n. 16 NOTIZIE del CORPO NAZIONALE SOCCORSO ALPINO E SPELEOLOGICO n. 16, settembre 2000, anno VI

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NOTIZIE NOTIZIE del CORPO NAZIONALE SOCCORSO ALPINO E SPELEOLOGICO Spedizione in a.p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Gorizia TAXE PERÇUE

GORIZIA

TASSA RISCOSSA

ITALY

Un commento sulla situazione dell’Umbria

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a parecchio tempo il Servizio regionale dell’Umbria svolge il suo compito in un clima avvelenato da polemiche che attraversano le associazioni speleologiche locali. A suo tempo l’Umbria aveva avuto, prima Regione, una legge regionale sulla speleologia che finanziava l’attività speleologica e il soccorso speleologico. Queste beghe sono frutto di un isolamento voluto, che ha impedito di far crescere altri soggetti, oltre ai soliti che per anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Di queste liti non c’importerebbe nulla, se non fosse che, grazie ad esse, il Servizio regionale dell’Umbria si è ritrovato completamente privo di fondi, per di più soggetto a continui e gratuiti attacchi denigratori. E ancora queste liti potrebbero essere solo comuni divergenze di opinioni. Tuttavia altre strutture del Club Alpino italiano, nonostante indicazioni contrarie, continuano a intrattenere strettissimi rapporti di asilo con chi muove questi attacchi. Decisamente una bella contraddizione per le strutture CAI coinvolte. Ora, dai denigratori ci difendiamo da soli: ignorandoli. Dal CAI attendiamo invece da tempo una presa di posizione definitiva e precisa su questa situazione che tanto ha avvelenato gli animi. Paolo Verico Responsabile nazionale Soccorso speleologico C.N.S.A.S.

A pag. 7 Il Cardiopatico in montagna: indicazioni comportamentali di Andrea Ponchia Cattedra e Divisione di Cardiologia. Università degli Studi di Padova. Per gentile concessione dell’Italian Heart Journal. Il lavoro è stato segnalato dal prof. Giani Losano Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Fisiologia, Università di Torino.

anno 6

n. 16

settembre 2000

Alla cortese attenzione del Presidente Generale del CAI Gabriele Bianchi

Alla cortese attenzione di Gian Paolo Rivolta Presidente della Commissione Centrale per la Speleologia

e, p.c.: e, p.c.: Al Presidente del C.N.S.A.S. Armando Poli Ai Membri del Consiglio di Presidenza del C.N.S.A.S. Al Presidente del Serv. Reg. dell’Umbria Matteoli Ai Delegati del Coordinamento Speleologico Caro Presidente, da qualche tempo, per una serie di contrattempi, non riusciamo ad avere il colloquio chiarificatore, già concordato verbalmente, in merito ai motivi che Ti hanno portato a visitare il Cens di Costacciaro. La Tua visita al Cens, per come è stata riferita, ha creato stupore ed irritazione, per usare degli eufemismi riduttivi. Questa associazione (club, ditta privata?), nonostante vi siano stati pareri contrari, da una parte ospita attività del CAI e dall’altra continua a diffamare altre componenti del CAI stesso, in particolare il C.N.S.A.S. umbro. Il CAI prenderà una volta per tutte posizione in questa vicenda, interrompendo le collaborazioni con questa associazione esterna al CAI stesso che tanto ha avvelenato gli animi negli ultimi anni? Da parte nostra abbiamo tenuto il comportamento di chi ignora le provocazioni, perché ci siamo voluti tenere mille miglia più in alto di questi «professionisti delle polemiche». Ma cosa possiamo chiedere ancora ai nostri Volontari umbri, che operano da anni in un clima avvelenato, addirittura privati dei fondi necessari al funzionamento della struttura? Chiarire questa situazione affinché i nostri Volontari si sentano tutelati nel loro operare, ritengo non sia più un compito che spetta al C.N.S.A.S. È un segnale preciso che ora spetta alla Direzione del CAI. Sono certo che la situazione Ti è chiara già da tempo e sono anche certo che apprezzerai la mia franchezza. Confido quindi che ci si possa incontrare quanto prima, ma rimaniamo in ogni caso in attesa di un segnale preciso, in un senso o nell’altro. Paolo Verico Responsabile Nazionale Soccorso Speleologico C.N.S.A.S.

al Presidente Generale del CAI Gabriele Bianchi Non potrò essere presente alla riunione odierna, né inviare un mio sostituto, a causa di concomitanti impegni. Vi invio tuttavia le seguenti note. Premetto che è una grave scortesia l’essere stato invitato per la sola parte «aperta» della riunione. Se sono un esperto esterno lo è a par mio anche il Direttore della SNS, come cita l’art. 5 del vostro regolamento. In generale come C.N.S.A.S. non possiamo altro che auspicare, ancora una volta, che la CCS si faccia parte attiva per promuovere la Speleologia, sia all’interno del CAI sia all’esterno, recuperando la spinta che aveva portato alla ricostituzione della CCS stessa e che l’aveva mossa nel primo periodo. Per quanto riguarda i punti di contatto fra CCS e C.N.S.A.S., ritengo che il primo passo sia concretizzare la sistematicità degli interventi diretti di membri qualificati del C.N.S.A.S. presso i corsi di speleologia, per tenere le lezioni di soccorso e prevenzione. Ciò già avviene, ma i contatti devono essere più centrali e più omogenei. Si deve superare il singolo contatto locale, lavorando perlomeno a livello regionale, in modo che la Delegazione possa mandare di volta in volta relatori sicuramente qualificati. Questo modo di operare è stato recepito, ormai da tempo, dalle scuole SSI. Se questo avverrà si potrà parlare di inizio di collaborazione su obiettivi concreti, verso i quali siamo stati e siamo disponibili. Rimane in ogni caso una pregiudiziale, legata al tono di denigrazione esistente nei confronti del C.N.S.A.S. (sezione particolare del CAI) da una «organizzazione» (il Cens di Costacciaro, che mi risulta non c’entri nulla con il CAI) che è palesemente legata alla CCS tramite la SNS (anch’esse entrambe strutture CAI). Premesso questo, affermo che per ogni e qualsiasi attività che abbia un collegamento con il Cens o che veda coinvolte persone ad esso afferenti, c’è la nostra totale e assoluta indisponibilità a qualsiasi forma di collaborazione. Credo che la CCS, se vuole avviare veramente un nuovo rapporto credibile con la Speleologia, debba prendere adeguate distanze da coloro che sanno solo attizzare il fuoco della polemica e della provocazione. Distinti saluti.

Un progetto ambizioso

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Esempio di Preparazione Tecnica ed Organizzazione Operativa per un Servizio di Soccorso in Montagna al passo con i tempi Oskar Piazza

ad organizzare un efgli inizi degli Istruttore Nazionale Tecnico ficace servizio d’inanni ’90, la Presidente CNSAS - SAT tervento con tempi e Scuola NaConsigliere Nazionale modalità d’allertazionale Tecnici CNmento assolutamente rapidi ed ineSAS presentava un ambizioso proquivocabili. Il tutto, dipendeva quingetto per preparare il SOCCORSO di, dalle tempistiche d’applicazione ALPINO alle crescenti esigenze dedel “Percorso Formativo e di qualifigli anni 2000. ca degli Operatori del CNSAS – “PERCORSO FORMATIVO E SAT”. DI VERIFICA PER GLI OPERATORI DEL C.N.S.A.S.” il titolo esatto del poi più conoUNA SCELTA CORAGGIOSA E sciuto Libro Rosso. INDISPENSABILE Un progetto molto ambizioso che avrebbe richiesto parecchio tempo Verso la metà degli anni ’90, il per vederne concretizzata l’applicaConsiglio Direttivo Provinciale del zione: un percorso formativo e di veCNSAS – SAT, delibera l’applicarifica che si proponeva di garantire zione del Percorso Formativo (chiadegli ottimi standard operativi di bamato Libro Giallo o Libro Rosso sese, e tracciare delle linee tecniche condo le edizioni evolute ed aggiorspecifiche per la formazione e la quanate), con una scelta coraggiosa ed lifica delle figure di livelli superiori. estremamente importante per quanto riguarda la riqualificazione tecnicaIl Soccorso Alpino Trentino operativa dei propri Volontari: entro “CNSAS - IV Delegazione - SAT”, la data del 31 Dicembre 2000, tutti i ha saputo intuire quale sarebbe stata Volontari del CNSAS – SAT dovranla strada da percorrere per un no essere in regola con gli stage d’agSoccorso Alpino al passo con i temgiornamento-verifica degli standard pi; la strada della formazione e della operativi di base, atto formativo e di qualifica del personale, seguita poi da un capillare lavoro territoriale mirato Segue a pag. 2

Paolo Verico Responsabile Nazionale Soccorso Speleologico C.N.S.A.S. Foto Oskar Piazza


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segue da pag. 1 verifica codificato sul Percorso Formativo con la sigla “M/OT” ossia “Mantenimento Operatore Tecnico”. Alla fine delle due giornate previste per la verifica tecnica nei vari argomenti, al Volontario CNSAS – SAT viene assegnata la qualifica ufficiale d’Operatore Tecnico di Soccorso Alpino, e questo non solo per ragioni operative ma anche e soprattutto per un doveroso riconoscimento nei confronti di chi ha dimostrato volontà e dedizione nel prepararsi adeguatamente e nel sottoporsi alla comunque delicata fase di verifica tecnica. Una scelta non facile. Un lavoro certo non semplice il far capire ad ottocento Volontari che questa “operazione” (e non “epurazione”), era assolutamente necessaria per poter riqualificare tecnicamente tutta l’Organizzazione del servizio di Soccorso in montagna. All’inizio i problemi non sono stati pochi, ma dopo i primi stage d’aggiornamento si è riusciti a dimostrare anche ai più scettici, quanto necessario fosse questo passaggio. Passaggio necessario soprattutto per i Capistazione sui quali, non bisogna dimenticarlo, grava tutta la responsabilità tecnico-operativa dei propri uomini. UNA PROGRAMMAZIONE CONTINUA Nell’arco di un anno vengono programmati circa sei/otto Stage

Una doverosa eccezione viene comunque concessa (come previsto dal Percorso Formativo), e riguarda i c.d. Volontari Collaboratori ai quali, in virtù del fatto che svolgono importanti mansioni logistiche ma non operative all’interno della Stazione, è consentito di rimanere iscritti al C.N.S.A.S. – SAT, pur in assenza dei previsti aggiornamenti M/OT. Non possono però quest’ultimi svolgere compiti di carattere operativo o coprire cariche amministrative e/o gestionali all’interno dell’Organizzazione. Il numero massimo di Volontari Collaboratori previsto per ogni Stazione è di due, ed ovviamente non può essere il Capostazione. FIGURE TECNICHE DI LIVELLO SUPERIORE Il Percorso Formativo, non si esaurisce con gli Stage M/OT, bensì si articola in successive progressioni tecniche che permetteranno l’acquisizione di un livello tecnico superiore. In tale ottica il Servizio Provinciale Trentino sta portando avanti con particolare attenzione e premura le rimanenti fasi del Percorso Formativo e di qualifica. Due sono gli Stage di Moduli di Base per la qualifica ad OPERATORI TECNICI, due i Corsi per TECNICI di SOCCORSO, due gli stage di Aggiornamento Tecnico Operativo per TECNICI di ELISOCCORSO che prestano servizio nelle Basi di Elisoccorso, ed una Periodica

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Foto Oskar Piazza

Atti parlamentari - Camera dei deputati

AVERI - Al Ministro dell’interno - Per sapere - premesso che: in una lettera del 9 giugno 2000, inviata alla prefettura di Reggio Emilia, il direttore generale della protezione civile e dei servizi antincendio Munichedda interviene in merito alla «pianificazione di emergenza per incidenti in montagna»; leggendo la lettera, si ricava la sconcertante impressione che quanto scritto si riferisca non solo al caso specifico - e su ciò già ci sarebbe da ridire - ma si legge persino l’intento di tracciare linee valide per il resto del territorio italiano, specie laddove si rileva che i vigili del fuoco, devono intervenire, secondo Manichedda, esercitando il coordinamento operativo dell’apparato di soccorso intervenuto nel complesso, fermo restando che al soccorso alpino spetta la direzione tecnica della propria squadra impegnata in attività specia-

listica di chiara connotazione alpinistica; giova ricordare che al Corpo nazionale del soccorso alpino la legislazione nazionale (compresa la vigente legge sulla protezione civile) assegna al soccorso in montagna e lo stesso vale per una serie di leggi regionali in materia e stupisce, dunque, questa sorta di autoinvestitura dei vigili del fuoco, in cui tra l’altro si parla di «chiara connotazione alpinistica», mentre le norme in vigore si riferiscono a «montagna», termine che la legge italiana perimetra con chiarezza attraverso persino l’elencazione dei comuni interessati (oltre la metà sul totale dei comuni italiani); in verità, la lettera sembra essere il culminare di un’attitudine invasiva, in nome del principio generale dell’obbligo di intervento per emergenza dei vigili del fuoco, che coincide, tra l’altro, con un periodo di

protesta dei piloti di elicotteri dei vigili del fuoco, che non sono intervenuti durante la recente emergenza incendi per lo spegnimento con i loro velivoli, sostenendo di non avere abbastanza addestramento. Figurarsi, dunque, quale tipo di formazione ci sia per l’elisoccorso in montagna, che risulta ancora più difficile e specifico per la mancanza di addestramento specifico per il territorio di montagna che riguarda anche le squadre a terra e quelle eventualmente elitrasportate dei vigili del fuoco, i cui precipui compiti d’istituto sono già così vasti da garantire una piena occupazione del tempo e in questo senso vi sono stati periodici appelli al Parlamento che segnalavano endemiche carenze di organico, che sembrerebbe, al di là della legislazione vigente, escludere questa logica di sovrapposizione o sostituzione con il Corpo nazionale del soccorso alpino; se non si ritenga da parte del Ministro di fare chiarezza sulla centralità del Corpo nazionale del soccorso alpino per il soccorso in montagna. Notizie del CORPO NAZIONALE SOCCORSO ALPINO E SPELEOLOGICO Periodico specialistico quadrimestrale pubblicato dal Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico. Anno 6 (2000). Numero 17. Registrazione presso il Tribunale di Gorizia n. 258 del 29-6-1995. Editore: Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico Direttore responsabile: Alessio Fabbricatore

Foto Oskar Piazza

d’aggiornamento/verifica M/OT, preceduti da almeno altrettante fasi di formazione e preparazione alla verifica, con l’obbiettivo di spiegare e dimostrare quali siano i caratteri tecnici dell’aggiornamento, in tal modo si riesce a preparare adeguatamente tutti coloro che dimostrino la volontà e l’impegno di voler aggiornarsi alle attuali esigenze tecnico operative. Attualmente, per quanto riguarda il Servizio Provinciale Trentino, più di seicento Volontari hanno partecipato agli stage M/OT, ed hanno così conseguito la qualifica di Operatori Tecnici CNSAS – SAT; Pertanto come stabilito dal Consiglio Direttivo Provinciale, entro il 31 Dicembre 2000 tutti gli iscritti dovranno uniformarsi partecipando ai previsti aggiornamenti.

Selezione Tecnico Attitudinale V/1 per gli Aspiranti Operatori Tecnici. Un grosso impegno, in termini di tempo e di lavoro, che ha come obiettivo primario quello di riqualificare l’Organizzazione di Soccorso Alpino al fine di rispondere in maniera adeguata e puntuale a quanto l’attuale sistema di Emergenza e Soccorso chiede alle Realtà Operative che di essa ne fanno parte. L’Organizzazione di un Servizio Tecnico di alto livello, a disposizione della Pubblica Amministrazione ma soprattutto dell’utente, che in ogni momento potrebbe averne bisogno. Come il Servizio Provinciale Trentino CNSAS – SAT si sia organizzato ed integrato nel Sistema di Emergenza, sarà il tema del prossimo appuntamento.

Segreteria editoriale: Alessio Fabbricatore ✉ via Fatebenefratelli, 26 34170 GORIZIA ☎ 0481 531514 (abitazione) ☎ 0481 82160 (studio) ☎ 0348 2490020 (portatile) fax 0481 536840 email:cnsassecondazona@libero.it

Amministrazione: Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico ✉ via Petrella, 19 20124 MILANO ☎ 02 29530433 fax 02 29530364 e-mail: segreteria@cnsas.it

Supervisione fotografica: Jurko Lapanja Grafica: Giovanni Marega Fotografie: Oskar Piazza, Archivio C.N.S.A.S.

Impaginazione, fotocomposizione, stampa: Grafica Goriziana - Gorizia

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Notizie del CORPO NAZIONALE SOCCORSO ALPINO E SPELEOLOGICO stampato a Gorizia, settembre 2000


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……………… in breve Il Presidente Armando Poli ed il vice Presidente Mauro Marucco sono stati ricevuti dall’on. Grazia Labate, Sottosegretario al Ministro della Sanità (Roma - Eur, 2 agosto 2000). Temi dell’incontro: rapporti C.N.S.A.S. Sistema Emergenza Sanitaria alla luce del DPR 27 marzo 1992 e dell’Ordine del Giorno AC 4230 - Sezione 5 del 10 novembre 1998 e rapporti C.N.S.A.S. - Servizio di elisoccorso 118. A conclusione dell’incontro, molto cordiale, l’On. Labate ha confermato che l’ordine del Giorno «De Tomas, Caveri, Siniscalini» è stato recepito dal Governo e quindi dal suo Ministro che emanerà, in tempi brevi (settembre novembre 2000) linee guida al riguardo.

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l 12 agosto nel corso di una «scampagnata» sull’Appennino Reggiano, il Presidente Poli ed il Consigliere nazionale Zampatti, hanno incontrato il Presidente delle Commissione Europea, On. Prodi. L’incontro è stato organizzato dagli amici Francesco Dalla Porta, Presidente del Soccorso Alpino e Speleologico dell’Emilia Romagna e Giuseppe Magnani. Il Presidente Prodi si è molto interessato alla nostra Organizzazione ed alla nostra attività. È stata fatta una panoramica dei maggiori problemi ai quali è attualmente di fronte il C.N.S.A.S. con particolare riguardo al suo rapporto con il Sistema «Emergenza Sanitaria» e con altri enti dello Stato. Al Presidente Prodi è stata consegnata copia del disegno di legge recentemente presentato in entrambi i rami del Parlamento.

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el programma di manifestazioni celebrative del 150° anniversario di fondazione del gruppo Guide di Courmayeur si è svolta il 13 agosto una tavola rotonda coordinata dall’On. Luciano Caveri sul tema «Il soccorso alpino nel terzo millennio». Sono intervenuti al dibattito per il C.N.S.A.S. il Presidente Poli, i Consiglieri nazionali Piazza e Zampatti, il Direttore della S.NA.TE. Zappa ed il Presidente del S.A.V. Trucco. Presente il vice Presidente Marucco.

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l 6 settembre il Presidente Poli, il vice Presidente Marucco ed i Consiglieri nazionali Chiappa e Zampatti sono stati ricevuti al Palazzo del Viminale dal Ministro dell’Interno On. Enzo Bianco. I rapporti tra C.N.S.A.S. e C.N.VV.F. sono stati l’oggetto dell’incontro al quale era infatti presente anche il Direttore Generale della Protezione Civile e Servizio Antincendio Dr. Bernardino. Seguiranno altri incontro tecnici.

Da sinistra a destra: Francesco dalla Porta Presidente Soccorso alpino e speleologico Emilia Romagna Armando Poli Presidente nazionale C.N.S.A.S. On. prof. Romano Prodi Presidente Commissione Europea Lorenzo Zampatti Consigliere nazionale C.N.S.A.S. Giuseppe Magnani Soccorso alpino Emilia Romagna già presidente sezione CAI Castelnovo Monti

Legge 27 dicembre 1997, n. 449 G.U. 30/12/97 n. 302 S.O. n. 255 Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica Omissis ... Art. 24 (Disposizioni in materia di riscossione) Omissis ... 16. A decorrere dal 1° gennaio 1998, il Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico del Club alpino italiano e le associazioni di soccorso alpino aventi sede nella regione Valle d’Aosta e nelle province autonome di Trento e di Bolzano sono esonerati dal pagametno del canone radio complessivamente dovuto. N.B. Stralcio e riferimento della G.U. in cui appare che il canone radio è gratis per il C.N.S.A.S. Alle delegazioni era stato mandato solamente il resoconto stenografato della riunione in cui si approvava tale emendamento alla legge finanziaria. ***

Decreto 18 luglio 2000 - G.U. 10/08/00 n. 186 Determinazione, per l’anno 2000, delle indennità spettanti ai lavoratori autonomi volontari del Corpo nazionale del soccorso alpino. Il Ministro del lavoro e della Previdenza sociale Vista la legge 18 febbraio 1992, n. 162, recante provvedimenti per i volontari del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico e per l’agevolazione delle relative operazioni di soccorso; Visto il regolamento adottato, ai sensi dell’art. 2 della predetta legge

n. 162, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale il 24 marzo 1994, il quale prevede all’art. 3, comma 4, per i lavoratori autonomi, che l’importo sulla base del quale viene determinata, l’indennità spettante per il mancato reddito relativo ai giorni in cui si sono astenuti dal lavoro, sia fissato attualmente con decreto ministeriale; Visto che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera d), della predetta legge le indennità spettanti ai lavoratori autonomi devono essere determinate in misura pari alla media delle retribuzioni spettanti ai lavoratori dipendenti del settore industria; Visto l’art. 3, comma 5, di detto regolamento il quale stabilisce che, ai fini della determinazione dell’indennità compensativa del mancato reddito relativo ai giorni in cui i lavoratori autonomi si sono astenuti dal lavoro per lo svolgimento delle attività di soccorso o di esercitazione non si tiene conto dei giorni festivi in cui le medesime hanno avuto luogo, fatta eccezione per quelle categorie di lavoratori autonomi la cui attività si esplica anche o prevalentemente nei giorni festivi; Viste le medie annue degli indici mensili delle reribuzioni contrattuali del settore industria elaborate dall’ISTAT, nonché la retribuzione base di calcolo; Considerata la necessità di aggiornare le suddette indennità conformemente all’incremento delle retribuzioni contrattuali di riferimento per l’anno 2000; Decreta: Art. 1 La retribuzione media mensile spettante ai lavoratori dipendenti del settore industria, per il 2000, è pari a L. 2.755.822.

Art. 2 Ai fini della liquidazione delle indennità spettanti ai lavoratori autonomi di cui alle premesse, la retribuzione giornaliera va calcolata dividendo la retribuzione mensile prevista dall’art. 1 per ventidue oppure per ventisei, qualora la specifica attività di lavoro autonomo dell’interessato venga svolta rispettivamente in cinque o sei giorni per settimana. Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 18 luglio 2000 Il Ministro: Salvi ***

Risultati dell’undicesimo Corso U.C.R.S. Bardonecchia 1 - 10 giugno 2000 Promossi classe A Avesani Sylvia Cecchi Simone Gambarelli Annalisa Letey Denis Luchina Gianpaolo Pedace Chiara Pieruz Silvia Zanier Onorio

Flash Truck td Axel Belf Roy Simba Elfo Uro

Brevettati Bargero Aldo Fait Laura Fonrete Massimo Mall Gustav Miu Ugo Reinstadler Marcus Ricciuti Giuseppe Slanzi Mario

Zagor Iron Lucky Brino Ben Iras Sirk Axel


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SP E LEO SOCCORSO I

Addetti stampa Un passo in avanti per la comunicazione

l rapporto fra stampa e soccorso speleo, non è mai stato molto felice. Spesso più che a giornalisti ci siamo trovati di fronte a cacciatori di notizie e di storie torbide grazie ai quali l’informazione sul nostro operato era totalmente distorta. Per non parlare poi di quando un intervento di soccorso veniva malamente attribuito ad altri, ai Vigili del Fuoco, per esempio. “Robette” da travasi di bile immediata! Ma parliamo seriamente: l’esigenza di intrattenere rapporti corretti con il sistema dei media era sentita da tempo; l’informazione, volenti o nolenti, deve essere data, sta a noi fornirla nel modo più reale e concreto possibile. La formazione di un nucleo d’addetti stampa che lavorasse sulla comunicazione verso l’esterno si è concretizzata negli ultimi due anni ed ha avuto numerosi ed efficaci test sul campo. Il lavoro svolto sta portando inoltre all’avvio di una collaborazione tra speleo e alpini al fine di tracciare linee comuni per la gestione del flusso informativo sull’operato del CNSAS. Da questo punto di vista vale la pena di ricordare come in occasione d’interventi congiunti, laddove la zona speleo e la stazione alpina erano già attrezzati in proposito, i risultati siano stati più che soddisfacenti: un esempio per tutti l’intervento all’Abisso Ololyuhqui, Lecco (9-10 luglio 2000). In questo caso il flusso dell’informazione all’esterno è stato gestito dalla struttura d’addetti stampa speleo, in raccordo con l’omologo alpino. Il sistema dei media ha avuto quindi un unico interlocutore, unica fonte di notizie affidabile (compresa la realizzazione e fornitura d’immagini del recupero esterno passate poi sui TG) e precisa: il risultato è stato che la copertura informativa ha trovato ampia rilevanza nell’informazione locale e una discreto spazio in quella nazionale, che il CNSAS è stato rappresentato come un’unica organizzazione suddivisa in competenze specifiche, e, soprattutto, le notizie sull’intervento sono state riportate da agenzie di stampa, giornali, radio e televisioni in modo chiaro e corretto. Va detto che non sempre le cose vanno cosi bene e che la costruzione del rapporto con il mondo dell’informazione necessita ancora di molto lavoro, ma con la gestione diretta del flusso d’informazioni dal luogo dell’intervento verso i media abbiamo ottenuto un netto miglioramento della qualità e dell’aderenza alla realtà delle notizie trasmesse al pubblico. Torniamo ora allo specifico speleologico: senza confondere i ruoli di coordinamento dell’intervento e restituzione delle informazioni all’esterno, il delegato deve vedere l’addetto stampa come un ulteriore, prezioso collaboratore; efficace e professionale interfaccia verso il mondo della comunicazione. Paolo Verico, Resp.Naz. Luca Calzolari, Coord. Addetti stampa

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Puglia

NSS - CDS

Intervento speleosub a Castro (Lecce)

ella notte tra il 24 ed il 25 luglio, uno scafo di contrabbandieri albanesi sperona un gommone della Guardia di Finanza di Otranto. Due finanzieri ed un clandestino curdo, in seguito alla collisione, vengono scaraventati in mare e, a causa dell’oscurità, se ne perdono subito le tracce. Inutili i tentativi di soccorso, che si protraggono fino all’alba. Alle sette della mattina del 25 luglio, entrano in scena i sommozzatori dei Carabinieri e dei VV.F., che rintracciano in poco tempo due cadaveri sul fondale della cala della Zinzulusa, dove è avvenuta la collisione. Si tratta del clandestino curdo e del finanziere Zoccola. Nessuna traccia, invece, del finanziere De Rosa. Inizia così una ricerca disperata del corpo del milite disperso, che dura tuttora. La costa salentina, teatro della tragedia, è caratterizzata da numerose cavità sottomarine, alcune delle quali di notevole impegno tecnico. Da qui, la decisione del Comando Provinciale della Guardia di Finanza (anche su suggerimento della Prefettura di Lecce e dei sommozzatori dei Carabinieri di Taranto) di richiedere l’intervento degli speleosub del C.N.S.A.S. Viene così affidato ai nostri tecnici subacquei del Soccorso Speleologico Pugliese, il compito di ricercare nelle grotte sottomarine della zona il corpo del finanziere disperso. Data la complessità della ricerca, il sottoscritto, in qualità di Delegato, richiede anche la disponibilità dei volontari speleosub Giancarlo Calsolaro (del Soccorso Speleologico Pugliese) e Antonio Danieli (del Soccorso Speleologico Veneto, ma originario del Salento e profondo conoscitore della costa leccese), entrambi Finanzieri, oltre che volontari C.N.S.A.S. Il Comando della Guardia di Finanza di Taranto, concede immediatamente la licenza straordinaria a Calsolaro (riconoscendogli anche le spese di viaggio e soggiorno), ordinandogli di mettersi a disposizione del Delegato C.N.S.A.S. Per Danieli, invece, la cosa è meno facile, dato che il suo Comando gli concede la licenza ma non le spese di viaggio da Venezia e di soggiorno a Castro. Meggiorini, Delegato del Veneto, mi dà subito disponibilità di spesa, ma preferisco non impiegare Danieli. Il 26 luglio cominciamo le ricerche nelle grotte sottomarine della costa orientale salentina, con quattro speleosub: Calsolaro, Costantini, Onorato e Poto. Abbiamo cercato inutilmente il corpo del finanziere disperso fino al 4 di agosto, effettuando immersioni in 12 cavità sottomarine, ubicate su un arco di costa di circa cinque chilometri. Durante le ricerche abbiamo avuto l’appoggio logistico delle imbarcazioni della G.d.F., della Capitaneria di Porto di Gallipoli e della Guardia Costiera, che restavano a nostra disposizione per tutta la durata dell’immersione. Ci teniamo a sottolineare lo spirito di grande collaborazione e di rispetto delle nostre competenze che hanno dimostrato nei nostri confronti gli oltre 90 sommozzatori dello Stato (Carabinieri, G.d.F., VV.F. e Marina) impegnati nelle ricerche, che, come abbiamo già detto, continuano tuttora in mare aperto. Il nostro intervento ha escluso la possibilità che il corpo del finanziere De Rosa possa trovarsi intrappolato in una cavità sottomarina. Il 5 agosto ci siamo congedati dal Tenente Colonnello Tossini, comandante delle forze aeree e navali della G.d.F., lasciando la nostra disponibilità per ulteriori interventi dei nostri speleosub? Raffaele Onorato

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heck Exley nacque il 1° aprile del 1949. Egli morì sei giorni dopo il suo quarantacinquesimo compleanno, durante una immersione nello Zacaton, un pozzo sommerso nel Messico di cui si stima una profondità di 1.100 piedi. Sheck andò quel giorno per quello che egli definì «un bel numero tondo»: 1000 piedi. La sua profondità raggiunta fu attorno a 906 piedi. Alcuni esseri umani vivono e muoiono con una convinzione così forte che molte persone non potranno mai comprendere. Sheck Exley fu uno di quelli: visse e gustò la vita sulla lama del rasoio. Questo libro vi terrorizzerà, vi farà spaventare, ma nello stesso tempo senza dubbio vi affascinerà e alla fine Sheck Exley vi convincerà che la morte gli arrivò incredibilmente, nel mezzo di quella intensa gioia che provò nell’immersione nelle profondità della terra.

È

Caverns Measureless to Man

la storia della passione di un uomo straordinario che ha trascorso la vita esplorando grotte sommerse. Per circa trenta anni, Sheck Exley fu leader indiscusso. Egli fissò i records, egli sviluppò le tecniche, egli mantenne i più alti standards di bravura e di superiorità. Sheck trascorse una vita di avventura, di pericolo e di eccitazione a un grado tale che poche persone possono solo sognare o, se succede, questi loro sogni sono incubi. La speleologia subacquea è, nel mondo, lo sport più pericoloso. Se tu partecipi, la pratichi al livello più alto, tu sai che qualcuno dei tuoi migliori amici morirà o potrà morire. Se tu continui a rischiare ed

il tuo equipaggiamento è estremo - se tu persisti ad essere uno dei migliori subacquei del mondo come lo era Sheck - le possibilità che anche tu morirai sono molto elevate. In questo libro, Sheck racconta del suo inizio, quasi fatale, di speleosubacqueo, della sua immediata ossessione per questo sport, della sua evoluzione in esperto maestro di sicurezza e delle tecniche speleosubacquee nonché delle molte e molte immersioni nelle quali fissò i records di profondità e di lunghezza. traduzione Donatella Cergna


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NOTIZIE

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La National Speleological Society e la speleologia subacquea

ondata nel 1941 la National Speleological Society si dedicò allo studio della sicurezza, delle esplorazioni e della conservazione delle grotte. Negli Stati Uniti fu pubblicato nel 1947 il primo bollettino speleosubacqueo il NSS Bulletin. Nel 1948 i subacquei della NSS furono i primi ad immergersi in grotta con attrezzature subacquee. Fino al 1973 le immersioni degli speleosubacquei della NSS furono esclusivamente locali. Quell’anno segna la costituzione della Cave Diving Section della NSS con l’obiettivo principale di fornire un veicolo di scambio di informazioni. Attualmente, con oltre cinquecento membri, la Cave Diving Section promuove la sicurezza speleosubacquea organizzando annualmente incontri e dibattiti; predisponendo programmi di addestramento; installando segnali di avvertimento; promuovendo ricerche, soccorsi e recuperi attraverso la International Underwater Cave Rescue/Recovery (IUCRR); organizzando esplorazioni di grotte e i relativi rilievi; pubblicando numerosi libri e monografie sulla speleologia subacquea, oltre alla rivista bimestrale Underwater Speleology.

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Cave Diving Around the World

a Cave Diving Section (CDS) della National Speleological Society (NSS) ha organizzato nei giorni 27-28-29 maggio 2000 a Lake City, Florida (USA) il “ Cave Diving Around the World 2000 NSS - CDS Spring Workshop “ al quale hanno relazionato, su invito, i seguenti speleosubacquei: Jim Bowden & Ann Kristovich; Gabriel Gamne; Tony Davis; Andreas Matthes; Alessio Fabbricatore; Kelly Jessop; Steve Ormeroid; Dennis Williams. Durante i lavori del Workshop ampio spazio è stato dedicato alle problematiche

legate al soccorso speleosubacqueo, in particolare sono stati presentati tredici punti procedurali, da seguire in caso di incidente, che di seguito sintetizziamo. I. Proposito. Educare alla responsabilità i subacquei e la squadra coinvolta in un incidente anche mortale. Applicazioni delle leggi e contatti con i mass media. II. Obiettivo. Addestrarsi ad operare in condizioni e ambienti tipo in cui sono stati effettuati interventi reali. III. Passo 1. Attivazione della squadra: la chiamata di soccorso parte da un individuo dopo che un subacqueo è emerso da solo. Contattando i soccorritori addestrati per il recupero si deve evitare che avvengano incomprensioni. IV. Passo 2. La polizia chiama il coordinatore di zona. Il coordinatore attiva una squadra di speleosubacquei le cui capacità siano adatte a quel tipo di intervento. La persona che attiva la squadra ha bisogno di sapere che tipo di subacquei attivare per il recupero; pertanto è indispensabile una buona conoscenza delle grotte locali da parte del coordinatore di zona proprio per sapere quali speleosubacquei chiamare. V. Passo 3. Appena gli speleosubacquei arrivano sul posto contattano la polizia e stabiliscono subito il capo dei subacquei e chi terrà i contatti con la polizia e con i mass media. Il coordinamento dell’intervento spetta alla polizia e non ai subacquei. Non si devono rilasciare informazioni alla stampa prima di avere notizie certe. I mass media cercano una storia, non i fatti, non la realtà. Un’interpretazione errata dei fatti può portare a titoli delle testate giornalistiche che possono danneggiare tutta la comunità degli speleosubacquei. VI. Passo 4. Il posto di coordinamento va fissato in maniera da poter gestire in modo ottimale gli speleosubacquei e i mass media, deve essere situato in un luogo adatto a controllare e gestire tutta la scena, in particolare i contatti con la polizia, con i mass media, con i curiosi, con i sopravvissuti e i familiari. Il posto di coordinamento deve in particolare essere distante dall’ingresso in acqua dei subacquei affinché la gente non senta le comunicazioni dei subacquei in quanto potrebbe trarre delle conclusioni sbagliate. VII. Passo 5. L’intervista al sopravvissuto deve essere effettuata per avere le informazioni necessarie senza condizionare e senza indirizzare le risposte. Il sopravvissuto di solito ha bisogno di raccontare la storia più volte per fornirci dettagli utili a organizzare una ricerca appropriata. Raramente l’intera storia scaturisce dopo il primo colloquio. VIII.Passo 6. Tecniche e equipaggiamenti per la ricerca e il recupero. Molti sono i subacquei che arrivano sul posto ma pochi sanno che cosa devono fare. Nell’arco degli anni le tecniche sono cambiate per rendere questo lavoro il più efficace possibile. Fondamentale è l’utilizzo di una forte squadra di amici. Non si deve affrontare questo tipo di immersioni con compagni non abituali. IX. Passo 7. La scelta delle squadre di speleosubacquei e la gestione delle immersioni devono essere effettuate in funzione del luogo e delle circostanze. Una squadra effettua la ricognizione per individuare la vittima, un’altra squadra porta a termine il recupero della vittima ed un’altra recupera l’equipaggiamento e bonifica la cavità. Se sembra che il recupero sia particolarmente difficile deve essere nominato un responsabile degli speleosubacquei.

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Passo 8. Se la vittima non è stata trovata al primo tentativo è indispensabile un’altra intervista con il sopravvissuto. Ci sono molte tecniche per una intervista. E‘ molto importante non guidare, non suggerire le risposte (cioè non condizionare il sopravvissuto; può succedere che questi alla fine riferisca ciò che il coordinatore gli aveva detto). Può accadere che il sopravvissuto dica ciò che egli pensa che il coordinatore voglia sentire piuttosto che riferire altre notizie importanti. E’ importante lasciar parlare l’intervistato senza dirgli dove noi pensiamo che loro siano stati. XI. Passo 9. Molto importanti sono le note e le descrizioni del luogo dell’incidente oltre alla valutazione delle attrezzature. Compilare una lista scritta prima di entrare in acqua, facilita tante procedure. Si deve prendere appunti su tutto lo scenario per poter avere un quadro unitario. Spostare la vittima può essere traumatico sia per il corpo che per l’equipaggiamento. E’ indispensabile perciò prendere degli appunti, delle note prima di spostare qualsiasi cosa. Scattare delle fotografie potrebbe essere di valido aiuto, ma di solito la visibilità non lo consente. Informazioni base sono rappresentate, ad esempio, dal sapere se c’è aria nelle bombole e se un rubinetto è chiuso. E’ molto importante conoscere questa situazione nel luogo del ritrovamento, in quanto avrebbe potuto contribuire alla morte, oppure questa si è verificata quando il corpo è stato trasportato fuori dalla grotta. XII. Passo 10. Per il recupero della vittima si deve utilizzare la tecnica migliore in funzione dell’ambiente in cui si opera. L’utilizzo dei Diver propulsion vehicles (DPV’s) rappresenta il modo più facile, per una squadra, per trasportare un subacqueo con l’equipaggiamento e di solito è anche il meno traumatico. A volte la visibilità impedisce l’uso dei DPV’s. La giusta configurazione dell’equipaggiamento e una appropriata miscela respiratoria sono molto importanti durante l’operazione di recupero. Non è questo il momento di compiere azioni eroiche. Il subacqueo è morto, pertanto non rischiate la vostra vita. Se non avete l’attrezzatura idonea, le miscele adatte e una valida esperienza lasciate che qualcuno altro esegua il recupero. Il consumo del gas respiratorio aumenta durante questo tipo di immersioni perciò bisogna fare attenzione alla gestione dei gas stessi. XIII.Passo 11. Dopo il recupero della vittima analizzare l’incidente e fornire la relazione finale alla polizia e ai mass media. Tenere informata l’organizzazione degli avvenimenti a mezzo internet, appena vi è possibile. In superficie tutti attendono l’analisi finale, questa deve comprendere solo i fatti, non le opinioni. Riferite solo i fatti. Le opinioni possono scaturire più tardi, al momento della discussione. A meno che tu non sia stato in immersione, tu non conosci che cosa è successo veramente pertanto attieniti ai fatti trovati sul luogo della scena. Talvolta una ulteriore immersione dopo il recupero può aiutare a individuare dei particolari importanti, ad esempio cercando nella sabbia sul fondo della grotta. Anche successivi colloqui con il sopravvissuto, dopo il recupero, possono rivelare ulteriori dettagli Successivamente è stata organizzata una Dimostrazione delle tecniche per un recupero speleosubacqueo presentato dallo staff della International Underwater Cave

Rescue/Recovery (IUCRR), presso la Peacock Springs. Durante questa dimostrazione sono stati analizzati tutti i momenti di una operazione di recupero inclusa la simulazione del recupero stesso. I partecipanti hanno preso parte attiva, dalla raccolta delle notizie, al colloquio con il sopravvissuto, al recupero speleosubacqueo. Henry Nicholson, responsabile della squadra di soccorso e recupero IUCRR ha istruito i subacquei sulle procedure riguardanti le applicazioni della legge e sui contatti da tenere con i mass media nel momento di un incidente speleosubacqueo. Lamar Heres ha analizzato l’attrezzatura di base minima e la relativa tecnica necessaria per poter effettuare il recupero di una vittima. Alessio Fabbricatore


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Il cardiopatico in montagna: indicazioni comportamentali Andrea Ponchia Si ringrazia pubblicamente l’Italian Heart Journal per aver concesso l’autorizzazione di data 7 settembre 2000 alla riproduzione del lavoro Il Cardiopatico in montagna: indicazioni comportamentali A. Ponchia Ital. Heart J. 2000; 1 (4); 488-496.

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ven today a restrictive attitude frequently leads the physician to discourage the patient with cardiovascular abnormalities from sojourning at an altitude over 1000 m. This attitude, however, is not supported by any scientific proof. After a review of the major cardiovascular adaptations during high altitude exposure, we reported the principal studies of the effects of high altitude on patients with coronary heart disease, particularly during exercise. On the basis of personal experience and of other authors, we can state that the patient with ischemic heart disease, asymptomatic and with a recent clinical and functional evaluation, can stay in the mountains, even at altitudes of 2000-3000 m, and can hike and ski (cross-country and downhill). The risks appear to be related to factors independent of altitude, such as excessive cold or intense emotional stress due to dangerous situations, conditions that must consequently be avoided. On the other hand, an individual approach should be followed for the other congenital and acquired heart diseases, in which case we must consider, in addition to the clinical situation, some peculiar aspects of mountain environment (hypoxia, isolation, difficult access to medical facilities). Finally, the hypertensive patient, expected to have higher blood pressure values, especially diastolic, should frequently record his values during the first week at high altitude, adjusting the therapy if necessary.

Introduzione «...L’aere è così puro in quelle sommità e l’abitarvi così sano che gli uomini che stanno nella città e nel piano e valli, come si sentono assaltar dalla febbre di cadauna sorte o d’altra infirmità accidentale, immediate ascendono il monte e stanvi duoi o tre giorni, e si ritrovano sani per causa dell’eccellenza dell’aere»(1). Questa ottimistica descrizione degli effetti benefici dell'aria ad alta quota, data da Marco Polo nell’attraversare le montagne del Pamir, contrasta con l’atteggiamento frequentemente restrittivo dei medici, che ancor oggi spesso sconsigliano ai cardiopatici il soggiorno ad altitudini > 1000 m. Questo atteggiamento, in realtà, non è sostenuto da alcuna dimostrazione scientifica, dato che troppo poche sono ancora le ricerche eseguite allo scopo di valutare gli effetti del soggiorno e dell’attività fisica in montagna nei cardiopatici. In questo articolo ci siamo proposti di rivedere quali sono i principali adattamenti cardiocircolatori dell’organismo umano nel corso dell’esposizione ad una ambiente montano e gli effetti di questo nei pazienti cardiopatici, al fine di trarre alcune indicazioni utili a tali pazienti nell’affrontare un soggiorno in montagna.

L’ambiente montano L’ambiente montano è caratterizzato da particolari condizioni fisiche, geofisiche, climatiche, biologiche ed anche umane che variano soprattutto in relazione all’altitudine, ma anche alla latitudine, all’esposizione al sole ed ai venti, alle precipitazioni, ecc. L’aria atmosferica, l’ambiente nel quale il nostro organismo vive, è una miscela gassosa che circonda la terra ed è costituita da più gas: questi sono presenti in rapporto costante fino a circa 25 km di altezza e pertanto, almeno negli strati inferiori dell’atmosfera, la composi-

zione infatti a dell’a- Cattedra e Divisione di Cardiologia, Università degli Studi, Padova 2000 m ria non e si rivaria con l’atitudine. Due sono i principali gas duce ad una quarto attorno ai 4000 m. In alta che costituiscono l’aria: azoto ed ossigeno quota la riduzione dell’umidità dell’aria inspipresenti rispettivamente per il 78.08% ed il rata e la diminuzione della temperatura, unita20/9%. Tuttavia numerosi altri gas sono premente all’iperventilazione indotta dall’ipossia, senti in percentuali peraltro minime: i più imè causa di disidratazione. portanti sono l’anidride carbonica (0.04%), La rarefazione dell’aria, la riduzione dell’ul’argon, il neon e l’elio. L’aria contiene inoltre midità assoluta e la diminuita concentrazione una percentuale variabile di vapore acqueo del pulviscolo atmosferico sono responsabili che in media corrisponde all’1% in volume. del minore assorbimento delle radiazioni solari La pressione atmosferica decresce in modo siad alta quota. L’intensità delle radiazioni ultramil-esponenziale con l’altitudine. A 5500 m si violette (UV) si raddoppia attorno ai 1500 m e riduce più o meno alla metà, a 8500 m a circa può ulteriormente aumentare in presenza di neun terzo. Questo secondo i valori dell’atmove o ghiaccio sul terreno. La nebbia non riduce sfera standard riportati nelle tabelle significativamente gli effetti dei raggi UV suldell’Organizzazione dell’Aviazione Civile l’organismo. I raggi UV aumentano comunque Internazionale (2). In realtà si è osservato che del 4% ogni 300 m. La rarefazione dell’atmosfera fa sì che anche le radiazioni ionizzanti vengano meno assorbite e l’organismo umano Tabella I. Le caratteristiche fisiche dell’ambiente di montagna. risulta quindi maggiormente esposto. Riduzione della pressione barometrica Riduzione della pressione parziale di ossigeno Riduzione della temperatura ambientale Riduzione della densità dell’aria Riduzione dell’umidità dell’aria Aumento dell’intensità delle radiazioni solari Aumento della ventosità

il decremento non segue strettamente quello predetto, ma varia in funzione della latitudine e della stagione. Infatti, nelle zone più vicine all’equatore la pressione barometrica, per una data quota, è più elevata di quanto non sia in vicinanza dei Poli, così come per una stessa quota la pressione risulta più bassa nei mesi invernali che in quelli estivi. per questi motivi, la pressione misurata in cima all’Everest è di 253 mmHg contro i previsti 236 mmHg, differenza che può spiegare perché sia stato possibile salire questa vetta senza ossigeno supplementare, prestazione considerata per molto tempo teoricamente impossibile (3). È evidente come queste osservazioni non siano così importanti per le quote alpine, dove un eventuale guadagno di qualche millimetro di mercurio non modifica le condizioni in cui si viene a trovare l’individuo. Anche la temperatura decresce in maniera quasi lineare con l’aumentare della quota: in media 0.5-0.7°C ogni 100 m. Notevole è però l’influenza sulla temperatura di fattori locali, quali la velocità del vento, l’umidità, l’irradiamento solare, l’orografia dei luoghi, la latitudine e le stagioni. Di particolare importanza è la presenza di vento e la sua velocità (il cosiddetto wind-chill factor). Infatti lo strato isolan-

Definizione e caratteristiche generali dei diversi livelli di altitudine Il concetto di altitudine è generico ed arbitrario. L’altitudine può essere delimitata secondo diversi criteri. Dal punto di vista biologico e fisiologico, appare conveniente distinguere quattro livelli di quota (4): - ambiente di bassa quota: tra il livello del mare e 1800 m. I valori pressori teorici di pressione barometrica variano da 760 a 611 mmHg cui corrispondono valori di pressione parziale di ossigeno (PpO2) da 159 a 128 mmHg. La temperatura, pur essendo assai variabile, diminuisce progressivamente di 11°C. A queste quote l’ambiente, seppure dipendendo dai numerosi fattori prima considerati, è generalmente ricco di umidità (pioggia, neve, nubi) con vegetazione varia e diversificata. Gli adattamenti fisiologici sono assenti o trascurabili poiché la diminuzione della PpO2 è trascurabile e la desaturazione arteriosa di ossigeno è minima (appena il 2%). Il massimo consumo di ossigeno (VO2 max) non mostra variazioni significative ed è assente una fisiopatologia specifica (mal di montagna); - ambiente di media quota: da 1800 a 3000 m. I valori teorici di pressione barometrica vanno da 611 a 526 mmHg e quelli di PpO2 da 128 a 110 mmHg. La temperatura media teorica oscilla fra +4 e -5°C. La vegetazione varia in rapporto alla latitudine, sulle Alpi è di tipo arboreo ed arbustaceo (pini, larici, mughi e ginepri) fino a 2400 m, mentre al di sopra di tale quota si estende il regno delle piante alpine (cariceti, licheni, muschi). Gli adattamenti fisiologici dell’organismo sono ancora scarsi (modesta iperventilazione) con lieve diminuzione del VO2 max (10/15%). Rari, ma possibili, sono i casi di mal di montagna acuto fra i 2500 ed i 3000 m, limitati a soggetti particolarmente sensibili e

predisposti; - ambiente d’alta quota: fra 3000 e 5500 m. La pressione barometrica diminuisce progressivamente da 526 a 379 mmHg e la PpO2 da 110 a 79 mmHg. La temperatura media scende da -5 a -21°C. A partire dai 3000m, sulle Alpi sono presenti le nevi perenni, mentre in Himalaya la vegetazione è ancora ben presente con zone coltivate ed arbusti fino a 4000 m e prati d’alta montagna e deserti di montagna fino anche a 5000 m. Gli adattamenti fisiologici a questa quota sono notevoli ed indispensabili sia per il semplice soggiorno sia, soprattutto, per l’esercizio fisico; alcuni compaiono immediatamente (come iperventilazione ed aumento della frequenza cardiaca), altri richiedono giorno o settimane per svilupparsi (poliglobulia). Il VO2 max diminuisce dall’85 al 55%. La fisiopatologia specifica è ben presente a queste altitudini e può presentarsi come mal di montagna acuto, edema polmonare ed edema cerebrale da alta quota; - ambiente di altissimia quota: si estende oltre i 5500 m. La pressione barometrica diminuisce da 379 a 237 mmHg dei 9000 m, la PpO2 da 79 a 50 mmHg. La temperatura media passa da -21 a -42°C. A qualsiasi latitudine sono presenti le nevi perenni. Gli adattamenti fisiologici sono ancor più complessi ed essendo accompagnati da un progressivo deterioramento dell’organismo, non permettono l’insediamento umano o una permanenza prolungata a queste quote. Il VO2 max diminuisce fin sotto al 20% del valore riscontrato al livello del mare. La fisiopatologia specifica è frequente e spesso conclamata.

Ipossia Per ipossia si intende la diminuzione della PpO2 disponibile. È questa una situazione tipica dell’altitudine, in quanto salendo di quota la PpO2 (la cui concentrazione percentuale rimane costante) si riduce per il diminuire della pressione barometrica. La diminuzione dell’ossigeno disponibile deve essere sempre tenuta presente durante lo svolgimento di attività in montagna in quanto rappresenta il più importante fattore limitante le prestazioni fisiche ed un grave fattore di rischio in soggetti con patologie cardiache. Inoltre l’ipossia è la causa che innesca quei processi che conducono al male acuto di montagna e quindi anche alle sue forme più gravi quali l’edema polmonare e l’edema cerebrale d'alta quota (5). In presenza di ipossia l’organismo mette però in atto alcuni meccanismi di compenso quali un aumento della ventilazione polmonare (frequenza ed ampiezza degli atti respiratori) e della portata cardiaca, quest’ultimo quasi esclusivamente grazie all’aumento della frequenza cardiaca (6-8). È necessario salire però fino a circa 3000 m per osservare delle modificazioni significative dell’attività cardiaca, al di

Figura 1. Modificazione della pressione barometrica in relazione all’altitudine secondo le tabelle dell’Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale.

te di aria temperata (circa 4-8 mm) che protegge il nostro corpo contro il freddo non è più efficace se il corpo viene esposto ad una corrente d’aria > 2 m/s. Ad esempio, per una temperatura di 0°C in assenza di vento si ha una riduzione di 8° C per vento di 5 m/s e di ben 18°C per 15 m/s; da una temperatura di -10°C in assenza di vento si giunge a -21°C per 5 m/s e -34° C per 15 m/s. In montagna, inoltre, l’escursione termica tra giorno e notte è generalmente elevata. In condizioni di stabilità, l’umidità dell’aria decresce con l’aumentare dell’altitudine più velocemente della temperatura: si dimezza

Figura 2. Ruolo dei fattori determinanti la portata cardiaca durante l’esposizione all’ipossia d’alta quota. SNS = sistema nervoso simpatico.


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NOTIZIE sotto, infatti, tali modificazioni sono molto piccole o addirittura trascurabili (9-10). Ciò, probabilmente, per l’assenza di un’importante desaturazione arteriosa, grazie alla forma della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina, la cui saturazione non si riduce significativamente alle pressioni arteriose di ossigeno che si hanno sino a quelle quote (60-70 mmHg, in conseguenza dell’aumento della ventilazione polmonare). Sopra i 3000 m, l’aumento della portata richiede una riserva funzionale integra da parte del cuore, che deve essere in grado di pompare quantità di sangue adeguate alle maggiori esigenze dell’organismo. Ciò comporta anche un aumento del lavoro miocardico e quindi del suo VO2, che, a sua volta, necessita di un’adeguata riserva coronarica per evitare situazioni di discrepanza tra consumo e disponibilità di ossigeno con conseguente ischemia miocardica.

Tabella II. Risposte dell’organismo all’ipossia acuta. Aumento della ventilazione polmonare Aumento della frequenza e portata cardiaca Aumento delle catecolamine e del cortisolo

Acclimatazione Se la permanenza in quota si prolunga l’organismo va incontro ad acclimatazione. Acclimatazione è il processo con cui un individuo gradualmente si adatta all’ipossia ipobarica (cioè da altitudine). È un processo fisiologico non ancora completamente conosciuto, che implica una serie di adattamenti che avvengono in un periodo che va da alcune ore a diversi mesi. Queste modificazioni hanno lo scopo di aumentare il trasporto dell’ossigeno alle cellule e migliorarne l’efficienza del suo utilizzo. L’entità di queste risposte dell’organismo dipende dalla quota abituale di residenza dell’individuo, dall’altitudine raggiunta e dalla rapidità con cui è stata raggiunta, oltre che dalla durata della permanenza in quota. In sostanza, tali risposte sono in relazione con l’entità, la rapidità di insorgenza e la durata dello stress ipossico (6). La più importante componente dell’acclimatazione è ancora l’aumento della ventilazione polmonare, cioè della frequenza e della profondità della respirazione. La maggiore ventilazione comporta inpocapia ed alcalosi respiratoria che ne limitano un ulteriore aumento; man mano che l’acclimatazione procede, però, c’è un graduale compenso renale attraverso l’escrezione di bicarbonati che tende a ripristinare il pH arterioso vicino alla normalità (6). Dopo circa 2 settimane di permanenza, i valori di portata cardiaca, invece, ritornano simili a quelli registrati a livello del mare, anche se la frequenza cardiaca permane leggermente più elevata (11-15). Durante esercizio fisico, nel soggetto acclimatato si rileva un aumento della portata cardiaca analogo a quello che si verifica a livello del mare per uno sforzo della stessa entità (16-17). In alta quota non si riesce però a raggiungere il massimo valore di portata misurato a livello del mare (16-17); infatti in queste condizioni sia la frequenza cardiaca che la gittata sistolica non raggiungono i valori massimali (16-18). La riduzione della gittata sistolica, sia a riposo che durante sforzo dopo permanenza in alta quota (16-17-19), sembra dovuta alla diminuzione del ritorno venoso per la contrazione del volume plasmatico (17-20-21), mentre una normale funzione di pompa ventricolare è mantenuta verosimilmente grazie ad un’importante attivazione simpato-adrenergica (15-22). Per tale motivo la maggioranza dei ricercatori è del parere che la riduzione della portata cardiaca massima sia da considerarsi secondaria piuttosto che causa della ridotta massima potenza aerobica (VO2 max ) (17). La funzione cardiaca non rappresenterebbe, pertanto, un fattore limitante la capacità lavorativa né immediatamente all’arrivo in alta quota, allorché è mantenuta la massima portata cardiaca (7), né successivamente dopo acclimatazione quando la riduzione della portata è probabilmente secondaria alla diminuzione della potenza aerobica per un «deterioramento» muscolare periferico (18-23). L’attivazione neuroendocrina adrenergica, dimostrata sia direttamente con metodiche mi-

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croneurografiche (24) e con il riscontro di elevati livelli ematici di catecolamine (25) che indirettamente mediante l’analisi della variabilità della frequenza cardiaca (26), è probabilmente responsabile anche del lieve aumento dei valori di pressione arteriosa, specie diastolici, osservati in alta quota dopo alcuni giorni di permanenza (8-26-28). Tale meccanismo, garantendo il mantenimento della funzione cardiaca, rappresenta con l’ottimizzazione del trasporto dell’ossigeno (aumento della ventilazione e della concentrazione di emoglobina e miglior rapporto tra fibre muscolari e capillari) uno dei meccanismi messi in atto dal nostro organismo durante l’acclimatazione per opporsi alla riduzione dell’ossigeno nell’aria. Esso, però, a lungo andare può determinare, assieme forse ad un «deterioramento» miocardico per la perdita di elementi contrattili, un esaurimento della riserva contrattile del muscolo cardiaco (15-29). Tra le risposte cardiovascolari conseguenti all’esposizione all’ipossia d’alta quota, particolare rilievo riveste l’aumento della pressione in arteria polmonare (6), anche per l’importante ruolo svolto nel meccanismo fisiopatologico dell’edema polmonare d’alta quota (3031). L’ipertensione polmonare è conseguenza dell’aumento delle resistenze vascolari per la vasocostrizione delle arteriole polmonari indotta dall’ipossia alveolare tramite un meccanismo non ancora completamente chiarito, ma apparentemente legato anche a fattori genetici (32-33). Sembra esservi, comunque, un valore soglia di pressione alveolare di ossigeno, e quindi di quota (>3000 m), necessario per osservare questa risposta (32), risposta che appare ancora più evidente durante sforzo (34), e se prolungata nel tempo, può portare a modificazioni strutturali delle arteriole polmonari e, probabilmente, ad ipertrofia del ventricolo destro (32). Infine, per quanto riguarda il flusso coronarico, in presenza di una normale riserva coronarica, questo aumenta in condizioni di ipossia acuta (35-36), ma sembra ridursi a valori inferiori a quelli rilevati a livello del mare dopo alcuni giorni di acclimatazione, apparentemente per un aumento dell’estrazione coronarica di ossigeno (37). Un altro importante meccanismo dell’acclimatazione è rappresentato dall’aumento della secrezione di eritropoietina in risposta all’ipossiemia, che stimola la produzione di globuli rossi, con il conseguente incremento dell’ematocrito e della concentrazione di emoglobina (6). Questa risposta non è necessariamente benefica, poiché un’eccessiva policitemia può ostacolare il trasporto dell’ossigeno per l’aumentata viscosità del sangue.

Tabella III. Risposte di acclimatazione dell’organismo all’alta quota. Amento della ventilazione polmonare Aumento lieve della frequenza cardiaca (portata cardiaca ai valori del livello del mare) Aumento dei globuli rossi, dell’ematocrito e della concentrazione di emoglobina Aumento delle catecolamine

Esiste una considerevole variabilità individuale nell’abilità ad acclimatarsi all’altitudine. Alcune persone si acclimatano velocemente, mentre altre vanno incontro al male acuto di montagna e richiedono periodi di tempo più lunghi per acclimatarsi completamente. L’acclimatazione è di breve durata dopo la discesa a bassa quota, con effetti che perdurano al massimo fino a 2 settimane (6). Nonostante l’acclimatazione, il VO2 max, che è un indice della massima prestazione aerobica, cioè della massima intensità di esercizio che un individuo è in grado di compiere per periodi prolungati, diminuisce in quota rispetto ai valori riscontrati a livello del mare: la riduzione è poco significativa sino ai 2000 m, mentre è del 35-40% a 5000 m e dell’80-85% sulla vetta dell’Everest (6-18-38). Tra i fattori responsabili della riduzione della potenza aerobica in alta quota sono da annoverare l’ipossia, con la conseguente diminuzione della saturazione in ossigeno del sangue arterioso (nonostante l’aumento dell’ematocrito e della concentra-

zione di emoglobina), ed un deterioramento muscolare periferico, sia per una perdita vera e propria di massa muscolare sia per una diminuzione della capacità delle vie ossidative di produrre energia (6-18-23).

Il cardiopatico e l’attività fisica in quota Le attività sportive praticabili in montagna sono numerose ed in costante aumento. Alcune di queste sono tipiche «della montagna», come ad esempio l’alpinismo nelle sue varie espressioni, l’escursionismo, lo sci di discesa e di fondo, altre invece sono di più recente introduzione come mountain-bike, parapendio e deltaplano. Per le nostre considerazioni sul cardiopatico in montagna, però, limiteremo l’analisi all’escursionismo e lo sci di fondo possono essere inclusi tra le attività fisiche che richiedono un impegno cardiovascolare e muscolare dinamico prolungato, che si effettuano ricorrendo principalmente a processi di tipo aerobico e che si caratterizzano per l’aumento della vascolarizzazione muscolare e l’aumento del flusso muscolare durante l’esercizio. Lo sci di discesa, invece, prevede anche un importante lavoro muscolare statico e di forza esplosiva. Durante l’esposizione all’altitudine di un soggetto cardiopatico, andranno presi in considerazione tre fattori: l’ipossia, il freddo, lo stress fisico e psichico. Tutti e tre inducono un aumento del tono simpato-adrenergico sul sistema cardiovascolare con conseguente aumento del carico ventricolare, dell’inotropismo e del cronotropismo, quindi del VO2 e del rischio coronarico ed aritmico. Nella popolazione generale il rischio di morte improvvisa durante l’attività fisica in montagna sembra aumentare nettamente solo nei maschi sopra i 40 anni che non svolgono regolarmente tale tipo di attività (39). La frequenza di eventi ischemici (rilevabili come depressioni del tratto ST durante monitoraggio telemetrico dell’ECG), che in questi soggetti rappresentano la principale causa di morte improvvisa durante sforzo, non appare però aumentata rispetto alla bassa quota in una popolazione simile durante attività di sci di discesa a 3100 m (40). Ne deriva l’importanza di un’accurata valutazione clinica e funzionale del soggetto sopra i 40 anni che voglia svolgere attività fisica in montagna a quote anche elevate, che a sua volta necessita di una conoscenza, da parte del medico e del cardiologo in particolare, della fisiopatologia dell’esercizio fisico in quota nel coronaropatico. Malattia coronarica. A tutt’oggi non esistono molti studi sul comportamento del coronaropatico in montagna, in particolare durante sforzo. Alcuni sono stati eseguiti su pazienti con pregresso infarto miocardico o sottoposti a rivascolarizzazione coronarica con bypass o angioplastica, che in pianura non presentavano sintomi e segni elettrocardiografici di ischemia a riposo e durante un test da sforzo. In questi studi, anche alle quote di 2000-2500 m, non si sono osservati sintomi e segni elettrocardiografici di ischemia, né aritmie di rilievo (superiori alla classe 4A di Lown) sia a riposo sia durante sforzo (cicloergometro, escursionismo o sci di fondo) (41-44). Queste osservazioni sono state recentemente confermate, sempre a quote moderate (2500 m), anche in pazienti coronaropatici con depressa funzione ventricolare sinistra (frazione di eiezione <45%), purché asintomatici e senza segni di scompenso e di ischemia a riposo e durante sforzo a bassa quota (10). L’esposizione, anche acuta, a tali quote non sembra pertanto controindicata per i pazienti con cardiopatia ischemica stabilizzata, i quali dopo adeguata valutazione preventiva a livello del mare, potranno anche praticarvi un’attività sportiva opportunamente scelta. Sempre recentemente, alcuni studi sono stati condotti su pazienti con documentata malattia coronarica stabilizzata, ma che presentavano angina e/o sottoslivellamento del tratto ST durante il test da sforzo eseguito a bassa quota (45-46). Durante esposizione acuta a quote medio-alte (2500-3100 m) si sono evidenziati: una riduzione del VO2 max in media dell’11-12%, un aumento della ventilazione, della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sistolica ai carichi di lavoro sottomassimali,

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mentre i valori al massimo carico sono rimasti immutati. Angina e sottoslivellamento del tratto ST comparivano allo stesso doppio prodotto (45) o leggermente più basso (46), ma conseguentemente a più basso carico di lavoro. Pochi giorni di acclimatazione sono sufficienti, però, per riportare quasi completamente il VO2 max ai valori presenti a livello del mare come pure la soglia sistemica (carico di lavoro) e miocardica (doppio prodotto) di ischemia (46). Ne deriva che, all’arrivo in quota, i pazienti coronaropatici devono limitare nei primi giorni l’attività fisica e comunque la prescrizione dell’esercizio fisico per tali pazienti deve basarsi sulla frequenza cardiaca piuttosto che sul carico di lavoro, prevedendo una frequenza cardiaca massima durante sforzo attorno al 7085% di quella rilevata in bassa quota alla comparsa di angina e/o sottoslivellamento del tratto ST. Sulla base dell’esperienza personale e di quanto riportato da altri autori, si può quindi affermare che i pazienti coronaropatici (inclusi quelli con pregresso infarto o sottoposti a procedure di rivascolarizzazione coronarica), senza terapia o in terapia, che a livello del mare non presentino sintomi, dimostrino una buona capacità lavorativa, con normale comportamento di frequenza cardiaca e pressione arteriosa durante la prova da sforzo eseguita in pianura e portata a termine in assenza di angina, alterazioni elettrocardiografiche e/o importanti aritmie, possono soggiornare in montagna e praticare, nella stagione estiva, l’escursionismo fino a quote anche di 3000 m. Essi devono però evitare passaggi particolarmente esposti e vie attrezzate che richiedono un elevato impegno muscolare di tipo isometrico, per l’eccessivo incremento pressorio indotto da questo genere di sforzo. Nella stagione invernale possono altresì praticare sia lo sci di fondo che di discesa fino a quote di 3000m. I rischi appaiono infatti legati a fattori indipendenti dall’altitudine, quali esposizione al freddo eccessivo od un in-

Figura 3. Carico di lavoro al treadmill (in METS) e doppio prodotto (frequenza cardiaca x pressione arteriosa sistolica) alla soglia ischemica (sottoslivellamento del tratto ST di 1 mm) a livello del mare, in esposizione acuta simulata a 2500 m e dopo 5 giorni di acclimatazione a 2500 m. Da Levine et al. (46), con il permesso dell’Editore.

tenso stimolo emotivo, come un’improvvisa situazione di pericolo, condizioni che pertanto andranno evitate. Anche se il rischio di male acuto di montagna non sembra aumentato nei pazienti coronaropatici, altitudini più elevate andranno evitate in tutti i casi potenzialmente a rischio e comunque valutate per il singolo paziente (47). Altre cardiopatie congenite ed acquisite. Più complessa è la problematica relativa alle altre cardiopatie congenite ed acquisite. Da un punto di vista generale, vizi valvolari lievi in buon compenso emodinamico e cardiopatie congenite con lieve shunt sinistro-destro, non controindicano la permanenza e l’attività fisica in quota, come d’altra parte neppure l’attività sportiva. D’altro canto studi specifici non sono stati eseguiti su gruppi di pazienti con cardiopatie congenite o valvolari, né, a nostra conoscenza, su pazienti affetti da miocardiopatia di alcun genere. Un approccio individuale per ogni paziente dovrà pertanto essere adottato nel caso di un maggiore grado di severità della cardiopatia o di cardiopatie a rischio di sincope o morte improvvisa, come stenosi aortica, miocardiopatia ipertrofica e miocardiopatia aritmogena. Il giudizio circa la possibilità di soggiorno ed attività fisica in montagna dovrà infatti tener conto sia della situazione clinica del paziente cardiopatico (grado di severità della malattia, in termini di carico sui ventricoli; possibilità di evoluzione della cardiopatia, cioè aumento di


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severità del carico emodinamico ed anatomico; possibilità di complicazioni; eventuale correzione chirurgica della cardiopatia; stato della funzione ventricolare) sia delle caratteristiche dell’ambiente montano. È infatti noto come l’ipossia abbia un importante effetto vasocostrittore a livello polmonare (6-32), tale effetto può determinare un’inversione dello shunt (da sinistro-destro a destro-sinistro) o un ulteriore aumento dell’ipertensione polmonare (48), se già presente, che può provocare o aggravare lo scompenso cardiaco. Una delle cause dell’aumento della pressione polmonare è rappresentata anche dalla policitemia che si determina con l’esposizione all’ipossia cronica. La necessità di aumentare la portata cardiaca durante l’esposizione acuta all’alta quota controindica tale condizione nei pazienti affetti da cardiopatie caratterizzate dall’incapacità di adeguare alle esigenze la portata cardiaca. Questo può avvenire, infatti, solo al prezzo di un eccessivo incremento di un gradiente pressorio, con il rischio di scatenare un edema polmonare o una sincope. Rientrano tra queste cardiopatie le forme gravi di stenosi valvolari o di ostruzione dinamica degli efflussi ventricolari. Anche in presenza di ventricoli in condizioni di compenso labile, l’aumento della portata cardiaca richiesto dall’esposizione acuta all’alta quota, può peggiorare la disfunzione ventricolare provocando un edema polmonare o uno scompenso congestizio. È questo il caso delle forme gravi di insufficienza valvolare o di miocardiopatia dilatativa. L’importante attivazione del sistema nervoso simpatico, che si verifica durante le prime fasi della permanenza in alta quota (24-26), rappresenta un rischio per i pazienti portatori di un substrato aritmogeno sensibile allo stimolo adrenergico. Qualora l’aritmia ipercinetica inducibile possa essere responsabile di alterazioni emodinamiche in grado di indurre lipotimia, sincope, angina, o, peggio, arresto cardiocircolatorio, l’esposizione all’alta quota appare controindicata. Non è chiaro, invece, se la «prevalenza vagale» osservata nelle fasi successive di permanenza in alta quota (3-4 settimane) (12-18) e dovuta probabilmente alla down-regulation adrenergica (26-29), possa precipitare gravi aritmie ipocinetiche o scatenare tachiaritmie inducibili con questo meccanismo. Anche altre caratteristiche dell’ambiente montano (isolamento, non immediata possibilità di accesso a strutture ospedaliere attrezzate, situazioni potenzialmente pericolose in caso di sincopi, lipotimie o capogiri anche in assenza di vere e proprie difficoltà alpinistiche) dovranno essere tenute presenti a prescindere dalle semplici conseguenze dell’ipossia d’alta quota. Così, ad esempio, la montagna, anche fino a quote di 3000 m, può essere consentita ai pazienti valvulopatici operati con applicazione di protesi meccaniche o biologiche, purché in assenza di disfunzione ventricolare, ma nell’affrontare delle attività escursionistiche essi dovranno tenere presente, nel caso di traumi, la possibilità di un aumentato rischio emorragico dovuto all’impiego dei farmaci anticoagulanti. Ipertensione arteriosa. L’esposizione all’ipossia acuta ha un effetto variabile sui valori della pressione arteriosa sia nei soggetti normali, sia nei pazienti ipertesi. Nei normotesi non si osservano, generalmente, significative modificazioni durante le prime ore di esposizione all’alta quota sia a riposo sia durante sforzo (1-9). I pazienti ipertesi presentano, invece, durante sforzo una tendenza a valori sistolici più elevati già dopo pochi ore a media quota (49-50), tendenza che si estende anche ai

Tabella IV. Controindicazioni cardiovascolari assolute al soggiorno alle medie quote (1800-3000 m). Infarto miocardico recente (< 4 settimane) Angina instabile Scompenso ardiaco congestizio Forme gravi di valvulopatia od ostruzione all’efflusso ventricolare Aritmie ventricolari di grado elevato (> 4A di Lown) Cardiopatie congenite cianogene o con ipertensione polmonare Arteriopatia periferica sintomatica Ipertenzione arteriosa grave o mal controllata

valori diastolici dopo 24 ore (27). Successivamente la pressione arteriosa aumenta durante la prima settimana di permanenza in quota, sia nel normoteso che nell’iperteso, come dimostrato anche mediante monitoraggio ambulatoriale non invasivo per 24 ore (26-27). Tale aumento osservato nei valori a riposo, specie diastolici, è, come abbiamo già avuto modo di scrivere, legato verosimilmente all’attivazione adrenergica che si verifica nelle stesse condizioni (25-27). Sulla base di tali studi possiamo affermare che il paziente iperteso può soggiornare in montagna anche fino a quote di 3000 m, purché in buon controllo terapeutico, e praticarvi una moderata attività fisica come l’escursionismo o, nella stagione invernale, lo sci di fondo o di discesa, tenendo presente che il freddo è un ulteriore fattore aggravante l’ipertensione. Egli, però, dovrà controllare frequentemente i valori pressori, specie durante la prima settimana di soggiorno in quota, con eventuali aggiustamenti posologici della terapia e porre la consueta attenzione alle norme igienico-dietetiche.

controllare frequentemente i suoi valori durante la permanenza in quota ed eventualmente aggiustare la terapia.

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Figura 4. Valori medi della pressione arteriosa sistolica e diastolica durante le ore diurne e notturne in un gruppo di soggetti normali, a livello del mare prima della partenza per una spedizione alpinistica (prima), dopo 1 (P1) e 4 (P2) settimane a 5000 m e tra il decimo e quattordicesimo giorno dopo il ritorno a livello del mare (dopo). * p < 0.05 rispetto ai valori diurni; † p < 0.05 rispetto ai valori prima della partenza. Dati da Ponchia et al. (26).

Conclusioni A conclusione di tutte queste considerazioni ci piace osservare come, lungi da ogni atteggiamento genericamente ed aprioristicamente restrittivo, anche l’attività fisica in montagna può contribuire alla riabilitazione funzionale del cardiopatico, ovvero al suo precoce reinseriemnto sociale con il ripristino del suo benessere psico-fisico. D’altra parte, l’allenamento fisico, che a tale scopo deve essere regolarmente seguito, risulterà più gratificante se consentirà al cardiopatico di continuare a praticare le sue attività ricreative preferite, soprattutto quando queste si svolgono nell’ambiente spesso incomparabile della montagna. Riassunto Ancor oggi frequentemente un atteggiamento aprioristicamente restrittivo porta i medici a sconsigliare ai cardiopatici il soggiorno a quote > 1000 m. Questo atteggiamento non è però sostenuto da alcuna dimostrazione scientifica. Dopo aver analizzato gli adattamenti cardiocircolatori nel corso di un’esposizione ad un ambiente montano d’alta quota, vengono riportati i principali studi sul comportamento del paziente coronaropatico in montagna, in particolare durante sforzo. Sulla base di queste esperienze si può affermare che i coronaropatici, asintomatici, che abbiano eseguito recentemente una valutazione clinica e strumentale con esito soddisfacente, possono soggiornare in montagna anche fino a 3000 m e praticare l’escursionismo e lo sci di fondo e di discesa. I rischi appaiono legati a fattori indipendenti dall’altitudine, quali esposizione al freddo eccessivo o intensi stimoli emotivi per situazioni di pericolo, condizioni che pertanto andranno evitate. Un approccio individuale andrà invece seguito per le altre cardiopatie congenite ed acquisite, per le quali si dovrà tener conto, oltre che della situazione clinica del paziente, anche delle particolari caratteristiche dell’ambiente montano (ipossia, isolamento, difficoltà di accesso a strutture ospedaliere attrezzate). Infine, il paziente iperteso dovrà, vista la tendenza ad un aumento dei valori pressori,

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(*) Il lavoro è stato segnaltato dal prof. Gianni Losano.


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Milano 11 luglio 2000 Ai Componenti Consiglio Nazionale Ai Revisori dei Conti del C.N.S.A.S. Al Direttore Scuola Naz. Tecnici All’Istruttore Nazionale Tecnico L. De Nardin LORO SEDI

Siège National: La Charniaz - 73340 BELLECOMBE EN BAUGES DIRECTION NATIONALE: President - Conseiller Technique National: DODELIN Christian President-Adjoint - Conseiller Technique National: GUDEFIN Jacques Tresorier - Conseiller Technique National: DAVID Eric Delegue du CD FFS aupres du SSF: DARNE Fabien CONSEILLERS TECHNIQUES NATIONAUX: COUTURIER Jean-Paul, FONTESPIS-LOSTPE P.H., GOMEX Ruben, GUILLOT Florence, LABAT Michel, LAFARGUETTE Alain, POGGIA Frédéric, RIAS Pierre CHARGES DE MISSION: BIGEARD Philippe, GIBELIN Jean-Marc, MICHEL Jacques, NORE Stéphane, TOURTE Bernard

Il Consiglio Nazionale è convocato mercoledì 26 luglio 2000 alle ore 10.00 a Milano presso la sede del C.N.S.A.S. in via Petrella 19, con il seguente: ORDINE DEL GIORNO 1. Lettura e approvazione verbale Consiglio nazionale del 14 giugno 2000. 2. Comunicazioni del Presidente: 2.1 Contributo legge finanziaria 1999; 2.2 Proposta legge C.N.S.A.S. - aggiornamento situazione; 2.3 Variazioni bilancio 2000; 2.4 Commissione Sanità e Montagna; 2.5 Contratti Sig. Lolli (M. Marucco - L. Zampatti); 2.6 Progetto informatizzazione (P. Verico); 2.7 Vicenda Salvatori (P. Verico); 2.8 Visita C.N.S.A.S. Sicilia; 2.9 Gruppo lavoro cinofila da soccorso; 2.10 Legge addestramento cani; 2.11 Personale segreteria;

2.12 Interventi soccorso speleologico in Piemonte e in Lombardia - Comunicazioni (P. Verico); 2.13 Riunione Coordinatori regionali Medici. 3. Audizione Istruttore nazionale tecnico L. De Nardin. 4. Scuola nazionale U.C.V. eventuale spostamento sede corso nazionale - designazione nuova sede. 5. Rapporti C.N.S.A.S. S.R. Emilia Romagna - V.F. 6. Varie ed eventuali. Cordiali saluti Il Presidente C.N.S.A.S Armando Poli

Milano 3 agosto 2000 Ai Componenti Consiglio Nazionale Ai Revisori dei Conti del C.N.S.A.S. Al Direttore Scuola Naz. U.C.V. Al Direttore Scuola Naz. U.C.R.S. LORO SEDI Il Consiglio Nazionale è convocato mercoledì 29 agosto 2000 alle ore 10.00 a Milano presso la sede del C.N.S.A.S. in via Petrella 19, con il seguente: ORDINE DEL GIORNO 1. Lettura e approvazione verbale Consiglio nazionale del 26 luglio 2000.

2. Comunicazioni del Presidente: 2.1 Incontro Sottosegretario alla Sanità On. G. Labate - Roma 2 agosto 2000 (A. Poli - M. Marucco); 2.2 Incontro Ministro Interno Bianco - Roma 6 settembre 2000. 3. Scuole U.C.V. e U.C.R.S.: analisi generale e proposte per il futuro (O. Piazza). 4. Percorso formativo e di verifica per operatori C.N.S.A.S attuale evoluzione e direttive Consiglio nazionale (O. Piazza). 5. Gruppo lavoro cinofilia da soccorso (A. Benazzo - L. Zanoli). 6. Ipotesi convenzione C.A.I./ C.N.S.A.S. - Ministero degli Interni/P.S. (G. Domenichelli). 7. Frequenza chiamata soccorso in montagna - proposta BGP/radio comunicazioni (M. Marucco). 8. Fondo solidarietà. 9. Prestazioni S.NA.TE. 1998 a Servizio reg.le Piemonte e Servizio prov.le Trentino. 10. Proposta convenzione assistenza sanitaria medica e fisioterapica (P. Verico). 11. Manuali Tecnici (D. Chiappa - P. Verico). 12. Bilanci Servizi reg.li/ prov.li 13. Data Assemblea Delegati autunno 2000. 14. Internet - pagine WEB (G. Frangioni). 15. Varie ed eventuali. Cordiali saluti Il Presidente C.N.S.A.S Armando Poli


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