Edizione a cura di: COMITATO PROVINCIALE PER L’UNICEF CATANZARO Con la collaborazione di: PAOLA DEMOCRITO Realizzata grazie al contributo di: UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA CALABRIA Gli elaborati presenti in questa raccolta possono aver subito delle modifiche, rispetto ai lavori originali, per esigenze editoriali e di spazio. Le Illustrazioni sono state realizzate dagli alunni del Liceo Scientifico “L. Da Vinci” di Chiaravalle Centrale
ESPERIENZE Di educazione alla legalità Per una maggiore consapevolezza e responsabilità
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UNICEF-Comitato Provinciale Catanzaro PROGETTO PER UN PERCORSO DI EDUCAZIONE ALLA LEGALITA’ NEI BIENNI OBBLIGATORI DEGLI ISTITUTI DI SECONDO GRADO DELLA PROVINCIA: “Esperienze di Educazione alla Legalità. Per una maggiore consapevolezza e responsabilità.”
PREMESSA
Il Consiglio d’Europa, nel dicembre 1996, emanò un documento sull’efficacia della Scuola, riconoscendo che “l’istruzione e la formazione sono un fattore di massima importanza” per promuovere, oltre che la formazione integrale della personalità, la capacità di partecipare attivamente alla vita della propria comunità. Il documento sottolineava gli elementi connotativi dei percorsi di formazione, primo fra tutti la promozione di “una maggiore responsabilità”, e, richiamando il principio di sussidiarietà, auspicava la possibilità per le comunità locali di assumere maggiori responsabilità in materia di istruzione e formazione per divenire Comunità di apprendimento. Non v’è dubbio che, in un’ottica che include con forza il concetto di Responsabilità, sia come consapevolezza personale sia come capacità progettuali per sostenere percorsi mirati di sviluppo, si inserisce l’Educazione alla Convivenza democratica e alla Legalità, vero e proprio contenitore di Valori irrinunciabili. Già il Ministero della Pubblica Istruzione nel 1993, con la Circolare n.302 del 25 ottobre, partendo da un’analisi dolorosa in relazione alla crisi di valori gravemente avvertita nel Paese, aveva richiamato la responsabilità della Scuola in ordine alla necessità di avviare un processo di sempre più incisiva educazione alla legalità “come presupposto etico e culturale di una contrapposizione decisa a tutti i fenomeni di criminalità”. Il Ministro pro-tempore chiariva che il processo auspicato doveva creare in tutti i cittadini una forte cultura civile per inserire nel circuito democratico persone sempre più coscienti dell’importanza che rivestono la correttezza dei rapporti giuridici, la salvaguardia dei diritti individuali e il rifiuto di ogni sopraffazione. Non possiamo qui non rilevare che, di fatto, la parola “Legalità” comprende in se tutta una serie di interventi e di concetti base destinati a predisporre ogni persona alla presa di coscienza dell’“essere cittadino” e delle responsabilità connesse. Nasceva, dunque, con la prima direttiva il Sistema Educativo alla Legalità che sarebbe stato poi ripreso nel 2005 con la Direttiva del Ministro della Pubblica Istruzione n.56 del 10 giugno in cui si ribadiva la necessità di potenziare nei giovani l’Educazione alla Convivenza Civile. A seguito della Direttiva, il Ministro adottava il D.M.16 marzo 2006 con cui considerava che “l’educazione alla Legalità è elemento qualificante dell’Educazione alla convivenza civile, affinché le istituzioni scolastiche siano luoghi privilegiati di rispetto dei diritti umani, di pratica della democrazia e di formazione di cittadini consapevoli e responsabili”. Con lo stesso Decreto il Ministro istituiva la Giornata Nazionale della Legalità e rendeva pubblico il Manifesto Nazionale “Cittadinanza, Legalità e Sviluppo”. In questo importante documento si afferma che vivere la Legalità è “vivere il valore della regola come strumento di libertà e progresso” e, soprattutto, che “vivere la Legalità è prima di tutto capirla, accettarla, condividerla”. Con la successiva Direttiva del 16 ottobre 2006, avente ad oggetto: “Linee di indirizzo sulla Introduzione - 5
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cittadinanza democratica e legalità”, si richiamava l’impegno della Scuola a rafforzare la capacità di affrontare i fenomeni complessi e di difficile soluzione, sottolineando l’opportunità della Scuola di aprirsi al mondo esterno in una logica di comunità educante all’interno della quale gli Studenti fossero soggetti centrali dell’Educazione. In tale contesto, la Scuola veniva invitata a incrementare la pratica diffusa di sapere formare cittadini e cittadine solidali e responsabili. Nella Direttiva il Ministero si impegnava a realizzare un piano nazionale di formazione collocando l’Educazione alla Legalità in una dimensione trasversale a tutte le discipline; promuoveva la partecipazione delle Famiglie e degli Studenti mediante l’esplicazione di un ruolo attivo e positivo; auspicava un impegno interistituzionale per contrastare il disagio e l’emarginazione; rivolgeva un’attenzione particolare allo studio della Storia che “dà spessore alle storie individuali ed a quella collettiva, che dà senso al presente e permette di orientarsi in una dimensione futura”, parlando, in questo contesto, di educazione alla cittadinanza attiva. Altro elemento che la Direttiva del 2006 non trascurava era l’Associazionismo dei Ragazzi, riconoscendo la valenza del contributo che la Consulte Giovanili e le Associazioni Giovanili potevano dare. Suggeriva modalità interessanti quali le attività sportive per incrementare l’educazione alle regole e alla solidarietà, le attività teatrali, raccomandava accordi e intese con i Ministeri dell’Interno, della Giustizia e della Politiche Sociali per realizzare azioni congiunte e coordinate. L’Educazione alla Legalità sarebbe assurta a dovere istituzionale della Scuola con Legge 30 ottobre 2008 n.169 che ha introdotto nel curricolo scolastico l’Educazione alla Cittadinanza e Costituzione. Il 4 marzo 2009 il Ministro della Pubblica Istruzione ha emanato il famoso documento di indirizzo per la sperimentazione dell’Insegnamento di Cittadinanza e Costituzione. In questo Documento si richiama la Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 in cui si chiarivano le competenze sociali che la Scuola ha l’obbligo di promuovere nei Ragazzi “competenze personali, interpersonali e interculturali, che riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo costruttivo alla vita sociale”. Il Documento chiarisce che “la Società non si esaurisce nella sua dimensione politica. Col termine di Società s’intende riferirsi ad altri aspetti dell’umana convivenza: gli aspetti economici, culturali, religiosi, etici, artistici, scientifici, tecnologici. E di questi aspetti fanno parte sia il risvolto fisiologico sia il risvolto patologico, quello che viene qualificato come incivile, ma anche immorale, antisociale, falso, brutto, irrazionale, criminale. Risvolto che, con alleanza delle forze civili, va combattuto in ogni sede, a partire dalla propria persona”. È interessante notare come i concetti di Solidarietà e Responsabilità abbiano costituito un continuum nell’excursus normativo e storico dell’Educazione alla Legalità, in particolare il Documento di indirizzo appena citato, ribadisce che “trovarsi a vivere in una società complessa, significa […] elaborare dialetticamente i costrutti dell’identità personale e della solidarietà, della libertà e della responsabilità, della competizione e della cooperazione”, per cui lo studio aggiunto non deve essere considerato come una aggravante delle discipline già esistenti, ma un vero e proprio “germe vitale” per sviluppare quel processo formativo utile e idoneo alla formazione dei Valori fondamentali dell’esistenza. Nel vasto quadro di riferimento, il Documento auspica la collaborazione con Enti, Associazioni, Forze dell’Ordine, Magistratura e, soprattutto, del Terzo Settore al fine di costituire un patto sinergico a favore dei Ragazzi nell’ambito dell’Educazione alla Legalità. Con Direttiva n.1201 del 28 gennaio 2011, il Ministro della Pubblica Istruzione ha incluso tra le priorità amministrative per l’azione di governo della Scuola del 2011, l’Obiettivo strategico di “Promuovere e sostenere le diverse iniziative di Educazione alla Legalità”. 6 - Introduzione
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L’Unicef, Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, da oltre 50 anni impegnato nella promozione e difesa dei Diritti dei Minori, svolge un’intensa e diffusa azione di advocacy, mirata alla divulgazione e alla corretta e globale applicazione della Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con Legge 27 maggio 1991 n. 176. L’Unicef basa la sua azione su principi fondamentali quali: la non discriminazione, l’interesse superiore del minore, il rispetto della Vita, la Protezione, la Salute. Guidati da queste linee valoriali, l’Unicef interpella gli Stati e gli Enti perché s’instauri una intesa forte e durevole finalizzata alla promozione e realizzazione di occasioni valide perché i Diritti dei Minori diventino realtà operativa concreta e perché si affermi ovunque cultura dei Minori, mediante un impegno generalizzato. La formazione è una delle finalità più importanti. Gli articoli 28 e 29 della Convenzione prevedono gli obiettivi per cui l’Unicef chiede con viva forza l’incremento e la collaborazione del ruolo della Scuola ad ogni livello. In particolare la Convenzione chiede che l’Educazione sia finalizzata a: 1) favorire lo sviluppo della personalità del minore; 2) sviluppare nel minore il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; 3) sviluppare nel minore il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, dei suoi valori linguistici, nazionali e internazionali; 4) preparare il minore ad assumere responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza; 5) sviluppare nel minore il rispetto dell’ambiente. Queste finalità debbono essere raggiunte con una adeguata azione educativa e formativa della Scuola a cui l’Unicef si rivolge per offrire collaborazione e sostegno finalizzati ad incrementare e arricchire il ruolo dei docenti.
OBIETTIVI E PARTNER DEL PROGETTO Il Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, nel recente Documento inviato alle Scuole della Regione contenente le linee d’indirizzo per l’Educazione alla Legalità, ha fra l’altro scritto: “E’ indispensabile che i ragazzi siano concretamente protagonisti di attività che ne stimolino il senso di responsabilità, che facciano comprendere loro il senso del sacrificio (come, ad es., quando scoprono il valore del lavoro nei progetti di alternanza), il senso del gratuito (come quando, ad es. partecipano ad iniziative di solidarietà e di volontariato), il senso della morale e dell’etica o della religiosità, come quando si confrontano sui grandi temi dell’esistenza, sul senso della vita, in iniziative svolte di concerto tra Scuola e Enti e Soggetti altri sul territorio: Forze dell’Ordine, Ordini Professionali, Pastorali Diocesane, Associazioni e Unicef”. Sulla base del predetto Documento, e dei suggerimenti in esso contenuto, il comitato provinciale Unicef di Catanzaro ha reso fattivo il suo impegno a tutela degli interessi dei minori, ideando e realizzando un progetto per un percorso di educazione alla legalità nei bienni obbligatori degli istituti di secondo grado della provincia. Questo straordinario progetto, che ha visto la partecipazione di 20 istituti scolastici della provincia di Catanzaro, deve la sua concretizzazione al determinante aiuto degli oltre 40 relatori, tra magistrati, avvocati ed esperti di chiara fama, che lo hanno supportato con interventi nelle scuole, con lezioni frontali e con la loro partecipazione attiva nelle discussioni e nel confronto con i ragazzi. La realizzazione di un capillare percorso verso l’“educazione alla legalità” è stata dunque possibile grazie ad eccezionali partner che si sono resi ambasciatori della legalità al fianco Introduzione - 7
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dell’Unicef: Corte d’Appello di Catanzaro, Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Catanzaro, Tribunale di Lamezia Terme, i Consigli dell’ordine degli avvocati di Catanzaro e di Lamezia Terme, Ufficio Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata, Associazione dei Carabinieri di Catanzaro, Direzione Generale Calabria, Consulta Provinciale Giovanile, Leo Club “Rupe Ventosa”. Tutti uniti per il conseguimento degli stessi obiettivi: - promuovere la conoscenza approfondita della Costituzione dello Stato in correlazione con i principi della Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori; - prendere coscienza dei Diritti e dei Doveri; - assumere capacità di lettura di una norma; - capire cosa significa responsabilità e come da essa sola può nascere la solidarietà; - comprendere e condividere la necessità delle regole e del loro rispetto. Questo lungo percorso, iniziato nel dicembre del 2011 e conclusosi nel gennaio 2013, conosce dunque oggi, nella raccolta di atti che qui vi presentiamo, il suo culmine e la sua sintesi. La raccolta si articola di due sezioni: la prima, dedicata ad estratti di alcune delle conversazioni tenute dai relatori, riassume, seppure in piccola parte, il lavoro meticoloso fatto da questi ultimi durante gli incontri nelle scuole; la seconda, che rappresenta il senso di tutto l’impegno profuso da chi vi ha contribuito, è composta invece dalla raccolta dei lavori realizzati dagli stessi studenti che hanno partecipato e, quindi, reso vitale l’intero progetto.
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Presentazione
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uando, sul finire del 2011, la dott.ssa Anna Maria Fonti Iembo mi chiese l’adesione della Corte di Appello al progetto per un percorso di educazione alla legalità nei bienni obbligatori degli istituti di secondo grado della Provincia di Catanzaro, mi fu sufficiente una velocissima lettura del progetto stesso per capirne l’estrema importanza, tanto esso era ricco di stimoli e di contenuti. I colleghi della Corte di Appello e quelli di altri uffici della provincia (in particolare, fra gli altri, la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, il Tribunale Ordinario e la Procura della Repubblica di Lamezia Terme) condivisero il mio entusiasmo (il termine non sembri eccessivo: è solo veritiero) e si offrirono, numerosissimi, di svolgere (insieme con avvocati, insegnanti ed altri professionisti, appartenenti alle Forze dell’ordine) le numerosissime relazioni previste. Posso dire (senza timore di incorrere in “auto-incensamenti” avendo solamente svolto una mera e modesta funzione di tramite) di essere assai orgoglioso del grandissimo contributo che i colleghi magistrati hanno dato, insieme con gli altri relatori, al successo del progetto. Particolarmente importanti si sono rivelate, al fine di sviluppare la promozione di una “maggiore responsabilità” fra i ragazzi (e cioè del primo fra gli elementi connotativi dei percorsi di formazione) le conversazioni che hanno fatto seguito alle relazioni. Conversazioni che hanno dimostrato il grande interesse dei ragazzi, la loro “fame” di sapere, le loro grandi (ed a volte imprevedibili) curiosità intellettuali e culturali (tanto da essermi “pentito” di non essermi “offerto” anch’io per tenere qualche lezione). Non mi resta allora che esprimere l’augurio che a questo primo progetto, che ha avuto così benefici effetti, ne seguano, con regolare cadenza, altri che continuino a promuovere nei nostri ragazzi sentimenti sempre più intensi di solidarietà e di responsabilità. Gianfranco Migliaccio Presidente della Corte D’Appello di Catanzaro
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el corso dell’anno scolastico 2009-10, ho trasmesso a tutte le Scuole della Regione il Documento contenente le Linee guida per l’Educazione alla Legalità, nell’intento di indirizzare gli operatori scolastici al migliore e consapevole rispetto della Legge 169 del 30 ottobre 2008, relativamente all’obbligo di Educare gli Allievi a “Cittadinanza e Costituzione”. In quel documento riconoscevo che uno dei cardini fondamentali dell’Educazione tout-court è la “capacità di fare esercitare ai Ragazzi i valori appresi”, auspicando che tutti gli Alunni, nel corso dei rispettivi curricula, potessero essere “concretamente” protagonisti di attività idonee a stimolare il senso di responsabilità e della moralità, che facessero loro comprendere il senso del sacrificio. Mi riferivo alla loro partecipazione ad iniziative di volontariato così come a quelle che li facessero confrontare con i grandi temi sull’esistenza umana e sul senso della vita. E affermavo che l’interazione della Scuola con le diverse Agenzie del territorio era condizione indispensabile per mettere in onda tutte quelle iniziative complementari utili a fortificare e ottimizzare l’intervento educativo e formativo. Citavo per tutti l’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, che da oltre sessanta anni promuove e difende i Diritti dei Minori. Oggi, di fronte all’esperienza portata a termine dal Comitato Unicef di Catanzaro sull’Educazione alla Legalità, resto da una parte ammirato per il rilevante impegno realizzato a favore degli Allievi dei bienni obbligatori degli istituti di secondo grado, dall’altra non posso che confermarmi nella convinzione che, in virtù di una corretta sussidiarietà orizzontale, le finalità alte della formazione e dell’educazione dei giovani, vengono più efficacemente e più compiutamente raggiunte. Dicevo, sempre in quel documento, che tra le strategie di metodo era da preferire una modalità “positiva” mirata sempre a suscitare e consolidare nei ragazzi il valore indiscusso e indefettibile del rispetto delle norme e della civile convivenza. E, in effetti, il progetto dell’Unicef ha proposto alle Scuole un percorso del tutto positivo su argomenti come la Costituzione, le Carte Internazionali dei Diritti, l’impegno di cittadinanza attiva che ogni persona deve espletare nel corso della vita; argomenti, questi, che sicuramente hanno aperto ai ragazzi partecipanti orizzonti di senso civico formidabile e prospettive di studio e di riflessione profonda e altamente formativa. Devo anche affermare che il progetto Unicef si inquadra decisamente nella nuova Strategia 2020 che l’Europa si è data, in cui essa si propone, in un mondo che cambia vorticosamente, di raggiungere quei risultati non del tutto realizzati con la precedente Strategia 2010, di divenire, cioè, un’economia intelligente, sostenibile e solidale. La strategia odierna fissa obiettivi prioritari tra i quali occupa posto fondamentale l’Istruzione e la Formazione, finalizzate a dare alla Società Cittadini sempre più e meglio dotati di conoscenze, capacità critiche adeguate, forti per valori etici e morali. Non si dimentichi che oggi, nella molteplicità vistosamente enorme di stimoli, messaggi spesso contraddittori, problematiche esistenziali angoscianti, il Giovane corre il rischio di non sapersi orientare e decidere: allora, come dice Michele Pellerey, “il cuore del problema educativo deve essere centrato sulla promozione di qualità personali che consentano a ciascuno di diventare il vero protagonista della propria crescita e maturazione…secondo i concetti basilari di “autodeterminazione” e “autoregolazione””, (Rassegna CNOS-n.1 -2010), occorre, cioè, educare ogni allievo a costituirsi un habitus mentale e spirituale idoneo ad affrontare la vita con consapevolezza e responsabilità. Ringrazio, quindi, di cuore l’Unicef di Catanzaro e i suoi operatori per il lavoro svolto augurando sempre nuovi prestigiosi traguardi. Francesco Mercurio Direttore Generale Ufficio Scolastico Reg. Calabria 12 - Introduzione
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l Comitato Provinciale dell’UNICEF di Catanzaro ha promosso, assieme a partner di assoluto spessore giuridico, un importante e significativo progetto finalizzato ad un innalzamento dell’asticella della legalità, soprattutto tra i giovani dei bienni obbligatori degli Istituti di secondo grado della provincia di Catanzaro. Il valore indiscusso dei relatori, con esperienze lavorative diversificate – Magistrati, Avvocati, in primis – e le particolari modalità di svolgimento degli incontri, hanno prodotto un risultato di indiscutibile rilievo, alla luce della massiccia ed attenta partecipazione concretizzatasi, che potrà influire non poco a rafforzare e rinsaldare nei giovani i valori della legalità, della democrazia, della partecipazione, della solidarietà, del senso civico, nella consapevolezza e nella convinzione che educare e formare significa promuovere l’adesione volontaria della persona ai valori della vita democratica, alle leggi ed alle regole costituzionali, ai fini di una solidale crescita nella convivenza civile. Le iniziative sviluppate per i temi e la particolare strutturazione, certamente, non si sono sovrapposte alle già tante attività di prevenzione ed intervento sul territorio promosse da vari enti, secondo diverse modalità, che non sempre si sono rivelate valide per individuare azioni da realizzare e strumenti da utilizzare per raggiungere la ambiziosa finalità del benessere in senso lato dei giovani. Anzi, secondo Galli della Loggia, esisterebbe, in Italia, sul tema della legalità, una sorta di epidemia definita “convegnite”, per descrivere una serie di iniziative che si svolgono con noiosa ripetitività, senza vere e proprie conseguenze positive per la diffusione della cultura della legalità. La legalità deve essere avvertita come un dovere etico, politico, religioso, civile, ed abbracciare tutte le manifestazioni della vita, sia pubblica che privata: nel rapporto uomo-ambiente, uomoPubblica Amministrazione, uomo-lavoro, uomo-professioni, genitori-figli, uomo-scuola, uomovalori, uomo-economia, uomo-giustizia, per superare quella sorta di eclissi che si è verificata ed ampliata, soprattutto nelle regioni meridionali, più vocate per antico, negativo retaggio, ad una filosofia di vita dove il dovere giuridico è spesso dimenticato e tendenzialmente aggirato, favorito dall’impugnazione del principio di autorità, da stili, comportamenti, linguaggi, modi di apprendere pervasivi ed incontrollabili, martellati dal mondo digitale ed ipertecnologico, dalla liquidazione delle coscienze, da certo permissivismo demagogico, da una diffusa deresponsabilizzazione, per incolpare le Istituzioni o la società, da certo soggettivismo etico e comportamentale, da identificazione in modelli negativi, non di rado proposti dal mondo politico e dello spettacolo, dalla celebrazione della legalità come mera forma che non fa che proteggere la crescita di un illegalità di sostanza e di compromesso o di corruzione, sino alla crisi del consenso sociale, fondamento dell’unità della convivenza civile. Lo Stato, soprattutto in alcune aree del Mezzogiorno, viene percepito, riconosciuto e legittimato solo come soggetto economico, con tutte le altre funzioni relegate sul fondo e, soprattutto, non viene loro riconosciuta alcuna autorità morale – Uno Stato relegato a sole e pure funzioni economiche non può produrre una cultura della legalità, ma quella del “particolare”, dell’amicizia per rendere un favore, dello scambio d’interesse, dell’inosservanza delle regole: è come se in una gara di atletica leggera i concorrenti capissero che la vittoria dipende dallo starter, dall’arbitro e non dalle loro prestazioni. Introduzione - 13
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Anche i fenomeni patologici di mercificazione dell’attività politico-amministrativa, per i quali c’è un’offerta e una domanda, non sarebbero spiegabili se non ci fosse questa percezione dimezzata delle funzioni dello Stato. In una società complessa e molecolare ci sono rapporti di tipo verticale (tra Stato e cittadini, tra Stato ed organizzazioni devianti) e di tipo orizzontale, legati all’incontro-scontro, alla reciprocità e catene di reciprocità tra interessi e fra diritti. Ogni giorno diventa più evidente la constatazione che accanto alle patologie ed alle inevase attribuzioni di legittimità statale si pone la questione della cultura della reciprocità, che significa - a livello politico, amministrativo - cultura della responsabilità verso se stesso e verso l’altro, unico fondamento sociale di una nuova legalità collettiva; non solo etica dell’osservanza delle norme, dunque, ma etica del dono nella prossimità. Responsabilità e dono devono stimolare altra responsabilità ed altra solidarietà per costruire una società basata sulla legalità dal basso. Una nuova religione civile, dunque, impregnata fortemente di solidarietà, legalità, responsabilità, per costruire un mondo più equo e giusto in cui ciascuno di noi, come miliziano e pretoriano, si senta fortemente impegnato, mettendo all’angolo i tanti Ponzio Pilato di una società narcisista, nichilista, individualista, consumista, liquida, ipertecnologica, ma priva di anima e coscienza parlante. Antonio Reppucci Prefetto di Catanzaro
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n una Società globalizzata come quella attuale, si percepiscono, con sempre più allarme, i sintomi di un malessere diffuso, di un disagio esistenzial1e che attanaglia l’essere umano, il quale, per sua natura invece, sarebbe predisposto alla felicità e alla pace. La ricerca spasmodica della ricchezza e del potere mistificano con forza quello che dovrebbe essere l’impegno di ogni persona verso il bene collettivo, la giustizia, l’equità. Di pari passo si fa strada l’affermazione da più parti di una prospettiva promozionale, di uno sguardo positivo, di un sistema solidaristico, dove ogni persona possa trovare le condizioni per vivere una vita degna e sicura. Noi dell’Unicef abbiamo, da oltre sessanta anni, ingaggiato una vera e propria lotta senza quartiere contro l’ingiustizia e la discriminazione contro i Piccoli, e lo facciamo con piena coscienza e forza d’animo, convinti che nei Minori risiede quel tesoro inestimabile che dà senso e valore all’umanità intera. Mettiamo in atto, dunque, tutta una serie di strategie per “fare rete”, per instaurare un “linguaggio condiviso”, per realizzare una piena collaborazione con tutti i Soggetti di buona volontà, onde l’intervento di ognuno sia effettivamente complementare all’altro nell’affrontare e risolvere i problemi. Uno degli obiettivi prioritari, voluto dalla Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori del 20 novembre 1989, è quello i sviluppare la potenzialità di ogni persona di minore età e consentirgli l’acquisizione di quei valori indefettibili che presiedono la civile convivenza. Federico Rampini parla di una “rifondazione dell’Italia dal basso”: in effetti, di questo si tratta, nello strato complessivo del sociale va ricercata e realizzata la rinascita e lo sviluppo valoriale del paese e del mondo intero. Ma per fare questo, è indispensabile un’educazione adeguata e vigorosa. Diceva bene la Commissione Europea sull’Educazione nel famoso Rapporto “Nell’Educazione un tesoro”, quando affermava che bisogna dirigere il mondo verso una maggiore comprensione reciproca, un maggiore senso di responsabilità e una maggiore solidarietà, attraverso l’accettazione delle nostre differenze spirituali e culturali. L’Educazione ha decisamente questo compito: “aiutare tutti a capire il mondo e a capire gli altri”. Lo stesso Rapporto impiantava su quattro pilastri il sistema educativo, assegnando il posto prioritario a “imparare a vivere insieme” per sviluppare la comprensione del senso di interdipendenza in uno spirito di rispetto dei valori del pluralismo e dell’“imparare ad essere, per sviluppare la propria personalità in modo tale da essere in grado di agire con crescente capacità di autonomia, di giudizio e di responsabilità”. Su questi presupposti abbiamo fondato il nostro progetto di Educazione alla Legalità, perché, con la collaborazione preziosa dei Dirigenti Scolastici, dei Docenti e delle Famiglie, potessimo mettere in atto per i Ragazzi dei bienni degli istituti Superiori, occasioni propizie di studio e approfondimento di conoscenze ed esperienze nel campo della Legalità. Nelson Mandela affermò un giorno: “La Libertà è inseparabile dalla dignità umana e dall’eguaglianza”, ma questo può essere raggiunto soltanto gradualmente, attraverso lo studio per acquisire le conoscenze necessarie da cui solo possono scaturire i comportamenti adeguati. Ma non basta; è necessario che ogni Ragazzo, fin dalla più tenera età, sia indotto, motivato Introduzione - 15
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ad “autoeducarsi” alla responsabilità. Infatti, il nostro è stato un messaggio positivo, abbiamo voluto che ogni Allievo partecipasse ad un percorso di formazione che lo guidasse a: 1-assumere consapevolezza che la vita di un paese civile è regolata da norme positive che consentono a chiunque di vivere liberamente; 2-accettare le regole non come imposizioni dall’alto, ma come naturale organizzazione della Società; 3-che il rispetto della regola è un vantaggio per tutti perché in essa è la previsione di un fare e di un essere a favore della comunità, a difesa dei diritti di ciascuno; 4-rendersi conto che il rispetto della regola non deve scaturire dalla paura dell’applicazione della sanzione, ma deve essere frutto di una naturale adesione personale alla stessa; 5-accettare che incontrovertibilmente ad ogni diritto corrisponde un dovere preciso. A noi dell’Unicef sta a cuore il raggiungimento di traguardi formativi nel campo della Legalità perché soltanto dall’acquisizione delle conoscenze dei sistemi di diritto, può scaturire un autentico valore di Solidarietà, intesa come accettazione di ogni persona umana, rispetto dell’ambiente, sobrietà di costumi, tenerezza e amore per la Vita. Ringraziamo di cuore quanti hanno collaborato con noi e soprattutto i Giovani che ci hanno confortato del loro apprezzamento disinteressato e della manifesta voglia di apprendere. Annamaria Fonti Iembo Presidente Comitato Unicef Catanzaro
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Leo club sono un’associazione giovanile collegata ai Lions Clubs International. Scopo dichiarato del Leo Club è quello di promuovere tra i giovani della comunità quelle attività di servizio civico che sviluppano le qualità individuali di leadership, esperienza ed opportunità, nonché quello di unire i soci nello spirito di amicizia, cameratismo e reciproca comprensione. Il Leo Club Catanzaro Rupe Ventosa nasce ad opera del Lions sponsor padrino, ed opera nel territorio della Provincia di Catanzaro, avendo all’attivo più di 30 soci compresi nella fascia di età tra i 16 e i 30 anni. Proprio in considerazione degli scopi del lionismo, il Leo Club Catanzaro Rupe Ventosa, ha deciso di impegnarsi nel progetto “Educazione al diritto”. Nel nostro paese, i giovani si trovano a dover affrontare il mondo del lavoro ed il proprio ingresso nel mondo degli adulti assolutamente impreparati e chiusi in un orizzonte circoscritto al proprio habitat. Ma soprattutto le nuove generazioni del nostro paese non sono preparate ad affrontare consapevolmente l’enorme insieme di contraddizioni che l’attuale società civile mette loro di fronte né di partecipare consapevolmente alla vita civile del paese. Così che non saranno mai aperti ad un mercato del lavoro che -per la natura stessa della propria evoluzione- come abbiamo visto è ormai pluridisciplinare, transazionale e, quello che più conta, rarefatto; ma soprattutto questi giovani rimarranno cittadini non capaci di partecipare consapevolmente alla vita civile del paese in un momento in cui la politica stessa vede impoverita la propria capacità di indirizzo schiacciata dalla globalizzazione delle imprese e dal potere delle multinazionali, la partecipazione diventa un imperativo. Ma soprattutto le nuove generazioni non sono preparate ad affrontare consapevolmente l’enorme insieme di contraddizioni che l’attuale società civile mette loro di fronte né di partecipare consapevolmente alla vita civile del paese, non permettendo loro di godere, nel breve termine, dei vantaggi derivanti dall’appartenenza alla Comunità Europea, come di fatto è successo alla maggior parte dei loro genitori! Le nuove generazioni, a prescindere dalla formazione professionale scelta, dovrebbero prima di tutto formarsi con una buona conoscenza della società che li circonda e quindi, di conseguenza, con delle nozioni, anche minime, di diritto che, da scienza sociale qual è, è sensibile ai cambiamenti della società civile. Il diritto, infatti, nel valutare i comportamenti dell’uomo, lo pone al centro della propria azione e perciò lo stesso non può prescindere dalla sua minima conoscenza. Difatti, senza nozioni minime sul diritto i giovani rischiano di arrivare impreparati nell’affrontare la società civile e tutti i campi che essa include. Pertanto bisognerebbe estendere lo studio delle nozioni base, di diritto e di educazione civica nella fascia scolare di età media superiore per consentire alle nuove generazioni di assimilare quei concetti che andranno a porsi come capisaldi della loro formazione di base, non solo come studenti, ma anche e soprattutto come persone. Per risolvere questo stato di cose sarebbe necessario avviare un progetto paese che coinvolga tutti, o quasi tutti, i sette milioni di giovani di età compresa tra 13 e 25 anni del nostro paese, alla fine del progetto si avrebbero a disposizione cittadini più consapevoli e preparati, lavoratori con una cultura di base, economica e civile, migliore, nuovi imprenditori più consapevoli dei propri diritti/doveri, avvocati, medici, liberi professionisti meglio preparati ad affrontare i rapporti con la propria imprenditorialità, dipendenti dello stato e della pubblica amministrazione capaci di meglio comprendere le leggi e i bisogni del cittadino, si permetterebbe cioè ai giovani di diventare membri della società civile consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, e cittadini europei. Importantissimo il ruolo di un’associazione giovanile quale il Leo Club in questo contesto dal momento che l’associazionismo giovanile è una fra le più alte forme di partecipazione attiva alla vita del paese e alla sensibilizzazione dell’animo, inoltre il nostro principale compito è quello di reclutare cittadinanza attiva rendendo consapevoli i ragazzi di ciò che gli sta intorno. Mi piace concludere con una citazione del celeberrimo recentissimo film “Cloud Atlas” che mi ha molto colpito «La nostra vita non ci appartiene, da quando nasciamo siamo legati ad altri, passati e presenti e da ogni crimine ed ogni gentilezza generiamo il nostro futuro». Gianmarco Arabia Presidente Leo Club Catanzaro Introduzione - 17
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Parte il progetto! A Catanzaro...
A Lamezia...
A Soverato.
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INDICE PRIMA PARTE Estratti dalle “Conversazioni” dei Relatori
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LA DIGNITÀ UMANA QUALE VINCOLO ASSIOLOGICO NELLE CARTE FONDAMENTALI
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LA CARTA COSTITUZIONALE ITALIANA
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I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE ED IL PRINCIPIO DI LEGALITA’
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IL PRINCÎPIO DI SOLIDARIETÀ NELLA COSTITUZIONE ITALIANA SOLIDARIETÀ E DIRITTO PRIVATO
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CAPACITÀ GIURIDICA E DI AGIRE: CONCETTI DI RESPONSABILITÀ E OBBLIGAZIONE
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L’AMBIENTE: Responsabilità per danno ambientale, alle cose pubbliche, alla città, alla scuola
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CODICE DELLA STRADA: Responsabilità verso se stessi e verso gli altri
PROCESSO PENALE MINORILE: Principi Ispiratori
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BREVI CENNI SULLA MEDIAZIONE PENALE MINORILE E L’ESPERIENZA DEL DISTRETTO MINORILE DI CATANZARO
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OLTRE IL PROCESSO PENALE MINORILE: ascolto, affidamento, adozione LA NORMA PENALE E LA RESPONSABILITÀ PENALE NELLA COSTITUZIONE
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LE ASSOCIAZIONI MAFIOSE E IL FENOMENO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA
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SOLIDARIETA’ E VOLONTARIATO
SOSTANZE D’ABUSO: droghe e alcol DIRITTO ALLA SALUTE IL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA DIRITTI E DOVERI DEI CONIUGI E DEI FIGLI IL GARANTE DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA INTRODUZIONE AL PROCESSO MINORILE GIUSTIZIA MINORILE: Aspetti Processuali
LA CITTADINANZA. Questione di dibattito attuale tra le forze politiche
Introduzione - 19
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SECONDA PARTE Lavori realizzati dagli Studenti
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EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ: “La cultura della legalità si sviluppa attraverso l’educazione”
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LA CONDIZIONE DELL’INFANZIA NEL MONDO: i cambiamenti climatici
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EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ: “educare alla legalità significa educare alla responsabilità”
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LA LEGALITA’ NOI, SENTINELLE DI LEGALITÀ RIFLESSIONI SULL’ART. 9 DELLA COSTITUZIONE
PROGETTO ”EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ”: riflessioni
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Intervista ad un operatore ecologico di Soverato sulle problematiche legate all’ambiente
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IL LAVORO, PRESUPPOSTO DELLA LIBERTÀ E DELLA DIGNITÀ UMANA
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NO ALL’ INQUINAMENTO RIFLESSIONI SULLA LEGALITÀ RIFIUTI E SALUTE
I DIRITTI DEI MINORI LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI DEI MINORI NEI CONFLITTI ARMATI L’INFANZIA NEGATA COMBATTIAMO IL BULLISMO: AGISCI, DENUNCIA, AIUTA….. LA MAFIA: Analisi della sua diffusione nel territorio nazionale e della sua attività E-DUCARE ALLA LEGAlITÀ: bilancio di un percorso
CONCLUSIONI EDUCARSI ALLA RESPONSABILITA’ E ALLA GIUSTIZIA RINGRAZIAMENTI
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P R I M A PA R T E
Estratti dalle “Conversazioni� dei Relatori
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LA DIGNITÀ UMANA QUALE VINCOLO ASSIOLOGICO NELLE CARTE FONDAMENTALI 1. Il Principio di Legalità. Oggi siamo stati chiamati a parlare della legalità. Dobbiamo, quindi, confrontarci con un concetto teorico e astratto. Confrontarsi con un concetto teorico e astratto è sempre un’impresa ardua, in quanto, di essi si ha sempre una pre-comprensione ma è sempre difficile darne una definizione rigorosa e puntuale. Si pensi ad esempio al concetto di giustizia; tutti intuiscono che cos’è la Giustizia; più difficile, invece, è disegnarne esattamente i connotati, i caratteri. Sono nozioni, quello della Giustizia così come quello della legalità, che si pongono in una linea di confine tra l’irrazionale e il razionale; sembrano più intuizioni che concetti acquisiti. Normalmente il concetto di legalità viene collegato alla supremazia della Legge; ossia si identifica la legalità con l’idea (anch’essa astratta) di supremazia della legge. Ma supremazia rispetto a cosa? O rispetto a chi? Per comprendere cosa si intenda per supremazia della legge si deve fare un salto indietro nel tempo e risalire alle monarchie assolute, al tempo in cui tutti i poteri erano concentrati nelle mani di un’unica persona, il Monarca che era arbitro incontrastato del destino dei popoli e dello Stato. Il Monarca, titolare del potere assoluto, era Sovrano, ossia era posto più in alto di tutti. Era facile che dal potere assoluto discendesse l’abuso. Sapete che con la Rivoluzione Francese si prefigurava l’obiettivo di separare i tre poteri, esecutivo, giudiziario e legislativo, attribuendo la sovranità (non più al monarca) ma alla legge; la legge quale espressione della volontà del Popolo che, attraverso di essa esercitava la sovranità. Sapete sicuramente come recita il primo articolo della nostra Costituzione, della nostra Carta Fondamentale: “La sovranità appartiene al Popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Quindi, vediamo, che il concetto astratto di supremazia della Legge si concretizza e diventa argine alla possibilità di abuso del potere. Costituisce espressione del principio di legalità e di questa funzione di garanzia della legge il c.d. principio della riserva di legge. Ogni qual volta si teme che la libertà personale possa essere prevaricate, la Costituzione pone la legge a presidio e a garanzia. Quando si ritiene che un determinato bene/interesse sia di particolare importanza e si vuole offrirgli una garanzia più accentuata, si dice che quel bene può essere disciplinato, limitato, soltanto con la Legge. Questo accade, ad esempio, con il bene “libertà personale”. La legge, dunque, espressione della sovranità popolare e, al tempo stesso, strumento di garanzia. Tale conclusione è certamente condivisa. Però, per comprenderne bene l’essenza è necessario sottolineare qualcosa in più. E per mettere in evidenza questo “qualcosa in più” voglio partire da un esempio. Immagino sappiate che le leggi, in quanto espressione della Sovranità popolare si formano dove siedono i rappresentanti del popolo, ossia in Parlamento. Sapete che le leggi, in realtà, sono espressione di una maggioranza. Prima Parte - 23
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Ora, immaginate che il Parlamento voti una legge con cui dispone che tutte le donne non possono più iscriversi a scuola; non possono avere accesso all’istruzione. In forza di quello che abbiamo fin qui detto, in questo caso, i professori per rispettare la legalità, dovrebbero espellere dalle classi tutte le ragazze. Ma l’ingiustizia di una legge siffatta è palese; nessuno qui dentro dubita che ci si dovrebbe ribellare a questa legge; probabilmente faremmo le barricate e disobbediremmo. Disobbediremmo perché è una legge ingiusta. Allora non basta dire che il principio di legalità è il principio di supremazia della legge; bisogna anche dire che questa supremazia della legge deve trovare, a sua volta, legittimazione; deve trovare giustificazione in qualche cosa che sta più in alto. La norma, per essere suprema, deve essere giusta. Allora, il tema della legalità ci porta e ci sposta verso un piano assiologico. La legge, per essere giusta e condivisa, deve essere conforme, deve rispettare dei valori superiori, condivisi da tutti. Ma qual è questo valore più alto che limita e rende giusta la legge? La risposta è univoca e necessitata: la persona umana e la sua dignità. La legge, quindi, trova giustificazione e rispetto in quanto, a sua volta, rispetti la dignità umana.
2. La dignità Umana. Oggi siamo tutti d’accordo che una legge è degna di essere rispettata se non lede, se non ferisce la dignità umana. Però la condivisione di questo principio è una conquista recente. Nasce e si afferma soltanto nella metà del secolo scorso. Nasce dopo l’esperienza orribile della prima metà del novecento che ha conosciuto il totale disprezzo e l’assoluta umiliazione della dignità umana, con due guerre mondiali, con il genocidio teorizzato, giustificato e applicato scientificamente; con la produzione e con l’uso dei mezzi di distruzione di massa. Proprio ieri si è celebrato il “Giorno della Memoria”, della memoria dell’Olocausto o, per dirla in termini laici, della Shoà, del “disastro” che aveva alla sua base la teoria dell’essere sub-umano. Si comprende, finalmente, che ciò che ha provocato questo orrore, questo disastro è stata proprio la prevaricazione della dignità umana. Finita la seconda guerra mondiale, si avverte la necessità, quindi, di fondare una nuova società; direi una nuova civiltà ma temo di apparire troppo enfatico. Questa necessità diventa opera concreta; si poggiano le basi, si scavano le fondamenta di questa nuova società. Sapete come si sono poggiate le basi, come si sono scavate le fondamenta di questa nuova società: scrivendo le c.d. Carte Fondamentali; perché “fondamentali”? Perché sono le “fondamenta” di un ordinamento giuridico: lì si scrivono i principi nei quali le società si riconoscono ossia i pilastri che devono sostenere la società e, perciò, irrinunciabili; lì si indicano i valori che la legge deve rispettare per trovare legittimazione. 24 - Prima Parte
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3. La dignità nelle Carte Fondamentali. Si assiste, allora, ad una proliferazione dell’affermazione della dignità umana come valore fondante: La dignità umana per la prima volta la troviamo utilizzata in un documento internazionale, La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata il 10.12.1948. La dichiarazione inizia: “Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. E prosegue “il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’Umanità”. Come vedete appaiono tutti i temi di cui abbiamo fatto cenno: la dignità umana è il fondamento della libertà, della giustizia e della pace; l’abiura della dignità umana ha portato la guerra e la distruzione. La Dichiarazione si autoproclama Universale, cioè valida per tutti gli uomini, anche in quegli stati in cui essa non viene riconosciuta. Dopo questa dichiarazione si assiste a un numero impressionante di riferimenti alla dignità umana, sia in Carte Internazionali sia nelle Carte Fondamentali di singoli stati. Ve le richiamo: 1. Patti Internazioni sui diritti civili e politici e sui diritti economici sociali e culturali (1966); 2. Convenzione di Ginevra relativa i rifugiati (28.7.1951); 3. Convenzione di New York sui diritti politici delle donne (New York, 20.12.1952); 4. Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (New York 18.12.1979); 5. Convenzione dei diritti del Fanciullo (New York 20.11.1989); 6. La Convenzione Europea per la Salvaguardia delle Libertà e dei Diritti Fondamentali (firmata a Roma il 4.4.1950); 7. La Convenzione di Oviedo del 1997. Per la protezione dei diritti dell’Uomo riguardo le applicazioni della biologia e della medicina; 8. Il Trattato di Lisbona, firmato il 13.12.2007, che contiene alcuni principi osti a fondamento dell’Unione Europea, all’art. 2 si legge: “L’Unione Europea si fonda sui valori del rispetto della dignità umana”. Queste le carte internazionali e sovranazionali. Ma lo stesso fenomeno si è visto nelle Costituzioni Nazionali: in quella italiana, certamente, sia pure in maniera sottintesa; ma anche nelle Carte Fondamentali dei paesi dell’est Europeo, all’indomani della disgregazione dell’Unione Sovietica, si sono date carte fondamentali con riferimenti alla dignità umana: Slovacchia, Lituania, Estonia, Bulgaria, Romania, Polonia. Fra tutte le carte fondamentali, sia internazionali che nazionali ne abbiamo una che, tuttavia, attribuisce alla dignità umana un valore e una posizione così elevata che non si ha in nessun’altra. La cito alla fine ancorché essa risalga al 1949 e, dunque, sia di poco successiva alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. La cito alla fine per darne un maggior risalto perché è la Carta Fondamentale della Germania post nazista. Proprio quella Germania che era stata la protagonista assoluta dell’orrore, che aveva completamente cancellato la dignità umana, non solo con la Shoà ma anche con l’applicazione scientifica di un’eutanasia per così dire sociale, dove tutti gli infermi, gli omosessuali, i mutilati, vennero eliminati. Prima Parte - 25
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Pensate che dal 1933 al 1945 furono sterilizzati 400.000 tedeschi con l’applicazione di una legge chiamata legge per la “salvaguardia della salute ereditaria del Popolo Tedesco”. Pensate che furono uccisi ben 70.000 “tedeschi inutili” perché inabili al lavoro. Mia figlia, vedendo uno dei tanti film di questi giorni sullo sterminio di massa, mi ha chiesto? Papà ma i tedeschi hanno costruito apposta le camere a gas e i forni crematori per uccidere gli ebrei? Io le avevo risposto di si. Leggendo dei documenti per questa nostra chiacchierata ho scoperto che la mia risposta era sbagliata; in realtà i campi di sterminio vennero edificati per eliminare sia i tedeschi inabili al lavoro o malati di mente o omosessuali ma anche i bambini tedeschi disattati. C’è la storia di un ragazzo tedesco che era scappato di casa; acciuffato dalla polizia tedesca venne prima deportato e poi eliminato, nella camere a gas. Le camere e gas e i forni crematori furono, per così dire, riciclati, per l’eliminazione degli ebrei, soltanto dal 1941, ma già erano in uso sin dal 1939. Finita la guerra, caduto il regime nazista, la Germania era in ginocchio, distrutta dai bombardamenti e divisa in due; ma, soprattutto, le macerie erano morali: i tedeschi provarono una profonda vergogna per il baratro di follia in cui erano caduti; si avvertiva forte l’esigenza di allontanarsi da quella vergogna e di comunicare a tutti a questa presa di distanza. Nasce così la Carta Fondamentale di Bonn, che all’art. 1, sotto il titolo: <<dignità umana, vincolo legislativo fondamentale del potere statale>> recita: “La dignità umana è intangibile. E’ dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”. Perché è diversa da tutte le altre e perché è affermato con più forza. Perché si dice che la dignità umana è “intangibile” ossia “intoccabile”, non si può toccare, nessuno la può toccare; anzi, tutti i poteri, di qualsiasi natura e orientamento essi siano, hanno il preciso dovere di rispettarla e di difenderla. E poi, cosa non trascurabile, questa affermazione è posta all’art. 1: la Costituzione si apre proprio con questa frase; a significare che la Germania nel 1949, vuole dire a tutto il mondo che, dopo la follia nazista, la nuova società tedesca, farà del rispetto e della difesa della dignità umana una cosa sacra. In ciò è eloquente il titolo: dignità umana, vincolo legislativo fondamentale: ogni legge deve sottomettersi alla dignità umana.
4. Nozione di dignità umana. Possiamo quindi dire che la dignità umana è il pilastro principale delle moderne Carte Fondamentali, siano esse internazionali, sovranazionali o nazionali. La dignità umana è alla base della Libertà, della Pace, della Giustizia e da essa, sostanzialmente, promanano tutti gli altri diritti fondamentali della persona. A questo punto, dopo tanto parlare della dignità umana, non si può sfuggire a una domanda precisa: che cos’è la dignità umana? La domanda è insidiosa e la risposta è difficilissima. Anzi, qualcuno, ha detto che per meglio comprendere il concetto di dignità umana sarebbe meglio non spiegarla. Suggeriscono, cioè, di far rimanere il concetto a quel livello di pre-comprensione, intuitivo, al confine tra irrazionale e razionale di cui abbiamo fatto cenno al principio di questa nostra chiacchierata. Devo dirvi che qualcuno si è spinto ancora oltre e ha affermato che la dignità umana, proprio per conservarla a livello di sacralità, non si dovrebbe neanche menzionarla nelle carte 26 - Prima Parte
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fondamentali, perché menzionandola la si volgarizza, ossia la si mette allo stesso livello degli altri principi fondamentali. Proviamo lo stesso a definirla. A questo scopo dobbiamo fare ricorso al dibattito filosofico sulla dignità umana che, in Europa, è assai antica, come vedremo, tanto da costituire uno degli elementi dell’identità europea. Devo dirvi che un contributo fondamentale all’idea di dignità umana ci proviene da Kant. Ovviamente mi perdonerete per le imprecisioni e per le inesattezze in quello che andrò a dire, in maniera assai semplificata e sicuramente sbagliata. Comunque, Kant, nella fondazione metafisica dei costumi, in sostanza, distingue tra fini e mezzo, e sottolinea come il mezzo, cioè gli strumenti, abbiano un prezzo, un valore economico, diremmo, oggi, il fine, invece, non ha prezzo e non equivalenti, non può essere sostituito perché ha il suo valore suo proprio, insostituibile. Questo valore è la dignità. Aggiunge, quindi, che l’uomo, in quanto tale, ha una sua dignità e non può essere trattato come un mezzo; non può essere trattato come un mezzo, si badi bene, né dagli altri, né da sé stesso. L’uomo è un valore intrinseco assoluto; l’uomo è dignità; non ha prezzo; è e deve essere sempre tratto come un fine e mai come un mezzo. Da ciò discende il dovere di ogni essere umano di rispettare la dignità altrui e di rispettare anche la propria dignità. Quando viene meno questo rispetto della dignità? Quando l’uomo viene ridotto a strumento, ossia viene degradato da persona a cosa. A questo punto starete pensando: ma che cosa ci viene a raccontare queste cose? Cosa c’entra con il tema che stiamo trattando. Vi dimostrerò subito che l’argomento è pertinente ed attuale. Con due esempi di giurisprudenza, ossia due casi concreti che sono stati affrontati dai giudici; non da quelli italiani ma dai giudici tedeschi e francesi. Dovete sapere che qualche anno fa era in voga nelle discoteche tedesche, ma anche in quelle francesi, un gioco che era chiamato il “lancio dei nani”. In cosa consisteva questo gioco? Un signore affetto da nanismo aveva firmato un contratto ed era pagato per essere lanciato come un proiettile dal pubblico; ovviamente non c’erano pericoli per la sua incolumità perché questo avveniva in un ambiente imbottito sul pavimento, sul soffitto e sulle pareti. Però lo spettacolo, sia in Francia che in Germania, fu sospeso e proibito dalle autorità. Il signore affetto da nanismo non fu contento di questa sospensione: aveva firmato un contratto, il gioco gli aveva dato soldi e popolarità e, inoltre, per un nano non era semplice trovare lavoro. Fece ricorso ai giudici e ne nacque una controversia. Sia i giudici francesi che quelli tedeschi rigettarono il ricorso e confermarono la sospensione. Con quale motivazione? Con la stessa identica motivazione: in questo gioco la persona umana era ridotta a cosa e, perciò, era contraria alla dignità umana. L’uomo era degradato a cosa. Vediamo, quindi, che si concretizza quando insegnato da Kant, la dignità umana viene violata quando la persona viene ridotta a cosa; ma si deve sottolineare un altro dato: la dignità umana hanno l’obbligo di rispettarla e di proteggerla le autorità; abbiamo l’obbligo di rispettarla e di proteggerla, ma gli è stato proibito, perché nessuno può violare la dignità Prima Parte - 27
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umana poiché è un valore dell’uomo in quanto tale; il singolo non può disporne o limitarla. Scusatemi, so che vi annoio, ma vi devo sottolineare un’altra cosa. Uno dei nostri diritti fondamentali è quello di autodeterminarci, cioè, in sostanza, di stipulare i contratti che vogliamo. Anche il nano, in applicazione di questa sua libertà di autodeterminazione, aveva stipulato un contatto; ma gli è stato vietato in nome della dignità umana: cosa significa? Significa che la dignità umana è un valore supremo che limita, senz’altro l’autorità; ma limita anche il singolo e dinanzi alla quale gli altri diritti fondamentali soccombono. Vi faccio un altro esempio; vi interesserà; ne sono certo. Vi interesserà perché riguarda uno dei programmi televisivi più popolare dell’ultimo decennio, il Grande Fratello. Tutti sappiamo come funziona questo gioco: una ventina di ragazzi vengono isolati in una casa per una tre o quattro mesi; la casa è piena di telecamere e di microfoni e tutti da casa, tramite internet o tramite la televisione possono spiare ogni istante della vita trascorsa da questi ragazzi; poi settimanalmente abbiamo il rito della nomination e del televoto. Il nome del format, ovviamente, non è casuale perché richiama il libro 1984 di Orwell e il personaggio/dittatore the Big Brother (che credo si traduca fratello maggiore e non grande fratello), a tutti voi noto, con lo slogan “the Big Brother is watching you”, ossia il fratello maggiore vi guarda, a sottolineare l’intrusione del potere nella vita privata di ciascuno che, in realtà, era annientata. Mi direte: qual è il problema? Il problema è che questi ragazzi, in realtà, firmando il contratto, entrando in quella casa, si prestano a diventare oggetti, si prestano a diventare oggetti di osservazione; diventano uno strumento e non sono il fine; rinunciano, in qualche misura, anche alla loro dignità. Devo dirvi che il tema non è approdato nelle aule di giustizia; ma è stato oggetto di dibattito; in Francia si è deciso di limitare le immagini ad alcune ore. Proprio il programma apre scenari sul rispetto della dignità umana nell’era tecnologica che, però, necessitano di una chiacchierata a parte; così come anche meriterebbe approfondimento adeguato, in altra sede, il tema della dignità umana correlato sia alla nozione di uomo, sia al diritto di morire o di non nascere. Per ora non usciamo dal seminato, e facciamo tesoro di quanto fin qui detto: la dignità umana valore supremo, posto alla base della carte fondamentali, limite per la legge e obbligo di rispetto e di protezione per le Autorità; limite e obbligo di rispetto anche per il singolo individuo, verso gli altri ma anche verso sé. Pochi minuti e finisco. Devo ancora dirvi che intorno alla nozione di dignità umana si sono contese il campo due teorie: la c.d. teoria della dotazione e la c.d. teoria della prestazione. Per la teoria della dotazione la dignità umana ha un valore ontologico, è un possesso originario dell’uomo. Secondo la teoria della dotazione, quindi, la dignità non si acquista, non si conquista, ma si ha già per appartenere al genere umano, perché l’uomo, pur appartenendo alla natura, ha la ragione, una capacità, al tempo stesso, morale e naturale. Quindi, in forza della teoria della dotazione, tutti gli uomini sono dotati (appunto) della dignità. Di diverso avviso la teoria della prestazione. Secondo questa teoria, non basta affermare che l’uomo ha delle capacità morali; secondo la teoria della prestazione bisogna anche vedere come sono adoperate queste capacità morali, come sono attuate in concreto e qual è la risposta della società. La teoria della discriminazione introduce elementi di discriminazione all’interno dell’umanitàz 28 - Prima Parte
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da una parte vi sono persone che sono riconosciute dalla società come dotati di dignità, in ragione dello status raggiunto; dall’altra parte vi sono quelli che ne sono privi. Devo dirvi che sono stati trovati pregi e difetti in entrambe le teorie; come di solito accade, probabilmente la soluzione migliore sta al centro, al punto d’incontro tra le due teorie. Ognuno di noi nasce con la dignità in quanto uomo; però questa dignità deve essere rispettata e coltivata quotidianamente da ciascuno di noi; Vi sono persone che rispettano e realizzano la dignità che è in loro; altre che non lo fanno. Bisogna precisare, tuttavia, che questo dipende dal comportamento che abbiamo noi verso la nostra dignità; nessuno, tuttavia, può intaccare la nostra dignità: né la società né il potere statale, perché la dignità umana, come recita la costituzione tedesca, è intoccabile. Da quanto abbiamo fin qui detto, e arriviamo alla conclusione, possiamo dire che la dignità umana costituisce il valore supremo, posto al vertice della società umana e, allo stesso tempo, fondamento e pietra angolare della struttura sociale: senza questa pietra angolare l’edifico crolla, non c’è libertà, non c’è giustizia, non c’è pace, non c’è legalità, per chiudere il cerchio. La legalità, allora, è il rispetto di quella dignità che è nell’Uomo in quanto tale, inteso in senso collettivo, ma che è anche nel singolo individuo; sia le Autorità sia ciascuno di noi ha il dovere di non “degradarsi” di non offendere la dignità umana; è dovere degli Stati e di ciascuno di noi non perdere di vista la nostra comune origine e appartenenza, assumendo comportamenti che non riducano l’uomo a cosa o a bestia. Allora, mi perdonerete ora l’enfasi e mi perdonerete la poca ortodossìa in quello che sto per dire; ma, tutto quello che abbiamo fin qui detto, secondo me, in qualche maniera, in realtà lo troviamo già magnificamente sintetizzato nella nostra letteratura, con un’esortazione che sembra diretta all’Uomo nel suo complesso ma anche al singolo, ed è il monito e l’esortazione che Dante, nel canto XXVI dell’Inferno, fa rivolgere da Ulisse ai suoi compagni davanti le colonne d’ercole, con una terzina che richiama la dignità umana che è in ciascuno di noi e la necessità, l’obbligo, di conformarsi a essa “Considerate la vostra semenza, fatti non foste a vivere come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.
Antonio Saraco
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LA CARTA COSTITUZIONALE ITALIANA 1) Premessa Ho sempre ritenuto che l’insegnamento della nostra Carta Costituzionale dovrebbe essere sempre adeguatamente sostenuto nelle scuole con iniziative indirizzate alla formazione degli studenti ed all’aggiornamento dei docenti. Omettere lo studio della Costituzione non può, invero, che accrescere i disvalori, oggi sempre più marcati, in tema di eguaglianza, democrazia, solidarietà. Devo dirvi che oggi siete fortunati. Questi seminari finalmente sono diventati sempre più frequenti, non ricordo, infatti, che nulla del genere si sia sviluppato, o quanto meno affrontato con particolare attenzione, ai miei tempi, durante il fondamentale percorso di studi liceali. Vi era sicuramente una disattenzione verso alcuni problemi in ambito scolastico, che era rigorosamente irrigidito verso un insegnamento nozionistico, libresco, astratto, basato essenzialmente sull’utilizzo sistematico del sussidiario e del manuale nonostante prendesse piede in modo sempre più inquietante una politicizzazione spesso strumentale dei giovani, sicuramente esasperata ed eccessivamente estremista, che conduceva verso la negazione di ogni democrazia, la non accettazione delle diversità e l’assenza di qualsiasi dialogo costruttivo, tutti valori, questi, per i quali la nostra Costituzione si erge da sempre a baluardo insormontabile. Sicuramente una grave pecca tale indifferenza verso i principi della Costituzione e verso il suo insegnamento, un grande, colpevole, buco nero che oggi si sta pian piano colmando e mi rendo conto (anche attraverso le esperienze che mi hanno e che mi vengono ancora portate dalle mie figlie) che, oggi, nelle scuole, sia dato un maggiore risalto al problema della legalità, che, nella sua accezione più ampia, costituisce, poi, il leitmotiv di questo seminario. Beh, diciamocela tutta, ad essere sinceri l’approfondimento di questi temi e la conoscenza degli stessi non è mai stato una pecca esclusiva del settore scolastico e spesso vi è ignoranza anche in chi per mestiere o per titoli conseguiti dovrebbero avere perfettamente chiari i concetti di “Costituzione” e “principi costituzionali” che sono, oggi, i temi che stiamo affrontando. La mia convenzione è che il vostro background conoscitivo nella materia non sia affatto carente, e ciò anche per il lavoro meritorio compiuto da vostri insegnanti che si pongono oggi -finalmente vivaddio- anche l’obiettivo di diffondere tra gli studenti i grandi problemi dell’attuale condizione umana (tra cui la ricerca di una nuova qualità della vita, i dilemmi bioetici, la distribuzione ineguale delle risorse, il confronto tra culture e religioni diverse), problemi che, vedremo più avanti quando parleremo dei principi di eguaglianza, pluralista e democratico, sono stati codificati e previsti nella nostra costituzione, oltre sessanta anni fa. Mi auguro, poi, che nei vostri curricula, vi siano degli insegnamenti mirati a farvi acquisire delle minime competenze nell’ambito del diritto e ciò consentirà di arricchire il vostro bagaglio culturale di nozioni comunemente ritenute «di base» che non potranno che favorirvi nell’apprendimento dell’argomento che oggi stiamo trattando.
2) Natura Fatta questa doverosa premessa sarà bene intendersi su cosa è la Costituzione e qual è il suo significato; in buona sostanza, qual è la sua natura, la sua essenza, la sua anima. Orbene, nella sua accezione più ampia, la Costituzione è la legge fondamentale dello Stato anzi, si può senz’altro affermare, che la Costituzione è, la fonte principale, diciamo -se mi consentite il termine- la fonte super primaria, da cui deriva la legittimità di tutte le altre leggi 30 - Prima Parte
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che ad essa devono conformarsi. Pensate che qualunque legge venga emessa del nostro Parlamento deve portare con sé, innanzitutto e principalmente, la conformità ai principi costituzionali, deve cioè avere impresso un marchio indelebile di legittimità costituzionale. Dunque, una legge, per essere tale, prima di ogni altra cosa deve essere una legge che rispecchi la Costituzione e che non si ponga mai in contrasto con essa ed in particolare con i valori ed i principi da questa espressi. Ed ove ciò non avvenga esiste nel nostro sistema giuridico un giudice delle leggi (la Corte Costituzionale) che può, in qualunque momento, essere investita dell’esame di conformità o di difformità alla Costituzione. Quando cioè un giudice -qualsiasi autorità giudiziaria, dal giudice di pace di una piccola città fino alla Corte di Cassazione- nell’esaminare una controversia portata alla sua cognizione si trovi dinanzi ad una norma di legge della quale dubiti della conformità alla Costituzione, ha non solo il potere ma anche il dovere di investire la Corte Costituzionale, della relativa questione. E’, dunque, un preciso dovere della magistratura porre il dubbio di costituzionalità davanti all’unico organo che ha l’autorità per risolverlo, che è, appunto, la Corte Costituzionale. Esame, che ove venga risolto in senso totalmente negativo, conduce alla espunzione dall’ordinamento del provvedimento legislativo emesso dal Parlamento in quanto costituzionalmente illegittimo. Queste basilari nozioni vi serviranno anche per non correre il rischio che si confonda, come spesso accade tra i non addetti ai lavori, la Carta Costituzionale con la Corte Costituzionale poiché al di là dell’assonanza dei termini sono cose profondamente diverse. Abbiamo esaminato il significato descrittivo, vediamo ora quale sia il contenuto assiologico. Orbene da un punto di vista assiologico, la Costituzione è un documento pregno di valori etici, ed è questo l’aspetto che più mi preme porre alla vostra attenzione, poiché la Costituzione è, prima di ogni altra cosa, una CARTA DI VALORI ETICI. Potremmo dire che essa è una formalizzazione di regole etiche sovraordinate. Non è mia intenzione intimorirvi con l’espressione usata, ciò che tento di farvi comprendere è che la Costituzione rappresenta la fonte della nostra etica collettiva, ed è proprio per tale ragione che è indispensabile conoscerla a fondo, poiché solo conoscendola a fondo si può diventare cittadini attivi. Vorrei insistere su questi concetti. Se ciascuno di noi vuole correttamente costruire una propria identità nazionale, deve comprendere (e dovete voi essere i primi a comprenderlo) che vi è la necessità di conoscere la Costituzione, poiché solo attraverso tale conoscenza possiamo pensare di essere migliori, non solo come persone ma, viepiù, come cittadini. C’è un mirabile discorso pronunciato circa 60 anni fa da una insigne giurista e scrittore dello scorso secolo, uno dei padri fondatori del nostro diritto processuale civile, Piero Calamandrei, in una conferenza organizzata da alcuni studenti universitari milanesi, che, a mio avviso, costituisce una pietra miliare per tutti coloro che si approcciano allo studio della Carta Costituzionale e che per la sua attualità porrei, ove ne avessi l’Autorità, a base di ogni programma scolastico e delle scuole di ogni genere e grado. Vi leggerò alcuni passi del documento (che vi invito a leggere) che sono relativi proprio al significato assiologico della Costituzione, che non potrei e non mi permetto nemmeno di parafrasare, poiché lo sentirei come un’offesa verso un’espressione di pensiero che merita profondo rispetto ed ammirazione. “La Costituzione - dice il Calamandrei - è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto Prima Parte - 31
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di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti. È la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo”. NOTATE QUANTO SIANO ATTUALI QUESTE PAROLE PRONUNCIATE DAL CALAMANDREI… se viene meno la solidarietà si va a fondo tutti. Nulla di più vero! Continua il Calamandrei: “Quindi, voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto - questa è una delle gioie della vita - rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo”. Cosa di più può aggiungersi? Quanto è profondamente vero in questo grido accalorato, che nasce dal cuore, di solidarietà, impegno sociale, umanità, amore. Ed ancora: “In questa Costituzione, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli”. Ebbene sì, quando la Costituzione fu scritta non vennero solo resi noti degli ideali, ma nero su bianco si esplicarono i principi fondamentali della civiltà. La nostra civiltà, quella italiana, affermata col tempo, col sangue, con errori, aveva bisogno di sentire che gli sforzi compiuti, soprattutto dal popolo, non dovevano rimanere alla storia ma dovevano essere scritti come storia, e valorizzati come fondamentali per il corso degli eventi. Dopo il fascismo la possibilità di gridare a gran voce le proprie idee era l’unica risposta che gli italiani avrebbero potuto dare dopo anni di silenzio. I costituenti raccolsero, dunque, i diritti e i doveri civili del singolo, e del singolo nella comunità. E quanto di più grandioso vi sia, leggere questi principi donati da un’assemblea al proprio popolo che da anni era stato succube di un destino nel quale aveva le mani legate. E così, contro ogni antisemitismo, egualitaria, solidale e compatta nasceva la nostra costituzione e con essa la Repubblica Italiana.
3) Storia Le parole di Calamandrei, specie l’ultimo passaggio che vi ho letto che fa riferimento al passato, ci offrono lo spunto per tracciare un breve excursus storico dei fatti che condussero alla nascita della nostra Costituzione, che è bene ricordare perché vi aiuterà a meglio comprendere il significato della nostra Costituzione. Ebbene, la nostra Costituzione repubblicana nasce in condizioni assai particolari, in una situazione storica e politica veramente irripetibile. Siamo alla fine della seconda guerra mondiale, Mussolini perde il potere ed inizia un periodo di grande e significativo rinnovamento, il vecchio statuto albertino concesso da Carlo Alberto di Savoia nel 1848 che tante modifiche aveva subito durante il periodo fascista dimostrava ormai tutta la sua inadeguatezza, così come la monarchia che risultava ormai decisamente compromessa ovviamente perché collegata al precedente regime. Iniziarono a comparire i primi partiti che durante la guerra operavano in clandestinità e s’innalzavano, sempre più insistentemente, le voci che reclamavano un cambiamento delle istituzioni e la formazione di un vero stato democratico. Si giunse così al 1946 al referendum per scegliere tra monarchia e repubblica e alla convocazione di un’Assemblea costituente alla quale venne dato l’incarico di scrivere una nuova Carta Costituzionale. 32 - Prima Parte
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Il 22 dicembre 1947 la nostra Costituzione venne finalmente alla luce con l’approvazione da parte dell’Assemblea costituente e, dopo la promulgazione del Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, entrò in vigore il 1° gennaio dell’anno 1948. Dunque, la nostra Carta costituzionale giunge all’approdo, ma solo dopo un cammino complesso e travagliato, alla fine del quale i nostri costituenti seppero trovare una felice sintesi tra i principi fondanti del socialismo, del cristianesimo e del liberalismo, forse in questo favoriti da una necessità di pacificazione che si era fatta urgente dopo la tragedia della seconda guerra mondiale che aveva sconvolto l’Italia, l’Europa ed il mondo intero. Una Costituzione che si dichiarò antifascista non solo perché, storicamente, veniva dopo e nasceva in opposizione al regime fascista, ma perché costituiva l’affermazione più ampia della democrazia e, quindi, portava con sé l’affermazione della dignità della persona e di ogni essere umano, un valore questo che era stato sempre negato da quel regime, fino alla promulgazione delle leggi razziali e discriminatorie verso gli ebrei e non solo verso essi. L’art.3 della nostra Costituzione, che vedremo meglio in seguito, rappresenta la massima espressione del ripudio verso ogni antisemitismo ed ogni cultura razziale, così recita: “Tutti i cittadini, hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge… E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli… che… impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il dettato dell’art.3 istituisce, fate attenzione, un collegamento indissolubile tra i concetti di persona, di cittadino e di lavoratore, che sono rispettivamente le parole chiave intorno a cui ruotano le differenti culture del cristianesimo, del liberalismo borghese e del socialismo, storicamente contrastanti sul ruolo della Chiesa e sul ruolo dello Stato rispetto all’individuo. Pensate che durante i lavori dell’Assemblea Costituente queste tre culture, che pure erano portatrici di visioni del mondo diverse e non di rado opposte, seppero dialogare e confrontarsi tra loro, in modo da immaginare e concepire insieme un cammino di giustizia sociale e di crescita economica ed umana, tanto individuale che collettivo. Non a caso si è parlato, per la nostra Costituzione, di un nobile e alto compromesso. Questo fu l’approdo, che certo non significò annullamento o oscuramento delle diversità che si confrontarono all’epoca, ma piuttosto, sul terreno della democrazia, riconoscimento e legittimazione reciproca di correnti di pensiero tante diverse e tutte fondamentali perché radicate nel popolo italiano. Si pensi al cristianesimo, al socialismo o all’ala più rivoluzionaria di questo che è il comunismo, in cui la medesima affermazione dei diritti dell’uomo, dell’eguaglianza e la costruzione di un mondo migliore, trovano la loro genesi in testi molto, ma molto differenti tra di loro: la Bibbia/ il Manifesto; il Vangelo di Dio/il Capitale di Marx.
4) Struttura E’ tempo ora di analizzare la composizione della Costituzione; la sua struttura. La nostra Carta Costituzionale si compone di 139 articoli di cui 5 sono stati abrogati, divisi in quattro sezioni: • principi fondamentali (articoli 1- 12) • diritti e doveri dei cittadini (articoli 13-54) • ordinamento della repubblica (art. 55- 139) Soffermando la nostra attenzione sui principi fondamentali, questi possono così elencarsi: • il principio democratico (art.1); • il principio personalista (art.2); • il principio pluralista (art. 2); Prima Parte - 33
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• il principio di eguaglianza (art.3); • il principio lavorista (artt. 1, 4, 35); • il principio autonomistico (artt. 5, 114) • il principio pluralista (art.6); • il principio di laicità (artt.7 e 8); • il principio internazionalista (art.10); • il principio pacifista (art.11). Le disposizioni sui principi fondamentali, o almeno quelle degli artt.1-5, secondo un orientamento dottrinale maggioritario che trova conferma nella giurisprudenza costituzionale (sent. n. 1146/1988, nonché, in via implicita, sent. n. 2/2004), sono sottratte alla possibilità di revisione costituzionale prevista all’art. 138 Cost.. La loro modifica o soppressione, infatti, stravolgerebbe l’identità stessa della Costituzione, in quanto metterebbe in discussione la forma di Stato democratico pluralista da essa prevista. Esaminiamoli, ripercorrendoli, uno per uno, a volo d’uccello:
Principio democratico Art. 1 Cost. – L’ Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Secondo il principio democratico, dunque, la governance, il potere politico trae principalmente la propria legittimazione dal consenso del popolo, che è titolare della sovranità, così come l’amministrazione giudiziaria, che appartiene alla sovranità popolare, tant’è che le sentenze vengono precedute sempre dalla solenne formula “In nome del popolo Italiano”. Il popolo non viene, dunque, in considerazione come dato etnico o antropologico ma, piuttosto, come soggetto titolare di una sovranità giuridica, perno su cui ruota l’organizzazione politica dello Stato. In Italia vige un sistema di democrazia rappresentativa, poiché il popolo esercita il potere sovrano, innanzitutto, con l’elezione del Parlamento nazionale ed, altresì, con l’investitura degli organi rappresentativi delle autonomie territoriali (Regioni, Province/Città metropolitane, Comuni). Il carattere tendenzialmente rappresentativo del sistema italiano non esclude, tuttavia, la presenza di alcuni istituti di democrazia diretta. La Costituzione prevede, infatti, l’iniziativa legislativa popolare, come ad esempio il referendum, regolato dall’art. 75, che è uno strumento tipico di garanzia delle minoranze, con cui, a certe condizioni e seguendo determinate procedure, i cittadini possono deliberare sull’abrogazione di una legge o di un atto avente forza di legge. E’ evidente che senza tale congegno di garanzia si amplificherebbe a dismisura il potere della maggioranza a scapito delle minoranze e dei singoli che vedrebbero, pertanto, vanificato ogni loro diritto, generando quella che viene comunemente definita come la tirannide della maggioranza.
Principio personalista Art. 2 Cost. – La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Dalla lettura della norma noterete bene come si dia posto fondamentale alla persona umana della quale la nostra Costituzione ne riconosce il valore essenziale. Siamo assolutamente lontani dal concetto di persona che si ha nei sistemi c.d. totalitari 34 - Prima Parte
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che fondano la loro sopravvivenza su un rigido sistema capace di garantire repressione e consenso e dove, con la pretesa di dominare in modo totale la società, ogni libertà e dignità della persona vengono miseramente calpestate e sacrificate nell’interesse dello Stato e della Nazione. L’art.2 della Costituzione mette in moto un’autentica e consapevole rivoluzione copernicana rispetto al modello totalitario, in una visione antropologico-culturale del tutto diversa da quel modello, in cui la persona non è vista, giammai, in funzione della nazione, ma è lo Stato a servizio ed in funzione della persona, alla quale vengono riconosciuti diritti intoccabili. L’inviolabilità di tali diritti fa sì, dunque, che essi non possano essere scalfiti dalla Stato ma devono costituire il fine dell’azione dei pubblici poteri cui spetta il compito di garantirli e di proteggerli contro ogni aggressione pubblica o privata.
Principio pluralista L’art. 2 Cost. costituisce anche espressione del principio pluralista, poiché riconosce i diritti inviolabili non solo all’individuo considerato isolatamente, ma anche “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Dunque, una società pluralista che non si compone solo di una sommatoria di individui isolati, ma si articola in una molteplicità di formazioni intermedie (così chiamate, perché si frappongono fra l’individuo e lo Stato) all’interno delle quali gli individui organizzano la propria vita. I gruppi intermedi sono considerati con favore in molteplici disposizioni particolari della Costituzione: si pensi agli artt. 8 e 20 (confessioni e associazioni religiose), 18 (associazioni in generale), 29 (famiglia), 39 (associazioni sindacali), 49 (partiti politici). Il favor constitutionis verso tali corpi intermedi tra Stato e singoli individui, fa sì che sia loro riconosciuta un’ampia autonomia organizzativa di cui costituiscono espressione, ad esempio, la possibilità di riunirsi per esercitare in maniera più efficace i diritti attribuiti dalla Costituzione, la libertà di darsi un ordinamento interno e di esercitare autonomamente i poteri da esso previsti ecc.
Principio di eguaglianza Art. 3 Cost., I comma – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. In una virtuale gerarchia dei valori, posto preminente assume il principio di eguaglianza che al di là del riferimento testuale a tutti i cittadini (come, peraltro, avviene in gran parte delle costituzioni europee, quali, ad esempio, in quella spagnola, belga, austriaca ecc), deve ovviamente riferirsi, in una logica estensiva, ad ogni persona, così come, peraltro, riconosciuto dallo stesso art. 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, solennemente proclamata il 12 dicembre 2007, ove si prevede, infatti, che “tutte le persone sono eguali davanti alla legge”. Nel suo modello semplificato, il principio generale di eguaglianza comporta l’obbligo per il legislatore di emanare norme generali ed astratte che valgano per tutti indistintamente (“tutti sono uguali davanti alla legge”), realizzando, quindi, una pari soggezione sia dei privati che del potere pubblico ad una legge. La norma di legge deve, dunque, essere necessariamente astratta, cioè deve potersi applicare ad una molteplicità indefinita di casi, e generale, cioè deve riferirsi ad una pluralità indeterminata di soggetti. Ne consegue l’illegittimità delle norme speciali o eccezionali; di quelle norme, cioè, che pur Prima Parte - 35
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prevalendo, in linea di principio, su quelle generali (lex specialis derogat legi generali, secondo un noto brocardo latino che da prevalenza alla norma speciale) creano un’antinomia ingiustificata, illogica ed irrazionale. Esempio norma generale: tutti i cittadini hanno l’obbligo di pagare le imposte; Esempio norma speciale: i cittadini nati nel luogo Y non sono tenuti al pagamento delle imposte. Una tale norma (speciale) sarebbe sicuramente illegittima; la ratio derogandi è, infatti, del tutto irrazionale, tale da non giustificare il diverso trattamento normativo. Ove, però, tale irrazionalità non si verifichi, ove cioè in base ad un principio di ragionevolezza o di non arbitrarietà appaia evidente e giustificata la sottrazione di una determinata categoria di persone alla norma generale, la legge speciale dovrà, invece, ritenersi legittima in quanto fondata su situazioni di fatto che giustificano la disparità di trattamento da parte del legislatore, rendendola, quindi, tutt’altro che arbitraria, irrazionale, ed ingiustificata. Così per esempio, norma generale: tutti i cittadini hanno l’obbligo di pagare le imposte; norma speciale: i cittadini con un reddito annuo fino a 10.000 Euro non sono tenuti al pagamento delle imposte. La norma speciale, in tal caso, non può ritenersi illegittima poiché il giudizio di ragionevolezza rende giustificato e congruo l’elemento di differenziazione (nell’esempio riportato, un reddito annuo non elevato). In buona sostanza, nella seconda norma, il quid di speciale non appare totalmente dissonante dalla logica della eguaglianza-ragionevolezza, sì da renderla illegittima. Occorre notare bene che non sono solo le norme speciali o quelle personali a poter violare il principio di eguaglianza: egualmente contraria al principio può essere, infatti, una norma generale che stabilisca un trattamento irragionevolmente differenziato rispetto a quello di altra norma generale. Esempio, Norma A: chi ruba a un cittadino italiano è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Norma B (illegittima): chi ruba a uno straniero è punito con la multa da euro 150 a 2000. Appare evidente che anche in tale caso si verifichi un’arbitraria ed irragionevole discriminazione (anzi una vera aberratio legis) che inficia la legittimità della norma B. Nell’ultima parte dell’art. 3, I comma, sono contenute le specificazioni del principio di eguaglianza, è richiamato, infatti, testualmente il divieto per il legislatore di porre in essere “distinzioni per motivi di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Storicamente sesso, razza e quant’altro, costituiscono i principali motivi di discriminazione (si pensi alla disparità uomo-donna) o addirittura di persecuzione (nei confronti di minoranze politiche, razziali, linguistiche, religiose) da parte del potere politico. Il controllo di legittimità costituzionale di leggi che pongano in essere differenziazioni con riferimento a questi parametri deve essere particolarmente rigoroso. E su questo non può esservi, ovviamente, 36 - Prima Parte
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alcun margine di discussione. L’art. 3 Cost., dopo aver affermato il principio di eguaglianza dinanzi alla legge, al II comma sancisce, poi, che: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Per realizzare la piena e totale eguaglianza tra cittadini ed il pieno godimento delle libertà sancite dalla Costituzione, l’art.3 attribuisce ai poteri pubblici il compito di intervenire nell’economia e nella società per assicurare realmente pari opportunità per ognuno. Viene, dunque, previsto un moderno Stato sociale in cui gli interventi pubblici sono volti a garantire i diritti sociali, il cui riconoscimento è finalizzato a proteggere i soggetti socialmente più vulnerabili e ad elevarne le condizioni di vita. La Costituzione italiana, ispirata ai principi dello Stato sociale, sancisce alcuni importanti diritti sociali: • il diritto all’assistenza sanitaria, almeno per gli indigenti (art. 32); • il diritto all’istruzione (art. 34); • il diritto dei lavoratori alla giusta retribuzione, al riposo settimanale e alle ferie annuali (art. 36); • i diritti della donna lavoratrice e del lavoro minorile (art. 37); • la previdenza sociale (art. 38). Tra di essi possiamo anche comprendere il diritto al lavoro proclamato dall’art. 4 Cost., di cui ci occuperemo subito, parlando dell’altro principio fondamentale della nostra Costituzione che è il
Principio lavorista o lavoristico, che dir si voglia. Vi dico subito che la parola “lavoro” ricorre diciannove volte nel testo della nostra Costituzione e nove volte ricorrono le parole “lavoratori, lavoratore, lavoratrice”, a riprova dell’enorme significato attribuito dalla Carta Costituzionale a tali termini. Leggiamo gli articoli di riferimento: Art. 1 Cost., I comma– L’ Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Art. 4 Cost., I comma– La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Art. 35 Cost., I comma– La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Il lavoro è, dunque, considerato dalla Costituzione come fondamentale strumento di realizzazione della personalità umana. Il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost. rappresenta il primo diritto sociale. Non costituisce, però, un diritto immediatamente azionabile, ma, così come gran parte degli altri diritti sociali, è visto dalla Costituzione come un obbiettivo da raggiungere attraverso l’intervento dello Stato nell’economia (si pensi alle c.d. politiche occupazionali, dirette a favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro). Art. 4 Cost., II comma – Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Vedete bene, nella Costituzione italiana, che è d’ispirazione solidaristica, il lavoro non è concepito solo come diritto del singolo, ma anche come dovere di partecipare e contribuire al progresso sociale. Il lavoro non è solo un diritto ma anche un dovere. Si dubita, però, che il dovere del lavoro costituisca un obbligo giuridico coercibile, che, cioè, Prima Parte - 37
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si può costringere taluno a fare. È certamente da escludere che l’art. 4, II comma, Cost. renda legittimo il lavoro coatto, vale a dire imposto con la forza, che è invece tristemente conosciuto nei regimi autoritari e che si pone in contrasto con le disposizioni costituzionali a tutela della libertà personale (art. 13 Cost.). Per tali motivi, secondo parte della dottrina, il dovere di lavorare si ridurrebbe ad un mero vincolo morale. Nessuno impone di lavorare, ma lavorare è, e resta, un obbligo morale.
Principio autonomistico Art. 5 Cost. – La Repubblica, una e indivisibile, promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze della autonomia e del decentramento. Art. 114 Cost., I comma – La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Il principio autonomistico comporta il riconoscimento e la garanzia delle Regioni e degli altri enti territoriali minori (Comuni, Città metropolitane, Province). I poteri di governo non spettano solo allo Stato centrale, ma sono ripartiti fra questo e gli altri enti territoriali. La divisione del potere tra più livelli territoriali (c.d. divisione verticale: Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni) costituisce una garanzia delle libertà in maniera analoga alla divisione funzionale del potere centrale in legislativo, esecutivo e giudiziario (c.d. divisione orizzontale), risalente al Montesquieu. V’è da dire che gli enti territoriali, rappresentativi delle rispettive collettività, danno vita ad un modello di gestione della cosa pubblica più vicina e certamente più rispondente alle istanze dei cittadini rispetto al modello centralistico. Peraltro, come sancito dalla Corte cost. con la sentenza n. 106/2002, essi costituiscono espressione del principio di sovranità popolare e, in definitiva, del principio democratico. Con l’ampliamento delle funzioni legislative delle Regioni e delle funzioni amministrative di queste e degli enti minori, avvenuto con la riforma del Titolo V del 2001, il ruolo delle autonomie territoriali si è notevolmente valorizzato, ed ha trovato definitiva consacrazione il principio del pluralismo istituzionale, caratterizzato dal decentramento politico e territoriale dei poteri di governo. Il nuovo art. 114, I comma, Cost., che sintetizza il significato della riforma, fa comprendere che tra lo Stato e gli altri enti territoriali non vi è un rapporto di sovra-sottordinazione: Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni costituiscono la Repubblica in un rapporto di pari dignità, pur nella differenziazione funzionale tra ciascuno di essi.
Principio pluralista e la tutela delle minoranze linguistiche Art. 6 Cort. – La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. Il principio in questione ha una particolare rilevanza con riferimento alle popolazioni delle Regioni a statuto speciale come la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, contraddistinte da una forte presenza di minoranze linguistiche. Sulla base dell’art. 6, gli Statuti regionali e la legislazione hanno introdotto diverse misure atte a promuovere e tutelare tali minoranze. Le più rilevanti sono: a) la parificazione tra la lingua italiana e gli idiomi delle minoranze come lingue ufficiali per il territorio della Regione; b) la possibilità di usufruire dell’insegnamento in lingua materna; c) il principio della proporzione etnica, onde i ruoli dei pubblici uffici sono suddivisi tra i 38 - Prima Parte
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gruppi linguistici in base alla consistenza dei gruppi stessi. Quest’ultimo aspetto rappresenta una deroga al principio costituzionale di eguaglianza nell’accesso ai pubblici uffici, che trova fondamento in una norma della Costituzione (l’art. 6, appunto) e si giustifica con l’opportunità di privilegiare i gruppi più deboli.
Principio di laicità - Rapporti Statoconfessioni religiose Art. 7 Cost. – Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. La modificazione dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono un procedimento di revisione costituzionale. Art. 8 Cost. – Tutte le confessioni religiose sono libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridicoitaliano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Partiamo da quest’ultimo articolo. L’art. 8 Cost. enuncia il principio della pari libertà delle confessioni religiose davanti alla legge e della loro autonomia rispetto allo Stato. L’art.8 è da porre in connessione con l’art. 19, che tutela la libertà religiosa sia in forma individuale che associata. Le prescrizioni dell’art. 8, che parlano di “confessioni religiose”, si concentrano in particolare sul momento associativo, garantendo l’autonomia organizzativa delle confessioni. Sotto questo profilo, l’articolo citato costituisce un richiamo del più generale principio pluralista espresso all’art. 2, di cui abbiamo già parlato. Rispetto agli enunciati dell’art. 8, il precedente art. 7 contiene delle disposizioni speciali con riferimento ai rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, che sono regolati dai Patti Lateranensi del 1929, anch’essi recepiti con legge (i Patti sono stati, successivamente, modificati dal Concordato del 1984). I Patti Lateranensi introducono una serie di privilegi per la Chiesa cattolica, fra cui: a) l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, cui peraltro non sono obbligati coloro che non intendono avvalersene (v. sul punto Corte cost., sent. 12 aprile 1989, n. 203); b) il riconoscimento degli effetti civili per i matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico.
Principio internazionalista Tale principio trova la sua consacrazione nell’art. 10. Art. 10 Cost., I comma – L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Secondo gran parte della dottrina e secondo la giurisprudenza costituzionale, il I comma dell’art. 10 Cost. contiene un principio implicante l’adattamento automatico del diritto italiano alle norme consuetudinarie (caratterizzate dai due elementi della repetitio facti e dell’opinio Prima Parte - 39
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iuris: vale a dire la ripetizione del comportamento e la convinzione che tale comportamento sia una regola di diritto). Le consuetudini internazionali, che come tali appartengono all’ordinamento internazionale e non al diritto interno, vengono immesse nell’ordinamento italiano attraverso il richiamo dell’art. 10. Questa disposizione non riguarda il recepimento dei trattati internazionali, per il quale l’art. 80 Cost. prevede un’apposita disciplina. Art. 10 Cost., commi II-IV – La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità con le norme e i trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici. L’Italia ha aderito a trattati internazionali che, come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, proteggono i diritti fondamentali della persona umana in quanto tale, a prescindere dalla sua nazionalità. È necessario ricordare che speciali diritti sono riconosciuti ai cittadini stranieri comunitari. Infatti, il Trattato sulla Comunità europea garantisce loro il diritto di circolare, lavorare e stabilirsi in tutti gli Stati membri dell’Unione. Sul piano dei diritti politici, il Trattato di Maastricht ha istituito una “cittadinanza dell’Unione”, riconosciuta a tutti i cittadini degli Stati membri e che consente, fra l’altro, di votare ed essere eletti alle elezioni comunali e a quelle per il Parlamento europeo ai cittadini residenti in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza. Ultimo principio da esaminare è il c.d.
Principio pacifista Art. 11 Cost. – L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia delle Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. La previsione costituzionale di un ripudio verso la guerra ha aperto grandi dibattiti politici sulle operazioni di peacekeeping; ci riferiamo alle le c.d. missioni di pace effettuate nel mondo che hanno visto e vedono coinvolte la nostra nazione. Il discorso ci porterebbe molto lontano, ci limiteremo, pertanto, a sottolineare, senza eccessiva enfasi, la seconda parte dell’articolo dove si dice che l’Italia, in condizioni paritarie, accetta una limitazione della propria sovranità. La norma consente, dunque, di ospitare sul proprio territorio forze armate straniere; si pensi alle basi NATO, acronimo di North Atlantic Treaty Organization, un’organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa, oggi composta da 28 Stati membri, di cui 21 europei. Il mio intervento finirebbe qua. Prima di lasciarvi è, tuttavia, mia intenzione suggerirvi alcuni spunti di riflessione che affiderò alla vostra attenzione, senza con ciò avere la pretesa che li facciate propri. Essi costituiscono espressione del rapporto di amore con le mie figlie e delle loro confidenze sui loro disagi che, poiché giovanili, sono eguali ai vostri. Malesseri su cui tutti dovremmo attentamente riflettere, partendo proprio dalla nostra Costituzione, poiché nella tempesta di positività che accompagnò la scrittura della costituzione irrompe, oggi, una realtà, ahimè, ben diversa dalle parole che vedremmo scritte se leggessimo, uno dietro l’altro, tutti i 139 articoli 40 - Prima Parte
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di cui è composta. Quali doveri si è presa la nostra Repubblica nei confronti del cittadino? Quanto il potere ha assolto, responsabilmente, i propri compiti nel corso degli anni? E oggi, nel 2012, noi cittadini ci troviamo di nuovo con le mani legate. Il lavoro non può più nobilitarci, perché la maggior parte del popolo svolge mestieri e professioni non gradite a lui, atte solo a portare la famiglia in uno stato medio-sufficiente fino a fine mese. Di conseguenza, senza passione, senza poter coltivare e assecondare l’essere di ognuno di noi, si è arrivati ad una robotizzazione dell’intelletto umano con spiacevole, quanto inevitabile, inaridimento dell’animo. La religione, è lontana anni luce dalla fede. La dottrina e i dogmi hanno sotterrato l’essenza della spiritualità e con essa anche la preghiera sembra un canto intonato da voci uguali e afone dalle quali nessuno spirito d’amore e solidarietà s’innalza. Insieme potere temporale e spirituale si sono resi indipendenti, ma non l’uno con l’altro, non loro con il popolo, che democraticamente sarebbe dovuto essere sovrano. L’Italia è in conformità con l’ordinamento giuridico internazionale ma continua per la maggior parte del tempo a ruotare su se stessa, rimanendo chiusa nei suoi limiti, non solo territoriali. All’art. 11 viene affermato di ripudiare la guerra in quanto offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie. Ebbene perché la stessa Italia non riesce ad attuare questo principio anche al suo interno? Perché, se non ce ne siamo resi conto, la guerra è tra di noi, è civile, e sta colpendo tutti noi cittadini. E guerra di mafia e guerra tra nord e sud, tra stato e contribuente, tra alunni e insegnanti, tra genitori e figli. Imparando ad aiutare il proprio popolo, s’inizierà ad essere da esempio anche all’infuori dei propri confini, solo allora potremo avvalerci di questo principio, di chiamarlo tale, perché solo allora ne capiremo il vero significato. Forse quando fu scritta la Costituzione quel tricolore: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali, poteva significare la proiezione delle uguali ideologie e degli eguali obiettivi che l’Italia in primis, insieme all’intero continente, si stava prefissando. Cari ragazzi, Voi che, oggi, vi sentite offesi nelle vostre capacità, voi giovani messi quotidianamente alle strette da un conflitto sempre più marcato, da contrapposizioni di ogni genere ed in ogni luogo, che sradicano ogni vostra convinzione, voi che dovrete lottare più di chiunque per avere un futuro migliore del vostro presente, leggete, leggete e leggete ancora. Informatevi prima di parlare, ascoltate prima di giudicare, comprendete prima di offendere. E non smettete di dar voce alla vostra insofferenza, perché così potrete scrivere una nuova Costituzione, non diversa da quella che possedete oggi, ma una versione contestualizzata all’attuale momento storico. Non buttate giù i principi ed i valori che la Costituzione porta con sé a causa della rabbia che accumulerete negli anni, ma costruite una base più solida, un palco dove reciterete la vostra storia, un palco dove racconterete chi eravate, chi vorreste essere e come vorreste diventarlo. Combattete sempre per i vostri diritti, amate e portate avanti a testa alta i vostri doveri, limitando gli abusi di potere e legalizzando la diffusione della nostra cultura e delle nostre, delle vostre, radici. Chiedete a tutti, sempre, (ricordatelo) una parità di trattamento, scrivete i nuovi capitoli della storia leggendo i precedenti, sfogliando la prossima pagina in bianco, per scrivere un nuovo ’48. Leggete la nostra Costituzione perché leggendola apprenderete la volontà di chi ha vissuto anni di dissoluzione e disgregazione e capirete che nulla è perduto. Prima Parte - 41
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Non dimenticate mai che la fame, la guerra, l’assenza di comunicazione, non ci hanno diviso, anzi hanno lanciato a corsa libera il cavallo sbrigliato della Repubblica. Diveniamo fanti dei nostri cavalli, perché ognuno dentro di sé ha un pezzo di Repubblica, è un pezzo della Repubblica. Non abbattiamola la nostra Costituzione, capiamola, miglioriamola, partendo da noi stessi, e, prendendo in prestito le parole del Calamandrei, ricordate, sempre, che “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”. Romano Gentile
I contenuti della presente relazione, traggono linfa, in buona misura, da alcuni siti internet, quali: www.74zero25.it; www.wikipedia. it e spunto da: Alfonso Celotto, Controllo di eguaglianza sulle leggi in Italia; Andrea Morrone, Corte Costituzionale e principio generale di ragionevolezza, in www.giuriunibo.it; G.Lopez, Convegno su scuola e Costituzione: la formazione del cittadino, in www. proteofaresapere.it.
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I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE ED IL PRINCIPIO DI LEGALITA’ Buongiorno cari ragazzi. Un saluto affettuoso ai vostri insegnanti ed ai rappresentanti UNICEF. Sono particolarmente lieto di parlare oggi con voi di un argomento molto importante: la nostra Costituzione, i suoi “principi fondamentali” e il cd “principio di legalità”. La mia non vuole essere una lezione (tutti i giorni ne avete tante e non vi meritate di averne un’altra!) ma una chiacchierata senza formalità dove io vi do qualche nozione generale e vi propongo alcuni spunti di riflessione; voi (se volete) mi fate alcune domande ed insieme cerchiamo di approfondire alcuni argomenti che eventualmente abbiano suscitato in voi un particolare interesse. Nota di metodo: 1) cercherò di essere breve, per me la vostra attenzione è un bene prezioso, e non va disperso; 2) cercherò di essere chiaro e diretto ... Cominciamo! La Costituzione (di cui tutti parlano, qualcuno con cognizione di causa altri un po’ meno) è la Legge fondamentale dello Stato. Fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e fu promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947. Entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Una curiosità! Della Carta Costituzionale esistono 3 originali, custoditi presso l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica, presso l’Archivio Centrale dello Stato e presso l’Archivio storico della Camera dei Deputati. Oggi, in questa prima parte dell’incontro, ci occupiamo dei PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE (che sono descritti nei primi 12 articoli e nella Parte prima relativa ai “Diritti e Doveri dei cittadini”): possiamo subito dire che tutto l’ordinamento costituzionale deve fondarsi e uniformarsi a questi principi; se ciò non avvenisse, se non fossero rigorosamente osservati e fatti oggetto di specifica tutela avremmo un altro ordinamento, diverso da quello per cui si è tanto combattuto. Possiamo anche dire che tutti i pubblici poteri devono organizzare la propria attività per tutelarli ed attuarli. Non è mia intenzione leggere gli articoli uno ad uno né commentarli minuziosamente con giurisprudenza e dottrina. Vi annoiereste di sicuro!!!! Voglio invece proporvi solo alcune “parole chiave” e alcuni concetti che i Padri Costituenti hanno ritenuto di primaria importanza nell’idea di Ordinamento o di Stato che avevano in mente. Verifichiamo poi insieme se questi principi fondamentali sono stati tutti attuati, in che misura sono stati attuati, che cosa manca o che cosa si può fare per attuarli del tutto. Allora iniziamo ed io Vi indico subito alcune di quelle che ho appena chiamato “parole chiave”. 1) Democrazia: la sovranità (è cioè per intenderei il potere) appartiene al popolo cioè a tutti noi e dobbiamo esercitarla non secondo regole o idee individuali ma secondo le regole e le modalità che troviamo già enunciate nella Costituzione stessa: se così non fosse, e lo capite benissimo, non ci sarebbe democrazia ma caos (dice infatti l’ art. 1 “La Prima Parte - 43
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sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione). 2) Lavoro: non a caso il lavoro (oggi sempre più difficile da trovare) per sua stessa intrinseca valenza “etica” è posto a fondamento della nostra Repubblica: sempre nell’art. 1 è detto: “L’Italia è una Repubblica fondata su lavoro”): il lavoro come tutti sappiamo è un bene primario (direi “vitale”): senza di esso è impensabile una società civile; è un diritto di ognuno di noi ma (fate bene attenzione!) è anche un dovere di ognuno di noi perché tutti dobbiamo concorrere, secondo le nostre capacità, al progresso materiale o spirituale della Società; lo Stato non ha l’obbligo (come pure qualche autorevole studioso, in passato, ha pure sostenuto) di trovare un lavoro a tutti (sarebbe bello ma impossibile come diceva una nota canzone di qualche anno fa)!!! ma la Stato, dopo aver riconosciuto in via di principio a tutti il diritto al lavoro ha però un preciso compito che è quello di promuovere le condizioni e de eliminare ogni ostacolo per rendere “effettiva” la concreta realizzazione di questo basilare diritto/dovere. Su questo punto sarebbe interessante sentire la vostra opinione e, da vecchio giuslavorista, vi proporrei qualche mia riflessione. 3) Diritti inviolabili: tali diritti sono protetti ad ampio spettro e (nonostante qualcuno abbia in passato sostenuto il contrario) non sono solo quelli indicati nella Costituzione ma anche quelli che, nel corso del tempo (dal 1948) sono emersi nell’evoluzione economica, sociale e politica della comunità (basta leggersi qualche sentenza della Corte Costituzionale che vi fornirò a richiesta per rendersene subito conto): tanto per citarne alcuni, la libertà personale, il lavoro come abbiamo visto prima, l’inviolabilità del domicilio, la libertà di espressione (e cioè il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione ed in questo siete voi i maestri), il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, il diritto a difendersi e ad essere difesi in giudizio (come recita la Costituzione infatti “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” anche se qualcuno sembra talvolta dimenticarlo sull’onda dell’emotività, magari al cospetto di reati particolarmente gravi odiosi o ripugnanti); abbiamo detto di diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia, come dice la Carta Costituzionale, nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (e vengono qui in considerazione, tra gli altri, il diritto di associarsi, il diritto della famiglia, il diritto per i lavoratori di organizzarsi sindacalmente nei luoghi di lavoro, il diritto di voto, ecc ecc). Una notazione particolare dobbiamo riservarla al diritto alla salute. L’art.32 della Costituzione proclama solennemente che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto (non solo) dell’individuo (ma anche) della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Nello stesso articolo la Carta Fondamentale aggiunge che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge ... la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Su queste tematiche di stretta attualità sono a vostra completa disposizione per ogni chiarimento. Vorrei però, fin d’ora, aggiungere che il diritto alla salute si sostanzia anche nel diritto “sacrosanto” di vivere e di lavorare in ambienti sani e di nutrirsi in modo sano (cari ragazzi la Calabria ha ottimi prodotti, come voi ben sapete e come io sto imparando ad apprezzare con grande soddisfazione personale.....!) Come è ovvio nella Costituzione vi sono diritti ma anche doveri. Nel caso che stiamo esaminando tutti noi abbiamo il dovere di tutelare la nostra salute come bene d’inestimabile valore, per esempio (ed il mio è un accorato appello a voi ragazzi) non assumendo sostanze stupefacenti, non abusando di alcool, insomma abbiamo il dovere di condurre una vita più sana possibile. 44 - Prima Parte
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Naturalmente tutti questi diritti sono sì inviolabili ma la Costituzione e le leggi ne stabiliscono modalità di esercizio, regole, perché no limitazioni e possiamo dire, con espressione generale e “atecnica” per consentire a tutti di goderne appieno salvaguardando al tempo stesso le esigenze superiori di tutta la collettività. 4) Uguaglianza: cari amici il concetto di eguaglianza è veramente il cardine dei “principi fondamentali”, la scelta fondamentale dei Padri Costituenti, il sale della nostra democrazia. L’art. 3 va solo letto perché è chiaro e non ammette discussioni di sorta: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (non devono esserci dunque cittadini di serie A e di serie B) e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Siamo sinceri! Quante volte nella nostra vita ci è capitato, magari involontariamente, di dimenticarci di questo concetto fondamentale, quante volte abbiamo operato, magari per preconcetti duri a morire, piccole e grandi discriminazioni tra persone che la pensano diversamente da noi, che parlano una lingua diversa, che professano una fede diversa dalla nostra, che hanno la pelle di un colore diverso dal nostro o provengono da paesi con usanze, tradizioni e cultura differenti dalla nostra? Ciò, in una società come la nostra, che talvolta con autoreferenzialità, si autodefinisce “evoluta” non deve accadere, in tutti i campi, non solo perché è contrario alla legge ma perché è profondamente stupido ed è sinonimo di grettezza d’animo e mancanza di conoscenza delle più elementari regole di buon senso e di civile convivenza. Ci sono tra di voi molte giovani donne. Ho avuto la fortuna di aver diretto per anni il Dipartimento per le Pari Opportunità (presso la Presidenza del Consiglio). Sapete cosa ho scoperto? Che le donne, bisogna ammetterlo, spesso più brave e preparate degli uomini, erano discriminate sui luoghi di lavoro in vari modi e tante volte non riuscivano a raggiungere o raggiungevano tardi, per esempio, ruoli apicali nel privato e nel pubblico. Piano piano le cose stanno cambiando ma quanto c’è voluto!!! Voi dovete essere sempre nella vostra vita i testimonial del principio di eguaglianza (come lo abbiamo descritto) magari spiegando a quelli che non lo capiscono o non lo vogliono capire quanto siano scioccamente in errore. Anche qui la Costituzione non si limita a proclamare il concetto ma va oltre affermando che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i lavoratori (vedete ancora un richiamo forte al concetto di “lavoro”) all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Ragazzi il monito al Legislatore mi sembra chiarissimo e non credo, quindi, che necessiti di commento alcuno.
PRINCIPIO DI LEGALITA’ Cari amici nel breve tempo che abbiamo ancora a disposizione mi soffermerò solo su alcuni concetti generali: Legalità Amministrativa è il principio che stabilisce che la Pubblica Amministrazione trova nella legge i fini della propria azione e i poteri giuridici che può esercitare e (correlativamente) non può esercitare alcun potere al di fuori di quelli che la legge le attribuisce. La Costituzione accoglie tale principio in varie disposizioni: 1) all’art. 23 ove è stabilito che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere Prima Parte - 45
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imposta se non in base alla legge”; 2) all’art.42 comma 3 ove è stabilito che “la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”; 3) all’art. 97 ove è stabilito che i “pubblici uffici sono organizzati secondo le disposizioni di legge, in modo che siano assicurati buon andamento e imparzialità dell’ amministrazione”. Quindi possiamo dire che la Pubblica Amministrazione si trova in una posizione di privilegio in quanto preposta alla soddisfazione dei bisogni pubblici e solo quelli stabiliti dal Legislatore; quindi, al di fuori dei casi previsti dalla legge, l’attività della pubblica amministrazione non può godere di posizioni di privilegio di potere o di favore. Legalità Penale. I principi fondamentali si rinvengono nel Codice Penale (art. 1) e nella norma costituzionale di cui all’art.25. In estrema sintesi 1) nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite (nullum crimen, nulla poena sine lege) 2) nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge 3) nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso 4) nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. La parola “legalità” e la vostra presenza mi induce a qualche ultima riflessione. Voi vivete in una città calabrese molto importante, con mille potenzialità, una città di cultura e di ingegno, abitata da tantissime persone perbene, gentili, laboriose che hanno combattuto di recente (cosa rarissima credetemi) per la salvezza del loro Tribunale. Eppure l’immagine altamente positiva di Lamezia (che amo, anche per questo, sempre di più) talvolta è, per così dire, deformata sia, pur solo parzialmente, da alcune azioni illegali di poche persone che hanno deciso di vivere nel mal affare, nella sopraffazione, nella violenza più rozza. Insomma al di fuori di tutto ciò di cui oggi abbiamo parlato e parleremo nei prossimi incontri. Ragazzi non credo che possiamo tollerare questa stupida ingiustizia... voi siete il futuro ed il futuro vi appartiene e deve essere un futuro, magari con qualche difficoltà, assolutamente radioso e sereno. Quindi dividiamoci i compiti. Voi seguite questi incontri mirabilmente organizzati dalla prestigiosa UNICEF e dalle vostre eccellenti Istituzioni scolastiche (e gli altri incontri che sto già organizzando con la mia consueta caparbietà da vera testa dura con gli amici rappresentanti delle Forze dell’Ordine che sono tutti dalla parte dei cittadini, ricordatelo sempre) e non solo raccontate a tutti quello che avete ascoltato ma agite senza paura come veri e propri “ambasciatori della legalità” titolo che oggi affettuosamente vi attribuisco solennemente. Io che sono il Presidente del (badate) Vostro Tribunale (con l’aiuto prezioso dei miei cari e bravissimi colleghi e dei prestigiosi avvocati lametini) mi impegnerò al massimo per facilitare il vostro compito e vedrete che ce la faremo. Da uomo di Stato sarò sempre dalla Vostra parte. Venite a trovarmi e aggiornatemi sui Vostri successi. Ragazzi grazie di cuore per l’attenzione che avete voluto regalarmi ed un abbraccio grande ma veramente grande. Bruno Brattoli
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IL PRINCÎPIO DI SOLIDARIETÀ NELLA COSTITUZIONE ITALIANA Senso e dimensioni della solidarietà. Il valore della solidarietà consiste nel “sentimento di fratellanza, di vicendevole aiuto, materiale e morale, esistente fra i membri di una società, di una collettività”1. Tale sentimento si esprime, generalmente, in modo spontaneo nei confronti di un fratello, di un familiare, di colui a cui siamo legati da un vincolo di sangue o di stirpe, ma può essere parimenti nutrito verso un estraneo, se riconosciamo che tra noi c’è un vincolo di umanità che ci unisce nel bene. La solidarietà presuppone, evidentemente, l’esistenza di almeno due persone. Essa è dunque un concetto relazionale sul versante opposto della chiusura e della solitudine. Non si può, infatti, essere solidali con se stessi, perché non avrebbe senso. La solidarietà si esprime nell’offrire vicendevole aiuto. Ciascuno, infatti, in ragione delle proprie condizioni e possibilità, si dispone all’altro, manifestando la propria vicinanza. La presenza anche silenziosa di chi si rende partecipe delle circostanze che tramano il tessuto della nostra esistenza, è anch’essa una semplicissima forma di solidarietà, soprattutto nei momenti in cui le parole servirebbero a poco. Senza la solidarietà, la vita personale e collettiva sono condannate a morte e la convivenza si riduce ad una coabitazione forzata in cui sono imperanti la solitudine, l’indifferenza, le tensioni e le prevaricazioni che alla fine prendono il sopravvento sulla socialità e sulla fraternità2. Che tipo di aiuto si offre quando si è solidali? Si è detto trattarsi di aiuto materiale e morale. Il primo consiste non soltanto in un dare, nell’offrire cioè beni materiali quali, per fare un esempio, vitto, alloggio, vestiario, denaro, ma anche in un fare, ovvero nel collaborare a realizzare praticamente ciò di cui l’altro ha bisogno. Vengono allora in considerazione tutte le forme di aiuto agli anziani, agli ammalati, ai minori in ambienti familiari disagiati, agli stranieri. L’aiuto morale, consiste, invece, nel sostenere emotivamente e psicologicamente l’altro nei momenti difficili, facendogli sentire che si è interessati alla sua sorte e che opereremo insieme per realizzare il suo bene. Cerchiamo adesso di cogliere, ancora più da vicino, il significato della solidarietà nella nostra vita quotidiana. Cosa può essere per noi la solidarietà? Prima di costituire un princîpio costituzionale di rilevanza fondamentale3 (art. 2 Cost.) essa dovrebbe essere un precetto di vita quotidiana. Per coglierne il senso pratico possiamo ricorrere alla nota parabola del buon samaritano narrata dal Vangelo di Luca al capitolo 10:25-374. Per rispondere alla domanda di un dottore della legge su come ottenere la vita eterna, Gesù racconta la storia di un uomo che si era imbattuto nei briganti i quali lo spogliarono e lo ferirono lasciandolo mezzo morto. Per caso si trovava per quella via un sacerdote che vedutolo passò oltre senza prestargli soccorso. Similmente fece un levita. Ma un samaritano, probabilmente un mercante in viaggio, passando accanto al ferito e constatandone la condizione di bisogno, ne ebbe compassione, curò le sue piaghe versandovi olio e vino e le fasciò, poi lo portò con sé sulla sua cavalcatura presso una locanda prendendosi cura di lui durante la sua permanenza. Prima di ripartire il mercante incaricò il locandiere di mettere a disposizione della vittima tutto quanto avesse bisogno, con l’impegno di coprire, al suo ritorno, ogni ulteriore spesa. 1 Dizionario della lingua italiana N. Zingarelli, edizione Zanichelli, voce Solidarietà. 2 L. Baronio, La solidarietà: un valore discusso, in M. Cacciari, C. M. Martini, Dialogo sulla solidarietà, Edizioni lavoro, Roma 1997, p. VII. 3 I primi dodici articoli della Costituzione sono, infatti, definiti princîpi fondamentali. 4 C. M. Martini, Dialogo sulla solidarietà, cit., p. 7.
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Tra le righe della semplice narrazione evangelica c’è una ricchezza di significato che merita di essere approfondita. Già la scelta dei protagonisti della vicenda è degna di attenzione. Secondo i Giudei, i Samaritani erano incapaci di atti di religione. C’era, infatti, da tempo un’aspra incomprensione tra Samaritani e Giudei circa la ritualità del culto divino5. I Giudei erano convinti di rispettare l’ortodossia praticando il culto a Gerusalemme, la città del gran Re6. I Samaritani adoravano Dio sul monte Garizim. Gesù, tramite la parabola, dimostra invece che il vero senso della pietà religiosa non consiste nella ritualità del culto o nell’appartenenza a categorie privilegiate di soggetti, quali quelle sacerdotali o levite. La pietà consiste piuttosto nel modo in cui trattiamo il prossimo, se ciò che accade all’altro non ci lascia indifferenti. Chi ama il suo simile - avrà modo di dire San Paolo - ha adempiuto la legge7. La vicenda narrata nella parabola si svolge sulla strada, quella che collega Gerusalemme, città santa, a Gerico, simbolo della città secolare che geograficamente si trova nella più profonda depressione terrestre, a circa 250 metri sotto il livello del mare. In senso metaforico essa designa la città dedita agli affari mondani, lontana dall’ortodossia della Città Santa. Su questa strada camminano gli uomini, simboli dell’una e dell’altra città; la percorrono il rapinato, il samaritano, il sacerdote e il levita. La strada è la realtà della vita comune dove tutti si ritrovano, ma è anche il luogo degli scontri, degli egoismi di gruppo, che giungono alla violenza, come quella dei rapinatori. È il luogo degli egoismi privati, o forse motivati da pretesti culturali, come quello del sacerdote e del levita; la strada stessa è il luogo della prossimità vissuta, quale quella del samaritano8. Perciò è nella vita quotidiana, nei rapporti che intratteniamo con gli altri ogni giorno, al di là delle ideologie e dei ruoli, che si pratica la solidarietà. Essa richiede di uscire dai ruoli, di dimenticare le convenienze, per accorgersi di essere semplicemente uomo, donna, esseri umani. Il samaritano si ferma non perché professi princîpi di solidarietà sociale o teorie sull’uguaglianza di tutti gli uomini, ma perché, dice la parabola, “passandogli accanto, lo vide e ne ebbe compassione”. Avvicinatosi cosa fece? Lo soccorse senza indugio e pensò ai bisogni della vittima anche nel lungo periodo. Il samaritano si spinse dunque oltre ciò che era sufficiente. Non soltanto aiutò la vittima nell’immediatezza dell’accaduto, ma pensò anche al suo futuro, evidente indice di un sincero interessamento. Egli non agì sotto l’impulso di un’emozione momentanea, né per compiere una buona azione con la speranza di ricevere in cambio da Dio altrettanta compassione, ma per una partecipazione disinteressata ed una sentita preoccupazione per la vita della vittima. Fu un darsi e un dare senza aspettarsi di ricevere cosa alcuna. La parabola si chiude con una domanda che spiazza l’interlocutore del Cristo. Il dottore della legge chiese inizialmente a Gesù: “Chi è il prossimo che devo amare con tutto me stesso per ottenere la vita eterna?”. Gesù rispose alla domanda al termine della parabola invertendo il quesito iniziale: “Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che si è imbattuto nei ladroni?”. E dunque, non domandò chi fosse il prossimo del sacerdote, del levita, del samaritano, ma chi fu il prossimo di colui che fu ferito. Questa inversione di prospettiva ha un significato profondo. Essa sta a significare che tutti siamo, senza volerlo, inevitabilmente il prossimo per qualcuno. 5 Evangelo di Giovanni 4. 6 Salmo 48:2. 7 Lettera ai Romani 12:8. Vi è, inoltre, una vecchia leggenda ebraica raccontata da Martin Buber, secondo cui dinanzi alle porte di Roma sta seduto un mendicante lebbroso in attesa di qualcuno. Chi è il mendicante? E’ il Messia. Chi sta aspettando? Te. Cfr. M. Buber, Discorsi sull’ebraismo, Gribaudi, Torino 2000. 8 C. M. Martini, Dialogo sulla solidarietà, cit., p. 7.
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Non posso pormi, infatti, in un atteggiamento di chiusura, pretendendo di poter scegliere chi è il mio prossimo, come fecero il sacerdote ed il levita che rifiutarono di elaborare i dati dell’esperienza visiva che bussavano alla loro mente quale richiesta di soccorso. La prospettiva è invece quella inversa; io sono già, senza volerlo il prossimo per qualcuno. E dunque il problema non è capire chi è il mio prossimo, quanto riconoscere che io sono il prossimo. Ciò presuppone evidentemente l’essere disposti a compiere una scelta che ci porta da una prossimità meramente fisica ed infruttuosa verso una prossimità vissuta e proficua. Il problema del dottore della legge era quello di delimitare, circoscrivere il numero delle persone incluse nel concetto di “prossimo” che era suo dovere amare secondo quanto prescritto dalla legge. Gesù, invece, rende l’identità del prossimo così evidente da spiazzare l’interlocutore. Il samaritano ebbe compassione della vittima, cioè vedendola soffrì con essa. Quest’uomo sentì fremere dentro di sé quel senso di partecipazione, di esigenza di prendersi cura dell’altro in stato di bisogno, che è in ciascuno di noi. Questa esigenza è tanto più loquace quando non è messa a tacere da infrastrutture che definiscono i confini della diversità, reclamano esigenze di difesa e favoriscono la genesi di pericolosi pretesti. La solidarietà fa appello alle forze più profonde, più native ed ancora indifferenziate che sono dentro di noi, che sono capaci di superare i limiti storici, culturali, razziali, religiosi, per avvicinare le persone nella comune identità di essere umani.
La solidarietà nella Costituzione italiana. La nostra Costituzione ha una spiccata vocazione personalistica, solidaristica e democratica. Tutte e tre le dimensioni sono concepite quali pilastri dell’ordinamento giuridico che si è venuto a creare dopo il disastro della seconda guerra mondiale che ridusse materialmente e spiritualmente in ginocchio il nostro Paese. Negli articoli della nostra Costituzione possiamo cogliere, diceva Calamandrei, una polemica, ovvero una netta opposizione rispetto al regime antecedente, un rifiuto totale e irreversibile di quel sistema definitivamente caduto. L’art. 2 recita testualmente: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. La visione personalistica si fonda sul superamento dell’immagine dell’uomo astratto o cosmico, per affermare la dimensione sociale della sua personalità. L’individuo non è semplicemente soggetto, ma uomo o donna, lavoratore, disoccupato, anziano, malato, minore. Essere donna comporta una situazione soggettiva diversa rispetto a quella dell’uomo e lo è ancora di più se si tratta di donna lavoratrice e madre. L’anziano ha esigenze diverse rispetto all’adulto e al minore. I bisogni del lavoratore sono differenti dalle rivendicazioni del disoccupato. Il malato ha bisogno di una considerazione particolare a seconda del tipo e del livello di malattia. I minori esigono una protezione speciale legata alla condizione fisica e psicologica delicata ed ancora immatura. L’ordinamento giuridico adotta questa prospettiva perché si interessa della persona umana in tutti gli aspetti rilevanti della sua esistenza. La solidarietà è stata oggetto di un lento processo di positivizzazione al termine del quale essa è transitata dalla sfera etico-religiosa a quella politica e giuridica9. La solidarietà costituzionale si radica nell’idea che i bisogni e le necessità del prossimo non possono essere concepite come estranei, ma riguardano tutta la comunità. Essa deve 9 F. Giuffré, I doveri di solidarietà sociale, in R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso, J. Luther, I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, Torino 2007, p. 4.
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operare affinché aiuto materiale e morale sia offerto a chi abbia maggiormente bisogno. Già la collocazione della solidarietà al secondo posto tra i princîpi fondamentali della Carta italiana, quelli che garantiscono diritti e doveri che neppure una legge costituzionale potrebbe annullare, perché quei diritti sono inviolabili e quei doveri sono inderogabili, è certamente significativa. Come lo è la specificazione che la solidarietà è contestualmente un diritto da pretendere e un dovere, inderogabile da adempiere. L’idea alla base è simile a quella della Costituzione francese del 1795 in cui si chiedeva il “concorso di tutti per assicurare i diritti di ciascuno”. Nel disegno costituzionale diritti e doveri non assumono, pertanto, un differente rilievo, bensì un ruolo complementare e dunque non ha senso chiedersi se siano prioritari i diritti o piuttosto i doveri. La Costituzione afferma il primato e l’indipendenza originaria della persona umana cioè, la priorità di valore rispetto allo Stato come ad ogni altra autorità o struttura sociale, la sua inviolabile dignità, che si esprime nei diritti inviolabili da ogni potere statale. Per altro verso, la stessa Carta impone l’adempimento di doveri che in forza dell’espressa vocazione solidaristica, rivolge al soddisfacimento di esigenze che fanno capo agli stessi membri della collettività che sono gli altrettanti titolari dei diritti10. Adempiere quei doveri è compito che spetta a tutti: alle istituzioni dello Stato deputate a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, ma anche ai singoli individui in relazione alle loro possibilità. Dall’inadempimento di quest’obbligo, ciò che riguarda il prossimo viene concepito come un peso di cui non si è disposti a farsi carico. Da questa radice maturano i frutti velenosi dell’intolleranza soprattutto verso i poveri, gli immigrati, gli anziani, gli appartenenti a minoranze di vario genere. In questo modo cresce la divaricazione e la separazione su più livelli e si assiste al trionfo del “particolare sul generale, della fazione sulla nazione, della litigiosità e della conflittualità sulla composizione e la pace sociale. Da qui ha origine l’estrema debolezza della società di oggi”11. Il principio di solidarietà va interpretato tenendo presente che il nostro ordinamento giuridico prevede tra i suoi valori fondamentali quello della dignità umana, attraverso la formula della pari dignità sociale di cui all’art. 3 della Costituzione. Ciò significa che non esistono più, come in passato, distinzioni in base al titolo nobiliare o all’appartenenza ad una classe sociale, ma l’unico titolo di dignità in una repubblica fondata sul lavoro, si ottiene svolgendo un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Ogni persona umana è portatrice di un valore assoluto, inviolabile e che a prescindere dalle sue condizioni personali, sociali, economiche essa è meritevole di considerazione e rispetto. La dignità esprime parità ontologica con il prossimo. Ciò significa che nessuno può denegare dignità e valore all’altro senza denegarli a se stesso12. 10 Op. cit., p. 24. ���������������� L. Baronio, La solidarietà: un valore discusso, in M. Cacciari, C. M. Martini, Dialogo sulla solidarietà, cit., pp. XI-XII. ���������������� F. Giuffré, I doveri di solidarietà sociale, in R. Balduzzi, M. Cavino, E. Grosso, J. Luther, I doveri costituzionali: la prospettiva del giudice delle leggi, p. 27.
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L’art. 2 parla dei doveri inderogabili, cioè obbligatori, tassativi, irrevocabili di solidarietà politica, economica e sociale. Proviamo a coglierne il significato dal punto di vista fattuale, facendo alcuni esempi. Tra i doveri di solidarietà politica rientra certamente quello di difendere la Patria di cui all’art. 52 della Costituzione, attraverso la resistenza individuale o collettiva contro forze militari straniere che abbiano occupato il territorio italiano o parte di esso. In passato la difesa della patria veniva perseguita attraverso il servizio militare obbligatorio che, introdotto con Napoleone e confermato con l’Unità del Paese, rimase in vigore per i successivi 144 anni. La leva era obbligatoria per tutti gli uomini di nazionalità italiana, maggiori d’età e dichiarati idonei per accertamento medico. Con la legge n. 772 del 1972 fu introdotto, in ossequio al diritto di obiezione di coscienza, il servizio civile in alternativa al servizio militare. Fu allora sollevata la questione di illegittimità costituzionale della legge in contrasto con l’art. 52 della Costituzione, ma la Corte costituzionale rigettò la questione introducendo una differenza fondamentale tra difesa armata e difesa non armata. Secondo la pronuncia della Corte, infatti, il dovere di difendere la Patria di cui all’art. 52, è molto più ampio rispetto all’obbligo del servizio militare poiché coinvolge, infatti, tutti i cittadini e non solo gli uomini maggiorenni dichiarati idonei alla leva. Di conseguenza tale dovere può essere adempiuto anche attraverso comportamenti di impegno sociale non armato. Dal primo gennaio 2005, con la “legge Martino” l’obbligo del servizio militare è stato abolito e l’arruolamento è su base volontaria e professionale. Recarsi, inoltre, alle urne ad esprimere il proprio voto è un dovere di solidarietà politica. L’art. 48 recita, infatti, che «Il voto è personale ed uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico». Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne che abbiano raggiunto la maggiore età. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale previsti dalla legge (art. 48 IV Cost.). L’inadempimento del dovere civico del voto rappresenta una delle maggiori minacce per la democrazia contemporanea perché la volontà popolare non può essere veramente rappresentativa se il quorum di validità delle consultazioni elettorali raggiunge appena la soglia della sufficienza percentuale. Su tale questione si possono rammentare le parole di Pietro Calamandrei nel bellissimo discorso sulla Costituzione agli studenti milanesi nel 1955. La Costituzione è un pezzo di carta, se non la tocchiamo non si muove. Essa ha pertanto bisogno dell’impegno politico di ciascuno. Politico nel senso dell’interesse per la cosa pubblica. Non significa solamente candidarsi alle elezioni, ma domandarsi sempre cosa succede nel proprio Paese, interpretare, direbbero i tedeschi, lo Spirito del tempo per essere capaci di fare delle previsioni che, se negative, devono stimolare all’azione positiva nel presente. Pensare che la politica sia un affare di coloro che di essa ne fanno una professione è rischiosissimo poiché si finisce con l’essere privi degli strumenti per discernere i buoni e i cattivi argomenti e non si è in grado di cogliere la semplice demagogia dietro l’uso magniloquente delle parole propositive di programmi di partito. Per esprimere vivacemente il senso di tale discorso Calamandrei racconta la storia di due emigranti, due contadini, che attraversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno dei contadini dormiva nella stiva e l’altro sul ponte. Quest’ultimo si accorse che c’era una grande burrasca e che le onde erano altissime ed il piroscafo pertanto oscillava. Il contadino impaurito corse a domandare ad un marinaio circa la gravità della tempesta. Il marinaio non gli diede alcuna speranza. Con quel mare talmente agitato il bastimento sarebbe affondato in mezz’ora. Il contadino allora corse nella stiva per svegliare il compagno gridando: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora Prima Parte - 51
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affonda!”. L’altro rispose: “Che me ne importa, non è mica mio!”. L’idea dunque che la politica riguardi pochi specialisti ha la stessa lungimiranza del passeggero della nave che preferisce tornare nella stiva, probabilmente a dormire. La Costituzione è dunque, dice Calamandrei, “l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento”. L’art. 54 prevede poi, per tutti i cittadini, il dovere di «essere fedeli alla Repubblica e osservare la Costituzione e le leggi». Uno Stato minacciato dall’infedeltà dei suoi membri che ne attentino l’unità, la sovranità e l’indipendenza o diffusamente disconoscano l’ordinamento giuridico, incitando alla rivolta, non ha speranza di sopravvivere. Per quanto riguarda la solidarietà economica essa si realizza attraverso il dovere di pagare le tasse per contribuire alle spese pubbliche, affinché lo Stato possa offrire i servizi pubblici ai più bisognosi. Con questi mezzi è possibile ridurre le differenze economiche, favorire l’investimento ed il risparmio e combattere l’inflazione. L’art. 53 della Costituzione afferma che “Tutti hanno il dovere di concorrere alle spese pubbliche (mediante il pagamento dei tributi) in ragione della loro capacità contributiva”. Le prestazioni patrimoniali sono autorizzate soltanto in base alle legge. Il sistema tributario è informato al principio di progressività. Le aliquote delle imposte devono essere tanto più alte quanto più alto è il reddito imponibile e di conseguenza tanto più alta la capacità contributiva del soggetto. La solidarietà sociale invoca un più generico dovere di andare incontro ai bisogni altrui. Una forma di adempimento dei suoi doveri può essere, ad esempio, la donazione del sangue che si rivela cruciale per salvare la vita di molte persone. Vi rientrano poi tutte le forme di volontariato. La Corte costituzionale con la sentenza n.75 del 1992 ha affermato che “il volontariato rappresenta il modello fondamentale dell’azione positiva e responsabile dell’individuo che effettua spontaneamente e gratuitamente prestazioni personali a favore degli altri individui ovvero di interessi collettivi degni di tutela da parte della comunità”. Il volontariato si può esprimere nell’assistenza agli anziani, ai bambini negli ospedali, ai poveri, agli immigrati in stato di bisogno, come altresì nella protezione dell’ambiente. Anche il lavoro è un dovere di solidarietà poiché attraverso di esso si contribuisce al progresso economico e sociale della collettività (art. 4). Così come altrettanto dovere di solidarietà è quello di istruirsi. A tal fine è previsto l’obbligo di istruzione gratuita per almeno otto anni (art. 34). Infine, un dovere di solidarietà familiare incombe sui genitori e consiste nel mantenere, istruire ed educare la prole (art. 30).
Riflessioni conclusive. La vocazione etica ed il senso giudico della solidarietà si presentano nell’interrogativo ricorrente per ogni soggetto del “cosa devo fare in relazione al prossimo?”. Tale quesito non rimane circoscritto nella sfera della propria soggettività, poiché nel dialogo tra sé e la propria coscienza su cosa sia giusto fare, si inserisce l’altro come interlocutore necessario. Qual è la mia responsabilità nei suoi riguardi? Cosa devo fare, o cosa non posso fare a meno di fare? Queste sono le domande che la solidarietà ci pone come questione relazionale. In virtù d’esse siamo costretti a riflettere non su ciò che non si deve fare al prossimo per evitare di incorrere in una qualche sanzione o nel biasimo sociale o perché non vorremmo altrettanto ricevere il male che gli infliggeremmo, quanto piuttosto qual è il bene che si deve compiere in suo favore. Ci si colloca, dunque, nella dimensione dell’intersoggettività. In questa zona delimitata dai 52 - Prima Parte
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confini di ciò che mi riguarda e di ciò che è di responsabilità altrui, tra il mio ed il suo ha modo di esprimersi la soggettività del noi. Se l’io si sente parte del noi non può fare a meno di intervenire in soccorso dell’altro in stato di bisogno senza avvertire che una parte di sé viene in qualche modo tradita. Se invece l’io si barrica nei confini del proprium, continuerà il suo percorso solitario ed arido come quello del levita o del dottore della legge, raggiungerà probabilmente la meta prefissata, ma non potrà dire di aver vissuto pienamente. La vita effettiva è incontro13 e quando non si riconosce l’umanità nell’altro, si finisce per non ritrovarla nemmeno in se stessi. In conclusione si può ricordare la splendida immagine della fraternità dell’ultimo dei canti di Leopardi, La Ginestra nella cui descrizione dell’arida, desolata e sconfitta realtà della terra distrutta e coperta dalla potenza vulcanica, si erge come simbolo di speranza e di riscatto per gli uomini l’odorosa ginestra contenta dei deserti che riesce a fiorire nonostante le ceneri infeconde e con il suo dolcissimo profumo consola gentilmente la terra desolata di cui prova appunto compassione. Paola Chiarella
��������������� M. Buber, Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo Edizioni, Roma 2004.
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SOLIDARIETA’ E VOLONTARIATO Vivo da tanti anni nel mondo del disagio e sono testimone di tanti giovani ai quali è stato possibile dare una mano per rialzarsi e ritrovare la speranza, la voglia di vivere, la capacità di progettare il proprio futuro, la ricerca di una spiritualità che superi il materialismo della società che li circonda, la loro dignità e la loro autonomia di donne e uomini consci delle proprie possibilità e delle meravigliose potenzialità dell’essere umano. Compresa quella di dare tanto a tutti noi, forse senza saperlo. Da tempo, ormai, come Centro Calabrese di Solidarietà, ci occupiamo direttamente anche di persone senza fissa dimora, di adolescenti a rischio di devianza e abbandono scolastico, di bambini di famiglie problematiche, di persone provenienti dal carcere o ancora in detenzione, di adulti solo in apparenza ben integrati nella società e nel lavoro, ma in realtà schiavi di varie dipendenze, farmacologiche e non. Il quadro che ci si presenta è allarmante. Ma preoccupa molto anche la scarsa attenzione di tanti. Il disagio meno apparente è come se non esistesse. Si sta facendo molto, ad esempio, per i portatori di handicap, anche se la cultura sociale e gli atteggiamenti della comunità civile devono compiere ulteriori passi importanti. Ma che cosa si può fare e si fa per chi ha un handicap interiore, un cuore “non vedente”, una coscienza “non udente”, per chi ha bisogno della protesi di un farmaco, di una bevanda, di una droga per potersi alzare al mattino e vivere la sua giornata? Si sta facendo molto, è vero, per i senza fissa dimora. Ci si preoccupa di assicurare loro un tetto, un pasto caldo, una doccia. Ma sta cambiando il problema: cosa si fa per tante persone che hanno sì una dimora fissa, ma il cui stato di abbandono e di degrado non è inferiore, anzi, a quello di chi dorme all’angolo di una strada; insomma, come stiamo aiutando le vittime “dimenticate” in casa? Si cerca di fare molto per i ragazzi che abbandonano la scuola, i più ribelli, quelli che manifestano il loro star male e il loro voler prendere le distanze da una società adulta di cui non accettano le regole e i dogmi, e di cui rifiutano l’incoerenza, la sete di potere, il primato del denaro .. Ma che cosa si fa per chi il mal di vivere non lo comunica a nessuno, chi non riesce a crescere, ad affrontare le frustrazioni e le delusioni che vive in famiglia o a scuola? Sono tanti i giovani che si incamminano per strade di solitudine e di fallimento, ai quali talvolta basta una piccola spinta, una parola vissuta male, un incontro sbagliato, per cadere nel precipizio. E, al di fuori delle metafore, basti pensare ai tentativi di suicidio. Stiamo facendo molto per prevenire e combattere le droghe, anche perché la persona tossicodipendente è spesso visibile e pericolosa, fastidiosa e ingombrante. Ma cosa si fa per facilitare l’emersione e l’accesso a centri e strutture di aiuto, per chi soffre di gravi disturbi dell’alimentazione o per i giocatori d’azzardo compulsivo? E che cosa stiamo facendo per chi consuma tra le pareti di casa il dramma del proprio alcolismo o della propria farmacodipendenza da medicine legalmente prescritte da medici di famiglia benevoli, distratti o incapaci di orientare diversamente i propri pazienti? Ho imparato nella vita che la sofferenza passa, ma l’aver sofferto resta. È per questo che accanto ad ogni uomo che soffre, dovrebbe esserci, sempre, un uomo che ama. Ascoltare. Ascoltare. Ascoltare! Conoscere. Conoscere. Conoscere! Conoscere i problemi e i bisogni sapendo che dietro di essi ci sono persone. Andare incontro! Andare incontro! Andare incontro a tutti coloro la cui sofferenza non conosciamo, con la quale non veniamo in contatto e che pure sappiamo esistere ed essere moltipli54 - Prima Parte
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cata dalla disperazione della solitudine e dall’angoscia dell’isolamento. Inoltre, in questo periodo le realtà di povertà e di fatica diventano in qualche modo più visibili, risultano per contrasto. Aumenta il carico di fatica di chi è più debole, di chi arranca. E ci sono dei “piccoli” che urlano silenziosi a pochi metri da noi, che bussano inascoltati alle nostre porte. Vogliamo continuare a fare finta di non sentire? La solidarietà non è un’utopia e non possiamo spegnere la speranza di nessuno. “Non c’è croce che non abbia le sue deposizioni; non c’è amarezza umana che non si stemperi con un sorriso; non c’è peccato che non trovi redenzione; non c’è sepolcro la cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura” ( Tonino Bello). Agli operatori, ai volontari, che condividono con me questa esperienza, e a me stesso, ricordo spesso le basi principali che devono muovere e sostenere qualitativamente il nostro servizio. Primo: incontrare le persone, affrontare i problemi e non viceversa. C’è troppa gente oggi che affronta le persone. No, le persone si incontrano e la vita di ogni persona ha valore, dignità e senso sempre al di là di quella che è la situazione che la persona vive. Secondo: accompagnare, non portare; significa cogliere sempre il positivo, la ricchezza, la diversità. Quante lezioni vengono proprio dalla strada e dal mondo della sofferenza. Vi confesso una cosa: i ragazzi con i quali vivo la mia vita in molti ambienti sono considerati dei lontani. In questi anni ne ho visti andare via tanti, molti i stroncati dall’aids proprio mentre stavano gustando e apprezzando il dono della vita. Sotto la loro maglietta, nel profondo del loro cuore, c’era sempre una ricerca infinita di vita e perciò anche di Dio. Ma davanti alla loro agonia, al loro dolore, ero io che mi sentivo lontano. Ero io che mi chiedevo se Dio li avesse abbandonati. Questo terribile dubbio che si impadroniva della mia mente abituata alle certezze, questo terribile travaglio che scuoteva la mia coscienza, questo sentimento di fragilità e di povertà interiore, mi ha fatto comprendere e vivere il senso autentico dell’abbandono in Dio. Non so se io sono stato strumento di conversione per qualcuno di questi ragazzi; so per certo, però, che ognuno di loro è stato strumento di conversione per me. Un pugno nello stomaco nella mia vita. Una lezione che toglie a me, sacerdote, la presunzione che ci prende tante volte: che siamo noi a salvare, a fare, a convertire. Ma è Dio che fissa gli appuntamenti con gli uomini, non noi, a noi chiede solo di dargli una mano. Allora accompagnare significa esserci, essere affianco, anche quando questo costa fatica; valorizzare le risorse, le potenzialità di chi ci è accanto. Terzo: non bastano le sole risposte tecniche. Sono sicuramente necessarie, ma se poi non ci si mette un’anima, una relazione, un faccia a faccia con le persone, è finita. Una nostra ragazza un giorno mi ha detto: “l’affetto, il sentirmi accettata e voluta bene, l’amicizia, stanno facendo più delle medicine”. Questo significa che l’unico vero e qualificato strumento che abbiamo a disposizione non sono le tecniche o i camici più o meno bianchi da indossare nei momenti opportuni, ma noi stessi, con i nostri sentimenti, le nostre emozioni, i nostri valori, i Prima Parte - 55
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nostri limiti e le nostre capacità. E per ultimo, ma di fatto al principio, che al centro di ogni cosa o interesse o scelta, ci sia sempre e comunque la persona in quanto tale, con il proprio diritto /dignità di esistere e di vivere i suoi momenti. Mettere sempre al centro, costi quel che costi, la persona. La dignità della persona! Quello che è importante è andare incontro alle storie delle persone, uscendo di trincea, con coraggio e nel nome della speranza. Non ci fanno paura le difficoltà: sono il nostro pane quotidiano. Io mi porto dentro un sogno: che la nostra vita non sia fatta di gesti occasionali e straordinari, ma di atteggiamenti normali ed autentici, per essere cittadini di una società umana. E se continueranno a sussistere da un lato i volontari della solidarietà e dall’altro gli indifferenti del quotidiano, ne usciremo tutti sconfitti. Il vero rischio della carità non comincia quando si mette in gioco la propria vita, ma quando si fa elemosina senza lasciarsi coinvolgere. Quando si offre solidarietà senza reciprocità, scegliendo le povertà meno scomode e selezionando i bisognosi secondo i propri bisogni. La carità non è una questione di scelte, perché non si possono scegliere le persone che bussano alle nostre porte. I poveri non ti danno solo i loro problemi, ti danno anche la speranza, la forza di vivere, ti danno la solidarietà con gli altri, ti danno l’amore verso gli altri. Solidarietà vuol dire inchiodare ciascuno alle proprie responsabilità, con rispetto, con dignità. E aiutare la gente a crescere, cercando di venire incontro alle fragilità e alle debolezze delle singole persone. Ma vuol dire anche prendere le distanze dal pietismo che sta riemergendo nel nostro paese attraverso forme venose e strumentali di aiuto: non si possono usare i poveri, gli ammalati, chi arranca, gli emarginati per fornire passerelle ed esibizioni, per sostituire alla giustizia una sottile forma di pietismo. Se non c’è giustizia sociale, anche l’occuparsi dei poveri diventa un inganno, un alibi per tamponare emergenze, diventa un tradimento verso i soggetti più fragili. Allora la solidarietà non è solo mano tesa, ma è insieme lotta per la giustizia e la dignità. L’impegno di volontariato non può esimersi da questo, non può rinchiudersi nel proprio idealismo, seppur virtuoso. Non può essere inteso o frainteso solo come produttore ed erogatore di servizi. Noi volontari, in prima persona, abbiamo la responsabilità di rivestire un ruolo di generatore di coscienza critica, di indossare i panni “scomodi” della “spina nel fianco” per spingere verso un cambiamento sociale, più che titolari di un assistenzialismo inerte, promotori di un risveglio etico e spirituale. Il volontariato, quindi, è chiamato a schierarsi. Non può rimanere neutrale. Deve saper cogliere il significato conflittuale della povertà, di tutte le povertà, quelle vicine e quelle lontane. Recuperare il vero senso della solidarietà significa anche accogliere e fare proprio il valore della reciprocità. Reciprocità è una parola importante, impegnativa, necessaria. Ma non sempre è presente come pratica e come valore anche nel nostro mondo dell’impegno solidale. La solidarietà da sola non basta, se essa non è improntata alla relazione, all’orizzontalità, al riconoscimento e rispetto dell’altro, chiunque esso sia e qualunque cosa abbia fatto. Non ci può essere solidarietà, non si promuove autentica giustizia se si sta sempre in cattedra o su un piedistallo, se si mantiene una barriera tra se e l’altro. E neppure se non si capisce a fondo che occorre ragionare anche sulle cause che producono povertà e sofferenza, oltre che accogliere il bisogno e curare la sofferenza. La relazione con l’altro non è solo atteggiamento etico: è direttamente 56 - Prima Parte
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cura, è cambiamento, è politica. E’ questo vale per tutti i volti del disagio. Solo se si parte dal fondo si riscopre la dignità di tutti, di ciascuno e anche la propria. Povero e povertà non sono categorie solo sociologiche. In ognuno di noi è nascosta una zona di povertà dalla quale fuggiamo, ci nascondiamo e ci difendiamo. Nell’illusione che negare quella debolezza ci renda più forti. In realtà nessuno di noi è profondamente se stesso sino a quando non riesce ad abbracciare con libertà, delicatezza e affetto, la sua fragilità. In quell’incontro è nascosto il segreto della nostra autenticità. La parte “piegata” in noi ci ricorda che siamo chiamati ad alzarci per ritrovare primavera e speranza. Sempre. Per noi e per chi ci è accanto. In questo nostro tempo trionfa la beneficenza a distanza dei Telethon e delle missioni Arcobaleno, che muove soldi e buoni sentimenti, ma non cambia i comportamenti individuali e collettivi.… per questo dobbiamo tornare alle nostre radici e ripensare al senso che oggi acquista il termine gratuità. Questo mi porta ad un’ultima riflessione: non bisogna dimenticare la lezione fondamentale del volontariato sociale: che prima di ogni cosa, valore, ideale, ci sono i nomi, i volti, le storie. Non ci sono i poveri generici, ma coloro che incontro, non i malati, ma i volti conosciuti del dolore, non i problemi sociali, ma la storia concreta di chi ha incrociato il mio cammino. L’etica del volontariato è quella dei volti. L’etica dei volti è l’etica di una responsabilità incarnata nel tempo e nei luoghi, a partire dalle relazioni concrete. Il volontariato sociale insegna in questo tempo di relazioni rade, corte e fragili, l’alfabeto della socializzazione responsabile, della presa in carico, del mettersi accanto, del non prevalere. L’etica dei volti è anche una educazione ai sentimenti umani, del commuoversi, del cuore vigile e fragile. E rifiuta lo sfavillio delle facili e mediatiche emozioni, del caso, dello straordinario spesso indistinto, che lascia le cose come stanno. Essa da spazio alla logica dell’umano, riconosce l’altro anche nella sua debolezza. Riconosce la dignità dell’uomo non nella sua forza, ma nella sua fragilità. È solo ciò che gratuitamente si dona è colorato. I colori del volontariato sono i colori dell’arcobaleno. La gratuità, la condivisione e la solidarietà ne sono la sua ricchezza, e questa nostra terra ne è piena. Non permettiamo a nessuno di spegnere questa speranza. Quindi, il volontario, così come chiunque sia chiamato a lavorare fianco a fianco con i fratelli che vengono dalla strada, o vivono situazioni di difficoltà, non deve mai rinchiudersi nella definizione comoda di un ruolo, ma camminare, domandare, cercare, costruire. Deve combattere quotidianamente la sua battaglia silenziosa ed inevitabile contro la rassegnazione, la disillusione, la stanchezza. Deve ritornare alle radici della sua vocazione, ritrovare ogni giorno il punto della sua storia in cui qualcosa o qualcuno lo ha spinto a scegliere di spendersi, di condividere cammini. Deve, in sintesi, percorrere il suo necessario cammino spirituale, nella riscoperta dei sogni e dei bisogni più intimi, nella sua speranza e nella sua rabbia, nella sua fame e sete di giustizia, nella sua capacità di essere onesto osservando i propri limiti e la propria nudità. Nudo, già. Come Mosè di fronte al roveto ardente. C’è un fuoco che arde, e una voce: Togliti i sandali. Dio lo vede, lo chiama, lo scopre. E Mosè non fugge, non si spaventa di un fuoco che non si consuma ma si meraviglia, come un bambino, rimane a bocca aperta a fissare qualcosa di nuovo. Poi: Togliti i sandali. È certamente un segno di rispetto per la sacralità del luogo, l’umiltà e la nudità dell’anima consapevole della sua povertà creaturale. I sandali indicano il legame dei piedi con la terra e, in quanto tali, in quanto calpestano la terra, sono simbolo di possesso e di potere. Togliersi i calzari è allora simbolo di nudità e di Prima Parte - 57
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fiducioso abbandono al Dio che parla e si rivela. Mosè deve togliersi i sandali per entrare libero e nudo nella relazione d’amore, senza nulla appropriarsi di ciò che compete unicamente a Dio. Ma il roveto ardente non è solo lassù, sulla cima dell’Oreb. C’è un roveto ardente in ogni essere umano, un roveto che arde e non si consuma, un roveto davanti al quale occorre davvero denudarsi i piedi, togliersi i sandali e ciò che essi simboleggiano: la rinuncia ad ogni forma di dominio e di supremazia. Siamo chiamati cioè a entrare nella Terra Santa della relazione a piedi nudi. Occorre nudità di piedi e di anima, delicatezza e massimo rispetto per ascoltare l’altro nella sua diversità e unicità. Occorre entrare a piedi nudi e come sui carboni ardenti nel mondo interiore dell’altro, nell’accompagnamento spirituale, nell’opera educativa, nel volontariato. Allora è necessario ripensare al volontariato, alle nostre esperienze personali prima di ogni altra cosa, come ad una storia di cammino condiviso. Un cammino in cui, è vero, sono responsabile dell’altro, ma devo ugualmente lasciare all’altro lo spazio e la possibilità di essere e sentirsi responsabile di me, del mio cambiamento, della mia crescita, della mia salvezza! Perché il dono è lo spazio dell’amore, della responsabilità, della libertà. La libertà di essere responsabili, la responsabilità di essere liberi!
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Don Mimmo Battaglia
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SOLIDARIETÀ E DIRITTO PRIVATO Il tema di questa relazione è particolarmente interessante in quanto tratta una delle disposizioni più importanti del nostro ordinamento giuridico: l’art. 2 della Carta costituzionale. Anzitutto cosa s’intende per solidarietà e cosa s’intende per diritto privato. Il diritto privato è un ramo dell’ordinamento giuridico che regola i rapporti tra privati; esso è principalmente regolato dal codice civile, ma sono presenti nel nostro sistema anche fonti extra-codicistiche, tra esse, oltre alle norme costituzionali e a quelle contenute nelle leggi speciali, particolare importanza hanno le norme comunitarie e quelle derivanti dalle Carte internazionali. E’ un settore complesso proprio per la concorrenza di una pluralità di fonti normative che si incardinano in un sistema multilivello. La solidarietà è un principio presente nella Carta costituzionale, contemplato nell’art. 2 (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale). Essa rappresenta un valore fondamentale del nostro ordinamento; in particolare, è racchiusa in una clausola generale che associa doveri di solidarietà e diritti inviolabili. Entrambe sono fattispecie aperte in quanto non sono indicati positivamente i contenuti dei doveri di solidarietà, né tanto meno i singoli diritti inviolabili, lasciando all’interprete volta per volta il compito della tipizzazione di entrambe le previsioni. Dunque, si tratta di mettere in collegamento questi due elementi (la solidarietà e il diritto privato) e vedere quale risultato ne discende. L’art. 2 Cost. viene definito come la clausola generale di tutela essenziale della persona umana, cosa significa questa affermazione? Significa che, proprio attraverso l’art. 2 Cost., è possibile realizzare una tutela globale della persona e dei suoi diritti inviolabili, consentendo un adeguamento del sistema alle esigenze di protezione derivanti dal contesto sociale, anche prescindendo dall’esistenza di previsioni normative che, volta per volta, definiscano e tutelino i singoli diritti e aspetti della personalità. In tal modo, si ottiene un’evoluzione ed un’auto-trasformazione del sistema, mediante un adeguamento ed una reinterpretazione delle previsioni già esistenti. Cosa significa reinterpretare? Significa attribuire alle disposizioni un senso diverso alla luce di valori che possono evolversi nel tempo. E questo è il nostro caso: la clausola generale dell’art. 2 Cost. e con essa i doveri di solidarietà e i diritti inviolabili sono, da un lato, dei concetti in evoluzione e, dall’altro, un parametro di riferimento per l’interpretazione delle altre fonti del diritto necessariamente sott’ordinate ad esse in quanto fonti costituzionali. L’art. 2 Cost., così come gli altri princìpi costituzionali, rappresenta una “bussola” per l’interprete (che sia il giudice, ad esempio o l’operatore, il legislatore, il ricercatore, etc.) chiamato leggere il sistema alla luce dei princìpi costituzionali. Perché reinterpretare? Perché, alla luce dei princìpi costituzionali, si ridisegna il diritto privato e si segna il passaggio da un modello liberale di tipo individualistico ad un modello costituzionale di tipo solidarista-personalista che (i) non si limita a riconoscere e porre al centro del sistema i diritti inviolabili – di cui era espressione, nell’ideologia ottocentesca liberale, il diritto di proprietà – ma richiede anche l’adempimento dei doveri inderogabili (che troviamo nella seconda parte dell’art. 2 Cost.). Si segna, così, il passaggio dallo Stato di diritto allo Stato sociale di diritto in cui le situazioni giuridiche soggettive vengono riconosciute in una logica di relazionalità, tale cioè da garantire il perseguimento dell’utile sociale, in una prospettiva di uguaglianza e giustizia e utilità sociale Prima Parte - 59
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(art. 3, commi 1 e 2, art. 41 e 42 Cost.). Come si esplicano la solidarietà e la relazionalità nell’esercizio dei diritti soggettivi? Proprio nelle modalità in cui l’esercizio dei diritti individuali è consentito. A venire in considerazione è, in tale ambito, il divieto di abuso del diritto; l’ordinamento giuridico riconosce ai privati la tutela dei propri interessi giuridicamente rilevanti, ma questa tutela non è unidirezionale, in quanto deve avvenire in maniera tale da non esorbitare dagli scopi per cui è riconosciuta e non collidere con l’utilità sociale, la sicurezza, la dignità, la tutela dei soggetti deboli (si v., ad esempio per l’iniziativa economica privata, l’art. 41 Cost.). Divieto di abuso del diritto equivale a divieto di esercizio del diritto in maniera disfunzionale, ad esempio, se si tratta del diritto di proprietà (ad es. art. 833 c.c.) o se si tratta di contratti, equivale al divieto di esercizio della libertà contrattuale in maniera scorretta (esercizio che pregiudica gli interessi della controparte contrattuale debole), divieto di unfair dealing per utilizzare la terminologia anglosassone. Se con riferimento al diritto di proprietà il divieto di abuso del diritto si tipizza nel divieto degli atti emulativi (art. 833 c.c.), con riferimento all’autonomia contrattuale si concreta nel dovere di comportamento secondo buona fede che è già presente nel codice civile (ad es. negli art. 1175, 1337, 1358, 1366, 1375 c.c., etc.), ma il cui fondamento è costituzionale (artt. 2, 41 Cost.). Ecco allora emergere un concetto nuovo e molto importante per il diritto privato: il concetto di giustizia contrattuale, con questa espressione s’intende l’insieme di princìpi per lo più ricavati sul versante giurisprudenziale, sulla base della rilettura delle disposizioni codicistiche alla luce dei princìpi costituzionali, nonché dei princìpi derivanti dalla moderna legislazione d’impronta comunitaria e volti alla tutela dei soggetti deboli, siano essi consumatori che imprenditori. Si tratta di una normativa che mira a garantire l’equilibrio contrattuale, tutelando il soggetto debole nei confronti dell’abuso dell’altrui posizione di forza contrattuale. Ciò avviene a partire dagli anni ’80 – ’90, momento in cui l’ordinamento giuridico non si limita più ad una tutela formale del soggetto debole, ma mira ad una tutela sostanziale, ciò grazie: 1) alla legislazione comunitaria che mira a proteggere il soggetto debole tout court nel contratto che è il consumatore (riconoscendogli una serie di diritti irrinunciabili, tra cui il diritto di recesso, il diritto d’informazione, il diritto di chiedere l’accertamento della nullità delle clausole vessatorie, etc.) e 2) agli interventi normativi che in parallelo tutelano il soggetto debole che non sia consumatore, ma anche imprenditore, che subisca l’abuso della posizione di forza contrattuale della controparte (in tal senso a venire in considerazione è la legge sulla subfornitura e la legge antitrust), riconoscendosi la nullità delle clausole abusive, frutto cioè dell’abuso, dell’approfittamento della forza contrattuale da parte di un contraente e nell’imposizione di clausole ingiustificatamente svantaggiose nei confronti della controparte (ad esempio clausole che impediscono alla controparte la possibilità di agire in caso di inadempimento o in caso di danno derivante dal comportamento dell’altro contraente). In queste ipotesi, la solidarietà si esplica nella tutela del soggetto debole del contratto che in sintesi equivale al concetto di giustizia contrattuale. Talvolta essa opera per via giurisprudenziale, mediante cioè gli interventi degli organi giudicanti. E’ il giudice cioè che, nel decidere una controversia sottoposta al suo esame, interviene nel regolamento contrattuale posto dalle parti e lo ricompone ab externo in funzione correttiva, riequilibrandone cioè l’assetto normativo di diritti ed obblighi in esso contenuti. Ciò avviene ogni qual volta sia il legislatore ad autorizzare il giudice a riequilibrare il contenuto del contratto, come accade, ad esempio, in materia di ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali (d.lgs. 231/2002): è il giudice nel dichiarare la nullità dell’accordo se risulta gravemente iniquo in danno del creditore, anche d’ufficio, può ricondurre il contenuto dell’accordo ad equità (art. 7, comma 3). 60 - Prima Parte
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Analogamente avviene in caso di riduzione della penale manifestamente eccessiva (art. 1384 c.c.) e in caso di riconduzione del contratto concluso in stato di pericolo (art. 1447 c.c.). Nella responsabilità civile cosa significa solidarietà? Intanto cosa s’intende per responsabilità civile: è la responsabilità extra-contrattuale, che non deriva cioè da un inadempimento di un’obbligazione (di cui all’art. 1218 c.c.), ma da un illecito aquiliano (art. 2043 c.c.). Due soggetti, tra cui non sussiste alcun vincolo giuridico, si “scontrano” e sorge l’obbligo di risarcire il danno cagionato dal danneggiante al danneggiato. La solidarietà, quindi, è volta certamente a ristorare il danno subito dal danneggiato. Tuttavia, la solidarietà tutela anche il danneggiante nel momento in cui, quando si tratti di danno non patrimoniale secondo gli orientamenti della giurisprudenza, impone la soglia della tolleranza al danneggiato, il che significa che non tutti i danni saranno risarcibili ma solo quelli che superano la soglia di detta tolleranza, questo in particolare è lo sbarramento posto dagli interpreti per la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di diritti costituzionalmente protetti (art. 2059 c.c.). I diritti costituzionalmente protetti saranno, infatti, sempre risarcibili, quantunque l’art. 2059 c.c. preveda il limite della riserva di legge. Tuttavia, tale risarcibilità per la giurisprudenza è subordinata all’esistenza di una lesione grave del diritto stesso tale da essere intollerabile, appunto, in quanto la solidarietà impone il valore della tolleranza come regola di convivenza sociale (art. 2 Cost.). Il che significa che il diritto deve essere leso oltre una soglia minima, cagionando un pregiudizio serio (non irrisorio o futile), come tale meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza a carico dei singoli consociati. E cosa accade in caso di omissione? Guardiamo al danneggiante. Il dovere di solidarietà può imporre il dovere di agire per preservare gli altrui danni? Intanto si può con certezza affermare che l’omissione rileva quando c’è un obbligo giuridico, ad esempio, l’omissione di soccorso è reato o nell’ambito del codice civile la rovina d’edificio, il danno cagionato da animali, da attività pericolose, etc., ma se manca una previsione normativa specifica? In linea di principio, si può affermare che non è consentito porre come regola generale il dovere di agire per preservare gli altrui interessi al di là delle ipotesi normativamente previste. La solidarietà è sì una clausola generale, tuttavia, essa al fine di operare - imponendo obblighi positivi di azione - presuppone l’esistenza di previsioni normative specifiche, per cui solo nei casi previsti dalla legge sussiste una responsabilità per omissione. Perciò di fronte a quello che potrebbe essere un dovere morale di intervento, in mancanza di previsioni positive, non corrisponde un dovere di agire. Del resto, ciò è anche previsto dalla stessa Costituzione che all’art. 23 prevede che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Essendo, infatti, la nostra una Costituzione garantista nei confronti della libertà personale, ogni dovere posto a carico dei singoli deve essere dettato dal legislatore nel rispetto delle garanzie previste dalla stessa Costituzione. In conclusione, perciò si può dire che nel diritto privato, così come nell’intero ordinamento giuridico, i doveri di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. si azionano ogni qual volta vi siano espresse previsioni legislative, a differenza di quanto avvenga per i diritti fondamentali, contemplati nella medesima disposizione, che invece sono una categoria aperta, suscettibile di arricchirsi in funzione dell’evolversi delle esigenze di tutela della persona umana. Maria Luisa Chiarella Prima Parte - 61
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CAPACITÀ GIURIDICA E DI AGIRE: CONCETTI DI RESPONSABILITÀ E OBBLIGAZIONE LA CAPACITÀ GIURIDICA Il termine “capacità giuridica” è da sempre associato a quello di soggettività perché indica l’idoneità ad essere titolari di diritti e doveri. Chi è soggetto di diritto ha, infatti, la capacità giuridica. Questa affermazione è una conquista della civiltà giuridica moderna poiché per secoli la schiavitù ha reso milioni di essere umani “oggetto di diritto” cioè merce oggetto di vendita, esposta nei mercati dell’antica Roma sino a quasi i nostri giorni. L’abolizione legale della schiavitù è avvenuta in epoche relativamente recenti, come mostra il grafico che segue In molti stati la schiavitù è stata, infatti, ammessa quasi sino ai nostri giorni, basti pensare che in Mauritana è stata abolita solo nel 1986. Il mancato riconoscimento giuridico di tale tragica pratica umana non significa purtroppo la sua definitiva scomparsa. In occasione della giornata mondiale dell’abolizione dalle schiavitù del 2 dicembre 2011 sono stati diffusi dati allarmanti sul fenomeno: sarebbero 20 milioni le persone costrette alla schiavitù. Fonti delle organizzazioni umanitarie continuano a denunciare “tratte di bambini” dal continente africano. I bambini vengono acquistati ad un prezzo che oscilla tra i 20 e i 70 dollari per essere utilizzati a scopi sessuali o per essere utilizzati come domestici o, soprattutto nelle miniere di diamanti Secondo l’organizzazione “Save the children”, la tratta delle persone umane è, dopo il traffico di stupefacenti ed armi, il business illegale più lucrativo del pianeta con un fatturato annuo di oltre 32 miliardi di dollari l’anno. Come dimenticare poi la negazione o la limitazione della capacità giuridica sancita anche giuridicamente dalle nostre leggi razziali del 1938 addirittura supportate da emeriti studiosi delle università italiane. Il 5 agosto 1938 sulla rivista “La difesa della Razza” viene pubblicato il seguente manifesto: “Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista.” Le conclusioni cui erano pervenuti gli accademici erano le seguenti: • LE RAZZE UMANE ESISTONO. • ESISTONO GRANDI RAZZE E PICCOLE RAZZE. • IL CONCETTO DI RAZZA È CONCETTO PURAMENTE BIOLOGICO. • LA POPOLAZIONE DELL’ITALIA ATTUALE È NELLA MAGGIORANZA DI ORIGINE ARIANA E LA SUA CIVILTÀ ARIANA. • ESISTE ORMAI UNA PURA “RAZZA ITALIANA”. • È TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI. • GLI EBREI NON APPARTENGONO ALLA RAZZA ITALIANA. 62 - Prima Parte
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Ecco, in un manifesto illustrativo dell’epoca, le conseguenze dell’approvazione delle leggi razziali. E non mancò la condivisione di parte della popolazione allo spirito della nuova normativa.
DIRITTI NEGATI ALLE DONNE In alcuni paesi alle donne viene riconosciuta una limitata capacità giuridica. Alcuni diritti vengono, infatti, negati per legge. Ad esempio nella ricchissima Arabia Saudita le donne hanno ottenuto il diritto di voto solo nel 2011 ma ancora oggi non hanno il diritto di guidare. La discriminazione nei confronti delle donne è, nei fatti, ancora più grave: • Il 70% dei poveri del mondo e i 2/3 degli analfabeti sono donne. • Nei paesi poveri vi è la netta prevalenza degli aborti di feti di sesso femminile. • Solo il 14% delle cariche dirigenziali, il 10% di quelle parlamentari e il 6% di quelle ministeriali sono ricoperte da donne. In alcuni paesi di religione islamica è, purtroppo, diffuso il fenomeno delle “spose bambine” di appena sette, otto, nove anni, che vengono date in spose a coetanei, ma anche a uomini adulti. La foto non è quella di papà che accompagnano le figlie ad una cerimonia religiosa ma di matrimoni di bambine in Afghanistan, paese che detiene il triste primato insieme all’India, Bangladesh, Nepal e Pakistan. Nel mondo sono 10 milioni le spose bambine, la maggior parte delle quali subiscono violenze e sono costrette a vivere in condizioni di vera e propria schiavitù. In media il primo figlio lo hanno all’età di appena dodici, tredici anni con gravi conseguenze sull’integrità psico-fisica. Secondo i dati forniti dall’ l’UNICEF 50 mila mamme tra i 15 e 19 anni muoiono ogni anno a causa della gravidanza o del parto.
LA CAPACITA’ DI AGIRE Consiste nella capacità di esercitare un diritto e adempiere ad un obbligo cioè compiere atti giuridici che possono essere di: • ordinaria amministrazione (non modificano il patrimonio) • straordinaria amministrazione (non modificano il patrimonio) La capacità di agire si acquista con la maggiore età che, nel nostro ordinamento giuridico, si raggiunge con il compimento del 18° anno di età. Gli incapaci di agire possono essere: • assoluti ↔ non possono compiere nessun atto giuridico e sono i minori e gli interdetti • relativi ↔ possono compiere gli atti di ordinaria amministrazione e sono gli inabilitati ed i minori emancipati. Prima Parte - 63
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I minori Gli atti che li riguardano vengono compiuti dai genitori (rappresentanti legali) che, per quelli di straordinaria amministrazione, devono essere autorizzati dal Tribunale. Nonostante l’incapacità di agire il nostro ordinamento concede la possibilità al minore di compiere alcuni atti quali: • Riconoscimento figlio naturale (14 anni) • Ammissione al lavoro (15 anni) All’età di 16 il minore può essere autorizzato a contrarre matrimonio dal Tribunale ed acquisire lo status di minore emancipato. Con l’emancipazione può compiere atti di ordinaria amministrazione e, con l’assistenza di un curatore, quelli di straordinaria amministrazione.
Gli interdetti Possono essere: • Giudiziali • Legali I primi sono gli infermi di mente gravi. Il tribunale a conclusione di un procedimento finalizzato ad accertare l’infermità nomina un tutore che compie al loro posto gli atti di ordinaria amministrazione ma, per quelli di straordinaria amministrazione, deve essere autorizzato dal Tribunale. Gli interdetti legali sono gli ergastolani e i condannati ad una pena di reclusione superiore ai 5 anni. Per tutta la durata della pena tali soggetti non possono compiere atti giuridici e, trattandosi di una sanzione aggiuntiva, non è prevista la nomina di un tutore.
Gli inabilitati Sono: • gli infermi di mente non gravi • i ciechi e sordomuti dalla nascita che non hanno ricevuto adeguata educazione • gli alcolizzati o drogati che sperperano il patrimonio (prodigalità) In quanto incapaci relativi possono compiere gli atti di ordinaria amministrazione mentre per quelli di straordinaria amministrazione devono essere assistiti da un curatore.
I CONCETTI DI RESPONSABILITÀ E DI OBBLIGAZIONE La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, all’art. 29 comma 1 e 2, afferma che: «Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità. Nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica». L’art. 2 della nostra Costituzione stabilisce: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.» Il principio espresso dalle due disposizioni è il riconoscimento in capo a tutti gli uomini non solo di diritti inviolabili ma anche della “responsabilità” e ciò in quanto una condotta irresponsabile può influenzare negativamente la capacità dell’individuo di godere di un diritto. Responsabilità significa, pertanto, avere la consapevolezza degli impegni che derivano 64 - Prima Parte
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dall’appartenenza ad una comunità.
RESPONSABILITÀ GIURIDICA E’ la situazione nella quale si trova colui che viene chiamato a rispondere della violazione di un obbligo o del generale dovere di non ledere gli altrui diritti. La responsabilità giuridica trova la sua definizione più chiara nell’art. 2043 c.c nel quale si legge «Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.» I suoi presupposti sono: • Atto illecito • Dolo o colpa • Capacità di intendere e volere • Danno ingiusto • Nesso di causalità
LE OBBLIGAZIONI L’obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale una parte (debitore) deve eseguire una prestazione in favore di altro soggetto (creditore). Gli elementi del rapporto obbligatorio sono: • Debitore • Creditore • Prestazione • Vincolo giuridico Le obbligazioni possono nascere da: • Atto illecito • Dolo o colpa • Capacità di intendere e volere • Danno ingiusto • Nesso di causalità. Gaetano Mancuso
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L’AMBIENTE: Responsabilità per danno ambientale, alle cose pubbliche, alla città, alla scuola Il tema che affronteremo oggi è particolarmente importante perché quanto più voi giovani maturerete la convinzione e la consapevolezza che l’ambiente appartiene a tutti e che la sua tutela è un problema in cui ciascuno di noi è coinvolto e deve fare la sua parte, tanto più questo bene prezioso potrà essere conservato e preservato per essere goduto anche dalle generazioni future. Che cosa si intende per ambiente? In una direttiva della Comunità europea del 1985 l’ambiente viene definito come l’insieme di questi fattori: a) l’uomo, la fauna e la flora; b) il suolo, l’acqua, l’aria, il clima e il paesaggio; c) i beni materiali ed il patrimonio culturale. Devo subito rilevare che in Italia, dopo la legge del 1939 di protezione delle bellezze naturali, le norme a tutela dell’ambiente si sono susseguite, a partire da metà degli anni ’80, in un crescendo di attenzione verso il bene-ambiente, particolarmente significativo in un Paese che ha un patrimonio di bellezze naturalistiche e culturali unico al mondo. Non sempre, però, come vedremo, queste regole hanno trovato applicazione costante, soprattutto quelle che erano state dettate per evitare il verificarsi di danni all’ambiente, con la conseguenza che parte del nostro territorio, delle nostre acque (mari, fiumi, laghi), della nostra flora e delle nostre bellezze paesaggistiche è stata gravemente compromessa. Molti di voi conoscono o stanno studiando i principi fondamentali della Costituzione repubblicana. L’art. 9 della Costituzione, al secondo comma, prevede che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della Nazione. In attuazione di questa norma è stato istituito nel 1986 il Ministero dell’Ambiente, con il compito, tra gli altri, di intervenire per prevenire situazioni di pericolo all’ambiente e di agire, poi, contro coloro che si fossero resi responsabili di atti di alterazione o danneggiamento. Una norma molto importante della legge istitutiva del Ministero dell’ambiente è contenuta nell’articolo 18 che prevede l’obbligo di risarcire il danno a carico di chi compromette l’ambiente alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo. È previsto che chi ha danneggiato l’ambiente debba, prima di tutto, ripristinare lo stato dei luoghi. Purtroppo, deve dirsi subito che spesso questo obiettivo non è concretamente realizzabile: se il danno è stato talmente grave da produrre effetti irreversibili non vi può essere alcun ripristino della situazione precedente. Non si può resuscitare ciò che si è distrutto. Come sapete l’Italia fa parte della Comunità Europea fin dalla sua fondazione ed è, quindi, obbligata al rispetto delle norme comunitarie che costituiscono una fonte primaria del nostro ordinamento giuridico. Molti principi, in materia di tutela dell’ambiente, derivano direttamente dalle norme comunitarie. La politica comunitaria in materia ambientale ha seguito varie fasi. In una prima fase, che va dall’1 gennaio 1958 - data di entrata in vigore del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea - fino al 1972, la Comunità europea non aveva ancora consapevolezza della questione ambientale e si è limitata ad adottare varie direttive, per es. in materia di imballaggio ed etichettature di sostanze pericolose o contro l’inquinamento causato dagli autoveicoli. Nel 1972 i Capi di Stato e di governo dei nove stati che allora erano membri della Comunità Europea, sulla spinta del primo vertice mondiale sull’ambiente che si svolse a Stoccolma, incaricarono le istituzioni comunitarie di redigere un Programma di azione in materia ambientale che fu approvato nel 1973. I primi due programmi (1973/1977 e 1977/1981) fissarono il principio per cui la tutela 66 - Prima Parte
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dell’ambiente dovesse essere centrale rispetto a qualsiasi tipo di programmazione e decisione, anche di natura economica, adottata dalla Comunità Europea. Furono stabiliti il principio di prevenzione, il principio della correzione alla fonte dei danni all’ambiente e quello per cui “chi inquina paga”. Nel 1987 fu introdotto l’Atto Unico Europeo che prevedeva, per la prima volta, una specifica competenza della CEE in materia ambientale. In Italia, nel frattempo era stato istituito, come abbiamo detto, il Ministero dell’Ambiente. Con l’entrata in vigore, l’1 novembre 1993, del Trattato di Maastricht sull’Unione Europea, il Trattato CEE divenne Trattato CE e, per la prima volta, la tutela dell’ambiente venne introdotta espressamente tra gli obiettivi e le finalità della Comunità Europea. Per farvi comprendere richiamo l’art. 2 del Trattato CE, il quale prevede che “la Comunità ha il compito di promuovere nel suo insieme, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente e il miglioramento di quest’ultimo, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri”. La protezione dell’ambiente diventa quindi un obiettivo primario anche a livello sovranazionale, nella convinzione che non vi può essere sviluppo economico e sociale se non nel pieno rispetto di tale bene essenziale. Si comincia a parlare di sviluppo sostenibile. Cosa vuol dire? Significa che allo sviluppo economico e sociale di uno Stato deve corrispondere un’adeguata ed effettiva tutela dei suoi beni naturali. L’uomo non può, per la sete di guadagni, inquinare l’ambiente, perché si verificherebbe uno sviluppo sì, ma non sostenibile. È necessario che chi produce scelga modalità di azione capaci di contemperare le esigenze dello sviluppo economico con quelle legate alla tutela dell’ambiente ed alla conservazione delle risorse naturali. E la Comunità Europea ha previsto, con il Quinto Programma di azione in materia ambientale (1993-2000), anche strumenti di aiuto finanziario alle imprese, che si chiamano Fondi strutturali, per produrre in modo da conservare la qualità dell’ambiente. Nel Trattato CE del 1993 sono indicati alcuni principi fondamentali che sono stati poi recepiti anche in Italia nel recente Codice dell’ambiente. Sono principi che anche voi ragazzi potete facilmente comprendere. In primo luogo si è stabilito il principio di prevenzione. In relazione all’ambiente ciò significa che quando vi è il rischio di un danno per l’ambiente è meglio agire preventivamente e tempestivamente per evitare il verificarsi del danno. Riparare il danno, una volta che si è verificato, è non solo molto più costoso ma, a volte, risulta anche tecnicamente impossibile, con la conseguenza che gli effetti sull’ambiente possono essere drammaticamente irreversibili. In ossequio a tale principio è stata introdotta da tempo in Italia la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). In pratica quando si vuole realizzare un’opera pubblica o privata che, in Prima Parte - 67
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qualche modo, potrebbe influire sull’ambiente (inteso come bellezza naturale, come territorio in senso ampio) è previsto che un’Autorità pubblica (che può essere appartenente alla Regione o allo Stato) debba, preventivamente, valutare il progetto di quell’opera per stabilire se essa sia compatibile con l’ambiente ovvero se, ed in quale misura, quel progetto debba essere modificato, proprio per evitare un grave impatto ambientale. È chiaro che in questa fase l’Autorità di controllo ha un compito molto delicato perché, da un lato deve salvaguardare l’ambiente, dall’altro non deve scoraggiare iniziative che possono migliorare la vita della collettività, in termini di infrastrutture (strade, autostrade, strade ferrate) o di impianti produttivi che creano occupazione. Si tratta di un equilibrio molto delicato. Del resto esso è alla base delle contestazioni -di cui avrete certamente sentito parlare- sulla TAV. I NO TAV sono persone - per lo più abitanti delle zone che dovrebbero essere interessate dall’intervento di modificazione del territorio necessario per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Lione-Torino - che si oppongono a quel progetto perché convinte del forte impatto e degli effetti irreparabili che esso avrebbe sull’ambiente e sull’eco-sistema. Non siamo sufficientemente informati per sapere dov’è la ragione: quello che importa è che anche voi abbiate la giusta sensibilità per prestare attenzione a questi problemi, per essere doverosamente interessati a ciò che accade nel nostro Paese. Altro principio fondamentale è quello della correzione dei danni causati all’ambiente (quando essi non stati evitati attraverso il principio della prevenzione). Esso prevede che i danni siano riparati in misura quanto più possibile vicina alla fonte, per evitare effetti di propagazione e diffusione dei danni che possono essere enormemente deleteri per la collettività e quindi per noi tutti e soprattutto per voi che dovreste vivere in un mondo sempre più inquinato. Infine vale il principio “chi inquina paga”, che è applicato anche nel nostro ordinamento giuridico e prevede che i costi dei danni causati all’ambiente siano sostenuti direttamente dai soggetti responsabili. Ciò implica che essi non debbano essere addossati alla collettività -che già li subisce sul piano naturalistico e della qualità della vita- e riparati con denaro pubblico perché significherebbe che al danno segua la beffa: chi subisce il danno ne dovrebbe anche sopportare l’onere economico, utilizzando risorse che avrebbe potuto essere destinate a ben altre finalità. Guardandoci attorno possiamo subito rilevare che, nella pratica, questo principio non appare adeguatamente applicato. Pensate alle discariche abusive, alle immissioni di gas tossici nell’aria da parte di industrie, all’inquinamento dei fiumi, dei laghi, dei mari: non sempre si individuano i responsabili. Restano danni enormi i cui costi sono “scaricati” sulla collettività, su di noi quindi, con un effetto doppiamente devastante. Una doppia “discarica”: sull’ambiente e sull’economia. Anche voi giovani potete comprendere la gravità di questi comportamenti che sono frutto di menti criminali. Negli anni si sono verificati veri e propri disastri ambientali. Siete troppo giovani per ricordare il disastro immane provocato dalla distruzione della Centrale nucleare di Chernobyl in Unione Sovietica. Migliaia di bambini per decenni sono risultati affetti da gravi patologie derivate dalle radiazioni nocive che si sparsero nell’aria per migliaia di chilometri. 68 - Prima Parte
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Così come si sono verificati negli anni fenomeni di gravità enorme: petroliere che si sono inabissate nei nostri mari riversando il loro carico nocivo che, per decine di chilometri, sino alle coste ha portato alla distruzione della fauna marina e di tutto un eco-sistema; fabbriche che da anni emettono nell’aria gas tossici che si propagano ogni giorno in modo costante. Avete sentito parlare dell’Ilva di Taranto? È una fabbrica grossissima, molto importante per la nostra economia. Però si è dimostrato che dalle sue ciminiere escono, da anni, gas tossici che sono all’origine di gravi malattie che colpiscono gli abitanti di quella zona ed anche le piccole industrie agricole. È chiaro che se si inquina l’aria si inquina anche il terreno e, con esso, le piantagioni e l’erba che gli animali mangiano. S’inquinano così gli alimenti che arrivano sulle nostre tavole. È un effetto domino devastante. Dovete interessarvi a queste cose. Da anni si parla dell’eternit e dei suoi danni alla salute e all’ambiente. Eppure anche in molti dei nostri paesi è comune trovare tetti costruiti con questo materiale molto pericoloso. È un’incuria gravissima di cui sono responsabili anche coloro che dovrebbero intervenire per far eliminare queste fonti di danno e non lo fanno. E che dire del recente caso della “Concordia” che si è inabissata davanti all’isola del Giglio? Avete visto tutti quelle immagini che hanno fatto il giro del mondo. Oltre all’immensa gravità derivata dalla morte di decine di persone, dobbiamo ora fare i conti anche con il quasi certo disastro ambientale. A seguito delle norme comunitarie di cui abbiamo detto, in Italia sono state introdotte, in pochi anni, una serie di leggi molto importanti che hanno dettagliatamente regolato la tutela dei beni naturalistici, delle acque, dell’aria, del sottosuolo. Si può dire che oggi non c’è atto di utilizzazione di questi beni che non sia specificamente disciplinato dalla nostra legge in funzione dell’obiettivo fondamentale del rispetto dell’integrità dell’ambiente. E sono previste sanzioni severe anche sul piano penale. Alla norma deve seguire il rispetto del precetto. E lì è il vero problema. Troppo spesso si antepongono interessi economici, si bada alla quantità del prodotto, alla riduzione del costo di produzione a discapito dell’ambiente, in una visione egoistica che fa inorridire e rispetto alla quale soprattutto voi giovani dovete indignarvi e prendere una posizione netta di rifiuto e di avversione. Badate che anche atti a noi vicini possono essere gravemente deleteri per l’ambiente: un vecchio frigorifero -il cui motore magari funzionava con il gas- non si abbandona per via così come non si versano liquami nocivi nelle acque, non si lasciano piatti e bicchieri di plastica nei boschi. Interroghiamoci anche sui nostri comportamenti. Quelli che abbiamo riferito sono gesti non solo incivili ma anche illeciti. Sono fatti che costituiscono reato. Molte norme a tutela dell’ambiente erano già contenute nel codice penale del 1930. Oggi gran parte delle regole sono contenute nel Codice dell’Ambiente che è stato introdotto nel 2006 con il Decreto Legislativo n. 152. Si tratta di un testo che ha già avuto vari ritocchi come spesso accade in Italia. Esso si compone di centinaia di norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, disciplina e controllo degli scarichi, di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera. Si tratta di regole molto dettagliate e severe che, se fossero tutte rispettate, ci consentirebbero di preservare veramente l’ambiente per consegnarlo alle generazioni future. La parte finale del Codice dell’Ambiente si occupa della tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente. In essa trovano applicazione i principi comunitari di cui abbiamo già detto. Prima Parte - 69
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In particolare l’art. 300 definisce il danno ambientale come “ qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto ed indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”. “Ai sensi della direttiva CE 2004/35 costituisce danno ambientale il deterioramento provocato: a) alla specie ed agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria…; b) alle acque interne…; c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale...; d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente”. L’art. 301 applica il principio di precauzione e prevenzione per cui quando un soggetto si rende conto che c’è una situazione di rischio di danno ambientale ha l’obbligo di informare immediatamente il Comune, la Provincia, la Regione nonché il Prefetto che, nelle ventiquattrore successive, informa il Ministro dell’ambiente. In base all’art. 304 (azione di prevenzione) quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l’operatore interessato adotta, entro ventiquattrore ed a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza. Quando invece si è già verificato un danno ambientale, è previsto l’obbligo del ripristino: (art. 305) l’operatore deve adottare immediatamente tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi, anche sulla base di specifiche istruzioni formulate dalle autorità competenti. Il Ministro dell’ambiente può impartire appositi ordini in tal senso. E ciò che si è verificato recentemente all’isola del Giglio che ha visto la costante presenza del Ministro e del Capo della protezione civile -delegato dal Ministro- per coordinare immediatamente le iniziative necessarie per circoscrivere i danni derivati dall’inabissamento della Concordia. Chi deve sopportare i costi di questi danni immani? Il danneggiante (chi danneggia paga) sostiene i costi delle iniziative statali di prevenzione e di ripristino ambientale. È previsto (art. 311 del Codice) che il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisce -anche tramite la costituzione di parte civile nel processo penale- per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale. Cosa significa? Vuol dire che lo Stato dapprima creca di recuperare da chi ha prodotto il danno quanto necessario per ripristinare la situazione precedente. Se ciò, però, non è più possibile dal punto di vita naturalistico, allora si dovranno adottare misure di riparazione alternative e si parla anche di risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, da calcolarsi secondo criteri molto complicati. Ma il dramma è evidente: se chi ha commesso il danno non ha sufficienti risorse economiche per eliminarne gli effetti, cosa accadrà? Accadrà che non ci sarà alcuna riparazione effettiva del danno, anche perché quasi sempre lo Stato non ha fondi propri per intervenire ed eliminare a proprie spese il danno ambientale. Resta solo la punizione del fatto dal punto di vista penale che è una magra consolazione per la collettività. E, infatti, già prima qualcuno di voi mi ha fatto osservare che troppo spesso in Italia le pene non vengono effettivamente scontate. Rimane allora lo scempio. Del resto anche vicino a noi, a Copanello lo scempio ambientale è evidente: un eco-mostro da decenni deturpa orribilmente gli scogli meravigliosi di quella baia incantevole solo perché non sono mai stati trovati i fondi per abbatterlo. 70 - Prima Parte
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Dobbiamo essere d’accordo su un punto: non c’è alcuna giustificazione per chi inquina l’ambiente. L’inquinamento ambientale è un delitto, è un reato gravissimo che danneggia direttamente e immediatamente l’intera collettività e spesso estende i suoi effetti in un arco di tempo talmente consistente da coinvolgere anche le generazioni future. È un effetto devastante che tutti abbiamo il dovere di contrastare. Così come voi giovani dovete essere sensibili al rispetto di tutto ciò che è pubblico. Ogni giorno potete commettere reati molto gravi, anche all’interno della Scuola. L’art. 635 del codice penale punisce chi distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto in parte inservibili cose mobili o immobili. Si procede d’ufficio e la pena va da sei mesi a tre anni di reclusione se questi fatti sono commessi su edifici pubblici o destinati ad uso pubblico. La Scuola rientra in quest’ultimo caso. Quindi ogni qual volta distruggete (e vi capita spesso) arredi scolastici, bagni e loro accessori, porte e quant’altro, il Dirigente scolastico ha l’obbligo di segnalarlo alla Magistratura, che, d’ufficio, procederà contro il colpevole. Così com’è danneggiamento spargere la creolina, con l’aggravante, in questo caso, che, determinando anche la necessaria chiusura della Scuola per la bonifica, si commette anche un altro reato che è l’interruzione di un pubblico servizio. Piuttosto che punire il colpevole, è chiaro che sarebbe opportuno e necessario intervenire per prevenire questi comportamenti gravissimi, frutto di totale disinteresse verso il bene pubblico, di inqualificabile inciviltà, rispetto alla quale non vi può essere alcuna tolleranza. Non sono bravate giovanili, sono atti vandalici rispetto ai quali la nostra risposta deve essere di totale e ferma disapprovazione. Nessuna pietà per gli Unni. Il vostro compito è quello di isolarli non di imitarli. Ricordate sempre che si può finire davanti al Giudice anche per gesti che a voi sembrano normali e addirittura leciti. Mi riferisco ai graffiti. Esiste una norma specifica nel codice penale che è stata oggetto di recente modifica, con aggravamento delle pene, proprio a seguito dell’amara constatazione del dilagare di un fenomeno di brutale e gratuita aggressione dei beni pubblici da parte dei giovani. L’art. 639 c.p. punisce il deturpamento ed imbrattamento di cose altrui e prevede che se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati la pena è della reclusione da tre a sei mesi; la pena è da tre mesi ad un anno se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico. In questi casi si procede d’ufficio. Ciò significa che se un giovane è colto in flagranza di reato, magari nottetempo mentre con qualche amico balordo sta imbrattando muri o mezzi di trasporto, il processo e la condanna sono sicuri. Pensate a quei deficienti che imbrattano monumenti, spesso con sostanze tremende. Meritano una punizione esemplare. E le pene crescono, com’è giusto, ed arrivano sino a due anni di reclusione, in caso di recidiva, cioè se il soggetto ha già commesso un altro reato. Le norme prevedono che il Giudice, nel caso in cui il reo possa godere della sospensione della pena, subordini questo beneficio (che consente al colpevole di non scontare la pena se per un certo periodo non commetterà altri reati) alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose ovvero, udite bene, “alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal Giudice nella sentenza di condanna”. Si tratta di una sanzione di grandissima efficacia. Val la pena rovinare la propria vita e quella della propria famiglia? Lascio a voi le conclusioni. Da questo incontro vorrei che passasse un messaggio: l’indifferenza è un male terribile ed è alla base di comportamenti individuali che, messi insieme, creano criticità. Prima Parte - 71
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Mi spiace constatare che proprio voi giovani siete spesso protagonisti di atti di totale indifferenza verso l’ambiente. Quante volte il sabato sera le strade della Città, così come le aiuole o le panchine, sono inondate da rifiuti -carte unte di pizza, residui di panini o altro cibo veloce, lattine, bicchieri di carta, bottiglie- lasciati in giro, con vergognosa indifferenza, da gruppi di giovani e giovanissimi. Si tratta di comportamenti gravi e inaccettabili che rendono evidente la mancata acquisizione del senso di rispetto per il bene comune e, purtroppo, anche del senso di appartenenza ad una collettività che ha delle regole che vanno rispettate. Non c’è dubbio che se questi atti fossero immediatamente sanzionati come meriterebbero, si creerebbe un maggiore rispetto per l’ambiente. È amaro constatare che questo risultato possa essere raggiunto solo con la punizione: il nostro intento -attraverso l’educazione alla legalità quotidianamente praticata- è quello di far crescere nei giovani la sensibilità necessaria per arrivare al rispetto spontaneo delle regole. Quanto più si attiverà in voi questo meccanismo tanto più la nostra opera, e questa bella iniziativa dell’Unicef, non sarà stata vana. Nonostante tutto, io resto fiduciosa. Emma Izzi
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CODICE DELLA STRADA: Responsabilità verso se stessi e verso gli altri Il motto latino “ubi societas ibi ius” chiarisce come ogni attività umana inserita in un contesto sociale abbisogni di una produzione normativa che la regoli; in tal modo anche la circolazione dei veicoli sulla strada viene regolata, da tempo risalente, da corpi legislativi a tal fine previsti ed emanati. La prima legge di cui si ha traccia ad aver introdotto una regolamentazione in tal senso è stata la “Lex Iulia municipalis” che conteneva al suo interno alcune norme sulla circolazione stradale all’interno dell’Urbe. Lo sviluppo della rete stradale ed il proliferare di vetture che la percorrono ha reso necessario, via via nel tempo, una sempre più ampia produzione normativa, spesso contenuta in Codici espressamente dedicati a tal fine1. Si arriva così al “Nuovo codice della strada” (d.lgs. nº 285 del 1992 e successive modifiche) che rappresenta l’attuale insieme di norme che regolano la circolazione stradale. Ogni sforzo normativo è stato finalizzato a favorire la sicurezza della circolazione e l’incolumità dei fruitori della strada, così come enunciato nell’art. 1 dei “principi fondamentali”2. Per meglio comprendere le disposizioni degli articoli che saranno analizzati è bene esaminare preliminarmente alcuni istituti in essi previsti: la CONFISCA è la sottrazione definitiva del mezzo: se ne perde la proprietà e non viene più restituito; il SEQUESTRO è la fase che precede la confisca. Non si perde la proprietà del mezzo ma questo resta a disposizione del Prefetto che deciderà poi se restituirlo o disporre la confisca; il FERMO AMMINISTRATIVO consiste nel sottrarre temporaneamente il mezzo al proprietario e il mezzo viene custodito, a spesa del proprietario, in un deposito delle forze dell’ordine o presso un’autocarrozzeria autorizzata. La REVISIONE della patente viene disposta dal Prefetto e dalla Motorizzazione civile (spesso avviene quando si è commesso un incidente grave a causa del nostro errato comportamento di guida) e consiste nel verificare (mettere alla prova) se permangono ancora i requisiti fisici e psichici (vista, udito, riflessi, ecc.) e le capacità tecniche (conoscere la segnaletica e saper guidare correttamente) per continuare a mantenere la patente posseduta. La REVOCA della patente viene disposta dal Prefetto, dalla Motorizzazione civile e anche dall’Autorità Giudiziaria e consiste nell’annullamento permanente della patente (la patente viene definitivamente tolta). Il RITIRO IMMEDIATO della patente viene disposto dagli agenti del traffico (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, ecc.) quando accertano delle irregolarità non gravi e consiste nel ritiro provvisorio della patente. La patente viene restituita quasi subito, dopo l’adempimento delle prescrizioni (a meno che non si debba procedere alla sospensione della patente). La SOSPENSIONE della patente viene disposta dal Prefetto, dalla Motorizzazione civile e dall’Autorità Giudiziaria e consiste nel privare (vietare) di condurre veicoli per un determinato 1 Regolamento per la circolazione delle automobili sulle strade ordinarie (Regio Decreto n. 416 28 luglio 1901); Regolamento di polizia stradale e per garantire la libertà della circolazione e la sicurezza del transito sulle strade pubbliche (Regio Decreto nº 24 del 8 gennaio 1905); Legge nº 798 del 30 giugno 1912 determina le norme sulla circolazione delle automobili; Testo Unico sulla circolazione stradale (d.P.R. nº 393 15 giugno1959). 2 “La sicurezza delle persone, nella circolazione stradale, rientra tra le finalità primarie di ordine sociale ed economico perseguite dallo Stato. (…). Le norme e i provvedimenti attuativi si ispirano al principio della sicurezza stradale, perseguendo gli obiettivi: di ridurre i costi economici, sociali ed ambientali derivanti dal traffico veicolare; di migliorare il livello di qualità della vita dei cittadini anche attraverso una razionale utilizzazione del territorio; di migliorare la fluidità della circolazione.”
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periodo (da un minimo di 15 giorni fino ad un massimo di 5 anni; dipende dal tipo di violazione). Si possono ora analizzare nel dettaglio alcuni articoli che riguardano la circolazione stradale con particolare riferimento ai mezzi a due ruote, in special modo per quanto riguarda il trasporto del passeggero e l’uso del casco.3 4 Il Codice punisce ogni condotta o situazione che possa costituire un intralcio alla guida (trasporto passeggeri o animali) ovvero che possa mettere a repentaglio l’incolumità di chi utilizza un mezzo a due ruote (mancato uso del casco) o, in generale, costituire un pericolo per se o per gli altri utenti della strada. È bene ricordare che i minori di età non possono trasportare passeggeri e, soprattutto, che il casco deve essere considerato un accessorio irrinunciabile, a prescindere da ogni conseguenza sanzionatoria. Prima di proseguire nell’analisi degli articoli che qui interessano è bene premettere che esistono, come conseguenza di condotte imprudenti o comunque vietate, diversi profili di responsabilità: una RESPONSABILITÀ CIVILE (dalla quale normalmente gli utenti della strada sono sollevati in virtù dell’obbligo di sottoscrivere una polizza assicurativa); una RESPONSABILITÀ PENALE (che in virtù dell’articolo 27 della Costituzione è personale). L’ultima modifica del Codice della strada entrata in vigore è del 30/07/2010, essa prevede norme più rigide per la guida in stato di ebbrezza5 e per la somministrazione di alcolici nei locali pubblici. Queste sono le tre novità fondamentali della nuova normativa contro l’abuso di alcol: - L’obbligo per i locali pubblici che rimangono aperti dopo le 24:00, di dotarsi di un etilometro da mettere a disposizione del cliente. - Tasso alcolico zero per chi ha meno di 21 anni o ha conseguito la patente da meno di tre anni. - Divieto assoluto di alcol anche per i guidatori professionali e i conducenti di veicoli per il trasporto di persone o cose con massa a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate6. Il Codice della strada prevede a tal proposito diverse ipotesi di stato di ebbrezza a seconda della gravità riferita al tasso di alcol nel sangue, suddivise in tre fondamentali categorie: - tasso alcolemico superiore a 0,50 grammi/litro e non superiore a 0,80;7 - tasso alcolemico superiore a 0,80 grammi/litro e non superiore a 1,50;8 - tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi/litro.9 Gli organi di Polizia stradale, nel rispetto della riservatezza personale e senza pregiudizio per l’integrità fisica, possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili (ETILOMETRO), l’accertamento si effettua mediante l’analisi dell’aria alveolare espirata. La concentrazione dovrà risultare da almeno due determinazioni concordanti, che vengono effettuate ad un intervallo di tempo di 5 minuti. L’etilometro, oltre a visualizzare i risultati delle misurazioni e dei controlli, deve anche, mediante apposita stampante, fornire la corrispondente prova documentale. Quando le prove qualitative hanno dato esito positivo, gli organi di Polizia stradale hanno la facoltà di effettuare ulteriori accertamenti con strumenti e procedure determinati 3 Art. 170. Trasporto di persone e di oggetti sui veicoli a motore a due ruote. 4 Art. 171. Uso del casco protettivo per gli utenti di veicoli a due ruote. 5 Art. 186. Guida sotto l’influenza dell’alcool 6 Art. 186-bis. Guida sotto l’influenza dell’alcool per conducenti di età inferiore a ventuno anni, per i neo-patentati e per chi esercita professionalmente l’attività di trasporto di persone o di cose 7 sanzione amministrativa da 500 a 2.000 euro e la sospensione della patente da 3 a 6 mesi con decurtazione di 10 punti. 8 ammenda (sanzione pecuniaria penale per le contravvenzioni) da 800 a 3.200 euro, l’arresto fino a 6 mesi, sospensione della patente da 6 a 12 mesi con decurtazione di 10 punti. 9 ammenda da 1.500 a 6.000 euro, arresto da 3 a 12 mesi, sospensione della patente da 12 a 24 mesi, decurtazione di 10 punti e confisca del veicolo con sentenza di condanna. Non si applica la confisca del veicolo nel caso in cui questo appartenga a persona estranea al reato; in tal caso è previsto il raddoppio della durata della sospensione della patente.
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dal regolamento, presso il più vicino ufficio o comando. Per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti a cure mediche, l’accertamento viene effettuato da parte di strutture sanitarie adeguate, le quali, rilasciano agli organi di Polizia stradale la relativa certificazione, assicurando il rispetto della riservatezza dei dati in base alle vigenti disposizioni di legge. Per i conducenti fermati in stato di ebbrezza, che non abbiano provocato incidenti: su richiesta al prefetto la pena detentiva o pecuniaria può essere sostituita, per non più di una volta, con lavori di pubblica utilità, effettuati prioritariamente nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale. La durata è pari alla sanzione detentiva irrogata e alla conversione della pena pecuniaria che vale 250 euro per giorno di lavoro. Una delle citate novità introdotte dalla normativa finalizzata a combattere l’abuso di alcol prevede il divieto assoluto di mettersi alla guida dopo aver bevuto alcolici per chi ha meno di 21 anni o ha conseguito la patente da meno di 3 anni, è prevista in caso contrario un’ammenda fino a 624 euro (che raddoppia in caso di incidente), con revoca della patente e confisca del mezzo, nei casi più gravi. Se il tasso alcolemico risulta tra lo 0.5 g/l e lo 0,8 g/l le pene sono aumentate di un terzo. Qualora dall’accertamento risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per litro (g/l), l’interessato è considerato in stato di ebbrezza ai fini dell’applicazione delle sanzioni sopra citate. Salvo che non sia disposto il sequestro ai sensi del Comma II ovvero in caso di tasso alcolico superiore a 1,50 gr/l, il veicolo non può essere condotto dalla persona in stato di ebbrezza, per cui se non è disponibile altra persona in grado di prenderlo in consegna e condurlo, e ove non sia possibile provvedere diversamente può essere fatto trasportare fino al luogo indicato dall’interessato o fino alla più vicina autorimessa e lasciato in consegna al proprietario o al gestore di essa con le normali garanzie per la custodia. Le spese per il recupero ed il trasporto sono interamente a carico del trasgressore. Con l’ordinanza con la quale viene disposta la sospensione della patente, il prefetto ordina che il conducente si sottoponga a visita medica, che deve avvenire nel termine dei sessanta giorni. Qualora il conducente non vi si sottoponga entro il termine fissato, il prefetto stesso, può disporre per via cautelare, la sospensione della patente di guida fino all’esito della visita medica. Nei confronti di chi si rifiuta di sottoporsi agli accertamenti per la verifica del tasso alcolemico (o delle condizioni di alterazione psicofisica correlata a sostanza stupefacenti o psicotrope), vengono applicate le stesse sanzioni previste per chi viene trovato alla guida in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico nel sangue superiore 1,5 grammi per litro; il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti comporta inoltre il sequestro preventivo del veicolo, salvo appartenga a persona estranea al reato. In caso di recidiva nei due anni precedenti è prevista inoltre la revoca della patente di guida. Se le guida in stato di ebbrezza è commessa alla guida di motoveicoli o ciclomotori, con un tasso alcolemico non superiore a 1,5 gr/l, si procede al loro sequestro Se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le pene sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per 180 giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato. Se il tasso alcolemico è superiore a 1,5 gr/l è sempre disposto il sequestro penale al quale segue la confisca applicata con sentenza di condanna. Le previsioni riguardanti la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti ricalcano sostanzialmente quelle delineate supra per la guida in stato di ebbrezza relativamente all’ipotesi più grave, quella, cioè, prevista per chi si metta alla guida con un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi/litro. Prima Parte - 75
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E’ appena il caso di sottolineare come le sanzioni penali finora analizzate siano extracodicistiche, al di fuori, cioè, dalle statuizioni contenute nel Codice penale essendo state introdotte con Legge speciale e rappresentano misure finalizzate alla prevenzione degli incidenti stradali, con particolare riferimento a quelli conseguenti alla guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Le norme invece contenute nel Codice penale, in riferimento alla circolazione stradale, sono sostanzialmente riconducibili agli artt. 58910 e 59011 che contengono, peraltro, delle aggravanti specifiche ad effetto speciale con particolare riferimento alla violazione delle norme sulla circolazione stradale ed, ulteriormente, quando i fatti previsti sono commessi da soggetti in stato di ebbrezza ovvero sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Così per quanto attiene al reato di lesioni colpose è previsto al III comma “..Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (…) la pena per le lesioni gravi è della reclusione da 3 mesi a un anno o della multa da Euro 500 a euro 2000; e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da 1 a 3 anni.” ed ancora al IV comma “..Nei casi di violazione delle norme sulla circolazione stradale, se il fatto è commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lettera C, del DLgs 30 aprile 1992, n.285, e successive modificazioni, ovvero da soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da 6 mesi a 2 anni e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da 1 anno e 6 mesi a 4 anni.” Analogamente per l’omicidio colposo al II comma è previsto che “..Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (…) la pena è della reclusione da 2 a 7 anni.” ed al comma successivo “..Si applica la pena della reclusione da 3 a 10 anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186 comma 2 lettera C, del DLgs. 30 aprile 1992 n. 285, e successive modificazioni; 2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.” Come visto, dunque, l’evento omicidiario conseguente alla violazione delle norme sulla circolazione stradale è, per esplicita previsione codicistica e per tradizionale giurisprudenza, riconducibile al reato di omicidio colposo; sennonché una recente Sentenza della Cassazione12 ha introdotto un’importante innovazione della materia stabilendo che in alcuni casi13 sia invece configurabile l’omicidio volontario a titolo di dolo eventuale; ciò sulla base della considerazione di una prognosi probabilistica che il soggetto agente è tenuto a compiere ponendosi alla guida; in altri termini viene enunciato il principio secondo cui in particolari condizioni il soggetto agente non può non prefigurarsi la concreta possibilità, se non probabilità, che l’evento possa effettivamente accadere ed accettare conseguentemente il rischio della sua effettiva realizzazione. La sentenza in parola apre alla necessità di una non sempre agevole indagine psicologica da compiersi da parte del Giudice sul soggetto agente al fine di stabilire se ci si trovi in una situazione di “colpa cosciente” ovvero di “dolo eventuale”; 10 ����������������������������� Art. 589 cp- Omicidio colposo ����������������������������������������� Art. 590 cp- Lesioni personali colpose 12 ������������������������������������������� Cassazione I sez penale n. 10411 25-03 2011 13 ������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ Pronunciandosi in tema di configurabilità dell’omicidio volontario e non colposo conseguente ad un sinistro stradale, la Cassazione (sent. n. 10411/2011) ha affermato che “La delicata linea di confine tra il “dolo eventuale” e la “colpa cosciente” o “con previsione” e l’esigenza di non svuotare di significato la dimensione psicologica dell’imputazione soggettiva connessa alla specificità del caso concreto, impongono al giudice di attribuire rilievo centrale al momento dell’accertamento e di effettuare con approccio critico un’acuta, penetrante indagine in ordine al fatto unitariamente inteso, alle sue probabilità di verificarsi, alla percezione soggettiva della probabilità, ai segni della percezione del rischio, ai dati obiettivi capaci di fornire una dimensione riconoscibile dei reali processi interiori e della loro proiezione finalistica. Si tratta di un’indagine di particolare complessità, dovendo si inferire atteggiamenti interni, processi psicologici attraverso un procedimento di verifica dell’id quod plerumque accidit alla luce delle circostanze esteriori che normalmente costituiscono l’espressione o sono, comunque, collegate agli stati psichici”.
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il risultato di tale indagine è fondamentale per la configurazione del reato per cui dovrà rispondere il soggetto: omicidio colposo nel primo caso, omicidio volontario nel secondo caso con conseguenze di non poca gravità.14 Com’è noto, infatti, la differenza tra colpa cosciente e dolo eventuale è molto sottile e si basa sostanzialmente sull’accettazione del rischio della possibilità del verificarsi dell’evento; mentre la colpa cosciente, che è la fattispecie più grave di colpa, si sostanzia nella previsione della possibilità che l’evento si verifichi ma nella convinzione che in concreto non si verificherà, il dolo eventuale, accanto alla previsione della possibilità che l’evento si verifichi, comporta l’accettazione di tale rischio. Si tratta di una differenza sottilissima e tutta rinchiusa nello stato psicologico del soggetto agente la cui indagine è estremamente complicata e difficoltosa, e pone al teorico ed all’operatore del diritto ulteriori problemi interpretativi.15 Tale situazione di incertezza sarebbe facilmente risolvibile se il Legislatore decidesse di introdurre finalmente, come da più parti auspicato, l’autonoma figura di reato di “Omicidio stradale”; l’allarme sociale generato dall’alto numero di vittime che ogni anno viene mietuto sulle strade ben meriterebbe, infatti, di essere accolto in tale produzione legislativa.16 Ciò che in ogni caso non dovrebbe essere mai scordato è che una condotta prudente e rispettosa delle regole, indipendentemente da ogni minaccia sanzionatoria, potrebbe ridurre drasticamente il numero delle tante, troppe persone che ogni anno perdono la vita sulla strada. Ricordiamoci di non metterci alla guida se abbiamo bevuto e che chiunque abbia avuto un incidente grave probabilmente pensava che non sarebbe potuto succedere proprio a lui. Pensiamo sempre a chi viaggia con noi o ci aspetta a casa: il rispetto delle norme sulla circolazione è un atto d’amore nei confronti di chi ci vuole bene e ricordiamo che ogni “sconosciuto” che circola sulla strada ha una famiglia, degli affetti, delle persone care che lo aspettano proprio come noi. Giuseppe De Venuto
14 ���������������������������������������������������������������������������������������������������������������� Art. 575 cp – omicidio Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21. 15 ���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� Si dovrebbe a questo punto indagare ulteriormente sull’evento che viene prefigurato dal soggetto agente; per amore di paradosso se il soggetto agente si prefigurasse non la possibilità di uccidere qualcuno ma eventualmente di procurargli delle lesioni, accettandone il rischio, e si dovesse realizzare un evento omicidiario allora si dovrebbe configurare non l’omicidio volontario ma l’omicidio preterintenzionale come conseguenza di lesioni volontarie a titolo di dolo eventuale. 16 ����������������������������������������������������������������������������������� Dal 2007 al 2010 la media è di 4.546 morti in conseguenza di incidenti stradali!!!
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SOSTANZE D’ABUSO: droghe e alcol CANNABIS INDICA I principi psicoattivi raggiungono la massima concentrazione nella resina, che trasuda dalla sommità delle infiorescenze (soprattutto della pianta femminile), sono presenti in misura minore nelle foglie, sono praticamente assenti nel fusto e nei semi. I principi farmacologicamente attivi della Cannabis sono i cannabinoidi, un gruppo di composti chimici a struttura ciclica a 21 atomi di carbonio; tra di essi, il d-9-tetraidrocannabinolo (THC) è l’unico ad avere azione stupefacente.
DERIVATI DELLA CANNABIS La MARIJUANA è costituita da un miscuglio di infiorescenze e di foglie mature essiccate, di colore verdastro-bruno, che sono tritate e fumate, miste a tabacco, in sigarette artigianalmente confezionate, dette spinelli. Nettamente più potente l’attività stupefacente dell’HASHISH, che si ottiene dalla resina pura, estratta dalle sommità fiorite della pianta femminile, lavorata e ridotta a forma di tavolette o di bastoncini di diverso colore. Effetti Della Cannabis • Gli effetti dello spinello, estremamente variabili da soggetto a soggetto, si manifestano in genere dopo 10-30 minuti e vengono dissipati in 3-4 ore. • Come quasi tutte le droghe, quando il THC entra nel cervello produce immediatamente euforia, agendo sul sistema di gratificazione e stimolando così il rilascio di dopamina. • Il consumatore abituale di cannabis avverte inizialmente sensazioni di tipo eccitatorio: euforia, loquacità, tachicardia, aumento dell’attività intellettuale, allucinazioni di tipo piacevole; quindi subentrano rilassatezza e sonnolenza. • Gli effetti possono essere sgradevoli in chi invece assume la cannabis per la prima volta; in tal caso possono infatti prevalere angoscia, perdita di memoria, cardiopalmo, astenia profonda, confusione mentale, depersonalizzazione. Danni conseguenti all’uso cronico di cannabis: • Perdita della memoria • Difficoltà nell’apprendimento • Deficit dell’attenzione e della concentrazione • Deficit della coordinazione motoria e dell’equilibrio • Bronchite cronica • Cancro del polmone • Danni neuronali in alcune aree cerebrali • Danni al feto
COCAINA La cocaina è un alcaloide estratto dalle foglie della Erythroxylon coca, la cui coltivazione è tipica del Sud America. La cocaina è assunta generalmente per via inalatoria sotto forma di polvere (sniffing), ma può essere anche fumata (Crack) o assunta per via 78 - Prima Parte
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orale o endovenosa. Effetti della cocaina • La cocaina blocca la ricaptazione della dopamina, liberata dalle terminazioni nervose, esplicando pertanto a livello del sistema nervoso centrale in una stimolazione di lunga durata, con una conseguente azione di tipo eccitatorio. • Dopo l’assunzione il soggetto presenta: euforia, loquacità, disinibizione, diminuzione del senso di fatica, della fame e del sonno, aumento della pressione e del ritmo cardiaco, ipereccitazione fisica e psichica. Danni da cocaina Il consumo cronico di cocaina può provocare: • Depressione • Agitazione e attacchi di panico • Psicosi • Infarto • Aritmie • Emorragia cerebrale Danni cerebrali da cocaina (PET scanner)
EROINA L’eroina è un derivato semisintetico dell’oppio, lattice ottenuto per incisione dalla capsula della pianta di Papaver somniferum, la cui coltivazione è possibile nelle zone subtropicali. Nell’oppio sono presenti numerosi alcaloidi, l’eroina è ottenuta mediante acetilazione della morfina. L’assunzione della polvere, di colore bianco, beige o marrone, nella quale l’eroina e mischiata ad altre sostanze, avviene generalmente per via endovenosa, ma la sostanza può anche essere fumata o sniffata. Effetti dell’eroina • L’assunzione di eroina provoca: rush, reazione intensa e piacevole simile all’orgasmo e poi assenza di dolore, sonnolenza, offuscamento mentale, depressione del respiro. • L’intossicazione acuta prende il nome di overdose e si manifesta con: grave depressione respiratoria, calo della pressione arteriosa, le pupille sono puntiformi e la temperatura corporea si abbassa, se non trattata immediatamente la morte sopraggiunge per insufficienza respiratoria ed edema polmonare acuto. Eroina: tolleranza e astinenza • Dopo alcuni giorni dall’inizio dell’assunzione il soggetto sviluppa la dipendenza fisica, cioè la necessità di riassumere la sostanza per non precipitare nella sindrome di astinenza, che si verifica dopo alcune ore dall’ultima assunzione e raggiunge il suo acme dopo 24-48 ore. • La sindrome d’astinenza è caratterizzata da tremori, sudorazione, piloerezione, lacrimazione, anoressia, dilatazione delle pupille, febbre, iperpnea, insonnia, sbadigli, crampi addominali, diarrea e vomito. • Alla dipendenza fisica è legato il fenomeno della tolleranza, che comporta la Prima Parte - 79
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necessità di aumentare la dose per riuscire a riprovare gli effetti gratificanti. Danni da eroina • Epatite da virus B e C --> cirrosi • Infezione da HIV --> AIDS • Infezioni batteriche • Ascessi • Trombizzazione dei vasi venosi • Infezioni delle valvole cardiache • Overdose
ALCOLEMIA Consiste nella concentrazione di alcol etilico nel sangue. Si misura in grammi per litro di sangue. Il tasso alcolemico o alcolemia è influenzato da: • quantità di alcol assunto • modalità di ingestione, a digiuno o durante il pasto • tempo trascorso dall’assunzione • gradazione alcolica della bevanda • peso del bevitore • sesso • età • stato di salute • etnia In Italia il tasso alcolemico consentito alla guida è di 0,5 g/l. Zero alcol per minori di 21 anni, neopatentati e conducenti professionisti.
ALCOL E DROGHE AL VOLANTE Gli incidenti stradali rappresentano la prima causa di morte nei giovani di età compresa fra i 15 e i 35 anni. Gli incidenti del venerdì e sabato notte: • sono estremamente pericolosi, con un indice di mortalità molto elevato • più del 60% delle persone coinvolte ha meno di 30 anni e il 90% è di sesso maschile • sono più frequenti nei grandi centri urbani e nell’Italia del Nord • le ore più pericolose sono quelle dopo la mezzanotte Alcol: Si stima che il 40% delle morti in incidenti stradali sono direttamente correlate all’alcol. Droghe: Le sostanze stupefacenti rilevate sono, in ordine di frequenza, cannabis, cocaina, amfetamine, eroina e farmaci. Le sostanze psicoattive, da sole o mescolate: • Alterano le normali funzioni del corpo e della mente. • Riducono le prestazioni alla guida. • Aumentano il rischio di incidenti stradali. Effetti sulla guida: • Errata percezione del rischio e del pericolo (passare con il giallo) • Riduzione del controllo sulle azioni e sulla realtà circostante 80 - Prima Parte
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Riduzione del campo visivo (visione a tunnel) Errata valutazione delle distanze e della velocità (sorpassi azzardati) Effetti anestetici Aumento della sensibilità all’abbagliamento (incidenti di sera e nelle gallerie) Alterazione della coordinazione motoria (freni, frecce, fari) Errata percezione della realtà (allucinazioni) Rallentamento dei tempi di reazione (frenata) Riduzione della capacità di concentrazione (sonno, distrazione) Il cocktail di sostanze aumenta il rischio. 1) Droghe al volante. Sostanze down. Sedative (Cannabinoidi -cannabis- e Oppiacei -es. eroina, morfina-) • influenzano l’attività del nostro cervello • riducono la concentrazione • provocano sonnolenza • possono provocare perdita di coscienza e morte Alla guida: • sottovalutazione delle situazioni di pericolo • sopravvalutazione delle proprie capacità • alterazione della coordinazione dei movimenti • difficoltà a valutare distanza, velocità, visibilità. 2) Droghe al volante. Sostanze up. Stimolanti (Popper, Ecstasy e Metanfetamine; Anfetamine e Cocaina) • agiscono sul sistema nervoso centrale • aumentano il battito cardiaco, la pressione del sangue e la temperatura corporea • danno un’iniziale sensazione di euforia, eccitazione e sicurezza • riducono la stanchezza e la fame Alla giuda: • sottovalutazione delle situazioni di pericolo • sopravvalutazione delle proprie capacità • alterazione della coordinazione dei movimenti • difficoltà a valutare distanza, velocità, visibilità • rischio di flashback, molto pericoloso per la guida perché inatteso 3) Droghe al volante. Sostanze flash. Allucinogene (LSD, Ketamina) • alterano le percezioni • fanno sentire o vedere cose non reali o distorcono la realtà • nelle fasi del “viaggio” da LSD si può passare dall’euforia al panico • i sintomi si possono ripetere anche senza una nuova assunzione Alla guida: • sottovalutazione delle situazioni di pericolo • sopravvalutazione delle proprie capacità • alterazione della coordinazione dei movimenti • difficoltà a valutare distanza, velocità, visibilità • rischio di flashback (LSD), pericoloso per la guida perché inatteso Prima Parte - 81
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4) Alcol al volante. • Visione a tunnel. L’alcol provoca il progressivo restringimento del campo visivo (dalla vista scompare ciò che è laterale). • Ritardo del tempo di frenata. Aumentano i metri che si percorrono prima di cominciare a frenare. • Abbagliamento. La luce è percepita con più intensità e chi guida è portato a chiudere gli occhi e lasciare il volante. • Falso apprezzamento delle distanze. La presenza di alcol nel sangue influenza la corretta percezione delle distanze: in caso di frenata brusca, un guidatore con alcolemia appena superiore a 0.5 che viaggia a 100 km/h, si ferma in media 20 metri più in là di un guidatore sobrio. Maggiore è la quantità di alcol nel sangue, più alto è il rischio. - Il rischio di incidente è 11 volte superiore con un tasso alcolemico tra 0,5 e 0,9 g/l - Il rischio di incidente è 380 volte superiore quando il tasso alcolemico è pari o superiore a 1,5 g/l
COSA DICE LA LEGGE: Codice della strada e tossicodipendenza La patente di guida non deve essere rilasciata o confermata: • ai candidati o ai conducenti che si trovino in stato di dipendenza attuale da alcol o da sostanze psicoattive • a persone che consumino abitualmente sostanze capaci di compromettere la loro idoneità a guidare senza pericoli. Nel caso di dipendenza passata e non più attuale: la commissione medica locale, sulla base di idonei accertamenti clinici e di laboratorio, può esprimere parere favorevole al rilascio o alla conferma della patente di guida. Guida sotto l’effetto di alcol È vietato guidare in stato di ebbrezza (art. 186 del Codice della Strada): a) tasso “O” per chi a meno di 21 anni o ha conseguito la patente da meno di 3 anni e per i guidatori professionisti; sanzione da 155 a 624 euro b) alcolemia superiore a 0,5 g/l e non superiore a 0,8 g/l: sanzione da 500 a 2.000 euro; sospensione della patente da 3 a 6 mesi c) alcolemia superiore a 0,8 g/l e non superiore a 1,5 g/l: sanzione da 800 a 3.200 euro; arresto fino a 6 mesi; sospensione della patente da 6 mesi a 1 anno d) alcolemia superiore a 1,5 g/l: sanzione da 1.500 a 6.000 euro; arresto da 6 mesi a un anno; sospensione della patente da 1 a 2 anni. Se la stessa persona compie più violazioni nel corso di un biennio, o quando la violazione è commessa da un conducente professionista, la patente viene revocata. E’ previsto sequestro del veicolo. Le pene sono raddoppiate se il conducente in stato di alterazione provoca un incidente stradale ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per 180 giorni. Per i conducenti fermati in stato di ebbrezza, che non abbiano provocato incidenti, la pena detentiva o pecuniaria può essere sostituita con lavori di pubblica utilità, effettuati nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale. 82 - Prima Parte
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La guida in stato di ebbrezza e/o il rifiuto a sottoporsi all’accertamento dell’alcolemia comportano la decurtazione di 10 punti della patente, per i guidatori a “tasso O” i punti sono 5. I punti raddoppiano nei primi 3 anni di patente. Modalità di accertamento Analisi dell’aria espirata: se la concentrazione di alcol supera 0,5 grammi per litro (g/l), oppure 0 (g/l) per conducenti minori di 21 anni, neopatentati e guidatori professionisti, il soggetto è ritenuto in stato di ebbrezza; in caso di test positivo la rilevazione deve essere ripetuta dopo un intervallo di tempo di 5 minuti Rifiuto dell’accertamento • sanzione pecuniaria da euro 1.500 a euro 6.000 e arresto da 3 mesi a un anno • sospensione della patente per un periodo da 6 mesi a 2 anni • se il fatto commesso da un soggetto già condannato nei 2 anni precedenti per lo stesso reato la patente viene revocata • confisca del veicolo • per i conducenti di età inferiore ai 21 anni, per i neopatentati e per i guidatori professionisti sanzione pecuniaria da euro 2.000 a euro 9.000 e arresto da 8 a 18 mesi. Revisione della patente Con l’ordinanza di sospensione il prefetto ordina al conducente di sottoporsi a visita medica di revisione della patente di guida presso la Commissione medica provinciale Guida sotto l’effetto di stupefacenti Sanzioni (art. 187 del C.d.S.): • sanzione da euro 1.500 a euro 6.000, arresto da sei mesi a un anno e sospensione della patente di guida per un periodo da 1 a 2 anni • il prefetto ordina al conducente di sottoporsi a visita medica di revisione della patente presso la Commissione medica provinciale • se la stessa persona compie più violazioni nel corso di un triennio, o quando la violazione è commessa da conducente professionista, la patente viene revocata • è previsto la confisca del veicolo • le pene sono raddoppiate e la patente è sempre revocata se il conducente in stato di alterazione provoca un incidente stradale • Per i conducenti fermati in stato di ebbrezza, che non abbiano provocato incidenti, la pena detentiva o pecuniaria può essere sostituita con lavori di pubblica utilità, effettuati nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale. Accertamento • nel caso in cui le forze di polizia ritengano che via sia una manifesta sintomatologia • in caso di rifiuto si applica quanto previsto dall’art. 186 Modalità di accertamento • accertamenti qualitativi non invasivi o prove anche attraverso apparecchi portatili (narco-test) • prelievo e analisi di urina o sangue in strutture idonee. Federico Bonacci Prima Parte - 83
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DIRITTO ALLA SALUTE Definizione di Salute nelle Carte Fondamentali Nel luglio del 1946 durante la Conferenza di New York, viene elaborata la Carta Costituzionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Al punto 1 di tale carta c’è la ormai celeberrima definizione di salute: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico, mentale e sociale, e non consiste soltanto nell’assenza di malattia o infermità”. Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (Assemblea Generale O.N.U. 10 Dicembre 1948) Art. 25 1. Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. 2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale. La Costituzione Italiana Art. 2. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Art. 13. “La libertà personale è inviolabile”. Art. 32. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Il Servizio Sanitario Nazionale La completa realizzazione dell’art. 32 della Costituzione si ha solo nel 1978 con la legge n. 833 di Riforma Sanitaria con la quale è istituito il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) basato sui principi di universalità, globalità e sussidiarietà. Lo Stato deve garantire a tutti i cittadini i Livelli Essenziali di Assistenza (L.E.A) nel rispetto di 5 fondamentali principi: • la dignità della persona umana; • il bisogno di salute; • l’equità nell’accesso all’assistenza sanitaria; • la qualità ed appropriatezza delle cure, con riguardo alle specifiche esigenze; • l’economicità nell’impiego delle risorse.
Carta Dei Diritti Fondamentali Dell’unione Europea (2000) Art. 3 - Diritto all’integrità della persona “1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. 2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: - il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla 84 - Prima Parte
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legge, - il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone, - il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, - il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani.” Articolo 35 - Protezione della salute “Ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana.”
IL CONSENSO INFORMATO Fino al 1800: • confini tra medicina e magia sfumati • medico depositario di un sapere inaccessibile Progressi scienze mediche: • ancora fino a 40 anni fa modello del paternalismo medico Ai giorni nostri: • Crescita culturale e divulgazione scientifica, favorita dai mass-media. • Paziente più conscio dei suoi diritti. • Esigenza deontologica e giuridica del consenso informato nella pratica della medicina. • Il bisogno crescente di informazione da parte del paziente è contrastato paradossalmente dagli stessi progressi socio-sanitari. • L’attività medica è diventata servizio pubblico. • Dimensione tecnologica della medicina. • È privilegiata la qualità tecnica dell’intervento a svantaggio del rapporto interpersonale. La relazione di cura è diventata un incontro impersonale ed anonimo, umanamente carente e privo di coinvolgimento emotivo, tra prestatore e fruitore d’opera. • Rapporto medico paziente fortemente squilibrato dalla grande differenza di competenza tecnica. - È necessario riequilibrare questa relazione ponendo il malato, attraverso una corretta informazione, nelle condizioni di formarsi una volontà per scegliere tra le varie opzioni di cura proposte. Perciò l’informazione da parte del medico dovrà comprendere una breve descrizione della metodica indicata, le eventuali alternative, le finalità, le possibilità di successo, i rischi, gli effetti collaterali. Necessità di informazione personalizzata: le nozioni devono essere adeguare alla capacità di comprensione del paziente. - Nei casi più importanti (es., interventi chirurgici) è opportuno documentare la volontà del paziente: consenso scritto. Però l’esistenza di un documento firmato non sostituisce la necessità di una corretta adeguata informazione del paziente. Federico Bonacci
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AREA TEMATICA: DIRITTO DI FAMIGLIA
IL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA La famiglia nasce da un patto d’amore, ma per qualsiasi ordinamento giuridico è un contratto e, come tale, fonte di diritti e di doveri. Invero, la famiglia può essere costituita di fatto, può nascere con matrimonio civile, con matrimonio canonico, con matrimonio concordatario. A parte la definizione di “famiglia di fatto” di evidente intuizione, il matrimonio civile è quello stipulato da un ufficiale di stato civile e che, per volontà e scelta dei nubendi, non ha effetti religiosi. Viceversa, il matrimonio canonico produce effetti solamente all’interno dell’ordinamento canonico, quindi ha effetti solamente religiosi: «Il patto matrimoniale [...] è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento» (can. 1055). Il matrimonio concordatario, infine, è quello che ha contemporaneamente effetti civili e religiosi, in virtù del Concordato tra Stato e Chiesa stipulato la prima volta l’11 febbraio 1929 tra il Regno d’Italia e la Santa Sede e “rinnovato” il 18 febbraio 1984 tra lo Stato Italiano e la Santa Sede. Comunque venga costituita, la famiglia, si è detto, è fonte di diritti e di doveri: l’amore e la concordia impediscono che tali aspetti giuridici emergano, ma non appena una qualsiasi patologia del rapporto intacchi l’equilibrio familiare, le norme intervengono (o emergono) per cercare di ripristinare l’equilibrio stesso o, comunque, ad evitare che il vincolo costringa un componente ad essere vittima della sopraffazione di un altro componente la famiglia. Ebbene, nel nostro ordinamento la tutela della famiglia è garantita dalla Carta Costituzionale, che la colloca nella parte prima “diritti e doveri dei cittadini”, al titolo II “rapporti etico-sociali”, precisamente agli artt. 29, 30, 31. Quindi, la famiglia è collocata nell’ambito della disciplina dei diritti e doveri dei cittadini, e, poi, nell’ambito dei rapporti etico-sociali: gli altri diritti tutelati nel corpo dello stesso titolo sono la salute, l’istruzione e l’educazione. La famiglia, pertanto, è considerata come fucina di rapporti meritevoli di tutela di rango costituzionale. Art. 29: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare». L’art. 29 della Costituzione riconosce i “diritti della famiglia” come “società naturale fondata sul matrimonio” e dunque sancisce l’assoluta autonomia del nucleo familiare nei confronti dello Stato in tutte le determinazioni quotidiane. La famiglia, però, è foriera e generatrice di altri rapporti: quelli con la prole. Certo è un rapporto eventuale, dettato dalla sopravvenienza di prole, ma l’ordinamento ha dettato le regole, individuando e disciplinando diritti e doveri. Art. 30: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità». Invero, l’art. 30 al primo comma dichiara che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio” e al secondo comma aggiunge che “nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”. 86 - Prima Parte
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Emerge con evidente chiarezza che i figli sono tutelati indipendentemente dall’esistenza della famiglia cui appartengano, tant’è che la tutela costituzionalmente garantita si estende al di là dell’esistenza o meno di un matrimonio. Quello dei genitori è prima di tutto un dovere: di mantenere, istruire, educare i figli. Il dirittodovere che ha il genitore assume il connotato di un cd. diritto funzionale. I figli, nati fuori dal matrimonio, hanno il diritto di ricevere “ogni tutela giuridica e sociale” che viene assicurata loro dalla legge. La legge, quindi, interviene nel rapporto genitori-figli, comunque lo stesso sia costituito e strutturato, anche, in caso di carenza genitoriale, con interventi di integrazione e, nei casi più importanti, anche con interventi più invasivi per la protezione dei figli minorenni: vi è un organo giudiziario - il Tribunale per i Minorenni del luogo in cui il minore ha la residenza deputato a tutelare la posizione del minore. Art. 31: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». La Costituzione, dopo aver formulato all’art. 29 l’equazione famiglia = matrimonio, dopo aver sancito la tutela dei figli (art.30) da parte dei genitori in qualsiasi situazione quest’ultimi abbiano generato i primi, all’art.31 provvede a tutelare comunque la “formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi”. Quindi, la Costituzione italiana ha inteso promuovere e garantire la famiglia “come società naturale fondata sul matrimonio” e la filiazione, comunque avvenuta: da un lato, quindi, ha preferito la formazione della famiglia fondata sul matrimonio, piuttosto che su una mera situazione di fatto, mentre, dall’altro, ha ritenuto fondamentale riconoscere diritti anche ai figli nati fuori dal matrimonio. Diritti e doveri -espressione di un sentimento naturale di aggregazione familiare- devono trovare collocazione nella Carta fondamentale proprio in quanto funzionale alla garanzia del mantenimento di uno standard di vivere civile dettato dal “diritto naturale” e dal “contratto sociale” idealmente stipulato dai cittadini di uno Stato, che hanno conferito alle proprie Istituzioni il compito di scrivere e far rispettare le norme fondamentali. La famiglia, sempre quale espressione di aggregazione e fonte di rapporti giuridici, trova tutela ad ogni livello istituzionale. L’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma: «1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. 2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. 3. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.» Prima Parte - 87
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Il nostro Codice Civile disciplina i rapporti matrimoniali al libro primo (delle persone e della famiglia) titolo 6° (del matrimonio). Capo IV (Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio). Art. 143 (Diritti e doveri reciproci dei coniugi): «Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia». L’articolo che precede, unitamente ai due successivi 143 e 147, formano l’insieme di norme che il Ministro del Culto cattolico, che celebra il matrimonio concordatario, legge agli sposi e per l’effetto che ne consegue, il matrimonio esplica anche valore civile. Art. 144 (Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia): «I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato». Art. 147 (Doveri verso i figli): «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli». Ecco, allora, che i coniugi trovano nella famiglia e nel matrimonio la fonte dei propri diritti e doveri, garantiti nel loro esercizio e nella tutela sia nell’ordinamento nazionale, che in quello internazionale derivante dalla “codificazione” o “normativizzazione” di principi fondamentali, come fondamentale è la formazione della famiglia ed i rapporti che ne derivano. Il codice civile ha assunto il compito di esprimere la tutela dei coniugi, singolarmente considerati, con le loro esigenze di fedeltà, assistenza morale e materiale, ma anche della famiglia come “ente” risultante dalla volontà associativa dei coniugi, con proprie e diverse esigenze: indirizzo della vita familiare e esigenze “preminenti” della famiglia. I figli, trovano tutela, in generale, relativamente al mantenimento, istruzione ed educazione, in rapporto alle proprie capacità. Naturalmente la necessità di ricorrere alla tutela giudiziaria e, quindi, alla lettura e richiesta di applicazione delle norme, emerge nella fase eventuale e patologica del rapporto matrimoniale-familiare, tant’è che il codice civile, dopo aver dettato le norme sopra citate, provvede a disciplinare anche tale evenienza. Capo V (Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi) Art. 149 (Scioglimento del matrimonio): «Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge. Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell’articolo 82, o dell’ articolo 83, e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge». Art. 150 (Separazione personale): «E’ ammessa la separazione personale dei coniugi. La separazione può essere giudiziale o consensuale. Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l’omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi». Art. 151 (Separazione giudiziale): «La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà 88 - Prima Parte
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di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole». Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio». Art. 155 (Provvedimenti riguardo ai figli): «Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi». Possiamo evincere come la tutela dei figli trovi maggiore esplicazione normativa nella fase che abbiamo definito “patologica” del rapporto familiare, proprio perché è stato considerato che il soggetto debole, spesso minorenne, sia meritevole di maggiore attenzione. Ciò risulta ancora più evidente se si considera la norma introdotta, tra le altre, dalla L.54/2006. Art. 155-sexies (Poteri del giudice e ascolto del minore): «Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare Prima Parte - 89
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l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli». L’insieme delle norme che è stato velocemente ripercorso, costituisce l’aspetto giudiziario, quindi la pretesa che ognuno può legittimamente far valere per la tutela del proprio status di coniuge o di figlio, ma, in un concetto più ampio di “legalità”, il rispetto del rapporto di coniugio o di filiazione non richiede il ricorso a norme e tanto meno a Tribunali ed organismi sostitutivi della famiglia o, meglio, di protezione rispetto a quest’ultima, bensì ad un senso naturale di rispetto della condizione di chi ci accompagna nella finalità costruttiva della prima formazione sociale, qual è la famiglia, e nel suo frutto che è la prole. Invero, la realtà è spesso diversa dall’ideale, tant’è che si rende necessario procedere alla creazione di Organismi internazionali, quali l’UNICEF, che tutela, nella fattispecie, l’infanzia e che ha, tra i propri compiti, quelli dettati dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989. Dalla lettura di atti e documenti simili può iniziare un percorso conoscitivo delle reali problematiche dell’infanzia e di quanto grandi siano gli sforzi dedicati alla tutela della fase più delicata della nostra vita. Alessandro Palasciano
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DIRITTI E DOVERI DEI CONIUGI E DEI FIGLI Inizio ad illustrare la mia relazione con l’enunciato dei tre articoli del codice civile che il parroco officiante la cerimonia nuziale nel matrimonio concordatario recita testualmente ai coniugi. In questi tre articoli vi è il fulcro, la sintesi essenziale dei diritti e dei doveri cui i coniugi si assoggettano vicendevolmente all’atto di unirsi nel vincolo coniugale. Art. 143. Diritti e doveri reciproci dei coniugi Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia. a) Diritti e doveri dei coniugi Conformemente alla migliore interpretazione dell’art. 29 Cost., il codice civile sancisce che col matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, per cui tali diritti possono essere compressi a scapito di uno dei coniugi solo qualora le necessità della famiglia lo richiedano, ma mai per esigenze egoistiche di un coniuge. La posizione dei coniugi è di perfetta uguaglianza, morale e giuridica, nei rapporti personali e patrimoniali, sia tra loro che rispetto ai figli, con la sola eccezione di carattere cautelare e temporaneo di cui all’art. 316 c.c. Il legislatore ha ritenuto che l’unità si assicura con l’affermazione di parità, che spinga all’accordo, piuttosto che con una gerarchia di poteri e funzioni fra coniugi. b) L’obbligo di fedeltà Secondo il dettato del comma 2 dell’art. 143 c.c., il matrimonio comporta a carico dei coniugi gli obblighi di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di coabitazione, di collaborazione e di contribuzione ai bisogni della famiglia. L’obbligo di fedeltà, in generale, impone ai coniugi di astenersi da relazioni o atti sessuali extraconiugali. Tuttavia, si sottolinea che la fedeltà non consiste solamente nell’astensione da rapporti sessuali con persona diversa dall’altro coniuge, cosicché ad essa faccia riscontro un mero ius in corpus del coniuge a cui la fedeltà è dovuta. Fedeltà è, bensì, dedizione fisica e spirituale di un coniuge all’altro, e dura quanto il matrimonio, non venendo certamente meno l’obbligo di fedeltà per limite di età o infermità o altro impedimento al debito coniugale corporale dell’uno o dell’altro. Si sostiene che l’obbligo di fedeltà è violato anche quando il rapporto con altri è meramente platonico: l’obbligo va rispettato anche se l’altro coniuge non si oppone alla violazione o la vìola egli stesso. Questo dovere, anche se non più sanzionato penalmente, può essere alla base dell’imputazione della separazione, così come, se attuato in modo lesivo della dignità dell’altro coniuge, essere posto anche a fondamento del reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli ex art. 572 c.p. c) Gli obblighi di assistenza e di collaborazione L’obbligo di assistenza morale e materiale impone ai coniugi di aiutarsi moralmente ed economicamente, in ciò esprimendosi il vincolo di solidarietà matrimoniale. L’obbligo di assistenza non va ristretto al dovere di sovvenire alle esigenze essenziali nel caso di estremo bisogno, ma va esteso a tutte le esigenze di vita dell’altro coniuge, quando esso non sia in Prima Parte - 91
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grado di provvedervi da solo. La violazione di quest’obbligo rileva per l’addebito della separazione, e può integrare gli estremi del reato della violazione degli obblighi di assistenza famigliare ex art. 570 c.p. Altro dovere dei coniugi è quello di collaborare nell’interesse della famiglia. Questo dovere impegna ciascuno dei coniugi ad espletare una attività lavorativa (inclusa quella casalinga) conformemente alle proprie capacità ed attitudini. L’obbligo di collaborazione indica, dunque, il dovere di operare per stabilire e mantenere le condizioni più adeguate per l’unità e la continuità del gruppo familiare attraverso l’indicazione concorde e la soddisfazione solidale dei bisogni comuni. Esso viene considerato un momento dell’assistenza reciproca e collegato alla realizzazione dell’uguaglianza fra coniugi, oltre che come superamento degli interessi individuali; esige l’impegno di personale attività che ogni coniuge è in grado di dare alla soluzione dei problemi di famiglia. d) L’obbligo di coabitazione La coabitazione è stata intesa, in un primo tempo, nel senso letterale di abitazione sotto lo stesso tetto, anziché in quello pregnante di convivenza, comunione di vita, comprensivo anche del cosiddetto ius in corpus. In senso moderno, quindi, la coabitazione consiste nella normale convivenza di marito e moglie, cioè nella comunione di casa e vita sessuale, per cui tale obbligo è soddisfatto anche quando per certi periodi i coniugi non hanno il medesimo domicilio. L’obbligo di coabitazione presuppone l’esistenza dell’accordo sul luogo dove esso debba effettuarsi. La fissazione della residenza secondo “le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia” (ex art. 146 c.c.) sembra indicare un contemperamento tra la necessità di una residenza familiare e gli interessi individuali: consegue da tale impostazione che può egualmente parlarsi di residenza della famiglia pure nei casi in cui i coniugi abbiano un differente domicilio o addirittura una differente residenza. Si è precisato, tuttavia, che la possibilità di diverso domicilio o residenza va intesa come una semplice tolleranza da parte del sistema legislativo, in vista di un suo superamento nel tempo per la realizzazione di una normale coabitazione in un’unica residenza familiare. e) L’obbligo di contribuzione All’obbligo di collaborazione è connesso quello di contribuzione ai bisogni della famiglia: contribuendo ai bisogni della famiglia il coniuge viene ad assolvere i propri doveri di assistenza materiale verso l’altro coniuge e di mantenimento verso i figli. L’obbligo di contribuzione può essere assolto sia direttamente con il lavoro casalingo, sia attraverso il reddito professionale. Il dovere di contribuzione mette in rilievo che il dovere solidale di contribuzione sostituisce il dovere individuale di mantenimento dell’abrogata normativa: nel sistema della riforma i mezzi dell’uno e dell’altro coniuge sono apportati alla società familiare per il soddisfacimento dei bisogni comuni e di quelli di ciascun suo componente. Si nota che i bisogni della famiglia hanno un livello minimo, al di sotto del quale è compromessa la possibilità di esistenza della vita familiare; in relazione a questa, i coniugi sono vincolati al massimo sforzo di contribuzione. Al di sopra di questo minimo, è il contenuto massimo della capacità contributiva che agisce sulla misura dei bisogni familiari. La violazione dell’obbligo di contribuzione può essere motivo di separazione e, quando ne ricorrano i presupposti, dell’applicabilità dell’art. 570 c.p. L’obbligo di fedeltà costituisce un vero e proprio obbligo giuridico, la cui inosservanza determina l’applicazione delle sanzioni previste dal microsistema normativo dedicato al diritto di famiglia. La sanzione ordinaria connessa all’inadempimento dell’obbligo di fedeltà consiste nell’addebito, e negli effetti giuridici che ne derivano, ove naturalmente l’altro coniuge formuli 92 - Prima Parte
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domanda di separazione proprio in conseguenza di quest’evento (art. 151 co. 2 c.c.). In proposito, sull’onere della prova, la Cassazione nel 2012 ha precisato che grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà. Non sempre al tradimento conseguono le richiamate sanzioni; nello specifico, l’inosservanza all’obbligo di fedeltà può costituire motivo di addebito e di risarcimento del danno solo quando abbia costituito la causa scatenante della separazione; diversamente la Cassazione, sempre nel 2011, ha affermato che la reiterata inosservanza da parte di entrambi dell’obbligo di reciproca fedeltà non costituisce circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione in capo all’uno o all’altro o ad entrambi, quando sia sopravvenuta in un contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale quale rispondente al dettato normativo e al comune sentire, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da “affectio coniugalis”. In termini ancora più netti, la S.C. ha precisato che l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Uno degli aspetti più interessanti in subiecta materia attiene alla risarcibilità del danno morale cagionato dal tradimento; il quesito da porsi è se il coniuge fedifrago ovvero il suo amante possano essere condannati in Tribunale a risarcire il danno morale al coniuge tradito. Sul punto, la giurisprudenza ha avuto un atteggiamento oscillante; con una pronuncia del 1993 la S.C. di Cassazione ha sancito che il diritto di famiglia costituisce un microsistema normativo chiuso, dotato dei suoi strumenti di tutela tipici (separazione e divorzio; addebito, assegno di mantenimento; allontanamento legittimo dalla casa familiare), cui non possono sovrapporsi strumenti di tutela di altri settore dell’ordinamento civilistico, come la tutela aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. Con una innovativa sentenza del 2005 la Cassazione ha mutato orientamento, aprendo la strada alla condanna al risarcimento del danno morale nei confronti del solo coniuge fedifrago, ove il suo tradimento si caratterizzi per modalità e condotte particolarmente aggressive ed offensive (come il discredito in pubblico del coniuge, o la pubblicità della relazione extraconiugale nel contesto sociale ove è conosciuta la coppia coniugale; es. tradimento durante il grande fratello o l’isola dei famosi). In tal senso, la Cassazione ha precisato nel 2011 che la violazione dell’obbligo di fedeltà, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva. Viceversa, una domanda di risarcimento nei confronti dell’amante del coniuge non ha possibilità di successo. In tal senso si è espressa la giurisprudenza di merito. Nel 2009 una sentenza del Prima Parte - 93
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Tribunale di Vicenza ha ribadito che non esiste un obbligo di astenersi dall’intrattenere rapporti sentimentali e sessuali con persone coniugate. Gli obblighi che sorgono dal matrimonio, tra i quali quello di fedeltà, sono obblighi eminentemente personali e propri del coniuge in quanto tale. Il terzo che si intrattenga con una persona sposata esplica, in fondo, il suo diritto alla sessualità, nel senso che egli non è tenuto a verificare lo status della persona con la quale intreccia una relazione né, ove pure sappia che ella è impegnata, può pretendersi che egli si autolimiti per rispettare un dovere di astinenza che non lo riguarda, trattandosi di un impegno personale e reciproco assunto dagli sposi. Al limite, potrebbe configurarsi una responsabilità dell’amante solo nel caso in cui circuisca o ponga in essere una violenza sessuale nei confronti del coniuge dell’attore, in tal modo violando la libertà di questi di autodeterminarsi autonomamente circa la gestione dei propri rapporti sessuali. E veniamo agli altri obblighi nascenti dal matrimonio e descritti dall’art. 143 c.c., ossia l’assistenza morale e materiale, la collaborazione nell’interesse della famiglia e la coabitazione. Anche l’inadempimento all’obbligo di coabitazione costituisce giusta causa di addebito della separazione; l’unico caso in cui l’ordinamento giuridico lo considera legittimo e non sanzionabile è costituito dalla presentazione della domanda di separazione ad opera dell’altro coniuge, come sancito dall’art. 146 c.c. Vi segnalo un interessante pronuncia della Corte di Cassazione emessa nel 2011, in cui si è stabilito che l’allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell’altro coniuge, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale ed è conseguentemente causa di addebitamento della separazione; non concreta, invece, tale violazione il coniuge se risulti legittimato da una “giusta causa”, vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare. (Nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che, addebitando la separazione alla moglie, non aveva ravvisato la giusta causa del suo allontanamento nei frequenti litigi domestici con la suocera convivente e nel conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra gli stessi coniugi). In un interessantissima sentenza del 2007 la S.C. di Cassazione ha trattato il caso di una donna sudafricana che durante i 23 anni di matrimonio ha assunto condotte violente aggressive nei confronti del marito, dovute alla non condivisione di stili di vita per la particolare storia personale ed etnia della donna. Il marito ha tollerato per una ventina di anni tali condotte violente, ma alla fine non ha più sopportato le angherie della moglie ed ha chiesto la separazione. Giunta la causa in Cassazione, la S.C. ha evidenziato che l’assunzione di condotte violente costituisce chiaramente violazione degli obblighi di assistenza morale e familiare, e di collaborazione tra i coniugi e può fondare una pronuncia di separazione con addebito in quanto estrinsecante un modello di comportamento, di gestione del rapporto coniugale oggettivamente contrario ai principi cardine della Costituzione e dell’ordinamento giuridico, in relazione al quale non assumono efficacia scriminante od esimente le soggettive convinzioni, credenze religiose o sociali del coniuge che le pone in essere. Occorre fare attenzione perché la violazione all’obbligo di assistenza materiale o morale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia o alla coabitazione costituisce anche reato di 94 - Prima Parte
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violazione degli obblighi di assistenza famigliare sancito dall’art. 570 c.p. a mente del quale: “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa”. Il delitto è punibile a querela della persona offesa a meno che non ricorrano le due circostanze del 2° comma per le quali si procede d’ufficio. Ovviamente, l’inosservanza ad uno degli obblighi dettati dall’art. 143 c.c. importa la pronuncia con addebito solo quando abbia costituito la causa efficiente della separazione, quando la disgregazione del vincolo familiare sia legata da nesso di causalità all’inadempimento ai doveri coniugali. Viceversa, quando il coniugio si rompe per altri motivi, o quanto meno quando non si raggiunge la prova del nesso di causalità, occorre legittimamente pronunciare la separazione senza addebito. (Cass. 2006). Tale caso può riguardare anche il tradimento unilaterale o reciproco quando non sia funzionale alla separazione, nel senso che intervenga in un momento in cui l’affectio maritatis era già largamente compromessa. Art. 144. Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato. La Cassazione ha precisato che ai sensi dell’art. 144 cod. civ., prevedente l’obbligo per i coniugi di concordare tra di loro l’indirizzo della vita familiare, le scelte educative e gli interventi diretti a risolvere i problemi dei figli devono essere adottati d’intesa tra i coniugi. Un atteggiamento unilaterale, sordo alle valutazioni ed alle richieste dell’altro coniuge, a tratti violento ed eccessivamente rigido, può tradursi, oltre che in una violazione degli obblighi del genitore nei confronti dei figli, anche nella violazione dell’obbligo, nei confronti dell’altro coniuge, di concordare l’indirizzo della vita familiare e, in quanto fonte di angoscia e dolore per il medesimo, nella violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito dall’art. 143 cod. civ.. Ove tale condotta si protragga e persista nel tempo, aprendo una frattura tra un coniuge e i figli ed obbligando l’altro coniuge a schierarsi a difesa di costoro, essa può divenire fonte di intollerabilità della convivenza e rappresentare, in quanto contraria ai doveri che derivano dal matrimonio sia nei confronti del coniuge che dei figli in quanto tali, causa di addebito della separazione ai sensi dell’art. 151, secondo comma, cod. civ. Se i coniugi sono in disaccordo nel fissare la residenza familiare o nello stabilire l’indirizzo della vita familiare, possono chiedere l’intervento risolutivo del giudice (art. 145 c.c.). L’art. 146 c.c. invece, come anticipato, regola l’ipotesi dell’abbandono volontario legittimo della casa coniugale in caso di presentazione di domanda di separazione ad opera dell’altro coniuge. Non è un caso che il parroco che officia la cerimonia nuziale reciti gli artt. 143, 144 e 147 c.c. ed ometta di ricordare gli artt. 145 e 146 c.c. che disciplinano ipotesi in cui il rapporto coniugale già entra in uno stato di fibrillazione. Prima Parte - 95
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L’obbligo posto dall’art. 144 c.c. necessariamente si ripercuote su quelli imposti dal precedente art. 143 c.c.; infatti se un coniuge viola le decisioni sugli indirizzi della vita familiare concordate originariamente, viene al contempo meno all’obbligo di collaborazione sancito dall’art. 143 c.c. Art. 147. Doveri verso i figli. Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. La Cassazione ha precisato di recente che il disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni può integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; e può fondare una richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali. Sempre con una recente sentenza, la Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato nell’ordinamento giuridico secondo il quale l’obbligo del genitore separato di concorrere al mantenimento del figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimo, ma perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica; e tale prova non può dirsi raggiunta ad es. dal compenso mensile per uno stage formativo. Con la sentenza n. 1773/12 la Cassazione ha fatto un passo avanti deciso in questa direzione, precisando che “l’obbligo del genitore separato di concorrere al mantenimento del figlio (nella specie, di 35 anni) non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimo, ma perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta”. Non solo; l’obbligo di corrispondere l’assegno mantenimento permane anche se il figlio maggiorenne abbia contratto matrimonio, ove né lui né il coniuge conseguano reddito sufficiente a garantire autonomia ed indipendenza economica al neocostituito nucleo familiare. Addirittura, ha precisato la S.C. che ove un solo coniuge abbia adempiuto integralmente agli obblighi di mantenimento della prole in difetto di accordo espresso in tal senso, ha azione di regresso nei confronti dell’altro coniuge, ove percettore di reddito, per il rimborso della metà, in considerazione del fatto che l’obbligo di cui si discute è posto paritariamente in capo ad entrambi i coniugi. Lo stesso figlio maggiorenne può promuovere azione giudiziale per veder uno dei suoi genitori obbligato a versargli l’assegno di mantenimento, ma dovrà allegare e provare in giudizio il suo stato di indigenza o non autosufficienza economica (Cass., 2010). Sto dando ampio spazio alla casistica giurisprudenziale sulle conseguenze discendenti dall’inadempimento degli obblighi che l’ordinamento pone in capo ai coniugi reciprocamente e nei confronti dei figli in considerazione dell’aumento esponenziale del numero di separazioni e divorzi registrato negli ultimi decenni. Nel 2010 le separazioni sono state 88.191 e i divorzi 54.160; rispetto all’anno precedente le separazioni hanno registrato un incremento del 2,6% mentre i divorzi un decremento pari a 0,5%. I tassi di separazione e di divorzio totale mostrano per entrambi i fenomeni una continua crescita: se nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni erano 158 le separazioni e 80 i divorzi, nel 2010 si arriva a 307 separazioni e 182 divorzi. 96 - Prima Parte
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La durata media del matrimonio al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento risulta pari a 15 anni per le separazioni e a 18 anni per i divorzi. L’età media alla separazione è di circa 45 anni per i mariti e di 42 per le mogli; in caso di divorzio raggiunge, rispettivamente, 47 e 44 anni. Questi valori sono in aumento per effetto della posticipazione delle nozze verso età più mature e per l’aumento delle separazioni con almeno uno sposo ultrasessantenne. La tipologia di procedimento maggiormente scelta dai coniugi è quella consensuale: nel 2010 si sono concluse in questo modo l’85,5% delle separazioni e il 72,4% dei divorzi. La quota di separazioni giudiziali (14,5%) è più alta nel Mezzogiorno (21,5%) e nel caso in cui entrambi i coniugi abbiano un basso livello di istruzione (20,7%). La coscienza del diffondersi del fenomeno ha indotto il legislatore ad intervenire con una legge molto incisiva sulle conseguenze della separazione nei riguardi dei minori. Si tratta della L. n. 54/06 sull’affido condiviso di cui si sente parlare molto spesso […]. Fino a quando i coniugi regolano pacificamente il loro rapporto con una separazione consensuale nulla quaestio. Il Tribunale verifica le condizioni dell’accordo e lo omologa con decreto Presidenziale. Diversamente, le coppie che si sfaldano in un clima di elevata conflittualità determinano strascichi ed ostacoli molto difficili da superare. Purtroppo l’immaturità dei genitori si spinge talvolta sino al punto di utilizzare i minori come mezzo per recar torto e vendicarsi del coniuge cui putativamente imputa la disgregazione del rapporto. Sulla base di questi presupposti vi illustro, attraverso la casistica, i diritti che voi figli minori potete vantare nei confronti dei genitori refrattari agli obblighi giuridici posti a loro carico, che non sono altro che la trasmigrazione in un testo legislativo di obblighi sociali e naturali, che trovano la loro origine nella coscienza dell’individuo. L’art. 155 c.c., che è la norma codicistica che regola i provvedimenti riguardo ai figli in una pronuncia di separazione giudiziale (art. 151 c.c.) pone la regola della salvaguardia dell’interesse prioritario dei minori. Tale disposizione attribuisce al giudice il ruolo di moderatore del conflitto familiare determinando modalità e condizioni di svolgimento del rapporto discendente dallo stato di separazione in difetto di un accordo tra i coniugi. Ai fini della determinazione del contenuto dei provvedimenti di cui all’art. 155 c.c. e dell’eventuale modifica delle condizioni di separazione, il Tribunale può invitare le parti a seguire un percorso di mediazione familiare, per raggiungere un accordo o quanto meno limitare la conflittualità nell’interesse dei figli, come prescrive l’art. 155 sexies ult. comma introdotto dalla citata L. n. 54/06. Venendo agli esempi, se i coniugi hanno fissato la residenza familiare presso un’abitazione di proprietà esclusiva del marito, in caso di separazione con affido condiviso dei figli minori, ma con collocazione preferenziale presso il domicilio della madre, il padre è costretto a lasciare l’abitazione pur se di sua proprietà esclusiva. Nello specifico, il diritto di proprietà dell’immobile rimane in capo al padre, ma viene stabilita a favore della madre il diritto di abitarvi insieme ai figli minori se questa scelta risponde all’interesse superiore di questi ultimi (art. 155 - quater c.c.). La norma appena citata si applica anche alle famiglie di fatto, in quanto tutela l’interesse prioritario dei figli anche se nati fuori dal matrimonio come ha precisato la Cassazione nel 2011. Tuttavia, il giudice tiene conto di tale assegnazione a favore della madre ai fini della Prima Parte - 97
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determinazione del quantum dell’assegno di mantenimento da porre a carico del padre. Il diritto di abitazione cessa se la madre se ne allontana volontariamente coi figli o se contrae nuovo matrimonio o una convivenza more uxorio. Si tratta di uno dei rari casi codificati in cui il legislatore eleva a dignità giuridica la convivenza materiale tra due persone non formalizzata col vincolo coniugale. Si è trattato di una scelta obbligata se si vuole; a seguito della separazione i coniugi sono soliti intraprendere nuove relazioni; anzi, sovente l’inizio di una relazione extraconiugale costituisce proprio la causa della rottura del legame matrimoniale; poiché vi sono tempi tecnici notevoli per l’estinzione definitiva del vincolo con il divorzio (la domanda si può presentare decorsi 3 anni dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o dal decreto di omologazione della separazione consensuale), occorreva attribuire una qualche valenza giuridica alle convivenze di fatto medio tempore intraprese dai coniugi con nuovi partners. In questa direzione si è mosso il legislatore della L. n. 54/06 di cui si discute […]. In caso di affido condiviso, le scelte importanti della vita dei figli dovranno essere assunte congiuntamente dai genitori; in caso di disaccordo possono rivolgersi al giudice della separazione. Ovviamente ciascuno dei genitori dovrà contribuire alle esigenze dei figli, minori o maggiorenni che siano, come detto, nei limiti delle proprie capacità reddituali. Il giudice della separazione può anche determinare l’importo di un assegno mensile a tal fine. Tutto quanto ho sinora riferito vale anche per le famiglie di fatto, in particolare per la prole generata fuori dal matrimonio, a seguito di una sentenza storica della Corte Costituzionale che ha equiparato il trattamento normativo dei figli extrauterini da quelli nati in costanza di matrimonio. L’inottemperanza all’obbligo posto in capo al coniuge di versare l’assegno di mantenimento in favore dei figli e della moglie costituisce illecito civile che abilita gli aventi diritto ad avvalersi degli strumenti giuridici previsti dall’ordinamento per ottenerne il conseguimento coattivo. Da ricordare in tale prospettiva l’art. 156 c.c. che al co. 5 stabilisce che la sentenza di separazione dà titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni immobili del coniuge obbligato, mentre al comma 6 prevede che, su domanda del coniuge beneficiario, il giudice può disporre il sequestro dei beni e può obbligare il terzo datore di lavoro del coniuge obbligato a versare direttamente all’avente diritto l’assegno di mantenimento detraendolo dalla retribuzione mensile. Al contempo, tale inottemperanza integra i reati puniti dal già citato art. 570 c.p. “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, ed anche dall’art. 388 c.p. rubricato “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice” il cui comma 2 punisce con la pena della reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032 chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. Sinora ho dato ampio spazio agli inadempimenti mediante condotte omissive dei o di uno dei genitori; le violazioni agli obblighi codicistici imposti ai coniugi e genitori possono essere perpetrate anche con condotte commissive, sub specie di intrattenimento del rapporto coniugale e genitoriale con modalità prevaricatrici e violente. Tali modalità non sono consentite; sono contrarie ai principi della società civile come enunciati dalla Costituzione; anche l’educazione della prole non può in alcun modo costituire motivo o occasione di perpetrazione di atti di violenza non solo fisica ma anche morale, che sia suscettibile di instaurare un clima di terrore e di sconforto o disagio nella fragile psiche dei minori; ciò è contrario non solo alla nostra Costituzione, ma anche alle Carte Internazionali di 98 - Prima Parte
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diritti, come la Convenzione Internazionale sui diritti dei fanciulli siglata a New York nel 1988. Tali comportamenti, atti di violenza fisica o morale sul coniuge e sui figli, costituiscono non solo causali legittime per addivenire ad una separazione addebitabile, ma integrano anche fattispecie penalmente rilevanti; previste e punite dagli artt. 571 c.p. abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, 572 c.p. “maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”. Queste unitamente all’art. 570 c.p. già citato costituiscono le ipotesi più frequenti e rilevanti di delitti contro la famiglia, cui è dedicato il Capo I del Titolo XI del Libro II del codice penale; ma non deve dimenticarsi che nel contesto familiare vengono sovente posti in essere reati comuni come la violenza privata (art. 610 c.p.), il sequestro di persona (art. 605 c.p.), le lesioni personali (art. 582 c.p.) e purtroppo talora anche omicidi, come la cronaca nera ci testimonia quasi quotidianamente. Il fenomeno della violenza intra-familiare ha origini antiche. Vi cito un passaggio del libro di Pitch “Violenza e controllo sociale sulle donne”: “La violenza che si riversa nel privato e nel quotidiano ... funge da canalizzazione di conflitti, tensioni, aggressività, cui si impedisce l’irrompere nel pubblico. La famiglia, la rete dei rapporti primari, lo spazio del tempo libero, sono i luoghi di contenimento, individualizzazione, patologizzazione, e naturalmente di legittima espressione di vissuti conflittuali e frustranti. Sono i luoghi dove si concentra il disagio e la sofferenza si svela. Dove quindi l’aggressività è confinata e separata, privata, soggettivamente e oggettivamente, di contenuti sociali”. La famiglia rappresenta un sistema complesso, in cui agiscono individui, ruoli, responsabilità e mansioni. Si tratta di un sistema determinato da vincoli di tipo affettivo, in cui agiscono sia affetti positivi (quali il rispetto, la condivisione, l’amore ed il desiderio sessuale), sia affetti negativi (quali l’odio, la sopraffazione, la violenza, la prevaricazione e la perversione). La famiglia rappresenta, per definizione, uno degli ambiti di potenziale protezione per i suoi membri, ma all’occorrenza può diventare anche un ambiente ostile e pericoloso per l’integrità fisica e psichica dei soggetti che ne fanno parte. Le pareti domestiche possono essere il teatro di frequenti violenze, anche perché talvolta la famiglia si trasforma in un sistema di attribuzioni dei ruoli maschili e femminili in cui prevale da un lato il modello di dominanza e dall’altro quello di sottomissione. La violenza in famiglia, allora, non rappresenta soltanto l’esplosione di un conflitto, ma lo sfogo di insoddisfazioni, tensioni, rabbie, frustrazioni. Gli schemi mentali appresi, le esperienze che hanno caratterizzato la vita pre-matrimoniale ed i comportamenti della famiglia di provenienza, sono gli elementi caratterizzanti il conflitto di coppia. In un ambito di attribuzioni falsate, in quanto non filtrate o non negoziate dai partners, la violenza familiare nasce da spazi di incomprensioni. La violenza intrafamiliare è, per la maggior parte, un fenomeno maschile, che nasce dalla convinzione di poter dominare i diritti corporei, spirituali, economici e relazionali del partner. Il fenomeno della violenza intrafamiliare è oggi diventato più visibile, per vari ordini di motivi: cambiamento degli stili di vita e le maggiori possibilità nel campo del lavoro, apertesi Prima Parte - 99
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a favore delle donne a partire dal dopoguerra, hanno portato, sempre più frequentemente, alla conquista della indipendenza economica della donna. Ciò le consente di affrancarsi con maggiore rapidità dalla situazione di violenza familiare, di attivare le proprie risorse, di prendere contatti con una rete relazionale più ampia e di uscire dall’isolamento messo in atto dai membri della famiglia; l’emancipazione della donna ha importato la graduale sostituzione di un modello familiare patriarcale con uno mononucleare ed integrato e per ciò solo maggiormente aperto verso l’esterno e più ricco di risorse interne per superare le problematiche generate dagli accadimenti della vita; l’introduzione da parte dello Stato di organismi ed istituti di protezione delle vittime di violenze familiari (ad es. il telefono azzurro) o di assistenza alle famiglie che versano in condizioni disagiate (come i servizi sociali o i consultori per le ragazze madri), grazie ai quali situazioni difficili in particolari contesti vengono affrontate e superate con un intervento tutorio ab externo e non lavando i “panni sporchi” all’interno del nucleo familiare ristretto secondo le imposizioni dei patriarchi di sesso maschile (zii, nonni, ecc.); la nascita di una nuova cultura giuridica, seguita a quella sociale, sempre più sensibile ai problemi della famiglia e dei minori, che ha portato all’introduzione della legge contro la violenza sessuale (n. 66 del 1996), della legge contro la pedofilia (n. 259 del 3 agosto 1998) e delle due nuove leggi in tema, rispettivamente, di allontanamento dalla casa familiare (n. 149 del 2001) e di ordini di protezione (n. 154 del 2001). Proprio su quest’ultimo aspetto voglio soffermarmi. Il legislatore della L. n. 154/01 ha introdotto due misure cautelari personali e gli ordini di protezione familiare (art. 342 bis c.c.) per tutelare le vittime dalle violenze in ambito familiare soprattutto quando le violenze siano poste in essere dal padre/marito unico soggetto percettore di reddito, e quindi l’unico erogatore/dispensatore del gettito finanziario necessario a garantire la sopravvivenza dell’intero nucleo familiare; ipotesi che purtroppo ancora si verifica in alcune regioni del paese, nonostante l’assunzione da parte della donna di un ruolo sempre più crescente ed importante nei settori lavorativi ed economico-produttivi. In tale prospettiva, i familiari che rimangono vittima di condotte violente costituenti reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) o di abuso di mezzi di correzione o disciplina (art. 571 c.p.) denunciando il fatto alla Procura della Repubblica possono ottenere tutela preventiva sia in campo penale con la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare in attesa della definizione del processo, sia in campo civile con la condanna del violento al pagamento dell’assegno di sostentamento. Obblighi dei figli Art. 315. Doveri del figlio verso i genitori. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa. Ipotizziamo che i figli conviventi, percettori di reddito, non contribuiscano ai bisogni dei genitori, rimasti privi di mezzi di sussistenza per disoccupazione. Non commettono alcun reato perché la violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570 c.p. è un delitto che può essere commesso solo da chi riveste lo status di coniuge e di padre; non per il figlio verso i propri ascendenti. Tuttavia costoro possono intentare un’azione civile nei riguardi del loro congiunto per obbligarlo a versar loro gli alimenti. Art. 318. 100 - Prima Parte
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Abbandono della casa del genitore. Il figlio non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la potestà né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare. Si precisa che il potere di richiamare il figlio e ricorrere al giudice deve essere esercitato congiuntamente da entrambi i genitori. Nel caso di esercizio della potestà di uno solo dei genitori, l’altro ha il potere di ricorrere al giudice esercitando le funzioni di sorveglianza ex art. 155 c.c. La domanda si propone con ricorso presso il giudice tutelare e si conclude con decreto con il quale il giudice emette gli opportuni provvedimenti per richiamare il minore alla coabitazione con i genitori. Diversamente, nei confronti della persona che ha ospitato il minore fuggitivo si configura, se maggiore di età, il reato di sottrazione consensuale di minorenne art. 573 c.p. che recita: “Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la patria potestà o al tutore ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo con la reclusione fino a due anni . La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata, se è commesso per fine di libidine”. Questa fattispecie penale tende a punire un’antica usanza meridionale, che qui in Calabria va sotto il nome di “fuijtina”. Che la norma penale si indirizzi a tali situazioni lo si intuisce dal fatto che la condotta delittuosa prevede tra gli elementi costitutivi il consenso del minore ultraquattordicenne, stimolato dall’infatuazione amorosa, e dal tenore letterale dall’attenuante del fine di matrimonio o dell’aggravante del fine di libidine descritti nel 2° comma. Decenni fa il padre insoddisfatto della condotta di vita del figlio poteva collocarlo in un istituto di correzione (ossia un collegio). Tale norma, contenuta nell’art. 319 c.c. è stata per fortuna abrogata dalla L. n. 151/75 di riforma del diritto di famiglia, in quanto contraria al modello democratico concepito nelle disposizioni costituzionali dedicate alla famiglia (artt. 29 ss. Cost.). Passo ora alle conclusioni. Questo progetto è dedicato all’educazione alla legalità; tuttavia non si può scindere l’educazione alla legalità dall’educazione alla civiltà ed al rispetto delle regole sociali. Le leggi esistono proprio come risposta dell’ordinamento statale ai comportamenti antisociali, per cui il rispetto delle leggi contiene implicitamente il rispetto delle regole che governano il vivere civile. Quindi, per intendere appieno i diritti e doveri di coniugi e figli occorre interiorizzare il senso più profondo del rapporto che nasce dal matrimonio e dalla costituzione di una famiglia. Con il matrimonio, due singole unità cedono la loro individualità per dar vita ad un terzo soggetto, la coppia cui essi danno vita. Esser coppia in questo senso implica sacrificare le proprie esigenze per il bene dell’altro e dell’unione insieme senza pretendere qualcosa in cambio. Lo stesso avviene per la prole generata. In questo caso la coppia ed ogni figlio perdono la loro individualità per fondersi in un nuovo soggetto: la famiglia come cellula sociale primigenia, atomo sociale che si erge a fonte attraverso a quale l’umanità riesce a perpetuare sé stessa. Voi figli non dovete bussare ai vostri genitori solo per aver qualcosa e poi chiudervi nel vostro mutismo aprendovi e confidandovi solo con gli amici e reagendo con spirito ribelle ai modelli comportamentali imposti dai genitori. Prima Parte - 101
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Dovete condividere il vostro modo di pensare e le vostre esperienze con loro affinché dal dialogo nasca un arricchimento globale dell’intero nucleo familiare. Le diversità di opinioni ed anche i consigli o talora gli ordini impartiti dai genitori non devono essere visti come delle restrizioni, ma come momento di unificazione, di stimolo e di crescita interiore. Sotto questo punto di vista, anche la frequentazione dei vostri amici e fidanzatini in casa costituisce un momento in cui la famiglia, come soggetto autonomo nato dalla fusione dei suoi componenti, può ricevere uno stimolo esterno per l’arricchimento. Ove si riuscisse a mettere in pratica quest’insegnamento, gli obblighi dettati dalle norme del codice verrebbero rispettati implicitamente pur senza conoscerne il contenuto. Viceversa, la casistica giurisprudenziale che vi ho citato e la disciplina normativa concernente la separazione ed il divorzio ed i reati specifici contro la famiglia sono dettati purtroppo dalla consapevolezza dell’esistenza e della messa in atto di comportamenti individualisti contrari allo spirito della famiglia; da pulsioni e reazioni espulsive di una cellula che lentamente tende a distaccarsi dal nucleo famigliare per riacquistare la propria individualità. Educazione alla legalità in ambito familiare significa, pertanto, intendere a fondo lo scopo e le ragioni del matrimonio e percorrere la via che esso traccia fino in fondo. Se non si è in grado di accettare tali conseguenze e soprattutto se non si parte con l’idea di rinunciare alla propria individualità per far nascere la coppia prima e la famiglia poi, tanto vale non fare questa scelta, anche rifuggendo dalle pressioni in tal senso provenienti dagli stessi familiari perché quasi certamente, pur non volendo, si rimarrà inadempienti alle obbligazioni discendenti dal codice civile. Gustavo Danise
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IL GARANTE DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA Carissimi Ragazzi, è un grande onore per me essere qui oggi tra di voi per avere un confronto su uno degli argomenti che sicuramente vi riguarda e cioè l’istituzione dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Intanto mi presento: sono Annamaria Fonti Iembo, già dirigente del Ministero della Pubblica Istruzione e Presidente del Comitato Provinciale per l’Unicef. È opportuno, prima di parlare specificatamente del Garante, fare qualche premessa. La Convenzione Internazionale sui Diritti dei Minori, approvata dall’Assemblea delle N.U. il 20 novembre 1989, ratificata dallo Stato Italiano con la Legge n.176 del 27 maggio 1991, all’art.4 recita testualmente: “Gli Stati parti si impegnano ad adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi ed altri, necessari per attuare i diritti enunciati dalla presente Convenzione”. Questo principio viene ribadito all’art.12 della Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti dei Minori adottata dal Consiglio d’Europa il 25 gennaio 1996, ratificata dallo Stato Italiano con la Legge n.77 del 20 marzo 2003. L’articolo in questione testualmente sancisce: “Le parti incoraggiano, tramite organi che esercitano le funzioni di cui al paragrafo 2, la promozione e l’esercizio dei diritti dei minori”. Le funzioni di cui tratta il citato paragrafo sono: - fare delle proposte per rafforzare l’apparato legislativo relativo all’esercizio dei diritti dei minori; - formulare pareri sui disegni legislativi relativi all’esercizio dei diritti dei minori; - fornire informazioni generali sull’esercizio dei diritti dei minori ai mass media, al pubblico e alle persone od organi che si occupano delle problematiche relative ai minori; - rendersi edotti dell’opinione dei minori e fornire loro ogni informazione adeguata. Dalle norme testè enunciate deriva quindi l’obbligo degli Stati di adeguare i propri ordinamenti con leggi ad hoc per assicurare ai Minori l’intervento di Soggetti istituzionali dotati di poteri autonomi, finalizzati all’espletamento di un ruolo specifico di “promozione, difesa e tutela” dei diritti di tutti i Minori residenti nel territorio statuale. Nel corso della XXXII Sessione svoltasi il 31 gennaio 2003, il Comitato sui Diritti dell’Infanzia (istituito dalla Convenzione Internazionale all’art.43), esaminando il Rapporto dell’Italia sull’attuazione della Convenzione, ha preso atto dell’istituzione di Difensori regionali per l’infanzia in qualche Regione, ma ha espresso vive preoccupazioni per la mancata istituzione di un Garante Nazionale. Raccomandava pertanto che lo Stato completasse i propri sforzi per addivenire, in tempi brevi, alla istituzione del Garante avente il carattere “fondamentale dell’indipendenza e in conformità per quanto stabilito dai Principi di Parigi relativi allo status delle Istituzioni nazionali per la promozione e protezione dei diritti umani. Inoltre l’Istituzione avrebbe dovuto essere accessibile ai bambini, dotata di potere di ricevere ed effettuare accertamenti su denunce relative a violazioni dei diritti dei Bambini con la dovuta sensibilità, e dotata dei mezzi necessari per la loro efficace attuazione”. Veniva anche raccomandato “lo sviluppo di appropriati raccordi tra le Istituzioni nazionali e regionali”. Mi preme qui richiamare che, nel corso dell’iter legislativo, abbastanza complesso, per addivenire alla istituzione del Garante dell’Infanzia, le Nazioni Unite in data 9 dicembre Prima Parte - 103
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1998 hanno prodotto un documento di notevole importanza col titolo: “Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti”. L’art. 2 di questo documento recita: “Ogni Stato ha la responsabilità primaria e il dovere di proteggere, promuovere ed attuare tutti i diritti umani e le libertà individuali, adottando tutte le misure necessarie….Ogni Stato deve intraprendere ogni azione legislativa, amministrativa o di altro genere che risulti necessaria per assicurare che i diritti e le libertà siano effettivamente garantiti”. All’art. 9 la Dichiarazione prevede il diritto di ogni persona che adduca la violazione dei propri diritti e delle proprie libertà, di presentare ricorso di fronte ad una Autorità, imparziale e competente, giudiziaria o di altra natura, istituita per legge e ottenerne una decisione. Come si vede le Carte Internazionali hanno posto le basi fondamentali perché ogni Stato della terra provveda a istituire un vero e proprio sistema concreto di protezione dei diritti umani e, per quello che ci occupa, segnatamente dei diritti dei Minori. E non solo: la stessa Dichiarazione citata, all’art. 14 prevede la responsabilità degli Stati di prendere misure legislative, giudiziarie e amministrative o di altro genere, per promuovere la comprensione dei propri diritti civili, politici, economici, sociali e culturali da parte di tutte le persone che si trovano sotto la propria giurisdizione. Dunque, oltre alla promozione e difesa dei Diritti, lo Stato ha anche l’irrinunciabile compito di istruire, educare e rendere edotto il popolo di quali siano i suoi diritti e le sue libertà. Si possono comprendere bene queste norme approfondendo il concetto di Responsabilità. Non è qui il luogo di esaminare dal punto di vista giuridico e/o filosofico il problema. Posso raccomandare a voi ragazzi di leggere e studiare con la guida dei Docenti, il testo di Hans Jonas sul Principio di Responsabilità, con particolare riferimento a quella dei genitori e dello Stato. Beninteso, Ragazzi, vi dico in parentesi che la Responsabilità non riguarda soltanto lo Stato e i Genitori: essa è un diritto-dovere di ogni persona, qualunque sia la sua età, e consiste essenzialmente nel prevedere quali possano essere le conseguenze delle proprie azioni e comportamenti: ognuno di voi ha la sua propria coscienza e ognuno di voi, facendosi grande e scegliendo il proprio ambito di lavoro e di vita, dovrà esercitare compiutamente la sua Responsabilità, in modo congruo e rispondente ad una esistenza civile e moralmente ineccepibile. Per fare questo dovete cominciare fin da ora ad educarvi profondamente alla Responsabilità. Tornando all’argomento che ci occupa, quello del Garante, l’Italia con la Legge n.112 del 12 luglio 2011, ha istituito finalmente questa Autorità avente carattere monocratico e indipendente. Ogni Legge ha la sua ratio e i suoi fondamenti. La ratio sta nei principi che ho enunciato in premessa, che sono posti alla base delle Carte internazionali sulla difesa dei Diritti Umani e dei Minori. Ad essi occorre aggiungere un altro principio fondamentale che è “l’interesse superiore del Minore” previsto all’art. 3 della Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori. L’interesse superiore del Minore, è stato elevato dalla nostra Corte Costituzionale a rango di principio costituzionale, alla pari con gli altri principi contenuti nella Carta fondamentale dello Stato. La ratio della Legge, dunque, sta nella consapevolezza che ogni società civile deve avere verso l’integrità fisica, psichica, spirituale, sociale e culturale di ogni individuo e la sua precipua dignità. I fondamenti giuridici stanno nella nostra Costituzione, primo fra tutti l’art. 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo; nell’art. 3 che, nel proclamare solennemente la 104 - Prima Parte
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pari dignità di tutti i cittadini, pretende che lo Stato adotti ogni provvedimento necessario per rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona; nell’art. 31 che afferma: “la Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Come vedete, la centralità della persona umana e, quindi, l’obbligo di calibrare l’ordinamento su quelli che sono i bisogni di ognuno, costituiscono la fondamentale essenza della vita stessa dello Stato. Vorrei fare una piccolissima digressione: l’art. 3 assicura a garantisce la non discriminazione verso i cittadini; ma vorrei chiedere chi sono questi cittadini? Avete sicuramente sentito in questi giorni il dibattito per quanto concerne la Cittadinanza. Noi dell’Unicef chiediamo allo Stato di rivedere le leggi che la regolano in Italia e far sì che tutti i Bambini nati nel nostro territorio siano cittadini italiani, affinchè i figli degli stranieri in Italia possano godere pienamente di tutti i Diritti costituzionali e della Convenzione. Anche se, alla luce delle norme nazionali di ratifica di tutte le Convenzioni Internazionali, ne discende che lo Stato deve farsi carico di applicare le norme costituzionali e ordinarie a tutti i Minori, cittadini o stranieri che siano, senza alcuna distinzione! Vediamo ora quali sono le finalità della Legge 112 cit. L’art. 1 recita testualmente: “al fine di assicurare la piena attuazione e la tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età”; ciò significa che, in conformità a tutte le norme internazionali che obbligano gli Stati aderenti al rispetto e a consentire l’effettivo esercizio dei diritti minorili, l’Autorità Garante deve svolgere un ruolo determinante mirato appunto ai due scopi per cui è stata istituita, “piena attuazione” e “tutela”. A tal fine il Garante è titolare di competenze specifiche che si possono raggruppare in cinque ordini di funzioni: - pareri - proposte - informazione - ascolto - vigilanza e prevenzione. Il Garante, in primo luogo, formula pareri in relazione a disegni legislativi riguardanti i diritti dei minori; esprime pareri in ordine al rapporto che annualmente il Governo presenta al Comitato per i diritti dell’infanzia; esprime il parere sul piano nazionale di azione di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Il Garante formula osservazioni e proposte sull’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali dei minori; esprime proposte per rafforzare l’apparato legislativo sull’esercizio dei diritti dei minori; formula osservazioni e proposte per la prevenzione e il contrasto degli abusi sull’infanzia e sull’adolescenza, in relazione a tutte le disposizioni di legge vigenti in materia; assicura forme idonee di consultazione ad ampio raggio. Il Garante diffonde la conoscenza dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza promuovendo iniziative idonee in collaborazione con enti e associazioni; diffonde prassi e protocolli d’intesa elaborati dallo Stato e da Enti finalizzati alla promozione dei diritti minorili; promuove studi e ricerche sull’attuazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in stretto raccordo con l’Osservatorio nazionale sulla Famiglia (Legge 27 dicembre 2006 n.296), con l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza (DPR 14 maggio 2007, n.103) e con l’Osservatorio per il contrasto alla pedofilia e pornografia infantile (Legge 3 agosto 1998 n.269); individua forme di costante scambio di dati e di informazioni sulla condizione dei minori sia a livello nazionale che regionale; fornisce informazioni generali sull’esercizio dei diritti dei minori ai massmedia, al pubblico e alle persone od organi che si occupano delle problematiche relative Prima Parte - 105
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ai minori. Il Garante organizza un sistema di ascolto di qualsiasi persona di qualunque età, anche attraverso numeri telefonici di pubblica utilità gratuiti, per la segnalazione di qualsiasi violazione dei diritti minorili e di situazioni di rischio; si rende edotto dell’opinione dei minori e fornisce loro ogni informazione adeguata. Il Garante segnala all’Autorità giudiziaria e agli altri Organi competenti lo stato di disagio dei Minori, anche stranieri, così come stati di abuso e di violazione dei diritti minorili; può prendere in esame, anche d’ufficio, situazioni generali e particolari di cui sia venuto a conoscenza dove sia ravvisabile la violazione dei diritti minorili. A tal fine il Garante può richiedere alle pubbliche amministrazioni e a qualsiasi soggetto, pubblico come privato, di fornire informazioni rilevanti ai fini della tutela delle persone di minore età, di accedere a informazioni nonché di effettuare visite nei luoghi ove sono accolti o detenuti minori. Il Garante promuove lo sviluppo della cultura della mediazione per prevenire o risolvere i conflitti ove siano coinvolti minori, con accordi e suscitando la formazione di operatori specifici. Dall’esame delle funzioni del Garante possiamo affermare che questa Autorità riveste importanza fondamentale in materia di promozione e difesa dei diritti minorili, pur non essendo investita di poteri sanzionatori o di polizia: infatti la capacità di esprimere pareri e proposte, quella di mantenere il raccordo con tutte le istituzioni pubbliche e private, quella di segnalazione, quella di raccordo dei Garanti regionali fornendo loro le linee nazionali di azione, sono tutte espressioni di una eccezionale supremazia morale e sociale, finalizzata all’esclusivo interesse superiore del minore. L’aspetto più rilevante delle caratteristiche istituzionali del Garante è sicuramente la promozione della cultura della Mediazione: la legge istitutiva ha inteso obbligare il Garante a diffondere e ad usare uno strumento di altissima civiltà, quale appunto la mediazione, perché il minore venisse salvaguardato dagli effetti negativi e struggenti, soprattutto psicologici, che si sviluppano dai conflitti in cui essi si trovano coinvolti: promuovere la cultura della mediazione è certamente un impegno forte che richiede alte capacità professionali, dedizione e amore per l’essere umano; il principio dell’“io non vinco, tu non perdi”, che l’Unicef porta avanti da tanti anni, insegna a bandire la guerra e la competizione, non solo interpersonale, a prescegliere le vie dell’accordo e delle soluzioni pacifiche. Del resto vi rammento l’art. 11 della nostra Costituzione dove, appunto, si afferma che l’Italia ripudia la guerra sia come offesa alla libertà degli altri popoli sia, soprattutto, come mezzo di risoluzione dei conflitti. Vedete, quindi, che a qualunque livello, c’è e deve esserci un modo per mantenere alto il valore della pace. Occorre del pari sottolineare l’altro aspetto fondamentale che caratterizza la figura del Garante, quello della prevenzione. Si dice di solito, “meglio prevenire che curare”, e in effetti, in tema di diritti minorili, è indispensabile capire, ascoltare, accorgersi di tutto quanto riguarda i soggetti minori di età; il Garante, come del resto qualsiasi soggetto adulto, deve imparare a rispondere a una domanda: ma quali sono i bisogni di un Bambino? Per rispondere a questa domanda è necessario espletare profonde capacità di analisi del territorio, delle classi sociali, delle fasce d’età, dei problemi familiari, della scuola, tenendo sempre acceso il 106 - Prima Parte
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leit motiv della soggettività del minore fatta di sogni, di aspirazioni, di confidenzialità che egli richiede per potersi esprimere liberamente, di comprensione ma anche di educazione e formazione, di disciplina e riferimento forte all’adulto. Come potete vedere, da tutto quanto detto, discende una ferma verità che, cioè, il Garante per tutte le situazioni e per tutte le funzioni di cui è investito dalla Legge, deve rendere conto, non solo formalmente mediante la relazione annuale alla Camere sull’attività svolta, come prescrive la legge all’art. 3 lett. p), ma soprattutto alla sua coscienza di operatore a livello nazionale se la sua presenza nell’ampio e variegato scenario sociale e politico, italiano e internazionale, costituisca effettivamente una risorsa decisiva per l’affermazione e l’esercizio dei diritti dei minori. Annamaria Fonti Iembo
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AREA TEMATICA: GIUSTIZIA MINORILE
INTRODUZIONE AL PROCESSO MINORILE L’esigenza di un tribunale specializzato per i minorenni fu avvertita per la prima volta negli Stati Uniti, a Chicago, nel 1899, con l’istituzione della prima <Juvenile Court>. L’evento impressionò favorevolmente il continente europeo che nei primi decenni del ‘900, cominciò gradualmente a prevedere la creazione di tribunali specializzati per giudicare i minori. In Italia, i Tribunali per i minorenni furono istituiti per la prima volta nel 1934. La dislocazione è su base regionale, essendo previsto un solo Tribunale per minorenni per distretto di Corte d’appello. Le regole del processo minorile seguono quelle del processo penale per i delinquenti comuni, ma con alcune particolarità: i minori vantano gli stessi diritti degli adulti, ma non hanno pari facoltà (non è previsto, per esempio, che possano “patteggiare” la pena; il giudice è affiancato obbligatoriamente da esperti (un uomo e una donna); il processo si svolge rigorosamente a porte chiuse; le pene sono diminuite di un terzo, e non si applica l’ergastolo [così stabilito dalla Corte Costituzionale]; è assicurata la difesa tecnica e la presenza dei familiari accanto al minore da giudicare; il carcere è sostituito da istituti di pena, con l’obiettivo di mantenere separati i minori dai delinquenti adulti; sono previsti gli speciali istituti del perdono giudiziale, che cancella il reato, e l’irrilevanza del fatto (in base alla tenuità del reato/occasionalità del comportamento); il minore può essere ammesso alla prova, sostituendo alla pena un programma di impegno individuale e sociale. Spiccano immediatamente alcune peculiarità del processo minorile, ossia la forte tendenza a valorizzare l’aspetto rieducativo del processo e della pena, e l’esigenza di evitare il contatto con l’adulto delinquente, per scongiurare il pericolo di una manipolazione da parte del mondo della criminalità di personalità non ancora forti e strutturate come certamente è quella del minorenne. Sotto altro aspetto, il processo minorile può essere visto come un banco di prova di elementi innovativi, da poter eventualmente estendere anche al processo agli adulti: emblematici gli istituti dell’irrilevanza del fatto e della messa alla prova, sconosciuti al processo penale ordinario. Non si pensi, tuttavia, che il processo minorile rappresenti una prova di indulgenza a tutto tondo verso i minorenni che delinquono: le indicazioni della prassi evidenziano al contrario più di un caso in cui il minore riceve un trattamento sanzionatorio pari o persino deteriore, rispetto a quello del correo adulto [verosimilmente, quando affiora nel giudice – e non è raro - un’esasperata tendenza alla rieducazione attraverso eccessiva severità nell’applicazione della legge]. Forti problematicità esistono nel processo quando il minore sia parte offesa: in tal caso, le cautele pur apprestate oggi dall’ordinamento non appaiono sufficienti a garantire l’estraneità e la separazione del minore dalla scena processuale degli adulti, con tutti i rischi di sovraesposizione che ne conseguono. La convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo, aperta alla firma nel gennaio del 1996, pone l’accento sulla necessità di informare e assicurare la cosciente partecipazione del minore dotato di sufficiente discernimento alle scelte giudiziarie, attraverso il preciso invito a comunicare preventivamente al minore ogni informazione sul caso giudiziario che lo vede coinvolto, e a riceverne l’opinione, prima dell’adozione di eventuali provvedimenti. Si vuole assicurare cioè al minore un ruolo “attivo” nella procedura latu sensu giudiziaria, cercando 108 - Prima Parte
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di evitare il solito cliché del soggetto giuridicamente incapace, chiamato semplicemente a “subìre” le decisioni adottate dal potere giudiziario. Si tratta di una dichiarazione programmatica dall’elevato tenore valoriale, in quanto impegna gli stati a predisporre gli strumenti necessari a trattare i minori d’età quali veri soggetti di diritti, e non più quali mero “oggetto” dei - troppo spesso - prevaricanti interessi degli adulti. Fabrizio Cosentino
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GIUSTIZIA MINORILE: Aspetti Processuali Prima di esporre brevi nozioni sul Tribunale dei minorenni e sul processo penale minorile è necessario considerare cosa porta tanti minori ad avere un primo contatto con questo Tribunale e subire un processo penale minorile. Generalmente quando si parla di minore autore di reati, cioè di fatti illeciti vietati dalla legge, si parla di minore deviato e la devianza è considerata come ogni forma di violazione commessa da un minore senza soffermarsi sulle cause che possono averlo spinto ad infrangere le regole e non sempre si indicano le soluzioni che servono a recuperare un percorso di vita deviato. I ragazzi che deviano sono certamente ragazzi meno fortunati di altri, ragazzi vittime di qualcosa che per loro non ha funzionato e che se inseriti in un contesto familiare e sociale diverso forse non avrebbero avuto un comportamento deviante. Quando un comportamento deviante di un ragazzo viene considerato reato avviene il suo primo contatto con il Tribunale per i minorenni. Il Tribunale per i minorenni è un organo specializzato dell’Amministrazione della Giustizia ed è stato istituito con RD n.1404/1934 e con questo decreto si è consacrato il diritto del minore ad avere un proprio giudice specializzato: il Tribunale per i minorenni. È un organo collegiale composto da 4 giudici: 2 professionisti (togati) 2 giudici onorari (un uomo e una donna) scelti tra i cultori di biologia, psicologia che hanno la capacità di interpretare i comportamenti dei minori e le dinamiche familiari che ci sono dietro. Certamente per comprendere la condotta deviante del ragazzo che trasgredisce bisogna considerare: 1) il contesto familiare e sociale in cui vive 2) le motivazioni che lo hanno spinto a delinquere perché spesso ci si sofferma sulle vicende criminali, ma non ci si sofferma sulle storie della sua vita. Il Tribunale per i minorenni esercita la giurisdizione in materia penale, civile ed amministrativa. In materia penale giudica tutti i reati commessi da un soggetto durante la minore età, compresa tra i 14 e i 18 anni. I minori di anni 14 non sono imputabili, quindi se commettono dei reati non possono essere processati, ma ciò non vuol dire che non possono essere applicate nei loro confronti misure di sicurezza (ad es, inserimento presso una casa famiglia) se il loro comportamento può destare allarme sociale. L’attività penale viene svolta dal Giudice per le indagini preliminari che decide monocraticamente, dal Giudice dell’udienza preliminare composto da un giudice professionista e da due giudici onorari e dal Tribunale in sede dibattimentale (2 togati e 2 onorari ). In materia civile le sue competenze riguardano la protezione del minore in situazioni di pregiudizio o di abbandono, quando i genitori non adempiono in modo adeguato ai loro doveri nei confronti dei figli. Questo Tribunale può porre dei limiti all’esercizio della potestà dei genitori e può attivare l’intervento dei servizi sociali per sostenere e controllare le condizioni di vita del minore in famiglia. Nei casi più gravi il Tribunale può dichiarare i genitori decaduti dalla potestà sui figli e quando il Minore si trova in una situazione di abbandono morale o materiale dichiararne lo stato di adottabilità e inserirlo definitivamente in un’altra famiglia. In campo amministrativo adotta misure rieducative nei confronti di minori che manifestano comportamenti non accettati dal contesto familiare di appartenenza. 110 - Prima Parte
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Infine, in tema di adozione, questo Tribunale è competente a dichiarare l’adottabilità del minore nel caso in cui la situazione di grave trascuratezza o di maltrattamenti in cui versa fa ritenere che i genitori non sono in grado di occuparsi adeguatamente del proprio figlio. Ma principalmente il Tribunale per i minorenni deve garantire la crescita del minore e la formazione della sua personalità impedendo comportamenti devianti e ostacolando la tendenza del minore a delinquere e, quando ha commesso dei reati, deve favorire la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale attraverso il suo recupero ed il suo reinserimento nella società. Per il minore il primo contatto con questo Tribunale avviene quando ha commesso qualche reato che lo porta a subire un processo penale. Il processo penale minorile è un procedimento disciplinato secondo i principi del nuovo processo penale con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, della sua maturità e dalle esigenze della sua educazione. Il DPR 22 settembre 1988 n. 488 unitamente al RDL 20 luglio 1934 n.1404 disciplina il processo penale a carico di imputati minorenni rispettando le regole minime di Pechino per l’amministrazione della Giustizia minorile adottate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione del 29 novembre 1958 n.40/33 prestando attenzione maggiormente ai bisogni e alle esigenze di tutela della collettività, per cui l’accertamento del reato avviene attraverso l’osservazione della personalità del minore. Questo non è un processo contro il minorenne, ma è un processo per il minorenne che è il protagonista principale di tale processo, processo in cui si considerano le sue problematiche e le sue caratteristiche psicologiche e relazionali, infatti l’art.1 del DPR 448/1988 stabilisce che le disposizioni processuali sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minore. Questo processo è espressione di una giurisdizione specializzata, cioè una giurisdizione che ha i caratteri della giurisdizione ordinaria ma adegua le sue forme secondo la peculiarità del soggetto inquisito. La specializzazione di questo processo riguarda tutti i soggetti che in esso intervengono (avvocati) magistrati, territoriali e sezioni di polizia giudiziaria. L’istituzione di un giudice specializzato per gli imputati minorenni nasce dalla considerazione che il minore spesso trasgredisce per carenze di personalità dovute a fattori ambientali, familiari e sociali per cui è necessario valutare adeguatamente la sua personalità per individuare il trattamento rieducativo più appropriato. Ed ancora l’art.9 dello stesso DPR consente al giudice di acquisire ulteriori elementi circa le condizioni familiari e ambientali del minore al fine di accertarne la sua imputabilità ed il grado di responsabilità perché il minore che entra nella sfera della giustizia ha già sperimentato i rigori e le incomprensioni degli adulti. Ancora è necessario coinvolgere l’imputato alla vicenda giudiziaria che lo riguarda, per cui Prima Parte - 111
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il Giudice deve illustrare all’imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza e il contenuto e le ragioni delle decisioni che lo riguardano. Il giudice poiché la personalità del minore costituisce uno dei principi base di tutto il processo minorile, può acquisire informazioni sul minore per accertarne l’imputabilità ed il grado di responsabilità, valutare la rilevanza penale del fatto e disporne le adeguate misure penali; mentre il processo ordinario è un processo penale del fatto, cioè è una attività processuale finalizzata ad accertare la sussistenza del reato riconducibile al soggetto imputato. Ma chi accompagna il minore in tutte le fasi del processo è il suo avvocato che, oltre ad esercitare la difesa tecnica, deve essere garante del diritto del minore ad un trattamento che rispetti la sua dignità e considerate le caratteristiche di questo processo, è necessaria una particolare preparazione del difensore in diritto minorile. Il difensore interviene nel processo per assistere giuridicamente il ragazzo, spiegandogli il significato di ciò che gli viene contestato negli atti giudiziari, perché il ragazzo sa di avere sbagliato, ma non sa cosa si prevede come sanzione penale. Il difensore minorile per acquisire una particolare preparazione in diritto penale minorile deve frequentare dei corsi predisposti dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza. Alla fine del corso frequentato, l’avvocato otterrà un attestato che gli consenta di essere iscritto negli elenchi dei difensori d’ufficio nel processo penale minorile. Nel processo penale minorile l’accertamento del reato avviene in forma filtrata attraverso l’osservazione della personalità del minore nelle prospettive educative, proteggendolo in quanto soggetto debole da possibili traumi derivanti dalla celebrazione del processo. Oggi la giustizia minorile prevede istituti e finalità diverse dalla giustizia ordinaria, per cui è necessario analizzare gli strumenti che hanno a disposizione gli operatori del diritto che si trovano ad affrontare un procedimento penale nei confronti di un soggetto minorenne. Sono infatti presenti adeguate formule di chiusura del processo, cioè particolari istituti processuali non rinvenibili nel processo ordinario come la sospensione del processo e la messa alla prova, la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, la concessione del perdono giudiziale. Questo breve excursus sul Tribunale dei minori e sul processo penale minorile, consente di riflettere ancora una volta sulla devianza minorile, devianza la cui difesa non si realizza con gli interventi penali, ma cercando di ricostruire un percorso educativo che non sempre per colpa del ragazzo è stato interrotto, elaborando sistemi che devono consentire la precoce individuazione di quei minori che hanno maggiori probabilità di vivere esperienze di vita che li porteranno ad un comportamento deviante. Per prevenire la devianza e l’impatto con la giustizia minorile di tanti ragazzi è necessario imparare a conoscere i ragazzi con cui entriamo in relazione e non aspettiamo che a sollecitare le nostre emozioni sia un ulteriore caso drammatico che ci giunge attraverso le reti televisive e i giornali e non dimentichiamoci di quei minori meno fortunati di altri ragazzi della loro stessa età quando si spengono i riflettori sul caso di cronaca e sulle loro problematiche giudiziarie. È necessario che ogni genitore prima che la sorte del proprio figlio sia affidata alle competenze del difensore, capisca che il destino del proprio figlio dipende dal rapporto che con il figlio ha saputo instaurare. Italia Torchia
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PROCESSO PENALE MINORILE: Principi Ispiratori Il sistema della giustizia penale minorile è disciplinato dalla normativa specialistica processuale contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988. Le regole del processo penale minorile comportano delle riflessioni sui principi generali ispiratori e sulle dinamiche di armonia con la fonte costituzionale. In riferimento al primo aspetto, l’art. 1 del DPR. 448/1988 inserisce una clausola di sussidiarietà delle disposizioni contenute nel provvedimento in questione rispetto a quanto non previsto dal codice di procedura penale, determinando una stratificazione della base normativa. Il principio generale stabilisce che “tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità ed alle esigenze educative del minorenne”. La scelta legislativa è l’applicazione, ossia l’interpretazione e l’utilizzazione concreta, delle disposizioni specialistiche del processo minorile verso i riferimenti della personalità e dell’esigenza rieducativa. Le norme del decreto, siano esse di natura processuale o ritenute sostanziali, si orientano verso il minore cercando di soddisfare le sue preminenti esigenze. Solo una lettura superficiale potrebbe considerare tali indicatori come finalità, o interessi del minore, da realizzare da parte degli operatori all’interno del processo penale. A ben vedere, infatti, la norma processuale non ha scopo, al contrario di quella sostanziale, poiché si sviluppa in forma servente ad un modello di giustizia ispirato da criteri di valutazione da parte del giudice. Nel processo penale per maggiorenni, le regole processuali svolgono una funzione caudataria ad un sistema dove, in contraddittorio tra le parti, il Giudice cerca di pervenire all’accertamento di un fatto, tipico- antigiuridico- colpevole, per determinarne una sanzione al suo autore. La sanzione penale, contenuta nella norma sostanziale, possiede una finalità costituzionale ben precisa, mentre la disposizione processuale appronta solo quelle situazioni giuridiche obbligatorie, o facoltative, che le parti mettono in gioco. Il processo penale minorile non ha finalità, o comunque scopi specifici, poiché la ratio legislativa prevede altre funzioni, allargare la prospettiva ancorandola all’interesse del minore costituisce un’evidente forzatura interpretativa. Infatti, nell’ambito del DPR 448/1988, il termine “interesse del minore(nne)” viene utilizzato solo nell’art. 12 comma 3 laddove si facoltizza il Pubblico Ministero ed il Giudice a procedere al compimento di atti per i quali è richiesta la partecipazione del minorenne senza la presenza delle persone indicate nei commi 1 e 2, nell’interesse del minorenne o quando sussistono inderogabili esigenze processuali. Non vi sono altri spazi giuridici per fissare il termine interesse che, associato al minore, diventa un concetto non considerato dal legislatore come scopo processuale. La conclusione sul punto è che la norma contenuta nel processo penale minorile non ha finalità specifica, se non quella strumentale, non soddisfa l’interesse del minore, ma si interpreta e si utilizza in modo adeguato alla personalità ed alle esigenze educative del minorenne. Nel processo penale per maggiorenni si ricerca la verità (processuale) sul fatto costituente reato, Prima Parte - 113
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mentre nel processo penale per minorenni accanto a tale prospettiva si colloca anche quella della personalità e dell’esigenza rieducativa. Si delinea così un sistema di equilibri, di contrappesi, in cui da un lato vi è l’accertamento di un fatto, dall’altro ad esempio l’osservazione della personalità del suo agente (minorenne) e delle sue esigenze rieducative. L’art. 9 del DPR 448/1988, e così anche altre disposizioni successive, estendendo l’attività degli accertamenti sul minore in ogni stato e grado del procedimento, stabiliscono la ratio dell’indagine sulla personalità dell’imputato minorenne come tipica del processo in questione. Nel sistema minorile, pertanto, il Giudice si muove attraverso due linee guida: a) l’accertamento del fatto; b) l’osservazione della personalità del minorenne. Sostenere l’una a favore dell’altra significa non essere in sintonia con le scelte del legislatore. Ad esempio, trattare nella stessa identica maniera il minore che ha commesso un omicidio con quello che ha commesso un furto di autoradio significa, sotto il profilo del fatto, operare delle discriminazioni evidenti; così come nella stessa identica maniera, sotto il profilo della osservazione della personalità, è altrettanto ingiusto considerare sullo stesso livello il minore figlio del medico con quello nomade entrambi responsabili dello stesso reato. Quanto alle esigenze educative, il problema si pone per lo sviluppo delle attività che vengono ad interrompersi quando il minore entra nel circuito giudiziario. La famiglia, la scuola, lo sport, gli hobbies, e le altre occupazioni del minore nella dimensione della sua evoluzione educativa (educazionale), sono intaccate in maniera evidente nell’ambito del processo penale. Ogni singola disposizione deve essere adeguatamente sensibile anche a tale aspetto e collocarsi nella direzione positiva (educativa) del minorenne, a seconda delle sue esigenze. Il minore ha proprie necessità, diverse l’una dall’altra, che hanno bisogno di essere sviluppate nell’ambito educativo di riferimento cui la norma processuale deve ricondursi. Accanto all’osservazione della personalità, ed all’applicazione delle norme processuali in modo adeguato alle esigenze educative del minorenne, si colloca l’obbligo del giudice di illustrare all’imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni. L’inserimento di siffatto comportamento nei principi generali, art. 1 comma 2 DPR n. 448/1988, determina la precisa connotazione del processo penale minorile improntato alla “informazione”. Si pone come obbligo e riguarda tutto quello che il minore svolge all’interno del sistema giudiziario, nonché la spiegazione in forma chiara, e semplice, delle decisioni che lo riguardano, ivi compreso le ragioni etico-sociali. Per quest’ultimo aspetto la prassi non sempre presenta dei giudici attenti alla corretta applicazione del principio generale, cosicché spesso il minore non comprende l’effettivo disvalore sociale della condotta realizzata e sanzionata. Il processo penale minorile è, quindi, applicazione specializzante della norma processuale, senza alcuna finalità di interesse, con forte connotazione di informazione da parte del giudice. Le parti, in tale prospettiva, svolgono il contraddittorio con caratteristiche di contribuzionecollaborazione, mai contrapposizione, per soddisfare le indicazioni del legislatore. Paolo Carnuccio 114 - Prima Parte
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BREVI CENNI SULLA MEDIAZIONE PENALE MINORILE E L’ESPERIENZA DEL DISTRETTO MINORILE DI CATANZARO L’introduzione, lo sviluppo e l’evoluzione delle pratiche di mediazione in ambito penale ha segnato, attraverso l’esperienza giudiziaria penale minorile, l’ingresso nel nostro Paese, nelle dinamiche di politica criminale, della c.d. Giustizia riparativa/ristorativa (Restorative Justice), da segnalarsi, secondo la Dottrina più accorta (Gatti U. – Marugo M., “La vittima e la Giustizia riparativa”, Marginalità e Società, 27, 1994, 12-32) quale terza via possibile rispetto ai tradizionali modelli della Giustizia Retributiva e Riabilitativa, fondati rispettivamente ed elettivamente sui concetti di punizione e di riabilitazione del reo. Essa si fonda su di una nuova concezione “per così dire privatistica e relazionale” della Giustizia, che individua nell’autore e nella vittima del reato i veri e soli protagonisti della controversia-vicenda penale che li vede coinvolti (con una conseguente e assolutamente nuova valorizzazione del ruolo della vittima nel classico paradigma penal-processuale del reato, sotto la spinta culturale e di ricerca scientifica della moderna Vittimologia) e si caratterizza per il coinvolgimento libero, personale, diretto o indiretto che sia, emotivo, empatico e relazionale, delle parti contrapposte autore-vittima, all’interno di un setting comunicativo/relazionale, informale, accogliente e riservato, condotto e gestito da un esperto della comunicazione/ relazione (mediatore) equidistante, anzi equiprossimo alle parti, non giudicante, facilitatore della comunicazione come viene individuato dalla Dottrina più recente, che, nello spazio di ascolto libero, ma mediato, della stanza della mediazione, aiuta le parti in conflitto al superamento dello stesso, con tecnica di problem solving dallo scontro verso l’incontro, tesa al ristabilimento della verità delle relazioni e della legalità violata, alla eventuale riconciliazione, alla condivisione di un patto riconciliativo, ristorativo o mediativo, attraverso l’emancipazione, la rivalutazione e la valorizzazione dell’esperienza e della posizione della vittima/persona offesa del reato. L’esperienza della Mediazione penale minorile (unico caso di mediazione penale presente in ambito giudiziario nel nostro sistema giudiziario) nel sistema Giustizia Minorile in Italia nasce in forma sperimentale verso la fine degli anni ’90, su sollecitazioni formali, anche in riferimento ad esperienze internazionali e quale conseguenza di normative internazionali sviluppatesi sul tema, del Ministero della Giustizia – Dipartimento Giustizia Minorile – Ufficio Centrale Per la Giustizia Minorile. In particolare, in una primissima fase assolutamente sperimentale, l’esperienza vede coinvolti, grazie anche alla disponibilità ed all’impegno organizzativo dello scrivente, che viene nominato dal Dipartimento della Giustizia Minorile referente per la Mediazione Penale per l’Ufficio di Procura Minorenni di Catanzaro, i soli Uffici Giudiziari Minorili di Catanzaro e Bari per il Sud e quelli di Torino e di Trento per il Nord. Infatti, nell’Ottobre del 1997, con nota n. 44909 del 7/10/1997, l’Ufficio Centrale Per la Giustizia Minorile di Roma, in considerazione del parere favorevole espresso dalla Magistratura Minorile di Catanzaro, con l’indicazione, quale referente del progetto, dello scrivente, allora Sostituto Procuratore della Repubblica, sanciva l’avvio in via sperimentale dell’Ufficio per la Mediazione nel sistema penale minorile con sede in Catanzaro per l’intero Distretto di competenza. Da allora, l’esperienza e la professionalità costantemente profuse e via via irrobustite anche grazie ad una formazione e ad un approfondimento continui dei vari protagonisti/attori della sperimentazione, ha acquisito tali caratteristiche di competenza e funzionalità, sapienza organizzativa e sagacia propositiva da divenire nel tempo stabile punto di riferimento Prima Parte - 115
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non solo locale, ma anche nazionale per l’intero sistema della Mediazione penale e della Restorative Justice, ponendo l’ufficio e l’esperienza dell’Ufficio della Mediazione Penale Minorile di Catanzaro, ormai non più sperimentale, ma permanentemente funzionale e coeva all’esperienza di tutto il Sistema Giustizia Minorile in Calabria, per qualità e quantità dei numeri e delle esperienze e dei modelli e protocolli operativi, tra le eccellenze dell’esperienza mediativa e del modello di giustizia riparativa, in Italia ed in Europa. Ancora, l’equipe dell’Ufficio di mediazione penale minorile di Catanzaro, da me coordinata e diretta, sviluppando una mia idea di ricerca con metodo scientifico, con il supporto di un encomiabile ed eccellente lavoro d’equipe svolto dai mediatori penali, ha effettuato una ricerca sulla recidiva unica nel suo genere (primo laboratorio di ricerca sul punto in Italia ed in Europa) con la seguente metodologia e i risultati di seguito riportati: La ricerca è stata svolta nei primi mesi del 2005 con l’obiettivo di verificare la correlazione tra la positività dell’intervento di mediazione e l’incidenza sui tassi di recidiva, su di un campione di 174 minori partecipanti a percorsi di mediazione risolti con esito positivo, al fine di verificare se il modello della Giustizia Riparativa, attraverso l’esperienza della mediazione, diretta o indiretta, oltre ad incidere formalmente sulla possibile riconciliazione tra autore e vittima di reato, con ricadute positive in termini di deflazione e decongestionamento dei carichi di lavoro, oltre che di tutela delle vittime dei reati, svolga anche un effetto riparatore sull’autore del reato, con conseguente sua responsabilizzazione, emenda, riabilitazione e correlata benefica incidenza sul tasso di recidiva, con sensibile abbattimento dello stesso. L’arco temporale di osservazione è stato di un quinquennio, dal 2000 al 2004. La ricerca è stata svolta non solo all’interno del Tribunale Per I Minorenni di Catanzaro, ma estesa anche in tutti i Tribunali Ordinari della Calabria, per tutti quei minori divenuti medio tempore maggiorenni. Dei 174 minori (divenuti adulti nel corso degli anni oggetto della ricerca): solo 7 sono risultati recidivi e solamente per 6 di essi risultavano carichi pendenti. L’eccezionale risultato finale della ricerca ha, dunque, confermato un evidente nesso di incidenza tra mediazione (con esito positivo) e tasso di non recidivanza pari al 93 per cento, un tasso di recidivanza pari al 3 per cento e un dato neutro (generico) di carico pendente pari al 4 per cento. L’esito eclatante ed incoraggiante della ricerca (i cui risultati sono stati comunicati sia al Ministero della Giustizia – Dipartimento per la Giustizia Minorile, sia al Consiglio Superiore della Magistratura, sia al mondo accademico universitario) ha ancor di più convinto sia me che i colleghi minorili che i miei collaboratori dell’Ufficio della Mediazione Penale a procedere sempre più determinati verso un più ampio sviluppo della Giustizia Riparativa, ritendendola particolarmente adatta al Sistema Giustizia Minorile e della Famiglia, con un progressivo, ampio e convinto coinvolgimento ed una piena, ormai, ed entusiastica compartecipazione al Progetto dell’intera Avvocatura del Distretto, Consigli dell’Ordine e Camere Minorili. D’altronde, la consapevolezza dei risultati raggiunti ed il convincimento che lo spazio progettuale ed operativo della mediazione - modello giustizia riparativa/ristorativa- non possa e non debba trovare formalistici limiti o confini di materia, ma anzi debba operare come costante modalità operativa di qualità all’interno dell’intero Sistema Giustizia Minorile e della Famiglia, ci ha spinti a ricercare e percorrere nuovi e sperimentali spazi di operatività interfunzionale, applicando il paradigma della giustizia riparativa/riconciliativa e della mediazione penale e familiare, in uno con l’applicazione dei principi di diversion e probation, ad un’ipotesi di procedimento penale minorile sospeso ex art. 28 DPR 448/1988 con misura di probation. 116 - Prima Parte
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Nella fattispecie, si è proceduto con il tradizionale istituto penalprocessualistico sospensivo minorile, con contestuale applicazione della procedura della mediazione penale per il minore imputato e la vittima coinvolti nel conflitto penale, nonché concomitante attivazione di un percorso di mediazione familiare per i genitori del minore imputato, protagonisti di un’esperienza di separazione giudiziale con esasperata conflittualità, assolutamente determinante nella etiopatogenesi della rilevata devianza del figlio, con applicazione osmotica, coerente e convergente di tecniche e modalità di risoluzione dei conflitti in ambiti giudiziari solo formalmente diversi, ma tutti coesi da modalità operative e finalità convergenti. Anche in questo caso l’esito della sperimentazione è stato assolutamente positivo, con risoluzione del conflitto penale del minorenne (esito positivo del Probation e della mediazione penale) e risoluzione del conflitto familiare, con trasformazione della separazione dei genitori da giudiziale in consensuale e felice percorso di mediazione familiare. Beniamino Calabrese
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OLTRE IL PROCESSO PENALE MINORILE: ascolto, affidamento, adozione Il Tribunale per i Minorenni ha numerose competenze oltre a quelle relative ai procedimenti penali. Esse sono previste nel Codice Civile e precisamente: all’art.84, che non consente il matrimonio di minorenne se non per gravi motivi; all’art.330 che prevede la decadenza dalla potestà genitoriale; all’art.332 che regola il reintegro della potestà; all’art.333 che prevede l’adozione di provvedimenti di limitazione della potestà genitoriale diversi dalla pronuncia di decadenza, di allontanamento del minore dai genitori e di allontanamento del genitore maltrattante; all’art.334 che riguarda la possibilità di rimuovere uno o entrambi i genitori dall’amministrazione del patrimonio del Minore; all’art.335 che riguarda la riammissione nell’amministrazione dei beni; all’art.371, ultimo comma, che riguarda l’intervento del giudice sulla continuazione da parte del Minore nell’esercizio dell’impresa tramite il tutore. Ci sono poi leggi specifiche che riguardano altri procedimenti e provvedimenti per i Minori da parte del Tribunale per i Minorenni, in particolare la Legge 184 del 4 maggio 1983 che riguarda l’Affidamento familiare e l’Adozione. Intanto è bene richiamare una recentissima legge che ha innovato sulla qualifica di “figlio”. Trattasi della Legge n. 219 del 10 dicembre 2012 che equipara i figli naturali, cioè nati fuori dal matrimonio, a quelli legittimi. In virtù di questa legge, la parentela è un vincolo che si instaura tra persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia al di fuori di esso, sia nel caso del figlio adottivo minore. Questa legge applica pienamente il principio di non discriminazione sancito solennemente dalla Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori all’articolo 2. L’art.1, comma 7, della Legge così recita: “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, ciò significa che chi è “figlio” gode di pari trattamento e degli stessi privilegi che fin’ora erano riservati ai figli nati in costanza di matrimonio: l’art.1, comma 11, infatti dispone: «nel codice civile, le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite da “figli”». Occorrerà procedere ad un atto di riconoscimento che deve essere autorizzato dal Tribunale per i Minorenni. In sostanza, “il figlio ha il diritto ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto dodici anni e anche in età inferiore, se è capace di discernimento, ha diritto ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. Quest’ultimo diritto merita attenzione. L’ascolto del Minore è previsto da numerosi strumenti internazionali, primo fra tutti la Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori del 20 novembre 1989 ratificata dall’Italia con la Legge n.176 del 27 maggio 1991. È anche previsto dalla Convenzione europea di Strasburgo concernente l’esercizio dei Diritti dei Minori del 25 gennaio 1996, ratificata con Legge n. 77 del 20 marzo 2003. Per effetto di queste Carte internazionali, confermate dalla Legge n. 54 del 2006 e anche a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l’audizione del Minore è divenuta obbligatoria all’interno di ogni nostro procedimento giudiziario che riguarda Minori. L’ascolto del minore non è un mezzo istruttorio, perché non è finalizzato a verificare un dato evento. Non è una testimonianza perché non si richiede al Minore di raccontare un fatto. Non è un interrogatorio perché non è diretto a far “confessare” fatti al Minore. 118 - Prima Parte
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L’ascolto del Minore serve a recepire le sue valutazioni e le sue opinioni, perché, essendo egli parte processuale, deve poter esprimere la sua opinione sui fatti che lo riguardano, in modo che il Giudice ne possa adeguatamente tenere conto. L’articolo 12 della Convenzione Internazionale prevede espressamente tale diritto. L’ascolto del Minore per l’interessato non è un obbligo, mentre costituisce obbligo dello Stato di garantirlo e difenderlo; infatti, qualora il giudice non ritenga di procedere all’ascolto deve spiegarne chiaramente le ragioni. A tale proposito, è importante precisare cosa significa “capacità di discernimento”. L’accertamento di questa capacità va svolto caso per caso: in linea generale, l’esperienza insegna che anche bambini di età notevolmente inferiore ai 12 anni sono capaci di comunicare i propri sentimenti e di esprimere i propri orientamenti sulle vicende che li coinvolgono. In ogni caso, sarà il Giudice che dovrà decidere e, comunque, occorre sempre valutare se, predisponendo situazioni idonee, l’ascolto possa essere svolto. A seguito di una proficua collaborazione tra l’Unicef Italia e il Consiglio Superiore della Magistratura, è stato pubblicato nel mese di gennaio 2012, un testo di Approfondimenti che riguarda proprio l’Ascolto del Minore: si tratta di un valido strumento per tutti gli operatori della Giustizia Minorile e per gli altri professionisti che lavorano nel settore. I Ragazzi dovrebbero conoscere questo argomento che li riguarda molto da vicino e in particolare essere informati sulle modalità dell’esercizio di questo diritto. Sostanzialmente: - il Minore deve essere informato delle sedute di ascolto; - non deve subire le lunghe attese e non deve essere sottoposto ad orari che potrebbero stancarlo; - deve essere accolto in locali idonei; - deve essere messo a proprio agio, cioè, occorre preparare la sua accoglienza in modo adatto alla sua giovanissima età; - è bene che parli con un solo interlocutore che ne sappia conquistare la fiducia; - occorre rivolgersi a lui con garbo e soprattutto con parole semplici e concetti facili da capire; - occorre rispettare i suoi tempi per la narrazione e l’esposizione dei fatti che lo riguardano; - occorre spiegargli il senso del suo ascolto e le finalità che sono nel suo esclusivo interesse. Non si dimentichi che “il superiore interesse” del Minore, previsto a chiare note dall’art. 3 della Convenzione Internazionale, è oggi principio riconosciuto e rispettato nel nostro ordinamento anche a seguito di diversi interventi della Corte Costituzionale (da ultimo v. Corte Costituzionale sentenza 31/2012). Le competenze del Tribunale dei Minori, come abbiamo visto, riguardano anche i procedimenti di affidamento e adozione. L’affidamento familiare è uno strumento fondamentale che consente di provvedere ad un minore nel caso in cui la situazione familiare versi in gravi e temporanee difficoltà, senza provocare una separazione definitiva tra il minore e la sua famiglia d’origine. Prima Parte - 119
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Le situazioni che determinano l’affidamento sono: l’impedimento o l’impossibilità da parte dei genitori di esercitare adeguatamente il ruolo genitoriale. In questi casi il minore può essere affidato ad una famiglia con altri figli, o anche ad una singola persona, in modo di assicurargli un’accoglienza affettivamente e materialmente adeguata. L’affidamento è di natura temporanea e può essere per tutto il giorno o per parte di esso. L’affidamento non interrompe il rapporto con la famiglia d’origine, anzi, questa deve essere sostenuta con adeguati interventi psicologici, pedagogici e sociali finalizzati a promuovere la rimozione delle cause che l’hanno determinato e per consentire il rientro del minore nel suo ambiente familiare naturale. Ciò significa che le due famiglie, quella naturale e quella affidataria, devono collaborare e stare in contatto continuo, per favorire un’esistenza il più possibile serena al minore. È stato creato un Albo delle Famiglie affidatarie e il Servizio Affido familiare, presso le amministrazioni comunali, che assicura l’attività di sostegno ai protagonisti dell’affidamento. L’Adozione è un provvedimento che il Tribunale per i Minorenni adotta a favore di Minori abbandonati che sono stati dichiarati “adottabili”. L’adottabilità consiste nell’accertamento delle seguenti circostanze: - essere privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori e parenti; - che tale mancanza di assistenza non è dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio. L’adozione è un provvedimento definitivo e per l’effetto, il minore acquista lo stato di figlio legittimo della coppia che lo ha adottato, assumendone e trasmettendone il cognome. L’Adozione è un procedimento volto ad assicurare il diritto dei Minori a vivere in una famiglia. Tale diritto è riconosciuto con forza dalla Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori. Possono adottare le persone coniugate da almeno tre anni o recentemente sposate ma conviventi da almeno tre anni. Le persone sposate non devono avere in corso procedimenti di separazione e la differenza di età tra adottati e adottandi deve essere di almeno 18 anni e non superiore a 45. L’Adozione può essere a livello nazionale o internazionale. L’Adozione internazionale è regolata oltre che dalla citata legge 184/83, dalla Convenzione dell’Aja sulla Protezione dei Diritti dei Minori e sulla Cooperazione in materia, adottata il 29 maggio 1993, ratificata dall’Italia con la Legge n.476 del 31 dicembre 1998. L’Adozione internazionale si fonda sempre sul principio del “superiore interesse” del minore e risponde al criterio di sussidiarietà. Significa che il Minore straniero è adottabile solo se non è possibile trovare nel suo paese una soluzione adeguata. Si applica, poi, in questa materia, il principio di Cooperazione internazionale che la Convenzione sui Diritti dei Minori richiama costantemente, infatti, l’articolo 1 della Convenzione dell’Aja testualmente recita: “la presente Convenzione ha per oggetto: - stabilire delle garanzie affinché le adozioni internazionali si facciano nell’interesse superiore del Minore e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono riconosciuti nel diritto internazionale; - instaurare un sistema di cooperazione tra gli stati contraenti, al fine di assicurare il rispetto di queste garanzie e quindi prevenire la sottrazione, la vendita e la tratta di minori; - assicurare il riconoscimento, negli Stati contraenti, delle adozioni realizzate in conformità della Convenzione”. La Convenzione dell’Aja istituisce il principio di riconoscimento: in base a tale principio viene riconosciuto. Il pieno diritto alle adozioni internazionali in tutti gli Stati che hanno ratificato la Convenzione e che siano state svolte in conformità alla Convenzione stessa, riconoscendo così al Minore una 120 - Prima Parte
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sorta di status di “adottato”. Così come quella nazionale, anche l’Adozione internazionale determina un legame di filiazione con i genitori adottivi, accende la responsabilità parentale dei genitori adottivi verso l’adottato, interrompe definitivamente il legame giuridico preesistente di filiazione tra il minore adottato e i suoi genitori del paese d’origine. Allo scopo di promuovere il coordinamento e il contatto tra gli Stati contraenti, è stata creata l’Autorità Centrale, come organo di riferimento. In Italia tale organismo si denomina Autorità Centrale per la Convenzione dell’Aja, che ha sede presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a Palazzo Chigi. È importante sottolineare che l’Adozione Internazionale, così come del resto quella nazionale, è data per garantire che un Minore possa crescere “in un ambiente familiare, in un clima di felicità, d’amore e comprensione”; trattasi, quindi, di provvedimenti sociali e legali di grande portata morale che vengono consentiti non per dare un bambino ad una famiglia, ma per dare una famiglia ad un bambino; essi sono sostanzialmente espressione della Solidarietà, principio universale che dovrebbe motivare le scelte e i comportamenti. Luciano Trovato
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LA CITTADINANZA. QUESTIONE DI DIBATTITO ATTUALE TRA LE FORZE POLITICHE Essere Cittadino significa non soltanto appartenere ad una certa comunità politica; il significato pregnante di Cittadinanza è di identificare la condizione della persona fisica, detta appunto cittadino, al quale fanno capo su preciso riconoscimento dello Stato, i diritti civili e politici previsti e sanciti dalla sua Costituzione. Essere cittadini significa quindi, potere declinare tutta una serie di diritti di diversa natura, detti appunto diritti di cittadinanza, che possono distinguersi in: - diritti civili che comprendono la libertà personale, di movimento, di associazione, di riunione, di coscienza e di religione, l’uguaglianza di fronte alla legge, il diritto alla presunzione di innocenza, il diritto a non essere privati arbitrariamente della proprietà. Questi diritti, sostanzialmente, corrispondono ad altrettanti obblighi dello Stato di “non fare”; essi sono dei limiti ai pubblici poteri. - diritti politici che riguardano la partecipazione dei cittadini al governo dello Stato e si estrinsecano direttamente attraverso istituti giuridici quali il referendum, la petizione, o indirettamente con l’esercizio del voto (elettorato attivo) o proponendosi quali candidati (elettorato passivo) - diritti sociali, quali il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione, il diritto all’assistenza sociale. A questi diritti corrisponde l’obbligo dello Stato di fare, cioè di mettere a disposizione del cittadino tutte quelle misure, strutture, servizi necessari e idonei a garantirne l’esercizio. Da qui l’espressione “Stato Sociale”, per indicare appunto un’organizzazione statuale che si prende cura dei propri cittadini. Tutte le persone che non hanno la Cittadinanza o sono stranieri, se hanno quella di un altro Stato, o sono apolidi, se, cioè, non hanno alcuna cittadinanza. Il termine Cittadinanza ci deriva dal diritto romano, dove lo “status civitatis” identificava il cittadino romano distinguendolo dallo straniero. Lo status civitatis, unitamente allo “status libertatis”, che identificava l’uomo libero, e allo “status familiae”, che distingueva il pater familias, erano le condizioni necessarie per potere disporre della capacità giuridica. Nei tempi moderni, la scienza giuridica ha approfondito il concetto. Ricordiamo il sociologo inglese Thomas Marshall che compì studi sulla diseguaglianza; egli affermava che per divenire uguali, occorreva divenire cittadini. Dunque la Cittadinanza è una prerogativa della persona libera e responsabile, chiamata a svolgere un ruolo attivo nel proprio paese, di collaborazione e di azione, per il bene della collettività. Oggi diciamo quindi che Cittadinanza significa riferirsi ad un complesso di diritti e doveri di cui è titolare il cittadino che, ponendosi in rapporto con lo Stato, confluisce in un determinato assetto politico costituendone una risorsa. L’insieme dei cittadini, infatti, costituisce il “popolo” a cui appartiene la “sovranità”, esercitata per mezzo dei suoi rappresentanti in Parlamento. La Cittadinanza in Italia, è disciplinata dalla Legge 5 febbraio 1992 n.91, essa prevede la trasmissibilità della Cittadinanza “iure sanguinis”, ovvero per nascita da padre e/o madre cittadini italiani, o in caso di minore età, per acquisto della Cittadinanza da parte di genitore convivente. La legge in questione, cioè, non prevede la trasmissibilità “iure soli”, cioè per il fatto di essere nati nel territorio nazionale. Relativamente alla condizione dei minori di origine straniera, se i genitori stranieri sono diventati cittadini italiani, allora anche il figlio minorenne che convive con loro, lo diventa. Se il minore è nato in Italia da genitori stranieri non cittadini, ma regolarmente residenti, non 122 - Prima Parte
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acquista automaticamente la cittadinanza. Egli può essere destinatario di un permesso di soggiorno temporaneo, che deve essere rinnovato dai familiari per poter usufruire dei diritti sociali come l’istruzione, la salute e di poter liberamente circolare nell’area di Schengen (Accordo europeo 1985-Convenzione 1990-libera circolazione negli Stati aderenti). Il Minore straniero non cittadino, non può viaggiare all’estero nella fase di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno, non può iscriversi a sport agonistici. Il Minore straniero, nato in Italia, (si parla di seconda generazione), per potere acquisire la Cittadinanza italiana, deve attendere il compimento del diciottesimo anno d’età, da questo momento egli ha un anno di tempo per presentare la richiesta alle autorità competenti. Ovviamente si verifica che non sempre i ragazzi stranieri che compiono diciotto anni siano a conoscenza della legge, per cui il più delle volte essi restano senza cittadinanza. Il minore straniero privo di cittadinanza, può rimanere sul territorio italiano sempre che non si verifichino alcune condizioni che ne provocherebbero il rientro nel paese d’origine, quali la perdita di lavoro dei genitori, la diminuzione di reddito o la risoluzione del contratto di affitto. La persona straniera che risiede in Italia, non in possesso della Cittadinanza, non può vivere una vita piena, ad esempio, una volta maggiorenne, non si può iscrivere agli albi professionali per l’esercizio di determinate professioni. L’Unicef Italia ha sollevato la questione dei Minori stranieri di seconda generazione, con proposte e dibattiti indirizzati ai parlamentari italiani, perché prendessero a cuore la situazione di oltre 650.000 minori stranieri, nati in Italia, che frequentano le scuole italiane, che parlano in italiano e che hanno il diritto di essere “uguali”, come afferma solennemente la Convenzione Internazionale dei Diritti dei Minori. L’articolo 7 della Convenzione, ratificata dall’Italia con la Legge n.176 del 27 maggio 1991, recita testualmente: “il minore ha diritto ad essere registrato immediatamente alla nascita, ad avere un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura possibile, a conoscere i suoi genitori ed essere allevato da essi. Gli Stati parte devono vigilare affinché questi diritti siano attuati in conformità con la propria legislazione nazionale e con gli obblighi che derivano loro, dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui, se ciò non si provvedesse, il minore verrebbe a trovarsi apolide”. In ambito europeo si discute sul problema delle differenze di trattamento che provengono dalla provenienza o nazionalità delle persone anche per scongiurare un grave rischio, quello, cioè, che a causa del mancato riconoscimento della Cittadinanza, si pongano in atto discriminazioni per via indiretta, come la recrudescenza del razzismo, cosa questa assolutamente vietata dal diritto internazionale. In questi ultimi giorni si accende un ulteriore dibattito sulla questione, con riferimento ai minori con disabilità intellettiva. Si verifica che diversi minori di origine straniera, nati in Italia, che presentano una disabilità intellettiva, come la sindrome di Down, hanno avuto rigettata la richiesta di Cittadinanza per il motivo che la legge 91/1992 richiede che si presti obbligatoriamente il giuramento di fedeltà alla Costituzione della Repubblica, per cui non è stata riconosciuta a loro la capacità di prestare il giuramento. Prima Parte - 123
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In Italia vivono e studiano 15.549 alunni immigrati con disabilità, di cui 10.500 con disabilità intellettiva (dati Miur 2009-������������������������������������ 10). Anche per questi Minori, l’Unicef invoca i principi fondamentali della Convenzione Internazionale: l’universalità, la non discriminazione, l’indivisibilità e partecipazione e, soprattutto, il superiore interesse del Minore. Si richiama ancora la Convenzione Internazionale Onu sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea delle N.U. il 13 dicembre 2006, ratificata dall’Italia con la legge n.18 del 30 marzo 2009, che obbliga gli Stati parte a riconoscere alla persona diversamente abile “la libertà di movimento, il diritto di scegliere la propria residenza e quello di cambiare cittadinanza”. L’Unicef Italia ha lanciato la Campagna globale “Io come Tu”, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema e soprattutto per coinvolgere tutte le Forze Politiche affinché si ponga fine, con la revisione della Legge n. 91/92, alla discriminazione dei Minori stranieri di seconda generazione, nati in Italia. Teresa Rizzo
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LA NORMA PENALE E LA RESPONSABILITÀ PENALE NELLA COSTITUZIONE Questa breve relazione, vuole rendere conto dell’incontro avuto con i ragazzi del Liceo “Tommaso Campanella” di Lamezia Terme, nell’ambito del progetto di educazione alla legalità dell’Unicef in partenariato con la Corte d’appello di Catanzaro, diretto agli studenti del biennio obbligatorio della Scuola Superiore. L’incontro con gli studenti ha avuto la forma del dialogo, su temi di riflessione via via da me proposti o sollecitati dagli studenti medesimi e, pertanto, questo resoconto, ha necessariamente una forma frammentaria, per restare fedele al tenore della discussione intrattenuta quel giorno. Parlando della norma penale deve in primo luogo precisarsi come il legislatore costituzionale, ha posto grande attenzione, per garantire i diritti di libertà del cittadino dinanzi all’autorità dello Stato, alle caratteristiche che la regola penale deve avere per evitare applicazioni arbitrarie. Questo perché, essendo la norma penale quella che ha come sanzione, in caso di sua violazione, di regola, una privazione della libertà personale del reo, era necessario limitare sia il potere del legislatore, sia quello del giudice che era chiamato ad applicarla. Gli articoli della nostra Costituzione interessati direttamente sono: l’art. 25 co. 2, che indica il divieto di punire comportamenti se non oggetto di una regola stabilita prima del fatto commesso (principio di non retroattività della norma penale) e la necessità che la sanzione penale venga stabilita per legge (riserva di legge); l’art. 27 che indica come la responsabilità penale sia personale (con divieto quindi di ritenere responsabili i genitori, i parenti, il gruppo familiare etc.); ancora, l’art. 25 co. 1 che indica come la sanzione penale debba essere irrogata da un giudice costituito prima del fatto commesso (divieto di costituzione di giudizi speciali tribunali politici, etc.). Tali principi, unito a quello che indica come la pena deve perseguire la rieducazione del condannato e del divieto di trattamenti contrati al senso di umanità (ivi compresa la pena di morte) (sempre art. 27 Cost.), completano, insieme ad altre disposizioni generali le garanzie che la Costituzione da ai cittadini dinanzi al massimo potere punitivo dello Stato. Il cittadino, in tal modo, è sicuro che il suo comportamento non potrà essere strumentalmente punito per perseguire scopi diversi da quelli corretti e che, quindi, la sanzione penale non potrà ad esempio essere usata contro di lui per prevenire forme di dissenso democratico. Altro aspetto importante, riguarda però il contenuto delle norma penale, e, cioè, se sia potere o meno dello Stato, rendere penalmente rilevante qualunque comportamento del cittadino. È quindi possibile punire con legge antecedente ed affidando ad un giudice il giudizio, ad esempio, chi critichi il governo in carica? Cioè, rispettando i caratteri formali della norma penale, può riempirsi il divieto penale di qualunque contenuto? La risposta è senza dubbio di no. Ma la ragione di tale risposta non è così semplice. Involge un concetto filosofico che ha impegnato l’uomo fino da, direi quasi, l’età neolitica, dopo la formazione di gruppi stabili di uomini numericamente tanto grandi da doversi dare delle regole condivise. Semplificando, la domanda è: perché possiamo dire che una legge è giusta o sbagliata? Qual è il fondamento del giusto e, spingendosi un po’ oltre, qual è il fondamento della distinzione tra bene e male? Prima Parte - 125
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Su tale aspetto, deve richiamarsi, la figura di Antigone, dell’omonima tragedia di Sofocle. Sofocle racconta la storia di Antigone la quale, disobbedendo alla volontà del Re di Tebe, Creonte, decide di dare sepoltura, rispettando una legge divina, al fratello Polinice. Sofocle quindi illustra, in termini contemporanei, il problema della legittimità della legge: Antigone, innanzi ad un ordine del Re, che è quindi legge dell’autorità costituita, si oppone appellandosi alla legge divina, che le permette di ritenere fondatamente che la legge del Re è ingiusta. Ebbene, il problema della legittimità della legge ha avuto varie risposte ed il fondamento della regola è stato via via trovato o nella legge del dio, o nella natura benigna insita nell’uomo o ancora, secondo il cosiddetto positivismo o neopositivismo, nel rispetto formale del processo di formazione delle leggi. Assai interessante è l’opinione che vede il fondamento nella legge nella “promozione umana”: è legge giusta quella che tende a migliorare le condizioni dell’uomo. Dopo tale riflessione, e ritornando alla nostra domanda, deve dirsi come, nell’ordinamento italiano contemporaneo, sia la nostra Costituzione, quale Legge fondamentale dello Stato Italiano ad essere parametro della legge giusta o ingiusta. La Carta Costituzione, infatti, indicando il contenuto dei diritti inviolabili dell’uomo e del cittadino è parametro di legittimità della legge stessa. Ciò permette anche di rispondere alla domanda del come sia possibile la vigenza nel nostro ordinamento di leggi (tra cui gran parte della legge penale) formatisi in epoca anteriore alla Costituzione ed anche nel ventennio fascista. Infatti, ogni legge, già esistente o nuova, può essere valutata in base a quello che prescrive la Costituzione e rimodernata, per così dire, in senso conforme ai diritti fondamentali ivi riconosciuti (esempio dell’abolizione del delitto di sciopero). Ultimo aspetto assai interessante per tutti noi, è la risposta alla seguente domanda: chi è il destinatario della legge e chi deve far rispettare le leggi? La risposta più immediata è che il destinatario della legge è il Giudice, che deve giudicare il fatto rispetto alla prescrizione della norma. Ma l’insegnamento di Antigone ci porta a dire che ognuno di noi, quale componente della collettività sociale, è destinatario della legge ed ha il diritto ma anche il dovere di conoscerla di interpretarla e rispettarla e, perché no, farla rispettare agli altri richiamando tutti alla necessità di seguire comportamenti “giusti” in vista della “promozione umana”. Carlo Fontanazza
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LE ASSOCIAZIONI MAFIOSE CRIMINALITÀ ORGANIZZATA
E
IL
FENOMENO
DELLA
Buongiorno a tutti sono Salvatore Curcio e sono di Soverato […]. Mi sono occupato per molti anni, quasi da quando sono entrato in magistratura, di procedimenti di Mafia e di criminalità organizzata. Questo perché alla base ho fatto una scelta, […] ho scelto da calabrese, di rimanere in Calabria e mettermi a disposizione della comunità, e non solo per restituire un servizio a questa terra che mi ha visto nascere e crescere, ma anche per cercare di mettere a frutto le conoscenze personali derivanti dal fatto di essere del posto. Cercherò di tracciare delle linee assolutamente generali di che cos’è un’organizzazione di tipo mafioso, e di ‘ndrangheta in modo particolare […] e poi vorrei parlare di quella che è la mia esperienza in questo territorio […]. Voi sapete che con il termine mafia si indica un particolare tipo di criminalità organizzata che, a seconda delle regioni in cui opera, assume nominativi diversi: avete senz’altro sentito parlare, per quanto riguarda per esempio l’area siciliana, di una organizzazione denominata “Cosa Nostra”, tristemente nota per essere quell’organizzazione che più di ogni altra, ha elevato il livello dello scontro con lo Stato, assassinando decine e decine di appartenenti alle forze dell’ordine, magistrati e politici impegnati nel contrasto a questo tipo di fenomeno. In Calabria abbiamo la “’Ndrangheta”. Nella regione Campania abbiamo la “Camorra”. Nelle Puglie la c.d. “Sacra Corona Unita”. Queste sono le forme di criminalità organizzata di stampo mafioso operanti in Italia, in Europa e nel Mondo, più conosciute e che appartengono alle “conoscenze giudiziarie”, al patrimonio giudiziario del nostro Paese. La ‘ndrangheta sicuramente in questo momento rappresenta l’organizzazione di stampo mafioso più pericolosa in assoluto. Perché? Perché per anni, contrariamente a Cosa Nostra che ha adottato una politica stragista di terrore, innalzando il livello dello scontro con lo Stato, la ‘ndrangheta molto “furbescamente” si è mantenuta sempre sommersa, portando avanti i propri affari ben consapevole che un innalzamento dello scontro con lo Stato avrebbe sicuramente comportato delle ricadute in termini di tranquillità nello svolgere il “proprio lavoro”. Avete certamente sentito parlare del fenomeno dei c.d. sequestri di persona a scopo di estorsione, forse uno dei reati più orrendi e brutali che era dominio quasi assoluto della ‘ndrangheta e dell’Anonima Sequestri sarda. Negli anni 70 e negli anni 80 l’attività della ‘ndrangheta era soprattutto contrassegnata da questo tipo di fenomeno, ovverossia, si rapivano personaggi di spicco dell’imprenditoria, […] o comunque persone facoltose, le si imprigionava per mesi, addirittura per anni (alcuni non hanno mai fatto ritorno), le si portava nell’area aspromontana, dove queste organizzazioni avevano il controllo assoluto del territorio, e le si teneva in cattività fino a quando non si otteneva il pagamento di un riscatto; e solo allora, quindi, si liberava l’ostaggio. Questo genere di fenomeno tendenzialmente andò a scomparire verso la fine degli anni 80, e non perché gli ‘ndranghetisti erano diventati più buoni, ma perché non era particolarmente remunerativo; infatti, la somma del sequestro andava divisa tra decine, centinaia, di persone, tanto che alla fine rimanevano praticamente pochi spiccioli per ciascuno. Sul finire degli anni ‘80, intanto, la ‘ndrangheta scopre che c’è un altro affare ben più remunerativo del sequestro di persona, ed è il traffico internazionale di stupefacenti, principalmente di cocaina. Da allora in poi, quindi, le organizzazioni di ‘ndrangheta cominciano a tessere Prima Parte - 127
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rapporti con i Narcos colombiani […] e con i due gruppi principali di guerriglia operanti nel territorio colombiano. Territorio che ha una situazione politica molto particolare, mi riferisco alla guerriglia di sinistra, vale a dire le Fuerzas Rivoluzionarie Armate di Colombia, e le AUC (le Autodefensas Unidas de Colombia) i c.d. paramilitari, la guerriglia di destra. In breve, con queste due organizzazioni la ‘ndrangheta inizia a trafficare cocaina ad altissimi livelli, fino a diventare la prima organizzazione al mondo nell’importazione di sostanze stupefacenti di questo tipo. E quando parlo di importazione, non parlo di un o due kg, ma parliamo di quintali e tonnellate. Dov’è l’affare? L’affare sta nel fatto che, normalmente, un kg di cocaina costa ai cartelli importatori qualcosa come 22.000-25.000 dollari americani (considerate che attualmente il cambio del dollaro con l’euro è 1,26-1,30). Questa sostanza stupefacente, viene comprata proprio alla fonte, dove viene coltivata, e viene trasportata normalmente sotto forma o di pasta di cocaina o già di prodotto finito, quindi cloridrato di cocaina. La polvere bianca in panetti che normalmente vedete nelle immagini televisive, ha una presenza di principi attivi molto elevata, per cui, attraverso le c.d. sostanze da taglio, da un kg di cocaina è possibile ricavarne praticamente tre, se la droga è buona. Ovviamente poi c’è la fase dello smercio che comporta, ormai, atteso l’aumento spropositato dell’offerta e della domanda, che una dose di cocaina si possa trovare anche a somme oscillanti intorno ai 50-70 euro. Quindi, voi capite, che quegli originali 22.000-25.000 dollari a kg vanno moltiplicati allo smercio in termini di guadagno per 10, per 100, per 1000. Vi faccio un esempio: nel corso di un’operazione condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro a fronte di un sequestro complessivo di 5.300 kg di cocaina, periziammo 800 kg di cocaina sequestrati tra il porto di Salerno e il porto di Gioia Tauro; bene, facemmo una perizia chimico-tossicologica e chiedemmo anche al nostro consulente di verificare, qualora fosse stata venduta questa droga al mercato clandestino, quanto avrebbe guadagnato quella organizzazione di ‘ndrangheta. Soltanto con quegli 800 kg che erano praticamente 1/6-1/7 della droga complessivamente sequestrata, quella organizzazione avrebbe guadagnato 1 miliardo 435 milioni di euro circa, cioè 2.270 miliardi delle vecchie lire. Perché vi ho fatto questo esempio concreto? Perché dovete avere contezza delle dimensioni del fenomeno e dell’enorme capacità di ricchezze illecite che queste organizzazioni accumulano. […] Un dossier dell’Eurispes del 2007, “’Ndrangheta holding 2007”, stabilì che soltanto in quell’anno le organizzazioni di ‘ndrangheta avevano guadagnato 44 miliardi di euro, di cui 66% grazie al traffico di cocaina. Queste cifre sono superiori all’intero prodotto interno lordo, all’intera ricchezza, di Stati come la Lituania, l’Estonia o la Slovenia. Ecco, questi riferimenti bisogna conoscerli, perché conoscere il fenomeno significa poterlo contrastare efficacemente. Questo comunque spiega perché la ‘ndrangheta nel corso degli anni è diventata la prima organizzazione criminale al mondo. Vedete, un’indagine di mafia, un’indagine di ‘ndrangheta, non è più l’indagine su “compare Turriddu” con il cappello di velluto, la lupara e il “cilleccu delu vellutu”. Le indagini di criminalità organizzata sono indagini sempre più deregionalizzate, vale a dire di respiro internazionale. Ormai la ‘ndrangheta interagisce in Germania, in Francia, in Spagna, in Olanda, in Colombia, in Venezuela, in tutto il mondo. Ed è questo che ha condotto le Nazioni Unite, con la “Convenzione di Palermo” del 2000, a dare vita ad una figura di reato particolare, che è il c.d. reato transnazionale. Ovverossia, tutti gli Stati della comunità internazionale, finalmente, hanno capito che il problema della criminalità di tipo mafioso non è solo un problema italiano, ma è un problema che interessa praticamente tutto il mondo, per cui, hanno dettato delle regole comuni per contrastare questo genere di fenomeno. Come arriva la droga in Italia? […] Arriva nei modi più disparati. Voi pensate che soltanto per 128 - Prima Parte
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spedire un container di cocaina, normalmente si spende tra le 500 mila/1 milione di euro, e questo solo per occultare bene lo stupefacente. Noi abbiamo rinvenuto sostanze stupefacenti, per esempio, nei blocchi di marmi da 27 tonnellate. L’organizzazione dei Narcos colombiani, che abbiamo monitorato, ha comprato appositamente a Carrara una macchina perforatrice del marmo per poter bucare, fare i carotaggi, in questa grossissima pietra e inserire il cloridrato di cocaina dentro, per poi sigillarla con il materiale che avevano rimosso, in maniera tale che, quando il container fosse stato controllato, non sarebbe stato trovato nulla (dovete sapere che tutti i container che partono dall’area caraibica Sud Americana transitano per gli Stati Uniti d’America dove vengono sottoposti ad un particolare macchinario ispettivo, una sorta di scanner gigantesco, che passa sotto il container per monitorarlo e verificarne il contenuto). Con questo tipo di sistema, non si riusciva a rinvenire nulla. La droga è stata, per esempio, anche spedita nelle latte di tonno industriale da 1 Kg e mezzo […], dentro le quali si mette la forma circolare di cloridrato di cocaina compressa; pensate ad una forma di pecorino (che è senz’altro più buona della cocaina) inserita nella latta e coperta con tonno e olio d’oliva e, quindi, inscatolata e spedita. Noi abbiamo sequestrato 1.698 kg di cocaina nel porto di Vigo in Spagna, dove era stata spedita con questo meccanismo. Oppure, pensate al liquido di cocaina disciolto nel rum […] e poi, con un processo di essiccazione al contrario si ricava di nuovo la pasta di cocaina; o ancora il cloridrato di cocaina nascosto nell’impregnate per mobili. Magari arriva alla dogana un tavolo antico, salvo poi scoprire l’impregnante colorante del mobile rappresentato da cloridrato di cocaina disciolto […]. Questo per dirvi quanto sono difficili le attività d’indagine per l’estrema professionalità di questa gente, e quanto è appunto complicato arrivare al sequestro dello stesso. Come si entra nella ‘ndrangheta? Nella ‘ndrangheta si entra attraverso la presentazione di un affiliato che ovviamente ne faccia parte, e non basta la presentazione per essere presi, ma occorre un vero e proprio periodo di tirocinio in cui il candidato, l’aspirante ‘ndranghetista, viene messo alla prova. In questo periodo l’aspirante candidato viene normalmente indicato con il termine di “contrasto onorato”. Cosa fa il contrasto onorato? A questi viene delegata un’attività di mera manovalanza: “Vammi a sparare alla saracinesca di quel negozio a cui devo chiedere il pizzo”, “Vammi a incendiare quell’escavatore”, “Portami queste armi da un posto a l’altro”, e via dicendo. Se il “contrasto onorato” supera favorevolmente la prova, viene battezzato con una cerimonia formale detta proprio “battezzo”; quindi, affiliato ritualmente all’organizzazione ‘ndranghetista, gli viene conferito il primo grado, o “picciotteria” che dir si voglia. Il contrasto onorato dunque, una volta battezzato, diventa picciotto. Ci sono poi tutta una serie di gradi nella “carriera” criminale […]. Il secondo grado è quello di “camorrista” (che non ha nulla a che vedere con la Camorra), e fin qua è la c.d. società minore; dal terzo grado in poi inizia la società maggiore, ovvero quella costituita da persone che posso comandare e organizzare la vita dell’ente criminale mafioso. Quindi il terzo grado è quello dello “Sgarro”; e poi, se si è “bravi”, si diventa “Santisti”. Al quinto grado è il “Vangelo”, “Trequartino” e via dicendo […]. La ‘ndrangheta com’è organizzata? È organizzata per “locali”, che cos’è un locale? Un locale è l’area dove l’organizzazione di ‘ndrangheta esercita il proprio potere criminale, il c.d. Prima Parte - 129
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controllo del territorio. Ogni locale, però, può avere delle proiezioni territoriali, le c.d. “’ndrine”. Vi faccio un esempio: il locale di Cirò, la cui esistenza è già stata accertata in diverse sentenze passate in giudicato, aveva delle ‘ndrine distaccate, cioè delle micro organizzazioni che dipendevano da lui e operavano in altri comuni limitrofi; quindi Cirò aveva come ‘ndrina distaccata Cariati, Torretta di Crucoli e così via. Queste ‘ndrine non possono essere più di sette. Questa è la strutturazione base della ‘ndrangheta, la quale però nel corso degli anni, e soprattutto di questi ultimi anni a seguito di numerosi arresti eccellenti […], è passata ad una strutturazione di tipo diverso. Si è cioè avvertita la necessità di creare un organo sovraordinato che potesse controllare questi locali, i quali spesso e volentieri tra loro venivano all’urto causando guerre di mafia […]. Allora è stato previsto un “crimine di area” che controlla tutti questi locali della sua area. Per esempio, c’è un crimine nell’area crotonese, un crimine nell’area del soveratese e via dicendo. Al “crimine” rispondono quei “locali” della propria area. Di recente è stata creata poi (questo secondo le risultanze delle ultime indagini) una struttura ancora sovraordinata che è la c.d. “provincia”, con a capo una sorta di “mamma santissima”, o “capo crimine assoluto”, che governa questa “provincia” ed è eletto dalla provincia stessa. Questa, in sintesi, è la struttura attuale della ‘ndrangheta. Quando pensate alle ‘ndrine distaccate dei locali, alle proiezioni territoriali, non dovete pensare soltanto a ‘ndrine operanti nel territorio calabrese. Noi abbiamo accertato la presenza di ‘ndrine all’estero e in territori lontanissimi: a Melbourne in Australia, a Johannesburg in Sud Africa, per non parlare degli Stati Uniti, piuttosto che della Germania, tristemente nota per la strage di Duisburg. Ma, in realtà, il popolo tedesco, e soprattutto i colleghi tedeschi, sono consapevoli della presenza del fenomeno ‘ndranghetista da loro già da un sacco di anni. Io ho iniziato la mia collaborazione con la Procura di Stoccarda almeno dal 1993. Nel sistema di contrasto alla criminalità mafiosa c’è stato un periodo in cui colleghi che hanno sacrificato la propria vita, avevano capito, traendo questa convinzione da loro esperienze professionali (mi riferisco a Giovanni Falcone) che forse qualcosa nel sistema investigativo di contrasto alla mafia doveva cambiare. Cioè si avvertiva la necessità di una maggiore circolarità delle conoscenze e delle informazioni. Spesso che succedeva, anche in Calabria? Che, per un determinato fatto di ‘ndrangheta, procedeva per esempio la Procura di Castrovillari mentre la Procura di Catanzaro, quella di Reggio, non sapevano niente, salvo poi che, per quel fatto commesso a Castrovillari, c’era la possibilità di ritrovare personaggi di ‘ndrangheta del reggino o del catanzarese. Allora Giovanni Falcone che cosa pensò? Disse “è necessario che le indagini di mafia siano condotte da un organismo unitario che abbia il massimo delle conoscenze sul fenomeno” e, grazie a lui, si creò la Procura Nazionale Anti-mafia e le Procure Distrettuali Anti-mafia, che oggi praticamente sono gli organismi giudiziari inquirenti che procedono alle indagini in tema di criminalità organizzata di stampo mafioso. Questo che cosa ha comportato? Ha comportato una maggiore conoscenza e circolarità delle informazioni e, se vogliamo, anche una maggiore specializzazione dei magistrati in queste tematiche investigative. Bene, l’istituzione della DDA alla fine dell’anno ‘91-‘92, ha comportato veramente una sorta di rivoluzione giudiziaria. Pensate che tantissimi ‘ndranghetisti, parecchi capi cosca che fino al ‘92 avevano un certificato penale del casellario giudiziario immacolato, oggi sono all’ergastolo. Quindi, questa rivoluzione ha comportato un diverso approccio, un diverso modo di concepire l’investigazione, apportando dei risultati molto grandi. Volevo fare un ultimo inciso, che mi deriva dall’esperienza personale e professionale in tutti questi anni sul campo, […] e cioè che, dovete riscoprire il senso di responsabilità e la partecipazione alle cose, alla vita, della città e del territorio. Voi dovete riscoprire lo spirito di appartenenza, e vi spiego il perché sono arrivato a questa conclusione. Quanti di voi sanno 130 - Prima Parte
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chi era Elisabetta Gagliardi piuttosto che Angelo Aloi, Pepe Carmine o Gabriele Domenico? Avete mai sentito parlare di queste persone? Bè ragazzi, queste persone erano coetanei vostri, più piccoli anche. Gabriele Domenico aveva 10 anni, Elisabetta Gagliardi ne aveva 9, ed entrambi hanno perso la vita in agguati di mafia; e badate, non a Milano, a Torino o a New York. Elisabetta Gagliardi è stata ammazzata a Settembre del ‘91 a Palermiti con un colpo di pistola alla nuca. E sapete perché? Perché il gruppo di fuoco che era andato ad ammazzare il padre, c’era andato a viso scoperto, era conosciuto evidentemente alla bambina e alla madre di questa e, non trovando il padre, ammazzarono madre e figlia. Gabriele Domenico sapete perché è morto? È morto perché amava tanto giocare a calcetto e la sera del 25 aprile del 2009 a Crotone, insieme al papà, era andato a farsi una partita ai campetti di località Margherita. Quella sera, delle persone aveva deciso che uno dei partecipanti alla partita doveva essere ammazzato, per cui andarono in mezzo al campo e spararono con un fucile. A morire non fu solo la vittima designata, ma fu anche questo bambino di soli 10 anni, morto dopo tre mesi di agonia nella sala rianimazione dell’ospedale di Catanzaro. Ecco, perché vi ho fatto questo esempio? Perché quello che ho constatato in tutti questi anni è che il popolo calabrese, e anche la nostra comunità di Soverato, di cui faccio orgogliosamente parte, è ormai assuefatto a questo tipo di abbruttimento. Questi fatti, se fossero successi altrove, avrebbero sicuramente comportato una maggiore reazione sociale. Parliamoci chiaramente, a Soverato siamo diventati famosi, tristemente famosi, per l’omicidio sulla spiaggia di 2 anni fa; ma, sostanzialmente, la comunità che cosa ha fatto? Oltre che recepire passivamente quelle che sono state le notizie mediatiche, non ha fatto nulla. Quanti di voi hanno sentito dire, o magari l’hanno pure commentato, “ma fin quando si ammazzano tra di loro” […]. Fare questo tipo di commenti rappresenta la forma più elegante per rendere un favore enorme alla ‘ndrangheta, ed è anche il modo di atteggiarsi più comodo, l’alibi più immediatamente raggiungibile per deresponsabilizzarsi. Questo comporta che cosa? Che noi nei confronti dello Stato manteniamo un atteggiamento assolutamente abnorme se ci pensiamo, noi consideriamo in questo modo il problema ‘ndrangheta come qualcosa che è demandato soltanto alle forze di polizia, ai magistrati, allo Stato e via dicendo, e ci atteggiamo noi stessi nei confronti dello Stato in maniera non ortodossa, considerandolo come un soggetto terzo a cui pagare le tasse, come un corpo estraneo, quando non addirittura come un nemico (perche è difficile trovare uno che paga le tasse volentieri, salvo poi pretendere, quando si va in autostrada, che questa sia bella ammodernata o quando si va in ospedale che le prestazioni sanitarie siano di buon livello. Le tasse servono a questo, a consentire allo Stato di garantire servizi comuni essenziali al cittadino). E allora, che cos’è che dobbiamo fare? Perché, vedete, la conseguenza qual è? È quella che, così facendo, nei confronti dello Stato siamo dei sudditi. Noi dobbiamo rimpadronirci del nostro essere cittadini, perché lo Stato siamo noi! È questo che dobbiamo metabolizzare. Noi siamo la comunità di Soverato, per cui qualsiasi cosa succeda in questa comunità ci deve interessare, diversamente non sarebbe giusto nei nostri confronti, nei confronti di quei bambini che sono morti e dei tanti innocenti che muoiono, non sarebbe giusto per l’imprenditore che per poter svolgere la sua attività in maniera tranquilla e serena è costretto a pagare mensilmente questi balordi (che badate, nessun imprenditore e operatore commerciale di zona è esente dal pagamento del pizzo. Chi vi dice che non paga il pizzo Prima Parte - 131
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vi dice una fesseria). E allora, dobbiamo dismettere i panni del suddito, riappropriarci del nostro status di cittadini e sentirci responsabili nei confronti della comunità, perché la comunità siamo noi. Come ha detto un collega “dobbiamo rimpadronirci della capacità di innamorarci del destino dell’altro”. Vedete, noi siamo fatti tutti di materia. Siamo tutti uomini di carne con gli stessi sogni, con i nostri sogni, con le tensioni morali, le nostre aspettative per cercare di realizzarli. Allora che cosa fa la differenza tra noi e un mafioso? Sta alla scelta di fondo che dobbiamo fare. Sta a noi scegliere quali semi è bene piantare per costruire e quali semi è male piantare per distruggere, sta a noi decidere da che parte stare, quali compromessi accettare e quali rifiutare. Ecco, sta a noi scegliere se convivere in una società civile piuttosto che assumere un atteggiamento assuefattivo a questo genere di fenomeno, se non addirittura contiguo. L’augurio che vi faccio è che voi riusciate veramente a riacquistare e a mantenere questo spirito di appartenenza ad una comunità, sia quella soveratese sia quella calabrese, che vi porti ad accrescere il vostro senso di responsabilità e il vostro spirito di appartenenza ad una comunità sana. Salvatore Curcio Quanto appena riportato è il risultato della trascrizione di parte della lezione tenuta il 19.12.2012 all’istituto “Malafarina” di Soverato dal Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Catanzaro. Di seguito la trascrizione di alcune delle domande poste dagli studenti al dott. Curcio nel corso della lezione.
A DOMANDA…RISPOSTA: DOMANDA
È giusto dire che il passaggio dalla vecchia alla nuova mafia degli anni 70, cioè da una mafia che aveva delle sue regole sui bambini e sulle donne, a quella che ha fatto il suo ingresso negli affari della droga, ha determinato un’apertura ad un crimine più brutale e in un certo senso meno “etico”? E legalizzare la droga potrebbe essere una soluzione contro il fenomeno mafioso? RISPOSTA
Che la nuova ‘ndrangheta sia caratterizzata da una maggiore spregiudicatezza, in tutti i campi, rispetto alla vecchia organizzazione, è un dato di fatto. Hanno fatto delle scelte più cruente e, tuttavia, io non la porrei sotto il profilo di una maggiore “onorabilità” delle vecchie mafie rispetto alle nuove. La mafia, vecchia o nuova che sia, è sempre disonorevole! Un fenomeno aberrante come quello dei sequestri di persona a scopo di estorsione non è certo meno riprovevole, dal punto di vista di disapprovazione sociale, del traffico di droga, o simili. Queste organizzazioni hanno fatto delle scelte per distruggere il tessuto sociale appannaggio del proprio tornaconto personale, ed è questo che deve essere tenuto in considerazione. Perché non legalizzare la droga? L’Italia ha fatto una scelta di fondo sul fenomeno. Oggi l’hashish, la marijuana e lo stesso spinello, sono quasi scomparsi, perché, purtroppo, le droghe giovanili del sabato sera sono altre: sono quelle sintetiche. La stessa cocaina ha surrogato l’uso dello spinello […]. Il ragazzo che va in discoteca oggi piuttosto che comprare una pasticchetta di ecstasy compra la cocaina. Il dato di fondo che bisogna capire, anche in risposta a chi vuole la liberalizzazione della droga, è che la differenza sostanziale non è se comprare la droga dal criminale è più brutto che acquistarla dallo Stato. Comprare la droga è un disvalore innanzitutto, ma soprattutto, è qualcosa di nocivo per la vostra salute. Il Testo Unico sugli stupefacenti, parla […] di cura e riabilitazione del tossicodipendente. Dunque, qual è il taglio che ha operato il legislatore italiano su questa materia? Quello di considerare il tossicodipendente non un criminale, ma un ammalato, in quanto il consumo di 132 - Prima Parte
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droghe anche se leggere è nocivo per la salute, e ormai ci sono tutta una serie di studi delle neuroscienze piuttosto chiare ed evidenti a riguardo; drogarsi fa male, come fa male, ed è sicuro che porta al cancro al polmone, fumare la sigaretta. Quindi a chi vuole liberalizzare la droga (droghe leggere quanto meno, perché di liberalizzazione di droghe pesanti non se ne parla nemmeno) si risponde, che tutte le droghe comportano danni neurologici per chi ne fa uso senza soluzione di continuità. L’Olanda ha fatto una scelta di fondo sulle droghe; attenzione contraddittoria per molti aspetti, perché la detenzione di sostanze stupefacenti leggere, hashish e marijuana, è ancora reato (sia pure punito con una sola multa e con grande tolleranza da parte dei giudici olandesi) ma ne è ammesso il consumo in determinati luoghi, i c.d. coffee shop, che ultimamente, però, hanno conosciuto delle limitazioni, perché si è arrivati alla conclusione che anche quella è stata un’esperienza fallimentare come contrasto al fenomeno droga. Sostituire la droga di Stato alla droga della criminalità organizzata non risolve il problema, neanche sotto il profilo sanitario, del tossicodipendente. Proprio qualche tempo fa il sindaco di Rotterdam ha emesso un’ordinanza di chiusura per 20 coffee shop dislocati in prossimità di istituti scolastici. Ci vogliamo chiedere il perché? Se questa legislazione di liberalizzare le droghe leggere è una scelta vincente, allora perché adottare un provvedimento così drastico? Perché, evidentemente, almeno a livello di considerazione formativa, la presenza di quei coffee shop in prossimità di istituti scolastici era stato visto quantomeno come qualcosa di diseducativo per gli studenti stessi. […] Quello che dovete avere presente è che, il legislatore, nel considerare e nel disciplinare le fattispecie […], considera il consumatore di droghe come un malato, e il problema non è, chi deve vendere la droga, ma guarire l’ammalato, fare in modo che ci sia un pieno recupero, una piena riabilitazione del soggetto consumatore di droga […]. Andate a trascorrere una domenica in una comunità di recupero, come quella di don Mimmo Battaglia, per rendervi conto a quali situazioni aberranti il consumo della droga può portare; e lasciamo stare altri generi di discorso su quanta sofferenza c’è dietro la cocaina e dietro la sua vendita. Se voi pensate che in Colombia i grossi cartelli dei narcotrafficanti per produrre e coltivare la foglia di coca arrivano a sterminare paesi interi di poveri contadini […]. A Bogotà c’è un dipartimento che non si riscontra in nessun’altra parte del mondo: il dipartimento dei diritti umani, perché lì ancora ci sono stermini di massa da parte di quei narcotrafficanti. Dietro la dose di cocaina che si compra per strada, ricordatevelo sempre, c’è anche la sofferenza di questa gente, lo sfruttamento di tanta persone per l’arricchimento di pochi; e questo è un dato che deve far riflettere al di là della nocività dell’assunzione degli stupefacenti. DOMANDA
In un’organizzazione malavitosa in cui il sesso predominante è quello maschile, qual è oggi il ruolo della donna? RISPOSTA
I costumi della ‘ndrangheta si sono evoluti con quella che è l’evoluzione dei costumi sociali […]. Il ruolo della donna che, negli anni, è andato via via aumentando, è ruolo fondamentaPrima Parte - 133
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le nell’associazione ‘ndranghetista che è fondata sulla cellula famigliare […]. Sono sempre di più i fenomeni, addirittura di appetenza e affiliazioni rituali, di donne ad associazioni di ‘ndrangheta. Già negli anni 90 con la Procura antimafia di Catanzaro ho preso parte a processi di mafia dove la donna aveva assunto il ruolo di leadership nell’organizzazione in assenza del marito. Ad es. nella vecchia organizzazione di ‘ndrangheta della piana di Sibari, quando Cirillo venne mandato al c.d. soggiorno obbligato, al vertice salì sua moglie […] che gli affiliati (eravamo negli anni 70-80) chiamavano addirittura “padrona”. E si potrebbero fare riferimento anche ad altre figure femminili nel panorama delinquenziale. Altro caso: la sorella di Raffaele Cutolo, che per anni gestì la c.d. nuova camorra organizzata. E, anche nel lametino ci sono stati esempi di donne di primissimo piano nella associazioni mafiose. […] O ancora, pensate al ruolo delle madri nelle faide della ‘ndrangheta a Gioia Tauro, dove le donne inculcavano fin da piccoli ai giovani figli l’idea dell’onore, della necessità di replicare le decisioni dei padri. Questi ragazzi sono stati allevati a pane e odio fino al raggiungimento di quella età che poi magari gli ha consentito di passare dalle parole ai fatti. DOMANDA
Come può un ragazzo contrastare il fenomeno mafioso senza correre rischi? E come fanno queste organizzazioni che importano droga a sfuggire ai controlli alle dogane? RISPOSTA
Purtroppo sai, mangiare la nutella con le mani comporta inevitabilmente che ci si sporchi le dita. Non esiste una ricetta che tenga fuori ciascuno di noi dallo sporcarsi le mani. Questa è una guerra senza confini, non si può pensare di non mettersi in gioco. Che cosa può fare un ragazzo? A un ragazzo certo non si può chiedere niente in termini di collaborazione con le forze dell’ordine, […] si può chiedere solo di rispettare le regole di convivenza civile, fare il proprio dovere, studiare, ascoltare gli altri, cercare di vivere la propria quotidianità in maniera semplice, aperta verso gli altri e capire che quello che si fa lo si fa per la propria comunità, la propria città. Certo, ci sono poi certe situazioni in cui bisogna necessariamente uscire allo scoperto e decidere da che parte stare. Se tu vedi il sabato sera […] l’amico di turno (che crede di essere grande e furbo, ma che in realtà è un imbecille) che va è compra la dose di cocaina perché vuole finire la serata a sniffare, se sei veramente amico di questa persona, devi fargli capire che sta sbagliando; sta sbagliano innanzitutto per se, perché si brucia il cervello, e sta sbagliando nei confronti della comunità perché non rispetta una regola di convivenza civile. Sono queste le cose che nel proprio piccolo ti aiutano poi a contrastare al livello più generale il fenomeno mafioso. Alcuni dei tuoi amici sono convinti che assumere cocaina prima di una prestazione sportiva rende più forte l’atleta […]. Maradona era forte a giocare a calcio non perché assumeva cocaina ma perché aveva un dono innato. La cocaina l’ha rovinato! Maradona non ha mai assunto cocaina per migliorare le proprie prestazioni calcistiche. L’avere scelto di assumere droga l’ha distrutto come giocatore e come atleta. Quindi cosa potete fare per contrastare il fenomeno mafioso nel vostro piccolo: fare il proprio dovere, studiare, essere domani persone preparate e non ignoranti. Perché ragazzi guardate che l’humus per i mafiosi è l’ignoranza. Dove c’è ignoranza e misera, c’è il terreno più fertile per arruolare la manovalanza delle organizzazione di ‘ndrangheta. Quanto alla tua seconda domanda: per bloccare le importazioni di droga alla dogana è necessaria una complessa attività di indagine […]. Nel caso di cui vi ho raccontato, le autorità avevamo messo sotto controllo le utenze telefoniche e la posta elettronica dei narcotrafficanti, per cui, si era appreso che la droga sarebbe stata spedita con una certa modalità. Noi sa134 - Prima Parte
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pevamo, per esempio, che nel porto sarebbero arrivati questi 1700 kg di cocaina nascosti in latte di tonno, perché […] abbiamo intercettato il fax con le indicazioni precise del numero del container della spedizione e il giorno di partenza con la nave. Nel momento in cui è arrivato al primo porto europeo, abbia fermato il container e siamo andati a colpo sicuro. Ma vi posso assicurare, purtroppo, che quello che sequestriamo è si e no solo il 10-20% di quello che arriva e non riusciamo a sequestrare. DOMANDA
Ha mai collaborato con delle donne per delle indagini importanti? RISPOSTA
La presenza di donne in magistratura è un dato in costante crescita […]. Negli ultimi concorsi la stragrande maggioranza di vincitori sono donne. Le ragazze studiano evidentemente di più dei ragazzi. Io ho fatto il mio periodo di tirocinio con un magistrato donna, un grande magistrato, molto impegnato nella lotta al narcotraffico internazionale, che è Margherita Cassano, della Procura della Repubblica di Firenze. Io ho lavorato con colleghe molto brave, che indubbiamente sopportavano un sacrificio maggiore rispetto al collega maschio, perché è notorio che nei confronti di una donna sposata gravano altri impegni quali quelli familiari, rispetto ai quali magari il magistrato maschio è più libero. I magistrati colombiani con cui ho lavorato per quelle operazioni di droga di cui ho fatto riferimento erano due magistrati donna. La presenza femminile in magistratura è una presenza importante. Ci sono magistrati donna, pensa a Ilda Boccassini a Milano, veramente “molto toste”. DOMANDA
Come si può contrastare lo spaccio nei locali pubblici? RISPOSTA
Nel Testo Unico sulle sostanze stupefacenti, allorquando una determinata attività di smercio di sostanze stupefacenti avviene nell’ambito di un esercizio pubblico, è previsto non solo il sequestro e la chiusura definitiva del locale ma anche la revoca della licenza. Nella prassi cosa avviene? Le sezioni antidroga della polizia, dei carabinieri, della finanza normalmente ricorrono a personale in borghese che accede a questi pubblici locali e fotografa quello che vi succede all’interno, al fine di accertare o meno l’esistenza di una attività di spaccio […]. DOMANDA
Qual è il significato e il ruolo dei pentiti e dei collaboratori di giustizia? RISPOSTA
La normativa sui collaboratori di giustizia è una normativa piuttosto recente, parliamo degli ultimi 20 anni. Negli anni ’80, quando il buon Giovanni Falcone parlò a Mesoraca con i primi “pentiti”, non esisteva una disciplina organica della materia. Il termine pentito e il termine collaboratore di giustizia sono diversi, non a caso la legge parla di collaboratori di giustizia. Perché? Qual è la differenza tra i due termini? Il pentimento implica anche un ravvedimento di ordine morale da parte del collaboratore di giustizia ed io, nella mia carriera, pure avendone trattati tantissimi, di persone veramente pentite, cioè ravveduta dal punto di vista morale, ne avrò viste si e no 2 o 3. Alla base della collaborazione con la giustizia c’è sempre un bilanciamento di interessi; e se il collaboratore cade in quel momento lo fa perché gli conviene. Perché allora la legge usa il termine collaboratore di giustizia? Perché la legge non richiede che chi decide di intraprendere questo percorso collaborativo con la giustizia sia anche moralmente ravveduto. Accetta questo discorso pragmatico che fa il colPrima Parte - 135
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laboratore di venire sostanzialmente a patti con lo Stato perché sa che questi sono strumento importantissimo nella lotta alla criminalità organizzata […]. I collaboratori di giustizia nei processi di mafia, nel sistema di contrasto al crimine organizzato, sono uno strumento imprescindibile. Certo bisogna prenderli con le “pinze”, cioè bisogna stare attenti che non accusino una persona innocente; e in questo senso molti passi in avanti sono stati fatti in giurisprudenza dagli anni ‘90 ad oggi. Oggi c’è un meccanismo di controllo processuale delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che fa riferimento all’acquisizione dei c.d. riscontri effettivi esterni di carattere individualizzante che consente al giudice di arrivare con sufficiente tranquillità alla verifica positiva o negativa di ciascuno contributo dichiarativo. DOMANDA
Lei ha mai ricevuto delle minacce? RISPOSTA
Certamente, qualche intimidazione. Per esempio una mattina sono sceso sotto casa ed ho trovato la macchina semidistrutta; o un’altra mattina ho trovato tre proiettili sulla macchina. Queste sono cose che metti assolutamente in conto. Ho vissuto in passato situazioni di tensione. Vedete, ciascuno di noi come essere umano nutre timori, ha paura, se non proprio per la propria persona quantomeno per chi gli sta vicino e magari ha subito le nostre scelte. Il problema non è non avere paura, avere paura è un fatto umano. La persona intelligente supera la paura in quanto sa di fare il proprio dovere e sa di appartenere soprattutto ad uno Stato democratico che deve far rispettare quelle che sono le regole di convivenza. Chi non ha paura è un incosciente; il contrario del termine coraggio non è paura, è viltà. La paura è un sentimento umano che si supera con il coraggio.
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S E C O N D A PA R T E
Lavori realizzati dagli studenti
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I LAVORI MULTIMEDIALI REALIZZATI DAGLI ISTITUTI SCOLASTICI SONO CONTENUTI NEL DVD ALLEGATO A QUESTA RACCOLTA
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EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ: “La cultura della legalità si sviluppa attraverso l’educazione” Gli appuntamenti con il progetto “Educazione alla Legalità” svoltisi presso l’Istituto Tecnico per Geometri di Soverato, promosso dall’Unicef - Comitato provinciale di Catanzaro, ci hanno dato la possibilità di conoscere e discutere di argomenti fondamentali per la nostra crescita umana e culturale partendo dalla discussione e riflessione sui principi costituzionali, tenendo presente la Costituzione come fondamento del nostro vivere civile. Abbiamo compreso che la cultura della legalità si sviluppa anzitutto, attraverso l’educazione. Un ruolo di primo piano spetta alla scuola che ha il compito prioritario di formare cittadini consapevoli, sviluppando il senso civico in particolare di noi ragazzi che siamo il presente ed il futuro. Solo il rispetto delle regole permette di esercitare la libertà individuale attraverso comportamenti coscienti mirati alla salvaguardia dei diritti; di essere cittadini e non sudditi, attivi e responsabili, capaci di operare delle scelte secondo i valori di dignità e responsabilità. Soggetti capaci ancora di sognare, di decidere da che parte stare e cosa accettare. È necessario pertanto, che ogni singolo cittadino partecipi alla vita pubblica con maggiore impegno, che reclami i propri diritti e che assolva, in prima persona, ai propri doveri nell’interesse generale per garantire un’elevata qualità di vita. Lo sviluppo di una cittadinanza più matura, consapevole e partecipativa degli studenti ossia la cittadinanza attiva e la sensibilizzazione dei giovani sul tema della legalità è un modo efficace per combattere il crimine e contribuire al progresso della nazione. Quanto detto è ciò che i vari magistrati, ospiti delle conferenze, hanno trattato: diritto di famiglia, diritti e doveri dei coniugi e dei figli partendo dal concetto di famiglia come struttura di formazione della personalità dell’uomo, nonché come prima forma di appartenenza. È stato evidenziato come il disagio familiare possa creare devianze da parte dei figli (forme di reato minorili, fughe da casa, uso di sostanze stupefacenti), pertanto protagonista è stato il processo minorile ed i minori puniti per la commissione di un reato, attraverso una pena ridotta. Il processo minorile deve essere considerato in favore del minore, la sua finalità sta nell’iniziare un percorso educativo in quanto il giudice interviene per comprendere le motivazioni che lo hanno indotto al reato. Inoltre è stato affrontato il tema della mediazione: una modalità di approccio alla gestione dei conflitti che si pone come obiettivo quello di condurre le parti in disaccordo a trovare un’intesa. La conclusione è stata affidata al Procuratore Generale della Repubblica Dott. Salvatore Curcio che ha esposto in maniera efficace il tema relativo alla mafia ed alle sostanze stupefacenti, problema tragico e più che mai attuale. Il concetto di responsabilità è di ciascuno e di tutti e sta nel combattere questi problemi per creare una società migliore, e ci piace concludere con una riflessione fatta dal Giudice che ci ha invitato a riappropriarci dello status di cittadino “perché lo Stato siamo noi – ha affermato – e sta a noi scegliere da che parte stare, con l’augurio di riuscirci attraverso lo spirito di appartenenza ad una comunità sana”. I ragazzi del IPSSEOA di Soverato hanno prodotto un bellissimo Power Point sul “concetto di legalità”. Di seguito se ne riporta un estratto.
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LA LEGALITA’ Cos’è la legalità? Legalità è il rispetto e la pratica delle leggi. È un’esigenza fondamentale della vita sociale per promuovere il pieno sviluppo della persona umana e la costituzione del bene comune. Cos’è l’illegalità? Quelle azioni ritenute ingiuste dalla legge italiana. Cos’è la giustizia? Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Non può esserci legalità senza uguaglianza! Non possiamo lottare contro le mafie senza politiche sociali, diffusione dei diritti o dei posti di lavoro, senza opportunità per le persone più deboli, per i migrati, per i poveri. Legalità sono i gruppi e le associazioni che si spendono ogni giorno per questo. “Il nostro lavoro stava smuovendo le coscienze, rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono la vera forza della mafia. La lotta alla mafia non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti, e soprattutto le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale” (Discorso di Borsellino in commemorazione di Giovanni Falcone il 25 maggio 1992). Legalità sono quei beni confiscati alle mafie. Legalità è l’attenzione ai familiari delle vittime e ai testimoni di giustizia sociale. Legalità è la nostra Costituzione, il più formidabile dei testi antimafia. Le mafie e ciò che le alimenta -l’illegalità, la corruzione, gli abusi di potere- si sconfiggono solo costruendo una società più giusta. Legalità non sono, quindi, solo i magistrati e le forze di polizia, a cui dobbiamo riconoscenza e rispetto. Legalità dobbiamo essere tutti noi Legalità è responsabilità, anzi corresponsabilità! Legalità è speranza. E la speranza si chiama “noi”. La speranza è avere più coraggio. Il coraggio ordinario di rispondere alla propria coscienza.
L’augurio è che questa non rimanga l’unica cosa legale. IPSSEOA di Soverato Classe II F - a.s. 2012/2013 Docente Referente: Ermelinda Lifrieri 140 - Seconda Parte
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NOI, SENTINELLE DI LEGALITÀ Un coinvolgente percorso ha visto noi, giovani studenti del biennio del Liceo Campanella, protagonisti e attori, cittadini fieri e orgogliosi di un Paese che, grazie agli uomini illuminati dell’Assemblea Costituente, ha fornito una Costituzione che è per noi, cittadini attivi e responsabili, dono di Libertà, Diritti, Doveri. L’iniziativa, fortemente voluta dall’UNICEF (United Nations International Children Emergency Found - Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia ), proclama, difende e promuove i diritti della Convenzione Internazionale - atto dichiarativo vincolante (legge 176 del 1991) a favore dell’infanzia - e ha rappresentato un momento molto alto di cittadinanza, attraverso un cammino di interscambio ed interazione con personalità e figure istituzionali del territorio. La nostra Costituzione, la più Bella del mondo, nasce dal lavoro instancabile di tutti quegli uomini che hanno lottato e hanno vissuto l’orrendo clamore della guerra nel Novecento. Si è trattato di un approccio concreto con esperti, grandi professionisti, figure istituzionali della provincia, che hanno saputo fornire formazione e conoscenze fondamentali, che ora comprendiamo essere condizione ineludibile affinché la macchina dello Stato non venga percepita distaccata ed estranea dal “corpo sociale”. Questo cammino di conoscenza ha certamente abbattuto questa barriera e la passione della mission UNICEF, magnificamente trasmessa dalla Presidente Provinciale dott.ssa Anna Maria Iembo Fonti, è stata per noi studenti volano di entusiasmo e voglia di esserci. E, ancora, di questo vogliamo essere riconoscenti agli attori del progetto: Magistrati, Avvocati, volontari dell’Unicef, i nostri docenti che, con “passione civile”, ci hanno accompagnato e guidato nella comprensione degli aspetti più complessi, ma anche motivato a “fare buon uso del nostro intelletto”. In questo nostro tempo, che anche noi sentiamo problematico e fragile da tanti punti di vista, la “passione civile” è sentimento raro, di cui, invece, bisogna riappropriarsi per rifondare i valori di tolleranza, solidarietà, pari opportunità, in una società che sia autenticamente democratica. Il cammino insieme è stato un continuo domandarsi e cercare, insieme, le risposte; la curiositas suscitata ci ha condotto nei luoghi della giustizia e della legalità, in un incalzante approfondimento che ha fatto da catalizzatore tra lex e jus; ed è in questo secondo vocabolo che vogliamo far entrare il mondo che verrà. Ed ora siamo pronti, crediamo, ad essere cittadini attenti, consapevoli, attivi in questo nostro magnifico paese che nell’unicità della Costituzione che si è data può, davvero, vantare, nonostante tutto, ancora oggi, un patrimonio di umanità, una memoria di uomini, di idee, di valori espressi nella forma più alta che si dispiega come etica di un popolo. In tale contesto civile e morale “la sovranità della Costituzione è intesa come cornice di regole, come norma superiore e fondante -sulla quale misurare la legge medesima- che rende tutti i poteri funzionali alla garanzia dei diritti fondamentali” (Cesare Ruperto, Emerito Presidente Corte Costituzionale). E Lei, pur nel cammino lungo di 66 anni, è per noi giovani del terzo millennio, Madre autorevole e dolce, che ha a cuore la crescita sana dei suoi figli, nel senso di crescere insieme (concresco), in nome di una cittadinanza intesa come partecipazione e condivisione che, oggi più che mai, ci fa sentire cittadini d’Europa. Infatti “la Costituzione è il documento che un popolo si dà nel momento della saggezza, a valere per il momento della confusione”. Ringraziamo i nostri compagni più grandi per la collaborazione in questo lavoro, la prof. Seconda Parte - 141
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Michela Cimmino per l’infaticabile dedizione e passione; il Presidente Brattoli per aver fatto di noi le sentinelle attente, i custodi della legalità, gli ambasciatori che vorranno trasmettere intatti i valori, i suggerimenti, la gioia dell’appartenenza, nella fierezza e orgoglio di essere cittadini italiani. Liceo delle Scienze Umane “T. Campanella” di Lamezia Terme Classe II D – a.s. 2012/2013 Docente Referente: Michela Cimmino
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RIFLESSIONI SULL’ART. 9 DELLA COSTITUZIONE Nel corso dell’anno scolastico 2011/2012 la nostra classe ha seguito con vivo interesse il Progetto di “ Educazione alla Legalità” organizzato dall’Unicef di Catanzaro. Gli argomenti trattati durante il percorso sono stati molteplici e tutti sono stati discussi in classe, ma quello sul quale ci siamo soffermati maggiormente è descritto dall’Articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Nel 1947, anno conclusivo per la stesura della Costituzione Italiana, il legislatore aveva incluso tra i dodici principi fondamentali anche quelli dell’articolo nove. Esso, diviso in due commi, afferma l’interessamento dell’Italia alla cultura e alla ricerca tecnica e scientifica che vengono promosse assieme alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico nazionale. Per permettere la reale applicazione di questo principio sono stati istituiti due appositi ministeri del Governo: il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero dell’ambiente. La ricerca, avendo sempre bisogno di sostegno, soprattutto a livello finanziario, per ampliare i suoi orizzonti, oltre a chiedere aiuto alla popolazione stessa, può rivolgersi al CNR, consiglio nazionale della ricerche, il quale, agendo su tutto il paese, favorisce nello specifico le ricerche private. Per quanto riguarda il patrimonio storico e artistico e il paesaggio, risulta di fondamentale importanza la loro protezione poiché rappresentano, per il nostro paese, sia un vanto a livello internazionale sia una risorsa economica grazie al turismo che riescono ad attrarre. Purtroppo molte delle nostre bellezze artistiche e paesaggistiche, oggi sono state danneggiate per mancanza di leggi precedenti, ma anche per l’inciviltà dei cittadini che troppo spesso non riconoscono il valore di ciò che li circonda. Dobbiamo fare attenzione, parlando dell’articolo nove, a non confondere la tutela e lo sviluppo promosso dallo Stato, con delle imposizioni imitatrici. L’Italia, infatti, non vuole controllare l’arte e la diffusione della cultura, ma concedere la piena libertà agli individui, i quali possono dedicarsi a qualsiasi forma d’arte, scienza o ricerca a patto che esse non siano anticostituzionali. L’impegno preso con l’articolo nove viene ribadito e reso ancora più saldo dall’adesione dello Stato italiano all’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), la quale, attraverso l’UNESCO, si occupa dello sviluppo delle relazioni scientifico-culturali fra gli Stati e della conservazione del patrimonio artistico, culturale e storico. Quanto detto finora, però riguarda più che altro la Costituzione formale, scritta sulla “carta”, la quale non sempre coincide con la Costituzione “reale”, cioè messa in pratica tutti i giorni. La presenza di eco-mostri, quindi costruzioni abusive, disboscamento eccessivo, mancata pulizia dei letti dei fiumi, generatori di gravi danni ai cittadini, ci spinge a riflettere su quanto possa essere considerata vera la tutela del paesaggio da parte delle autorità ma anche da parte degli Italiani, rappresentanti autentici dello Stato. Quest’ultimi, anche in vista di una sanzione, sono spesso insensibili di fronte al fascino di un’opera d’arte o di un parco naturale che con molta semplicità deturpano. A ciò si aggiunge l’incuranza dei “potenti”, i quali tendono a rendersi conto della necessità di agire solo quando il danno è stato ormai creato. Seconda Parte - 143
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Per quanto riguarda la ricerca, invece molte delle nostre migliori menti sono costrette ad andare all’estero perché qui questo settore non ha un gran peso e i dati lo dimostrano: solo una piccolissima percentuale del nostro PIL viene destinata ai ricercatori, cioè alle nostre speranze di un futuro migliore. L’articolo nove dunque, nel momento stesso in cui viene letto, potrebbe dar vita a sorrisi compiaciuti nei confronti di una Nazione attenta ai dettagli, ma la realtà è diversa, molto più cruda. Essa però, si trova sempre nelle nostre mani, le quali potrebbero soffocarla con una stretta troppo forte o aiutarla a crescere, con un abbraccio solidale che possa contribuire, almeno in parte, a rendere vero quello che era il sogno dei nostri Padri Costituenti. Fabiola Serrao Il nono articolo della Costituzione italiana pone tra i principi fondamentali lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, e la tutela e la salvaguardia del patrimonio storico, artistico ed ambientale del Paese. Il primo comma verte sulle “attività culturali”, mentre il secondo comma protegge il paesaggio italiano, dai monti alle coste, dal mare alla pianura, e il patrimonio culturale quale prodotto delle attività culturali, nella loro materializzazione concreta in monumenti, affreschi, dipinti, poesie, libri e opere di vario genere. In questo articolo, quindi, si difende la cultura italiana intesa come cultura umanistica, musicale, architettonica, artistica, e si pongono i presupposti affinché l’attività culturale, attraverso la sua promozione da parte dello Stato, continui a produrre ed ampliare questo grande patrimonio nazionale; inoltre si pone l’accento sulla tutela del paesaggio, concepita come attiva di protezione, in funzione della cultura dei cittadini: è necessario quindi proteggere i beni culturali e gestire con scrupolosità la loro efficacia, affinché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni. Anche la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986 ha chiaramente indicato “la primarietà del valore esteticoculturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici”. Il presente articolo, che trova poche analogie nelle costituzioni di tutto il mondo, è spesso ignorato dai legislatori che, con i loro ritardi nell’attuazione dei provvedimenti, a favore della manutenzione, causano scempi e danni, anche gravi, al patrimonio artistico e storico della Nazione, nonché al paesaggio; questi inoltre non incentivano, anzi sopprimono, la ricerca scientifica e tecnologica, e quindi non favoriscono la crescita della cultura. Nonostante sia spesso disatteso, a mio parere, il principio costituzionale di cui all’art. 9 è molto importante perché introduce un valore etico-culturale tra i primi valori della Costituzione, ponendo come missione principale del Paese la tutela e lo sviluppo del patrimonio culturale unitario dell’Italia, che non ha eguali nel mondo. Annamaria Nuzzo Quest’articolo pone tra i principi fondamentali del nostro ordinamento lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela e salvaguarda il patrimonio artistico, storico e ambientale. Per quel che riguarda la cultura, il primo ed il secondo comma sono due previsioni, per quanto connesse, chiaramente diverse per oggetto, finalità e forza percettiva. Il primo comma attiene alle “attività culturali”, mentre il secondo comma garantisce il patrimonio culturale, quale prodotto delle attività culturali pregresse, nella loro materializzazione concreta delle cose mobili ed immobili che incorporano il valore culturale. 144 - Seconda Parte
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Nel corso degli anni si è passati da una concezione puramente statico-conservativa della tutela dei beni culturali ad una concezione dinamica orientata al loro pubblico godimento. Oltre che allo Stato in prima persona, i compiti sopra indicati di protezione e tutela potranno essere espletati anche da altri corpi intermedi dello Stato, come Regioni, Province, Comuni, etc. E’ quindi lo Stato a perseguire la promozione culturale attraverso l’opera di ciascun soggetto pubblico, ognuno nella misura e nei limiti del proprio ambito di competenza. Il valore e il significato profondo dell’articolo 9 della Costituzione è evidenziato dall’intervento del Presidente della Repubblica Ciampi del 5 maggio 2003, in occasione della consegna delle medaglie d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte. L’articolo 9 pone sotto tutela costituzionale il paesaggio oltre al patrimonio storico ed artistico. Secondo la Corte Costituzionale, infatti, spetta allo Stato disciplinare l’ambiente come “un’entità organica”, attraverso norme di tutela. Lo Stato deve quindi investire nello sviluppo della cultura e della ricerca; ma i governi hanno sempre mantenuto quest’obbligo? Nei primi decenni della Repubblica lo sviluppo della ricerca è stato impetuoso: basti pensare alla creazione di enti di ricerca pubblici e nazionali, il CNR, l’INFN, l’ENEA e il sistema dell’università pubblica, che hanno contribuito a trasformare l’Italia da Paese agricolo e arretrato in uno dei Paesi più industrializzati del mondo. Oggi invece? Stiamo assistendo ad un declino che sembra inarrestabile: gli enti di ricerca sono tagliati, accorpati, privi di risorse; il sistema universitario pubblico sta attraversando la crisi più grave della sua storia. Francesca Cittadino Liceo delle Scienze Umane “ G. De Nobili” di Catanzaro Classe II C/P – a.s. 2011/2012 Docente Referente: Maria Rosaria Pedullà
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LA CONDIZIONE DELL’INFANZIA NEL MONDO: i cambiamenti climatici Buongiorno a tutti, mi chiamo Jessika Schipani e frequento il quarto anno all’istituto Tecnico Agrario Vittorio Emanuele II di Catanzaro. Sono qui quest’oggi per portare la mia testimonianza su quanto concerne la condizione dell’infanzia nel mondo ed in particolare vorrei trattare uno dei pericoli che gli adolescenti si trovano ad affrontare: il cambiamento climatico, i cui effetti distruggono il benessere di tanti adolescenti, in molti paesi in via di sviluppo. Vorrei, per iniziare, riallacciarmi alla domanda posta da una ragazza, in occasione dei Colloqui sui cambiamenti climatici, tenutisi nel marzo-aprile del 2009 a Bonn, ai delegati: “Quanti anni avrete nel 2050?”. Una domanda, questa, che aveva giustamente causato scalpore, tant’è che il giorno seguente, centinaia di delegati indossarono delle magliette con su stampata quella domanda, compreso il Presidente, il quale aveva ammesso che, nel 2050, probabilmente non ci sarebbe stato, non potendo perciò vedere i risultati di un ipotetico mancato intervento. Un messaggio chiaro e di effetto: il futuro non dipende solo da chi lo eredita ma anche da coloro che lo lasciano in eredità! Quella domanda racchiudeva l’importante consapevolezza della necessità di provvedimenti urgenti anche per il cambiamento climatico, e attende una risposta, oggi, da parte di tutti noi. Lo scopo dell’incontro deve essere anche rendere partecipe il pubblico della complessità del problema: questo perché soltanto guardandolo nelle sue varie sfaccettature, può essere compreso nella sua vastità e nelle sue implicazioni. Il cambiamento climatico, insieme al grave inquinamento e alla perdita di biodiversità, costituisce la minaccia più urgente e più allarmante per il paese; richiede, dunque, un intervento collettivo che fornisca principalmente sostenibilità, in modo da salvaguardare la salute e il benessere dei bambini di quei paesi in via di sviluppo, dove i disastri naturali sono sempre più frequenti. Gli adolescenti, con l’aiuto ed il sostegno degli adulti, possono diventare gli “eroi del presente e del futuro”: se istruiti a dovere, con conoscenze e opportunità necessarie, possono cambiare e proteggere la gestione a lungo termine della terra. Sottolineo, ora, il concetto di “opportunità” perché è questo il periodo dell’adolescenza! Opportunità inteso come possibilità di cambiare, di migliorare, di investire nella forza della società un progresso sostenibile, possibilità di costruire un qualcosa…costruire il futuro! Per fare ciò, però, è di fondamentale importanza che tutte le iniziative nazionali e locali per l’adattamento al cambiamento climatico coinvolgano gli adolescenti sin dall’inizio, aumentando e migliorando le loro conoscenze, ai fini di incoraggiarne la partecipazione alle strategie di riduzione del rischio di disastri e di adattamento al cambiamento climatico. Come in un gioco di scatole cinesi dobbiamo considerare l’importanza della qualità dell’informazione non fine a se stessa ma inserita in un processo di comunicazione a sua volta considerata nella particolare accezione di Comunicazione Pubblica. Concludo dicendo che questa necessità di collaborazione non è soltanto una questione di principio, ma è anche un obbligo: dobbiamo svegliarci e capire che non siamo responsabili solo verso noi stessi ma anche verso la stessa Terra e verso le generazioni successive di “attori sul palcoscenico della vita”. È bello e formidabile sognare di vivere nel pieno del rispetto di Madre Natura, dei nostri usi e costumi. Io vengo da una delle scuole più antiche di Catanzaro: quella che ha fornito i mattoni per il sostenimento del palazzo della vita; colei che ha riempito il nostro bagaglio culturale; che ci ha fatto amare, apprezzare e rispettare la nostra Terra; colei che ci ha insegnato a “produrre” senza “sfruttare”, ma come disse “Qualcuno”: “Sognare sì…è bello, si può fare; ma perché i sogni possano avverare, bisogna svegliarsi!”. Il rispetto 146 - Seconda Parte
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dell’ambiente è una vera e propria religione, e a tal proposito vi voglio leggere una poesia: “Quando ti avvicini a un piccolo ruscello e ti vuoi lavare, devi prima metterti in raccoglimento e parlare all’acqua che scorre. Non è possibile immergere semplicemente la mano e lavarti il volto con l’acqua fresca, devi mostrare timore e camminare piano, fino al ruscello, una volta arrivato prendi un po’ d’acqua e bagnati quattro volte il volto, poi china il capo e…prega!” Jessika Schipani Istituto Tecnico Agrario “Vittorio Emanuele II” di Catanzaro
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EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ: “educare alla legalità significa educare alla responsabilità” Noi alunni delle classi seconde del Liceo Scientifico di Chiaravalle c.le. “Leonardo Da Vinci”, abbiamo partecipato nei mesi di Ottobre, Novembre, Dicembre, al progetto di educazione alla legalità tenutosi nella sede dell’ITG Malafarina di Soverato. Varie sono state le tematiche del progetto che per noi ha significato molto. Nella società odierna e soprattutto nei nostri paesi le problematiche sulle quali abbiamo discusso sono molto frequenti, ma nonostante ciò la maggior parte delle volte vengono tralasciate e non affrontate. Gli incontri, appuntamento dopo appuntamento, hanno suscitato da parte di tutti noi un grande interesse, facendoci riflettere sull’importanza e il rispetto della legalità nelle sue diverse forme. Gli esperti ci hanno coinvolti in dibattiti e, stuzzicando la nostra curiosità, hanno risposto agli interrogativi che ci siamo posti. Abbiamo imparato a rispettare noi stessi e ciò che ci circonda. Come ha detto la dott.ssa. Fonti Iembo “educare alla legalità significa educare alla responsabilità”. A parer nostro, l’argomento più coinvolgente è stato quello affrontato dalla dott.ssa Stamile, la quale ha affermato “Diritto e potere si incontrano all’interno della Costituzione e trovano un punto di equilibrio. Principi e valori possono collidere tra loro, si possono toccare l’uno con l’altro. I principi fondamentali non entrano mai in conflitto ma sono in collisione, vengono, in un certo senso, bilanciati”. Ci ha inoltre interessato, la dott.ssa Teresa Chiodo, parlando di problemi riguardanti i minori e le loro famiglie, anche perché essendo adolescenti, queste problematiche le viviamo personalmente. Coinvolgente è stato l’incontro con il giudice Saraco il quale ha toccato il tema del bullismo, facendoci riflettere sul nostro comportamento all’interno della scuola e della classe; alcune volte noi ragazzi senza rendercene conto offendiamo la dignità di alcuni nostri compagni anche per semplice scherzo o per invidia non accorgendoci magari della debolezza e della fragilità dell’altro e, provocando così danno morale ma anche purtroppo fisico. Questa iniziativa è servita a farci maturare moralmente e a concepire quali sono i veri valori che ci circondano, oltre a renderci più consapevoli e maturi nel comportamento. Nella presente raccolta si riporta solo una piccola parte del grande lavoro prodotto dai ragazzi del Liceo “Da Vinci” di Chiaravalle C.le. Gli studenti, infatti, hanno realizzato diversi poster e cartelloni (con i quali hanno ripercorso le tematiche affrontate durate il progetto), un bellissimo video sulle problematiche del razzismo e un power point sul tema dell’inquinamento. Di quest’ultimo se ne riporta di seguito la rielaborazione.
NO ALL’ INQUINAMENTO L’inquinamento Il problema dell’inquinamento prodotto dalle industrie nell’ambiente esterno è stato oggetto di studi e ricerche già dagli anni ’50. I risultati hanno permesso di attivare interventi da parte dei vari Stati e di formulare leggi specifiche per proteggere la popolazione. La normativa riguardante la qualità dell’aria degli ambienti interni è invece più tardiva. I primi studi risalgono agli anni ’70, quando vi furono alcuni casi di malattie polmonari, alcune letali, in edifici con impianti di condizionamento. Nella nostra società si trascorre fino al 90% del proprio tempo in luoghi chiusi ed il 30-40% di questo si passa nei luoghi di lavoro. Esistono quindi fondati sospetti che siano maggiori i rischi sanitari associabili all’inquinamento interno, rispetto all’inquinamento esterno: si pensa che il 40% delle assenze da lavoro per malattia sia dovuto a problemi di qualità dell’aria interna degli uffici. 148 - Seconda Parte
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Le fonti di inquinamento degli ambienti confinati La qualità dell’aria negli ambienti interni dipende da molteplici fattori: • sorgenti inquinanti esterne: provenienti dall’atmosfera, dalle acque o dal suolo; • attività umane: generano inquinamento dovuto ai normali processi metabolici, agli animali domestici, al fumo di tabacco, alla cottura dei cibi, all’uso di detersivi e detergenti vari; • inquinamento prodotto dall’ambiente fisico interno: emissione da parte dei materiali da costruzione e degli arredi; • inquinamento derivante da sistemi impiantistici di condizionamento dell’aria, di combustione e dalle diverse apparecchiature, sia domestiche che per l’ufficio. Fonti di inquinamento nelle abitazioni, nei locali lavorativi, sui mezzi di trasporto Luogo
Fonti Fumo di tabacco Forni a gas Forni a legna e caminetti Materiali da costruzione Abitazioni, Arredamenti e prodotti di consumo locali ricreativi Caldaie a gas Polvere Materiale isolante Superfici umide Fumo di tabacco Materiali da costruzione Arredi Uffici Fotocopiatrici Impianti di condizionamento Fumo di tabacco
Inquinanti Particolato; CO; VOC. NO2; CO. Particolato; CO; IPA. Radon; formaldeide. Formaldeide; VOC. Biossido di azoto; CO. Agenti biologici. Asbesto, fibre di vetro. Agenti biologici; particolato. Particolato CO; VOC. Formaldeide; VOC. Formaldeide; VOC. VOC. Agenti biologici, particolato, NO2, CO. Particolato; CO; VOC.
Mezzi di trasporto
Inquinanti ambientali
Ozono negli aeromobili; CO e piombo negli autoveicoli.
Condizionatori da automobile
Agenti biologici; particolato.
Controllo ambientale Inquinamento: fisico chimico biologico radioattivo. Seconda Parte - 149
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Benessere: attività umidità velocità area temperatura. Una panoramica sulla normativa italiana Dal 1956, la normativa italiana si occupò di tutelare la salubrità negli ambienti lavorativi, con il DPR 303/56. In realtà, però, solo con il D.Lgs. 626/94, e successive integrazioni e modifiche (soprattutto il D.Lgs. 25/2000), si fece effettivamente un discorso organico sugli inquinanti chimici negli ambienti lavorativi, le relative concentrazioni e patologie, considerando inoltre, in modo efficace, gli aspetti sanzionatori per il datore di lavoro inadempiente. Per quanto riguarda i valori limite degli inquinanti degli ambienti lavorativi, solo con il Decreto Ministeriale del 26 febbraio 2004, «Definizione di una prima lista di valori limite indicativi di esposizione professionale agli agenti chimici», sono state rese oggetto di norma delle precise concentrazioni limite d’inquinanti. Le normative precedenti, invece, hanno sempre fatto riferimento agli studi, aggiornati in itinere, delle associazioni internazionali ed italiane esperte in tale campo, come l’ACGIH e l’AIDII, senza però stabilire esplicitamente le concentrazioni limite degli inquinanti. Breve panoramica legislativa - DPR 19 marzo 1956, n. 303, «Norme generali per l’igiene del lavoro». (Pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1956, n. 105). - Legge 11 novembre 1975, n. 584 «Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico». (Pubblicata su G.U. n. 322., 5 dicembre 1975). - DLgs 15 agosto 1991, n. 277, «Attuazione delle direttive 80/1107/CEE, 82/605/CEE, 83/477/CEE, 86/188/CEE e 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell’art. 7 della legge 30 luglio 1990, n. 212» (S.O. n. 53, alla G.U. n. 200 del 27 agosto 1991). - DLgs 4 dicembre 1992, n. 475, «Attuazione della direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi di protezione individuale» (S.O. alla G.U. n. 289 del 9 dicembre 1992). - DLgs 19 settembre 1994, n. 626 e successive integrazioni e modifiche (D.Lgs. 242/96 e ss) «Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/ CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 1999/38/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro». (S. O. n. 141 alla G.U. 12 novembre 1994, n. 265). - DLgs 19 dicembre 1994, n. 758, Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro. (S.O. n. 9 alla G.U. n. 21 del 26 gennaio 1995). - Direttiva del PCM 14 dicembre 1995, «Divieto di fumo in determinati locali della pubblica amministrazione o dei gestori di servizi pubblici». (Pubblicata su G.U. n. 11 del 15 gennaio 1996). - Decreto del PCM 5 dicembre 1997, «Atto di indirizzo e coordinamento recante criteri generali per l’individuazione degli organi operanti nella materia della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro». - DLgs 25 febbraio 2000, n. 66, «Attuazione delle direttive 97/42/CE e 1999/38/CE, che 150 - Seconda Parte
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modificano la direttiva 90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro». (Pubblicato su G.U. n. 70 del 24 marzo 2000). - DLgs 2 febbraio 2002, n. 25, «Attuazione della direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro». (Pubblicato su S.O. n. 40 alla G.U. n. 57 del 8 marzo 2002). - Legge 16 gennaio 2003, n. 3 e successive integrazioni e modifiche (L. 306/2003 e ss) «Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione». - Decreto del PCM 23 dicembre 2003, «Attuazione dell’art. 51, comma 2 della Legge del 16 gennaio 203, n. 3, come modificato dall’art. 77 della legge 21 ottobre 2003, n. 306 in materia di tutela della salute dei non fumatori». - DM del 26 febbraio 2004, «Definizione di una prima lista di valori limite indicativi di esposizione professionale agli agenti chimici». (Pubblicato su G.U. n. 54 del 10 marzo 2004). Inquinamento biologico • Nell’aria ambiente sono presenti diversi microrganismi aereodispersi, i quali vengono aerotrasportati e diffusi da polvere o particelle sospese nell’aria. • I microrganismi immessi nell’aria provengono principalmente dall’uomo, soprattutto dal tratto respiratorio per effetto della tosse o/e dei starnuti; essi vengono veicolati dall’aria trasportati su particelle di polvere, in goccioline che rimangono sospese per breve periodo oppure in nuclei di goccioline, formate a loro volta dall’evaporazione di piccole goccioline. • Le particelle veicolanti microrganismi sono grandi, presentano un diametro di circa 15 micron e possono essere scaglie epidermiche, frammenti di peli oppure goccioline dette di Pfuegge. • Il controllo microbiologico dell’aria consente di verificare il grado di contaminazione microbiologica e di adeguarsi alle GMP-FDA e GMP-ECC, su cui si basano i sistemi di qualità dell’industria farmaceutica. Metodi di campionamento monitoraggio aria I metodi adottati per il controllo microbiologico dell’aria ambientale si basano sui seguenti campionamenti: • Campionamento passivo • Campionamento attivo CAMPIONAMENTO PASSIVO • Impiego di piastre Petri di sedimentazione. Viene tolto il coperchio della capsula Seconda Parte - 151
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• •
Petri contenente il terreno di coltura agarizzato sterile, in modo che la superficie dell’agar rimanga esposta all’aria per un tempo definito. Al termine si richiude la piastra e si procede all’incubazione a 37°C per 48 ore e a 25° C per altre 24 ore. Si conta il numero di colonie cresciute, ciascuna delle quali rappresenta una particella trasportante microrganismi caduta sulla superficie dell’agar. I risultati vengono espressi nell’unità di misura: UFC (=Unità Formante Colonia)/m2/ ora (oppure anche UFC/dm2/ ora).
CAMPIONAMENTO ATTIVO • Attraverso l’uso di una apparecchiatura “SAS Surface Air System” portatile una quantità misurata di aria è aspirata in un coperchio sotto il quale è collocata una capsula petri contenente terreno agarizzato. • Le piastre Petri vengono incubate a 37°C per 48 ore e a 25° C per altre 24 ore. • Le colonie cresciute sulla superficie dell’agar vengono contate e i risultati espressi in UFC/m3 in rapporto al volume d’aria aspirato ed analizzato. Inquinamento delle acque L’inquinamento dell’acqua è un fenomeno molto complesso perché l’acqua compie un ciclo in cui attraversa sia l’atmosfera che il suolo e può raccogliere, trasportare e cedere sostanze inquinanti in tutta la biosfera. Scarichi inquinanti: - sostanze organiche; - detergenti sintetici. EFFETTI - Le sostanze organiche vengono biodegradate, cioè demolite e trasformate in sali minerali, dai batteri decompositori che si trovano in acque dolci. Il processo della biodegrazione però richiede molto ossigeno. Se la quantità di sostanze organiche è eccessiva, le acque si impoveriscono di ossigeno quindi il lavoro dei batteri rallenta e i pesci possono morire per asfissia. La mancanza di ossigeno, inoltre, favorisce lo sviluppo dei batteri anaerobi che producono sostanze tossiche per molti organismi. - I detergenti sintetici diminuiscono la capacità di ossigeno dell’ acqua e sono velenosi per i pesci e le piante acquatiche. Inquinamento atmosferico I fenomeni di inquinamento sono il risultato di una complessa competizione tra fattori che portano ad un accumulo degli inquinanti ed altri che invece determinano la loro rimozione e la loro diluizione in atmosfera. L’entità e le modalità di emissione (sorgenti puntiformi, diffuse, altezza di emissione, ecc.), i tempi di persistenza degli inquinanti, il grado di mescolamento dell’aria, sono alcuni dei principali fattori che producono 152 - Seconda Parte
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variazioni spazio-temporali della composizione dell’aria. Fattore o sostanza che determina l’alterazione di una situazione stazionaria attraverso: • modifica dei parametri fisici e/o chimici; • variazione di rapporti quantitativi di sostanze già presenti; • introduzione di composti estranei deleteri per la vita direttamente o indirettamente. L’aria è una miscela eterogenea formata da gas e particelle di varia natura e dimensioni. La sua composizione si modifica nello spazio e nel tempo per cause naturali e non, cosicché risulta arduo definirne le caratteristiche di qualità. L’impossibilità di individuare le proprietà di un ambiente incontaminato di riferimento induce a introdurre il concetto di inquinamento atmosferico stabilendo uno standard convenzionale per la qualità dell’aria. Si ritiene quindi inquinata l’aria la cui composizione eccede limiti stabiliti per legge allo scopo di evitare effetti nocivi sull’uomo, sugli animali, sulla vegetazione, sui materiali o sugli ecosistemi in generale. Le piogge acide sono precipitazioni contaminate dalla presenza di acidi formatisi nell’atmosfera, come conseguenza di processi di combustione. Esse sono la causa principale della distruzione della vegetazione, del suolo e delle statue. La vegetazione viene danneggiata irreparabilmente e va incontro a fenomeni di essicazione. La Foresta Nera tedesca sta scomparendo e circa la metà delle foreste europee è ritenuta in grave pericolo. In Italia, fortunatamente, gli effetti negativi delle piogge si sono negli anni notevolmente ridotti; ciò accade grazie a: - le Alpi, che fanno da schermo protettivo all’arrivo delle piogge dannose; - la percentuale molto elevata di calcare presente nel terreno della nostra penisola, che permette la neutralizzazione efficiente dell’acidità. Le aree geografiche nelle quali è stato accertato un impatto ecologico significativo dovuto al fenomeno dell’acidificazione includono: • La maggior parte dell’Europa nord-orientale, in particolare le aree corrispondenti all’attuale Polonia fino alla Scandinavia. • I territori orientali degli Stati Uniti e del sud-est del Canada. L’inquinamento acustico L’inquinamento acustico è causato da un’eccessiva esposizione a suoni e rumori di elevata intensità. Questo può avvenire in città e in ambienti naturali. La legge n. 447/1995 art.2 fornisce la definizione di inquinamento acustico: “l’introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo e alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno o tale da interferire con le normali funzioni degli ambienti stessi”. L’inquinamento acustico può causare nel tempo problemi psicologici, di pressione e di stress alle persone che ne sono continuamente sottoposte. Le cause dell’inquinamento acustico possono essere fabbriche, cantieri, aeroporti, autostrade, circuiti per competizioni motoristiche ... Gli effetti del rumore sull’uomo sono molteplici e possono essere distinti in: - EFFETTI DI DANNO (alterazione non reversibile o solo parzialmente reversibile di un organo o di un sistema, obiettivabile da un punto di vista clinico e/o anatomo-patologico), ne esistono due forme: danno specifico: causato ai soggetti che si espongono per periodi prolungati a livelli di 75Seconda Parte - 153
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80 dB(A) recando la perdita temporanea o irreversibile dell’udito (ipoacusia). Si riscontra soprattutto in ambiente lavorativo; danno non specifico: causato da un’esposizione sonora non sufficientemente elevata da recare danni specifici, però può, col tempo, apportare danni al sistema uditivo e causare malesseri di tipo psicofisico. Si riscontra in ambito urbano; - EFFETTI DI DISTURBO (alterazione temporanea di un organo o di un sistema, obiettivabile attraverso procedure cliniche o strumentali). L’inquinamento acustico urbano, ed in particolare quello dovuto a traffico di veicoli in superficie, determina in prevalenza effetti di annoyance e di disturbo, assai raramente si può parlare di danno. Il problema dei suoni elevati è un fatto risaputo fin dall’antichità, quando alcune civiltà allontanavano le professioni particolarmente rumorose dalla città. L’inquinamento acustico viene combattuto all’interno dell’ambiente casalingo con l’utilizzo di particolari materiali per la costruzione, come il sughero o l’utilizzo di tessuti per i rivestimenti interni. CONOSCERE SERVE
Liceo Scientifico “Leonardo Da Vinci “ di Chiaravalle Centrale Classi II A e II B - a.s. 2012/2013 Docente Referente: Pina Lo Prete
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RIFLESSIONI SULLA LEGALITÀ Il nostro Istituto è stato individuato come Istituto referente UNICEF, così molteplici sono state le attività svolte in questo primo periodo scolastico presso la nostra sede in merito al progetto sulla legalità. Durante i diversi incontri con i Giudici ed Avvocati, esperti in materia, molte sono state le riflessioni riguardo agli articoli letti ed analizzati della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e della Adolescenza, parallelamente a quelli della nostra Costituzione, ma due, in particolare, sono stati quelli che ci hanno maggiormente colpito: l’articolo 29, relativo al Rispetto dell’Ambiente naturale e l’articolo 33, in riferimento all’Azione degli Stati che adottano misure legislative per proteggere i fanciulli contro l’assunzione di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope. Pertanto, dopo varie conversazioni e dibattiti collettivi, abbiamo cercato, nel nostro piccolo, di partecipare attivamente all’azione; così la classe si è divisa in due gruppi: uno ha prodotto uno Spot di Pubblicità Progresso che analizza, dal nostro punto di vista, il problema “droga” e l’altro un Power Point sull’ambiente che tratta, invece, del problema “Rifiuti e Salute”. Il lavoro, nel complesso, è stato sicuramente impegnativo, ma interessante e coinvolgente, in quanto noi tutti ci siamo sentiti protagonisti. Grazie, quindi, per l’attività svolta nella nostra Scuola, è stata un’ulteriore occasione di arricchimento culturale ed umano spendibile nel nostro quotidiano, che speriamo possa in futuro continuare. I ragazzi del IIS “Malafarina” di Soverato hanno prodotto un eccezionale Spot di Pubblicità Progresso che analizza il problema “droga” e un Power Point sulle tematiche legate all’ambiente. Di seguito si riporta la rielaborazione del Power Point “Rifiuti e salute”.
RIFIUTI E SALUTE Art.29 Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: “Gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità […] e) sviluppare nel fanciullo il rispetto dell’ambiente naturale”. I rifiuti: un problema o una risorsa? Ogni anno nel mondo se ne producono miliardi di tonnellate a causa della progressiva urbanizzazione. Causando la creazione di discariche e inquinamento da parte degli inceneritori. A volte diventano vere e proprie isole di rifiuti compatti.
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Il problema dei rifiuti si può risolvere riciclando negli appositi cestini per la raccolta differenziata, dividendo i rifiuti in Cassonetti appropriati: organici,inorganici,vetro,carta e plastica.
A Soverato in queste settimane si è creato questo scenario
I.T. per Geometri “G. Malafarina” di Soverato Classe II E - a.s. 2012/2013 Docente Referente: Antonia Doronzo
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PROGETTO ”EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ”: riflessioni Il progetto sulla legalità promosso dalla sezione provinciale di Catanzaro dell’UNICEF (United Nations International Children’s Emergency Fund) ha interessato, durante l’anno scolastico 20122013, gran parte delle scuole superiori del nostro comprensorio, coinvolgendo soprattutto le classi del biennio. I temi affrontati durante gli “incontri” sono stati molteplici e di grande interesse: il bullismo, il rispetto dell’ambiente, il senso di responsabilità, la mafia, l’omofobia e il processo penale minorile. Il programma è stato diviso in due momenti principali: il primo si è svolto tenendo una serie di dibattiti e conferenze, alle quali hanno partecipato: avvocati, giudici e altri relatori importanti attinenti agli ambiti discussi. Al termine di ogni dissertazione è seguito un dibattito, caratterizzato da domande, curiosità e considerazioni da parte di noi alunni. Il secondo momento ci invita e sollecita come “autori” a scegliere un argomento tra quelli trattati e di esporlo per mezzo di foto, video, cartelloni, slogan o pubblicità progresso per poi condividerlo, anticipato da una presentazione, in una manifestazione unica per tutti gli Istituti. Gli obiettivi principali del progetto in questione sono di sensibilizzare i giovani al rispetto della legalità, aumentare il proprio senso di responsabilità, civile e personale, e migliorare, nella solidarietà, il sacrificio scolastico e la concezione sociale di democrazia. La nostra classe ha concordato insieme alla docente che si è interessata al progetto, Prof. ssa Emanuela Pennacchi, di esplicare tramite un cortometraggio, argomenti e problematiche inerenti al Bullismo e al Rispetto Ambientale. Il lavoro ha avuto inizio giovedì 13 Dicembre 2012 con la richiesta di un’assemblea di classe nei locali del nostro Liceo, per progettare e organizzare le fasi di lavoro e di partecipazione attiva. Concordate le mansioni, noi ragazzi abbiamo girato le scene durante diversi incontri pomeridiani. Successivamente tramite attrezzature digitali e software professionali è avvenuto il montaggio cinematografico con l’aggiunta di musiche di sottofondo. Il filmato, della durata di 7 minuti, è stato girato a Soverato; gli attori sono gli alunni della II A del Liceo Scientifico “A.Guarasci”, con la partecipazione di un operatore ecologico, che ci ha gentilmente rilasciato un’intervista concernente il problema dei rifiuti nella città. Le difficoltà riscontrate, sono sorte soprattutto nei momenti di riunione, a causa della diversa residenza geografica di quasi tutti gli alunni. Il gruppo classe, tuttavia, si è impegnato fattivamente e responsabilmente per portare a termine il “compito” assunto, ispirandosi al senso di sacrificio sociale e scolastico. Luciano Saia
I ragazzi del Liceo “Guareschi” di Soverato hanno prodotto uno straordinario video sulla “legalità nella vita quotidiana”; di seguito si riporta la trascrizione dell’intervista fatta ad un operatore ecologico in esso contenuto.
INTERVISTA AD UN OPERATORE ECOLOGICO DI SOVERATO SULLE PROBLEMATICHE LEGATE ALL’AMBIENTE Intervistatore: Cosa ne pensa dei rifiuti che si producono a Soverato a seguito del mercato del venerdì? Operatore: La nostra città, soprattutto i fine settimana, diventa è un dormitorio pubblico. Nessuno si ribella o interviene per far nulla, neanche gli stessi mercanti raccolgono i rifiuti che loro stessi Seconda Parte - 157
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producono. Mi fa rabbia vedere tanta indifferenza e tanta sporcizia. E non solo perché questa spazzatura potrebbe causare infezioni, ma anche perché chi viene da fuori, i turisti, che ormai purtroppo sono sempre meno, e gli emigrati che dopo anni di duro lavoro fanno ritorno a casa, trovano una terra spogliata di tutta la sua bellezza. Intervistatrice: Cosa ne pensa dell’educazione ambientale? Operatore: Faccio questo lavoro da anni, e quello che noto con rammarico è che vicino i pub e le discoteche si trovano di continuo vetri, bottiglie rotte e sporcizia di altro genere. Allora mi rendo conto della inciviltà dei nostri giovani e che educare un calabrese non è cosa facile. Naturalmente ci sono ragazzi di buona volontà che rispettano l’ambiente in cui vivono e fanno la raccolta differenziata, ma sono ancora troppo pochi. Eppure, basterebbe un minimo impegno da parte di tutti. Fare la differenziata in fondo è un vantaggioso; è un vantaggio non solo in termini di pulizia, ma lo è anche dal punto di vista economico. Nonostante ciò, però, continua ad essere difficile sensibilizzare ed educare al rispetto della propria città. Riflessione: Il mondo del XXI sec. è diventato un’enorme discarica. Noi dobbiamo cercare di collaborare con le esigenze dell’ambiente, promuovere uno sviluppo sostenibile, ciò che le società pubbliche fanno attraverso la produzione di energie rinnovabili. Per un mondo più pulito bisogna sensibilizzare al rispetto dell’ambiente cominciando dalle piccole cose: gesti come gettare una carta a terra, creano conseguenze negative alla natura e sull’ambiente, devastando soprattutto la bellezza territoriale. Quest’ultima ricade sul fattore economico, quindi sul turismo. Chi vorrebbe mai trascorrere una vacanza in un ambiente sporco? Liceo Scientifico “A. Guarasci” di Soverato Classe II A - a.s. 2012/2013 Docente Referente: Emanuela Pennacchi
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IL LAVORO, PRESUPPOSTO DELLA LIBERTÀ E DELLA DIGNITÀ UMANA Con vivo interesse abbiamo partecipato, nel corso dell’anno scolastico 2011/2012, al progetto Unicef sulle tematiche della legalità, che ha toccato fondamentali aspetti del nostro vivere sociale e del nostro essere cittadini ed ha stimolando in noi un senso di appartenenza, ma anche di corresponsabilità. Il tema che ha maggiormente colpito la nostra sensibilità e stimolato la nostra riflessione individuale ed all’interno della classe è stato quello del lavoro, inteso quale irrinunciabile dirittodovere dell’uomo, quale fondamento della dignità umana. Abbiamo così realizzato un lavoro multimediale su DVD, che unisce immagini, musica, testo e voce. Esso parte dall’analisi del ruolo del lavoro all’interno della Costituzione italiana e quindi all’interno della vita di ciascuno di noi, aprendosi poi alla considerazione delle problematiche che oggi al lavoro sono legate. La Costituzione italiana dà grande spazio al lavoro, che rappresenta la struttura portante dell’ordinamento costituzionale e istituzionale. Lo considera il collante della società civile, la più elevata espressione del concetto di libertà e di democrazia. Il lavoro ha il duplice ruolo di diritto e di dovere, intesi non in senso strettamente giuridico, ma rispettivamente come un fine cui lo Stato deve tendere, in quanto strumento di realizzazione e di benessere dell’individuo e come dovere morale cui ciascun individuo, cittadino o meno, dovrebbe adempiere, nel rispetto della libertà della persona, in quanto strumento di progresso della società. Il riconoscimento del lavoro come uno dei principi fondanti della Repubblica, rimanda alla funzione che il lavoro svolge nella società, non solo come mezzo di produzione di ricchezza materiale, ma nel suo significato morale, come realizzazione dell’individuo e delle sue aspirazioni materiali e spirituali, e quindi della società tutta. Il lavoro predispone alla socialità, alla capacità di sollevare l’essere umano dalla solitudine esistenziale. Diventa relazione, comunicazione, interazione tra persone che hanno a cuore il bene della comunità nella quale vivono e operano, sviluppa l’emancipazione sociale e la strutturazione del carattere. Persona e lavoro sono un binomio inscindibile, la dignità della persona si può garantire solo con la dignità del lavoro. Scriveva Massimo D’Azeglio: “Il lavoro è alla base della libertà personale, il collante della società civile e fa sentire il cittadino protagonista delle proprie scelte”. Il lavoro è ciò che dà non solo il sostentamento economico e la possibilità materiale di realizzare la nostra vita, i nostri sogni e i nostri obiettivi, ma è anche ciò che dà identità e dignità all’individuo. Con il riconoscimento della possibilità, ma anche della responsabilità di realizzare nel lavoro la propria personalità e, quindi, il proprio progetto di vita, la Costituzione fonda una società in cui ad ogni individuo è consentito un progetto individuale, indipendentemente dalle diverse situazioni di partenza, completandosi così ed arricchendosi i due pilastri della nostra carta fondamentale: il principio personalista e quello di eguaglianza anche sostanziale. Tutti i lavori hanno naturalmente pari dignità sociale. Non esistono lavori di serie A e lavori di serie B, esiste il lavoro, onorato e qualificato dall’essere umano con la sua volontà e il suo senso di responsabilità. A fronte del fondamentale ruolo che il lavoro riveste, drammatica è la sua mancanza. Seconda Parte - 159
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La mancanza di lavoro è oggi un vero e proprio dramma sociale che attanaglia milioni di persone. La crisi economica in atto alimenta di giorno in giorno la disoccupazione, la quale comporta l’improvvisa drammatica mancanza di una fonte sicura di reddito; perdere improvvisamente il lavoro, quando si hanno carichi familiari e impegni che erano stati assunti quando le cose andavano bene, è un dramma che può veramente sconvolgere la vita e la mente. E non è questa l’unica conseguenza: perdere il lavoro significa spesso anche perdere il proprio ruolo di elemento attivo della società, con ricadute, sulla persona, importanti, a volte superiori a quelle della mancanza di denaro. Il lavoro rende, infatti, la persona protagonista delle proprie scelte e attribuisce al soggetto una propria dignità. Perderlo significa rinunciare a partecipare, significa vivere la propria vita ai margini, significa vedere svanire i propri sogni e le proprie aspettative. Ed il lavoro non è solo lo strumento per la propria realizzazione, è altresì attività ed opera a vantaggio del prossimo e della società. Chiaramente, affinché il lavoro possa svolgere la sua fondamentale funzione e conferire dignità all’uomo, deve potersi svolgere in condizioni dignitose, con il riconoscimento dei diritti fondamentali del lavoratore, con una retribuzione tale da garantire al lavoratore ed alla sua famiglia “un’esistenza libera e dignitosa”. A tale proposito, ci ha fatto molto riflettere la constatazione che, nel mondo, ancora oggi, milioni di ragazzini devono lavorare per mangiare. Le aree principalmente interessate dallo sfruttamento minorile sono i paesi in via di sviluppo o non sviluppati, quali: Asia, Oceania, Europa dell’Est, (soprattutto i paesi dell’estremo est dell’Europa), Africa e America del Sud, specialmente Colombia e Brasile. Non sono però esclusi dal fenomeno neppure gli Stati Uniti e la nostra bella Europa. Con quale amarezza abbiamo capito che molti degli indumenti griffati che indossiamo sono stati cuciti da bambini ed è per questo che abbiamo deciso che prima di comprare un bel paio di scarpe o un pallone da calcio ci chiederemo chi l’ha realizzato! Perché i bambini non devono lavorare, devono studiare e garantirsi un futuro felice. È un loro diritto. Il lavoro minorile può essere causa, e non solo conseguenza, di povertà sociale e individuale. Infatti, svolgendo attività lavorative, un bambino non avrà la possibilità di frequentare la scuola, rimarrà in una condizione di analfabetismo a causa della quale non potrà difendere i propri diritti, anche da lavoratore adulto. Andare a scuola serve a istruirsi, a migliorare se stessi, a capire il mondo. Il diritto all’istruzione è un diritto umano fondamentale. Assicurare l’accesso all’istruzione è un presupposto per assicurare la piena realizzazione della persona. Da diversi decenni, il fenomeno del lavoro minorile nel mondo è stato oggetto di grande attenzione da parte della comunità internazionale. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha contribuito non poco a combattere il fenomeno, adottando fin dal 1919 la Convenzione sull’età minima nell’industria, seguita da diversi altri strumenti internazionali. Il 20 novembre 1989, con l’approvazione da parte dell’ONU della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, si è fatto un importante passo avanti al fine di combattere il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile, perché i bambini hanno il diritto “di essere tutelati da tutte le forme di sfruttamento e di abuso”… Istituto Tecnico per Geometri “R. Petrucci” di Catanzaro Classe I C - a.s. 2011/2012 Docente Referente: Maria Comito 160 - Seconda Parte
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I DIRITTI DEI MINORI I bambini, a differenza degli animali, hanno bisogno di molte cure per poter sviluppare completamente le proprie potenzialità, ma ciò non significa che siano individui incompleti: essi sono persone come gli adulti e quindi sono titolari di diritti e doveri. Ogni bambino necessita di una famiglia, di un’istruzione, deve poter giocare serenamente, ma soprattutto ha bisogno di rispetto e di amore. Lo strumento più completo per la tutela dei minori è attualmente la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ultimo di documenti approvati in precedenza come la Dichiarazione di Ginevra e la Dichiarazione dei diritti del fanciullo. L’importanza della Convenzione sta nell’essere il primo vero trattato a stabilire diritti universalmente riconosciuti ai minori. Essa non solo elenca e specifica i diritti del bambino ma individua le modalità per rendere concreta la loro realizzazione. L’esistenza di un documento scritto, firmato da quasi tutti i paesi del mondo, ha contribuito a far conoscere i diritti dell’infanzia ed ha costretto la società a cercare delle soluzioni. Tuttavia, nonostante i molti progressi raggiunti in materia di tutela dei diritti dei minori, in molti paesi del mondo i diritti già acquisiti sulla carta non vengono di fatto rispettati, vengono ignorati e molti bambini sono privati sia dei loro diritti specifici sia di quelli che sono propri di ogni essere umano. Il mondo è troppo grande per essere omogeneo, specie per quanto riguarda i diritti dei bambini, infatti ogni paese ha interpretato in modo personale le problematiche dell’infanzia. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno ben focalizzato il concetto di interesse superiore del minore e su alcuni temi sono decisamente all’avanguardia. Il nord Europa difende il bambino nella convinzione che ogni famiglia, in cui c’è amore e rispetto fra i partner, è la migliore per il bambino che ci vive. L’Europa centrale ha puntato sul welfare dell’infanzia, che è parte integrante dei diritti: un bambino vive appieno i propri diritti se la sua famiglia accede a sistemi di sicurezza sociale che garantiscano l’ambiente famigliare. Anche l’Italia ha le sue eccellenze: il processo penale minorile in Italia è decisamente rispettoso dei diritti del bambino e la normativa in materia di adozione internazionale è una delle migliori al mondo, così come la normativa in tema di lotta allo sfruttamento sessuale dei minori. Ma quali sono i diritti fondamentali del bambino? Il primo è vivere in una famiglia: ogni bambino ha diritto di poter crescere in una famiglia, se questa non c’è o non si riesce a risanare è mille volte meglio ricorrere all’adozione. Ogni bambino ha diritto ad avere dei genitori che lo aiutino a crescere e a maturare, in un mondo in cui non sempre si fanno le scelte giuste. Nel nostro paese non tutto è perfetto, diversi sono i problemi da risolvere per quanto riguarda la protezione dell’infanzia. Ma ciò che contraddistingue l’Italia è che la famiglia regge, malgrado tutto, e crea una rete protettiva che aiuta il bambino a crescere bene e a fare a meno di molti dei sostegni sociali necessari in altri paesi. Un bambino che ha una famiglia è sempre un bambino che ha tempo per “crescere”. Deve quindi essere tutelato l’interesse del minore a vivere in un ambiente familiare adeguato. L’articolo 1, comma 1, della legge 4 maggio 1983 n. 184, proclama il diritto del minore di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia naturale e mira a rendere effettivo questo diritto attraverso la predisposizione di interventi di sostegno in caso di difficoltà della famiglia di origine, onde rimuovere le cause, di ordine economico o sociale, che possono precludere una crescita serena del bambino. Nel nostro ordinamento il diritto del minore ad Seconda Parte - 161
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una famiglia è un diritto assoluto ed inviolabile, che trova il suo fondamento e la sua matrice in diritti costituzionali fondamentali. Gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione garantiscono i diritti dell’individuo e quindi anche del minore e gli assicurano il diritto di avere una famiglia quale strumento idoneo a garantire la sua educazione. Secondo l’art. 30 è dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i propri figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Inoltre, in caso di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. Tale concetto viene maggiormente evidenziato mettendo a confronto l’art. 30 con l’art. 3 della Costituzione, secondo il quale è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Tuttavia, il principio secondo il quale il minore ha diritto ad essere educato nella propria famiglia di origine, non può essere considerato in modo assoluto e astratto perché, se si privilegiano in modo esasperato gli interessi della famiglia biologica, si finisce col trascurare il diritto del minore ad avere una famiglia idonea alla sua formazione, che potrebbe non essere necessariamente quella biologica. Il bambino ha il diritto di studiare e di essere istruito per poter sperare in un futuro diverso, per poter sognare una società migliore; ha il diritto anche di sbagliare, solo così può diventare adulto e comprendere il mondo che lo circonda. Ha il diritto di sognare, di fantasticare, di giocare e di vivere con gli altri bambini. Ha il diritto di avere una propria identità e quindi di esprimere idee diverse da quelle dalle persone che lo circondano. Ha il diritto di essere ascoltato su tutte le cose e le decisioni che lo riguardano. Bisogna rispettare i suoi tempi e non trattarlo come un piccolo adulto “Il mondo è grande e i bambini sono molto piccoli…”. Il minore non deve essere sfruttato e deve essere educato a rispettare gli altri. I diritti dell’infanzia sono sicuramente più considerati nel mondo ricco, mentre, in buona parte del mondo povero, diritti fondamentali, come quello all’istruzione o alla salute, non sono ancora pienamente salvaguardati. In alcuni paesi, i bambini tra i cinque e i quattordici anni sono costretti a lavorare parecchie ore al giorno, spesso in condizioni molto disagiate. Ma il problema dello sfruttamento minorile è ormai globale, anche se spesso è sommerso, e riguarda ogni angolo della terra. I minori sono impiegati nelle piantagioni, nelle cave, nelle miniere, nei laboratori tessili, nelle fabbriche di giocattoli, nelle concerie. Un esempio sono i cucitori di palloni in Pakistan, gli intrecciatori di tappeti indiani, i raccoglitori di canna da zucchero in Brasile, senza dimenticare gli adolescenti impegnati in vari lavori negli Stati Uniti. Più di 80 milioni di bambini lavoratori vivono in Africa, la parte restante nell’America Latina, costretti dalla povertà, dal bisogno di aiutare le famiglie. Inoltre, il lavoro minorile è molto vantaggioso per i padroni perché possono abbassare il prezzo delle merci, in quanto i bambini vengono pagati di meno e spesso, per la loro struttura fisica, sono preferiti per alcuni lavori. Ma il risultato è comunque sempre lo stesso: l’infanzia negata. Pertanto, ci si deve impegnare seriamente per far rispettare i diritti di ogni bambino, senza alcuna differenza, qualunque sia il colore della pelle, la lingua, la religione, il paese di nascita. Ai nostri occhi tutto sembra normale ma…quante cose che non osiamo nemmeno immaginare si verificano sul nostro pianeta!… Istituto Tecnico per Attività Sociali “B.Chimirri” di Catanzaro Classe II C - a.s. 2011/2012 Docente Referente: Rosaria Marino 162 - Seconda Parte
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LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI DEI MINORI NEI CONFLITTI ARMATI “(....) Il fanciullo ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione, in considerazione del fatto che occorre preparare pienamente il fanciullo ad avere una sua vita individuale nella società, ed educarlo nello spirito degli ideali proclamati nella Carta delle Nazioni Unite, in particolare in uno spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà”. Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, 1989 La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia entra in vigore il 2 settembre 1990, dopo essere stata approvata dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e dopo essere stata firmata da 61 paesi nel gennaio di quello stesso anno. Essa non presenta alcuna suddivisione interna tra i 54 articoli di cui si compone perché ogni articolo è di uguale importanza, indivisibile, interdipendente e correlato agli altri. Quattro sono i principi guida su cui la Convenzione si fonda: - Non discriminazione (art.2) - Superiore interesse del bambino (art. 3) - Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo (art. 6) - Ascolto delle opinioni del bambino (art. 12). Ad oggi tutti gli Stati del mondo, eccetto Isole Cook, Oman, Somalia ed Emirati Arabi Uniti, hanno firmato la Convenzione, sebbene Svizzera e Stati Uniti non l’abbiano ancora ratificata. Allegati ad essa sono due protocolli opzionali, uno relativo al coinvolgimento dei minori nei conflitti armati, l’altro alla vendita, alla prostituzione e alla pornografia dei bambini, indicando con questo termine i minus habentes, ovvero ogni essere umano di età inferiore ai diciotto anni. Tali individui in passato non erano considerati titolari di diritti autonomi, bensì oggetto di una tutela che poteva essere più o meno ampia. L’Italia ha riconosciuto la Convenzione con la legge n. 176 del 27 maggio 1991 e i protocolli allegati con la legge n.46 dell’11 marzo 2002, pertanto ogni singolo cittadino italiano può far valere in un tribunale nazionale i diritti da essi garantiti. Una questione che non interessa i bambini italiani, ma certamente quelli di altre parti del mondo, è il coinvolgimento dei minori nei conflitti armati, fenomeno in crescente intensificazione. La Convenzione, già vent’anni fa, si esprimeva a riguardo, vietando la diretta partecipazione alle ostilità belliche ai minori di quindici anni e impegnando gli Stati al pieno recupero fisico e psicologico e al reinserimento nella società dei fanciulli, laddove ciò non avvenga. Altre disposizioni in cui si fa riferimento al coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati è il Protocollo opzionale alla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, redatto nel 1994 dalla Commissione ONU sui Diritti Umani. Esso, oltre che dall’Italia, è stato ratificato da altri 131 paesi nel mondo e firmato da 25 e prevede che “gli Stati parte vigilino affinché le persone di età inferiore a 18 anni non siano oggetto di un arruolamento obbligatorio nelle loro forze armate” (art.2). Purtroppo, però, attualmente in ¾ dei conflitti armati nel mondo sono coinvolti bambini: infatti se ne contano in tutto più di 300.000, impegnati come soldati o vittime di abusi, torture, atrocità che li segnano per tutta la vita impedendo loro un adeguato sviluppo psico-sociale attraverso la privazione di diritti fondamentali come il diritto ad una vita che sia degna di tale nome, che assicuri loro una crescita serena, adeguate possibilità di istruzione, espressione Seconda Parte - 163
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ed affermazione personale. La Sierra Leone, l’Angola, la Liberia, l’Azerbaijan, l’Egitto, il Tagikistan, lo Yemen, il Nicaragua sono solo alcuni dei Paesi nei quali è diffusa la pratica barbara dei bambini soldato, minori che spesso hanno già alle spalle episodi di violenze subite o viste infliggere ai proprio familiari i quali vengono reclutati in eserciti governativi e dell’opposizione. Talvolta essi vengono prelevati con la forza dalla strada e catapultati nel conflitto senza preparazione, spesso sotto l’effetto di droghe che li rendano più feroci, mentre altre volte si arruolano volontariamente per sfuggire a situazioni di estrema povertà, guadagnare il minimo indispensabile alla sopravvivenza e garantirsi essenziali cure mediche. Quello dei bambini soldato è un fenomeno mondiale, che non tiene conto di sesso ed età, abbattendosi sull’infanzia e privandola della sua vera essenza. In particolare, la condizione delle bambine soldato risulta ancor più critica perché, oltre a dover combattere, esse devono anche svolgere lavori di routine negli accampamenti, come preparare pranzi e cene o trasportare viveri e munizioni. Inoltre subiscono, durante le guerre, anche soprusi sessuali e quando riescono a tornare a casa sane e salve, vengono disconosciute sia dalla famiglia che dal proprio villaggio perché “disonorate”: infatti il 98% delle bambine soldato è vittima di violenze da parte dei loro superiori e rimane spesso incinta. Nel caso in cui sopravviva, la giovane madre è obbligata a portare con sé la propria progenie, che rimarrà ugualmente traumatizzata dagli orrori e dalle crudeltà subite o viste impartire agli altri. Cosa spinga Paesi ancora troppo numerosi nel mondo ad adottare questi i bambini come strumenti di guerra è facile da intuire: essi non devono essere pagati, sono facili da addestrare e sono incoscienti, in quanto inconsapevoli delle conseguenze delle proprie azioni; inoltre essi offrono veloci possibilità di ricambio, perché alla morte di uno di loro ce n’è sempre un altro in condizioni disperate, senza nulla da perdere, pronto a farsi arruolare. Gli Stati in cui i conflitti sono all’ordine del giorno hanno imparato ad approfittare a tal punto di queste situazioni da iniziare a produrre armi più leggere e conseguentemente più facilmente maneggiabili da parte di un individuo di esile costituzione, a riprova del fatto che il reclutamento di minori non costituisce un evento eccezionale, ma un’azione di routine. La Coalizione Internazionale, nata nel 1998 come organismo di collaborazione tra diverse organizzazioni umanitarie quali Amnesty International,Terre des Hommes, Human Rights Watch, Save the Children, è un esempio di come parte del mondo sia attiva nella lotta per l’arresto di questo fenomeno, perché il termine “bambino” non sia più associato ad atti di violenta crudeltà. Un’area geografica in cui i bambini stanno subendo, anche in questi ultimissimi tempi, le conseguenze terribili della guerra è quella collocata lungo la costa del Mediterraneo, tra l’Egitto e Israele, sconvolta da un conflitto decennale che quotidianamente miete centinaia di vittime soprattutto tra i minori. Il conflitto arabo-israeliano, infatti, coinvolge direttamente le popolazioni: l’accanirsi contro individui disarmati e indifesi non sembra costituire un problema per le forze militari impegnate in quel conflitto e, dunque, non sorprende che nella striscia di Gaza siano state utilizzate bombe al fosforo bianco contro la popolazione. Gli effetti di questo tipo di arma sono davvero terribili perché il fosforo bianco, a contatto con l’ossigeno presente nell’aria, produce anidride fosforica generando calore. L’anidride fosforica reagisce violentemente con composti contenenti acqua e li disidrata producendo acido fosforico. Poiché i tessuti organici sono molto ricchi di acqua e, quindi, di ossigeno, il calore sviluppato da questa reazione brucia il tessuto molle penetrando rapidamente attraverso la pelle, spesso giungendo fino alle ossa. Le conseguenze sono dunque ustioni 164 - Seconda Parte
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gravissime e dolorose che interessano di solito le parti più esposte come testa, mani e piedi. In Palestina, Tsahal, l’esercito di difesa di Israele, si è avvalso dell’uso di questa sostanza causando seri danni anche e soprattutto ai minori, per i quali è quasi impossibile immaginare una ripresa, in quanto le loro cicatrici non sono destinate a rimarginarsi: non hanno goduto dell’infanzia e non potranno godere a pieno della loro vita perché colpevoli di essere nati in un territorio conteso, come se questioni politiche e diplomatiche potessero in qualche modo essere poste di fronte alla tutela dei loro diritti. Purtroppo questo dei bambini vittime delle bombe al fosforo bianco non è che un solo esempio dei danni riportati da minori coinvolti nelle guerre, ai quali qualcuno dovrà rispondere, un giorno, di ciò che è accaduto e spiegare perché non è stata prestata loro la dovuta tutela. Infatti il numero di bambini mutilati aumenta se si considera un altro gravissimo fenomeno, quello delle bombe giocattolo, anche chiamate Pappagalli verdi. Tale tipologia di ordigni viene utilizzato contro i fanciulli fin dai tempi di Hitler, che le denominava Butterfly Bomb, ovvero Bombe farfalla. Lanciate da un aereo, grazie alla loro forma le bombe giocattolo planano lentamente, coprendo così aree vastissime: grazie al loro aspetto innocuo esse vengono raccolte dai bambini, causandone spesso la morte o la seria compromissione degli arti. “Ho visto troppo spesso bambini che si risvegliano dall’intervento chirurgico e si ritrovano senza una gamba o senza un braccio. Hanno momenti di disperazione. Poi, incredibilmente, si riprendono, ma niente è insopportabile per loro come svegliarsi nel buio. I pappagalli verdi li trascinano nel buio per sempre”. Con queste parole e la conseguente riflessione sulle mostruosità che gli affidabili e incoraggianti adulti riesco a creare, si conclude la canzone “Pappagalli Verdi” di Piero Pelù. Alla luce di questa rapida disamina sulle condizioni dei bambini coinvolti nei conflitti armati, come strumenti di guerra o come vittime indifese, si rivela in modo preponderante la necessità di porsi in prima linea nella difesa dei diritti dei minori e appare chiaro quanto sia importante che in questa battaglia i giovani si affianchino agli adulti. È necessario, infatti, non commettere l’errore di pensare che le atrocità vissute dai bambini vittime a vario titolo della guerra possano essere dimenticate. Questo, probabilmente, riteneva anche Erich Kästner, poeta tedesco, quando scriveva: “È vecchio ciò che si è dimenticato. E quello che non si può dimenticare, è accaduto appena ieri. L’unità di misura non è il tempo, ma il valore. E la cosa che ha in assoluto più valore, divertente o triste che sia, è l’infanzia”. Non siamo, dunque, destinati a perdere nei meandri della nostra mente i ricordi della fanciullezza, la quale resta il periodo che più di tutti gli altri segna il nostro sviluppo e determina le persone che saremo un giorno. Il domani si costruisce sulla base di quello che è e che è stato: perciò difendere il presente è difendere il futuro e questo è un nostro ineludibile dovere. Liceo Scientifico “Luigi Siciliani” di Catanzaro Classe II D - a.s. 2011/2012 Docente Referente: Raimonda Bruno
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L’INFANZIA NEGATA Prima del XX secolo, i programmi di assistenza a favore dei minori erano rari. Un esempio è quello di Marco Aurelio che in politica interna si adoperò per tutelare i diritti dei poveri e dei minori, costruendo scuole, orfanotrofi e ospedali. Ma il primo intervento concreto risale al 1959 quando l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) diede vita alla Dichiarazione dei diritti del bambino, con cui fu sancito il diritto dei minori a ricevere cure adeguate da parte dei genitori e della comunità. Nel 1989, la Convenzione sui diritti dei minori ha esteso tali diritti all’istruzione e alla protezione dagli abusi e dallo sfruttamento. Così tutti i Paesi del mondo, tranne Stati Uniti e Somalia, si sono impegnati a far rispettare sul proprio territorio i principi generali e i diritti fondamentali in essa contenuti. L’Italia l’ha ratificata con la Legge n. 176 del 27 maggio 1991. Purtroppo, nonostante esistano leggi di tutela, centinaia di migliaia di minori in tutti il mondo sono privati dei loro diritti, vivono in condizioni di disagio psicologico e fisico, non conoscono l’affetto di una famiglia, non sanno cosa sia l’educazione. Secondo l’International Labour Office (ILO), 250 milioni di bambini sono costretti a lavorare; fra questi, 120 milioni tra i 5 e i 14 anni lavorano a tempo pieno. Molti vengono impiegati da imprenditori senza scrupoli per produrre articoli che noi usiamo quotidianamente: scarpe, palloni, abbigliamento con famosi marchi che, per la globalizzazione, sono prodotti dove il lavoro costa pochissimo e non ci sono diritti civili e sociali da rispettare. Altri bambini svolgono un lavoro pericoloso, e 8 milioni sono vittime delle peggiori forme di sfruttamento (lavoro forzato, prostituzione, arruolamento nei conflitti armati). Dare delle stime precise del lavoro minorile è complicato in quanto una delle prime caratteristiche di questo fenomeno è la sua latenza, il suo esistere all’ombra delle leggi contro tale sfruttamento, concretizzandosi, soprattutto, nel campo del lavoro in nero. La violenza sui più piccoli non esisteva solo nel profondo Sud come scriveva Verga nella sua novella “Rosso Malpelo”, ma esiste ancora oggi nei Paese più progrediti, come testimoniano tante cronache e articoli di giornale. Notevoli sono le cause del lavoro minorile e tra queste emerge la povertà. Le testimonianze raccolte dall’UNICEF evidenziano come i bambini sfruttati provengano sempre da famiglie disagiate economicamente e, di conseguenza, più vulnerabili. I datori di lavoro in molti casi preferiscono i più piccoli, in quanto percepiscono paghe più basse, non hanno diritto ai contributi e non sono consapevoli dei loro diritti. Inoltre, la discriminazione di“genere” colpisce le ragazzine che sono le più penalizzate, ed il fatto che in tutto il mondo in via di sviluppo il tasso di analfabetismo femminile sia superiore a quello maschile è una prova lampante di tale tendenza. L’UNICEF denuncia la politica di molti leader che, in nome di un’economia basata su una forte concorrenza, sono pronti a sacrificare l’infanzia dei loro bambini non facendo rispettare le leggi contro il lavoro minorile. L’ILO ha un ruolo di primo piano nella lotta al lavoro minorile e, infatti, fin dalla sua fondazione nel 1919, ha stipulato dei trattati internazionali multilaterali per regolamentare la partecipazione dei minori al mondo del lavoro. Un importante passo in tale difficile lotta è il suo Programma Internazionale per l’Eliminazione del Lavoro Minorile nato nel 1991 con l’obbiettivo di cancellare tale terribile piaga mondiale attraverso l’aumento delle capacità di ogni paese. Inoltre è stata approvata il 17 giugno 1999 la Convenzione n. 182 dell’ILO sulla Proibizione delle Peggiori Forme di Lavoro Minorile. Gli Stati che ratificano tale Convenzione hanno l’obbligo di emanare o adeguare leggi nazionali per combattere l’analfabetismo e per monitorare il fenomeno dello sfruttamento dei minori. La Comunità internazionale può contribuire in molti modi alla lotta contro il lavoro minorile: 166 - Seconda Parte
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attraverso il rafforzamento degli strumenti internazionali, sensibilizzando l’opinione pubblica sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo e con il contributo che può fornire la cooperazione a livello tecnico al fine di eliminare tale triste piaga che affligge migliaia di bambini nel mondo. Però, pur considerando ciò, non bisogna sottovalutare l’importanza della responsabilità nazionale e il ruolo che, in ogni singolo paese, giocano i governi nazionali. Non importa l’età, anche un minorenne può subire un processo penale, ma grazie alla Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, che vuole “promuovere, nell’interesse superiore dei minori, i loro diritti, concedere loro diritti azionabili e facilitarne l’esercizio facendo in modo che essi possano, o loro stessi o tramite altre persone od organi, essere autorizzati a partecipare ai procedimenti in materia di famiglia che li riguardano dinanzi a un’autorità giudiziaria”, il minore in possesso di discernimento è riconosciuto nella vicenda giudiziaria come interlocutore. Il più delle volte la colpa dei crimini commessi dai minorenni è proprio delle famiglie. Qui entra in gioco l’adozione, un istituto giuridico che offre ai minori in stato di abbandono una famiglia adeguata che garantisca la loro crescita. La legge prevede l’adozione di minori residenti in Italia (adozione nazionale) e l’adozione di minori stranieri residenti all’estero (adozione internazionale). La prima, è possibile quando il Tribunale dei Minori dichiara lo stato di abbandono e lo stato di adottabilità, sceglie fra le coppie che hanno presentato domanda quella maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore; la seconda, solo quando non è stata trovata una famiglia idonea nello Stato di origine del minore. Una delle figure presenti nel Tribunale dei Minori è il giudice tutelare che deve proteggere gli interessi dei minori orfani dei genitori o comunque in situazioni tali per cui nessuno dei genitori eserciti su di loro la potestà. Il giudice tutelare provvede in tali casi alla nomina del tutore o del curatore, sovrintende all’esercizio della tutela e della curatela, verifica in generale che la loro gestione avvenga nell’interesse dell’incapace e in conformità con le prescrizioni impartite. Il giudice tutelare è competente anche ad autorizzare l’interruzione volontaria della gravidanza da parte di una minorenne, qualora non vi sia il consenso dei genitori. Inoltre l’UNICEF in Italia si è impegnata negli anni per l’istituzione della figura del Garante nazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ovvero un’Istituzione nazionale indipendente cui affidare la promozione e la tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sul territorio, allo scopo di armonizzare e valorizzare il ruolo degli organi e dei servizi del sistema di protezione dell’infanzia attualmente esistente e di colmare le attuali lacune dello stesso sistema, in particolare in relazione a coordinamento, consulenza e sostegno degli “attori” sulla scena, di educazione di adulti e minori ai diritti dell’infanzia, di formazione periodica degli operatori. Teresa Gatto, Anna Lucia Tarantino, Francesca Giulino, Claudia Lia, Vittoria Petitto, Tea Tammè
Liceo Classico “P.Galluppi” di Catanzaro Classe V ginnasio sez. A - a.s. 2012/2013 Docente Referente: Paola Ferragina
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COMBATTIAMO IL BULLISMO: AGISCI, DENUNCIA, AIUTA….. La Nostra Indagine Il progetto di educazione alla legalità ha avuto come obiettivo prioritario quello di educare i giovani alla cultura dei valori civili, al rispetto delle regole che reggono la vita familiare, scolastica e sociale. Attraverso la conoscenza dei principi fondamentali della nostra carta costituzionale e dei diritti e dei doveri da essa sanciti, si è cercato di sviluppare il senso critico e di potenziare il senso di responsabilità allo scopo di essere cittadini partecipi della vita sociale e capaci di debellare ogni forma di illegalità. Si è voluto intraprendere un percorso di sensibilizzazione sul tema della tolleranza e di condivisione delle regole da rispettare per star bene a scuola. In particolare ci si è soffermati sul fenomeno del bullismo, tematica di grande attualità che riguarda gli adolescenti. Condizioni quali dignità, libertà, solidarietà, vanno perseguite, volute, conquistate, protette e difese. Il bullismo Il termine bullismo deriva dall’inglese bullyng, che vuol dire intimidire, ed è definito come «un’azione che mira deliberatamente a fare del male, a danneggiare un altro individuo». I tre elementi caratterizzanti il bullismo: 1. L’ intenzionalità, consiste nel fatto che il bullo compie gli atti aggressivi al solo scopo di causare danni e offese ad un altro ragazzo che è la vittima. 2. La persistenza nel tempo, cioè il fatto che l’azione del bullo è ripetitiva. 3. Il disequilibrio tra le parti o asimmetria nella relazione, cioè una disuguaglianza di forze e potere tra il bullo e la vittima. Tipi di Bullismo • Bullismo diretto • Bullismo indiretto Bullismo Diretto Il bullismo diretto si ha quando vengono compiuti attacchi fisici verso la vittima (botte, pugni, calci) oppure verbali (offese o minacce). Bullismo Indiretto Il bullismo indiretto si ha quando gli attacchi sono di tipo psicologico per esempio l’esclusione dal gruppo, l’emarginazione. Un tipo di bullismo indiretto, oggi molto diffuso, è il cyberbullismo ossia il bullismo perpetrato via internet, SMS, riprese con i cellulari ecc. Tipologie di bullo Bullo Dominante: Il bullo dominante è il cosiddetto capo dell’atto di bullismo. È quello che organizza il tutto; 168 - Seconda Parte
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spesso è un ragazzo forte fisicamente le cui caratteristiche sono: aggressività generalizzata, impulsività e scarsa empatia verso gli altri. Bullo Gregario: È considerato spesso il braccio destro del bullo dominante. Tipologie di vittime • 1. Vittima passiva: si intende quel ragazzo\a che non provoca in nessun modo il bullo e subisce in silenzio ogni sopruso. • 2. Vittima provocatrice: è quel ragazzo\a che con il suo comportamento irrequieto provoca il bullo in ogni circostanza. Cause ed Effetti del Bullismo • Molti studiosi ritengono che tra le cause del bullismo vi siano: uno stile educativo familiare compromesso; caratteristiche personali; comportamento prepotente, l’insicurezza e la scarsa autostima. • Per quanto riguarda gli effetti del bullismo sulla vittima troviamo: ansietà, disistima, depressione, isolamento, paura, disagio comportamentale, abbandono scolastico e, in alcuni casi, purtroppo anche il suicidio. Strategie attive per arginare il fenomeno del bullismo. • La prima “strategia attiva” da seguire è quella di denunciare a persone più grandi l’accaduto, parlarne in casa o a scuola. • Fare sentire la solidarietà, l’amicizia, la comprensione è molto importante per la vittima. Il Bullismo è un Reato? Attualmente nel nostro ordinamento, il bullismo, non è un vero e proprio reato. • Sono però previste numerose ipotesi di reato che integrano gli atti di bullismo. I Tipi di Reato che possono verificarsi sono essenzialmente di due tipi: 1) I reati penali cioè un tipo di reato che ha come sanzione più grave l’ergastolo. Tra i reati penali che possono configurarsi a seguito di atti di bullismo troviamo: percosse, lesioni, danni alle cose, offese, ingiurie, diffamazione, minacce. 2) I reati civili in cui si incorre quando il bullo provoca danni ingiusti alla vittima. In questo caso si ha diritto ad avere il risarcimento del danno art. 2043 cod.civ. Tipologie di danno Ci sono tre diversi tipi di danno che possono essere causati alla vittima. 1. Il danno morale: è quel danno provocato alla vittima per le sofferenze fisiche e morali, turbamento dello stato d’animo, per le lacrime, i dolori, ecc. (art. 2059 c.c.). 2. Il danno biologico: va risarcito quando l’atto di bullismo lede la salute, l’integrità fisica e psichica della vittima. (art. 32 Cost. e art. 2043 c.c.). 3. Il danno esistenziale: è il danno alla persona, alla qualità di vita, alla reputazione, all’esistenza, alla riservatezza, all’immagine (art. 2 Cost.). Chi è responsabile? Chi paga? • Bullo maggiorenne: la responsabilità è solo sua. • Bullo minorenne: la responsabilità è sua e dei genitori (culpa in educando ex art. Seconda Parte - 169
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2048 c.c.). • Ma se l’atto di bullismo viene commesso a scuola, è responsabile anche la scuola stessa che non ha saputo controllare gli alunni e si chiama culpa in vigilando. Cyberbullismo Il Cyberbullismo è tipo di bullismo indiretto che viene messo in atto attraverso l’utilizzo di internet, telefoni cellulari ecc. L’obiettivo del bullo è sempre lo stesso: molestare, minacciare e deridere la vittima. Tratti Distintivi del Cyberbullismo: 1. Assenza di relazione tra vittima e bullo (non c’è rapporto fisico). 2. Anonimato. 3. Assenza di rispetto. 4. Mancanza di limiti spazio temporali: il cyberbullismo può invadere la privacy della vittima in ogni momento e in ogni parte del mondo. E allora che fare??? FAI COME NOI….AGISCI, DENUNCIA, AIUTA!!! Tutti gli adulti di riferimento, genitori e insegnanti, nonchè i ragazzi devono sentire la responsabilità di attivarsi, ognuno nel proprio ruolo e compito educativo. Osserva… Ascolta… Parla…
ABBIATE IL CORAGGIO DI SUPERARE IL SILENZIO DELLE VOSTRE PAURE DENUNCIANDO SEMPRE OGNI SOPRUSO, MINACCIA, MOLESTIA ALLE AUTORITA’ . (tratto dal film «Nient’altro che noi»)
I.I.S. “Ferraris-Maresca” di Catanzaro Classi II - a.s. 2012/2013 Docente Referente: Concetta Papaleo
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LA MAFIA: Analisi della sua diffusione nel territorio nazionale e della sua attività Con il termine generico di Mafia, in Italia, si indica una potente e segreta organizzazione criminale, ma a seconda della locazione geografica dove nasce ed opera, assume nomi diversi. In Calabria viene denominata Ndrangheta, in Sicilia Cosa Nostra, in Campania Camorra ed in Puglia Sacra Corona Unita. • La storia della Ndrangheta inizia nella seconda metà del 1800 in vari paesi della provincia di Reggio Calabria, ma successivamente si diffonde anche nelle province di Crotone, Vibo, Catanzaro e Cosenza. Dagli anni 50, quando si verifica una forte emigrazione meridionale, inizia ad operare nel nord Italia, anche per la scarsa presenza dello Stato. Negli ultimi venti anni l’organizzazione si è consolidata non solo in Italia, ma anche all’estero, infiltrandosi nelle istituzioni, nel tessuto economico e stabilendo contatti con i narcotrafficanti americani, canadesi, messicani e australiani. Oggi la Ndrangheta è considerata la più pericolosa organizzazione criminale in Italia, ma anche una delle più potenti in Europa e nel mondo con una diffusione della sua presenza soprattutto nei paesi meta dell’emigrazione calabrese. Secondo le forze dell’ordine in Calabria sono attualmente operanti 155 famiglie (definite ndrine o cosche) che affiliano 6000 persone legate, quasi sempre, da vincoli di parentela e che sono dedite ad attività criminali. Nel paese o città più ndrine aprono la “locale”, struttura che organizza la gestione malavitosa del territorio. I locali creati al di fuori della Calabria spesso dipendono dal locale del paese d’origine dei membri. All’interno delle famiglie vi è una struttura gerarchica basata sui gradi dette doti, al primo grado stanno i picciotti, poi i camorristi ed infine gli sgarristi. Analogamente alle altre mafie italiane al suo interno sono presenti rigidi riti di affiliazione, riti di dote, codici comportamentali tra gli affiliati e durante le riunioni. Nella Calabria la Ndrangheta svolge un profondo condizionamento sociale fondato sia sulla forza delle armi che sul ruolo economico raggiunto anche attraverso il riciclaggio del denaro sporco. Questa attività consente di controllare ampi settori dell’economia: imprese, commercio, agricoltura, spesso con una forte connivenza di aree della pubblica amministrazione di tutti gli schieramenti politici. La sua attività principale è il narcotraffico, seguita dalla partecipazione in appalti, condizionamento del voto elettorale, estorsione, usura, traffico di armi, gioco d’azzardo, traffico di esseri umani, smaltimento di rifiuti tossici e radioattivi. Secondo il rapporto Eurispes ha un giro d’affari di circa 44 miliardi di euro. • Con l’espressione Cosa Nostra si indica l’organizzazione criminale di stampo terroristico-mafioso presente in Sicilia sin dal 1800, durante il governo dei Borboni. Diffusa inizialmente nelle campagne per il regolamento dei confini e per l’uso Seconda Parte - 171
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dell’acqua, successivamente per le sue attività si è trasformata in una associazione internazionale. È costituita da gruppi, chiamati famiglie, organizzati al loro interno in un rigido sistema gerarchico. L’intero territorio controllato è suddiviso in mandamenti, dove si elegge il capo mandamento. Gli interventi dello Stato, che in passato avevano trascurato anche volutamente il problema, si sono fatti più decisi a partire dagli anni ottanta. Grande merito ha avuto il Pool Antimafia, creato dal giudice Antonio Caponetto, di cui facevano parte i magistrati: Di Lello, Guarnotta, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Costoro, anche a costo della loro vita, hanno distrutto il cuore di Cosa Nostra dimostrando la possibilità di punire gli adepti. Nel 2006, l’arresto, dopo una latitanza record di 43 anni, del super latitante Bernando Provenzano, ad opera della Procura Antimafia di Palermo, ha inflitto un ulteriore duro colpo all’organizzazione. Negli ultimi anni, anche economicamente, Cosa Nostra ha subito un ridimensionamento per l’applicazione della legge sul sequestro dei beni e per il contestuale aumento di potere della Ndrangheta che ha assunto il controllo ed il predominio del traffico internazionale della droga. • Con la locuzione Sacra Corona Unita si indica un’organizzazione mafiosa che ha il suo centro in Puglia e che ha trovato negli accordi criminali con associazioni dell’est Europa la sua specificità per emergere e distaccarsi dalle altre mafie italiane. La S.C.U. è suddivisa in clan. Vi è la Società Segretissima che comanda un corpo speciale chiamato “squadra della morte”. La S.C.U. ha raggiunto il suo apice tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, con attività quali: racket , contrabbando di sigarette, sfruttamento della prostituzione e traffico della droga, successivamente all’intervento energico dello Stato e ad un gran numero di arresti, è stata notevolmente indebolita. • La maggior parte degli storici indica come data di nascita della Camorra un processo svoltosi nel 1819-1820, ma è anche opinione prevalente che il fenomeno nasce nelle carceri. Comunque la camorra attecchisce non solo come “partito della plebe”, ma anche quale “mezzo di ordine”, “governo naturale” del disordine. Si tratta di una associazione segreta con leggi proprie avente lo scopo di procacciare, con qualsiasi mezzo, favori e guadagni a coloro che ne fanno parte. La sua attività delittuosa si manifesta nel campo dell’estorsione, del lotto clandestino, del traffico di armi, nel traffico internazionale di droga, nella speculazione delizia e in diversi altri settori. Nel ventennio fascista, per una violenta persecuzione, la Camorra viene ridimensionata, ma con il secondo dopo guerra si ripropone come regolatrice del nuovo assetto sociale ed economico. Il tentativo di costruire un’organizzazione gerarchizzata e centralizzata si concretizza con la creazione della Nuova Camorra Organizzata capeggiata da Raffaele Cutolo (detto o professore), considerato capo indiscusso per volontà divina, e nella Nuova Famiglia diretta dal clan dei Nuvoletta. L’ingente trasferimento di risorse finanziarie in Campania dopo il terremoto del 1980 induce la camorra al sostegno clientelare dei politici. Si determina un contesto di disordine economico politico istituzionale che consente ai camorristi di consolidare la propria funzione di “governo parallelo” e di incrementare i profitti, presentandosi alle comunità locali come datori di lavoro. Secondo la Commissione Parlamentare Anti-Mafia la terapia anti camorra non può prescindere da una radicale riforma morale e sociale, e dall’eliminazione del disordine, mancanza di un rapporto normale e legale tra Uomo-Società-Stato. 172 - Seconda Parte
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Il fenomeno complessivo della mafia, anche con le sue specifiche diversità legate alla zona di origine, sicuramente nasce e si fa spazio in situazioni sociali arretrate e povere, dove le strutture statali non riescono o non vogliono svolgere a pieno i propri compiti istituzionali. Ma la lotta dello Stato al suo nemico numero uno, come si è visto, non ha avuto nel corso del tempo, sempre la stessa intensità. L’infiltrazione mafiosa è arrivata a livelli alti dello stesso Stato ed è riuscita a condizionare gli organi giudiziari. Quindi oggi, in Italia e nel mondo, parlare di mafia non significa certamente parlare di un fenomeno in via di estinzione. La presenza di una mentalità mafiosa, lontanissima dal concetto di Legalità, specialmente in alcune regioni del nostro paese è ancora massiccia e preoccupante. La soluzione del problema pero è di natura sociale. La gente deve capire che la mafia non è invincibile. Soprattutto noi giovani dobbiamo combattere e sperare di realizzare una società dove la Legalità è alla base del vivere civile. Ma anche lo Stato dovrà fare la sua parte, realizzando un valido progetto di sviluppo, in tante zone del nostro paese di notevoli potenzialità culturali naturali e quindi dove è possibile una concreta emancipazione sociale ed economica. Istituto Tecnico Industriale “E. Scalfaro” di Catanzaro Classi II A e II C - a.s. 2011/2012 Docente Referente: Giulia Saporito
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E-DUCARE ALLA LEGALITÀ: bilancio di un percorso Partendo dal presupposto che compito peculiare della scuola sia quello di “e-ducare”, ossia di condurre fuori il formato dall’informe, non vi è ombra di dubbio che questa formazione debba svolgersi a 360 gradi e, pertanto, si riferisce non solo al bagaglio culturale, tradizionalmente inteso come l’insieme delle nozioni conoscitive a livello umanistico e tecno-scientifico, teorico e pratico, quanto al possedimento, fatto proprio da ciascuno alunno, di uno cultura più ampia che tenga conto, specialmente oggi, di un mondo apparentemente più grande e nel contempo più piccolo e, in ogni caso, multimediale, ma anche di una sfera più particolare ed individuale, che sia comunque in grado di fare entrare l’allievo in relazione con l’altro e con gli altri nonché, per usare un termine oggi abusato, anche col diverso. Parliamo del diritto-dovere della scuola di informare e quindi formare l’uomo e soprattutto il cittadino; mai come oggi infatti è divenuta necessaria e cogente la formazione del cittadino, ben fermo sui capisaldi della democrazia e della legalità, distinguendo nella prima la profonda differenza tra democrazia partecipativa di stampo antico e l’attuale concetto di democrazia rappresentativa per cui al cittadino grande responsabilità viene affidata allorquando, al momento delle votazioni, viene attribuito il compito di eleggere i propri rappresentanti e, nella seconda il diritto- dovere di avere rispetto di se stessi, ma anche degli altri, facendo proprio il principio che la nostra libertà finisce laddove inizia quella degli altri. Partendo poi dal concetto che l’uomo, per sua natura, come asseriva Aristotele, è un “animale politico” e che quindi tende ad associarsi e a vivere in comunità, grande importanza rileva il progetto indetto dall’Unicef che ha come oggetto un percorso ben preciso di educazione alla legalità per gli alunni del biennio, e quindi giovani “in fieri”, progetto che si è allargato all’osservazione anche in ambito economico e sociale oltre che politico e culturale. Una sezione a parte è stata riferita al “minore”, alla sua tutela in ambito sociale e familiare, soprattutto quando in quest’ultimo si verificano eventi traumatici come la separazione dei genitori, il conseguente affidamento a uno dei due e l’introduzione di un soggetto terzo: il giudice tutelare del minore. A tale proposito particolare efficacia ha sortito l’intervento della dottoressa Iembo che ha saputo illustrare ai giovani discenti l’elenco di tutti i loro diritti pur nel disagio di un evento così doloroso. Gli incontri, tutti svoltisi presso l’Istituto Tommaso Campanella di Lamezia Terme, hanno avuto come relatori giudici, avvocati e giuristi di chiara fama, che hanno saputo intrattenere e trattenere un pubblico effervescente e vivace come solo alunni di un biennio possono costituire. Nel primo incontro si sono avvicendati il presidente del tribunale di Lamezia Terme, giudice Brattoli, che ha aperto il dibattito partendo dall’illustrazione della nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, e l’avvocato Barbieri, presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati presso lo stesso. Interessante ed efficace si è rivelato il paragone, da parte del giudice Brattoli, tra la nostra Costituzione e la macchina: entrambe non vanno avanti da sé e, infatti, la prima ha bisogno di un lubrificante, la dignità, così come la seconda necessita del combustibile. Anche la spiegazione dei concetti di democrazia, libertà, diritti e doveri, legge e norma, analizzate dall’avvocato Barbieri, ha suscitato attenzione e riflessione nella maggior parte dei partecipanti, come rilevano i commenti degli allievi alla fine del corso. Rilevante anche la figura del presidente del Lions giovanile che ha saputo motivare e attirare l’attenzione degli ascoltatori. Nel secondo incontro abili oratori sono stati gli avvocati Grandinetti e Zaffina che hanno sviluppato il tema della dignità umana, partendo dalla “Magna Charta Libertatum” e 174 - Seconda Parte
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concludendo con la “Carta Europea dei diritti”. Nel terzo incontro di certo effervescente si è rilevato l’intervento dell’avvocato Mascaro il cui linguaggio carismatico ha saputo coinvolgere i discenti nei quali è rimasta la frase: “il sogno va sognato”, con la quale l’avvocato intendeva invitarli a non avere fretta eccessiva nella realizzazione dei propri progetti, tantomeno da svolgersi nel tempo più breve possibile e a volte più illecito, mentre dovrebbero pazientare e percorrere strade più lunghe e difficili, ma senz’altro legali e di più sicuro approdo. È stato avviato durante questo incontro, la problematica del processo minorile nonché quella relativa all’ambiente e alla responsabilità, da parte di tutti, verso i danni procurati all’ecosistema, alle cose pubbliche, alla città e alla scuola. Si è dibattuto anche sul concetto di reato, con riferimento al bullismo e al razzismo. Nel quarto incontro fondamentale è stato l’intervento della dottoressa Iembo, responsabile provinciale dell’Unicef, che ha sollecitato e sollevato l’interesse generale illustrando la figura delle “garante per l’infanzia”, ossia di un giudice mediatore fra tutte le istituzioni pubbliche e private e il fanciullo in condizione di bisogno e perciò di tutela. I giudici Danise e Trovato hanno infine affrontato le tematiche del diritto di famiglia collegato ai diritti e doveri dei coniugi e dei figli, nonché quelle collegate al processo minorile. A conclusione degli incontri sono state redatte in classe, da parte di alcuni alunni della I e della II B, delle relazioni attinenti al convegno; tutti i lavori si sono rivelati positivi per quantità e qualità di concetti appresi ed acquisiti, per analisi e criticità degli stessi, a volte con spunti davvero profondi anche sull’interesse e sull’utilità degli incontri, come si evince dai lavori svolti. Liceo Scientifico “G. Galilei” di Lamezia Terme Classi I e II B - a.s. 2012/2013 Docente Referente: Caterina Destito
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CONCLUSIONI
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EDUCARSI ALLA RESPONSABILITA’ E ALLA GIUSTIZIA “Nella società post-moderna, complessa, globale, che sembra allontanarsi dalla tradizionale idea occidentale di “educazione”, sulla quale molti di noi siamo stati educati e formati, impostata sulla centralità della persona, insommabile ed indivisibile, luogo privilegiato di diritti inalienabili, presieduta da “fondamenti ontologici” che precedono quelli storici ed empirici, si sta diffondendo un’“idea alternativa di educazione”, intesa come “un insieme di modelli formativi della persona” concorrenti tra di loro, giuridicamente corretta, eticamente deprecabile, forse efficiente e produttiva, per specifici ambienti/ contesti, certamente in palese “diaphonia” rispetto al “fine primario” dell’“educazione” che è: a. “avere cura” ovvero “occuparsi/ preoccuparsi” di sé, dell’esistenza soggettiva;
b. “dimensione ontologica”: apertura delle possibilità di generare ulteriori forme di abitare il Tempo e la Storia;
c. “l’Essere dell’Esserci”: non una dimensione dell’esistenza, ma l’esistenza stessa, la matrice generativa delle relazioni (convivialità delle differenze).
L’educazione è un’arte: non c’è arte senza finalità; la vitalità stessa dell’arte consiste nell’energia con cui tende al suo fine”. Lo scopo dell’educazione è di: a. riallacciare l’Uomo all’Uomo, il suo presente ed il suo passato;
b. risvegliare
tutto l’Uomo: interiorità, corporeità, risorse interiori, identità, impenetrabilità, illuminare il suo pensiero e la sua esperienza.
Per educare è necessario: a. liberare lo slancio attivo e propositivo che è proprio di ciascuna persona; b. promuovere e consolidare la sinergia dei valori primari o fondamentali di ogni individuo 1) dignità; 2) libertà; 3) uguaglianza; 4) solidarietà; 5) cittadinanza; 6) giustizia. Un approccio, riconosciuto e condiviso, nella pedagogia dei processi educativi, è l’esistenza di un rapporto inscindibile tra identità e cultura. Ciascun “Uomo”, almeno fin dalla nascita, fa parte di un sistema simbolico culturale che orienta la strutturazione della propria identità tramite un processo articolato “io – l’altro” in cui interagiscono sempre entrambe le dimensioni, connotate ed esplicitate, delle differenze. Conclusioni - 179
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L’educazione ha il compito primario della crescita educativa, culturale e professionale dei giovani, per trasformare la molteplicità dei saperi in un sapere unitario, dotato di senso, ricco di motivazione, per sviluppare l’autonoma capacità di giudizio, l’esercizio delle responsabilità personali e sociali. Ad un approccio culturale relativistico deve sostituirsi una concezione della persona in educazione, unica ed irripetibile, ma universalistica, in un campo di esperienza, progettato intenzionalmente, che deve rappresentare il mondo indagato dalla persona nel suo quotidiano incontrarsi e scontrarsi con l’evolversi della sua vita, nel “Tempo” e nella “Storia” in cui vive ed opera. Scrive Mounier in “homo viator”: “educazione è soggettività che confluisce nell’intersoggettività, è atteggiamento intersoggettivo che trova riscontro nella soggettività. Senza rinvio all’interiorità non c’è cultura, ma senza riscontro intersoggettivo non c’è comunicazione, ascolto, dialogo, ed il valore culturale è sempre confronto, accettazione, convivialità di differenze”. Educare alla “giustizia” è acquisizione di responsabilità nell’agire soggettivo e collettivo, impostato:
a. sulla preminenza delle regole e della coerenza dei comportamenti etici, sociali, civili; b. sull’honestas operandi, ovvero sull’agire nella vita pubblica e privata con sincerità, lealtà, trasparenza, in ossequio a “principi morali” , diffusamente condivisi e ritenuti validi nella convivenza civile e sociale;
c. sulla fruizione diffusa di due “beni comuni” che devono avere una primarietà per l’Uomo del nostro “Tempo”:
1. “formazione”, intesa come “lifelong learning” (apprendimento permanente),
per acquisire nuovi saperi/conoscenze (capacità di connettere in maniera critica e consapevole ogni tipologia di informazione) e competenze utilizzabili nella gestione della propria soggettività in ambito sociale e civile e nella flessibilità del lavoro;
2. “sicurezza”, nella sua accezione di conoscenza, di protezione/tutela dei diritti, ricerca della giustizia giuridica, connotata da dimensione teleologica, nella vita civile e sociale.
Questi “beni comuni”, non sottraibili ed esclusivi, sono a fondamento:
• del diritto alla vita, alla libertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione, di partecipazione sociale, civile e politica;
• del diritto alla solidarietà, verso i singoli individui e verso i popoli (il diritto alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, alla gestione delle risorse materiali e immateriali -si vedano quelle naturali ed economico/finanziaridello Stato, alla tutela ambientale…);
• del diritto a decidere su alcune “questioni/chiave” del nostro “Tempo”: le manipolazioni genetiche, la bioetica , le nuove tecnologie di comunicazione, 180 - Conclusioni
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con le loro opportunità e le loro minacce, la relativizzazione della dimensione teleologica dell’uomo, con lo sradicamento di “fondamenti, principi, valori e virtù” sui quali è stato educato e formato, nel tempo, l’uomo, soprattutto quello occidentale. La persona formata, in un processo educativo di istruzione e di apprendimento, è “giusta e responsabile”, allorquando è consapevole: a. dei diritti inviolabili dell’Uomo, multietnico, multiculturale, che vive nel “villaggio globale”, sia come singolo sia nelle formazioni socio/politiche, civili e culturali in cui si realizza la sua indivisibile personalità;
b. del superamento della logica dell’identità - uguaglianza, per attuare una logica della contraddizione/diversità, quale ricchezza, presente in ciascuna persona, in quanto risorsa primaria dell’accoglienza/integrazione/inclusione fondata sulla solidarietà, la collegialità, la collaborazione, la condivisione, la partecipazione
“Educarsi alla giustizia e alla responsabilità” è: a. donazione totale di sé, per la tutela del “bene comune”, per la difesa dei più deboli, degli esclusi;
b. prevenzione delle difficoltà della società globale e complessa del nostro tempo - la marginalità, il disagio - (il sistema preventivo in educazione);
c. legame comunitario e sociale finalizzato a: • recuperare e rendere operativi i valori teleologici primari dell’Uomo, quali la giustizia, la pace, la libertà, la democrazia, la legalità, la vita stessa, l’autonomia decisionale, la relazionalità positiva e costruttiva tra “opposti pensieri e visioni del mondo”, l’etica della solidarietà, la convivialità delle differenze;
• dare “dignità morale” all’Uomo, spesso vacillante nei suoi convincimenti, attra-
• •
verso l’operatività in situazione, tra i cittadini, fatta non solo di prassi (il fare) ma anche di proposte in fieri, di ricerca intellettuale, fine e vigorosa nello stesso tempo, idonea a stimolare/indirizzare le coscienze dell’Uomo contemporaneo che sembrano, purtroppo, rimanere passive ed inoperose o assopite/smarrite rispetto alle sfide del nostro “Tempo” e all’irruzione dell’incertezza nell’apparente esaustività delle nostre soggettive certezze. contrapporsi al relativismo di ogni genere che determina solipsismo, separazione da ogni possibile dibattito/scontro/incontro di idee, difesa esasperata del “particulare”, la preminenza di “teste vuote”, non di “teste ben fatte”, per dirla con Montaigne; allontanare dall’Uomo, attraverso un costante ascolto delle sue proposte e delle sue aspettative, una dimensione socio-culturale catastrofica della contemporaneità, fatta di sfiducia, purtroppo, anche nelle Istituzioni, ed operare, nella prassi dell’“agire sociale e civile”, un’apertura conoscitiva ed interpretativa del “nuovo” ed, eventualmente, accoglierlo e metabolizzarlo, intriso di “Storia e di esperienze vissute” che sono sempre arricchenti; Conclusioni - 181
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• sviluppare, in ogni persona, nella sua irripetibile soggettività, il metodo di “intelligere” la realtà, di elaborare le informazioni e gli stimoli del micro/macro ambiente in cui ciascuno gestisce la propria esistenza sociale e di relazione, per esercitare il proprio diritto si scelta e di libertà, nella realtà sociale, culturale, civile e politica del nostro Tempo; • diffondere “una cultura dei valori civili e sociali e la conseguente etica della responsabilità civile, sociale e politica”, fatta di rendicontazione di scelte e di comportamenti, anche soggettivi, da parte di tutti i soggetti istituzionali, coinvolti nel policentrico sinergico ruolo delle singole Istituzioni democratiche, uti singuli, uti universi, se si vuole costruire una società a misura d’Uomo, per l’appagamento dei suoi bisogni soggettivi e collettivi; • testimoniare la caritas veritatis (la carità della verità – S. Agostino), intesa come una delle più alte manifestazioni di amore, come aiuto a comprendere il mondo, come aspirazione al miglioramento continuo; • praticare un servizio all’uomo, come fine ultimo dell’impegno/dono al prossimo, che tenda all’unità di una comunità e, di conseguenza, del genere umano, che “è valore teologico” (C.M. Martini: “Cerco una verità – parole ai giovani”); • difendere e testimoniare, in ogni circostanza, la dignità inalienabile della coscienza, la non separazione dell’agire sociale dalla morale (S. Tommaso docet). È necessaria, per un’educazione alla giustizia e alla responsabilità, una visuale altissima, cioè una visione contemplativa della responsabilità sociale di ciascun Uomo (si veda il libro dell’Apocalisse, la lettera agli Efesini e la lettera ai Colossesi di San Paolo). Educarsi alla responsabilità diviene nella “Gadium et Spes” “massimo livello di carità/amore per il prossimo”, ovvero dedizione costante e totale offerta di sé, soprattutto nell’impegno per la pace, la giustizia e le libertà fondamentali e non negoziabili dell’Uomo. La “responsabilità sociale”, quale espressione operativa dell’educazione alla giustizia, nella nostra Comunità locale e nazionale, in forte crisi di motivazioni ideali e di fini, teleologici soprattutto, deve essere alta e nobile, ripensata e rigenerata, come passione civile e, per dirla con La Pira, quale “servizio alla speranza individuale e collettiva”, in primis per “chi non ha voce” (la disoccupazione e/o la perdita del lavoro, l’emarginazione sociale, la non speranza nel futuro, la dispersione formativa, nel nostro Tempo, non influiscono soltanto sulla dimensione civile, sociale ed economica della persona, ma anche sulla sua libertà di pensiero e di azione nella società), per potere contribuire:
a) alla realizzazione del “progetto di vita”, atteso e desiderato, di ciascuna persona del micro/macro contesto in cui vive;
b) al rigetto dell’anomia dell’Uomo del nostro “Tempo”: l’Uomo è autocoscienza operosa, conformazione della propria soggettività nell’intersoggettività (Mounier), intesa quale valore primario del proprio agire sociale, civile, solidale e politico nella “Storia”, come attenzione all’alterità/diversità e ai suoi bisogni;
L’affermarsi dell’etica della responsabilità civile e sociale di ogni soggetto istituzionale e non solo delle singole persone (uti singuli,uti universi), conduce ciascuno di loro ad essere “magister socialis”, ad avere, in ogni comportamento:
a. la ricerca della Verità, quale risultato del confronto dialettico delle diverse appar182 - Conclusioni
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tenenze/culture che diventa condivisione, in una società in cui, per esprimermi con le parole di San Paolo, la stessa Verità è ostacolata dall’ingiustizia diffusa;
b. il superamento dell’individualismo esasperato, del relativismo dell’agire sociale
ed etico, della disparità nella distribuzione dei “beni della Terra”, della mancanza di lavoro, soprattutto per i giovani, della violenza, della trasgressione quasi generalizzata, del disimpegno ed del disagio manifesto e sommerso nella vita sociale, civile e politica, della messa in discussione della primarietà delle libere istituzioni, della rottura traumatica della comunicazione intergenerazionale, della gestione della “cosa pubblica” come prioritario interesse soggettivo e non come “bene comune”.
L’“educazione” ha un compito ineludibile, sia sotto l’aspetto civile/politico che etico, quello di formare “i giovani alla saggezza, al coraggio e, naturalmente, alla giustizia, alla responsabilità di coltivare in loro soprattutto la virtù della prudenza” (Vittorio Bachelet). Domenico Torchia
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Ringraziamenti
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HANNO COLLABORATO GLI ISTITUTI SCOLASTICI Istituto Tecnico per Attività Sociali “B. Chimirri” di Catanzaro Istituto Tecnico Industriale “E. Scalfaro” di Catanzaro Liceo Scientifico “Luigi Siciliani” di Catanzaro Istituto Tecnico per Geometri “R. Petrucci” di Catanzaro I.I.S. “Ferraris-Maresca” di Catanzaro Liceo Classico “P.Galluppi” di Catanzaro Liceo “De Nobili” di Catanzaro Istituto Tecnico Agrario “V. Emanuele II” di Catanzaro I.I.S. “G. Malafarina” di Soverato IPSSEOA di Soverato Liceo Scientifico “A. Guarasci” di Soverato Liceo Scientifico “Leonardo Da Vinci “ di Chiaravalle Centrale Liceo “T. Campanella” di Lamezia Terme IPSCT “Einaudi” di Lamezia Terme Istituto Tecnico Commerciale “De Fazio” di Lamezia Terme Liceo Scientifico “G. Galilei” di Lamezia Terme
186 - Conclusioni
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I RELATORI Dott. Bruno Brattoli Pres. Trib. Lamezia Terme Dott. Barone Fortunato Rosario Pres. Sez. Corte Appello Catanzaro Dott. Bonacci Federico Responsabile Lab. Tossicologia ASP Cz Dott. Calabrese Beniamino Proc. Rep. Trib. Minori Catanzaro Dott.ssa Carè Maria Teresa Pres. Sez. Corte Appello Catanzaro Dott.ssa Chiarella Maria Luisa Ricercatrice U.M.G. Catanzaro Dott.ssa Chiarella Paola Assegnista di Ricerca U.M.G. Catanzaro Dott.ssa Chiodo Teresa Cons. Corte Appello Catanzaro Dott. Cosentino Fabrizio Cons. Corte Assise Appello Catanzaro Dott. Curcio Salvatore Sost. Proc. Generale Corte Appello Cz Dott. Danise Gustavo Giudice presso il Tribunale di Lamezia Terme Dott. De Gregorio Giulio Gaetano Cons. II Sez. Civile Corte Appello Catanzaro Dott. De Lorenzo Gianfranco Giudice Onorario Trib. Minori Catanzaro Dott. Eboli Francesco Giudice Onorario Trib. Minori Catanzaro Dott. Fontanazza Carlo Capo Gip Trib. Lamezia Terme Dott. Galati Vincenzo Cons. Corte Appello Catanzaro Dott.ssa Fonti Iembo Annamaria già Dirigente P.I. - Presidente Comitato Unicef Catanzaro Dott.ssa Marchianò Maria Vittoria Pres. II Sez. Pen. Corte Appello Catanzaro
Dott. Prestinenzi Domenico Proc. Rep. Trib. Lamezia Terme Dott. Petrini Marco Cons. Corte Appello Catanzaro Dott.ssa Rizzo Teresa Dirigente I.T.A.S. “B. Chimirri” Cz Dott. Santoemma Mario Cons. Corte Appello Sez. Lavoro Catanzaro Dott. Saraco Antonio Cons. Corte Appello Catanzaro Dott. Tallaro Francesco Giudice presso il Tribunale di Catanzaro Dott. Trovato Luciano Presidente Tribunale Minori Catanzaro Dott. Valea Giuseppe Cons. Corte Appello Sez. Lavoro Catanzaro Don Mimmo Battaglia Presidente Centro Solidarietà (C.E.I.S.) recupero Toss. e Alc. Avv. Arabia Maurizio Avv. Barbieri Gianfranco Avv. Caridi Matteo Avv. Carnuccio Paolo Avv. De Venuto Giuseppe Avv. Grandinetti Angelo Avv. Gentile Romano Avv. Iacopino Francesco Avv. Izzi Emma Avv. Mascaro Paolo Avv. Mancuso Gaetano Avv. Palasciano Alessandro Avv. Petitto Carlo Avv. Talerico Antonello Avv. Torchia Italia Avv. Ursino Valerio Avv. Varcasia Michele Avv. Zaffina Nicolino
Conclusioni - 187
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SI RINGRAZIA:
Dott. Gianfranco Migliaccio Presidente Corte d’Appello di Catanzaro Dott. Francesco Mercurio Direttore Generale U.S.R. Calabria Dott. Bruno Brattoli Presidente Tribunale di Lamezia Terme Dott.ssa Stella Franco Resp. Regionale Legalità U.S.R. Calabria Avv. Prof. Giuseppe Iannello Presidente Ordine Avvocati di Catanzaro Avv. Gianfranco Barbieri Presidente Ordine Avvocati di Lamezia Terme Avv. Matteo Caridi Dott.ssa Teresa Rizzo Dirigente ITAS “Chimirri” Coordinatrice del progetto su Catanzaro
188 - Ringraziamenti
Prof.ssa Antonia Doronzo Docente IIS “Malafarina”Coordinatrice del progetto su Soverato Prof.ssa Michela Cimmino Docente Liceo “Campanella”Coordinatrice del progetto su Lamezia Terme Dott.ssa Paola Democrito Younicef Catanzaro Dott.ssa Stefania Puccio Leo Club “Rupe Ventosa” Gianmarco Arabia Presidente Leo Club “Rupe Ventosa”
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Ringraziamenti - 189
Nella foto il rinnovo del Protocollo dâ&#x20AC;&#x2122;Intesa siglato tra il Direttore dellâ&#x20AC;&#x2122;U.S.R. [Francesco Mercurio] ed il Presidente del Comitato Regionale Unicef per la Calabria [Francesco Samengo].
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