenza del fenomeno. Come operazione preliminare è stato effettuato, tra i due diversi insiemi, il test statistico non parametrico di Mann-Whitney (Wilks, 1995) con livello di significatività del 99%, per valutare se le variabili siano significativamente diversi nelle due diverse situazioni. Da questo test è emerso che mentre il lapse rate e l’acqua precipitabile sono significativamente diversi, per l’umidità relativa questa condizione non si verifica. Poiché molte variabili atmosferiche sono correlate, un altro test statistico, quello di correlazione di Pearson (Wilks, 1995) è stato applicato alle combinazioni delle tre variabili considerate, mostrando che l’acqua precipitabile risulta non correlata con alcuna delle altre due variabili, mentre il lapse rate risulta correlato con l’umidità relativa. A causa di queste correlazioni, si rende necessaria una analisi delle componenti principali (Wilks, 1995; Von Storch et al., 1999) per isolare i contributi indipendenti delle singole variabili. Successivamente, sulle componenti principali, viene effettuata una analisi discriminante (Wilks, 1995); (Von Storch et al., 1999) per identificare l’intervallo di valori caratteristici degli eventi di grandine. Come ulteriore risultato di questo processo statistico è possibile associare una probabilità di evento 786

e determinare una relazione tra la direzione discriminante F e la probabilità di evento Y, che massimizzi l’R2. Da ricordare che l’R2 rappresenta la varianza spiegata. Questa equazione, derivata dai dati passati, permette di proiettare nel futuro la previsione dell’occorrenza degli eventi di grandine, utilizzando le variabili derivate dallo scenario climatico, in modo da poter derivare informazioni sulle tendenze del rischio grandine sia nel passato che nel futuro. Da notare che le grandinate seguono naturalmente un ciclo stagionale, concentrandosi essenzialmente nelle stagioni calde, indicativamente da Aprile a Ottobre quando le condizioni ambientali, in particolare la temperatura superficiale del mare nel Mediterraneo, favoriscono i meccanismi di innesco e di sviluppo dei sistemi convettivi, che possono essere considerati come naturali precursori della grandine. 3 RISULTATI RILEVANTI L’attività di ricerca ha portato a concludere che gli scenari climatici hanno mostrato un soddisfacente accordo con i dati delle rianalisi, almeno per quanto riguarda le forzanti che incidono maggiormente sulla frequenza degli eventi di grandine. Su queste basi è stato possibile concludere che la probabilità annuale di occorrenza di eventi di grandine sembra crescere nel prossimo futuro. In particolare, l’occorrenza sembra aumentare specialmente in primavera, anche se con un tasso inferiore rispetto a quello osservato negli ultimi anni. In estate, a fronte di un recente aumento, a partire dalla seconda metà degli anni 70 del novecento, si prevede un andamento sostanzialmente stazionario; in autunno l’accordo tra i dati dei due diversi datasets non sembra, invece, garantire un adeguato grado di affidabilità. Per quanto riguarda le due forzanti principali, si prevede un comportamento futuro opposto, decrescente per il lapse rate e crescente per l’acqua precipitabile. Occorre sottolineare che questi risultati devono comunque essere considerati con cautela per diverse ragioni. La frequenza di eventi di grandine nel passato è


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Figura 1: Tendenza a livello annuale dell’occorrenza di grandine.

stata ottenuta a partire da relazioni statistiche basate sulle rianalisi e calibrate su un campione di osservazioni piuttosto limitato, questo a causa della mancanza di dati a riguardo. Un altro ulteriore elemento di incertezza è dato dalla risoluzione piuttosto grossolana dei dati utilizzati per le proiezioni nel futuro. La tabella 1 riassume alcuni dei risultati ottenuti per la tendenza degli eventi di grandine.

La Tabella 2 riassume, invece, le tendenze dei tre predittori utilizzati Come punto essenziale degli sviluppi futuri di una ricerca di questo tipo è senz’altro da menzionare la verifica delle prospettive della frequenza di eventi di grandine. Questa procedura passa attraverso un potenziamento (se non addirittura la costruzione”) di una adeguata rete di rilevamento di eventi di questo tipo, in modo non solo da ottenere i dati necessari alla verifica, ma per approfondire anche la conoscenza dei possibili meccanismi e l’affidabilità dei diversi modelli nella loro previsione. 4 RICONOSCIMENTI Questo studio è stato finanziato dalla società Assicurazioni Generali. I risultati qui riportati possono essere citati e utilizzati soltanto a scopo di studio e previa autorizzazione del CNR-IBIMET e della società finanziatrice.

Rianalisi CCCma CCCma CCCma (1961-2003) (1961-2003) (2003-2040) (1961-2040) Anno

Positiva

Positiva

Positiva

Positiva

Inverno

Debolmente Nessuna Positiva Tendenza

Nessuna Tendenza

Nessuna Tendenza

Primavera

Positiva

Debolmente Debolmente Nessuna Negativo Positiva Tendenza

Estate

Positiva

Positivo

Positiva

Positiva

Autunno

Positiva

Negativa

Positiva

Positiva

Tabella 1: Tendenza dei fenomeni di grandine.

Rianalisi CCCma CCCma CCCma (1961-2003) (1961-2003) (2003-2040) (1961-2040) Nessuna Tendenza

Nessuna Tendenza

Nessuna Tendenza

Negativa

Acqua Nessuna precipitabile Tendenza

Nessuna Tendenza

Positiva

Positiva

Umidità relativa

Nessuna Tendenza

Nessuna Tendenza

Nessuna Tendenza

Lapse Rate

Negativa

Tabella 2: Tendenza annuale dei predittori. 787


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Billet J., De Lisi M., Smith G.B., 1997. Use of regression techniques to predict hail size and the probability of large hail. Weather and Forecasting, 12(1): 154-164. Changnon S.A., 1997. Trends in hail in the United States, Proc. Workshop on the Societal and Economic Impacts of Weather, Boulder, CO, NCAR, 19-31. Edwards R., Thompson R., 1998. Nationwide Comparisons of Hail Size with WSR-88D Vertically Integrated Liquid Water and Derived Thermodynamic Sounding Data. Weather and Forecasting, 13(2): 277-285. Giaiotti D., Gianesini E., Stel F., 2001. Heuristic considerations pertaining to hailstone size distributions in the plain of Friuli Venezia Giulia. Atmos. Res., 57: 269-288.

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Ondata di calore 2006 in Toscana: il circolo vizioso dell’effetto serra L. Genesio, F.P. Vaccari, F. Miglietta, R. Magno, P. Toscano Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia l.genesio@ibimet.cnr.it SOMMARIO: È noto come il fenomeno delle ondate di calore estive sull'area euro mediterranea sia aumentato in frequenza ed intensità nel corso dell'ultimo decennio, con impatti crescenti sugli ecosistemi e sulla salute umana. Una conseguenza diretta è il maggior utilizzo di impianti di condizionamento. Le ondate di calore come quella dell’estate 2003 o del luglio 2006 fanno ulteriormente aumentare le emissioni di gas serra in quanto si aumenta l’uso dei condizionatori che determina a sua volta un aumento di consumo di energia elettrica L'effetto negativo delle ondate di calore sul bilancio del carbonio, inteso come differenza tra le emissioni e gli assorbimenti da parte della biosfera, non si limita però al solo aumento delle emissioni dovute all’accresciuto fabbisogno energetico dell’uomo, infatti nei periodi eccezionalmente caldi gli ecosistemi forestali sono esposti a condizioni di stress che portano di fatto ad una diminuzione della attività fotosintetica e dunque della capacità di assorbimento della CO2 atmosferica. Un caso di studio riferito all'estate 2006 viene qui analizzato nell'ambito del progetto Osservatorio Kyoto per la Regione Toscana.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO Le foreste svolgono un ruolo insostituibile nel ciclo del carbonio, assicurandone l’immagazzinamento nel suolo e nella biomassa epigea in grandi quantità e in forme stabili. La gestione sostenibile delle foreste e l’uso di prodotti rinnovabili rappresentano probabilmente il più rilevante contributo degli ecosistemi forestali alla riduzione della concentrazione atmosferica di gas serra (GHG), come richiesto dal Protocollo di Kyoto. La capacità del bosco di immagazzinare carbonio nelle piante è però condizionata, oltre che da fattori legati alle pratiche di gestione ed alle condizioni ambientali strutturali, come l'esposizione ed il suolo, anche da quelle di natura congiunturale quali la disponibilità idrica e la temperatura. In particolare questi due ultimi fattori, direttamente legati al clima di una determinata regione, ed all'andamento della stagione meteorologica, determinano la capacità fotosintetica. La variabilità climatica inter-annuale condiziona quindi la capacità di sequestro di CO2 di un ecosistema ed in definitiva determina in parte il bilancio del carbonio di una regione.

A partire dal 2004 la Regione Toscana ha lanciato, in collaborazione con il CNR IBIMET, il progetto Osservatorio Kyoto con la finalità di monitorare il bilancio della CO2 del proprio territorio al fine di mappare le potenzialità di assorbimento e di programmare le scelte strategiche sulla base di dati certi. Altre attività dell'osservatorio sono legate alla sensibilizzazione della popolazione sulle tematiche relative al protocollo di Kyoto ed il supporto alla programmazione regionale. L'attività di monitoraggio svolta dall'Osservatorio si basa su di un approccio multiscala che integra diversi strumenti di rilevamento: le torri di misura dei flussi di CO2 (eddy-covariance) in ecosistemi forestali rappresentativi, le misure di flusso eddy covariance aviotrasportate per l'estensione delle misure a comprensori forestali più vasti ed infine l'utilizzo di modellistica per il calcolo degli assorbimenti per lo sviluppo del bilancio a scala regionale. Questi 3 passaggi permettono di determinare dei cosiddetti coefficienti di assorbimento per le diverse tipologie forestali presenti nella Regione Toscana. Questi coefficienti, che sono costantemente aggiornati e soggetti alla 789


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

normale fluttuazione delle condizioni climatiche, sono poi utilizzati per attribuire un valore ai sink regionali. Dall'altra parte i dati di emissione vengono calcolati tramite la metodologia CORINEAIR e raccolti periodicamente nell'IRSE (Inventario Regionale delle Sorgenti di Emissione in Aria Ambiente). Il presente lavoro sviluppato nell'ambito del progetto Osservatorio Kyoto si concentra sul caso di studio degli effetti dell'ondata di calore del luglio 2006 sugli ecosistemi forestali toscani comparando inoltre la variazione della capacità di assorbimento con la variazione dei consumi energetici regionali mensili. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA La torre micrometeorologica installata dall'Osservatorio Kyoto nel bosco di Lecceto nei pressi di Siena, utilizza la tecnica della Correlazione turbolenta (Eddy Covariance) per misurare gli scambi netti di CO2, vapore acqueo e calore sensibile tra la superficie e l'atmosfera. La tecnica si basa sul principio che il flusso verticale di un’entità in uno strato di turbolenza superficiale è direttamente proporzionale alla covarianza della velocità verticale e direttamente proporzionale alla concentrazione dell’entità stessa (Baldocchi et al., 2001a, b). La correlazione turbolenta misura la sensitività dell’ecosistema alle variazioni del clima, ovvero calcola la risposta dell’ecosistema sia in termini di breve periodo (su base oraria) che di lungo periodo (su base stagionale o annua) alle variazioni ambientali nei processi di controllo dell’assorbimento di anidride carbonica e sullo scambio di vapore acqueo. Misurando direttamente gli scambi di massa e di gas tra il suolo, la vegetazione e l’atmosfera, l’eddy covariance permette di sviluppare specifici algoritmi di calcolo per l’up-scaling delle misure puntuali per stabilire la produttività netta dell’ecosistema e l’evaporazione. La strumentazione di Lecceto montata su di un traliccio metallico alto 15 metri sporge dai 4 ai 6 metri sopra la chioma media del bosco, 790

coprendo un’area di misura (footprint della torre) definita da un cerchio con raggio di circa 500 metri. La strumentazione installata comprende un anemometro sonico tridimensionale per misurare la velocità e direzione del vento ed un analizzatore di gas open-path ad alta frequenza per misurare la CO2 ed il vapore acqueo. I dati vengono acquisiti alla frequenza di 20Hz e archiviati su pc; i flussi vengono calcolati ogni mezz’ora usando i calcoli e le correzioni standard della tecnica eddy covariance (Aubinet et al., 2000; Balocchi, 2003). La torre è installata in un bosco ceduo matricinato con prevalenza di leccio (Quercus ilex L.) con una altezza media della vegetazione di 9-10 metri. Il sito di lecceto è membro della rete mondiale FluxNet per la misura dei flussi di CO2. 3 RISULTATI RILEVANTI Obiettivo di questo studio è analizzare come le ondate di calore impattino sul bilancio del carbonio di una regione sia a causa degli aumentati consumi energetici sia a causa della diminuita capacità di sequestro degli ecosistemi. L’analisi ha riguardato sia i dati dei consumi elettrici toscani del 2006 sia le misure dei flussi di CO2 del bosco di Lecceto presso Siena, una formazione forestale rappresentativa degli ecosistemi toscani. I dati sui consumi elettrici sono forniti dalla società di distribuzione elettrica Terna, sul sito web (www.terna.it). Se escludiamo il mese di Luglio, i consumi elettrici del comprensorio Toscano nella primavera-estate 2006 (Aprile, Maggio, Giugno, Agosto e Settembre) non sono stati molto diversi da quelli del periodo corrispondente dell’anno precedente. Nel 2006 la Toscana ha consumato 8,946 GWh mentre nel 2005 ne aveva consumati 8,878; una variazione pari allo 0.77% in più. Al contrario, nel mese di Luglio l’aumento dei consumi rispetto l’anno precedente è stato di oltre 100 GWh, pari al 5.6% in più. Si può ragionevolmente ritenere che questo aumento sia da imputarsi, per la massima parte all’incremento nell’uso di impianti di


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

condizionamento dell’aria e comunque fattori legati ad eccezionali condizioni di caldo che si sono avute in tutta Europa (Fig. 1) con oltre due gradi di anomalia mensile sulla Toscana. Considerando ora un fattore di emissione medio (600 t CO2 per GWh elettrico), i 100 GWh in più di consumo energetico corrispondono a circa 60mila tonnellate di anidride carbonica in più che sono state immesse nell’atmosfera. Analizzando i dati raccolti dalla torre di misura dei flussi di CO2 dell’Osservatorio Kyoto a Lecceto (Siena), risulta che il bosco è stato un emettitore (source) nel mese di Luglio 2006 pari a 18 g C m-2, mentre, dal confronto con i mesi precedenti e successivi, sarebbe dovuto essere un assorbitore (sink) di circa 47 g C m-2. Al netto quindi, il solo mese di luglio è costato, in termini di carbonio non assorbito/emesso, circa 65 g C m-2 (Fig. 2) Considerando che boschi a prevalenza di leccio e/o sughera coprono in toscana 121,782 ha. (Inventario Forestale Toscano IFT) ne consegue che l’emissione netta di questa tipologia forestale nel mese di luglio 2006 è stata di 294,107 t di CO2, ovvero circa 5 volte l’emissione dovuta all’aumento dei consumi elettrici per gli impianti di condizionamento.

consumi elettrici e ad un maggiore stress per gli ecosistemi, fattori che fanno crescere le emissioni di gas serra le quali provocano un incremento dell’effetto serra che a sua volta si traduce in un nuovo innalzamento delle temperature e così via, in una sorta di circolo vizioso. Se le mutate condizioni del clima rallenteranno la capacità di assorbimento dei boschi questo potrebbe equivalere ad un innalzamento ancor maggiore delle concentrazioni di gas serra in atmosfera. Sarà quindi importante anche nelle azioni di mitigazione e adattamento ai cambiamenti del clima di tenere presenti le capacità delle diverse specie arboree di rispondere al maggiore stress termico: ovvero le cosiddette “Kyoto forest” dovranno essere pianificate con un approccio di adattamento, tenendo quindi presenti le diverse condizioni climatiche cui stiamo andando incontro. A questo proposito una azione di monitoraggio continuato come quella realizzata dall'Osservatorio Kyoto in Toscana rappresenta una base informativa importante per il supporto alla decisione per quanto riguarda le misure di adattamento.

4 PROSPETTIVE FUTURE

Aubinet M., Grelle A., Ibrom A., Rannik Ü., Moncrieff J., Foken T., Kowalski A.S., Martin P.H., Berbigier P., Bernhofer C.h., Clement R., Elbers J., Granier A., Grünwald T., Morgenstern K., Pilegaard K., Rebmann C., Snijders W., Valentini R.,

Questi dati mettono in evidenza come si stia innescando un meccanismo in cui un aumento delle temperature conduce ad un aumento dei

Figura 1: Anomalia della temperatura media mensile del Luglio 2006 rispetto al periodo 1975-2005 (IBIMET CNR dati NCEP-NCAR).

5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Figura 2: grafico dei i flussi giornalieri di assorbimento/emissione di CO2 misurati dalla torre eddy covariance di Lecceto nel 2006.

791


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

Vesala T., 2000. Estimates of the annual net carbon and water exchange of forests: the EUROFLUX methodology. Advances in Ecological Research, 30: 113-175. Baldocchi D., Falge E., Gu L., Olson R., Hollinger D., Running S., Anthoni P, Bernhofer Ch., Davis K., Fuentes J., Goldstein A., Katul G., Law B., Lee X., Malhi Y., Meyers T., Munge J.W., Oechel W., Pilegaa K., Schmid H.P., Valentini R., Verma S., Vesala T., Wilson K., Wofsy S., 2001a. FLUXNET: a new tool to study the temporal and spatial variability of ecosystem scale carbon dioxide, water vapor and energy flux densities. Bulletin of the American Meteorological Society, 82: 2415-2434.

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Un modello di riscaldamento del Mediterraneo: le sorgenti idrotermali sono oasi termofile per insediamento di specie lessepsiane S. Aliani1, A.M. De Biasi2 Istituto di Scienze Marine, CNR, Pozzuolo di Lerici (SP), Italia Centro Interuniversitario di Biologia Marina, Livorno, Italia stefano.aliani@ismar.cnr.it

1 2

SOMMARIO: Esiste un limite metodologico agli studi ecologici sul cambiamento climatico dovuto al fatto che il cambiamento è per sua natura globale ed è quindi estremamente difficile trovare delle vere repliche. L'obbiettivo di questo lavoro è di usare le anomalie di temperatura dell'acqua marina localmente riscaldata da risorgenze vulcaniche superficiali come modello di disturbo climatico per un ecosistema bentico superficiale mediterraneo confrontando i dati con veri controlli. Negli ultimi anni è aumentato il processo migratorio di specie marine conseguente all'apertura del Canale di Suez, con un incremento di specie aliene termofile nei popolamenti mediterranei. Molte dopo essere diventate abbondanti nel Mediterraneo orientale hanno migrato nel bacino occidentale dove hanno trovato oasi tiepide per passare i freddi inverni. In Mediterraneo ci sono varie zone caratterizzate dalla presenza di vulcanesimo secondario in ambienti marini di bassa profondità in questo lavoro sono state studiate le Cicladi. L'ipotesi di lavoro è che le aree geologicamente attive possano sostenere assemblaggi di specie macrobentoniche con presenza di specie termofile non rilevate nelle aree vulcanicamente non attive. La temperatura dell'acqua in estate nel sito attivo era analoga al controllo, mentre dalla fine dell'estate (settembre) è risultata 0.5 °C più alta e a metà inverno 1°C superiore al controllo. La massima differenza di 3,4 °C è stata registrata in febbraio. Nella zona attiva il 40% delle specie è risultata termofila con copertura percentuale variabile. Stypopodium schimperi, alga bruna di origine lessepssiana di dimensioni ragguardevoli, era ampiamente presente nelle aree attive con copertura del 25%. Nella zona con anomalie di temperatura si instaurano condizioni non solo per l'insediamento, ma anche per lo sviluppo di popolazioni termofile residenti in grado di modificare la composizione dei popolamenti originali. L'ecosistema tipico del Mediterraneo attuale, viene modificato mostrando in piccolo un possibile scenario futuro compatibile con un'ipotesi di riscaldamento più globale quando la migrazione di specie da aree più calde potrebbe essere ancora più consistente.

1 INTRODUZIONE Nel Mediterraneo stanno avvenendo importanti cambiamenti dell'ambiente marino e prima che i nostri occhi possano percepirne l'effetto mascroscopico, si possono estendere su una scala così grande che Suess (1997) ha suggerito che "saremo testimoni dell'alba di un nuovo Mediterraneo". In effetti, sono stati registrati dei cambiamenti a grande scala nelle caratteristiche fisico chimiche delle acque profonde del Bacino orientale, fenomeno noto come evento Transiente (Roether et al., 1996) che hanno stravolto l'equilibrio termoalino mediterraneo.

Gli ecologi al contrario, per lungo periodo hanno presunto che le comunità fossero stabili nel tempo e che i cambi registrati fossero dovuti al solo disturbo antropico. Recenti morie di invertebrati bentici a scala di bacino causate da anomalie nei valori di temperatura e nella profondità del termoclino superficiale (Cerrano et al., 2000) hanno chiaramente mostrato come anche egli ecosistemi, pur essendo sistemi complessi e resistenti, mostrano i gravi segni del cambiamento in corso ed è ora ampiamente studiato anche l'impatto climatico sulle comunità. Tuttavia esiste un limite metodologico agli 793


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

studi di impatto dovuto soprattutto al fatto che il cambiamento è per sua natura globale ed è quindi estremamente difficile trovare delle vere repliche. Infatti uno studio sperimentale è possibile solo se si riesce a trovare dei veri controlli dove il forzante oggetto di studio non esiste. È poi necessario osservare che negli ultimi anni è aumentato il numero di segnalazioni di specie marine che entrate nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez vi si sono stabilmente insediate. Queste specie sono dette lessepsiane dal nome del diplomatico francese che ha promosso la costruzione del Canale (il progetto era dell'italiano Luigi Negrelli di Trento). Questo processo migratorio conseguente all'apertura del passaggio con il Mar Rosso, è aumentato dopo l'allargamento del canale che è attualmente 2,5 volte la dimensione del 1975 e 14 volte quella del 1869 data della sua apertura. Oltre alle maggiori dimensioni il canale, attualmente, evita i Laghi Amari che con la loro estrema salinità costituivano una barriera alla migrazione di specie. Questo scenario di migrazioni è favorito da un trend generale di riscaldamento del Mediterraneo sia profondo (Roether et al., 1996; Boscolo e Bryden, 2001) che superficiale (Cerrano et al., 2000) che consente a specie termofile lessepsiane di trovare un habitat favorevole e quindi insediarsi stabilmente. Molte di queste specie dopo essere diventate abbondanti nel Mediterraneo orientale hanno migrato nel bacino occidentale attraverso il Canale di Sicilia e sono state ritrovate anche nelle aree settentrionali (Aliani e Meloni, 1999) dove la presenza di oasi tiepide ha permesso loro di superare i freddi inverni tipici di aree biogeografiche più settentrionali. Ma la segnalazione della presenza di specie termofile non risponde per se alla domanda se la temperatura sia un fattore importante per l'insediamento. L'obiettivo di questo lavoro è di usare le anomalie di temperatura dell'acqua marina come modello di disturbo climatico per un ecosistema bentico superficiale mediterraneo per verificare l'ipotesi dell'influenza della temperatura sulla struttura dei popolamenti. 794

I sistemi idrotermali superficiali sono aree dove per effetto del vulcanesimo secondario esistono in mare forti gradienti dei parametri fisico chimici, inclusa la temperature dell'acqua, in poco spazio. È possibile quindi trovare delle vere repliche a poca distanza dalle stazioni impattate. In Mediterraneo ci sono diverse zone in cui per effetto della subduzione delle placche continentali europea e africana si osserva vulcanesimo secondario in ambiente marino di bassa profondità con emissione di gas (soprattutto CO2) e fluidi caldi. La temperatura in questi vent superficiali non raggiunge quella misurata sulle dorsali oceaniche (>300 °C) a causa degli equilibri tra punto d'ebollizione dell'acqua e bassa pressione, ma comunque arriva a 120 °C (Aliani et al., 2003). Benché la diluizione del calore dai fluidi idrotermali in mare sia poco nota (Johnson et al., 1999) le conseguenze sull'ambiente circostante sono notevoli e descritte nella letteratura (Dando et al., 1999; Morri et al., 1999). Questo studio è stato compiuto nelle Cicladi (Mediterraneo Orientale) ed uno studio analogo è previsto nelle Eolie (Mediterraneo Occidentale) per la fine del 2007. 2 MATERIALI E METODI È stata studiata la costa meridionale dell'isola di Milos e la baia di Paleochori (Mar Egeo) dove si trovano aree geologicamente attive sia su fondale sabbioso con Posidonia oceanica e Cymodocea nodosa che roccioso colonizzato da vari popolamenti algali. Lungo la costa dell'isola sono stati trovati i popolamenti tipici delle zone superficiali dell'Egeo, mentre laddove erano presenti fluidi in uscita dal fondale sono state osservate comunità chemotrofiche basate su varie specie di procarioti chemosintetici. La temperatura dell'acqua è stata misurata per un anno (1996) con sensori Fenwall GB32JM19 con accuratezza ±0.05°C sia in prossimità delle emissioni sia in un'area lungo la costa lontana da esse. Sono stati raccolti 14 campioni di macroepiben-


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

thos tramite grattaggio del popolamento superficiale delle rocce effettuato da un sub in immersione nei pressi delle zone attive e sono state raccolte foto per il trattamento delle immagini. Stime visive del ricoprimento sono state effettuate lungo la costa meridionale dell'isola. 3 RISULTATI E DISCUSSIONE Nella serie di temperatura dell'acqua non sono stati misurati valori estremi per quanto la temperatura dei vicini sedimenti attivi fosse 120°C, mentre i valori della zona di controllo erano in linea con la media del periodo nella zona. In estate la temperatura del sito attivo era analoga al controllo, mentre dalla fine dell'estate (settembre) essa risultava superiore di 0.5°C e nella metà dell'inverno successivo la differenza aveva raggiunto 1°C. La massima differenza di 3,4°C è stata registrata in febbraio. In questo lavoro non ci inoltriamo a spiegare il motivo di questa differenza, ma ci preme sottolineare che la temperatura della zona attiva è risultata più alta e stabile il rispetto al controllo (Fig. 1). La lista delle specie del popolamento algale (Sartoni e De Biasi, 1999) include alcuni aspetti interessanti dal punto di vista tassonomico e biogeografico. In particolare nella zona attiva il 40% delle specie è termofila con copertura percentuale variabile nei vari siti di campionamento. In particolare Stypopodium schimperi, alga bruna di origine lessepssiana di dimensioni ragguardevoli, era ampiamente presente nelle aree attive con copertura del 25% ma non è stata mai trovata nei controlli, come del resto non è mai stata segnalata in precedenza nella zona (Fig. 2). 4 CONCLUSIONI Le nostre osservazioni non spiegano il perchè della differenza di temperatura, ma mostrano chiaramente che l'acqua nella zona con risorgenze vulcaniche è più calda e soggetta a minori fluttuazioni durante l'inverno di quella nell'area di controllo. Nelle zone attive era

Figura 1. Grafico della temperatura dell'acqua a Paleori e nel controllo. Il box ha linee ai valori del quartile inferiore, mediano e superiore of seawater temperature in Palaeochori. Le linee che escono da ciascun box indicano il resto dei dati. Gli outliers sono i dati oltre il limite di queste linee.

Figura 2. Percentuale di specie termofile nel popolamento algale della zona attiva. Barre = errore standard.

rilevante l'abbondanza della specie termofila macroscopica e pluriennale Stypopodium schimperi che viceversa non è stata trovata nelle altre zone. Nell'area con anomalie di temperatura quindi si instaurano condizioni non solo per l'insediamento, ma anche per lo sviluppo di popolazioni termofile in grado di modificare la composizione dei dei popola795


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

menti locali. Il limite maggiore di questo lavoro è dato dal ridotto numero di repliche che è stato possibile analizzare, ma questo lavoro è senza dubbio un survey iniziale su cui basare futuri esperimenti maggiormente mirati. È noto inoltre che molte variabili sono coinvolte nel processo d'invasione di specie aliene e il miglior modo per poter fare previsioni è quello chi valutare la invasività di quella specie in altre aree del mondo. Il nostro studio ha consentito di rilevare che nelle aree con anomalie di temperatura l'insediamento di specie termofile può modificare l'ecosistema tipico del Mediterraneo attuale. Lo scenario descritto rappresenta uno dei possibili scenari futuri compatibili con un'ipotesi di riscaldamento globale che potrebbe incrementare i fenomeni di migrazione di specie da aree più calde ampliando notevolmente la scala spaziale del fenomeno. 7 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Aliani S., Meloni R., 1999. Dispersal strategies of benthic species and water current variability in the Corsica Channel (Western Mediterranean). Scientia Mar., 63(2): 137-145. Aliani S., Amici L., Dando P.R., Meloni R., 1998. Time series of water pressure and bottom temperature in a marine shallow water hydrothermal vent of Milos Island (Aegean sea): preliminary results. Rapports Commission international pour l'exploration scientifique de la Mèr Méditerranée, 35(2): 46-47.

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Microclimatologia dell’involucro urbano T. Georgiadis, F. Rossi, G. Maracchi Istituto di Biometeorologia, CNR, Bologna, Italia t.georgiadis@ibimet.cnr.it SOMMARIO: Il microclima urbano, le architetture e le forme della città influenzano la variazione del benessere fisico e la sua percezione da parte del cittadino. È fondamentale quindi un approccio interdisciplinare che consenta di fissare i criteri per lo studio degli effetti che architettura, morfologia urbana, materiali ed usi degli spazi, hanno sulla percezione della città e sul benessere dei cittadini. Il bilancio energetico di superficie in ambito urbano è condizionato dalle caratteristiche di riflessione e assorbimento dell’energia solare dei materiali utilizzati, dalla struttura della città (canyoning urbano) e dall’attività antropica; la presenza della città agisce quindi sull’albedo, ovvero la frazione della radiazione solare in onda corta attraverso le proprietà ottiche delle superfici, sull’emissione in onda lunga attraverso le proprietà termiche dei materiali, e sulla diversa partizione di questa radiazione nei diversi processi di scambio che sono considerevolmente diversi dagli ecosistemi naturali: si consideri ad esempio l’impermeabilizzazione dei suoli causata dallepavimentazioni che accelera i processi di run-off dal sistema superficiale. Inoltre, la città stessa è fonte di produzione di energia, che si va a sommare a quella della radiazione solare incidente, a causa delle attività antropiche principalmente legate al riscaldamento, o più in generale condizionamento della temperatura indoor, e trasporti. Per i differenti processi che caratterizzano il sistema antropizzato da quello naturale e per le influenze che questi producono sugli organismi viventi lo studio della microclimatologia dell’involucro urbano si presenta come uno dei settori di maggiore sviluppo della Bioclimatologia.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO 1.1 Aspetti sociali ed economici Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO-OMS) il concetto di Salute ambientale è inteso come “Equilibrio ecologico che deve esistere tra l’uomo e il suo ambiente in modo da assicurarne il benessere, che si riferisce all’individuo come entità globale, e ne comporta non solo la salute fisica ma anche quella mentale, e le relazioni sociali ottimali all’interno del suo ambiente. Allo stesso modo il benessere riguarda la globalità dell’ambiente, che va dalla singola abitazione a tutta l’atmosfera.” Alla conferenza mondiale sul clima tenutasi a Mosca nel 2003, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, presentando i dati sugli effetti sulla salute dei cambiamenti globali, ha sottolineato come il clima sia tra le principali cause del malessere e della mortalità tra la popolazione di fascia debole, come bambini ed anziani.

Mentre il tema del Riscaldamento Globale (global warming) ha vasta eco nel mondo scientifico e sui mezzi d’informazione, assai limitato è oggi il dibattito su un’altra forma di cambiamento climatico, di origine prettamente antropica, chiamato “isola di calore” ovvero il riscaldamento, dovuto all’urbanizzazione, della bolla d’aria presente sopra le città di medie e grandi dimensioni. Se il global warming ha comportato un aumento delle temperature medie di 0.5-0.6 °C in un secolo, nello stesso periodo l'effetto delle grandi realtà urbane è stato in molti casi superiore. Ad esempio, la città di Milano in 158 anni ha manifestato un aumento complessivo della temperatura dell’aria al suolo di 2.5°C per la massime e di 0.9°C per le minime. Il nocciolo del problema è che chi vive in città cioè oltre la metà della popolazione mondiale, e domani quasi tutta (si prevede che nel 2030 la percentuale salga al 63%) deve quindi fare i conti più con l’effetto urbano che con il cam-

797


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

biamento climatico globale. Diventa quindi necessario approfondire gli studi su questo fenomeno al fine anche di poter fornire gli strumenti scientifici necessari per un’adeguata pianificazione delle città, potendo così ripensare la città anche in un ottica di benessere termo-igrometrico, ed evitando infine episodi come l’ondata di calore del 2003, che ha portato, anche a causa di un inadeguato sistema di preparazione, alle oltre 35.000 morti in eccesso nella sola Europa occidentale, e ai 4.175 decessi in più rispetto all'anno precedente in Italia. 1.2 Metodologia utilizzata L’interazione che un sistema superficiale, quale può essere appunto una città, ha con la radiazione solare, è rappresentabile da due semplici equazioni: i) Rn = (Swin-Swout) + (Lwin-Lwout) ; ii) Rn = H + λE + G + M . La prima equazione rappresenta il bilancio di radiazione mentre la seconda quello di energia. Queste equazioni parametrizzano in buona sintesi di quello che viene normalmente chiamato il micorclima locale. Infatti Rn, detta radiazione netta, rappresenta la quota di energia che resta nell’ambiente e viene ripartita tra tutti i processi che in questo ambiente si sono verificati, ovvero: partizione della radiazione in onda lunga e corta, e processi di scambio di calore sensibile (H), di calore latente (λE), di calore nel terreno (G), e processi si stoccaggio (M). Come già detto precedentemente solo una quota di quanto ci giunge dal Sole diviene radiazione netta in quanto un’altra parte viene riflessa indietro verso lo spazio a causa delle proprietà riflettenti delle superfici (albedo). La radiazione netta rappresenta anche quell’energia che, se intrappolata nel sistema, darà luogo agli episodi di “onde di calore” e più in generale all’innalzamento termico dei nostri ambienti di vita. Quindi, quando la radiazione solare colpisce un materiale una parte viene assorbita rendendone disponibile l’energia per alimentare dei meccanismi fisico-chimici, 798

mentre l’altra parte viene dispersa in una frazione che è caratteristica del materiale stesso. Tramite misure radiometriche è quindi possibile determinare come i materiali e la morfologia delle superfici influenzino il bilancio di radiazione. Lo sviluppo dell’anemometria sonica, e la messa a punto di sensori in grado di campionare ad altissime frequenze, hanno permesso di effettuare la misura della turbolenza che è il principale meccanismo ‘trasportatore’ delle quantità fisiche scalari. Le misure di correlazione turbolenta eddy covariance possono quindi costituire il supporto ideale per il monitoraggio a lungo termine degli scambi di energia e di materia anche nell’ambito dell’involucro urbano con la determinazione non solo dei flussi energetici che determinano il benessere individuale, ma anche attraverso la caratterizzazione dell’interazione tra il costruito e lo sviluppo della turbolenza che caratterizza il trasporto di materia con forti riflessi sulla diffusione dell’inquinamento. E quindi potendo così fornire indicazioni per la mitigazione dell’impatto sulla salute umana. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA In Italia IBIMET si occupa da anni di queste tematiche, e ad esse ha destinato attività autonoma, oltre che attività dedicata a progetti specifici: è stato appena sottoposto nell’ambito del VII FP EU il progetto PLEW PLanning Energy and Water in the urban environment, quale momento di sintesi di una lunga collaborazione

Figura 1: Proprietà termiche superficiali di diversi materiali dell’ambiente urbano evidenziate mediate termografia infrarossa.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

con il Politecnico di Milano, la Sapienza di Roma, l’Istituto di Climatologia dell’Università di Friburgo, l’Amministrazione Nazionale di Meteorologia e l’Istituto di Idrotecnica dell’Università di Bucarest, il Dipartimento Cambiamenti Ambientali Sociali e l’Awareness Center di Roskilde, il NAGREF di Larissa, e l’ICCI di Londra. Tra queste collaborazioni è utile segnalare quelle con il Prof. Cedo Maksimovic già Chief Advisor dell’UNESCO per l’International Hydrological Programme e con il Prof. Andreas Matzarakis facente parte dell’Advisory Board della International Biometeorological Society. L’attività di ricerca e progettuale ha riguardato appunto lo studio dell’ambiente urbano per la definizione di strumenti operativi volti alla salvaguardia ed al miglioramento del benessere attraverso lo studio dei processi fisici e biologici fondamentali che ivi si svolgono. Tra questi è da ricordare lo studio dei cicli energetici e dell’acqua che oggi così prepotentemente balzano alla cronaca, ma soprattutto l’ottica di studio dedicata al risparmio della risorsa ed alla sua gestione sostenibile

ed i sistemi mitiganti l’impatto sulle fasce deboli della popolazione.

Figura 2: Locandina del Convegno “Il respiro della Città”.

Figura 3: Misure di flussi in centro storico.

3 RISULTATI RILEVANTI Oltre ad una serie di pubblicazioni a carattere scientifico e divulgativo, e la partecipazione in qualità di revisione esperta per il CONAyCT alla messa a punto e verifica della rete micrometeorologica di Città del Messico, tra i risultati rilevanti dell’attività di ricerca svolta in questo settore dall’Istituto IBIMET c’è da sottolineare la realizzazione, in collaborazione con l’Osservatorio Meteorologico Milano Duomo, del convegno a partecipazione internazionale ‘Il Respiro della Città’, svolto a Ferrara nel Giugno del 2006, che ha permesso la messa a punto di una ottica comune, tra ricercatori del settore fisico e ecofisiologico, quelli dell’urbanistica e delle scienze architettoniche ed ingegneristiche, e i tecnici ed amministratori locali, per la definizione degli strumenti utili a gestire lo sviluppo urbano sotto la dicitura: ”uomo, benessere e ambiente urbano nell’era tecnologica”.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

4 PROSPETTIVE FUTURE Gli studi condotti hanno evidenziato le grandi potenzialità applicative di questa tematica sia nell’ambito climatico propriamente detto, sia nella progettazione dell’involucro urbano ai fini della tutela della popolazione e per il miglioramento del benessere. La stretta connessione con le scienze dell’architettura ed ingegneristiche permettono, inoltre, ricerche su nuovi materiali e sulle loro applicazioni. Il tema del risparmio,o più in generale della sostenibilità, si potrebbe avvalere quindi di strumenti operativi, messi a punto da queste ricerche, che invece oggi troppo spesso sono menzionati in ottiche ambientalmente virtuose, ma che mancano poi di trovare effettiva applicazione. Tra le prospettive di più ampia applicabità ed interesse non può mancare una menzione all’accoppiamento tra la conoscenza dei meccanismi ‘fisiologici’ dell’ambiente urbano e lo sviluppo delle previsioni stagionali che permetteranno a questi studi una evoluzione da strumento diagnostico a prognostico per una gestione e pianificazione quotidiana del benessere. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Margelli F., Rossi S., Georgiadis T., Rossi F., 2006. Oasi verdi e trappole d’asfalto. Darwin, 16: 44-49.

800

Poluzzi V., Ricciardelli S., Ferrari F., Ridolfi M., Ruiba S., Franceschi P., Nerozzi F., Ricciardelli I., Rinaldi P., Ascanelli M., Nardino M., Georgiadis T., Brusasca G., Piersanti A., Tinarelli G., Mazzetti M., Rondinini C., 2006. Monitoraggio della qualità dell’aria, studio della turbolenza atmosferica e simulazione di dispersione di inquinanti nel centro storico di Bologna. Qualità dell’Ambiente Urbano III Rapporto APAT, 111-134. Sozzi R., Georgiadis T., Valentini M., 2002. Introduzione alla turbolenza atmosferica. Pitagora Editore, Bologna, pp.525. Sozzi R., Georgiadis T., Salcido A., 2005. Stima dei parametri di rugosità superficiale dell’area metropolitana di Città del Messico. Il Bollettino Geofisico, 1-2: 43-54. Zanini G., Berico M., Monforti F., Vitali L., Zambonelli S., Chiavarini S., Georgiadis T., Nardino M., 2006. Concentration measurement in a road tunnel as a method to assess ‘real-world’ vehicles exhaust emissions. Atmospheric-Environment, 40: 1242-1254.


Cambiamenti climatici: comfort e turismo in Italia centrale M. Morabito1, S. Orlandini2, A. Crisci1, G. Maracchi1 Istituto di Biometerologia, CNR, Firenze, Italia Centro Interdipartimentale di Bioclimatologia,Università di Firenze, Italia m.morabito@ibimet.cnr.it

1 2

SOMMARIO: Fra le attività fondamentali dell’economia italiana indubbiamente quella legata all’attività turistica riveste un ruolo fondamentale per l’intero paese. La fruibilità della grande concentrazione di beni storici, artistici, paesaggistici e culturali che caratterizza il nostro paese è legata alle condizioni bioclimatiche medie che insistono nei mesi di maggiore afflusso turistico, e questo può essere valutato quantitativamente grazie alle conoscenze della biometeorologia tramite opportuni indici di benessere, come il PET (Physiological Equivalent Temperature), che permettono di valutare il grado di comfort termico medio percepito a livello individuale. Inoltre la diversificazione dell’offerta turistica offerta dal territorio, specie nell’Italia centrale, garantendo un continuo arrivo di visitatori provenienti da varie parti del mondo, estende la possibilità di analisi a tutte le stagioni. Lo scopo del lavoro è quello di valutare l’impatto delle variazioni bioclimatiche future sulla fruibilità di specifiche attività turistiche. In questo studio, utilizzando dati di simulazione da scenario, sono state sviluppate analisi di tendenza bioclimatica per tre località rappresentative per il turismo fornendo importanti informazioni per le future attività su base stagionale.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO È particolarmente abbondante la bibliografia che dimostra come i cambiamenti climatici abbiano un impatto rilevante sulla salute umana e su molti aspetti della biologia degli organismi viventi. Nell’area Mediterranea in particolare la situazione è particolarmente a rischio a causa dell’elevata probabilità di eventi critici per la salute come le ondate di calore, con temperature dell’aria elevate e persistenti per molti giorni, spesso associate ad una scarsità di precipitazioni. Il fenomeno termico, tuttavia, diventa significativo anche in inverno ed è evidenziato dall’innalzamento della quota neve, con inevitabili conseguenze sul turismo invernale. Il lavoro si rivolge principalmente al territorio italiano, dove le località sono generalmente interessate ad un clima mediterraneo, caratterizzato prevalentemente da condizioni termiche miti e raramente da condizioni termiche “estreme”. Assieme alle eccezionali caratteristiche storiche, architettoniche e

alla sua posizione geografica molto favorevole, anche il clima contribuisce a rendere il nostro paese uno delle mete favorite dai turisti provenienti da ogni parte del mondo. Questo studio con un approccio squisitamente biometeorologico vuole esplorare la possibilità di eventuali impatti su base stagionale di eventuali cambiamenti bioclimatici, basandosi su serie climatiche ottenute da simulazione con scenari che utilizzano le proiezioni formulate dal SRES IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change). Sono state utilizzate due simulazioni per due scenari “standard” SRES Special Report Emissions Scenarios (IPCC): A2 (più pessimistico, con evoluzione secondo modello “economico regionale”) e B2 (più ottimistico, secondo un modello “sostenibile - regionale”). 2 ATTIVITÀ SCIENTIFICA Sono state prese in considerazione tre località dell’Italia Centrale: Firenze (λ = 11°11' E; Φ = 43°47' N; quota 76 m s.l.m) per il turismo 801


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

legato agli aspetti culturali e storici, Grosseto (λ = 11°70' E; Φ = 42°45' N; quota 10 m s.l.m), per il turismo estivo legato ad attività balneari e ad attività connesse all’agriturismo, ed infine il Monte Cimone (λ = 10°42' E; Φ = 44°11' N; quota 2165 m s.l.m), come sito rappresentativo per il turismo invernale ed estivo di montagna. Gli scenari sono stati ottenuti grazie al progetto CLIMAGRI finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali Italiano, nel quale è stata messa a punto una metodologia di downscaling statistico capace di ottenere serie climatiche giornaliere, dove sono rispettate sia le principali caratteristiche statistiche delle serie di osservazione, sia l’informazione preziosa relativa alle principali tendenze future valide per il periodo 20012080 (Barcaioli et al., 2004). Queste ultime sono state ricavate dalle simulazioni del modello HADCM3 messo a punto dall’Hadley Centre (Pope et al., 2000). Dal punto di vista operativo, quindi, tali scenari consistono in serie giornaliere di temperatura massima e minima, precipitazione, umidità relativa, velocità media del vento e radiazione rendendo possibile la stima di un modello per la valutazione del comfort termico basato sul bilancio di energia del corpo umano, il Physiological Equivalent Temperature (PET) espresso in °C (Matzarakis et al., 1999). Questo è stato valutato per il periodo diurno, tenendo in considerazione nel primo caso la temperatura massima dell’aria (°C), l’umidità minima giornaliera (%), la velocità media del vento (ms-1), la radiazione globale (Wm-2) e il grado di copertura nuvolosa in ottavi, stimata come grado medio di estinzione rispetto al valore teorico per quel giorno. Con le serie di simulazione sono state ricavate le frequenze stagionali dei giorni con disagio termico da caldo e da freddo. La definizione del disagio termico giornaliero è stata effettuata utilizzando le soglie di PET > 41 °C e PET ≤ 4 °C, rispettivamente per il disagio da caldo e da freddo in estate e in inverno, mentre per la primavera e l’autunno sono state scelte soglie di PET > 34 °C (disagio da caldo) e PET ≤ 8 °C (disagio da freddo). Il lavoro presenta l’analisi delle tendenze futu802

re sulle serie degli indici corredate dall’analisi sulle precipitazioni stagionali per ciascun sito. 4 OSSERVAZIONI SPERIMENTALI Dall’analisi delle serie storiche della frequenza stagionale dei giorni con disagio da caldo e da freddo ed in particolar modo dei relativi trend lineari si evince che si ridurrà il disagio da freddo su scala diurna in tutte le stagioni e in tutte le tipologie climatiche dell’Italia centrale (Tab. 1). Si avrà, quindi, soprattutto in inverno, ma anche in primavera e autunno una sensibile diminuzione delle condizioni di disagio termico da freddo particolarmente critiche per la salute, mentre l’estate e le due stagioni intermedie, la primavera e l’autunno, potranno essere contrassegnate da un sensibile aumento della frequenza dei giorni con disagio da caldo (Tab. 2). Un'altra indicazione degli scenari di lungo periodo è quella che la tipologia da scenario (A2 –B2), come si vede nella Figura 1, propone impatti diversi specialmente per il disagio estremo da caldo. A questo, inoltre, va aggiunta, soprattutto nel lungo periodo, una riduzione della frequenza dei giorni piovosi estivi su scala decennale, come mostrato dalla Figura 2. Tabella 1 Inv A2 -0.86 ** -0.90 *** -0.81 ** Est A2 -0.91 ***

Inv B2 -0.79 ** -0.71 * -0.70 * Est B2 -0.91 ***

Grosseto

-

-

Firenze

-

-

Località Cimone Grosseto Firenze Località Cimone

Prim A2 -0.88 *** -0.75 * -0.71 * Aut A2 -0.97 *** -0.71 * -0.87 ***

Prim B2 -0.88 *** -0.82 ** -0.42 Aut B2 -0.84 ** -0.80 ** -0.93 **

*Coefficienti di Pearson per la ricerca del trend lineare 2010-2080 e significatività (P<0.05) nelle serie di scenario relative al disagio da freddo.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Tabella 2 Località

Inv A2

Inv B2

Prim A2

Prim B2

Cimone

-

-

-

-

Grosseto

-

-

Firenze

-

-

Località

Est A2

Est B2

0.91 *** 0.88 *** Aut A2

0.91 *** 0.96 *** Aut B2

Cimone

-

-

-

-

0.98 *** 0.98 ***

0.96 *** 0.97 ***

0.96 *** 0.96 ***

0.83 ** 074 *

Grosseto Firenze

Figura 1: Trend comparati fra gli scenari A2 e B2 della frequenza di giorni con estremo disagio da caldo per Firenze (2010-2080).

*Coefficienti di Pearson per la ricerca del trend lineare 2010-2080 e significatività (P<0.05) nelle serie di scenario relative al disagio da caldo.

5 CONCLUSIONI La pianificazione nello sviluppo turistico dell’Italia centrale dovrebbe tenere conto degli orizzonti bioclimatici previsti nel prossimo futuro. Queste proiezioni ci dicono che la finestra di fruibilità bioclimatica, cioè condizioni termiche favorevoli per la salute, aumenterà nella stagione invernale, quindi adatta per il turismo culturale, mentre si profila un sensibile aumento del disagio termico da caldo non solo durante l’estate, ma anche condizioni da caldo critiche per la salute anticipate in primavera o ritardate in autunno, a danno delle principali attività turistiche. Questo fenomeno si rifletterà, oltre che da un punto di vista termofisiologico, anche da un punto di vista comportamentale da parte di quei turisti che frequentano da tempo, in determinate stagioni, il nostro Paese e che vedrebbero svanire le loro aspettative legate alle condizioni tipiche del nostro clima Mediterraneo. La maggior frequenza di ondate di calore, probabili anche nel periodo primaverile o tardivamente ad inizio autunno, infatti, influenzeranno sensibilmente le attività all’aperto e questo problema investirà in modo maggiore

Figura 2: Serie di scenario futuro della frequenza media decennale dei giorni piovosi estivi per Firenze (2010-2080).

quelle categorie di soggetti a maggior rischio, tra cui turisti anziani. Minori problemi da un punto di vista termico per le attività di turismo costiero, con la sola preoccupazione che una riduzione delle precipitazioni possa accrescere il problema degli approvvigionamenti idrici, specie in quelle località dove l’apporto invernale nei confronti delle falde è strutturalmente insufficiente. Qui l’informazione climatica degli scenari incrocia la problematica della sostenibilità di grossi impianti turistici in zone di per sé vicine alla saturazione o impraticabili per precarietà delle risorse naturali. 6 BIBLIOGRAFIA Barcaioli G., Crisci A., Zipoli G., 2004. "CLIMAGRI - Cambiamenti Climatici e agricoltura - Risultati attività II° anno" UCEA, Roma giugno 2004 - ISBN 88901472-1-0. Intergovernmental Panel on Climate Change, 2001. Climate Change 2001: The Scientific 803


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

Basis, J.T. Houghton e D. Yihui (eds.), Cambridge, Cambridge University Press. Matzarakis A., Mayer H., Iziomon M., 1999. Applications of a universal thermal index: physiological equivalent temperature. Int. J. Biometeor., 43: 76-84.

804

Pope V. D., Gallani M. L., Rowntree P. R., Stratton R.A., 2000. The impact of new physical parametrizations in the Hadley Centre climate model -- HadCM3. Climate Dynamics, 16: 123-46.


Cambiamenti climatici e patrimonio culturale. Contributi sugli effetti dei cambiamenti climatici sul patrimonio costruito e sul paesaggio culturale C. Sabbioni, A. Bonazza, P. Messina Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, Bologna, Italia c.sabbioni@isac.cnr.it SOMMARIO: Sebbene le ricerche sul clima ed i suoi cambiamenti abbiano al giorno d’oggi una importanza prioritaria, fino ad ora non sono stati ancora eseguiti studi approfonditi sull’effetto delle future variazioni del clima sul patrimonio culturale. Il progetto Noah’s Ark, finanziato dalla Commissione Europea, si propone di colmare questa lacuna affrontando per la prima volta la problematica dell’impatto dei cambiamenti climatici sul patrimonio costruito e sul paesaggio culturale. Obiettivo prioritario della ricerca è stato quello di identificare i parametri meteorologici e climatici maggiormente critici per la conservazione del patrimonio culturale europeo e di valutare in modo sia qualitativo che quantitativo gli effetti dei cambiamenti di tali parametri sui beni culturali nei prossimi 100 anni. I risultati ottenuti hanno permesso di produrre un Atlante di Vulnerabilità contenente mappe di rischio su base europea relative ai maggiori rischi per il patrimonio culturale, in cui vengono visualizzati e quantificati i più importanti fenomeni di degrado negli scenari climatici futuri.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO Le tematiche inerenti i cambiamenti climatici stanno attualmente rivestendo un ruolo di grande attualità, sia nel mondo della ricerca che a livello politico. Gli studi che hanno affrontato le problematiche inerenti gli impatti dei cambiamenti climatici si sono focalizzati sugli ecosistemi marini, gli ecosistemi terrestri e la salute dell’uomo. Il patrimonio culturale, in particolare il patrimonio costruito, i siti archeologici e il paesaggio culturale, non sono stati sino ad ora affrontati in programmi e pubblicazioni sia a livello europeo che globale. Fino ad ora i cambiamenti climatici non sono mai stati considerati un fattore che minaccia il patrimonio culturale, che è una risorsa non rinnovabile da trasmettere alle generazioni future (Baer e Snethlage, 1997). Il Progetto Noah’s Ark, finanziato dalla commissione europea, ha lo scopo di colmare la lacuna esistente nel campo della ricerca scientifica riguardo l’impatto dei cambiamenti cli-

matici sul patrimonio culturale, informando al riguardo chi gestisce il patrimonio culturale e sensibilizzando il mondo politico ed amministrativo (Sabbioni et al., 2006). Lo scopo principale è di stimare il danno che il patrimonio costruito e il paesaggio culturale subirà nei prossimi 100 anni da diverse forzanti climatiche, in modo da fornire per la prima volta uno scenario futuro. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA L’approccio metodologico della ricerca ha previsto l’utilizzo dei modelli di ultima generazione dell’Hadley Centre (UK): HadCM3 e HadRM3. Tra i possibili scenari emissivi è stato scelto l’A2 (IPCC, 2000). I periodi temporali scelti per le analisi sono 1961-1990 (periodo di riferimento), 20102039 (vicino futuro) e 2070-2099 (lontano futuro) per l’HadCM3 e il lontano futuro (2070-2099) per HadRM3. L’area geografica selezionata è centrata in Europa e ricopre una regione di longitudine 33° 75'W – 67° 50'E e 805


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

latitudine 80°N – 25°N per il modello generale, e longitudine 30°W – 55°E e latitudine 72°N – 35°N per il modello regionale. La scelta di rappresentare il lontano futuro anche tramite il modello regionale è motivata dal fatto che, considerando il patrimonio costruito, la maggior parte dei fenomeni di degrado agiscono su scale temporali relativamente lunghe e che, dalle prime analisi effettuate, è in questo periodo che avverranno i più significativi cambiamenti dei parametri climatici. Utilizzando i modelli descritti sono state realizzate mappe dell’area europea di medie trentennali relative al periodo di riferimento (19611990), al vicino futuro (2010-2039) e al lontano futuro (2070-2099) e mappe delle differenze tra le medie del vicino futuro e il periodo di riferimento e tra le medie del lontano futuro e il periodo di riferimento per valutare e quantificare l’entità delle variazioni avvenute. L’attività di ricerca svolta ha previsto innanzitutto l’identificazione dei principali fenomeni di degrado che avvengono sui materiali da costruzione e sulle strutture caratterizzanti il patrimonio culturale. Parallelamente sono stati selezionati i materiali sui quali applicare le elaborazioni. In particolare sono stati presi in considerazione marmi e calcari a bassa porosità, arenarie contenenti minerali argillosi, mattoni, metalli, legno e vetro. Tali materiali sono stati scelti in base alla rilevanza artistica e frequenza di utilizzo nel patrimonio costruito in Europa, ed alle tipologie di degrado che più interessano l’area europea. Successivamente si è proceduto a determinare i parametri meteorologici e climatici maggiormente critici per la conservazione del patrimonio culturale e costruito. Essi sono stati suddivisi in: i) parametri correlati alla temperatura, quali variazioni stagionali e annuali di temperatura, cicli di gelo e disgelo e shock termici (i.e. escursione termica giornaliera > 10, 15 e 20 °C); ii) parametri correlati alle precipitazioni, quali valore medio stagionale e annuale, giorni consecutivi di pioggia ed eventi estremi di pioggia; iii) parametri correlati all’umidità, quali cicli di umidità relativa e shock di umidità relativa (variazio806

ne tra 2 giorni consecutivi >25%); iv) parametri correlati al vento, quali valore medio annuale e stagionale, trasporto e deposizione di spray marino e rosa delle precipitazioni; v) parametri correlati all’inquinamento atmosferico i. e. acidità delle precipitazioni e concentrazione di gas, quali SO2, HNO3 e O3 (Brimblecombe, 2005). La fase iniziale del lavoro si è incentrata sulla rielaborazione dei dati di output dei modelli HadCM3 e HadRM3 sia spazialmente, estraendo la finestra europea, sia temporalmente realizzando medie mensili, stagionali e annuali, per renderli più idonei alle analisi successive. In alcuni casi è stata effettuata un’opportuna combinazione dei parametri originali, essendo necessarie grandezze non direttamente disponibili tra gli output del modello. Il lavoro svolto in questa fase ha permesso di ottenere un database di parametri climatici critici finalizzato alla valutazione dell’impatto sul patrimonio culturale (Sabbioni et al., 2007). Si è quindi proceduto allo sviluppo di nuovi software per l’adeguata rappresentazione e visualizzazione, in mappe su base europea, dei dati ottenuti. 3 RISULTATI RILEVANTI Sono state prima di tutto prodotte mappe climatiche relative ai parametri climatici selezionati, allo scopo di fornire indicazioni qualitative dei possibili rischi a cui potranno essere soggetti i beni culturali (ad esempio quantità delle precipitazioni medie annuali, eventi estremi di vento > 20 m/s, ecc.). Dato che i danni che possono subire i materiali di cui è costituito il patrimonio costruito generalmente non dipendono da una sola variabile climatica, ma da loro azioni sinergiche, sono state elaborate combinazioni di parametri che hanno permesso di produrre mappe climatiche complesse, in grado di descrivere le situazioni di maggiore impatto sui monumenti. Per esempio uno dei parametri prodotti è il “wet and frost”, definito come il ripetersi di giorni di pioggia seguiti da gior-


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

ni in cui la temperatura è inferiore a 0°C (Fig. 1). Esso è determinante per la valutazione della formazione di microfratture ed della successiva disgregazione dei materiali da costruzione (ad es. pietre porose, mattoni). Funzioni di danno sono state infine utilizzate per quantificare e prevedere il degrado su specifici materiali da costruzione, rappresentato in mappe definite mappe di degrado. Ad esempio la funzione di Lipfert appositamente modificata è stata utilizzata per calcolare la recessione superficiale dei materiali cartonatici a bassa porosità (Lipfert, 1989), mentre le funzioni elaborate nell’ambito del progetto Europeo MULTI-ASSESS sono state usate per quantificare la corrosione dei metalli (Fig. 2). Un’apposita funzione è stata inoltre elaborata per la quantificazione del degrado subito dalle arenarie contenenti minerali argillosi. Tutte le mappe prodotte sono state raggruppate in un Atlante di Vulnerabilità, allo scopo di fornire uno strumento estremamente utile e di immediata consultazione in grado di dare indicazioni su quali siano le aree Europee di maggiore rischio per la conservazione del patrimonio culturale nei confronti dei vari processi di degrado e parametri climatici ad essi collegati. 4 PROSPETTIVE FUTURE Oltre all’Atlante di Vulnerabilità, fra i principali prodotti del progetto verranno sviluppate strategie di adattamento per la protezione del patrimonio costruito nei confronti dell’impatto dei cambiamenti climatici. Lo scopo finale è la formulazione di linee guida che possano informare chi gestisce il patrimonio culturale e indirizzare verso opportuni interventi di adattamento. I risultati ottenuti nell’ambito del progetto Noah’s Ark, affrontando per la prima volta le possibili conseguenze dell’impatto dei cambiamenti climatici sul patrimonio costruito e il paesaggio culturale, costituiscono una base sulla quale andranno approfondite le molte e svariate problematiche emerse, quali ad esempio il rischio cui sono sottoposte particolari aree dell’Europa.

Figura 1: Eventi all’anno di cicli di gelo-disgelo nel lontano futuro previste dal modello regionale HadRM3.

Figura 2: Mappe delle differenze tra le medie del vicino futuro e il presente e tra le medie del lontano futuro e il presente relative alla corrosione dell’acciaio (modello generale HadCM3).

5 RICONOSCIMENTI Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del Progetto Europeo Noah’s Ark "Global Climate Change Impact on Built Heritage and Cultural Landscapes", finanziato nell’ambito del 6PQ di Ricerca dell’UE (Contr. n. SSPICT-2003-501837). Il lavoro non sarebbe stato possibile senza il contributo dei partner coinvolti nel progetto: University of East Anglia (UK) University College of London (UK) Swedish Corrosion Institute (Svezia) Polish Academy of Sciences (Polonia)

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Czech Academy Sciences (Repubblica Ceca) Institute of Natural Resources and Agrobiology (Spagna) Norwegian Institute for Air Research (Norvegia) Ecclesiastical Insurance Group (UK) Biologia Medio Ambiente Ltd. (Spagna) 6 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Baer N.S., Snethlage R., 1997. Saving our Architectural Heritage: the conservation of historic structures. Dahlem Workshop Reports, Wiley. Brimblecombe P., 2005. THE NOAH’s ARK Project: The Impact of Future Climate Change on Culturale Heritage. The Eggs, Newsletter and Information Service of the EGU 12, 31-33. Gordon C., Cooper C., Senior C.A., Banks H.T., Gregory J.M., Johns T.C., Mitchell J.F.B., Wood R.A., 2000. The simulation of SST, sea ice extents and ocean heat transports in a version of the Hadley Centre coupled model without flux adjustments. Clim. Dyn., 16: 147-168.

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IPCC, 2000. Emissions Scenarios. A special report of IPCC Working Group III. Nakicenovic, N., Swart R (eds.). University Press Cambridge, Cambridge. Lipfert F.W., 1989. Atmospheric damage to calcareous stones: comparison and reconciliation of recent experimental findings. Atmospheric Environment, 23(2): 415-429. Sabbioni C., Cassar M., Brimblecombe P., Tidblad J., Kozlowski R., Drdácký M., Saiz-Jimenez C., Grøntoft T., Wainwright I., Ariño X., 2006. Global climate change on built heritage and cultural landscapes in R. Fort, M. Alvarez de Buergo, M. GomezHeras, C. Vazquez-Calvo (eds.), Heritage, Weathering and Conservation: 395-401. Taylor & Francis Group, London. Sabbioni C., Brimblecombe P., Bonazza A., Grossi C.M., Harris I., Messina P., 2007. Mapping climate change and cultural heritage in M. Drdácký & Chapuis M. (eds.), Proceedings of the 7th European Conference “SAVEUR” Safeguarded Cultural Heritage. Understanding & Viability for the Enlarged Europe: 119-124.


Variazioni climatiche, comfort termico e tipologia di abbigliamento in Italia (1950-2000) Alfonso Crisci1, Marco Morabito2, Laura Bacci1, Giampiero Maracchi1 Istituto di Biometerologia CNR, Firenze. Italia CIBIC, Centro Interdipartimentale di Bioclimatologia, Università di Firenze, Italia a.crisci@ibimet.cnr.it

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SOMMARIO: La scelta dei capi di vestiario è una delle attività quotidiane delle persone influenzata sensibilmente dalle condizioni meteo-climatiche. Dal punto di vista funzionale vestirsi equivale a scegliere il grado di isolamento termico che permette e facilità l’omeostasi termica dell’individuo. La modellistica del comfort termico offre una grande varietà di indici per quantificare lo stato di benessere termico in relazione alle caratteristiche ambientali e personali del soggetto, tra cui l’isolamento termico dei vestiti e il tipo di attività. Alcuni autori propongono proprio l’isolamento termico richiesto per raggiungere un grado soddisfacente di comfort come indice biometeorologico per valutare l’evoluzione climatica di un determinato sito (Yan et al., 1996; Arazny, 2006). In questo lavoro sono presentati i risultati dell’analisi di questo parametro a livello stagionale in tre località rappresentative del territorio italiano e la loro relazione con lo stato dell’arte sui cambiamenti climatici.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO Un approccio alternativo per valutare gli impatti dei recenti cambiamenti climatici sulle abitudini quotidiane delle persone è quello di poter stimare l’evoluzione storica del benessere termoigrometrico in diversi momenti del giorno e per un periodo temporale significativamente lungo. Questo tentativo oggi è possibile grazie allo sviluppo della biometeorologia, ovvero di quella disciplina che studia i rapporti fra esseri viventi e condizioni meteorologiche e climatiche. Attualmente esistono diversi indici biometeorologici capaci di stimare la sensazione generale di benessere e/o di disagio in relazione sia alle condizioni ambientali, e quindi a anche quelle atmosferiche, che l’attività in cui una persona con le proprie caratteristiche sta svolgendo. I più noti sono il Windchill Index e l’Heat Index, rispettivamente utilizzati dai principali servizi meteorologici per stabilire le condizioni di caldo e di freddo, provate da un insieme rappresentativo di individui. Esiste invece un’intera classe di questi indici che derivano direttamente dall’analisi del bilancio ter-

mico umano e sono capaci di proiettare i valori assunti da questo, nelle svariate condizioni possibili, su una scala generale bipolare dove può essere assegnato un punteggio al comfort percepito. Fra questi il più conosciuto è il PMV (Predicted Mean Vote) proposto da Fanger (Fanger, 1970), il quale poi è stato successivamente assimilato nella normativa internazionale ISO soprattutto per gli ambienti indoor (ISO 7730, ISO 9920, ISO 11079). Quest’ultimo indice, per essere calcolato, necessita di avere come ingresso il valore dell’isolamento termico dall’abbigliamento, che poi andrà ad esser messo in relazione con le altri variabili del bilancio umano. Alcuni autori hanno proposto di definire un nuovo indice termico basato sulla grandezza Clo (Nishi et al., 1978), unità di misura dell’isolamento termico dei vestiti, cercando di individuare quale sia il suo livello minimo per ottenere una situazione di comfort, introducendo la grandezza del IREQ-Required Clothing Insulation (ISO 11079 2001), ed altri hanno cercato di utilizzarlo come indicatore della variabilità climatica (Yan et al., 1996; Arazny, 2006). 809


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

2 ATTIVITÀ SCIENTIFICA In questo lavoro ci proponiamo di valutare la variazione dell’indice IREQ triorario a livello stagionale per stazioni significative per il Nord, per il Centro e per il Sud Italia rispettivamente nelle località di Torino Caselle, Roma Ciampino, Palermo Punta Raisi nel periodo 1950-2000. I dati sono quelli sinottici della rete di rilevazione dell’aeronautica militare. La metodologia di calcolo prevede la stima dei valori di temperatura media radiante (Tmrt) con il software Rayman (Matzarakis et al., 2007) grazie al grado di copertura nuvolosa. Dalle serie triorarie di temperatura media dell’aria, umidità relativa, velocità del vento e Tmrt viene calcolato l’indice PMV, da cui per procedura iterativa viene ricavato l’IREQ per raggiungere l’intervallo di benessere (-0,5 < PMV < 0.5). Sono presentati i principali risultati dell’analisi di trend lineare (τ di Kendall) delle serie di Clo minimo invernale relativo sia a condizioni centrali mattutine sia a quelle della parte centrale della giornata. Questo per evidenziare se è modificata o cresciuta nelle persone, in condizioni outdoor, la naturale necessità di dover modificare il proprio abbigliamento durante il corso della giornata negli ultimi cinquanta anni 19502000. Inoltre, nell’eventuale presenza di trend significativo, vedere se questo dato può essere confermato da altre analisi climatologiche. A questo scopo è stato calcolata quella noi definiremo come escursione di Clo,ovvero la differenza fra l’isolamento termico richiesto a metà mattinata e quello delle 13. Nel presente lavoro calcolato in riferimento la sola stazione di Roma. Le condizioni dell’ indice di Clo minimo è, coerentemente con il calcolo generale degli indici di benessere basati sul bilancio di energia, sono quelle riferite ad una persona standard: 35 anni, alta m 1.75, di kg 75 di peso, in attività leggera (80 W) e in posizione eretta. La scelta della stagione invernale, come oggetto dell’attenzione in questo lavoro, è legata alla ovvia importanza attribuita al fattore abbigliamento in questa stagione, specialmente nel contesto italiano. È palese quin810

di che i risultati risentano del gradiente latitudinale presente nel nostro paese, che permette una notevole espressione climatica, grazie alla sua estensione per lo più latitudinale. 3 OSSERVAZIONI SPERIMENTALI I risultati sono presentati in modalità comparativa fra le tre stazioni e organizzati in medie decennali (Fig. 1 e 2 ). Il primo grafico si riferisce alle situazioni mattutine e il secondo a condizioni meridiane. È evidente come la scelta dell’orario influisce in modo significativo sui livelli di Clo minimo, anche se la sottostima della temperatura media radiante, fa ottenere dei valori forse eccessivi. Essendo questo tipo di errore sistematico lungo tutta la serie delle osservazioni, non vengono alterate le proprietà di trend lineare. La presenza nella serie di questo e la sua significatività è stata valutata con la statistica della correlazione non parametrica di cui è fornita la significatività. Tabella 1 Parametro H:AM Clo minimo Clo minimo Clo Escursione

10 10 10 13

TO

RM

PA

-0.4 +0.41 0.16 (**) (**) -0.17 +0.25 0.1222 (**) (**) +0.26 (**)

* Analisi del Tau di Kendall del parametro Clo minimo alle 10 e alle 13 Torino (TO), Roma (RM), Palermo (PA) e la relativa escursione di clo per Roma (RM) fra le 10 e l3.

Sebbene il numero delle stazioni analizzate sia esiguo, la lettura dei risultati della tabella deve essere compiuto avendo ben chiaro le informazioni fornite dalle figure. Durante l’inverno non esistono modiche sostanziali nella richiesta di isolamento termico dell’abbigliamento nella stazione di Palermo. Questo dato è spiegato con l’evidente influenza del fattore marino dal punto di vista climatico capace di attenuare l’impatto di questo tipo di


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

cambiamenti climatici, più evidenti in aree a maggior carattere di continentale. Difatti per Torino il trend è negativo sia nelle ore più mattutine che nelle ore centrali e tale tendenza è stata più evidente nei primi tre decenni del periodo considerato. Questo risultato è legato sia al generale riscaldamento rilevato in Italia (Brunetti et al., 2006). Notevole è il dato delle 13 nel decennio 1991-2000 che mostra un inversione di tendenza e un allineamento sui valori trovati a Roma. Per quest’ultima invece si evidenzia un trend alla crescita dell’isolamento termico minimo, fra l’altro molto marcato proprio negli ultimi due decenni. Un altro risultato è l’aumento dell’escursione di Clo significativo per la cita di Roma. Questo spiega che l’aumento nella richiesta dell’abbigliamento è legato molto probabilmente all’aumento della frequenza di episodi di inversione termica tipici del decennio 1990-2000. L’eventuale condizioni di nebbia, normalmente associate al fenomeno dell’ inversione termica, hanno un impatto negativo drastico sul livello di temperatura media radiante, che risulta essere uno dei parametri più positivamente correlati con il raggiungimento dello stato di comfort termico. I risultati in controtendenza di Torino si possono ricondurre a questo tipo di considerazioni. A conferma di quanto detto le condizioni di cielo a ridotta copertura nuvolosa sono uno dei segnali chiari per la stagione invernale citati da altri autori (Maugeri et al., 2001), che generalmente tengono in scarsa considerazione il fenomeno della nebbia. 4 CONCLUSIONI La generale indicazione di un aumento delle temperature invernali non si traduce immediatamente in un impatto positivo sul benessere termico individuale. Come evidenziato in questa limitata indagine esplorativa la riduzione della nuvolosità invernale può rivelare un impatto diverso da quello atteso nella singola città dove paradossalmente aumenta la richiesta di abbigliamento più isolante dal punto di vista termico. I risultati fanno sup-

Figura 1 Confronto decennale fra la media del Clo minimo invernale ore 10 del periodo 1950-2000 (Torino, Roma, Palermo).

Figura 2 Confronto decennale fra la media del Clo minimo invernale ore 13 del periodo 1950-2000 (Torino, Roma, Palermo).

Figura 3 Serie storica decennale Escursione di Clo minimo invernale fra le ore 10 AM e 13 AM del periodo 1950-2000 a Roma.

porre una spinta alla modifica nell’attività quotidiana del vestirsi, almeno per la stagione invernale e relativamente ad alcune città, e giustifica la richiesta da parte dei consumatori di capi di abbigliamento capaci di essere flessibili nell’assicurare il comfort termico durante l’arco della giornata.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

5 BIBLIOGRAFIA Arazny A., 2006. Variability of the predicted insulation index of clothing in the Norwegian Arctic for the period 1971–2000. Polish polar research, 27(4): 341-357. Brunetti M., Maugeri M., Monti F., Nanni T., 2006. Temperature and precipitation variability in Italy in the last two centuries from homogenized instrumental time series. International Journal of Climatology, 26: 345-381. Fanger P.O., 1970. Thermal comfort. Danish Technical Press, Copenhagen: 244 pp. Matzarakis A., Rutz F., Mayer H., 2007. Modelling radiation fluxes in simple and complex environments—application of the RayMan model. International Journal of Biometeorology, 51(4): 323-334. Maugeri M., Bagnati Z., Brunetti M., Nanni T., 2001. Trends in Italian total cloud amount, 1951-1996. Geophys. Res. Let., 28: 4551-4554.

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Nishi Y., Gonzalez R.R., Gagge A.P., 1978. Clothing insulation as a biometeorological parameter during rest and exercise. International Journal of Biometeorology, 22(3): 177-189. UNI EN ISO 7730, 1997. Ambienti termici moderati. Determinazione degli indici PMV e PPD e specifica delle condizioni di benessere termico. UNI EN ISO 9920, 2001. Ergonomics of the thermal environment – Estimation of the thermal insulation and evaporative resistance of a clothing ensemble UNI ENV ISO 11079, 2001. Evaluation of cold environments, Determination of Require Clothing Insulation, IREQ. Yan Y.Y., Oliver J.E., 1996. The Clo: a Utilitarian Unit to Measure Weather/climate Comfort. International Journal of Climatology, 16(9): 1045-1056.


La scarsità idrica in agricoltura: strumenti di supporto per l’analisi economica e la definizione di politiche sostenibili G.M. Bazzani Istituto di Biometereologia, CNR, Bologna, Italia g.bazzani@ibimet.cnr.it SOMMARIO: Il presente contributo illustra l'attività svolta dall'IBIMET relativamente allo studio dei possibili impatti derivanti da una riduzione della disponibilità idrica per il settore primario, con particolare attenzione agli aspetti socio-economici ed alla definizione di politiche di gestione della risorsa. I risultati acquisiti sono sia metodologici, connessi allo sviluppo di sistemi di supporto, che applicativi e possono favorire il contemporaneo recepimento a livello nazionale e regionale della riforma della Politica Agricola Comunitaria e quello della Direttiva Quadro sulle Acque. Il patrimonio di conoscenze acquisito potrà essere di supporto per gli Enti gestori della risorsa idrica, per le Autorità di controllo e di programmazione in primis le Autorità di Bacino, per le Amministrazioni pubbliche e per tutti i portatori di interessi, in un processo partecipato per realizzare un progetto condiviso di sostenibilità economica, sociale, ambientale ed istituzionale.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO Negli ultimi anni si è verificata una sensibile variazione nella distribuzione dei fenomeni meteorici che si sono rarefatti e concentrati con effetti negativi sulla quantità di acqua accumulata negli invasi e sulla ricarica delle falde. Conseguentemente si sono registrate situazioni di ridotta disponibilità idrica, in particolare nei mesi estivi, che, anche quando non si sono tramutate in situazioni di crisi idrica, sono state oggetto di preoccupazione per la società civile e di attenzione a diversi livelli istituzionali. Il presente contributo illustra l’attività svolta dall’IBIMET relativamente allo studio dei possibili impatti derivanti da una riduzione della disponibilità idrica per il settore primario, con particolare attenzione agli aspetti socio-economici ed alla definizione di politiche di gestione della risorsa sostenibili in termini economici, sociali, ambientali ed istituzionali. La rilevanza della problematica affrontata si evidenzia considerando che l’agricoltura rappresenta circa la metà dei consumi

d’acqua totali e che l’irrigazione contribuisce in modo rilevante al conseguimento di produzioni di alto valore e di qualità (orticole, frutticole, filiera lattiero casearia, ecc.) con importanti ricadute non solo sul comparto agroindustriale, sull’occupazione e sull’esportazione, ma anche sul paesaggio ed il territorio rurale. La scarsità idrica si estrinseca in una crescente conflittualità intersettoriale tra i principali usi (civile, irriguo, energetico ed industriale), ed assume sempre più le caratteristiche di conflittualità territoriale ed istituzionale tra Enti preposti alla gestione della risorsa: Autorità di bacino, Regioni, produttori di energia, enti regolatori dei laghi, concessionari irrigui e tutti gli altri soggetti portatori di interessi. Tale conflittualità nei momenti di maggior acutezza ha richiesto l’intervento del Dipartimento della Protezione Civile quale soggetto istituzionalmente competente per organizzare e disporre, con la dovuta urgenza, interventi idonei a fronteggiare situazioni di crisi con dimensione interregionale. Il quadro normativo di riferimento è particolarmente complesso in quanto intreccia politiche 813


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

L’attività di ricerca dell’IBIMET mira ad individuare gli aspetti salienti del processo di evoluzione dell’agricoltura integrando aspetti agronomici, tecnici, idraulici, ambientali, climatici, istituzionali, normativi, sociali ed economici, con l’obiettivo di favorire l’adozione di percorsi di sviluppo sostenibile. A tal fine predispone strumenti di supporto per l’analisi economica e la valutazione di politiche e realizza indagini e studi spesso in collaborazione con altre istituzioni italiane ed internazionali, pubbliche e private. La PAC è da anni oggetto di un processo di revisione che accompagna l’evoluzione socioeconomica e politica dell’Unione Europea.

Tale processo ha avuto un significativo impulso con l’approvazione della proposta per la Revisione di Medio Termine (Reg. 1782/2003) che ha dato luogo ad una vera riforma, nota come riforma Fischler2. Con la sua entrata in vigore nel 2005 l’Unione Europea ha radicalmente modificato la propria politica agricola incorporando le problematiche della sostenibilità, sociale, economica ed ambientale nella normativa agricola ed è passata da forme incondizionate e garantite di sostegno a strumenti selettivi, orientati alla conservazione e valorizzazione dell’ambiente ed esplicitamente legati (condizionati) ai comportamenti dei beneficiari (agricoltori) ed ai territori (aree rurali). La riforma si propone di sviluppare un settore agricolo multi-funzionale, sostenibile e competitivo, attraverso il quale contribuire anche ad assicurare il futuro delle regioni rurali più deboli, riconoscendo che l’agricoltura ha un ruolo chiave nel preservare la campagna e gli spazi naturali e la vitalità della vita rurale, sancendo il passaggio dell’agricoltura europea da un soggetto principalmente produttore di beni alimentari ad un soggetto erogatore di servizi territoriali. La riforma rappresenta il cambiamento di modello di sviluppo e segna il passaggio da una politica meccanicistica ed unica per tutta l’UE ad un sistema flessibile e decentrato, che lascia agli stati membri ampi margini di manovra, per esempio, sul livello di decentramento regionale da adottare. La politica agricola può ora diventare molto diversa tra paesi, regioni e singoli territori per rispondere a esigenze e scelte locali ed a specifiche situazioni ambientali. La condizionalità rappresenta l’ombrello sotto il quale vengono ora giustificati gli aiuti erogati al settore grazie ai servizi che gli agricoltori sono tenuti ad offrire in termini di protezione ambientale, benessere delle piante e degli animali, sicurezza alimentare. Proprio il recepimento a livello nazionale e regionale della PAC rappresenta un possibile ponte con la DQA ed il sistema delle tutele da

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ambientali ed agricole di diversi livelli: comunitarie, nazionali e regionali. In campo ambientale, a livello europeo assume particolare rilievo la Direttiva Quadro sulle Acque (DQA) 2000/60, che stabilisce un comune quadro di riferimento per la protezione di tutte le acque sul territorio della Comunità e si propone di raggiungere un ‘buono stato’ per tutte le acque a partire dal 2015 (Art. 4)1. Per quanto concerne il settore agricolo la Politica Agricola Comunitaria (PAC) rappresenta un importante elemento trainante del settore, ma una serie di altre forze agiscono in modo diverso sulle dinamiche evolutive dei sistemi agricoli locali e ne condizionano i processi di adattamento. Tra esse un ruolo rilevante assumono la globalizzazione dei mercati ed il rincaro delle materie prime energetiche, che si traducono in variazioni dei prezzi dei fattori e dei prodotti, a cui si aggiungono pressioni urbanistiche e crescenti interessi ambientali. In questo quadro di profondi cambiamenti il mondo della ricerca, tra cui il CNR, studia da anni con grande attenzione le relazioni esistenti tra il clima, i sistemi agricoli e la risorsa idrica con particolare attenzione agli aspetti socio-economici. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA

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European Union, Directive 2000/60/EC of the European Parliament and of the Council establishing a framework for the community action in the field of water policy. Official Journal (OJ L 327) 22 December, 2000.

European Union, Council Regulation (EC) No 1782/2003 of 29 September 2003, establishing common rules for direct support schemes, Official Journal (OJ L 270) 21 October, 2003.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

essa instaurato. Tutela quantitativa, atta a garantire l’equilibrio fra disponibilità e fabbisogni, in conformità con la scala di priorità definita dalla legge Galli in merito agli usi dell’acqua che pone l’uso agricolo secondario solo a quello idropotabile, nel rispetto del Minimo Deflusso Vitale (MDV) in modo da garantire la vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi. E tutela qualitativa nelle forme stabilite dalla legge. A questo riguardo un ruolo determinante rivestono i codici delle buone pratiche agricole che permettono di regolare diverse attività a potenziale forte impatto ambientale in zone sensibili, quali quelle prossime ai corsi d'acqua ed i terreni in pendio, agendo sui periodi di applicazione e le dosi massime per l'utilizzo di fertilizzanti, i metodi di conservazione e di spargimento del letame e dei liquami, la rotazione delle colture ed altre misure di gestione dei terreni. Un ulteriore strumento è rappresentato dalle misure agroambientali inserite nei Piani di Sviluppo Rurale che, basate su accordi volontari con gli agricoltori, permettono di conseguire livelli di qualità ambientale superiori agli standard minimi dietro il pagamento di un’adeguata compensazione per i costi sostenuti, per i redditi mancati e per i servizi ambientali offerti. Tali misure possono essere disegnate in modo flessibile per rispondere alle specificità territoriali ed includere ulteriori misure di contenimento dei consumi irrigui. Quello che emerge dalle analisi svolte è un rinnovato quadro normativo in campo agricolo ed ambientale che ridefinisce le priorità e gli obiettivi, modifica le regole e mette a disposizione nuovi strumenti; la PAC integrando l’ambiente nell’agricoltura propone un percorso finalizzato alla realizzazione di un’agricoltura sostenibile e multifunzionale, orientata verso gli interessi dei consumatori e dei contribuenti e contemporaneamente aperta al mercato. L’IBIMET ha avviato un programma di ricerca finalizzato alla predisposizione di sistemi di supporto per gestire questo processo di cambiamento mediante approcci modellistici di tipo bioeconomico che integrano informazioni climatiche, ambientali, agronomiche,

idrauliche, socio-economiche ed istituzionali. I modelli rappresentano uno strumento consolidato per svolgere analisi quantitative in quanto permettono di descrivere i processi oggetto di studio e di analizzarne le possibili evoluzioni con procedure standardizzate, trasparenti e ripetibili. Utilizzati come strumenti di simulazione si rivelano strumenti di supporto potenti e flessibili nell’ambito di processi decisionali complessi in situazioni di rischio ed incertezza. La loro applicazione permette, infatti, di razionalizzare il processo valutativo, impone la chiara identificazione delle regole e dei criteri decisionali, stimola l’identificazione dei fattori critici e la loro descrizione, e soprattutto permette di ordinare le alternative in modo coerente con i precedenti punti. Il loro contributo consiste nella quantificazione degli impatti, con la considerazione di costi e benefici e della relativa distribuzione tra i soggetti coinvolti, in termini quindi di sostenibilità, efficienza e di equità. Le decisioni su quali alternative debbano essere realizzate esulano invece dall’ambito e dagli scopi delle analisi competendo ai decisori, ma l’uso dei modelli, arricchendo il quadro informativo e riducendo i margini di incertezza sul futuro, può migliorare gli esiti del processo decisionale. 3 RISULTATI RILEVANTI Le ricerche svolte in questi anni hanno consentito il raggiungimento di significativi risultati metodologici ed applicativi. Tra i primi si segnala la predisposizione di un prototipo per un "sistema di supporto per la gestione delle risorse idriche in agricoltura" denominato DSIrr, sviluppato insieme a soggetti privati. Lo strumento è un sistema di simulazione che permette di analizzare in modo unitario l’agricoltura di un’area vasta quale il bacino, considerandone le specificità locali mediante un sistema integrato di modelli aziendali. Permettendo di analizzare in modo congiunto sia le politiche agricole che quelle specifiche per le risorse idriche, si configura come uno strumento di supporto al disegno di misure 815


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

applicative e di intervento in entrambi gli ambiti. La sua caratteristica di piattaforma di simulazione per analisi territoriali lo rende particolarmente adatto al recepimento della DQA che richiede l’adozione di un approccio partecipato a livello di bacino. La metodologia utilizzata adotta un processo di decomposizione gerarchica che scompone una realtà articolata e composita, come quella agricola esistente su un’area vasta, nelle sue componenti costitutive, le aziende rappresentative. Il processo può essere sviluppato con flessibilità, in relazione a specifiche esigenze locali sulla base di analisi conoscitive delle realtà indagata, utilizzando più criteri: geografici, produttivi, tecnici, sociali, economici, ambientali. I modelli aziendali includono un modulo comportamentale che introducendo le regole decisionali permette di simulare il comportamento degli agenti, tali regole possono essere opportunamente differenziate mediante un approccio multicriteriale. Analoga diversificazione viene introdotta relativamente alle dotazioni aziendali, alle tecnologie, ai costi ed ai ricavi. Sulla base delle ipotesi e dei dati, che possono essere fatti variare con la tecnica degli scenari, il programma individua per ogni agente, la miglior combinazione relativamente alle colture praticate, alle tecniche produttive utilizzate, ai volumi irrigui impiegati ed alle modalità di distribuzione e di stimare in modo aggregato gli effetti sul sistema. Le simulazioni anticipando le possibile risposte al cambiamento dei diversi soggetti agricoli, permettono di valutare ex ante i probabili impatti economici, sociali ed ambientali ai diversi livelli della gerarchia in modo comparato mediante un set di indicatori e di identificare la distribuzione dei costi, dei benefici considerando sia il punto di vista privato che quello pubblico. DSIrr può essere utilizzato per valutare scenari alternativi di politica agricola, di mercato dei prodotti e dei fattori, nonché per valutare l’impatto del cambiamento climatico, ad esempio considerando una riduzione della disponibilità idrica in determinati mesi. Il programma è predisposto per la stima di funzioni di domanda dell'acqua e della relativa elastici816

tà, ed alla valutazione di schemi di tariffazione che sono alla base del recupero dei costi da parte degli Enti gestori, recupero che la DQA richiede sia il più completo possibile. 4 PROSPETTIVE FUTURE In situazioni di crescente scarsità idrica la riduzione dei consumi irrigui rappresenta una priorità per il sistema Paese permettendo di liberare risorse che possono essere destinate ad altre finalità. Sul lato dell’offerta, l’adeguamento delle reti di distribuzione rappresenta in molte realtà un’urgenza improcastinabile. Ulteriori possibilità sono connesse ad interventi che favoriscano il riuso della risorsa, la creazione di piccoli invasi in aree di recupero come le cave abbandonate, lo sviluppo di reti di distribuzione duali ed il ricorso a moderne tecnologie quali la dissalazione. Il risparmio della risorsa idrica rappresenta solo uno dei diversi obiettivi connessi alle politiche ambientali ed agricole, ad un esame più approfondito si evidenziano: la tutela della qualità delle acque, il rispetto del MDV, il recupero dei costi da parte degli Enti gestori, richiesti dalla DQA; la qualità degli alimenti e la sicurezza dei consumatori, la tutela dei redditi agricoli, lo sviluppo rurale perseguiti dalla politica agricola; la tutela della biodiversità, del paesaggio e di altri aspetti propri di specifiche politiche ambientali. Il loro perseguimento deve essere cercato nel rispetto di interessi multipli, superando le situazioni di conflittualità mediante procedure partecipate e condivise che in un quadro di crescente scarsità quali-quantitativa operino prevalentemente sul lato della domanda. Gli strumenti a disposizione ci sono, ma vanno opportunamente accordati in un quadro di integrazione delle politiche che promuova le possibili sinergie, spesso specificitamente locali, riconoscendo la multifunzionalità del settore agricolo ed il suo ruolo strategico per lo sviluppo rurale e l’erogazione di servizi territoriali. Le esperienze condotte dimostrano che l’adozione di pacchetti di misure disegnati prevedendo sia l’adozione del principio ‘chi


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

inquina paga’, sia di misure di incentivazione, possono aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse e la sostenibilità del sistema. La tariffazione della risorsa idrica, misura suggerita dalla DQA, in agricoltura si scontra con situazioni particolari che ne limitano la portata a strumento di recupero dei costi degli Enti gestori, i Consorzi, piuttosto che di riduzione della domanda irrigua. Alla base, sia motivi strutturali, connessi alla scarsa diffusione di reti tubate e di misuratori dei consumi effettivi degli utilizzatori finali, che determinano la prevalenza di approcci a tariffa fissa; sia motivazioni di ordine economico. La rigidità della domanda irrigua delle colture ad alto reddito e la grande elasticità di quelle a bassa redditività sollevano, infatti, molti dubbi sull’opportunità di adottare la tariffazione volumetrica. Nel primo caso la sua applicazione determinerebbe una perdita di competitività del settore primario in assenza di riduzione dei consumi, che in questi comparti sono generalmente connessi ad usi efficienti della risorsa. Il suo effetto su colture marginali potrebbe, invece, essere quello di farne sospendere la coltivazione con forti impatti socio-economici negativi su vaste aree rurali prive di reali alternative produttive. In questo secondo caso l’adozione di tecniche irrigue a maggior efficienza distributiva rappresenta una possibilità più teorica che pratica in quanto la mancata convenienza privata all’investimento ne blocca la diffusione3. Le dinamiche osservate in anni recenti evidenziano un generalizzato deterioramento della redditività agricola, nonostante il disaccoppiamento dei contributi introdotto dal recepimento della riforma della PAC abbia limitatamente aumentato i gradi di libertà degli agricoltori relativamente alle scelte produttive e ridotto gli stimoli all’intensificazione produttiva. Tale processo, tuttora in pieno svolgimento, incomincia gradualmente a manifestare i suoi effetti anche sulla domanda irrigua; esso va dunque attentamente monitorato per poter valutare in modo appropriato le alternative localmente disponibili sulla base di dati aggiornati con il supporto di adeguati stru-

menti e modelli. Questo aspetto assume particolare rilievo in quanto costi sproporzionati, motivati e giustificati nei piani di gestione dei bacini idrografici, consentono agli Stati Membri di non applicare le disposizioni per una determinata attività di impiego delle acque, ove ciò non comprometta i fini ed il raggiungimento degli obiettivi della Direttiva. In questo contesto particolare interesse assumono strumenti innovativi quali i mercati per l’acqua intra ed inter-settoriali che richiedono diritti d’uso commerciabili chiaramente definiti e limitati, la loro applicazione non può pertanto prescindere da una rivisitazione del quadro normativo. Gli studi svolti evidenziano l’urgenza di passare da una logica dell’emergenza, oggi prevalente, ad una di pianificazione della risorsa. Questo permetterebbe non solo di ridurre in modo sensibile l’impatto economico connesso alla perdita totale o parziale dei raccolti e potrebbe favorire l’auspicabile adozione di forme assicurative idonee a linearizzare i costi, ma favorirebbe l’adozione di adeguati pacchetti di interventi strutturali e di misure gestionali. Il patrimonio di conoscenze acquisito potrà essere auspicabilmente di supporto al recepimento della DQA per gli Enti gestori, per le Autorità di controllo e di programmazione in primis per le Autorità di Bacino, per le Amministrazioni pubbliche e per tutti i portatori di interessi in un processo partecipato per realizzare un progetto condiviso di sostenibilità. Su queste tematiche il CNR è pronto a fornire il suo contributo. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Bartolini F., Bazzani G.M., Gallerani V., Raggi M., Viaggi D., 2007. The impact of water and agricultural policy scenarios on irrigated farming systems in Italy: An ____________________ 3

I maggiori oneri connessi all’acquisizione degli impianti non vengono compensati, ad eccezione di pochissimi casi, da ridotti costi di gestione ma solo da un minor impiego di lavoro connesso ad una più alta automazione delle tecniche. In imprese familiari, il lavoro diretto dell’imprenditore e dei suoi familiari non rappresenta un costo in quanto non da luogo ad esborsi monetari, ma un fattore da remunerare con il reddito dell’impresa. Sovente gli impieghi alternativi sono ridotti o assenti e la riduzione di lavoro si traduce in una diminuzione di reddito.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

analysis based on farm multi-attribute linear programming models. Agricultural Systems, 93: 90-114. Bazzani G.M., 2005a. A decision support for an integrated multi-scale analysis of irrigation: DSIRR. Journal of Environmental Management, 77(4): 301-314. Bazzani G.M., 2005b. An integrated decision support system for irrigation and water policy design: DSIRR. Environmental Modelling and Software, 20: 153-163. Bazzani G.M., Zucaro R., 2007. Scarsità idrica e Direttiva Acque, politiche e metodologie di analisi: un caso di studio in Italia centrale. Atti workshop del gruppo Sidea Risorse e sostenibilità "Politiche agroambientali e oltre", Bologna, 16 Maggio 2007. Bazzani G.M., Chinnici G., Di Pasquale S., Gallerani V., LaVia G., Nardone G., Raggi M., Viaggi D., Zanni G., 2004. La sostenibilità economico-ambientale dell'agricoltura irrigua italiana. Nuovo Diritto Agrario, IX(1): 189-210. Bazzani G.M., Di Pasquale S., Morganti S., Gallerani V., Viaggi D., 2004. Lo stato dell'irrigazione in Italia: problemi attuali e prospettive. In: “Irrigazione sostenibile la buona pratica irrigua”, Progetto Editoriale Panda, MIPAF, volume 5.

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Bazzani G.M., Di Pasquale S., Gallerani V., Viaggi D., 2004. Irrigated agriculture in Italy and water regulation under the European Union Water Framework Directive. Water Resour. Res., 40: W07S04, doi:10.1029/2003WR002201. Bazzani G.M., Di Pasquale S., Gallerani V., Viaggi D., 2005. Water framework directive: exploring policy design issues for irrigated systems in Italy. Water policy, 7(4): 413-428. Bazzani G.M., Di Pasquale S., Gallerani V., Morganti S., Raggi M., Viaggi D., 2005. The sustainability of irrigated agricultural systems under the Water Framework Directive: first results. Environmental Modelling and Software, 20: 165-175. Berbel J., Gutierrez C. (Eds.), 2005. Sustainability of European Irrigated Agriculture under Water Framework Directive and Agenda 2000, EUR 21220, Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities, available at: www.uco.es/grupos/wadi/wadibook.pdf


Processi decisionali partecipativi per la definizione di strategie di mitigazione dello stress idrico R. Giordano, V.F. Uricchio Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Bari, Italia raffaele.giordano@ba.irsa.cnr.it SOMMARIO: Le strategie tracciate dalla Commissione Europea per la lotta ai cambiamenti climatici fondano le proprie basi su tre assi portanti: la partecipazione, l’innovazione e l’adattamento. Il presente contributo identifica un percorso metodologico che consente di trasferire l’innovazione anche in azioni di sostegno alla partecipazione ed all’adattamento sociale ed economico ai cambiamenti climatici. Infatti, i processi per la definizione ed implementazione di strategie per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, sono fortemente perturbati dalla componente sociale e per questo avvengono in condizioni di elevata complessità ed incertezza. In particolare, nel presente contributo, sono descritte le metodologie sviluppate per raccogliere la conoscenza di tutti i possibili attori coinvolti (stakeholder), per strutturarla e per renderla disponibile quale base del processo decisionale. Tali metodologie, che fanno sostanzialmente riferimento ai Problem Structuring Methods, mirano a supportare il processo di dialogo e dibattito, che prepara la strada a decisioni che possono avere un significativo impatto sulle prospettive future.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO I processi decisionali avvengono in condizioni di estrema incertezza e complessità, che rendono difficilmente prevedibili gli effetti delle politiche e delle strategie individuate. A fronte di tale complessità, i decisori tendono spesso a trascurare l’importanza degli effetti di feedback tra le varie componenti del sistema in esame, a sottostimare l’importanza delle interconnessioni non lineari a prescindere dall’elevata ramificazione delle decisioni. In tali circostanze, problemi che dovrebbero essere più correttamente descritti come situazioni problematiche complesse, vengono compressi in problemi ben definiti e caratterizzati da semplici e lineari relazioni di tipo causa-effetto. Per quanto concerne la ramificazione delle decisioni, è importante sottolineare come la gestione delle risorse idriche sia caratterizzata dalla presenza di un elevato numero di decisori ed attori interessati al processo decisionale. In tali situazioni, le decisioni “unilaterali” creano una falsa efficacia, in quanto la

fase di implementazione potrebbe essere ostacolata dall’emergere di forti opposizioni da parte di attori non coinvolti nel processo decisionale, rendendo le strategie individuate del tutto inefficaci (Kersten e Concilio, 2002). Le decisioni devono essere negoziate nell’ambito di un processo decisionale partecipativo (Castelletti e Soncini-Sessa, 2006), così come richiesto dalla Direttiva Quadro della Comunità Europea (2000/60/EC), che incoraggia fortemente il coinvolgimento di tutte le parti interessate. Come risultato, il ruolo delle metodologie e degli strumenti per il supporto alle decisioni sta cambiando: per un verso essi devono raccogliere la conoscenza esistente sulle problematiche ambientali e renderla disponibile per supportare il dibattito; dall’altro essi possono essere considerati come la piattaforma condivisa attraverso cui il dibattito è organizzato e le differenti forme di conoscenza vengono integrate (Giordano et al., 2007). Nel presente contributo sono sinteticamente descritte le metodologie sviluppate nell’ambito delle ricerche sui processi decisionali par819


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

tecipativi per la gestione delle risorse idriche in condizioni di scarsità. Tali metodologie mirano a supportare la raccolta della conoscenza dei vari attori e la strutturazione della stessa, in modo da renderla disponibile per il processo decisionale.

La metodologia è stata suddivisa in differenti fasi: - strutturazione della conoscenza dei partecipanti; - formulazione del giudizio dei partecipanti; - definizione del grado di consenso.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA

2.1 Strutturazione della conoscenza dei partecipanti Nella metodologia proposta, la strutturazione della conoscenza dei partecipanti avviene mediante l’utilizzo delle Mappe Cognitive (CM). Si tratta di modelli dei “sistemi di concetti” normalmente utilizzati dagli individui per argomentare le proprie opinioni in merito alla natura del problema in esame. Si tratta di una rete di idee legate tra loro da link di carattere causale, che indicano le implicazioni e le premesse dei diversi concetti. Le mappe cognitive sono utilizzate per definire gli interessi e le percezioni dei partecipanti, in modo da evidenziare similarità e differenze (Giordano et al., 2007). La costruzione delle CM avviene mediante questionari e interviste semi-strutturate che mirano a fare emergere le opinioni dei partecipanti in merito a: - i possibili obiettivi da perseguire; - gli ostacoli dovuti alla situazione attuale; - le possibili politiche e strategie per porvi rimedio.

Le attività di ricerca finalizzate allo sviluppo di metodologie innovative a supporto dei processi decisionali partecipativi, sono state essenzialmente focalizzate sulla definizione di metodologie che consentano di raccogliere ed integrare differenti tipi di conoscenza. Particolarmente interessante appare l’integrazione delle conoscenze tecnico-scientifiche, proprie degli esperti, con la conoscenza locale, propria delle comunità che vivono ed operano quotidianamente sul territorio oggetto di intervento. Per la definizione di queste metodologie si è fatto riferimento alla Soft System Methodology (SSM) sviluppata da Checkland (1981), come modo innovativo al problem solving. SSM è considerata come una metodologia per esplorare, investigare e supportare l’apprendimento nelle situazioni problematiche poco strutturate, in cui gli individui continuamente negoziano e ri-negoziano la propria percezione ed interpretazione del mondo. Le differenti percezioni degli individui portano ad una diversa definizione del problema ed alla individuazione di differenti azioni e strategie di intervento (Checkland, 2001). La qualità dei processi decisionali è, dunque, potenzialmente maggiore rispetto agli approcci tradizionali, in quanto l’interazione che avviene durante i processi decisionali partecipativi facilita lo scambio di informazioni e conoscenze tra i partecipanti, conducendo ad una miglior comprensione del problema attraverso processi di social learning. Partendo da tali presupposti, è stata definita una metodologia in grado di supportare i processi decisionali partecipativi, rendendo esplicite le differenze tra gli interessi coinvolti ed agevolando il raggiungimento di un accettabile livello di consenso. 820

2.2 Formulazione del giudizio dei partecipanti Una volta definite le CM dei vari partecipanti, si procede all’analisi delle stesse al fine di definire gli interessi e le priorità dei partecipanti. Tale analisi viene condotta definendo

Figura 1: Esempio di Mappa Cognitiva.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

un grado di importanza dei concetti contenuti nelle CM e tenendo conto della centralità del concetto stesso. Utilizzando il grado di importanza, è possibile definire l’opinione dei partecipanti in merito alle possibili strategie ed azioni. Le operazioni descritte in precedenza vengono effettuate attraverso applicazioni della logica Fuzzy che, grazie alle sue potenzialità, consente di gestire variabili di carattere linguistico. 2.3 Definizione del grado di consenso Le alternative emerse dall’analisi delle CM dei partecipanti vengono valutate misurando il consenso che si aggrega attorno alle diverse alternative. A tal fine, è stato definito un grado di consenso, calcolato considerando la similarità tra le opinioni espresse dai partecipanti in merito alle alternative. Si parte, quindi, dall’assunto secondo cui l’implementazione delle alternative con un elevato grado di consenso potrebbe essere più efficace, data la limitata presenza di possibili conflitti. Il grado di consenso supporta, inoltre, il processo di negoziazione, in quanto rende esplicite le differenze tra gli interessi dei vari partecipanti, consentendo di individuare le alternative su cui è più importante focalizzare la negoziazione stessa (Susskind e Cruikshank, 1987). 3 RISULTATI RILEVANTI Le attività di ricerca summenzionate hanno portato all’implementazione di una specifica metodologia, applicata in più contesti socio-economici a livello nazionale ed internazionale, con riferimento a differenti aspetti inerenti la gestione del ciclo integrato delle risorse idriche. La metodologia sviluppata ha contribuito a fornire indicazioni utili alla definizione di un percorso decisionale condiviso dal basso e che ha supportato i decisori nell’assunzione delle scelte programmatiche. Tale metodologia assume particolare rilevo nell’individuazione delle strategie di mitigazione dello stress idrico derivante dai cambiamenti clima-

tici e nella modificazione dei comportamenti quotidiani, attraverso un adattamento sociale dinamico e sostenibile. Tale metodologia, infatti, facilita il coinvolgimento degli stakeholder, supportando i processi decisionali partecipativi. In aggiunta la metodologia favorisce la raccolta della conoscenza collettiva, rendendo espliciti gli interessi e le necessità manifestate da differenti categorie sociali ed economiche. Altra questione che è stata affrontata e risolta nell’ambito delle attività di ricerca afferenti a tale area, riguarda la strutturazione della conoscenza emersa durante il dibattito, al fine di fornire ai decisori finali informazioni che siano realmente utili. In particolare, la strutturazione della conoscenza in mappe cognitive e l’analisi della similarità tra le opinioni dei partecipanti, consente di utilizzare il grado di consenso quale ulteriore criterio per la valutazione delle possibili alternative. In tal modo, come affermato in precedenza, si potrebbe facilitare la fase di implementazione, limitando l’emergere di possibili conflitti. È opportuno ribadire che l’analisi degli interessi concorrenti e contrapposti ed i processi partecipativi informati riducono notevolmente le conflittualità interne alla società civile e quelle tra Amministrazione e differenti classi, giungendo ad ampie intese nella definizione di scelte, che una volta trasferite sul territorio in opere e programmi, dimostrano un’efficacia di gran lunga superiore a quelle maturate da processi tradizionali unilaterali. Esistono dei delicati equilibri tra informazione, partecipazione ed adattamento. Informazioni non corrette sul piano scientifico, tecnico e sociale, possono produrre decisioni inadeguate o non facilmente accettate e valorizzate dalle comunità. Occorre pertanto che i tre assi definiti dalla Comunicazione della Commissione Europea “Vincere la battaglia contro i Cambiamenti climatici” (informazione, partecipazione ed adattamento) possano essere opportunamente applicati per rendere efficaci le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici e di trasferimento delle innovazioni sviluppate dal mondo scientifico (Fig.2). 821


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Figura 2: Informazione – partecipazione – adattamento, tre elementi fondamentali per la definizione e implementazione di politiche e strategie.

La metodologia sinteticamente descritta è stata implementata nell’ambito di sperimentazioni applicative regionali e di numerosi progetti di ricerca nazionali ed internazionali, ai quali si rimanda per gli eventuali approfondimenti. 4 PROSPETTIVE FUTURE L’approfondimento scientifico relativo alle metodologie funzionali all’incremento dell’efficacia dei processi partecipativi, assume particolare rilevanza su un tema di così ampia portata quale quello dei cambiamenti climatici, in cui la più importante decisione politica, il più innovativo risultato della ricerca, il miglior programma d’interventi, rischia di perdere incisività se non inquadrato in un contesto di opportuna concertazione e di condivisione. La decisa attenzione della Commissione Europea ai processi partecipativi ed all’informazione ambientale, ribadita in numerosi Trattati, Accordi internazionali, Direttive, Regolamenti, Decisioni del Consiglio, Linee Guida, Libri Bianchi, Posizioni Comuni, etc., lascia intravedere interessanti prospettive di

822

ricerca che possono fornire un concreto contributo nelle fasi di informazione, partecipazione, negoziazione, costruzione del consenso, concertazione e nei processi di maturazione dei comportamenti quotidiani di tutti i cittadini europei: gli unici che nelle varie posizioni istituzionali e sociali, possono concorrere fattivamente alla mitigazione degli effetti dei fenomeni climatici ed alla concretizzazione e valorizzazione delle politiche, delle innovazioni e delle buone pratiche. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Castelletti A., Soncini – Sessa R., 2006. A procedural approach to strengthening integration and participation in water resources planning. Environmental Modelling & Software, 21: 1455-1470. Checkland P., 1981. System Thinking, System Practice. Wiley, Chichester, UK. Checkland P., 2001. Soft System Methodology. In Rosenhead, J., Mingers J. (eds) 2001. Rational Analysis for a Problematic World. John Wiley and Sons, Chichester, UK. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Vincere la battaglia contro i Cambiamenti climatici” {SEC(2005) 180} - Bruxelles, 9.2.2005 COM(2005) 35 Giordano R., Passarella G., Uricchio V.F., Vurro M., 2007. Integratine conflict analysis and consensus reaching in a decision support system for water resources management. Journal of Environmental Management, 84: 213-228.


La costituzione di una banca dati agrometeorologica e socio-economica per l’analisi dei cambiamenti climatici nella regione saheliana M. Bacci, T. De Filippis, A. Di Vecchia, P. Vignaroli, V. Tarchiani, G. Maracchi Istituto di Biometeorologia, CNR, Firenze, Italia m.bacci@ibimet.cnr.it SOMMARIO: Il Sahel è una delle regioni al mondo in cui le componenti climatiche hanno un ruolo determinante nella sopravvivenza delle popolazioni residenti. In questo lavoro si vuole evidenziare l’importanza della disponibilità di una base dati comune a diversi paesi per sviluppare strategie ed analisi delle dinamiche del territorio dovute a fattori climatici e antropici per mettere in atto le conseguenti operazioni di mitigazione degli impatti. Le attività svolte negli ultimi dieci anni nell’ambito di progetti di cooperazione e ricerca del CNR in Africa occidentale hanno permesso di sviluppare e mantenere aggiornata una banca dati omogenea in nove paesi del Sahel per i domini della agrometeorologia, della demografia, dell’agricoltura e della zootecnia. Tale lavoro permette ai differenti servizi nazionali deputati al monitoraggio e alla presa di decisioni nell’ambito della sicurezza alimentare di avere una base consistente su cui appoggiare le analisi sull’impatto dei cambiamenti climatici.

1 LA VULNERABILITA ALIMENTARE NEL SAHEL L’analisi della vulnerabilità alimentare dei paesi del Sahel si inserisce nel contesto più generale della sicurezza alimentare di questi popoli, divenuta argomento di primaria importanza dopo i numerosi episodi di carestie verificatesi a partire dal 1970 fino ad oggi nell’Africa dell’Ovest che hanno portato a crisi alimentari particolarmente gravi, come nel 1973 e nel 1984.

Figura 1: I paesi del Sahel

Considerando la forte dipendenza della popolazione di questa regione a sistemi produttivi basati su agricoltura e allevamento (Bacci et al., 1992) si comprende facilmente come il clima rappresenti uno dei principali fattori limitanti per la possibilità di sussistenza soprattutto per le popolazioni residenti in ambiente rurale. La degradazione delle risorse naturali, in particolare nel Sahel, è un fenomeno che è molto accentuato in questi ultimi anni a causa del forte incremento demografico della popolazione (Wezel, 2002). Il monitoraggio e la valutazione della degradazione delle risorse naturali e le tendenze climatiche in corso rappresentano dunque parte fondamentale di un intero sistema strutturato finalizzato alla prevenzione e mitigazione delle crisi alimentari. La costituzione di una banca dati agrometeorologica e socio-economica comune a più paesi rappresenta uno dei primi passi nell’ottica di fornire un informazione appropriata ai decisori nell’ambito dell’analisi della sicurezza alimentare, nell’identificazione di zone a 823


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

rischio o d’intervento per aiuti umanitari così come nello sviluppo e nel supporto alla produzione agricola (Vignaroli et al., 2006; Di Vecchia et al., 2006). 2 LA COSTITUZIONE DI UNA BANCA DATI REGIONALE Il progetto Suivi de la Vulnérabilité au Sahel (SVS) (www.ibimet.cnr.it/Case/SVS/) finanziato dalla Cooperazione Italiana e sviluppato con il supporto tecnico del CNR-IBIMET si inserisce nel processo di consolidamento delle esperienze acquisite dal progetto Projet Alerte Précoce et Prévisions des Productions Agricoles (AP3A) (www.ibimet.cnr.it/Case/ap3a/) con l’obiettivo di meglio rispondere ai bisogni delle differenti istituzioni che operano nella prevenzione delle crisi alimentari e nella gestione delle risorse naturali dei paesi della fascia sub-sahariana ed in particolare i paesi Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Guinea Bissau, Mauritania, Mali, Niger e Senegal. Una delle principali caratteristiche della regione è la forte differenza fra il tasso di crescita della popolazione e la mancanza di terreni sfruttabili dal punto di vista agronomico: questa situazione provoca una forte pressione sulle risorse naturali con effetti che in alcuni Tabella 1: Popolazione residente (fonte: istituti nazionali di statistica) Migliaia di abitanti

Anno censimento

Burkina Faso

12.345

2006*

Chad

8.080

2003

450

2000

Gambia

1.038

1993

Guinea Bissau

1.180

2004

Mali

9.810

1998

Mauritania

2.508

2000

Niger

11.060

2001

Senegal

9.552

2002

Paese

Capo Verde

* risultati provvisori 824

casi possono essere devastanti. La produzione agricola è soprattutto incentrata sui cereali destinati all’autoconsumo, mentre la diffusione delle colture da reddito rimane decisamente limitata a zone con elevata disponibilità irrigua determinata dalla presenza di grandi corsi d’acqua (Senegal, Niger) o da una maggior pluviometria. L’utilizzo di fattori di produzione è scarsamente diffuso. Nell’ottica del progetto di costruire un Sistema Integrato per l’Allerta Precoce (SIAP) la costruzione di un database relazionale comune ai differenti paesi e nei differenti domini di interesse rappresenta le fondamenta dell’intero sistema (Djaby et al., 1998) La raccolta omogenea di dati ha riguardato due tipologie di dati: - dati tabulari (agricoltura, allevamento, demografia e meteorologia); - dati geografici (cartografia tematica). Il Sistema di Gestione di una Banca Dati (SGBD) socio economica e climatica rappresenta lo strumento messo in atto per la gestione e interrogazione per permettere delle elaborazioni finalizzate alla costruzioni di analisi di rischio. Il sistema è stato concepito per tre livelli di utenti finali: gli amministratori, l’utente esperto e l’utente generico. Gli amministratori hanno il ruolo di gestire il sistema nel suo insieme e fornire l’accesso alle differenti funzioni agli altri utenti. Gli utenti esperti non hanno accesso alle funzioni di amministrazione ma hanno la possibilità di introdurre e modificare i dati. Gli utenti generici possono effettuare sul sistema solo operazioni di consultazione (Di Vecchia et al., 2001). Gli amministratori del sistema e gli utenti esperti hanno a disposizione un’interfaccia grafica che li aiuta ad inserire le informazioni all’interno della banca dati secondo regole e standard definiti, in maniera tale che tutti i dati immessi rispondano alle caratteristiche di uniformità necessarie per un interrogazione comune da parte dell’utente finale. I parametri agrometeorologici raccolti nella banca dati, su circa 1300 stazioni meteorologiche presenti nei paesi, sono stati elaborati a


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Figura 2: L’ambiente SGBD.

partire dai dati giornalieri di stazione per produrre indicatori di valutazione del rischio agricolo tra i quali: l’inizio, la lunghezza e la fine media della stagione agricola pluviale, le analisi sulla lunghezza dei periodi secchi, il tasso di soddisfazione delle colture in periodo umido, i cumuli pluviometrici e il numero di giorni di pioggia. Questi dati sono stati raccolti presso le differenti Direzioni della Meteorologia dei vari paesi e coprono tutto l’arco temporale di dati dall’installazione della stazione stessa che in alcuni casi risalgono fino ai primi anni del ‘900 fino ai nostri giorni. Prima di essere immessi nel sistema questi dati vengono controllati e validati al fine di garantire una qualità e una affidabilità dell’informazione stessa. I dati sono quindi strutturati e modellizati secondo le regole previste dal sistema al fine di garantire una flessibilità nell’introduzione di ulteriori tipologie di dato e da fonti diverse senza ricostruire il sistema stesso. Ogni set di dati introdotto è corredato di metadati che ne indicano fonte, copertura temporale e altre informazioni necessarie al fine di migliorare visibilità e accesso del dato stesso. Tutte le operazioni sui dati avvengono tramite identificazione dell’utente, di conseguenza della tipologia di operazioni che può effettuare sui dati al fine di garantire una certa sicurezza nell’integrità finale del dato. La funzione di interrogazione della banca dati genera delle tabelle direttamente esportabili in

formati utilizzabili da altri programmi di gestione banche dati o da fogli di calcolo. Tramite l’introduzione di un parametro di codificazione spaziale il dato può essere rappresentato attraverso dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) per procedere ad analisi spaziali e per costruire carte tematiche personalizzate. La raccolta e gestione dei dati geografici avviene attraverso il Sistema di Analisi Territoriale (SAT) che ha come funzione principale l’integrazione della banca dati tabulare al fine di meglio rispondere alla necessita di visualizzare spazialmente sul territorio un dato fenomeno. Questo modulo rappresenta la pietra miliare del SIAP per la caratterizzazione del territorio secondo criteri di rischio strutturale e congiunturale. Il SAT raggruppa in se tutta la componente di analisi spaziale propria di un GIS permettendo quindi all’utente finale di comprendere subito quale è la dimensione spaziale dei fenomeni e anche della loro evoluzione temporale. I dati utilizzati per l’analisi territoriale provengono principalmente dall’SGBD. Come accennato precedentemente le richieste effettuate sui moduli del sistema di gestione banche dati rappresentano la base per costruire analisi attraverso la costruzione di prodotti intermedi e/o prodotti finali che saranno utilizzati poi da altre applicazioni. 3 RISULTATI OTTENUTI Le metodologie, le tecniche e gli strumenti per utilizzare e gestire queste informazioni

Figura 3: Esempio di carta SAT.

825


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

sono stati distribuiti nei paesi attraverso supporti informatici, corsi di formazione, materiali didattici e lo sviluppo di pagine web. Tabella 2: Diffusione prodotti del progetto Prodotto

Quantità

Tematismi SAT

Oltre 600

SGBD

3500 CD

Visualizzatore GIS e BD SAT

3000 CD

Formazione amministrazione SGBD

50 tecnici

Formazione altri strumenti

300 tecnici

Tra i prodotti sviluppati si segnalano sinteticamente i seguenti strumenti e formazioni dispensate nei nove paesi durante le attività di progetto. La disponibilità di una banca dati così solida ha permesso lo sviluppo in cascata di tutta una serie di strumenti di analisi dei dati finalizzati ad un più facile utilizzo dell’informazione anche da parte di utenti non necessariamente esperti in banche dati o in GIS. Queste attività hanno reso possibile l’analisi di trend della vegetazione legati ad aspetti climatici per la caratterizzazione del territorio secondo la dinamica della vulnerabilità. Inoltre l’analisi delle serie storiche climatologiche fornisce un input ai modelli di simulazione per definire scenari futuri sulla sicurezza alimentare delle popolazioni del Sahel. 4 PROSPETTIVE FUTURE Il consolidamento di questo processo di raccolta e registrazione dei dati climatici e socioeconomici rappresenta un nodo fondamentale per il poter proseguire nel processo di analisi attraverso le serie storiche. Il trasferimento di conoscenze e la diffusione di mezzi sostenibili finalizzati a proseguire questa attività sono la garanzia per far continuare e approfondire le ricerche in questo settore. L’aggiornamento dei contenuti della banca dati dovrà tener di conto delle nuove elaborazioni prodotte con i recenti strumenti di telerilevamento da satellite che rappresentano un valido supporto di analisi soprattutto per le 826

aree scarsamente popolate. La diffusione di internet e lo sviluppo dell’informatica rende ogni giorno più accessibile una serie di informazioni anche in paesi tecnologicamente arretrati. Questa possibilità rappresenta indubbiamente un grande vantaggio nella diffusione delle informazioni prodotte e per questo si dovrà dedicare attenzione allo sviluppo di strumenti atti a facilitare questo tipo di opportunità. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Bacci L., Maracchi G., Senni B., 1992. Les stratégies agrometeorologiques pour les pays sahéliens, Actes de séminaire, Florence 7 au 10 juillet. CILSS-OMMCooperation Italienne. Di Vecchia A., Djaby B., Vignaroli P., 2006. Les crises alimentaires et les systèmes de prévision au Sahel. Réunion annuelle du Réseau de Prévention des Crises Alimentaires au Sahel, Bruxelles, Belgium. Di Vecchia A., Koné B., Djaby B., Moussa L., Tarchiani V., De Filippis T., Paganini M., Vignaroli P., 2001. La banque des données tabulaires du Système Intégré pour l'Alerte Précoce. Projet AP3A CILSS-OMMCooperation Italienne, Nimey, Niger. Djaby B, De Filippis T., Koné B., Vignaroli P., 1998. Les bases de données et leur integration dans un système d’information d’aide a la decision «cas d’un systeme integre pour l’alerte precoce». Projet AP3A CILSS-OMM-Cooperation Italienne, Nimey, Niger Vignaroli P., Tarchiani V., Sorbi V., 2006. Le Calendrier de Prévision des Crises Alimentaires: Une approche opérationnelle à support des actions de prévention et gestion des crises alimentaires au Sahel. CILSS-OMM-Cooperation Italienne, Florence, Italy. Wezel A., Rath T., 2002. Resource conservation strategies in agro-ecosystems of semiarid West Africa. Journal of Arid Environments, 51: 383-400.


Uno strumento di pianificazione delle risorse idriche sotterranee sotto l’influenza dei cambiamenti climatici I. Portoghese1, M. Vurro1, G. Giuliano2 Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Bari, Italia Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Roma, Italia ivan.portoghese@ba.irsa.cnr.it

1 2

SOMMARIO: In regioni a clima mediterraneo, la spiccata variabilità interannuale ed intra-annuale delle precipitazioni assieme ad una pianificazione agraria indirizzata verso colture irrigue ha portato ad un massiccio sovrasfruttamento delle risorse idriche sotterranee. L’impatto dei cambiamenti climatici sui bilanci idrologici ed in particolare la non linearità dei processi che controllano la ricarica naturale, rendono la pianificazione dell’utilizzo delle acque sotterranee una sfida ad alto rischio. Attraverso l’uso di un modello numerico distribuito, l’interazione dinamica che connette, da una parte la variabilità climatica e la ricarica naturale, dall’altra la domanda irrigua e l’emungimento da acque sotterranee, è stata simulata per un periodo significativo. Il modello è stato applicato ad un’area dedita ad agricoltura intensiva e dotata di un moderno sistema irriguo. I risultati testimoniano la rilevanza del problema trattato e suggeriscono che attraverso una gestione adeguata della risorsa e delle politiche agrarie è possibile mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO 1.1 Contesto idrologico Il bilancio delle risorse idriche sotterranee è strettamente connesso al bilancio idrologico superficiale ed è influenzato da variabili climatiche, in particolare dalle precipitazioni e dall’energia evaporativa, e dalla loro variabilità a varie scale temporali. Sull’attendibilità degli scenari climatici la comunità scientifica è concorde (sia pure con considerevoli elementi di distinzione) nel prevedere, per la regione mediterranea, una riduzione delle precipitazioni ed un incremento delle temperature. Tuttavia, il quadro di conoscenze tecnico-scientifiche sugli impatti a medio e lungo periodo sulle risorse idriche e sui comparti economici idro-esigenti (agricoltura in primis), a seguito dei cambiamenti climatici, non si può considerare robusto. Infatti il 6FP dell’UE ha finanziato un IP che mira a valutare gli impatti dei cambiamenti climatici nel bacino del Mediterraneo e in questo ambito una linea di ricerca è dedicata all’impatto

sulle disponibilità future delle risorse idriche (CIRCE, 2007). In senso generale, è sempre più evidente che la risposta idrologica alle tendenze medie attese del clima non è sufficiente a comprendere gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi interagenti con il ciclo idrologico, che al contrario deve considerare la componente stocastica delle forzanti climatiche con le possibili alterazioni in termini di frequenza e di intensità degli eventi piovosi (Porporato et al., 2004). Inoltre, le conseguenze dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche sono difficilmente prevedibili, anche a causa delle fondamentali interazioni con le dinamiche della domanda idrica. Lo studio svolto è motivato, pertanto, dalla necessità di sviluppare strumenti affidabili per la stima del bilancio delle risorse idriche sotterranee a scala di bacino, per effetto sia delle caratteristiche climatiche e relative variazioni, che dell’intenso sfruttamento delle risorse idriche. Da studi precedenti (Eagleson, 1978; Milly, 1994), emerge che semplici approcci 827


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

possono essere utili per valutare correttamente il bilancio idrico, specialmente alle scale spazio-temporali più ampie, considerando le variabili fondamentali (Sivapalan e Woods, 1995). 1.2 Sviluppo del modello di simulazione del bilancio idrogeologico In questo lavoro è stato utilizzato un modello di bilancio finalizzato alla valutazione della ricarica delle acque sotterranee in ambienti con limitata disponibilità di misure idrologiche (Portoghese et al., 2005). Per stimare la ricarica, il sistema complessivo è stato rappresentato attraverso due sottosistemi interconnessi. Ciascun sottosistema è stato modellato separatamente (bilancio idrico del suolo e del sottosuolo), ammettendo la possibilità di scambio tra il suolo e il sottosuolo (infiltrazione profonda al di sotto dello strato radicale della vegetazione) e viceversa (prelievi idrici dalla falda per irrigare il suolo). Il bilancio idrico del suolo è stato rappresentato dalla seguente relazione: ~ = P - E - R - Rss -N + I ·∂w/∂t · in cui P è la pioggia; E è la evapotraspirazione reale; R è il deflusso superficiale; Rss è il deflusso sub-superficiale; N è la ricarica ottenuta come percolazione al di sotto delle zona radicale; I è l’irrigazione; e ·∂w/∂t · è la variazione nel tempo del contenuto di umidità del suolo. Per l’implementazione numerica è stata adottata una griglia di 1x1km2 e ed uno step temporale mensile. Il modello fornisce la stima dei tassi di ricarica e dell’emungimento, funzione della richiesta irrigua (di gran lunga la componente maggiore dello sfruttamento degli acquiferi), evitando la parametrizzazione idrogeologica richiesta dai modelli del flusso idrico sotterraneo. Inoltre, il bilancio della risorsa idrica sotteranea può tenere conto dei prelievi a scopo potabile e industriale. Il modello è stato applicato alla Puglia (De Girolamo et al., 2002), e sono di seguito presentati i risultati ottenuti per una parte della regione (Fig. 1). 828

2 ATTIVITÀ DI RICERCA 2.1 Simulazione dell’impatto della variabilità climatica sulle risorse idriche sotterranee L’area di studio, unità idrogeologica del Tavoliere (circa 4750 km2), è interamente dedita all’agricoltura con un avanzato sistema di irrigazione approvvigionato principalmente da fonte idrica superficiale. Sotto l’ipotesi di completo soddisfacimento della domanda irrigua media attraverso fonti idriche superficiali, è stato selezionato un intervallo di tempo composto da un periodo siccitoso ed un susseguente periodo umido (dal 1965 al 1972), tale che il deficit di pioggia del periodo siccitoso venga ripianato dal surplus degli anni seguenti. Il conseguente deficit tra la richiesta irrigua e l’approvvigionamento fornito da fonte idrica superficiale viene soddisfatto da acqua sotterranea. Pertanto, la differenza tra i volumi annui di ricarica naturale e l’emungimento può essere considerata come un indicatore significativo dello stato quantitativo dell’acquifero nel dominio di interesse. L’andamento negli anni di questo indicatore rivela la non linearità dell’interazione tra la variabilità climatica e il ciclo idrologico, dando particolare rilievo all’impatto negativo del periodo siccitoso

Figura 1: Output del modello di bilancio per l’area di studio del Tavoliere di Puglia.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

sulle risorse sotterranee. Infatti, la successione di un ciclo di anni aridi seguito da anni umidi non implica il pieno e totale ripristino dello stato quantitativo delle riserve idriche sotterranee (Fig. 2). I risultati testimoniano la capacità del modello di descrivere l’impatto della variabilità climatica sui processi idrologici principali che sottintendono alla disponibilità di risorse idriche per un’area significativa per le problematiche di gestione. 2.2 Simulazione di scenari gestionali I risultati fin qui mostrati si riferiscono alla simulazione di un sistema integrato di approvvigionamento idrico (superficiale-sotterraneo) in cui il ricorso alle risorse idriche sotterranee avviene solo in condizioni di deficit delle fonti superficiali rispetto alle disponibilità idriche dell’anno medio. Tale pratica di gestione, qui indicata come 0% policy, è stata simulata per il periodo di studio. Accanto a tale politica, le simulazioni di risposta del sistema sono state eseguite anche per scenari in cui per l’anno medio il ricorso alle risorse idriche sotterranee è ipotizzato pari al 25, 50 e 75% rispettivamente (Portoghese et al., 2003). I risultati dell’esperimento, per ciascuna delle politiche di gestione studiate, sono riportati attraverso un indice di sostenibilità del prelievo (Alley et al., 1999), dato dal rapporto tra volume di emungimento e di ricarica al variare della pioggia annua (Fig. 3). Tale indice, assieme alla conoscenza della funzione di probabilità della pioggia annua (riportata sull’asse di destra di Fig. 3), consente di definire la probabilità di superamento di una prefissa-

Figura 2: Analisi delle componenti del bilancio idrologico per l’area di studio. Valori normalizzati rispetto ai valori delle variabili riferite all’anno idrologico medio.

ta soglia di sicurezza del rapporto stesso. Ad esempio, la probabilità di avere un valore dell’indice di sostenibilità del prelievo ≥ 0,5 è data, per una certa politica di gestione, dalla probabilità di non superamento del corrispondente valore di pioggia annua, così come definito dalla funzione di probabilità cumulata della pioggia per l’area di studio (Fig. 3). La valenza degli scenari di gestione considerati consiste nell’idea che le modifiche attese nella distribuzione di probabilità degli apporti pluviali conducono, da un lato, ad un sistematico aumento del ricorso alla risorse idriche sotterranee (come effettivamente riscontrato nella realtà degli ultimi decenni), dall’altro, allo stabilirsi di inedite condizioni di equilibrio del sistema acquifero. 3 RISULTATI RILEVANTI La valutazione dell’impatto dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e, quindi, sulle risorse idriche si basa su opportuni modelli di simulazione in grado non solo di descrivere i principali processi idrologici, ma anche di rappresentare adeguatamente la componente antropica responsabile delle dinamiche di impiego della risorsa. Il modello presentato, con riferimento alle condizioni climatiche e territoriali dell’area di studio, consente un’adeguata rappresentazione della non-linearità dei processi idrologici. In particolare, l’amplificazione dell’impatto sulle

Figura 3: Variazione dei rapporti di prelievo al variare della pioggia annua per le 4 politiche di gestione adottate. Sull’asse verticale di destra è riportata la distribuzione di probabilità cumulata della pioggia annua per l’area di studio.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

acque sotterranee dovuta ad un periodo di deficit pluviometrico è risultata evidente con riduzioni percentuali dei tassi annui di ricarica doppie rispetto alla diminuzione di pioggia. Inoltre, la differenza tra volumi di ricarica e di emungimento, utilizzata quale indicatore dello stato quantitativo della falda, ha permesso di evidenziare un notevole “effetto-memoria” nello stato di deficit indotto sulle risorse sotterranee da un precedente periodo siccitoso. Infine, le simulazioni di differenti scenari di uso combinato di risorse superficiali e sotterranee hanno consentito di approfondire in senso probabilistico il problema della sostenibilità dello sfruttamento delle risorse sotterranee sotto differenti ipotesi gestionali ed in condizioni di alterazioni climatiche. 4 PROSPETTIVE FUTURE Il complesso problema della valutazione delle future disponibilità idriche per effetto dei cambiamenti climatici e dei possibili scenari di risposta ed adattamento della domanda rappresenta una tematica di rilevanza strategica per lo sviluppo del territorio. Tuttavia studi definitivi sulle future disponibilità idriche e sui possibili adattamenti necessitano di ulteriori approfondimenti; in particolare: 1) verificare la adattabilità dell’attuale pianificazione della risorsa idrica agli scenari climatici di medio e lungo termine; 2) verificare l’ipotesi di diversi scenari colturali come adattamento alle ridotte disponibilità idriche future; 3) valutare gli impatti ecologici delle nuove condizioni di equilibrio tra ricarica della falda ed emungimento, in termini di influenza sui deflussi sotterranei e sul deflusso di base dei fiumi.

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5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Alley W.M., Reilly T.E., Franke O.L., 1999. Sustainability of ground-water resources, U.S. Geological Survey Circular 1186, ISBN 0–607–93040–3. CIRCE Consortium, 2007. Climate Change and Impact Research: The Mediterranean Environment, EU-DG Research, Contract n. 036961. De Girolamo A., Limoni P., Portoghese I., Vurro M., 2002. Il bilancio idrogeologico delle idrostrutture pugliesi: sovrasfruttamento e criteri di gestione. L’Acqua, 3: 33-45. Eagleson P.S., 1978. Climate, soil and vegetation (parts 1-7). Water Resources Research, 14(5): 705-775. Milly P.C., 1994. Climate, soil water storage, and the average annual water balance. Water Resources Research, 30(7): 2143-2156. Porporato A., Daly E., Rodriguez-Iturbe I., 2004. Soil water bilance and ecosystem response to climate change. The American Naturalist, 164(5): 625-632. Portoghese I., Giuliano G., Vurro M., 2003. Groundwater safe yield in semi-arid catchments, EGS-AGU-EUG Joint Assembly 2003, 5, EAE03-A-12287. Portoghese I., Uricchio V., Vurro M., 2005. A GIS tool for hydrogeological water balance evaluation on a regional scale in semi-arid environments. Computers & Geosciences, 31(1): 15-27. Sivapalan M., Woods R.A., 1995. Evaluation of the effects of general circulation models’ subgrid variability and patchiness of rainfall and soil moisture on land surface water balance fluxes. Hydrological Process, 9: 697-717.


Possibili metodi di sequestro di gas serra in Italia L. Dallai, C. Boschi, A. Dini, G. Ruggieri, F. Gherardi, S. Biagi, C. Geloni, G. Gianelli, M. Guidi Istituto di Geoscienze e Georisorse, CNR, Pisa, Italia dallai@igg.cnr.it SOMMARIO: Il surriscaldamento del Pianeta dovuto in larga parte alle emissioni di gas serra è oggi il maggior problema ambientale che la comunità internazionale deve affrontare. I cambiamenti climatici in corso hanno portato alla luce la necessità di ridurre drasticamente le emissioni di CO2 e di studiare possibili metodi di smaltimento. L’Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG) sta portando avanti differenti ricerche sul confinamento di CO2 in serbatoi petroliferi esauriti e dentro serbatoi di rocce serpentinitiche o ofioliti s.l (sequestro mineralogico). Un ampio numero di simulazioni numeriche, svolte accoppiando la fluidodinamica con la chimica, suggerisce che il confinamento geologico in serbatoi petroliferi della Pianura Padana è possibile e non induce interazioni tra fluidi e rocce in grado di determinare in superficie situazioni critiche ai fini della sicurezza e della preservazione ambientale. Il sequestro mineralogico di CO2 avviene naturalmente e analoghi naturali di sistemi di carbonatazione dei minerali sono comuni in Italia così come in tutto il mondo. Tale processo indica che le rocce serpentinitiche sono capaci di catturare notevoli quantità di CO2 in particolar modo se presenti in zone termicamente anomale, come ai margini di campi geotermici. Ulteriori studi geologici, petrografici, geochimici ed isotopici sono necessari per verificare la fattibilità a larga scala dello stoccaggio mineralogico di CO2.

1 INTRODUZIONE Le modalità più efficaci di confinamento geologico della CO2 e dei gas serra sono quelle che prevedono l’immobilizzazione dei gas in profondità. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso (i) lo stoccaggio all’interno di serbatoi naturali sigillati da coltri di materiali rocciosi impermeabili, (ii) la conversione chimica con produzione di minerali (sequestro mineralogico), (iii) meccanismi di intrappolamento di tipo fisico-chimico, come l’adsorbimento su superfici solide attive (tipo carboni attivi) (IPCC, 2005; Seifritz, 1990; Haszeldine, 2006). L’IGG sta portando avanti da alcuni anni progetti di modellizzazione numerica insieme a studi geologici, petrografici, geochimici ed isotopici sulle differenti metodologie di stoccaggio della CO2. Gli studi di modellistica, già effettuati ed in corso, sono atti ad indagare gli effetti dovuti all’iniezione di gas serra in (i) serbatoi di gas naturale e petrolio impoveriti della Pianura Padana e in (ii) acquiferi

salini della Pianura Pisana, e (iii) a valutare la capacità di sequestro di diversi tipi di roccia. Gli studi geologici, petrografici, geochimici ed isotopici sono concentrati in particolare sul sequestro mineralogico di CO2 e sull’evoluzione di questo processo in analoghi naturali costituiti dai giacimenti di magnesite presenti in Toscana. 2 SERBATOI DI GAS NATURALE ESAURITI DELLA PIANURA PADANA

La capacità di sequestro dei serbatoi di gas presenti in Pianura Padana è stata valutata in termini di tenuta della copertura (materiali rocciosi impermeabili) nel medio e lungo termine (da 10 a 100mila anni). In condizioni di copertura integra i calcoli indicano che i gas iniettati restano confinati in profondità e inducono solo trascurabili cambiamenti delle proprietà petrofisiche delle rocce. Tuttavia l’efficienza della tenuta della copertura può essere compromessa dalla: (i) presenza di fratture; (ii) possibile alterazione dei 831


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

cementi dei pozzi abbandonati. Questi due aspetti sono potenzialmente critici ai fini della sicurezza dello stoccaggio in quanto rappresentano potenziali vie di fuga (ovvero domini della copertura ad elevata porosità) del gas iniettati in profondità. 2.1 Fuga attraverso zone fratturate Gli scenari di fuga dipendono dall’entità delle sovrapressioni create nel serbatoio a seguito dell’iniezione di CO2 e dalla capacità delle rocce di copertura di contrastare gli effetti della migrazione della CO2 dal serbatoio. Le simulazioni hanno mostrato che l’ingresso dei fluidi di serbatoio ricchi in CO2 all’interno di un’ipotetica frattura presente in copertura causa la dissoluzione dei minerali ed induce un conseguente aumento della porosità dell’ordine del 20% per 15 m al tempo di simulazione di 500 anni. 2.2 Degradazione dei cementi L’interazione con i fluidi acidi presenti nei livelli di stoccaggio può ridurre anche nel breve termine la capacità di tenuta di un cemento solfato-resistente del tipo comunemente utilizzato nella realizzazione dei pozzi petroliferi. La modellazione degli scenari reattivi in un arco di tempo di 100 anni ha evidenziato che all’interfaccia tra cemento, copertura e serbatoio possono ingenerarsi rilevanti meccanismi di precipitazione e dissoluzione dei minerali e delle fasi solide amorfe (Biagi et al., 2007). Queste reazioni possono portare ad un aumento massimo della porosità stimato nell’ordine del 20-25% (Fig. 1). 3 ACQUIFERI SALINI DELLA PIANURA PISANA Le simulazioni numeriche sono state effettuate con l’intento di valutare (i) la capacità di sequestro geologico della CO2 da parte di rocce carbonatico-dolomitiche ed arenacee (Biagi et al., 2006), e (ii) stimare gli effetti indotti dalla co-iniezione di composti di zolfo (H2S, SO2 ed una miscela dei due) sulla stabilità mineralogica e petrofisica sia delle rocce di serbatoio che di copertura. I risultati ottenu832

ti indicano che il sequestro mineralogico della CO2 è più efficace all’interno delle formazioni arenacee. La co-iniezione di H2S ha un impatto trascurabile sia sulla stabilità del serbatoio che sulla capacità di tenuta della copertura. La co-iniezione anche di moderate quantità di SO2 può invece indurre indesiderati effetti di eccessiva acidificazione (fino a pH minori di 3 a T=45°C) in prossimità del punto di iniezione, con sensibile incremento della porosità delle rocce del serbatoio, danni alle tubazioni dei pozzi, ed in ultima analisi, possibilità di collasso degli stessi pozzi di iniezione. 4 SEQUESTRO MINERALOGICO Il sequestro mineralogico di CO2 è una tecnologia di CCS (carbon dioxide capture and storage) relativamente nuova e consiste in una reazione esotermica, favorita a temperature minori di 200 °C, tra minerali silicatici (serpentino e olivina) e CO2, con la conseguente precipitazione di carbonati. È l’unica tecnologia di CCS che permette di intrappolare permanentemente la CO2 all’interno dei carbonati prodotti. Inoltre, il materiale carbonatico residuo è stabile nel tempo e non necessita di monitoraggio come nel caso di iniezione di CO2 in pozzi. In Italia, ed in particolar modo nell’Italia centro-settentrionale, sono presenti estesi affioramenti di rocce (chiamate serpentiniti/ peridotiti o ofioliti s.l.) che contengono olivina e serpentino. Una prima idea della potenzialità di stoccaggio di CO2 per sequestro mineralogico può essere fatta in Toscana, considerando soltanto le rocce ofiolitiche esposte, che affiorano su un’area di circa 230 km2. Considerando uno spessore minimo degli affioramenti di 100 m e ipotizzando che le rocce siano composte soltanto da minerali quali serpentino e olivina, è possibile sequestrare circa 27,7 x 109 tonnellate di CO2. Per spessori maggiori delle rocce serpentinitiche (fino a 500 m), in Toscana si possono potenzialmente sequestrare, mediante carbonatazione, fino a 100 gigatonnellate di CO2, equivalenti a circa 200 anni di emissioni totali annuali italiane (stimate


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Figura 1: Avanzamento del fronte acido ed aumento della porosità indotte nella copertura e nel cemento di un pozzo dismesso in un serbatoio di gas naturale della Pianura Padana. I valori di porosità iniziale utilizzati per la copertura (caprock) ed il cemento (cement) sono rispettivamente 0.23 e 0.32.

intorno a 580 Mt annue per il 2010). Un altro importante aspetto del processo di carbonatazione è che questo, oltre a sequestrare biossido di carbonio, può portare allo smaltimento e all’inertizzazione di ingenti quantità di serpentino-crisotilo (commercialmente chiamato amianto o asbesto) e/o di smaltire materiale ricco in amianto estratto dalla costruzione di gallerie come quella in progetto in Val di Susa. Stime iniziali in Val di Susa prevedono di estrarre dal tunnel di base, solo dalla parte italiana, oltre 7 milioni di metri cubi di materiali di scavo. Anche in questo caso una inertizzazione tramite carbonatazione in presenza di CO2 avrebbe un doppio risultato positivo: da un lato l’abbattimento di CO2 antropica, dall’altro lo smaltimento di rifiuti speciali come quelli delle fibre di amianto. 5 LO

STUDIO DI ANALOGHI NATURALI: L’ESEM-

PIO DELLE MAGNESITI TOSCANE

La Toscana centro-meridionale presenta analoghi naturali costituiti da numerosi giacimenti di magnesite incassati nelle serpentiniti delle unità ofiolitiche liguri. Questi giacimenti sono stati coltivati tra il 1914 e il 1945 e la magnesite estratta tra le due guerre ammonta a circa 3x105 tonnellate. Una stima minima preliminare delle quantità totale di magnesite presen-

te nei giacimenti, basata sui dati geologici ricavati dalle relazioni minerarie, indica un valore di circa 3x106 tonnellate. Questo valore mostra che la quantità di CO2 intrappolata durante l’alterazione delle rocce ofiolitiche con formazione di magnesiti è almeno pari a circa 1,6 x 106 tonnellate. I giacimenti toscani quindi rappresentano un’occasione per ampliare le conoscenze del processo di carbonatazione e di sequestro mineralogico di CO2. 5.1 Risultati preliminari I giacimenti toscani sono essenzialmente costituiti da quasi l’80-90% da magnesite (MgCO3) con minor quantità di altri minerali quali calcedonio, opale, dolomite e quarzo (Boschi et al., 2007). Queste rocce sono il prodotto di una intensa circolazione di fluidi attraverso fratture che ha portato ad una parziale sostituzione della roccia originaria (ofiolite s.l.) e ad una conseguente deposizione dei minerali di nuova formazione ricchi in carbonio. Risultati preliminari indicano temperature di formazione vicine o inferiori a 150 °C ed un’evidente zonazione mineralogica a scala micro e mesoscopica. I giacimenti infatti si arricchiscono in minerali ricchi in silice (calcedonio, quarzo) a livelli più profondi indicando una evoluzione temporale della compo833


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

sizione chimica del fluido che circolava all’interno delle ofioliti s.l. Queste indicazioni, insieme ad altre osservazioni geologico, petrografiche, geochimiche ed isotopiche, aiuteranno a risalire alle condizioni di pressione, temperatura, pH e alla composizione chimica del fluido responsabile della formazione di questi giacimenti. 6 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Biagi S., Gherardi F., Gianelli G., 2006. A simulation study of CO2 sequestration in the Arno river plain (Tuscany, Italy). Energy Sources, 28A: 923-932. Biagi S., Geloni C., Gherardi C., Guidi M., 2007. Numerical modelling of well-bore cement degradation during CO2 sequestration. Geophysical Research Abstracts, 9: 04330.

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Boschi C., Dallai L., Dini A., Gianelli G., Ruggieri G., 2007. Carbonated serpentinites in Tuscany (Italy): a geological analogue to carbon dioxide sequestration. Geophysical Research Abstracts, 9: 07696. Haszeldine R.S., 2006. Deep geological CO2 storage: principles reviewed, and prospecting for bio-energy disposal sites. Mitigation Adapt. Strategies Global Change, 11: 377-401. IPCC Special Report, 2005. Carbon dioxide capture and storage, summary for policymakers and technical summary. Seifritz W., 1990. CO2 diposal by means of silicates. Nature, 345: 486.


Confronto tra climatologia del vento nel Mediterraneo simulata con modello di clima e osservazioni da satellite A.M. Sempreviva1, F. Cheruy2, B. Furevick3, C. Transerici4 Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, Lamezia Terme (Cz), Italia LMD-IPSL,CNRS/UPMC, Parigi, Francia 3 Istituto Meteorologico Norvegese, Bergen, Norvegia 4 Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, CNR, Roma, Italia am.sempreviva@isac.cnr.it 1 2

SOMMARIO. É presentata l’attività ISAC in collaborazione con altri istituti europei nell’ambito del Training-Network “ModObs” “MCTN-CT-019369 per sviluppare nuove metodologie di stima della climatologia del vento nel Mediterraneo con modelli atmosferici, con lo scopo di definire aree adatte allo sfruttamento dell’energia eolica offshore. Nel Nord Europa si effettuano campagne di monitoraggio del vento offshore per mettere a punto diverse metodologie alternative sia statistiche che modellistiche e per sviluppare prodotti basati sull’uso del satellite. Nel Mediterraneo invece le osservazioni disponibili sono di scarsa utilità diretta, ai fini energetici, perché provengono da isole oppure da boe e navi con copertura spaziale e/o temporale sporadica e poiché si riferiscono ad altezze inferiori ai 10 m. All’ISAC, si sta verificando l'utilizzo di modelli di clima, essenziali per la previsione delle conseguenze economiche dovute a eventuali effetti dei cambiamenti climatici sulla climatologia del vento, usando dati da satellite.

1. INTRODUZIONE L’energia eolica, insieme alle altre fonti rinnovabili, fornisce crescita economica, sicurezza di disponibilità d’energia, occupazione e sviluppo tecnologico, con minimo impatto ambientale e, negli ultimi anni, l’interesse per l’installazione degli impianti eolici si sta orientando sempre più dalla terra all’offshore. In mare, le velocità del vento tendono ad essere superiori di quelle nelle zone costiere adiacenti poiché la superficie marina ha rugosità più bassa e di conseguenza la turbolenza ambientale è più debole. Poiché la stima della produzione d’energia di un impianto eolico dipende dalla climatologia del vento locale, è necessario avere a disposizione misure di velocità e direzione del vento per un periodo di almeno 5 anni, per tenere conto della variabilità interannuale della velocità del vento. Se si hanno a disposizione solo osservazioni a

breve termine, ma comunque multiple di un anno, queste devono essere valutate in termini climatologici usando stazioni di riferimento, generalmente costiere, dove si hanno a disposizione lunghe serie temporali “climatologiche” con cui si possano stimare gli indici annuali; in questo modo si controlla se il periodo di riferimento in comune, sia stato più o meno ventoso per correggerne di conseguenza la climatologia del vento. Le misure in mare aperto sono costose (in genere 1M€ per una torre da 100 m.) e sono comunque rappresentative di un’area limitata, specialmente se ci si trova in mari chiusi tipo il Mar del Nord, il Mar Baltico, il Mare Adriatico o con molte isole come il mare Egeo. Nel Mediterraneo, le osservazioni in mare provengono principalmente da stazioni di misura situate su isole, o da boe e/o navi, spesso con lunghi periodi di dati mancanti. Per i motivi suddetti è quindi di interesse mettere a punto 835


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

metodologie alternative. Dalla fine degli anni 90, sono stati messi a punto alcuni metodi per la valutazione delle risorse eoliche in mare specialmenti nel nord dell’Europa. Questi metodi sono basati su metodi statistici o su modelli atmosferici diagnostici e usano osservazione a lungo termine rilevate nei siti costieri limitrofi. Dall’applicazione dei suddetti metodi nel Mare del Nord (Barthelmie et al., 1998) e nel Mediterraneo (Lavagnini et al., 2003) risulta che essi sono generalmente applicabili se il sito di interesse è situato nello stesso regime di vento locale della stazione costiera come per es. il sistema di brezza, dovuto ad effetti termici, che influenza fortemente la distribuzione di frequenza direzionale. Visti i limiti di queste metodologie, negli ultimi anni si sta puntando sull’uso delle osservazioni da satellite e/o dei dati da modelli atmosferici di previsione. Il vantaggio di questi dati consiste nell’ottenere la copertura spaziale dell’area di interesse in modo da scegliere i sito più conveniente sia rispetto l’ambiente che di utilità. Il satellite fornisce inoltre informazione per la diagnostica dei modelli. Un altro punto di interesse è l’effetto delle variazioni climatiche sulla distribuzioni di frequenza di velocità e direzione del vento e nella frequenza degli eventi estremi per valutare l’impatto economico nell’uso delle risorse eoliche. In questo contributo, è descritta l’attivitá ISAC già svolta ed in corso riguardo la verifica dei modelli climatici nell’area del Mediterranea usando dati da satellite e di altri modelli a circolazione generale. 2. ATTIVITÁ DI RICERCA SVOLTA Dal 1979, l’European Center of Mediumrange Weather Forecast (ECMWF) di Reading in Inghilterra, sta seguendo la procedura “Analisi” per l’assimilazione ed integrazione delle osservazioni meteorologiche in una rete di punti distribuiti sul globo terrestre, per produrre il campo di inizializzazione del modello di previsione. Nel corso degli anni, il modello è stato migliorato sia nella risoluzione spaziale sia nella parametrizzazione dei processi fisi836

ci e regolarmente aggiornato. Per produrre una serie cronologica lunga ed omogenea delle analisi meteorologiche, usando una singola versione del modello ECMWF, nel 1993 è stato lanciato il progetto di Ri-analisi ERA-15 per il periodo dal 1/1/1979-28/2/1994. La base di dati risultante dal programma di Analisi dell’ECMWF presenta il vantaggio di essere su un periodo a lungo termine e coprire tutta l’Europa e può essere usata, sia per stimare la climatologia del vento sia per l’inizializzazione dei modelli a più alta risoluzione. Sulla base dei dati di Analisi e di Ri-analisi con risoluzione 25x25 km, all’ISAC sono stati condotti studi sulla climatologia del vento offshore nell’area mediterranea (Lavagnini et al., 2006), eseguendo il confronto con i dati, dal Modello ad Area Limitata (LAM), Q-BOLAM (Buzzi et al., 1994) con risoluzione 10x10 Km, osservazioni da boe Italiane, Greche, Spagnole e Francesi e con le osservazioni provenienti da diverse navi Greche in navigazione nel Mare Egeo. Nelle zone centrali dei vari bacini del Mediterraneo, i vari modelli sono coerenti con differenza contenuta in ±20%. Nei punti di griglia in cui era presente sia mare sia terra, come ad esempio lungo le coste, la differenza tra modelli è maggiore avendo i modelli a larga scala una bassa risoluzione dell’orografia. Le differenze maggiori sono state trovate nel Mare Adriatico, per via della caratteristica configurazione allungata e stretta in cui la profondità dei regimi di brezza gioca un ruolo importante. Nelle zone dove l’orografia è meno complicata, come per esempio la parte orientale del litorale dell’Africa del Nord, QBOLAM è in accordo con i risultati dell’ECMWF. In generale, si nota che i punti di velocità del vento forte sono localizzati nel mezzo dei differenti bacini del Mare Mediterraneo, con velocità massima che raggiunge da 6.5 - 7.0 ms-1. Ancora, se si osservano le zone costiere, i posti più interessanti per lo sfruttamento dell’energia eolica sono situati, andando da ovest verso est, da Gibilterra lungo le coste dell’Africa, nel golfo del Leone, lungo la Sardegna meridionale a


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

sud della Sicilia, in Grecia con circa 2000 isole e nella parte sud-ovest del litorale turco. Osservando la distribuzione spaziale delle rose dei venti, si vedono le direzioni prevalenti nei vari bacini. Si può notare che ad ovest della Sardegna, la direzione prevalente è nord-ovest, per via del maestrale; ad est della Sardegna, la rosa del vento è caratterizzata anche da Scirocco e Tramontana. Gli effetti di incanalamento del vento sono evidenti, non soltanto avvicinandosi agli stretti (Gibilterra, Messina, Bonifacio, ecc.), ma anche lungo i grandi canali tipo il canale di Sicilia (fra la Tunisia e la Sicilia). Lungo il litorale dell'Africa le direzioni principali seguono l’orientazione della costa. Nel Mare Adriatico, si osserva l'effetto dei venti di Tramontana e, nella parte settentrionale, si nota anche il regime di Bora nel settore nord-est. Confrontando i modelli con i dati delle boe, si è valutato che il modello predice con un errore di circa 10% la velocità di vento media e (A, K) i parametri della funzione di distribuzione di Weibull usata per descrivere la distribuzione del vento, misurati alla posizione delle boe. Più dettagliatamente, il modello sottostima la velocità delle boe se queste sono in zone litoranee montagnose (Cote D' Azur) o in piccoli bacini (il Nord Adriatico). 3 ATTIVITÁ IN CORSO: SATELLITE E MODELLO DI CLIMA

In Sempreviva et al. (2006) è stato presentato uno studio sulla climatologia del vento elaborata usando lo strumento di SeaWind a bordo del satellite NASA Quick Scatterometer (Quik-SCAT) con una risoluzione di 25 km x 25 km, su un periodo di quattro anni. La climatologia risultante dalle osservazioni da satellite è stata confrontata in termini di medie mensili e stagionali sulle diverse aree del Mediterraneo con i dati di output di tre modelli differenti: 1) La procedura di analisi dell’ECMWF, descritta precedentemente, 2) Il modello GeoWAsP, prodotto durante il progetto del 5° Programma quadro UE

“POWER” (Watson et al., 2000). In GeoWAsP, l’area della Unione Europea è stata coperta da un grigliato con maglie di ampiezza 0.5ºx0.5º. Le velocità di vento geostrofico sono state calcolate, dai dati di pressione al livello del mare per il periodo 1985-1997, in ogni maglia offshore dove i profili verticali del vento sono stati stimati per il centro di ognuna fra i 10m e 150m. Visto che per GeoWAsP, non si avevano a disposizione dati su periodi in comune con Quik-SCAT, si è ipotizzato che la climatologia del Mediterraneo negli ultimi venti anni sia rimasta invariata in termini di andamenti climatici mensili e stagionali. 3) Il modello GCM LMDZOR di cui si aveva a disposizione la serie temporale riguardante l’anno 2000 su tutta l’area mediterranea. Il modello di clima LMDZOR (Hourdin et al., 2006) segue l'approccio zooming per quanto riguarda la regionalizzazione (ovvero risoluzione orizzontale variabile e ottimizzata nell'area di interesse) ed è accoppiato a un modello di superficie e di vegetazione (Condreau et al., 2007). In questa configurazione, sono cosí possibili simulazioni climatiche. Per alcuni anni si avevano anche a disposizione le climatologie sperimentali su isole e boe e con esse sono state eseguiti i confronti degli andamenti mensili e stagionali. In generale, si può dire che Quik-SCAT sovrastima la velocitá del vento perché le velocità u < 3ms-1 (incluse le calme) non sono considerate dati attendibili e scartati. Nel Mare Egeo, dati e modelli mostrano la presenza di un massimo stagionale in estate, periodo in cui i venti sono a volte più alti dei venti invernali. Modelli e dati superficiali e da quik-SCAT sono in accordo al centro del Mediterraneo. Dal confronto delle mappe annuali di velocità media e del ciclo mensile medio annuale risultante da Quik-SCAT, ECMWF, GeoWAsP e LMDZOR si nota di nuovo che le differenze maggiori sono nei bacini chiusi, ma a volte ci sono differenze sostanziali anche in zone in cui non ci si aspetterebbe un’ampia differenza. Si nota che, con un solo anno di dati, l’LMDZOR riproduce il suddetto ciclo mensile delle boe nel mare Egeo. 837


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

4. PROSPETTIVE FUTURE É chiaro che, per sfruttare le basi di dati a disposizione alle risoluzioni attuali, si devono mettere a punto nuove strategie per il downscaling dinamico o statistico per studiare le caratteristiche del vento in ambiente costiero, dove l’istallazione dei parchi eolici è più economica. In questa prospettiva, la validazione dei modelli di circolazione generale e di clima, alle risoluzioni attuali, è il primo passo per attuare le nuove strategie. Visti i risultati incoraggianti dei lavori precedenti, si sta procedendo ad una verifica più dettagliata del modello LMDZOR di cui attualmente sono disponibile due anni 2000-2001 di dati orari di output su un griglia con risoluzione di 25 km, confrontandoli con sei anni da QuikSCAT in cui sono inclusi anche i dati di calma, esclusi nella prima analisi. Questa base di dati più consistente permetterà di verificare le analisi precedenti. Inoltre si sta procedendo all’analisi della variazione spaziale e temporale della stabilità atmosferica in termini di gradienti verticali di temperatura allo scopo di stabilire l’errore che si compie estrapolando in quota le osservazioni superficiali usando un profilo di vento logaritmico neutrale. 5. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Barthelmie et al., 1998. Offshore Wind Resources at Danish measurements sites. Risø-I-1339 (EN), 1998. Risø National Laboratory, Denmark.

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Buzzi A. et al., 1994. Validation of a limited area model in cases of Mediterranean cyclogenesis: surface fields and precipitation scores. Meteorol. Atmos. Phys., 53: 53-67. Coindreau O. et al., 2007. Assessment of Physical Parameterizations Using a Global Climate Model with Stretchable Grid and Nudging. Mon. Wea. Rev., 135: 1474-1489. Hourdin F. et al., 2006. The LMDZ4 general circulation model: climate performance and sensitivity to parametrized physics with emphasis on tropical convection. Clim. Dyn., 27: 787-813. Lavagnini A., Sempreviva A.M., Barthelmie R.J., 2003. Estimating wind energy potential offshore in Mediterranean areas. Wind Energy, 6: 23-34. Lavagnini A. et al., 2006. Comparison of the Wind Climatology Offshore in the Mediterranean Basin from Three Models. Wind Energy, 9(3): 251-266. Sempreviva A.M. et al., 2006. Offshore Wind Energy Potential in the Mediterranean Basin. Proceedings of the conference, Offshore Wind Energy in Mediterranean and Other European Seas, OWEMES, Civitavecchia, Italy 19-21 April 2006. Available on CDROM. Watson G. et al., 2000. POWER -A methodology for the prediction of offshore wind energy resources. In Proceedings of OWEMES 2000 (Offshore Wind Energy in the Mediterranean and Other European Seas) conference. Sicily: ATENA/ENEA.


Refrigerazione magnetica: un’alternativa alla tradizionale tecnologia basata sulla compressione dei gas L. Pareti1, F. Albertini1, A. Paoluzi1, S. Fabbrici1, F. Casoli1, M. Solzi2 Istituto dei Materiali per l'Elettronica ed il Magnetismo, CNR, Parma, Italia Dipartimento di Fisica, Università di Parma, Italia pareti@imem.cnr.it

1 2

SOMMARIO: La tradizionale tecnologia per la refrigerazione, basata sulla compressione dei gas sembra aver raggiunto i suoi limiti tecnici in termini di efficienza, mentre sta crescendo l’attenzione per le implicazioni ambientali ed energetiche legate a questo tipo di tecnologia. I liquidi refrigeranti usati intorno a temperatura ambiente (come il freon) hanno infatti causato problemi all’integrità della fascia di ozono o hanno contribuito ad aumentare l’effetto serra, con un incremento dei rischi per la salute umana e del pianeta. La ricerca di metodi alternativi (refrigerant-free) per sistemi di raffreddamento é quindi di notevole interesse ed attualità. L’impiego di refrigeranti solidi come i composti magnetici, attraverso l’utilizzo dell’effetto magnetocalorico, eliminerebbe ogni rischio per l’ambiente e la salute umana. Con l’obiettivo di individuare materiali magnetici adatti per l’impiego nel campo della refrigerazione, abbiamo studiato la variazione isoterma di entropia in relazione alla trasformazione strutturale del primo ordine alla transizione di Curie del secondo ordine nelle leghe di Heusler ferromagnetiche.

1 INTRODUZIONE L’effetto magnetocalorico (MCE) é una proprietà intrinseca di tutti i materiali magnetici (Tishin, 1999) e consiste nella variazione della parte magnetica dell’entropia del solido in conseguenza dell’accoppiamento dei sottoreticoli magnetici con il campo applicato (Fig. 1). La natura del MCE fu spiegata indipendentemente da Debye e Giaque che proposero l’uso pratico dell’effetto per raggiungere temperature molto basse, in un processo noto come smagnetizzazione adiabatica. Come nella compressione di un gas, nel processo di magnetizzazione isoterma di un ferromagnete (o paramagnete) si riduce l’entropia, mentre con la successiva smagnetizzazione (similmente all’espansione del gas) si ripristina il valore dell’entropia a campo zero (Fig. 2). Quindi, materiali magnetici con elevato MCE potrebbero essere convenientemente impiegati come refrigeranti solidi in impianti frigoriferi (Tishin, 1999; Pecharski e Gschneidner,

1997, 2001; Tegus, 2002a; Tegus, 2002b) con notevoli vantaggi rispetto alla tradizionale refrigerazione basata sul ciclo di compressione-espansione di gas: 1) impatto ambientale nullo; 2) maggior efficienza termodinamica (dovuta all’alta reversibilità dell’effetto magnetocalorico); 3) alta densità di energia (solido vs. gas); 4) risparmio energetico (con l’eliminazione del compressore). Per rendere possibile l'utilizzo della refrigerazione magnetica in applicazioni di massa, é necessario approfondire lo studio dell'effetto magnetocalorico intorno alle transizioni del primo ordine, per poter procedere allo sviluppo di materiali da impiegare con elevata efficienza e bassi costi nel campo della refrigerazione e del condizionamento. In particolare sarà necessario disporre di materiali con elevati MCE, in estesi intervalli di temperatura, controllabili con campi magnetici bassi (3 - 10 kOe) per poter usare magneti permanenti e che possano sostenere numerosi cicli di magnetizzazione/smagnetizzazione. 839


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

2 OBIETTIVI

Figura 1: L’effetto magnetocalorico.

Ciò che ha reso attuale la ricerca nel campo della refrigerazione magnetica é stata la recente scoperta dell’esistenza di un effetto magnetocalorico rilevante (definito gigante) nel composto intermetallico Gd5(Si1.8 Ge2.2) dove è stata osservata una variazione di entropia ∆Smag di circa 20 J/kg K (un valore doppio rispetto a quelli misurati precedentemente) per una variazione di campo di 5T, a circa 270 K. Nel corso degli studi, è stato dimostrato che l’elevato MCE in Gd5(Si1.8 Ge2.2) è associato alla presenza di una complessa transizione magnetico-strutturale del primo ordine (Morellon, 2001). Fra i materiali magnetici, esistono varie famiglie che presentano transizioni del primo ordine, sia di tipo magnetico (indotte da campo e temperatura), che strutturale (come le trasformazioni martensitiche).

Nel lavoro in oggetto è stato studiato l’effetto magnetocalorico in relazione alla trasformazione martensitica della lega di Heusler Ni2+xMn1+yGa1+z, nota come materiale a “memoria di forma”. I potenziali vantaggi offerti da questo sistema a stechiometria variabile sono: la possibilità di variare la temperatura delle transizioni (magnetica e strutturale) con la stechiometria, il costo relativamente basso dei componenti e la facilità di preparazione (Pareti, 2003; Albertini, 2004). È stata quindi studiata la dipendenza dell’entropia magnetica da piccole variazioni di stechiometria (Albertini, 2006a) e da variazioni delle distanze interatomiche, ottenute con l’applicazione di elevate pressioni (Albertini, 2006b). 3 ANALISI La valutazione dell’effetto magnetocalorico è stata fatta in modo indiretto, calcolando la variazione di entropia magnetica, mediante l’utilizzo delle equazioni di Maxwell. L’espressione usata per determinare la variazione isoterma-isobara dell’entropia è: Hf

∆S m (T , ∆H ) =

 ∂M (T , H )   dH ∂T H Hi

∫ 

(1)

Figura 2: Analogie fra il ciclo di refrigerazione tradizionale (compressione di gas) e quello basato sull’effetto magnetocalorico.

840


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Figura 3: Variazione dell’entropia magnetica in funzione della temperatura tra due isoterme successive variando il campo magnetico tra 0 e 1,6 T per: (a) Ni2.15Mn0.85Ga e (b) Ni2.19Mn0.81Ga.

la sommabilità degli effetti sull’entropia isoterma, ai fini della capacità refrigerante. I valori di ∆S ottenuti rappresentano eccellenti caratteristiche, in particolare perché ottenuti con l’applicazione di campi relativamente bassi (16 kOe), ottenibili con l’utilizzo di magneti permanenti. Si conferma che l’azione effettiva della transizione del primo ordine è quella di confinare la variazione di MCE in un ristretto intervallo di temperatura, aumentandone quindi il valore massimo. Le proprietà magnetocaloriche e termomagnetiche della lega NiMnGa sono molto sensibili a piccole variazioni di composizione e alle distanze interatomiche. 5 BIBLIOGRAFIA

dove Hi e Hf sono i valori iniziale e finale del campo magnetico applicato. Le curve di magnetizzazione isoterme sono state fatte con un campo massimo di 16 kOe, con variazioni di 800 Oe. Alcuni risultati sono riportati in Figura 3. 4 RISULTATI E CONCLUSIONI Lo studio ha dato risultati promettenti (Pareti, 2003; Albertini, 2004, 2006a, 2006b). Infatti, nel composto Ni2.19Mn0.81Ga, in cui la transizione magnetica coincide con la trasformazione martensitica, si è ottenuta una variazione ∆Smag di 20 J/kg K, (Fig. 3), pari a quella del composto GdSiGe, ma con un campo applicato notevolmente inferiore (2T). Si osserva quindi un notevole effetto sinergico sul valore massimo della variazione di entropia, dovuto alla simultaneità delle transizioni. Va comunque detto che la capacità refrigerante del materiale, q, definita come:

Albertini F. et al., 2004. J. Magn. Magn. Mater., 272-276: 2111. Albertini F. et al., 2006. J. Appl. Phys., 100: 23908. Albertini F. et al., 2006. J. Magn. Magn. Mater., in stampa. Morellon L. et al., 2001. Appl. Phys. Lett., 79: 1318. Pareti L. et al., 2003. Eur. Phys. Journal B, 32: 303-307. Pecharski V.K., Gschneidner Jr. K.A., 1997. Phys. Rev. Lett., 78: 4494. Pecharski V.K., Gschneidner Jr. K.A., 1999. J. Appl. Phys., 86: 565. Pecharski V.K., Gschneidner Jr. K.A., 2001. J. Appl. Phys., 90: 4614. Tegus O. et al., 2002. Physica B, 319: 174. Tegus O. et al., 2002. Nature, 415: 150. Tishin A.M., 1999. Handbook of Magnetic Materials, vol. 12, ed. K.H.J. Buschow, North-Holland, Amsterdam, 395.

Thot

q=

∫ ∆S (T , P, ∆H )

P , ∆H

dT

(2)

Tcold

(dove Tcold e Thot sono gli estremi dell’intervallo considerato) e definita come la quantità di calore che può essere idealmente trasferita dal bagno freddo a quello caldo, è praticamente la stessa per le due leghe. Da ciò si può dedurre 841


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

842


Minimizzazione dei consumi energetici negli impianti di depurazione e riduzione dell’impatto sul clima G. Mininni, M.C. Tomei, D. Marani, C.M. Braguglia Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Roma, Italia mininni @irsa.cnr.it SOMMARIO: Sono illustrate le principali attività di ricerca condotte dall’Irsa nel settore dei trattamenti delle acque di scarico con diretta attinenza alla riduzione dell’impatto sul clima. Tali attività di ricerca sono state indirizzate alla messa a punto di processi e schemi di trattamento per minimizzare i consumi energetici di un impianto di depurazione e contemporaneamente per incrementare il recupero energetico dal biogas prodotto nella digestione anaerobica dei fanghi. Per quanto riguarda la linea “acque” è stato messo a punto un processo di sedimentazione primaria assistita con calce che consente di incrementare l’abbattimento di COD, consentendo la riduzione dei consumi energetici nella fase di ossidazione biologica di circa il 25% e contemporaneamente l’incremento della produzione di energia nella digestione dei fanghi di oltre il 200%. Per quanto riguarda la linea fanghi sono stati studiati i processi d’incenerimento al fine di verificarne la compatibilità ambientale. I risultati hanno dimostrato che il processo d’incenerimento dei fanghi presenta un impatto del tutto trascurabile, e che il processo può facilmente essere condotto senza richiesta di combustibile ausiliario cosicché le emissioni di gas ad effetto serra sono nulle. Infine, è stato studiato un nuovo processo di digestione anaerobica dei fanghi biologici con il quale è stato ottenuto un incremento della produzione di biogas di circa il 35%.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO Il Rapporto Energia e Ambiente dell’ENEA (2005) evidenzia che nel settore energetico le emissioni di CO2 in tutti i Paesi aderenti all’Unione a 15 sono aumentate dal 1990 al 2003 di 121 milioni di t a fronte di emissioni complessive del 1990 pari a 3.184 milioni di t. Nello stesso periodo di riferimento l’Italia ha visto aumentare le proprie emissioni di CO2 da 403 a 457 milioni di t, con un incremento del 13,4%, ben superiore all’incremento del 3,8% su base europea. Le ultime statistiche disponibili dell’Istat riportano che il numero di abitanti residenti, fluttuanti ed equivalenti trattati negli impianti di depurazione delle acque reflue urbane ammontava nel 2005 a 69.228.977, che considerando un consumo medio d’energia pari a 35 kWh/abitante x anno corrisponde ad una potenza media assorbita dalla rete di 277 MW,

cioè pari allo 0,8% del totale della potenza prodotta sul territorio nazionale (34.589 MW). L’impatto sul clima degli impianti di depurazione è perciò trascurabile rispetto a quello derivante dalle altre attività industriali e civili. La corretta progettazione e gestione degli impianti di depurazione, tuttavia, oltre ad una maggiore efficienza depurativa, può consentire di migliorarne le prestazioni in termini di salvaguardia ambientale ed effetto sul clima, in relazione ai risparmi energetici conseguibili adottando tecnologie a basso consumo energetico per l’abbattimento degli inquinanti presenti in sospensione e l’autoproduzione d’energia utilizzando il biogas derivante dalla digestione anaerobica dei fanghi. Non è da trascurare nemmeno la riduzione di emissioni di gas serra derivanti da una migliore gestione dei fanghi di depurazione con conseguente drastica riduzione dello smaltimento in discarica e conseguente riduzione delle

843


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

emissioni in atmosfera di CH4, che presenta a lungo termine un potenziale pari a 21 volte quello della CO2. 2 ATTIVITÀ DI RICERCA 2.1 Massimizzazione della rimozione del carico organico particolato nel trattamento primario mediante sedimentazione assistita Questa attività di ricerca è motivata dal fatto che nei reflui urbani la frazione di materiale organico associata al particolato varia mediamente dal 60 all’80%. Per tale motivo, nel tradizionale schema di trattamento l’ossidazione biologica viene preceduta da una sedimentazione primaria che, tuttavia, riesce a rimuovere solo il materiale facilmente sedimentabile (25-35% del COD). I riflessi negativi della bassa efficienza della sedimentazione primaria includono maggiori consumi di energia elettrica in vasca d’aerazione e minor produzione di biogas con conseguente minor recupero energetico dalla digestione anaerobica dei fanghi primari. Per tali motivi ci si è proposti di massimizzare l’efficienza del trattamento primario con uno stadio di coagulazione e flocculazione che aggreghi le particelle colloidali e sovracolloidali in fiocchi facilmente sedimentabili e quindi intercettabili in fase di sedimentazione primaria. In questo studio è stata utilizzata la calce, un coagulante a buon mercato e facilmente reperibile. Per evitare l’eccessiva produzione di fanghi, le prove di coagulazione sono state effettuate a pH 9, quale risultato di un compromesso fra la massimizzazione della rimozione del COD particolato e la minimizzazione della precipitazione di carbonato di calcio. 2.2 Ottimizzazione della digestione anaerobica dei fanghi secondari Tutti gli impianti di depurazione sono articolati con un trattamento combinato di fanghi primari e biologici. Tuttavia, queste due tipologie di fanghi presentano caratteristiche differenti: i fanghi primari si addensano e si degradano più facilmente di quelli secondari che sono molto più diluiti e “bioresistenti”. Inoltre, poiché i 844

fanghi primari risultano sensibilmente più inquinati di quelli biologici (metalli e microinquinanti organici non polari) ed i fanghi biologici sono più ricchi di azoto e di fosforo (valori tipici 8 contro e 2,5%, e 3 contro 0,7% su base secca, rispettivamente), le due tipologie di fanghi dovrebbero avere destini diversi. I fanghi biologici sono idonei all’utilizzazione in agricoltura mentre i fanghi primari dovrebbero essere destinati all’incenerimento. I fanghi secondari necessitano, tuttavia, di trattamenti preliminari alla fase di digestione, con l’obiettivo di rompere la membrana cellulare con conseguente rilascio del contenuto cellulare prontamente biodegradabile. Tra i diversi pre-trattamenti suggeriti in letteratura (meccanici, termici, chimici o di lisi enzimatica) l’Irsa ha scelto di sperimentare quelli meccanici con ultrasuoni, affermati già a livello di piena scala, con l’obiettivo di comprendere i meccanismi biochimici e cinetici del processo per una ottimizzazione energetica. 2.3 Incenerimento dei fanghi non smaltibili in agricoltura Questa attività di ricerca è stata condotta con notevole impegno di risorse economiche (8.800 milioni di Lire), impiegate per la realizzazione di un impianto dimostrativo in scala pre-industriale e per la conduzione di una serie di prove in diverse condizioni operative utilizzando fanghi tal quali o addizionati con idrocarburi clorurati. È bene sottolineare che la CO2 prodotta dall’incenerimento dei fanghi non rientra nel computo delle emissioni con effetto serra al contrario di quella prodotta da combustibili fossili. È perciò chiaro che l’incenerimento dei fanghi può essere considerato una tecnologia compatibile con la salvaguardia ambientale a patto che le emissioni siano conformi ai limiti della disciplina europea e che il processo non richieda apporto di combustibile fossile. 2.4 Modellizzazione dei processi di trattamento dei liquami e dei fanghi La quarta attività di ricerca ha riguardato la messa a punto di modelli matematici e lo sviluppo del relativo software per la simulazione


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

dei processi biologici di depurazione e dei processi di trattamento termico dei fanghi. Per la simulazione di impianti a fanghi attivi è stato realizzato il software ASCAM (Tomei e Ramadori, 2002). Il software prevede il calcolo di dimensionamento, verifica e analisi del transitorio per gli schemi di processo più diffusi nello scenario italiano: rimozione del substrato carbonioso in uno stadio aerobico, rimozione del substrato carbonioso e nitrificazione in uno stadio aerobico, rimozione del substrato carbonioso e dell’azoto in un sistema integrato a due stadi anossico – aerobico, rimozione biologica del fosforo. Un secondo software è stato messo a punto per la simulazione dei bilanci di materia ed energia di processi integrati di incenerimento ed essiccamento dei fanghi. 3 RISULTATI RILEVANTI Per la sedimentazione assistita con calce sono state effettuate prove di coagulazione con latte di calce a pH 9 su scala laboratorio e su scala pilota (1 m3/h), utilizzando liquame urbano dell’impianto di Roma Nord. In Tabella 1 sono confrontati i risultati ottenuti nella sedimentazione assistita con calce con i dati di letteratura relativi al trattamento primario convenzionale (Ramadori et al., 2005). Tabella 1. Confronto delle prestazioni della sedimentazione convenzionale e di quella assistita con calce. Parametro Rimozione SST (%) Rimozione COD (%)

Sedimentazione Conv. Assistita 57 82 30

50

Prod. SST (g/ab d)

45,9

90,8

Prod. fanghi (L/ab d)

1,15

1,51

La coagulazione con calce consenti di migliorare l’abbattimento dei solidi sospesi e del COD, con incrementi assoluti del 25 e del 20% rispettivamente. Si riscontra, tuttavia, un incremento sensibile della produzione di fanghi, superiore a quello relativo alla rimozione dei solidi sospesi, suggerendo che anche a

pH 9 si ha produzione di fango, dovuto probabilmente sia alla precipitazione di carbonato di calcio sia alla calce aggiunta. D’altra parte, il raddoppio della produzione di solidi comporta un incremento limitato al 30% del volume di fanghi, che sono infatti più concentrati di quelli prodotti nella sedimentazione tradizionale (6% contro 4%). L’attività di ricerca sulla digestione anaerobica dei fanghi secondari, tal quali o sonicati, condotta con reattori di laboratorio di 7 L con esercizio semicontinuo ha confermato un incremento sensibile della produzione di biogas di circa il 34% per il fango sonicato. Tale risultato è legato al maggiore abbattimento di sostanza organica (39% e 35% di SV abbattuti, rispettivamente per fango pre-trattato e non) e alla più elevata produzione specifica di biogas dal fango pretrattato (0,68 contro 0,57 Nm3/kg SV abbattuti). Le ricerche sull’incenerimento in scala dimostrativa hanno evidenziato che anche nelle condizioni assai severe in cui sono state condotte le prove, per la presenza di un’elevata concentrazione di cloro organico nell’alimentazione (fino a circa il 5%), per la contemporanea presenza di idrocarburi aromatici e, talvolta, anche di rame (noto come catalizzatore nella sintesi delle diossine) e per lo spegnimento del bruciatore nella camera di postcombustione, le emissioni sono state conformi ai limiti previsti dalla disciplina europea. La progettazione di un impianto di incenerimento fanghi dal punto di vista del recupero energetico deve prevedere l’adozione dell’essiccamento termico, utilizzando il calore dei fumi della combustione, fino al livello di concentrazione di solidi (circa il 50%) che garantisca l’autotermicità. Il superamento di questo limite comporta oneri gestionali e di investimento non giustificati e spesso anche la necessità di operare con combustibile ausiliario nel forno in quanto il calore disponibile dei fumi non è sufficiente ad essiccare i fanghi. I risultati di tutte le attività di ricerca precedentemente descritte e il software ASCAM sono stati impiegati per effettuare un’analisi dei consumi e dei recuperi energetici in due 845


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

schemi di trattamento per un impianto di 100.000 abitanti equivalenti che comprendono la sedimentazione primaria (caso I) eventualmente assistita con Ca(OH)2 (caso II). Il bilancio di energia elettrica dei suddetti schemi (Mininni et al., 2004) evidenzia che nel caso II l’energia recuperata dal biogas è in esubero rispetto a quella richiesta (Tab. 2). Tabella 2 Recuperi e consumi d’energia.

Caso I

Energia prodotta kW 37

Energia per ossidazione kW 121

Energia netta kW -84

Caso II

122

93

29

In relazione alle emissioni di gas con effetto serra nelle operazioni di smaltimento dei fanghi è opportuno precisare che: - l’utilizzazione agricola non comporta emissioni; - l’incenerimento comporta emissioni se è utilizzato combustibile fossile; - la discarica comporta emissioni di CH4 per la quota parte non veicolata nei sistemi di captazione del biogas che prudenzialmente può essere stimata pari ad almeno il 30% della produzione totale. Si può stimare che attualmente siano smaltiti in discarica in Italia almeno il 70% del totale dei fanghi prodotti e cioè circa 800.000 t/anno, con conseguente emissione di metano in atmosfera stimata in circa 40 milioni di m3/anno (circa 28.000 t/anno). Tale quantitativo corrisponde ad emissioni di CO2 pari a circa 600.000 t/anno. 4 PROSPETTIVE FUTURE Le ricerche condotte dall’Irsa nel settore della depurazione delle acque di scarico consentono di evidenziare interessanti prospettive di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra seguendo una corretta impostazione progettuale e conduzione degli impianti. Si può stimare che dotando gli impianti di sedimentazione primaria assistita è possibile ottenere un risparmio dei consumi di energia elettrica pari a circa il 846

30%. Tale risparmio energetico corrisponde ad una riduzione di emissioni di CO2 pari a circa 1.000.000 t/anno La riduzione progressiva dello smaltimento in discarica dei fanghi, promuovendo sia la utilizzazione agricola di fanghi biologici non inquinati, sia l’incenerimento con impianti integrati senza consumo di combustibile fossile, consente poi di risparmiare le emissioni di metano in atmosfera dalle discariche che sono state valutate circa 600.000 t/anno di CO2 equivalente. Il risparmio complessivo di CO2 emessa è quindi di circa 1.600.000 t/anno pari cioè allo 0,35% del totale delle emissioni di CO2 nel nostro Paese. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Enerdata, 2005. Enerdata Yearbook 2005. Enerdata Global Energy Intelligence. Ramadori R., Marani D., Renzi V., Passino R., Di Pinto A.C., 2005. Rethinking Sewage Treatment by Enhancing Primary Settling with Low-Dosage Lime. Water Science Technology, 52(10-11): 185-192. Mininni G., Braguglia C.M., Ramadori R., Tomei M.C., 2004. An innovative sludge management system based on separation of primary and secondary sludge treatment. Water Science Technology, 50(9): 145-153. Tomei M.C., Ramadori R., 2002. ASCAM (Activated sludge Computer Aided Modelling) Teoria e manuale d’uso del software. Quaderno dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque, n. 117., 123 pp.


Sviluppo di Strumenti di Supporto alle Decisioni per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente G. Trombino, S. Cinnirella, N. Pirrone Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, CNR, Rende, Italia g.trombino@cs.iia.cnr.it SOMMARIO: La riduzione degli effetti indotti dai cambiamenti climatici sugli ecosistemi acquatici o terrestri passa attraverso una pianificazione ambientale strategica che deve includere strumenti e metodologie di analisi messe a punto dalla ricerca scientifica. A tale scopo è stata sviluppata una metodologia di analisi, ad approccio multi-disciplinare ed integrato per valutare l’impatto di scenari di evoluzione socio-economica su una emergenza di carattere ambientale. In questo articolo si riporta il caso dell’eutrofizzazione del Nord Adriatico in seguito al rilascio di nutrienti del bacino del Po.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO 1.1 Introduzione Una tra le maggiori problematiche a livello Europeo in relazione alla protezione dell’ambiente è la necessità di sviluppare Strumenti di Supporto alle Decisioni (DSS), politiche che consentano l’implementazione delle normative Europee in materia di Ambiente integrando nei modelli di Governace tradizionali concetti come la ‘Sostenibilità Ambientale’. I modelli tradizionali di governance assumono l’uomo come elemento dominante sulla natura e implicano che il sistema naturale può sostenere l’impatto di una crescita economica illimitata. Uno tra i maggiori effetti di questo modello di governance è l’impatto delle pressioni antropogeniche sul Clima. Pertanto è necessario costruire nuovi modelli di governace avvalendosi di strumenti e metodologie di analisi, sviluppate nel contesto della ricerca scientifica che riescano a valutare azioni specifiche a breve e lungo termine mirate al raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale e alla riduzione degli impatti sia sull’ambiente che sulla salute umana. 1.2 Metodologia Alcuni progetti di ricerca finanziati dalla

Commissione Europea quali ad esempio MAMCS, EUROCAT, ELME, MERCYMS hanno avuto come scopo lo sviluppo di sistemi e metodologie di analisi ad approccio multi-disciplinare ed integrato al fine di valutare mettere a punto DSS per la gestione integrata dei sistemi (ad es. Bacino del Po e Nord Adriatico) o per analizzare l’impatto dell’inquinamento chimico sugli ecosistemi (ad es. mercurio nell’area del Mediterraneo). La metodologia di analisi è composta da una serie di elementi: - il modello Determinanti-Pressioni-StatoImpatto-Risposte (DPSIR); - l’analisi delle politiche di intervento; - la valutazione di scenari socio-economici di tipo Business-As-Usual (BAU), Policy Target (POT) e Deep Green (DG); - l’applicazione di un sistema integrato di modelli biogeochimici; - l’analisi Multicriteriale (MCA) per l’identificazione delle strategie efficaci nelle tre prospettive economica, ecologica e sociale. Il modello DPSIR (Fig. 1) permette di stabilire le relazioni di causalità tra i determinanti antropogenici, le pressioni da essi esercitate e l’alterazione dello stato qualitativo degli ecosistemi naturali (Pirrone et al., 2005). 847


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

ci sull’eutrofizzazione (Eisenriech, 2005; Cinnirella et al., questo volume) agli scenari valutati vengono sovrapposte le ipotesi di variazione della temperatura e delle precipitazioni riportate in letteratura (IPCC, 2001). Pertanto, verranno illustrati e discussi prima gli scenari valutati senza l’impatto dei cambiamenti climatici e successivamente, su alcuni di essi, verranno applicate delle ipotesi di variazione del clima. 2 RISULTATI RILEVANTI Figura 1: Sistema di supporto alle decisioni utilizzato per l’area allo studio.

Gli scenari hanno lo scopo di fornire l’immagine di come il sistema naturale potrebbe apparire in corrispondenza di alcune assunzioni e ipotesi socio-economiche (Turner et al., 2002). La valutazione degli scenari socioeconomici richiede un’accurata analisi dei Determinanti responsabili dell’alterazione dello stato qualitativo dell’ecosistema, per cui per ognuno di essi viene ricostruito il trend di almeno 20 anni. L’analisi delle politiche ambientali implementate a livello nazionale ed europeo e i protocolli internazionali consente di redigere una banca dati di tipo normativo contenete le opzioni di intervento o policy options attuali e previste, di cui si testerà l’impatto sugli ecosistemi mediante l’uso dei modelli biogeochimici. Infine, l’MCA degli scenari è lo strumento che consente di interpretare la risposta dell’ecosistema alle diverse tipologie di piano, nel rispetto sia degli obiettivi del decisore politico sia delle aspettative sociali. Simultaneamente viene implementato il principio di ‘Partecipazione’ alle decisioni politiche (riportato nella 2000/60/EC WFD) ed il processo di Valutazione Ambientale Strategica (D.lgs. 152 del 2006). A titolo esemplificativo, in questo articolo viene riportata l’applicazione della metodologia di analisi illustrata in precedenza al sistema integrato bacino del Po area costiera del Nord Adriatico effettuata nell’ambito del progetto EUROCAT. Al fine di valutare l’impatto dei cambiamenti climati848

2.1 Scenari socio economici senza l’impatto dei cambiamenti climatici Il carico di nutrienti veicolato dal bacino del Po nel Nord Adriatico (Pressioni) è di 263000 t/a di azoto e 10750 t/a di fosforo. I maggiori determinanti, in relazione all’eutrofizzazione, sono l’agricoltura (23% di N e 11% di P), l’allevamento (40% N e 20% di P) e le acque reflue civili (23% di N e 56% di P). Lo stato qualitativo del Nord Adriatico, valutato con l’indice TRIX, assume valori tra pessimo e scadente (Pirrone et al., 2005). In accordo con i trend e con le politiche economiche adottate nell’area di studio è stata formulata un’ipotesi di sviluppo socio-economico per l’area del Po o story-line e le informazioni sono state spazializzate mediante l’uso dei GIS. Gli scenari sviluppati per l’area allo studio sono stati formulati in accordo agli obiettivi di qualità riportati dalle Direttive europee e italiane (Trombino et al., 2005). Nello scenario BAU o scenario di trend si ipotizza il completamento dei piani e delle azioni in itinere in relazione al potenziamento delle infrastrutture quali fognature e depuratori. Negli scenari POT si considerano diversi livelli di implementazione legislativa: bassa (PT1), media (PT2) e alta (PT3) (Tab. 1). Ciò in accordo con la Direttiva sui Nitrati (91/676/EEC), che prevede una graduale riduzione delle emissioni di origine agricola, ed in accordo con la Direttiva sugli Impianti di Trattamento Urbani (91/271/EEC) che prevede una riduzione delle emissioni provenienti dal sistema urbano mediante l’adeguamento degli impianti di trattamento.


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

Tabella 1: Opzioni di intervento valutate per gli scenari ‘Policy Target’ Scenari PT1

Emissioni in area agricola Bassa

Emissioni dal comparto civile Media

PT2

Media

Alta

PT3

Alta

Alta

Nello scenario DG le opzioni di intervento considerate sono misure di massima riduzione delle emissioni di nutrienti anche per quelle aree per cui la normativa non lo prevede (Trombino et al., 2005). Ciascuna policy option ha una duplice valenza: ecologica e socio-economica. Pertanto, per ciascuna opzione vengono calcolate sia le emissioni di N e P sia i costi di investimento necessari per l’attuazione della riduzione dei carichi (Trombino et al., 2005). Mediante l’uso di un modello biogeochimico (Pirrone et al., 2005) è stato valutato il carico di nutrienti veicolato dal Po nel Nord Adriatico per ciascuno scenario descritto in precedenza (Fig. 2 e 3). Come evidenziato dai grafici, negli scenari BAU aumentano sia il carico di azoto, del 2,14,6%, che quello di fosforo, dello 0,5%-4,0%. Di contro, gli scenari POT mostrano una riduzione delle emissioni che diventa considerevole nel PT3 in cui si osserva una riduzione del 9,8 per N e 28,9% per P.

essere quelli maggiormente critici poiché prevedono un aumento dei carichi sia di N che di P. Pertanto, su tali scenari sono state applicate le ipotesi di variazione sia della temperatura che della precipitazione (Cinnirella et al., questo volume). La riduzione delle precipitazioni induce una riduzione dei carichi veicolati e altera le stime effettuate in precedenza per quanto riguarda le emissioni sia del sistema urbano sia di quelle dall’area agricola. Inoltre, le simulazioni con un aumento degli eventi intensi di pioggia indicano un aumento dei carichi di nutrienti provenienti dal sistema urbano (1,8% di N e 2,3% di P).

2.2 Scenari socio economici con l’impatto dei cambiamenti climatici Come evidenziato dai risultati precedentemente illustrati gli scenari BAU risultano

2.3 Impatto dei cambiamenti climatici a livello di bacino e di area costiera Nella Tabella 2 vengono sinteticamente riportati i fattori, sia ecologici sia socioeconomici, che risentono dell’influenza dei cambiamenti climatici ipotizzati. La variazione degli eventi di pioggia determina non solo effetti sullo stato ecologico degli ecosistemi ma anche sul sistema economico. Notevoli sono infatti gli effetti sull’agricoltura in termini di danni alle colture, variazione della disponibilità idrica e conseguente aumento dei prezzi dei prodotti. Inoltre, la variazione delle portate e l’alterazione del bilancio idrologico aumenta il rischio sia per gli eventi siccitosi sia per gli alluvioni con conseguenti danni sia al territorio (in termini di erosione, dissesto e perdita di aree umide e dei relativi ecosistemi) sia a settori produttivi trainanti quali agricoltura e turismo per l’area allo studio.

Figura 2: Variazione del carico di fosforo veicolato dal fiume Po nel Nord Adiatico secondo gli scenari BAU, POT, DG.

Figura 3: Variazione del carico di azoto veicolato dal fiume Po nel Nord Adiatico secondo gli scenari BAU, POT, DG.

849


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Tabella 2: Effetti dei cambiamenti climatici sull’area allo studio. Effetti del cambiamento climatico Bacino Danni a colture ed allevamento; Agricoltura Aumento dei prezzi Disponibilità Spostamento picchi di portata; idrica Diminuzione disponibilità idrica; Variazione concentrazioni nutrienti; Stato qualitatiAumento fenomeni trofici; vo delle acque Aumento intrusioni acque salmastre. Ecosistemi Terrestri e Biodiversità Ghiacciai

Aumento produttività primaria; Alterazione equilibri ecosistema; Perdita Habitat; Aumento rischio incedi; Estinzione specie Arretramento dei ghiacciai Subsidenza con danni alle infrastrutture Area Costiera

Aumento dell’erosione costiera; Inondazioni permanenti; Linea di costa e Perdita aree umide e habitat; aree umide Aumento rischio inondazione; Intrusioni saline;

Stato qualitativo delle acque

Aumento produttività primaria Aumento fioriture algali Variazione condizioni trofiche; Introduzione nuove specie (invasive) Perdita habitat e biodiversità.

Attività economiche

Riduzione presenze turistiche Riduzione delle attrattive

3 PROSPETTIVE FUTURE Alla luce dei risultati ottenuti risulta necessario ed evidente includere gli effetti dei cambiamenti climatici all’interno delle normative che forniscono le linee guida per la pianificazione ambientale strategica come la 2000/60/EC WFD. Inoltre, è necessario perfezionare e sviluppare metodologie di analisi ad approccio multi-disciplinare ed integrato come quello illustrato in questo breve saggio al fine di supportare la formulazione e l’adozione di strategie efficaci per la riduzione e la mitigazione delle criticità ambientali. In questo contesto lo sviluppo di scenari socioeonomici capaci di valutare tutti i fattori antropogenici che producono impatti sugli ecosistemi tenendo conto dei cambiamenti 850

climatici locali e globali, fornisce uno strumento di valutazione necessario per i decisori politici per l’adozione di strategie efficaci che devono includere: - gli obiettivi ecologici in termini di rispetto degli standard di qualità ambientale e tutela del territorio e della biodiversità; - gli obiettivi economici in termini di sviluppo sostenibile del sistema produttivo; - gli interessi degli utenti in termini di aspettative sociali siano esse miglioramento della qualità della vita o riduzione dei rischi per la salute umana. 4 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Eisenreich S.J., Bernasconi C., Campostrini P., De Roo A., George G., Heiskanen A.S., Hjorth J., Hoepffner N., Jones K.C., Noges P., Pirrone N., Runnalls N., Somma F., Stilanakis N., Umlauf G., van de Bund W., Viaroli P., Vogt J., Zaldivar J.M., 2005. Climate Change and the European Water Dimension. EU Report No. 21553, EC-JRC, Ispra, Italy, pp.253. IPCC, 2001. Climate Change 2001: the Scientific Basis. Cambrige University Press: 881 pp. Pirrone N., Trombino G., Cinnirella S., Algieri A., Bendoricchio G., Palmeri L., 2005. The Driver-Pressure-State-Impact-Response (DPSIR) approach for Integrated catchment-coastal zone management: preliminary application to the Po catchmentAdriatic coastal zone system. Regional Environmental Change, 5: 111-137. Turner K.R., 2002. Guidelines for Scenarios, Modelling and Institutional/Policy analysis: ‘The Rhodos’ Report, 51 pp (Integrated document of EUROCAT Project). Trombino G., Cinnirella S., Algieri A., Pirrone N., 2005. River Basin Management Plan for the Po Catchment under the Water Framework Directive. Geophysical Research Abstracts, 7: 08857. http://www.cs.iia.cnr.it per dettagli sull’attività di ricerca.


Utilizzo di modelli comprehensive per l’individuazione di strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici C. Cosmi1, S. Di Leo1, S. Loperte1, F. Pietrapertosa1, M. Salvia1,V. Cuomo1, M. Macchiato2 Istituto di Metodologie per l'Analisi Ambientale, CNR, Tito Scalo (Pz), Italia Dipartimento di Scienze Fisiche, Università “Federico II”, Napoli, Italia cosmi@imaa.cnr.it

1 2

SOMMARIO: L’individuazione di strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici implica una attenta analisi delle implicazioni economiche e tecnologiche delle politiche energia-clima, nell’intento di offrire nuove prospettive strategiche e nuovi strumenti decisionali ai policy makers. L’articolo intende fornire una descrizione sintetica delle attività di ricerca in corso presso il CNR-IMAA riguardanti lo sviluppo di modelli e strumenti di supporto ai decisori politici per la valutazione degli effetti delle direttive UE in materia di energia ed ambiente e l’attuazione a scala nazionale e pan-europea di strategie volte al raggiungimento dei target prefissati. In particolare, nell’ambito dell’IP NEEDS, finanziato nel VI Programma Quadro dell’UE, viene sviluppata una metodologia integrata per l’analisi dei sistemi energetici (basata sull’utilizzo del VEDA – TIMES dell’AIE) finalizzata alla definizione di politiche energetico-ambientali includenti i costi esternali nel costo totale di beni e servizi. Nel seguito viene descritto lo stato dell’arte delle attività, in riferimento all’applicazione relativa al sistema energetico italiano.

1 IL PROBLEMA SCIENTIFICO L’evidenza dei legami esistenti tra cambiamenti climatici, indotti dai gas serra di origine antropogenica, e problematiche energetico – economiche (uso inadeguato delle fonti fossili e delle tecnologie, incertezza dei prezzi ed incertezza nello sviluppo dei mercati della domanda e dell’offerta, ect.) fa sì che siano sempre più richiesti strumenti modellistici in grado di effettuare analisi di scenario al fine di re-orientare il sistema delle attività antropiche verso una configurazione che armonizzi salvaguardia ambientale, crescita economica e sicurezza nell’approvvigionamento energetico. Nell’ambito dello sviluppo sostenibile, le principali sfide scientifiche riguardano, attualmente, l’internalizzazione dei costi ambientali e la capacità di tener conto degli impatti totali del sistema antropico (produzione, uso e smaltimento di beni e servizi). La complessità e la dinamicità dei processi antropici e delle loro interrelazioni con l’ambiente, rendono neces-

sario pertanto lo sviluppo di strumenti modellistici avanzati per l’analisi quantitativa globale (comprehensive) a medio-lungo termine dei sistemi energetici in grado di evidenziare i cambiamenti nella struttura del sistema domanda-offerta, l’impatto delle nuove tecnologie in termini di ricadute ambientali e socioeconomiche, ed il ruolo delle esternalità nel raggiungimento di obiettivi strategici. Un importante contributo a tali tematiche verrà fornito dal Progetto Integrato NEEDS “New Energy Externalities Developments for Sustainability” (http://www.needs-project.org), finanziato dal VI Programma Quadro dell’UE (Priorità tematica 6.1 “Sistemi energetici Sostenibili”). Tale progetto, in corso di svolgimento, è finalizzato alla definizione di una metodologia integrata per la valutazione dei costi totali (diretti ed esternali) e di politiche per lo sviluppo dei sistemi energetici a mediolungo termine, a scala nazionale ed europea, che focalizzano sui principali problemi ambientali ed energetici (cambiamenti climati851


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

ci, inquinamento atmosferico a scala locale, valorizzazione delle risorse endogene).

le priorità operative relativamente ad esigenze di salvaguardia ambientale e sicurezza nell’approvvigionamento energetico.

2 ATTIVITÀ DI RICERCA 2.1 Obiettivi Gli obiettivi principali dell’attività di ricerca riguardano, in generale, lo sviluppo di metodologie e modelli multicriteria in grado di rispondere alle istanze derivanti dai diversi ambiti (energetico, ambientale, tecnologico, socio-economico) e di supporto ai decisori politici nella definizione delle politiche energetico-ambientali, con particolare riferimento a strategie di mitigazione e di miglioramento della qualità dell’aria. Ciò si traduce operativamente nella messa a punto di strumenti modellistici innovativi in grado di valutare le ricadute delle politiche energia – clima in termini di risorse e tecnologie utilizzate e di impatto ambientale complessivo del sistema energetico, mettendo in evidenza il ruolo dell’innovazione tecnologica per il raggiungimento di obiettivi strategici (target di qualità ambientale, percentuale d’uso di fonti rinnovabili, etc.).Queste tematiche sono sviluppate in particolare nell’ambito del progetto NEEDS, linea di ricerca RS2a “Energy systems modelling and internalisation strategies including scenarios building”, le cui attività sono coordinate dal CNR-IMAA. L’obiettivo principale della RS2a è infatti la definizione di una piattaforma modellistica alla scala europea, con disaggregazione a livello nazionale, costituita dal modello comprehensive NEEDS-TIMES Pan-Europeo, che integra con un approccio “multiregione” i modelli di equilibrio parziale di 29 stati europei. Tali modelli includono, nello sviluppo a lungo termine, informazioni provenienti da LCA and ExternE relative ad emissioni, materiali, fattori di danno ed esternalità energetiche. Il fine ultimo è quello di fornire all’UE uno strumento per confrontare e valutare le diverse misure strategiche (soglie di emissione di CO2, target di uso delle fonti rinnovabili, ecc.) in relazione anche all’aumento dell’efficienza tecnologica, allo scopo di definire 852

2.2 Metodologia Il carattere fortemente innovativo della metodologia messa a punto risiede nell’integrazione operativa in un’unica piattaforma modellistica delle più diffuse metodologie per la valutazione dell’impatto delle attività antropiche (analisi comprehensive, Life Cycle Analysis - LCAed ExternE) in cui dati di base sono forniti in input ai modelli di equilibrio parziale, in un processo iterativo di armonizzazione di metodologie, dati e risultati. Tale piattaforma modellistica è basata sul generatore di modelli TIMES (The Integrated MARKALEFOM System), ed è gestita dall’interfaccia utente VEDA (http://www.kanors.com/software.htm), entrambi sviluppati sotto l’egida dell’Energy Technology Systems Analysis Programme dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (http://www.etsap.org) ed ampiamente diffusi in ambito internazionale per studi di pianificazione energetico-ambientale a medio-lungo termine, con particolare riferimento al problema delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento ambientale (Gielen, 2003; Rafaj et al., 2005). Le principali caratteristiche del TIMES, implementato nel linguaggio di programmazione GAMS, sono: - Rappresentazione dettagliata dei flussi di energia e materiale con un approccio lineare multiperiodale; - Ottimizzazione lineare multiobiettivo (funzione obiettivo e vincoli lineari) per l’individuazione delle soluzioni di minimo costo; - Rappresentazione dettagliata delle tecnologie esistenti e future relativamente ai parametri tecnico-economici ed ambientali, ed al turnover tecnologico (vintaging e technology learning); - Orizzonte temporale di medio-lungo termine suddivisibile in periodi di tempo di lunghezza fissa e/o variabile, determinabile dall’utente in relazione alle necessità dell’analisi ed allo sviluppo tecnologico; - Risoluzione multiregionale; - Possibilità di considerare l’elasticità della


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

domanda e di modellizzare le curve di carico per elettricità, calore, raffrescamento; - Analisi dell’impatto di differenti politiche e meccanismi dei prezzi attraverso curve di trade-off. Tale generatore di modelli permette pertanto di determinare la configurazione ottimale di un sistema energetico in termini di uso delle risorse e costo di beni e servizi in relazione a differenti vincoli esogeni e quindi di valutare quantitativamente le ricadute di diverse prospettive di sviluppo. La sua elevata flessibiltà permette inoltre una facile integrazione dei parametri provenienti da LCA ed ExternE, consentendo di estenderne i risultati sull’orizzonte temporale considerato, assicurando la consistenza metodologica dei risultati. 3 RISULTATI RILEVANTI L’attività di ricerca ha riguardato lo sviluppo e l’implementazione del modello NEEDSTIMES Italia, finalizzato all’ottimizzazione dei flussi energetici del sistema italiano con riferimento ai principali macrosettori economici (Residenziale, Terziario, Agricoltura, Industria, Conversione energetica). In particolare, è stata definita la struttura di riferimento comune a tutti i modelli nazionali (Reference Energy System – RES, template per ciascun settore, database delle tecnologie energetiche) ed i meccanismi di trading tra le nazioni, con l’identificazione delle variabili di scambio per l’integrazione dei modelli nazionali nel NEEDS – TIMES Pan-Europeo (Cosmi et al., 2006). Il modello NEEDS-Italia è stato poi calibrato ai dati statistici (bilanci energetici Eurostat 2000-2005). Successivamente, è stato implementato ed analizzato uno scenario riferimento “Business As Usual – BAU” (orizzonte temporale 2000 – 2050) che considera l’evoluzione tendenziale della domanda per ciascun macrosettore derivante dal modello GEM-E3 (dati DGTREN 2005), le proiezioni dell’Unione Petrolifera per il consumo di prodotti petroliferi, e le principali norme vigenti in materia di energia ed ambiente (percentuali d’uso delle rinnovabili e dei biocom-

bustibili, etc.). Si è quindi analizzata la risposta del modello in relazione a tali condizioni al contorno in termini di uso di combustibili, tecnologie, e di emissioni di CO2. I risultati ottenuti hanno evidenziato, dal 2005 al 2050, un aumento del consumo di metano e di prodotti petroliferi nella maggior parte dei settori di domanda (che, data la scarsità di risorse endogene, si ripercuote nell’aumento delle importazioni), nonchè di energia elettrica. Il calore prodotto da autoproduttori in impianti di cogenerazione ha poi un’alta percentuale di utilizzo nell’Industria (15%). Nel settore dei Trasporti, i prodotti petroliferi continuano ad avere un ruolo predominante, con una piccola percentuale di utilizzo di biocombustibili (7%). Sull’intero orizzonte temporale le fonti rinnovabili, in ottemperanza agli obiettivi nazionali, contribuiscono al soddisfacimento della domanda per il 7% nei Trasporti, per il 7% nel Terziario, per il 3% nel Residenziale e per lo 0.3% nell’Industria. I settori in cui si rileva un aumento dei consumi sono Industria (+74% in totale, di cui l’86% relativo ai soli combustibili che contribuiscono alle emissioni di CO2), Trasporti (+32%) e Terziario (+27%) mentre nel Residenziale si ha una diminuzione dei consumi del 12% grazie all’aumento dell’efficienza energetica. Le emissioni di CO2 prodotte dalla combustione, in assenza di vincoli specifici, aumentano tendenzialmente del 18% tra il 2000 e il 2050, non soddisfacendo quindi il target di riduzione dei gas serra previsto per l’Italia dal Protocollo di Kyoto. Industria e Trasporti sono i settori che contri-

Figura 1: Andamento delle emissioni di CO2 per settore.

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

cambiamenti climatici e di miglioramento complessivo della qualità dell’aria a scala nazionale e Pan Europea. 4 PROSPETTIVE FUTURE

Figura 2: Confronto tra gli andamenti della produzione di elettricità da fonti rinnovabili e le emissioni di CO2.

buiscono maggiormente (+72% e +26% al 2050). In particolare, nell’Industria, nonostante l’attivazione di tecnologie no regret di sequestrazione della CO2, che consentono di abbattere il 10% delle emissioni, si registra un aumento complessivo delle emissioni a fronte dei maggiori consumi di petroliferi e carbone. Nel Terziario e nell’Agricoltura si ha invece una riduzione delle emissioni del 15% grazie all’utilizzo di tecnologie più efficienti e di collettori solari. Le emissioni di CO2 si riducono anche nel settore della produzione dell’energia elettrica (-14%), grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, ad un maggiore ricorso alla cogenerazione ed al significativo incremento della produzione da fonti rinnovabili (+26%) (Fig. 2). Ulteriori sviluppi del modello e della metodologia (introduzione dei coefficienti di emissione per emissione di CO2 da processo, gas serra e inquinanti a scala locale, di funzioni di danno e costi esternali) permetteranno di individuare la configurazione ottimale del sistema energetico e le priorità operative per l’implementazione di strategie di mitigazione dei

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Gli obiettivi futuri della ricerca riguarderanno l’analisi di scenario e di sensibilità volte all’individuazione dei target ottimali di riduzione degli impatti derivanti dall’intero ciclo di vita di beni e servizi e dei livelli di internalizzazione dei costi esternali per il raggiungimento di obiettivi strategici. 5 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Cosmi C., Blesl M., Kanudia A., Kypreos S., Loulou R., Smekens K., Salvia M., Van Regemorter D., Cuomo V., 2006. Integration of country energy system models in a Pan European framework for supporting EU policies. In C.A. Brebbia (ed.) Environmental Economics, 95: 97-106, Southampton (UK) and Boston (USA): WIT Press. Gielen D., 2003. The Future Role of CO2 Capture and Storage - Results of the IEAETP Model. IEA/EET Working Paper, EET/2003/04. Rafaj P., Kypreos S., Barreto L., 2005. Flexible Carbon Mitigation Policies: Analysis with a Global Multi-regional MARKAL Model. In Haurie, A., Viguier, L. (eds.) Coupling Climate and Economic Dynamics, Dordrecht: Kluwer Academic Publishers.


Struttura produttiva territoriale ed efficienza di emissioni attraverso la NAMEA regionale M. Mazzanti1,2, A. Montini1,3, R. Zoboli1,4 Istituto di Ricerca sull'Impresa e lo Sviluppo, CNR, Milano, Italia Dipartimento di Istituzioni, Economia e Territorio, Università di Ferrara, Italia 3 Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna, Italia 4 Università Cattolica, Milano, Italia ma.maz@iol.it 1 2

SOMMARIO: Vengono esaminate le relazioni fra struttura produttiva regionale ed emissioni di gas serra utilizzando i dati NAMEA (National Accounting Matrix including Environmental Accounts) per il Lazio relativi all’anno 2000. L’obiettivo è mostrare come i dati NAMEA possano fornire una buona base per comprendere le relazioni fra economia ed emissioni, e possano quindi fornire supporto ai decisori pubblici. Sebbene ISTAT abbia prodotto conti NAMEA a livello nazionale per il 1990-2002, quella per il Lazio per il 2000 è la prima NAMEA di scala regionale prodotta in Italia. Nel lavoro è stata applicata alla NAMEA Lazio un’analisi shift share al fine di esaminare quali siano i fattori determinanti del gap dell’efficienza di emissioni atmosferiche fra Lazio e situazione media Italiana. L’analisi shift share permette di isolare forze distinte: la prima legata al mix strutturale o industriale del territorio, la seconda basata sull’efficienza specifica di emissione dei singoli settori, la terza costituita dalla covarianza dei primi due fattori. In questa versione, tra le dieci categorie di emissioni disponibili in NAMEA, vengono esaminate solo quelle di CO2, N2O e CH4.

1 INTRODUZIONE ISTAT (2005) ha prodotto la prima NAMEA (National Accounting Matrix including Environmental Accounts) di scala regionale disponibile in Italia, che è riferita al Lazio per l’anno 2000. In questo lavoro, presentiamo alcune elaborazioni sui dati NAMEA per il Lazio con l’obiettivo di evidenziare come tale strumento di contabilità ambientale possa fornire elementi utili al sistema di conoscenza che supporta i processi decisionali delle politiche anche su scala regionale. La caratteristica più importanti di NAMEA è quella di riferire le emissioni (atmosferiche) ai settori produttivi che le generano, e consente quindi di calare direttamente l’analisi sulle implicazioni in termini di pressioni sull’ambiente del sistema produttivo locale, che è l’oggetto delle politiche regionali di sviluppo. 2 INTENSITÀ DI EMISSIONE E STRUTTURA PRODUTTIVA DEL LAZIO: UN’ANALISI SHIFT-SHARE 2.1 Introduzione e metodologia L’analisi dell’intensità di emissione del sistema produttivo laziale viene effettuata mediante un’a-

nalisi di tipo shift share e viene qui presentata limitatamente a tre gas serra (CO2, N2O e CH4)1. Si utilizza, come misura dell’efficienza in termini di emissioni (dei settori e del sistema economico regionale/nazionale nel suo complesso), l’indicatore ‘intensità di emissione’ calcolato come rapporto fra emissioni e valore aggiunto (‘tonnellate di emissioni per milione di € di valore aggiunto’). Tali indicatori di efficienza, come quelli di ‘produttività’ (rapporto tra variabile economica e variabile ambientale) vengono ampiamente utilizzati nella Material Flow Analysis (si veda, ad esempio, Femia et al., 2001). La scelta della metodologia shift share deriva dalla ricerca di effetti e fattori esplicativi dell’efficienza o inefficienza relativa del Lazio rispetto all’Italia che siano rappresentabili in modo più rigoroso e compatto rispetto ad una semplice analisi descrittiva. L’analisi shift share, che nasce negli anni sessanta come strumento di analisi di indicatori di produttività e occupazione regionale (Dunn, 1960), ______________ 1

Un’analisi estesa a tutti gli inquinanti inclusi in NAMEA Lazio, che include anche una mappatura sub-provinciale dei dati di emissione dagli inventari provinciali APAT, è sviluppata in Mazzanti, Montini e Zoboli (2007).

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Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

consente infatti di ricondurre il differenziale aggregato di efficienza/inefficienza tra Lazio e Italia a due fondamentali effetti: (i) quello di una differente composizione settoriale dell’economia regionale rispetto a quella nazionale e (ii) quello di una differente efficienza di emissione dei settori economici della regione rispetto alla media nazionale. La metodologia qui adottata è simile a quella proposta da Esteban (2000), in cui la scomposizione standard viene estesa da due a tre componenti. La regione può infatti presentare una maggiore o minore intensità di emissione aggregata rispetto alla media nazionale (considerata come benchmark) a causa della combinazione di tre effetti: (a) un effetto ‘strutturale’; (b) un effetto ‘differenziale’; (c) un effetto ‘allocativo’. L’effetto ‘strutturale’ (o di industry mix) cattura la parte di maggiore/minore intensità di emissione dovuta alla struttura settoriale del sistema economico. Assumendo invece che vi sia nella regione la stessa struttura settoriale che prevale nella media nazionale, il divario di intensità di emissione aggregata tra regione e media nazionale può dipendere da differenze nell’intensità di emissione specifica ad alcuni o tutti i settori considerati, catturate dall’effetto ‘differenziale’. Infine, la componente ‘allocativa’aggiunge un’informazione più analitica: la covarianza tra struttura settoriale (assumendo parità di efficienza) e differenza nelle intensità di emissione settoriali (assumendo parità di struttura settoriale) indica quanto (se) il sistema ha una specializzazione produttiva nei settori dove possiede un vantaggio comparato di efficienza. In termini formali, utilizziamo un indicatore aggregato di intensità di emissione definito come X = E/VA (E, emissione; VA, valore aggiunto) per la media nazionale e come Xl = El/VAl per il Lazio. Tale indicatore aggregato è scomponibile, sia per il Lazio sia per l’Italia, come sommatoria di (Es/VAs)*(VAs/VA), dove VAs/VA è la quota del valore aggiunto del settore s sul valore aggiunto totale (con s che va da 1 a j e dove j è il numero di sezioni delle classificazione ATECO delle attività economiche). Definendo inoltre l’indice di intensità di emissione Xs per ogni settore (in Italia Xs = Es/VAs, nel Lazio Xsl = Esl/VAsl,) e la quota di valore aggiunto settoriale Ps = VAs/VA per l’Italia e Psl = VAsl/VAl, per il Lazio, si avrà: X = Σs Ps Xs Xl= Σs Psl Xsl 856

Secondo la scomposizione shift share, la differenza totale tra intensità di emissione regionale e media nazionale, per ciascun inquinante, sarà pari alla somma di tre effetti, ml, pl e al, (ossia Xl - X = ml + pl + al). Il primo effetto (strutturale), ml, assume valore positivo (negativo) se la regione è ‘specializzata’in settori a minore (maggiore) efficienza ambientale; assumerà valore minimo se la regione è specializzata nei settori mediamente più efficienti. Il secondo effetto (differenziale) pl, assume valore positivo (negativo) se la regione è meno (più) efficiente in termini di emissioni specifiche dai settori produttivi. Infine, l’effetto di ‘covarianza’ tra i due precedenti (componente allocativa), al, è positivo (negativo) se la regione non è (è) specializzata nei settori a maggiore (minore) intensità di emissione. Assumerà valore minimo se la regione è specializzata nei settori nei quali registra il maggiore ‘vantaggio comparato’ (bassa intensità di emissione). Tale scomposizione rende possibile una misura delle ragioni - legate alla struttura settoriale o legate allo stato medio delle tecnologie produttive, e quindi di emissione, nella regione rispetto alla media nazionale - che sottostanno ai differenziali di intensità di emissione tra regione e media nazionale. Ad esempio, potrebbe emergere che un valore più elevato dell’intensità di emissione regionale sia dovuta solo a ragioni di struttura produttiva, sulla quale la politica ambientale non può, direttamente, avere grande influenza, mentre potrebbe avere maggiori possibilità di azione se la relativa inefficienza regionale fosse dovuta ad inefficienza specifica dei settori, imputabile alle loro tecnologie oppure ad inadeguati assetti organizzativi e regolamentari. 2.2 Principali risultati I risultati che presentiamo si riferiscono sia a tutti i settori produttivi sia a sotto-raggruppamenti rilevanti di settori. Considerando l’interpretazione del differenziale Xl - X, si noti che se positivo (negativo) la regione Lazio è relativamente meno (più) efficiente di quanto avviene nella media italiana (cioè produce più (meno) emissioni per unità di valore aggiunto) e lo stesso vale per i segni dei tre effetti definiti dalla shift share. Un’analisi dell’indicatore aggregato (Xl - X) oggetto della scomposizione shift share - mostra che il Lazio è relativamente più efficiente per tutti gli inquinanti considerati (tabella 1). Per quanto riguarda la CO2, i risultati della scom-


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

nomico laziale (Tab. 3). Un’osservazione attenta merita CO2. In questo caso è evidente che il vantaggio comparato del Lazio è spiegato dal forte apporto dei settori ATECO C,E,F. Pur rimanendo l’effetto strutturale positivo (peso nel sistema produttivo laziale di settori relativamente meno efficienti), il differenziale di efficienza pura e la covarianza tra i due elementi presentano segni negativi molto elevati. Per N2O gli ‘altri settori industriali’sono meno efficienti rispetto alla media del sistema economico laziale, mentre la manifattura presenta un dato di efficienza maggiore. Si noti che la componente m della shift share è positiva in tutte e tre le disaggregazioni settoriali, mentre nell’insieme del sistema economico presentava segno negativo. Questo dovrebbe dipendere da un segno negativo per i settori “esclusi” dalla presente analisi (agricoltura) e dalla rilevanza di tale inquinante in questo comparto produttivo. Riguardo a CH4, il minore differenziale di efficienza di manifattura e servizi, rispetto all’efficienza riscontrata in media per il Lazio, dipende dal cambiamento di segno dell’effetto strutturale, positivo per entrambi i macro-settori: sembra quindi che internamente a manifattura e servizi la composizione del valore aggiunto non sia premiante in termini di efficienza di emissioni, anche se rimane il segno negativo dell’effetto (favorevole al Lazio). Vi è invece un valore rilevante della componente p della shift share (diffe-

Tabella 1 – Intensità di emissione per inquinante (tonnellate di emissione per milione di euro di valore aggiunto, 2000). Inquinanti

Lazio

Italia

CO2

221,860

381,072

N2O

0,054

0,130

CH4

1,148

1,769

posizione shift share (Tab. 2) mostrano che l’efficienza del Lazio rispetto all’Italia risulta imputabile non ad una composizione settoriale favorevole dell’economia. L’effetto ha infatti un segno positivo: il Lazio è più specializzato in settori più intensivi nell’uso di CO2, con un ruolo significativo delle produzione elettrica. È dovuto invece ad una maggiore efficienza di emissione. Considerando N2O e CH4, tutti e tre gli effetti identificati dalla shift share presentano valori negativi, evidenziando quindi una maggiore efficienza del Lazio, sia derivante dalla composizione settoriale dell’economia sia da ragioni legate alle minori emissioni per unità di valore aggiunto; la covarianza negativa tra m e p mostra inoltre come la regione sia specializzata in settori dove è maggiore la sua efficienza per tali emissioni. I risultati dell’analisi shift share sugli aggregati dei comparti manifatturieri, dei servizi e di un gruppo definito ‘altri settori industriali’ permettono un’ulteriore lettura all’interno del sistema eco-

Tabella 2: Coefficienti dell’analisi shift share per il sistema economico (tutti i settori). Emissione

Xl

X

Xl - X

Differenza %

m

p

a

m+p+a

CO2

221,860

381,072

-159,212

-42%

26,429

-159,253

-26,388

-159,212

N2O

0,054

0,130

-0,076

-59%

-0,0272

-0,0428

-0,006

-0,076

CH4

1,148

1,769

-0,621

-35%

-0,136

-0,471

-0,0130

-0,621

Altri settori Servizi industriali

Manifattura

Tabella 3: Coefficienti dell’analisi shift share per Manifattura, Servizi e Altri settori industriali. Xl Emissione CO2 426,282 N 2O 0,027

X

Xl-X

Differenza %

m

p

a

m+p+a

469,605

-43,323

-9%

90,967

-104,519

-29,771

-43,323

0,163

-0,136

-83%

0,1788

-0,136

-0,178

-0,136

CH4

0,261

0,421

-0,160

-38%

0,154

-0,194

-0,120

-0,160

CO2

97,181

112,641

-15,460

-14%

8,895

-23,946

-0,408

-15,460

N 2O

0,010

0,013

-0,003

-27%

0,0018

-0,0046

-0,0007

-0,0035

CH4

0,651

0,706

-0,055

-8%

0,1999

-0,1978

-0,0566

-0,0546

-48%

930,408

CO2

1,315,702 2,529,417 -1,213,714

-1,556,852 -587,270 -1,213,714

N 2O

0,057

0,102

-0,044

-44%

0,035

-0,057

-0,022

-0,044

CH4

2,850

3,739

-0,888

-24%

1,340

-1,645

-0,583

-0,888

857


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

renziale di efficienza). Pur rimanendo positivo il fattore m, gli ‘altri settori industriali’ presentano un marcato effetto di efficienza pura, ed una covarianza molto elevata rispetto a servizi e manifattura. 3 CONCLUSIONI E POSSIBILI SVILUPPI Un’immagine generale del sistema energia-emissioni laziale emerge da varie analisi recenti (in particolare Regione Lazio, 2001; ARPA Lazio, 2005; ENEA, 2006) da cui risulta che per molte emissioni atmosferiche, il Lazio è caratterizzato, in confronto alla media nazionale, da una notevole efficienza. Rispetto a tale quadro, anche la nostra analisi mostra che, per tutti i gas serra considerati, la somma delle tre componenti di shift share porta il Lazio ad un vantaggio rispetto alla media nazionale. Tuttavia, interpretando ciascuno dei tre effetti da noi identificati, notiamo alcuni elementi di criticità ‘negativa’ per la regione. Innanzitutto, considerando l’effetto di composizione settoriale del sistema economico, esso risulta non premiante in termini di efficienza per le emissioni di CO2, vale a dire che per esse la composizione settoriale dell’economia laziale è relativamente sfavorevole. Ciò può riflettere, a livello di settori produttivi, il notevole peso della produzione termoelettrica regionale. Inoltre, anche se il Lazio risulta in complesso molto ‘terziarizzato’, ciò non sembra determinare di per sé un vantaggio decisivo rispetto alla media italiana. In generale, infatti, è il secondo effetto isolato dalla shift share, quello di efficienza specifica dei settori, a dominare quantitativamente sul primo effetto, quello di composizione settoriale. L’analisi shift share disaggregata per macrosettori fa emergere alcuni interessanti elementi aggiuntivi. I differenziali di efficienza totali, per tutti gli inquinanti, permangono a favore del Lazio in ogni settore. Tuttavia, relativamente al vantaggio osservato per la media regionale, si nota che il ranking dei macrosettori nel contribuire a tale vantaggio è (1) attività estrattive, energia e costruzioni, (2) manifattura, (3) servizi. Gli ‘altri settori industriali’, e al loro interno il settore ‘produzione-distribuzione di energia elettrica, gas, vapore e acqua’, quindi, sembrano essere i principali driver settoriali della efficienza relativa del Lazio nelle emissioni dei principali gas serra. Il nostro studio suggerisce che, anche con una sola NAMEA regionale è possibile mettere in luce aspetti del sistema regionale di emissioni 858

potenzialmente interessanti per le politiche. Ovviamente, la disponibilità di un set più esteso di NAMEA regionali, sia nel tempo sia nello spazio, permetterebbe ulteriori approfondimenti. In particolare, permetterebbe di caratterizzare l’evoluzione temporale dei tre effetti identificati dalla shift share, separando l’evoluzione dei fattori di struttura produttiva, oggetto di politiche regionali di sviluppo, dall’evoluzione degli effetti di efficienza pura, collegabili allo stato delle tecnologie e della regolamentazione, e quindi oggetto delle politiche ambientali. 4 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE ARPA Lazio, 2005. Rapporto sullo stato dell’ambiente del Lazio 2004, Roma. Dunn E.S., 1960. A statistical and analytical technique for regional analysis. Papers and proceedings of the regional Science Association, 6: 97-112. ENEA, 2006. Rapporto energia e ambiente 2005. ENEA, Roma. Esteban J., 2000. Regional convergence in Europe and the industry mix: a shift-share analysis. Regional Science and Urban Economics, 30: 353-64. Femia A., Hinterberger F., Luks F., 2001. Ecological Economic Policy for Sustainable Development: Potential and Domains of Intervention for Delinking Approaches. Population and Environment, 23: 157-174. ISTAT, 2005. Contabilità ambientale e sviluppo. Rapporto finale, Direzione Centrale della Contabilità Nazionale, Contabilità Ambientale, novembre 2005. Mazzanti M., Montini A., Zoboli R., 2007. Struttura produttiva territoriale ed indicatori di efficienza ambientale attraverso la NAMEA regionale, Quaderni DEIT 1/2007, Università di Ferrara (disponibile anche a www.ista.it). Regione Lazio, 2001. Piano energetico della Regione Lazio, DCR 14 febbraio 2001, n. 45, Roma.


Emission trading europeo e processi di eco-innovazione industriale S. Pontoglio, R. Zoboli Istituto di Ricerca sull'Impresa e lo Sviluppo, CNR, Milano, Italia Università Cattolica, Milano, Italia s.pontoglio@ceris.cnr.it

SOMMARIO: L’industria è responsabile in Italia di più di un terzo delle emissioni totali di anidride carbonica. L’Unione Europea ha introdotto nel 2003 (Direttiva 2003/87/CE), rendendolo operativo dal 2005, un sistema di Emission Trading che per ampiezza geografica, ammontare di emissioni coperte (50% circa del totale UE) e numero di imprese industriali coinvolte (12.000 circa) si qualifica come il più ambizioso schema di scambio dei permessi d’emissione esistente al mondo. La teoria economica e le indagini empiriche concordano nel riconoscere in generale alle politiche ambientali, ed in particolare agli strumenti basati su meccanismi economici e di mercato come l’emission trading, la capacità di stimolare complessi processi di eco-innovazione o “efficienza dinamica”, vale a dire di generazione e/o adozione di innovazioni tecnologiche rivolte a ridurre le emissioni. Il progetto di ricerca in corso presso CERIS-CNR è finalizzato ad esaminare se ed in quale misura lo schema di Emission Trading europeo (EU ETS) costituisce uno stimolo all’introduzione ed allo sviluppo di tecnologie a bassa intensità carbonica e quali sono i fattori legati al design ed all’applicazione nazionale della Direttiva che influenzano tali effetti dello strumento di scambio dei permessi. Oltre alla ricostruzione delle basi teoriche dei processi di innovazione indotta, la ricerca verte sullo sviluppo di uno specifico caso di studio riguardante il settore industriale italiano della produzione di carta e paste per carta, finalizzato ad individuare le strategie di risposta delle imprese all’introduzione di un vincolo alle proprie emissioni e alla possibilità di commerciare permessi.

1 INTRODUZIONE Il sistema di scambio europeo dei permessi d’emissione (EU ETS) introdotto dalla Direttiva Emission Trading e recepito in Italia con il Decreto-legge 12 novembre 2004, n. 273, è operativo dal gennaio 2005 (Fase I). Esso impone alle imprese di rispettare un limite alle proprie emissioni di CO2, con la possibilità di scambiare i permessi di emissione relativi a quel limite. Si applica a circa 12.000 impianti, in Europa, di cui più di 1.000 in Italia, che emettono quasi il 50% delle CO2 totale dell’Unione e appartengono ai seguenti settori: (a) attività di produzione di energia (impianti di combustione con potenza superore a 20 MW; (b) raffinerie di petrolio e cokerie; (c) impianti di produzione e trasformazione dei metalli ferrosi; (d) industria dei minerali non metalliferi (cementiera, del vetro e

della ceramica); (e) industria cartaria. Il limite di emissione (cap) imposto agli impianti è espresso dal numero di quote stabilite a livello nazionale con il Piano Nazionale di Assegnazione1 (PNA). Applicando le categorie individuate dalla teoria economica, il sistema di emission trading europeo si definisce di tipo cap-and-trade, dal momento che la compravendita avviene tra quei permessi che sommati compongono i tetti (cap) nazionali definiti nei PNA, che a loro volta compongono il cap comunitario. Lo scopo dell’EU ETS, come di tutti gli schemi di emission trading, è quello di ridurre i costi di realizzazione degli obiettivi di riduzioDecreto DEC/RAS/074/2006 del 23 Febbraio 2006. Nel complesso il PNA Italiano Fase I assegna un numero di quote pari a 669,34 MtCO2 per l’intero triennio 20052007 (pari a 222,31 MtCO2 per il 2005, 225,88 MtCO2 per il 2006 e 221,15 MtCO2 per il 2007). 1

859


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

ne delle emissioni (Kemp, 1997). Secondo le stime della Commissione, rispetto ad un costo stimato del target di Kyoto per la UE pari a circa 6 miliardi di €/anno, l’EU ETS potrebbe consentire di realizzare gli stessi obiettivi ad un costo di circa 3 miliardi di €/anno. Le imprese/impianti assoggettati alla Direttiva, al fine di rispettare il limite alle emissioni imposti dalla normativa, hanno essenzialmente due alternative. La prima (to make) è operare interventi di riduzione delle emissioni attraverso il miglioramento dell’efficienza energetica, l’ottimizzazione dei processi produttivi o la riduzione dell’intensità carbonica, ad esempio passando a fonti di energia rinnovabile. Tali interventi possono comportare la diffusione di tecnologie esistenti a minore intensità energetica/carbonica oppure indirizzare le attività di R&S verso quelle soluzioni tecnologiche che consentono un risparmio di CO2. La seconda alternativa (to buy, to sell) è quella di bilanciare l’eventuale difetto/eccesso di emissioni rispetto ai permessi che hanno ricevuto (tenendo conto delle riduzioni di emissioni operate con delle innovazioni tecnologiche di cui sopra) attraverso l’acquisto/vendita di permessi di emissione di CO2 sulle piattaforme strutturate di scambio a livello nazionale ed europeo, oppure attraverso scambi diretti tra operatori. Sulla base delle stime di PointCarbon (2007), il pur giovane mercato internazionale dei permessi di CO2 ha realizzato nel 2006 transazioni per un totale di 1,6 miliardi di tonnellate di CO2 (contro i 94 e 799 milioni registrati rispettivamente nel 2004 e 2005), per un valore complessivo di circa 22,5 miliardi di Euro. 2 OBIETTIVI E METODO DELLE RICERCA La ricerca CERIS-CNR ha lo scopo principale di far emergere se e in che misura l’EU ETS realizza nella realtà le proprietà teoriche degli schemi di emission trading di stimolare innovazione più di altri strumenti di politica ambientale. La ricerca parte quindi parte dalla comparazione tra teoria economica dei permessi nego860

ziabili d’emissione, definita da una vastissima letteratura, e realtà della policy attuata nella UE (design, previsioni e implementazione nazionale) attraverso quanto emerge dai documenti legislativi ufficiali, il monitoraggio del processo di applicazione nazionale, le serie storiche dei dati delle emissioni, le informazioni sulle quote assegnate e verificate contenute nel Registro Nazionale delle quote (CITL – Community Independent Transaction Log), i primi dati e analisi sul comportamento effettivo delle imprese partecipanti a livello europeo e nazionale. Il tema specifico dell’influenza dell’EU ETS sulle decisioni di investimento e sull’attività innovativa è inoltre sviluppato attraverso un’analisi della risposta del settore cartario all’introduzione di un tetto alle proprie emissioni e, più in generale, dell’impatto dello schema sugli altri attori del sistema d’innovazione. Tale indagine utilizza anche questionari strutturati sottoposti alle imprese cartarie, interviste agli operatori principali e analisi specifiche del coinvolgimento del sistema di innovazione sia del settore cartario che, più in generale, dell’industria. 3 ALCUNI RISULTATI PRELIMINARI Il progetto di ricerca è in corso, ed i risultati qui esposti sono preliminari e parziali. L’esame della struttura dello schema di scambio europeo EU ETS evidenzia preliminarmente i seguenti elementi come quelli maggiormente influenti sull’innovazione tecnologica (Mazzanti, Pontoglio, Zoboli, 2004): (a) grado di severità o stringency del sistema (ammontare dei permessi); (b) principi settoriali di allocazione delle quote; (c) ampiezza del sistema (gas e settori inclusi); (d) linking con altri sistemi di scambio esterni; (e) orizzonte temporale/durata dello schema; (f) trattamento degli impianti nuovi entranti/chiusure. Per quanto riguarda il fattore (e), l’articolazione temporale dell’EU ETS in due fasi (Ia: 2005-2007, Fase IIa: 2008-2012, corrispondente al compliance period di Kyoto) che coprono nel complesso un orizzonte di otto


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

anni può considerarsi, in assenza di un quadro definito per il post-2012, un orizzonte temporale troppo breve per orientare decisioni d’investimento caratterizzate da cicli di capitale ventennali, quali quelli osservabili nei i settori industriali ad alta intensità di capitale, come il cartario. Quanto al fattore (b), cioè i principi di allocazione delle quote, è stata osservata a livello europeo una scarsa armonizzazione, anche a causa della caratteristica di decentralizzazione del sistema, nel quale le autorità nazionali hanno ampia discrezionalità (seppure nell’ambito dei principi e guidelines uniformi a livello europeo). La teoria riconosce all’assegnazione delle quote/permessi tramite asta i maggiori potenziali stimoli all’innovazione, ma questo criterio ha trovato scarsa applicazione per il primo periodo 2005-2007, in cui la maggior parte dei permessi è stato assegnato a titolo gratuito (cosiddetto grandfathering). Il fattore (a), cioè il grado di severità dell’obiettivo di riduzione, può essere considerato come condizione essenziale affinché il sistema di scambio posso essere da stimolo al processo di eco-innovazione. La stringency può essere calcolata come distanza dell’ammontare dei permessi allocati dalle emissioni Business-asusual. Questa distanza (emissions-to-the-cap) può essere considerata un indicatore del grado di ambizione imposto da un Piano Nazionale di Allocazione. Al fine di misurare questa distanza, è necessario distinguere tra livello nazionale/settoriale/gruppi di impianti e, per ciascun livello esaminare il trend delle emissioni storiche, le quote allocate e le emissioni verificate. L’esame delle combinazioni tra i due criteri individuati fornisce un quadro di dettaglio; il posizionamento in aggregato dell’Italia, nasconde infatti posizionamenti settoriali differenziati, a loro volta scomponibili per categorie di impianti, che vedono alcuni settori/impianti con abbondanti permessi ed altri con carenza di permessi. In complesso, dal confronto tra quote allocate ed emissioni verificate a livello nazionale (anno 2005) è emerso che l’Italia per l’anno 2005 è risultata essere insieme a Spagna,

Austria, Irlanda e Gran Bretagna fra i paesi nei quali il numero di quote/permessi distribuiti dal PNA sono risultate inferiori rispetto alle emissioni prodotte e verificate. Tale condizione caratterizza, a livello aggregato, l’Italia come compratore netto di quote/permessi sul mercato internazionale. Ma non tutti i settori (o impianti nello stesso settore) sono compratori, da un esame più approfondito si evince come tale condizione sia differenziata sia per settore che tra piccoli e grandi impianti. Il livello d’indagine nazionale non consente ancora di identificare le cause del difetto di quote in aggregato, che potrebbero risultare dall’applicazione di un target di riduzione più ambizioso rispetto a quello degli altri paesi europei oppure dall’aumento delle emissioni nei settori industriali interessati al di sopra dello scenario BaU, oppure dagli scarsi interventi realizzati per abbattere le emissioni da parte degli impianti. In linea teorica nessuna di queste ipotesi può, per ora, essere esclusa. 4 L’INDUSTRIA CARTARIA E L’EMISSION TRADING Il processo di fabbricazione della carta richiede significative quantità di energia, sotto forma sia di calore che di energia elettrica. Considerando che gli approvvigionamenti di fonti energetiche rappresentano generalmente per le cartiere la seconda voce di costo, con un’incidenza valutabile in media nell’ordine del 20% dei costi di produzione, si comprende perché esso sia annoverato tra i settori energyintensive. Rispetto al trend storico, si è osservata una diminuzione costante dell’intensità energetica per unità di prodotto. Secondo le stime Assocarta (2006), negli ultimi 11 anni si è verificato infatti un miglioramento dell’efficienza energetica pari al 20%. Questo andamento è stato, ai fini del consumo energetico e delle emissioni, più che compensato dalla crescita della produzione cartaria, che negli ultimi 10 anni è stata di circa il 3% medio annuo. Le emissioni di gas serra del settore cartario provengono principalmente dalle attività di produzione energetica e solo in minima parte si tratta di emissioni di processo. 861


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

All’industria cartaria sono state assegnate dal PNA italiano 5,02 MtCO2 per il 2005, 5,09 per il 2006 e 5,16 per il 2007, comprensivi di 0,58 MtCO2 di riserva per gli impianti nuovi entranti, valida per l’intero primo triennio. Le quote sono state allocate secondo il principio delle emissioni storiche (grandfathering), utilizzando la media del periodo 2000-2003 come base storica (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2006). Tabella 1: Confronto fra allocazione ed emissioni dell’industria cartaria. N° impianti 163

Quote allocate PNA, tCO2 (2005)

Emissioni verificate, tCO2

4.899.076

5.096.179

2

Deficit/eccesso di quote, tCO2

Tabella 2 Disaggregazione degli impianti cartari per dimensione ed eccesso/deficit di quote

197.103 (4,023%)

Il 55% delle emissioni è prodotto da 25 grandi impianti che emettono più di 50.000 tCO2. I piccoli impianti, che emettono meno di 10.000 tCO2 sono 57 e contribuiscono nel complesso solo al 5,75% dell’anidride carbonica prodotta dal settore. Nel sistema di scambio europeo, l’industria cartaria italiana si posiziona tra i settori compratori (deficit di quote al 2005 pari a 197.103 tCO2) e costituisce un’eccezione a livello europeo in quanto, negli altri 24 paesi dell’Unione (a parte per la Lituania), il medesimo settore è 3 risultato essere venditore di quote . Quest’indicazione per l’aggregato cela in realtà posizioni differenziate fra i diversi impianti, che costituiscono il punto di partenza per identificare le strategie di risposta innovativa o meno delle singole imprese. Sul totale dei 163 impianti del cartario, 46 risultano avere registrato un eccesso di quote per l’anno 2005, i restanti sono invece stati caratterizzati da un difetto di quote. Un ulteriore distinguo opportuno riguarda la diversa condizione 2 I dati delle emissioni verificati provengono dal CITL,

per 7 impianti manca l’indicazione delle emissioni verificate e si è quindi supposto che siano equivalenti a quelle allocate. 3 Vedi Ellerman e Buchner (2006). Nel contesto italiano, gli altri settori in difetto di quote sono il settore di generazione energetica ed il cementiero.

862

dei piccoli/grandi impianti. La distinzione degli impianti per dimensione evidenzia come sia particolarmente numerosa la categoria degli impianti di piccole dimensioni che costituiscono il 37%. Questo dato riflette caratteri strutturali del tessuto industriale italiano. L’identificazione delle posizioni differenziate tra gruppi di impianti consente di individuare alcune delle caratteristiche delle imprese che possono influenzarne la risposta strategica e innovativa. L’effetto dell’applicazione della Direttiva è infatti influenzato dalla dimensione d’impresa e dalle risorse interne.

Impianti

Unità

Eccesso di quote

Deficit di quote

N.a.*

Piccoli (<10.000 tCO2/a)

60

37%

15

25%

40

36%

5

Medi

94

58%

26

28%

66

60%

2

Grandi (>100.000 tCO2/a)

9

5%

5

55%

4

4%

-

Totale

163

100%

46

28%

110 67%

7

* Impianti per i quali mancano le informazioni sulle emissioni verificate.

Il 67% degli impianti si trova in difetto di quote per un totale di 419.341 tCO2 che costituisce la domanda di quote del settore cartario per l’anno 2005. L’offerta, proveniente dal 28% degli impianti, ammonta a 222.238 tCO2. Da tale combinazione deriva il deficit complessivo. In generale, qualora un’impresa si trovi in difetto di quote, le alternative a sua disposizione per rispettare il cap imposto dalla normativa sono (a) il ricorso al mercato (acquisto di quote), (b) l’introduzione/programmazione di soluzioni tecnologiche che comportano una riduzione delle emissioni. Accanto a queste due alternative make-or-buy si affianca la possibilità di anticipare (borrowing) le quote assegnate per gli anni successivi, valida per il 2005-2006 ma non per il 2007. Il ricorso al mercato può avvenire attraverso il trasferimento diretto da altri operatori o acquistando quote tramite le piattaforme di


Mitigazione dei cambiamenti climatici ed adattamento

scambio strutturate che richiedono l’intermediazione di consulenti finanziari o brokers, o attraverso l’adesione a Carbon Funds. Quanto alla realizzazione di interventi di riduzione, le opzioni tecnologiche in grado di ridurre le emissioni carboniche variano a seconda del processo produttivo adottato, e in generale possono ricondursi alle seguenti categorie: (1) ottimizzazione dei processi produttivi; (2) aumento dell’efficienza energetica dei processi; (3) aumento dell’efficienza energetica nell’auto-produzione di energia; (4) aumento del ricorso alle energie rinnovabili; (5) conversione (fuel-switch) a fonti energetiche a minore intensità di carbonio (6) variazione dell’offerta di prodotti. L’esistenza di un tetto alle emissioni di CO2 e di un prezzo internazionale del carbonio costituiscono inoltre un fattore di stimolo in mezzo a molti altri, i cui effetti di modulazione dell’innovazione ambientale vanno valutati in un orizzonte temporale lungo, che tenga conto dei cicli di capitale fisso. L’esame dell’influenza delle politiche del clima sull’innovazione ambientale non può inoltre prescindere dall’integrazione nel campo di indagine delle altre politiche ambientali (in particolare per le rinnovabili e Direttiva IPPC) che interessano il settore cartario e dalla considerazione specifica delle opzioni tecnologiche di riduzione attualmente disponibili. Oltre ad essere un fenomeno multi-stimolo, l’eco-innovazione è inoltre un processo multiattore. Pur essendo l’industria cartaria il destinatario diretto del vincolo alle emissioni, l’elaborazione di soluzione tecnologiche coinvolge anche gli altri attori del cluster industriale e del sistema di innovazione, di cui fanno parte i fornitori di materie prime (settore forestale e riciclo) e prodotti chimici, i produttori di impianti e macchinari, i consulenti, gli istituti ed enti di ricerca, i fornitori di energia, i fornitori di servizi ed i consumatori. Il processo di innovazione ha natura sistemica, e questo è particolarmente vero per l’industria cartaria, che si qualifica per un basso tasso di innovazione e ricerca interna, ma che

è in grado di beneficiare dell’attività innovativa e degli avanzamenti tecnologici realizzati all’interno del proprio cluster (Autio et al., 1997). In tale ambito, di particolare importanza risulta essere il ruolo dei fornitori di impianti e macchinari, che sono oggetto di indagine della ricerca CERIS-CNR. 5 CONCLUSIONI E POSSIBILI SVILUPPI La relazione intercorrente tra politiche ambientali e innovazione ambientale quali risposta strategica all’imposizione di un vincolo alle esternalità ambientali è stata scarsamente analizzata, soprattutto dal punto di vista empirico. L’emergenza del problema dei cambiamenti climatici, che richiede una soluzione soprattutto tecnologica per la mitigazione, fanno dello schema europeo di emission trading un caso di studio rilevante per validare empiricamente questa relazione, identificarne i fattori di influenza, contestualizzarla alla realtà industriale italiana ed elaborare proposte per i decisori pubblici per migliorare l’efficienza dinamica delle politiche per il clima. L’esame dello schema europeo e delle fasi che hanno caratterizzato l’implementazione nazionale, ha consentito di individuare quei fattori e principi che possono limitare il potenziale impatto innovativo di questa politica ambientale. Anche se la teoria economica riconosce all’emission trading un’efficienza dinamica, cioè una capacità di stimolare innovazione, maggiore rispetto a quella attribuibile a strumenti di politica ambientale basati sulla regolamentazione diretta (commandand-control), lo stimolo all’innovazione di questo strumento dipende in modo cruciale dal grado di ambizione delle riduzione imposte e da diversi elementi di design del meccanismo di distribuzione delle quote ai singoli impianti, nonché dal prezzo del carbonio sui mercati internazionali. A soli due anni dall’entrata in vigore del sistema di scambio europeo, è possibile cominciare ad esaminare la risposta strategica degli impianti all’applicazione della direttiva, per verificare l’entità del ricorso al mercato e l’in863


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

fluenza sulle decisioni d’investimento in nuove tecnologie e sulle attività di ricerca. I dati raccolti con il questionario e le interviste alle imprese consentiranno di analizzare nel dettaglio il posizionamento ed il comportamento del settore cartario. Lo studio del sistema d’innovazione dell’industria cartaria, l’identificazione degli attori e delle opzioni tecnologiche in grado di ridurre l’intensità carbonica del settore consentirà inoltre di verificare il ruolo delle politiche ambientali quali fattore di stimolo al processo di eco-innovazione e di elaborare proposte per favorire lo sviluppo e la diffusione di tecnologie a minore intensità di carbonio. 4 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Assocarta, 2006. Rapporto Ambientale dell’industria cartaria, Roma. Autio E., Dietrichs E., Führer K., Smith K., 1997. Innovation Activities in Pulp, Paper and Paper Products in Europe, STEP Group Report 004-1997, Report to European Commission, DG-XIII, Oslo. Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003 che

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istituisce un sistema per lo scambio di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio. Ellerman D., Buchner B., 2006. OverAllocation or Abatement? A Preliminary Analysis of the Eu Ets based on the 2005 Emissions data. Nota di Lavoro 139.2006, Feem, Milano. Kemp R., 1997. Environmental Policy and Technical Change: A Comparison of the Technological Impact of Policy instruments, Edward Eldgar, Cheltenham, UK. Mazzanti M., Pontoglio S., Zoboli R., 2004. Emission Trading in Lombardia: Studio per una ipotesi di azione a scala regionale. Rapporto di ricerca IRER, Milano. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, 2006. Assegnazione e rilascio delle quote di CO2 per il periodo 20052007 ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 11, paragrafo 1 della direttiva 2003/87/CE del parlamento europeo e del Consiglio, DEC/RAS/074/2006 del 23.02.2006. PointCarbon, 2007. Carbon 2007. A new climate for carbon trading, Memo, 13 March 2006.


Indice degli Autori

Abouabdillah A., 577 Accornero A., 271 Acri F., 551 Aires F., 43 Albani A. D., 205 Albertini F., 839 Alfieri S. M., 437, 625 Aliani S., 263, 291, 793 Alimonti M., 761 Allegrini I., 315 Amalfitano S., 573 Amato U., 625 Ambrosetti W., 601 Amori G., 689 Anav A., 487 Angeli L., 129, 735 Angelini F., 463, 475 Antonini A., 381 Anzalone E., 147 Arca B., 433, 721 Arduini J., 471, 475 Armeri G. M., 537 Aronica S., 533 Asioli A., 157 Astraldi M., 521 Atanassov At., 319 Azzali M., 267, 547 Azzaro F., 299 Azzaro M., 271, 299, 505, 561 Bacci L., 809 Bacci M., 823 Baldi M., 15, 23, 125, 241, 377, 233

Baraldi R., 641 Barbante C., 153, 311 Barbanti L., 601 Barnaba F., 463 Baroli M., 557 Baronti S., 365, 653, 681 Barra Caracciolo A., 573 Bartolini D., 743 Bartolini G., 233 Basilone G., 509, 529, 533, 537 Bassano B., 677 Bastianini M., 551 Bazzani G. M., 813 Bellante A., 529 Belosi F., 459 Benedetti E., 487 Benincasa F., 349, 369 Bergamasco A., 205, 259, 263, 291 Bernardi Aubry F., 551 Berretti F., 681 Bertolani L., 479 Bertoni R., 417, 613 Biagi S., 831 Bianchi F., 417, 551 Bianchini G., 69 Bianchini M. L., 513 Bindi M., 713 Boldrin A., 551 Bonafè U., 471, 475 Bonanno A., 517, 529, 533, 537 Bonasoni P., 471, 475 Bonazza A., 805 865


Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR

Bordogna G., 253 Borghini M., 337 Borselli L., 743 Bortoli D., 319, 401, 483 Boschetti M., 253 Boschi C., 831 Bottai L., 129, 405, 735 Bozzano R., 105, 337 Bracco A., 59 Braguglia C. M., 843 Brandani G., 673 Brandini C., 333, 501 Brauer A., 295 Brivio P. A., 253 Brugnoli E., 649, 773 Brugnoni G., 245 Brunetti M., 117, 225, 229, 409 Budgell W. P., 259 Budillon F., 173 Budillon G., 271 Buffa G., 529 Buongiorno Nardelli B., 345 Buscaino G., 517, 529, 533, 537 Buttafuoco G., 237 Calanchi N., 295 Calfapietra C., 705 Callieri C., 613 Caloiero T., 237 Calzolari F., 471, 475, 483 Campanelli M., 447 Canali G., 201 Canessa B., 373, 413 Canu A., 433 Capecchi V., 373, 385 Capotondi L., 287 Caravati E., 613 Carbognin L., 205 Carbone C., 73 Carbone R. E., 113 Carfora M. F., 625 Carli B., 69 Carnazza S., 323 Carniel S., 205, 259 Carrada G. C., 271 Carrara E. A., 601 Carrara P., 253 Caruana L., 537 Caruso G., 561 866

Casarano D., 585 Casoli F., 839 Cassi P., 743 Catalano G., 271 Cavalcante C., 537 Ceccanti B., 739 Cecchi L., 233 Centritto M., 717 Cesaraccio C., 433, 657, 661, 765 Cescon P., 81, 153, 311 Ceseri M., 47 Cherubini M., 693 Cheruy F., 35, 39, 43, 835 Chiarle M., 757 Chiesi M., 701, 713 Chiggiato J., 259 Ciampittiello M., 609 Ciattaglia L., 323 Ciccarelli N., 221 Ciccioli P., 637 Cinnirella S., 89, 569, 847 Coe R. S., 173 Colella S., 525 Colin J., 357 Como S., 557, 565 Congeduti F., 35 Contesini M., 613 Conversi A., 541 Copetti D., 589 Corno G., 613 Cortesi U., 69 Corti S., 17, 541 Coscarelli R., 237, 739 Coscia M. R., 283 Cosmi C., 851 Costantini R., 129, 405, 735 Cozzi G., 311 Crisci A., 121, 241, 385, 405, 629, 669, 673, 777, 785, 801, 809 Crisciani F., 541 Cristaldi M., 689 Cristofanelli P., 471, 475 Cucco A., 557, 565 Cuomo V., 393, 467, 633, 851 Cuttitta A., 509, 529, 533, 537 D’Acqui L. P., 645 D’Argenio B., 147 Dalan F., 117


indice degli autori

Dallai L., 831 Dalu G., 15, 125, 233 Dalu G. A., 23, 377 Damiani A., 487 De Angelis P., 661, 705 de Bernardi R., 621 De Biasi A. M., 793 De Chiara G., 121, 241, 785 de Dato G., 661 De Falco G., 557, 565 De Felice A., 547 De Filippis T., 413, 823 De Girolamo A. M., 573, 577 De Luca D., 577 De Luca F., 573 De Muro S., 557 Decesari S., 55, 73, 77, 109, 475 Del Bianco S., 69 Delle Rose M., 161 Dettori M., 657 Di Carmine C., 441 Di Leo S., 851 Di Matteo L., 101, 459 Di Menno I., 487 Di Menno M., 487 Di Nieri A., 537 di Prisco G., 277 Di Tomaso E., 467 Di Vecchia A., 373, 413, 777, 823 Dinelli E., 295 Dini A., 831 Dionisi D., 35 D'Isidoro M., 27 Donegana M., 169 Donnici S., 201, 205 Doronzo B., 245 Dragone V., 585 Duce P., 657, 661, 721, 765 Esposito F., 393 Esposito M., 357, 437, 625 Fabbrici S., 839 Facchini M. C., 55, 63, 73, 77, 109, 475 Facini O., 665 Fasano G., 349, 369 Fazi S., 573 Fedele F. G., 181 Fenzi G. A., 565 Ferrari R., 129, 405, 735

Ferraro L., 209 Ferreri V., 147 Fibbi L., 241, 385, 713 Fontana I., 533 Fraedrich K., 3 Frignani M., 287 Furevick B., 835 Fuzzi S., 55, 63, 73, 77, 109, 475 Gabrielli P., 153, 311 Gaetani M., 15, 23, 377 Gambaro A., 81 Garnier M., 581 Gaspari V., 153 Gasparini G. P., 521 Geloni C., 831 Genesio L., 241, 373, 629, 777, 789 Genovese S., 533 Georgiadis T., 665, 797 Geraldi E., 467 Gerli S., 197 Gherardi F., 831 Giacalone G., 529 Giaccio B., 181 Gianelli G., 831 Giardino C., 613 Giglio F., 271, 287, 421 Ginnetti R., 113 Gioli B., 85, 425, 429 Giordano R., 819 Giovanelli G., 319, 401, 483 Giuliani G., 501 Giuliano G., 827 Giunta G., 437 Gobbi G. P., 447, 463, 475 Goncharov S., 533 Gozzini B., 31, 241, 245, 385, 501, 669 Grammauta R., 537 Grenni P., 573 Griffa A., 341 Grifoni D., 31, 233, 385, 769 Guala I., 557 Guarnieri F., 241 Guarracino M., 345 Guidi M., 831 Guilizzoni P., 197, 295, 593, 605 Guzzella L., 605 Hedgecock I. M., 93, 137 Hempelmann A., 319 867


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

Iacumin P., 193 Ianniello A., 315 Imberger J., 589 Incarbona A., 177 Innocenti L., 129, 735 Iorio M., 173, 303 Isaia R., 181 Jia L., 361 Jung G., 93 Kirk E., 3 Kostadinov I., 319, 401, 483 Koszalka I., 59 La Ferla R., 271, 299, 505, 561 La Mesa M., 267 Laing A. G., 113 Laj P., 475 Lami A., 197, 295, 593, 597, 605 Lanconelli C., 97, 327, 451 Landi T. C., 463 Lanfredi M., 633 Langone L., 271, 287, 295, 421 Langone R., 689 Lanini M., 681, 365 Lauteri M., 649, 693, 761, 773 Lenaz R., 421 Leonori I., 267, 547 Levizzani V., 113 Liberti G. L., 35, 39, 43 Liddicoat J. C., 173 Lionello P., 51 Lirer F., 209 Lo Porto A., 573, 577, 581 Longinelli A., 193, 421 Loperte S., 851 Loreto F., 637 Lucchini F., 295 Lunkeit F., 3 Lupi A., 97, 327, 451 Macchiato M., 633 Macelloni G., 389 Magliulo V., 357, 437, 625 Magni P., 557, 565 Magno R., 241, 405, 629, 789 Maimone G., 299, 561 Maione M., 471, 475 Maltese V., 537 Manca M., 197, 295, 597, 605, 621 Mancini M., 769 868

Mangoni O., 271 Manieri M., 649 Marabini F., 189 Maracchi G., 23, 31, 47, 85, 121, 129, 233, 241, 245, 353, 365, 373, 377, 381, 405, 413, 425, 429, 629, 641, 653, 665, 673, 681, 697, 701, 713, 735, 769, 777, 785, 797, 801, 809 Marani D., 843 Marchetto A., 197, 295, 593, 597, 605 Marinoni A., 471, 475 Markova T., 319 Maroscia G., 15 Marrese F., 241 Marsella E., 173 Marullo S., 345 Masciandaro G., 739 Maselli F., 373, 405, 645, 701, 713 Masiello G., 393 Masieri S., 401, 483 Masotti M., 113 Massacci A., 781 Massetti L., 673 Materassi A., 349, 369 Matese A., 85, 425, 429 Matteucci G., 417, 709 Mattioni C., 693 Maugeri M., 117, 225, 229, 409 Maurizi A., 27 Mazzanti B., 241 Mazzanti M., 855 Mazzola M., 97, 327, 451 Mazzola S., 509, 529, 533, 537 Melani S., 113, 333, 377, 381 Meloni R., 291 Menduni G., 241 Meneguzzo F., 47, 121, 241, 785 Menenti M., 357, 361 Messeri G., 31, 669 Messina P., 805 Miglietta F., 85, 353, 365, 425, 429, 641, 653, 697, 705, 789 Miglietta M. M., 51 Minervino I., 739 Mininni G., 843 Mircea M., 27, 55, 63, 73, 77, 109 Misic C., 271 Modigh M., 271 Montesano T., 467


indice degli autori

Monticelli L. S., 299, 561 Montini A., 855 Morabito G., 597, 613, 617 Morabito M., 233, 801, 809 Mordenti A., 295 Moret I., 81 Moriondo M., 713 Mortara G., 757 Mosello R., 593, 597 Motisi A., 665 Motroni A., 657, 765 Musazzi S., 197, 295, 605 Nakajima T., 447 Nanni T., 117, 225, 229, 409 Nannicini L., 495 Nardino M., 665 Natale S., 509, 517, 533 Nigrelli G., 685 Olita A., 509, 517, 533 Oreste U., 283 Ori C., 421 Oriani A., 761 Orlandi A., 333, 381, 501 Orlandini S., 769, 801, 233 Ortolani A., 333, 377, 381, 501 Ortolani F., 217 Pagliarulo R., 165 Pagliuca S., 217 Palatella L., 51 Palazzi E., 319, 401, 483 Palchetti L., 69 Palombo M. R., 725 Paloscia S., 389 Pampaloni P., 389 Panzani P., 613 Paoluzi A., 839 Pappalardo G., 455 Paradisi P., 51 Pareti L., 839 Pasi F., 385 Pasini A., 7, 11, 689 Pasquero C., 59 Pasqui M., 47, 113, 121, 233, 241, 377, 777, 785 Passarella G., 581 Patti B., 517, 529, 533, 537 Patti C., 537 Pavese G., 393

Paw U K. T., 721 Pellegrini M., 193, 649 Pellegrino L., 245 Pellizzaro G., 433, 661, 721 Pelosi N., 177, 209 Pelosini R., 221 Peluso T., 541 Pensieri S., 105, 337 Perilli A., 509, 517, 529, 557, 565 Petralli M., 233 Petritoli A., 319, 401, 483 Petrucci O., 747 Piani F., 31, 47, 121, 241, 385, 785 Piazza R., 81 Picco P., 337 Pietrapertosa F., 851 Pietrini F., 781 Pini R., 169, 185 Pirrone N., 89, 93, 137, 397, 569, 847 Pisanelli A., 761 Piscia R., 597 Piva A., 157 Placenti F., 537 Polemio M., 585, 747 Pontoglio S., 859 Popov S., 533 Portoghese I., 827 Povero P., 271 Prodi F., 101, 459 Provenzale A., 3, 59, 221, 677 Puddu A., 573 Pugnetti A., 417, 551 Purini R., 259, 263 Rafanelli C., 323, 487 Ragonese S., 513 Raicich F., 249 Rajagopal S., 565 Rapparini F., 641 Raschi A., 365, 653, 681, 697 Ravaioli M., 271, 287, 417 Ravazzi C., 169, 185 Ravegnani F., 319, 401, 483 Ribera d'AlcalĂ M., 177 Ribotti A., 509, 517, 529 Ricciardelli E., 467 Riccio A., 437 Rinaldi M., 73 Roccato F., 471, 475 869


Clima e cambiamenti climatici: le attivitĂ di ricerca del CNR

Rocchi L., 413 Rodolfi A., 701 Rogora M., 593 Rolla A., 609 Romano F., 467 Ronchi C., 221 Rossi F., 665, 797 Rossi M., 385 Rossini G., 245 Ruggieri G., 831 Sabbioni C., 805 Saggiomo V., 271 Sagnotti L., 173 Salerno F., 597 Salis M., 721 Salvador Sanchis M. P., 743 Salvatori R., 307 Salvia M., 851 Santachiara G., 101, 459 Santese G., 577 Santi C. A., 645 Santi E., 389 Santinelli C., 495 Santoleri R., 345, 525 Santoro F., 557 Saporito L., 537 Scarascia-Mugnozza G., 649, 705, 709 Scartazza A., 245 Schiano M. E., 105, 337 SchrĂśder K., 521 Sclavo M., 205, 259 Sellegri K., 475 Selmo E., 421 Selvi F., 365 Sempreviva A. M., 835 Serandrei-Barbero R., 201, 205 Serio C., 393 Seritti A., 495 Simeone S., 557 Simoniello T., 633 Sirca C., 661, 721 Snyder R. L., 721 Socal G., 551 Solzi M., 839 Sorgente R., 509, 517, 533 Sorriso-Valvo M., 739 Spaccino L., 649 Spano D., 661, 721, 765 870

Sparnocchia S., 105, 337 Speranza A., 117 Sprovieri F., 137, 397 Sprovieri M., 147, 177, 209 Sprovieri R., 177 Stefani P., 681 Stroppiana D., 253 Szpunar G., 689 Taddei S., 85, 245 Tampieri F., 27 Tarchiani V., 823 Tartaglione N., 117 Tartari G., 479, 589, 597 Tartari G. A., 597 Tei C., 31, 385 Tinner W., 185 Tognetti R., 365, 653 Tomasi C., 97, 327, 441, 447, 451 Tomei M. C., 843 Torri D., 743 Torrigiani T., 233 Toscano P., 85, 425, 429, 789 Tranchida G., 537 Transerici C., 35, 835 Trincardi F., 133, 157, 213 Trivellane G., 483 Trombino G., 569, 847 Tropeano D., 751 Turconi L., 751 Turetta C., 81, 153, 311 Ungaro F., 743 Uricchio V. F., 819 Vaccari F. P., 85, 245, 353, 365, 429, 653, 697, 789 Valev D., 319 Vallebona C., 373, 777 Vallorani R., 669 van der Velde G., 565 Vargiu A., 221 Vedernikov A., 101 Velea L., 35 Veneziani M., 341 Ventura A., 661, 721 Venzac H., 475 Verde C., 277 Verdicchio G., 133, 213 Verhoef W., 361 Verza G. P., 475


indice degli autori

Vescovi E., 185 Vetrano A., 521 Vignaroli P., 373, 413, 823 Villani F., 693 Villani P., 475 Visconti A., 621 Vitale V., 97, 327, 451 Viterbi R., 677 von Hardenberg A., 677 von Hardenberg J., 3, 221 Vuillermoz E., 475, 479 Vurro M., 827 Werner R., 319 Wick L., 185 Ya単ez M. S., 743 Zaccone R., 561 Zaldei A., 85, 365, 425, 429 Zara P., 721 Zipoli G., 769 Zoboli R., 855, 859 Zoppini A., 573 Zora M., 537

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