L'Orizzonte degli Eventi - Dall'inizio alla fine

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L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI DALL’INIZIO, ALLA FINE 1


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Sindaco Concettina Monguzzi Assessore alla Cultura Alessia Tremolada Dirigente settore Cultura Angela Levatino

Direttore artistico Alberto Zanchetta Funzionario Grazia Ciceri Segreteria organizzativa Susanna Milioto Staff Daniela Garreffa Nicole Radaelli Servizio di custodia Cooperativa Sociale EOS

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L’ORIZZONTE DALL’INIZIO: 2012

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DEGLI EVENTI ALLA FINE: 2020

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15 dicembre 2012 27 gennaio 2013 ——— PREMIO LISSONE 2012 mostra dei finalisti a cura di Alberto Zanchetta ———

Una Giuria presieduta dal nuovo Direttore artistico del MAC di Lissone e costituita da Enzo Cannaviello, Antonio Coppola, Giovanna Forlanelli e Ermes Meloni ha valutato le candidature pervenute da 171 artisti. In base ai criteri indicati nel bando di concorso, gli artisti selezionati per l’esposizione sono ventisei: Paola Angelini, Mattia Barbieri, Paolo Bordino, Elena Brazzale, Luca Caimmi, Linda Carrara, Maurizio Carriero, Luca De Angelis, Marco Demis, Annaclara Di Biase, Lorenzo Di Lucido, Francesco Fossati, Annalisa Fulvi, Daniele Giunta, Massimo Gurnari, Chen Li, Pierpaolo Lista, Monica Mazzone, Alessandro Neretti/Nero, Michele Parisi, Claudia Piatti, Giorgio Rubbio, Elsa Salonen, Marco Scorti, Hugo Tieleman, Giulio Zanet. Ognuno di loro partecipa con due opere alla mostra presso la sede del Museo d’Arte Contemporanea. Durante l’inaugurazione, la Giuria proclamerà il vincitore del concorso, la cui opera andrà ad arricchire le collezioni permanenti del MAC.

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Catalogo del Premio Lissone 2012 7


15 dicembre 2012 27 gennaio 2013 ——— PITTURA PERPETUA documenti e opere della collezione permanente a cura di Alberto Zanchetta ———

Pittura perpetua ripercorre la storia del Premio Lissone attraverso le opere della collezione permamente e i documenti d’archivio – esposti per la prima volta al publico – per riscoprire e approfondire i retroscena susseguitisi nelle organizzazioni di uno dei più prestigiosi appuntamenti culturali del secolo scorso. Fondato dalla Famiglia Artistica Lissonese nel lontano 1946, il Premio Lissone è stato un punto di riferimento per le ricerche e le sperimentazioni pittoriche del secondo dopoguerra. A detta di Guido Le Noci, il Premio Lissone era «qualcosa di molto diverso e di molto serio rispetto ai soliti premi che si fanno in Italia». Attraverso i premi acquisto più significativi è possibile passare in rassegna gli orientamenti pittorici che si sono avvicendati nell’arco di un ventennio all’interno della città di Lissone; una ricca selezione di documenti cartacei, quasi tutti inediti, accompagna lo spettatore tra le fonti storiche rintracciate negli archivi del Comune e della Famiglia Artistica Lissonese. L’occasione di questa mostra è propizia per gettare uno sguardo sul passato, ri/vedendo e ri/leggendo le vicissitudini di un concorso che ha fatto (la) storia.

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Giulio Carlo Argan, Il Premio Lissone, 1959 9


31 gennaio 2013 03 marzo 2013 ——— ANDREA DI MARCO un archeologo del moderno a cura di Alberto Zanchetta ———

La mostra è un sentito omaggio a Andrea Di Marco, artista scomparso all’età di 42 anni. In modo pacato, curioso e minuzioso, la pittura di Andrea Di Marco ha indagato le realtà marginali e i cascami di una vita che rischia di non essere più vista (per troppa dimestichezza o per scarsa indulgenza). Gli oggetti “senza lusso né lustro” e le periferie dipinte dall’artista sono intrise di un sereno patetismo. L’abbondante spremitura dei tubetti di colore, unita a una pennellata larga e densa, conferisce pur tuttavia un’evidente e spietata concretezza alle immagini. L’artista aveva compreso che la perenne obsolescenza del tempo presente sconfina in un’archeologia del moderno. Lui stesso teneva a precisare che «di solito estraggo quei soggetti che hanno perso il loro valore di mercato: il loro progressivo abbandono mi rende piacevolmente malinconico». Avulsi da qualsivoglia retorica o propaganda, i dipinti di Andrea Di Marco comunicano le patetiche verità del mondo, impegno morale a cui ha dovuto rinunciare troppo precocemente.

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Andrea Di Marco, Senza titolo (T), 2011 11


31 gennaio 2013 10 marzo 2013 ——— ISHMAEL «uno è pittore» a cura di Alberto Zanchetta ———

Nel 1969 Harald Szeemann aveva redatto un diario in cui erano stati annotati tutti i preparativi della mostra Live in Your Head: When Attitudes Become Form presso la Kunsthalle di Berna. Tra le tante invettive apparse sui giornali, Szeemann aveva trascritto lo stralcio di un articolo, che titolava: “Uno è pittore”. In mezzo alla sessantina di artisti che parteciparono all’esposizione, soltanto uno poteva essere annoverato nella tradizionali disciplina pittorica. Sempre più spesso, alla pittura viene assegnato un luogo a parte nei musei d’arte, come se si volesse spodestarla della sua aura e dei suoi spazi istituzionali; sembra quasi che la pittura sia diventata un non-luogo a procedere. Molto spesso i suoi detrattori finiscono per tacciarla come anacronistica, considerandola inattua[bi]le. In realtà la pittura è immortale: testimone dei secoli scorsi e del tempo presente. Il titolo della mostra, ripreso dall’incipit di Moby Dick («Call me Ishmael»), assume la figura di Ismaele in qualità di testimone e di sopravissuto; non diversamente, la pittura contemporanea resiste, strenuamente e tenacemente, senza lasciarsi affossare dall’agone con la “tela bianca” – così come accade alla nave che affondava, inghiottita dall’abisso, dopo lo scontro con il grande Leviatano. Le opere di Emanuele Becheri, Matteo Fato, Dacia Manto e Luca Pozzi hanno tutte delle tangenze con la pittura, ma soltanto uno di loro si considera un pittore. Tra convergenze e ambivalenze, così come tra falsi indizi e prove tutt’altro che inconfutabili, i visitatori sono tenuti a comprendere e a riconoscere la r/esistenza della pittura.

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Emanuele Becheri, Untitled #28 (Shining), 2007 13


31 gennaio 2013 03 marzo 2013 ——— INDEX G Boîte a cura di Federica Boràgina e Giulia Brivio ———

Index G è una rassegna dedicata alle riviste di settore che negli ultimi anni si sono distinte a livello nazionale. Il primo appuntamento è affidato a Federica Boràgina e Giulia Brivio, fondatrici della rivista Boîte. Scrivono le curatirici: «Che cosa è Boîte? Una rivista? Non propriamente. Un oggetto da collezione? Talvolta. Boîte è la concretizzazione della passione per l’arte e per la scrittura, è un percorso di studio continuo, di incontri e scontri fra diverse generazioni. Boîte è una scatola di idee e parole che chiedono tempo al lettore: il tempo della lettura che è, per sua natura, il tempo della ricerca». Ogni numero di Boîte è monografico e si apre con un’analisi storica del tema trattato. Nel primo anno, al numero inaugurale dedicato a Marcel Duchamp, ne sono seguiti tre sulle tecniche artistiche: collage, disegno, fotografia. Nel secondo anno il tema affrontato è stato la smaterializzazione dell’opera d’arte, mentre un numero di commiato ne ha celebrato l’esperienza editoriale. In occasione di Index G, Boîte schiude le sue scatole e lascia uscire tutti i fili che in questi tre anni ha seguito, chiedendo a ogni collaboratore di scegliere il libro che predilige e in cui ha scoperto qualcosa di importante. Ciò che ne risulta è un intreccio, trama e ordito di un tessuto personalissimo, evocazione di incontri fisici e mentali, avvenuti dentro le scatole magiche dell’immaginazione.

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BoĂŽte #1, marzo 2009 15


31 gennaio 2013 31 dicembre 2013 ——— IN VITRO Michelangelo Consani / Mirko Smerdel a cura di Alberto Zanchetta ———

A latere delle esposizioni temporanee, le ampie vetrate del Museo ospitano il progetto IN VITRO. Michelangelo Consani e Mirko Smerdel sono gli autori a cui è stata affidate la progettazione delle prime due vetrofanie. False Flag è l’opera proposta da Michelangelo Consani. Il titolo, che letteralmente significa “falsa bandiera”, allude a una tattica che viene perseguita attraverso l'infiltrazione e lo spionaggio. Prendendo spunto da questa strategia, l’artista ha inteso realizzare un “falso d'autore”; in pratica ha utilizzato le immagini di due sculture che sono la diretta testimonianza delle barbarie perpetrate in Tibet prima dell’avvento dei cinesi. The Dead Commercials è l’intervento di Mirko Smerdel. Dopo aver restaurato e scansionato una pellicola 35mm abbandonata su un marciapiede di Milano, l’artista ha potuto attingere a una miscellanea di spezzoni pubblicitari. Il fotogramma che Smerdel ha deciso di estrapolare dalla pellicola, e qui riprodotto su grande formato, sembra fornire una nuova narrazione e interpretazione della società che l’ha prodotta.

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Michelangelo Consani, False flag, 2013 17


16 febbraio 2013 31 marzo 2013 ——— FRANCO GRIGNANI l’arte del progetto a cura di Alberto Zanchetta ———

Artista, architetto, fotografo, graphic designer, art director: ancor oggi riesce difficile etichettare le molteplici competenze di Franco Grignani. Sergio Polano l’aveva descritto come un «maestro solitario e rigoroso, ricercatore raffinato e metodico della “verità” della forma visiva, della parola visibile e dell’immagine eloquente, il progettista visuale, pittore e fotografo, insomma l’artista». Negli anni Quaranta e Cinquanta, Grignani inizia a elaborare le sue teorie sulla sub percezione, nei decenni successivi affronta i problemi connessi alla tensione e alla distorsione ottica. Impermeabile a sentimentalismi e nostalgie, l’artista dipinge illusioni ed elusioni ottiche dall’effetto destabilizzante; ne risultano opere dall’equilibrio precario, ove le forme avanzano e allo stesso tempo retrocedono, suggerendo un movimento interno alla superficie pittorica. Incentrata sulle opere degli anni Sessanta e dei primissimi anni Settanta, la retrospettiva annovera alcuni cicli tematici particolarmente significativi – dalle Tensioni alle Proiezioni, dalle Diacroniche alle Dissociazioni del campo, dalle Periodiche alle Psicoplastiche – tra cui un importante nucleo di opere, esposte per la prima volta alla Quadriennale di Roma del 1972. L’allestimento della mostra si completa con alcuni documenti d’epoca e una serie di applicazioni grafiche dello stesso Grignani, a evidenziare quello scambio interdisciplinare che ha sempre caratterizzato la sua ricerca visiva.

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Franco Grignani, Tensione plurima 20, 1964 19


16 febbraio 2013 09 agosto 2013 ——— CRONACHE DEL DOPOBOMBA imparare ad amare la bomba a cura di Alberto Zanchetta ———

Se la storia è Maestra degli errori imperdonabili e irreparabili, l’arte è lo specchio di un’esistenza mutante e medesima. Conseguentemente all’olocausto di Hiroshima e Nagasaki, i sismografi dell’arte registrano la “detonazione” della pittura informale e la “implosione” psicologica degli artisti. Negli anni Quaranta e Cinquanta, l’onda d’urto delle bombe nucleari ha grandi ripercussioni anche sulla pittura, che improvvisamente si disgrega e assume l’aspetto di quello che viene chiamato informel o gesture painting. Benché sia venuta meno la responsabilità verso lo spettatore, i pittori lasciano intuire la propria insofferenza psicofisica: stanchi di una pittura addomesticata, e in radicale opposizione alla figurazione tradizionale, la forma finisce per dissolversi, come a voler denunciare la crisi del momento e il senso di ciò che è ormai perduto. Nel piano interrato del Museo sono esposti i dipinti di Appel, Bellegarde, Feito, Marfaing, Mathieu, Moreni, Romiti, Scanavino, Schneider, Tàpies, Thieler e Vedova. Alcune teche, collocate in prossimità delle opere, mettono a disposizione del pubblico libri e immagini che documentano gli avvenimenti connessi alle esplosioni atomiche del 1945. Al centro della sala prende posto un Personaggio atomizzato di Agenore Fabbri, scultura che si riallaccia in modo esplicito al tema degli ordigni nucleari, che sono stati forieri di un “disordine visivo” all’interno della pittura e della scultura del secondo Novecento. Riportando in superficie le angosce, gli strazi e i patimenti della dolorosa distruzione di Hiroshima e Nagasaki, la mostra vuole porre l’attenzione sulle tensioni culturali e il dissesto psicologico che hanno avvelenato l’arte del secondo dopoguerra. Senza mai dimenticare o rinnegare quelle ferite, che ancor oggi si rifiutano di rimarginarsi, la pittura informale è un anelito di liberazione e rivoluzione rispetto a una realtà tragica, brutale, inumana e più che mai insensata.

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Nagasaki, 9 agosto 1945 21


16 febbraio 2013 09 marzo 2013 ——— VIDEOGRAPHY Michael Fliri a cura di Alberto Zanchetta ———

La Project room del MAC ospita una rassegna incentrata sulle videoproduzioni delle ultime generazioni. La prima sessione è affidata a Michael Fliri, che per l’occasione presenta tredici video grazie ai quali è possibile ripercorrere dieci anni della sua attività artistica. Fliri è un performer che opera “in solitaria” e “in silenzio”. I suoi video sono incentrati sui gesti, sulla corporeità, sugli sforzi fisici al limite del non–senso. Quasi sempre, l’artista incarna la figura dell’antieroe intrappolato nel proprio ruolo e spossato da regole che rimangono sconosciute allo spettatore. Nei suoi video sembra non succedere quasi nulla, ogni situazione appare paradossale, i personaggi sembrano afflitti dall’inanità delle loro imprese, ma forse questi sforzi nascondono una necessità fisiologica, un’urgenza di relazionarsi con il mondo e con la vita. Le performance di Michael Fliri vengono generalmente fruite attraverso il video, in cui l’artista è protagonista assoluto. Fliri cura anche le scenografie, i suoni, le inquadrature, e in particolar modo i costumi. Particolarmente suggestive sono anche le sue metamorfosi somatiche e le manipolazioni dell’ambiente. L’unica cosa certa in questi video è che nulla è come sembra.

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Michael Fliri, 0O°°°oo°0Oo°O0, 2010 23


14 marzo 2013 28 aprile 2013 ——— GIANNI MORETTI entre chien et loup a cura di Martina Cavallarin e Alberto Zanchetta ———

La mostra di Giani Moretti si ispira all’espressione quand l'homme ne peut distinguer le chien du loup, terminologia che identifica una situazione in cui la percezione visiva è indefinita e rischia di essere tratta in inganno. A differenza del termine anglofono twilight, la locuzione francese non fa specifico riferimento alla luce, bensì all’effetto che ha sulla visione (che consiste nell’incapacità di distinguere le differenze tra un cane e un lupo). L’esposizione di Moretti si propone come una catalogazione spontanea, un’evidenza che contempla il fallimento della visione, uno sfasamento della percezione provocato dalla presenza di opere eterogenee, dal carattere spurio e ambiguo, perché in costante “esercizio di mutazione”. Come spiega Martina Cavallarin: «Gianni Moretti indaga ed espande organismi al limite del collasso, opera sull’ipotesi del fallimento inteso come un insieme di prove e condizioni propositive, sulla reiterazione che implora un’uguaglianza che è solo simile, ma mai identica. Un falso identico che contempla lavori differenti, anche se solo linguisticamente. Un’arte, quindi, che si svela attraverso la lateralità di frammenti, carte, indugi, ossessioni, raffinatezze, mutazioni, poesie».

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Gianni Moretti, Ciò che resta, 2012 25


14 marzo 2013 28 aprile 2013 ——— LA SCULTURA INTERROGA LA PITTURA Gehard Demetz & Piero Dorazio a cura di Alberto Zanchetta ———

Barnett Newman definiva la scultura come «quella cosa su cui inciampi quando indietreggi per guardare bene un quadro». Ma cosa accadrebbe se l’inciampo diventasse il fruitore delle opere che l’attorniano? Il ciclo La scultura interroga la pittura cerca di instaurare dei momenti dialettici in cui una scultura possa colloquiare con un dipinto, creando così un legame tra un maestro del passato e un artista contemporaneo. Ogni scultura – figurativa e a grandezza reale – sarà posizionata di fronte a un quadro della collezione permanente, dando l’idea che le sculture siano esse stesse dei connoiseurs d’arte, assorti nella suadente allure della pittura. Le opere scelte per instarurare questo primo dialogo sono la Marmaraviglia II di Piero Dorazio e I forgot how the prayer end di Gehard Demetz. Nel dipinto Marmaraviglia II assistiamo alla stratificazione di trame coloristiche che si intersecano sino a creare una sorta di saturazione visiva. Fermamente convinto del valore simbolico dei colori, Dorazio ha spinto la sua ricerca sino a dar vita a dipinti che producono una fortissima tensione psicologica (tensione che sembra recepita dal fanciullo di Gehard Demetz, costretto a serrare le proprie palpebre). Il rigore geometrico del colore pare inoltre irraggiarsi dal quadro verso la scultura, costringendo il ragazzo a proteggersi con una maschera antigas. Se la ricerca di Dorazio è sempre stata diretta verso la definizione di un’immagine plastica, l’effetto volumetrico di Demetz ridona attualità alla poetica del legno, materiale che trova nuova linfa vitale nelle sue figure di adolescenti. Le due opere diventano quindi parti inscindibili di un dialogo tanto ineffabile quanto serrato: un intreccio di trame–colori nel caso di Dorazio e di legni–tasselli nel caso di Demetz. E poiché il fanciullo dichiara di aver “dimenticato come finisce la preghiera”, siamo indotti a identificare Marmaraviglia II con i “sacri rettangoli”, ossia le icone che un tempo adornavano le chiese e che oggi invadono la nostra vita quotidiana – sin dall’infanzia.

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Gehard Demetz, I forgot how the prayer ends, 2010 27


14 marzo 2013 28 aprile 2013 ——— VIDEOGRAPHY Paolo Chiasera a cura di Alberto Zanchetta ———

La rassegna dedicata alle video–produzioni delle ultime generazioni prosegue la sua programmazione con la sessione affidata a Paolo Chiasera, Dopo anni passati a dipingere in silenzio, Chiasera inizia a lavorare con il video: «Mi sentivo un pittore e non un regista» – ammette l’artista – «Le immagini degli artisti erano il punto di partenza per sviluppare pensieri e prospettive conoscitive, relazioni segniche di un atlante warburghino». Per l’occasione Chiasera presenta nove video realizzati tra il 2001 e il 2012. Si inizia con 20° Livello, video che mescola la presenza ingombrante della storia passata con il futuro e inserisce un ritratto di donna di Velasquez alla maniera di un “interrogativo oracolare”. Seguono i video The wall, ispirato ai paesaggi metafisici di Giorgio de Chirico, Madonna della Scodella, che svela una nuova interpretazione del dipinto di Correggio, the Trilogy in cui l’artista rivisita le figure di Vincent van Gogh, Pieter Brueghel e Maurits Cornelius Escher all’interno del paesaggio contemporaneo. Le rappresentazioni urbane nella pittura del XVII secolo fanno da sfondo a Spazi circoscritti, la fascinazione per i simboli del potere è al centro di Young dictators’ village, mentre The Following Days ha per protagonisti tre ragazzi che scoprono una grande scultura effigiante il volto di Pasolini. «Non ho mai rivisto i miei video», ha ammesso Chiasera, «ma oggi che sono tornato alla pittura mi sorprendo quando ritrovo nei miei lavori delle immagini che mi riportano indietro, svelando parentele sepolte ma mai sopite».

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Paolo Chiasera, YDV – Young Dictators’ Village, 2004 29


14 marzo 2013 28 aprile 2013 ——— READESIGN Thonet–Krüger–Francalanci a cura di Alberto Zanchetta ———

Il progetto Readesign intende mettere a confronto un autore – sia esso un critico, uno storico oppure uno scrittore – con una delle sedie che hanno segnato la storia del design, rendendola protagonista di un breve racconto che si appella all’arguzia e alla vivacità intellettuale dell’autore, al suo spirito d’osservazione e alla sua disposizione d’animo. A fianco della “macchina da sedere” (secondo la definizione di Josef Hoffmann) sarà posizionata una macchina da scrivere, che servirà a dattiloscrivere il testo fornito per l’occasione. La storia del design è solita far risalire i suoi motivi pregressi al XIX secolo. Fuga nel passato in cui troviamo la sedia Thonet No.14, che Adolf Loos definì come l’unica sedia moderna; Bruno Munari narra che tutto ebbe inizio allorquando Michael Thonet «pensò che forse si sarebbe potuto inventare una sedia più semplice, fatta senza spreco, leggera ed elegante. [...] La sedia così progettata e costruita risultò più economica, più pratica, leggera ed elegante per la coerenza formale del materiale, della tecnologia usata, senza nessuna forzatura decorativa oltre alle forme nate dalla tecnica». È così che, verso la metà del’Ottocento, Thonet mise a punto un sistema che permetteva di lavorare il legno ottenendo delle sedie dalle forme morbide ed eleganti. A Ernesto L. Francalanci è stato chiesto di interrogarsi sul modello capomastro di Thonet e sulla sua essenziale politezza. L’argomentazione da lui proposta è stata poi dattiloscritta con una Olympia Plana di Johannes Krüger, macchina da scrivere prodotta in Germania alla fine degli anni trenta, gli stessi anni che hanno dato i natali a Francalanci.

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Testo dattiloscritto di Ernesto L. Francalanci, 2013 31


14 marzo 2013 28 aprile 2013 ——— INDEX G G.I.U.D.A. – la geografia della linea di Boetti a cura di Gianluca Costantini e Elettra Stamboulis ———

Il nuovo appuntamento della rassegna Index G è affidato al collettivo G.I.U.D.A. (Geographical Institute for Unconventional Drawing Arts) che presenta un'installazione dal titolo La geografia della linea di Boetti, in cui sono incluse alcune opere originali di Alighiero Boetti. Nata nel 2009, G.I.U.D.A. è una rivista che indaga il tradimento delle immagini. Lo fa usando il disegno in forma intensiva, cartografando il dicibile e il rappresentabile. Si pone come uno spazio programmato di ricerca visiva ed estetica. Insegue i luoghi sulle cartine, sapendo che la mappa non è il territorio ma una sua rappresentazione, e che a partire dalla cartografia si stabilisce il nostro posto sul mondo e lo spazio che occupiamo a livello simbolico. Il numero IV di G.I.U.D.A è dedicato alla Linea Durand, il confine tra Afghanistan e Pakistan che si dipana nella stretta gola del Khyber Pass. Il Khyber Pass unisce e divide Kabul e Peshawar, é una via sempre contesa, mai completamente in pace (annessa di volta in volta agli imperi o agli stati, benché continuamente sfuggita al controllo delle massime potenze politiche), itinerario imprescindibile degli eserciti alla conquista dei tesori dell’Hindustan, cerniera tra le civiltà euro–asiatiche e quella indiana. Geografo e guida d'eccezione di questo viaggio su carta è Alighiero Boetti, le cui Mappe in forma di arazzo furono realizzate dalle ricamatrici di Kabul. In questo frangente, Boetti diventa personaggio, narratore, riferimento visivo ed eversivo di un'operazione di sovrapposizione – di tempi e luoghi – che gioca sulla evocatività di opere che sono diventate dei capisaldi dell'arte contemporanea.

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Gianfranco Gorgoni, Alighiero Boetti – Due mani una matita, 1976

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06 aprile 2013 02 giugno 2013 ——— MARCO CINGOLANI domani all’alba cari miei (1991–2011) a cura di Alberto Zanchetta ———

Due date segnano gli estremi di questo percorso: il 1991 corrisponde alla maturità artistica di Cingolani mentre il 2011 è il momento di un bilancio della propria attività. Dopo aver dipinto L’attentato al Papa e Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, la pittura di Cingolani si caratterizza per il suo impegno etico, morale e sociale. La volontà di vivere le vicende del proprio tempo inducono l’artista a realizzare l’installazione Domani all’alba cari miei (1991) qui riproposta nella sua interezza. L’opera si compone di una quarantina di ritratti montati su listelli di legno, alla maniera dei cartelli usati dai manifestanti durante i picchetti di protesta. Affastellati contro la parete del Museo, i dipinti assumono l’aspetto di una barricata–palizzata in cui la ressa di volti finisce per affollare lo spazio espositivo. Nelle intenzioni dell’artista, le persone ritratte nell’installazione «non manifestano per i propri diritti, ma reclamano i propri doveri. […] La vera utopia, che risolverebbe tutti i nostri problemi, è IL DOVERE AL POTERE». Con uno scarto temporale di vent’anni, Cingolani ha voluto mettere a confronto l’installazione con un grande dipinto, Vacanze americane (2011), in cui ritroviamo un analogo corteo di persone e di picchetti che si dileguano in profondità, vaporizzandosi nel paesaggio. Le “vacanze”, cui allude il titolo dell’opera, potrebbero far pensare a un disimpegno rispetto ai fatti di cronaca raccontati in gioventù, in realtà è la pittura stessa a essere engagé, portavoce di un Potere che appartiene ai colori e ai pennelli. Completano la mostra un gruppo di opere su carta datate agli anni Novanta e un grande disegno su Dibond in cui l’artista ha compendiato i soggetti, gli stili e le sperimentazioni che hanno caratterizzato la sua ricerca. La mostra stessa è stata pensata come un “disegno” che va delineandosi nel corso di un ventennio, sancendo due estremi temporali, vale a dire le tappe più significative della vicenda umana e artistica di Cingolani, fermo restando che non è l’Arte a dover incontrare la Vita, ma è la vita ad essere innamorata dell’arte.

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Marco Cingolani, Domani all’alba cari miei, 1991 35


06 aprile 2013 02 giugno 2013 ——— MAGNITUDO Simone Pellegrini & Andrea Salvatori a cura di Alberto Zanchetta ———

Le opere di Simone Pellegrini e Andrea Salvatori sembrano darsi appuntamento, come fossero sopravvissute a un terremoto e ne fossero le dirette testimoni. In Pellegrini i corrugamenti della carta ricordano lo stadio primevo dell’esistenza: smottamenti tellurici ed emersioni in cui le forme e la vita si assestano. L’idea di una terra smossa e scossa ricorre anche in Andrea Salvatori, le cui sculture (non a caso modellate in argilla) sembrano essere state dissotterrate a seguito di un sisma. In principio tutto il mondo era liquido, poi «le acque sotto il cielo si raccolsero in un solo luogo» e apparve la terra brulla, primigenia, la stessa che ritroviamo nelle opere di Pellegrini. Sui margini laceri delle sue carte è facile immaginare la risacca del mare, respinta dall’emersione di un’isola che è gialla come la sabbia. Ogni frammento è paragonabile a un tassello geografico che si sedimenta, poco a poco. Le opere di Pellegrini sono una ripresa e riscoperta continua, in esse non viene mai meno la costante di un ritorno alla sorgente, al pensiero nativo, in cui ogni figura ha un significato simbolico. Andrea Salvatori scandaglia la creta per ricavarne un’opera in ceramica; metaforizzando la materia prima di cui si serve, l’artista conferisce alle proprie sculture l’aspetto di pesanti (ma pur sempre fragili) pietre che gravano su piccoli suppellettili o statuine kitsch. Nelle sue ultime sculture l’artista lascia trasparire una certa affezione verso gli oggetti in porcellana o maiolica, che vengono sottoposti a una nuova cottura, in modo tale da “intarsiare” delle grosse zolle di terra–creta. La Porzellankrankheit di Salvatori è equiparabile a uno scavo nostalgico, alla ricerca di chincaglierie sepolte (nel dimenticatoio), sottoposte loro malgrado all’obsolescenza del gusto estetico, così come del consumismo sfrenato della nostra società.

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Simone Pellegrini, Conversazione azimutale, 2010 37


06 aprile 2013 02 giugno 2013 ——— VINYLISTIC spin the black circle a cura di Alberto Zanchetta ———

Negli ultimi dieci anni si è assistito a una graduale riscoperta del vecchio LP, supporto fonografico mai veramente soppiantato dal digitale. Nient’affatto insensibili alle atmosfere e alle suggestioni del disco in vinile, molti artisti delle ultime generazioni si sono cimentati con il long playing, revival a cui il MAC rende un piccolo omaggio riunendo i “feticci discografici” di Tris Vonna–Michell, Giorgio Andreotta Calò, Thomas Zipp, Gerwald Rockenschaubs, Nico Vascellari, Carsten Nicolai, Hans Schabus, Banks Violette, Georg Baselitz, Lorenzo Scotto di Luzio, Carl Michael von Hausswolff, Petteri Nisunen, Tommi Grönlund, David Shrigley e il famoso Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band autografato da Peter Blake.

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Georg Baselitz, Das Rüstzeug der Maler – The Painters’ Equipment, 1989 39


16 maggio 2013 05 giugno 2013 ——— OFF–SITE / NOT IN PLACE #1 «f» a cura di Simone Frangi ———

La rassegna Videography continua la sua programmazione in collaborazione con Viafarini DOCVA. Per circa un trimestre si avvicenderanno tre diversi progetti curatoriali che, attraverso una selezione di artisti presenti negli archivi di DOCVA e Arthub.it, articoleranno altrettante letture intorno agli snodi più importanti della video arte. Off–site / Not in place #1: «f» Nel 1974 Orson Welles presenta al pubblico F for fake, il suo ultimo lavoro cinematografico, che viene salutato dalla critica come un vero e proprio pastiche di finzioni cinematografiche e dichiarazioni programmatiche in cui "non si sa più a cosa credere". Attraverso un dialogo serrato tra i lavori di Francesco Bertocco ed Alessandra Messali, lo screening program «F» vuole ripartire da questa figura dell'artificio per riconquistare l'universo del video come "un insieme di verità e menzogna". Francesco Bertocco presenta la sua recente ricerca sul dispositivo psicanalitico del role play, vere e proprie messe in scena in cui i futuri analisti testano possibili interazioni terapeutiche con diversi soggetti patologici, impersonati dai medici stessi. L'indagine sulla pasta caricaturale di questa "ricreazione di realtà" si completa con l'esplorazione, quasi analitica, dei set vuoti in cui queste realtà artificiali prendono corpo. In un mediometraggio quasi ipnotico, Alessandra Messali documenta invece una sua recente operazione artistica in cui, chiedendo ai coetanei del suo paese d'origine di interpretare di nuovo e con le stesse intenzioni una recita infantile presentata vent'anni prima, produce un cortocircuito d'identità e di ruoli. Giocando sulle dinamiche e sull'estetica della recitazione amatoriale, il video dell’artista mette in atto un grottesco re–enactment, in cui dei trentenni sono trasfigurati dagli atteggiamenti enfatici che li caratterizzavano da bambini.

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Francesco Bertocco, Role play, 2012 41


16 maggio 2013 16 giugno 2013 ——— LA SCULTURA INTERROGA LA PITTURA Paolo Grassino & Peter Klasen a cura di Alberto Zanchetta ———

Il ciclo La scultura interroga la pittura prosegue con il raffronto tra L'ankylose du petit doigt di Peter Klasen e Travasi di Paolo Grassino. Prima di dedicarsi all’arte, Klasen ha lavorato in un’agenzia pubblicitaria dove ha appreso le tecniche dell’aerografo e della riproduzione fotomeccanica, che in seguito ha utilizzato nei suoi quadri. La tecnica esecutiva, incentrata sull’estrapolazione e la ricombinazione di dettagli liberamente tratti dalla realtà, ha permesso all’artista di associare in modo apparentemente disinvolto elementi che sembrano molto diversi tra loro. La collisione quantitativa (ancor più che qualitativa) delle immagini evoca un discorso, tanto crudo quanto critico, intorno al mondo dei mass–media e dei nuovi status symbol. Anche Paolo Grassino indaga e analizza la società attuale, decostruendo l’identità degli individui mediante un incontro–scontro tra gli oggetti e l’anatomia umana. «La mia ricerca», spiega lo scultore, «parte da riflessioni sulla condizione dell’esistere, sulla analogia tra la nostra natura interna e quella esterna. Il sogno, o meglio, l’irrazionale, l’illogico, diventano interpreti per affrontare tematiche di una oggettività che non dovrebbe esistere, anche se è sempre legata al credibile, alle realtà note». Interrogandosi sul rapporto tra l’interiorità ed l’esteriorità, il corpo umano assorbe parti estranee ed eterogenee, le quali si fondono in esso, dando vita ad anomalie che radicalizzano il concetto dell’alterità. La simbiosi tra dipinto di Klasen e le sculture di Grassino si palesa nel loro aspetto aspro e risentito, in cui utensili aggressivi e drammatici denunciano l’interesse dei due artisti per i temi connessi alla vita moderna.

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Paolo Grassino, Travasi, 2007 43


16 maggio 2013 16 giugno 2013 ——— READESIGN Rietveld–Sottsass e King–Belpoliti a cura di Alberto Zanchetta ———

Il nuovo appuntamento di Readesign si pone in polemica con la sedia No.14 esposta negli scorsi mesi. Rispetto alla tecnica della curvatura vaticinata da Thonet, molto in voga tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, nel 1917 Gerrit Thomas Rietveld progetta una sedia ricorrendo a un sistema di angoli retti e piani inclinati. Mediante giunzione a incasso, i listelli e le tavole di legno usati da Rietveld si ispirano alle teorie del Neoplasticismo in rapporto con gli ambienti del vissuto. Molto più che un semplice arredo, la Red and Blue è una scultura che sintetizza lo spirito del movimento De Stijl. La predominanza del colore rosso caratterizza anche la macchina da scrivere Valentine di Ettore Sottsass jr e Perry A. King realizzata negli stabilimenti della Olivetti di Ivrea, che per decenni è stata sinonimo di scrittura meccanicizzata. Alla maniera di Rietveld, anche la Valentine è priva d’ornamento, la forma e la funzione si armonizzano tra loro, dimostrando come l’aspetto progettuale e produttivo fossero in grado di traghettare l’industria verso la modernizzazione. Su questi due capolavori del design internazionale si è interrogato il testo affidato a Marco Belpoliti.

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Ettore Sottsass jr e Perry A. King, Valentine, 1969

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16 maggio 2013 27 luglio 2013 ——— FRANCESCO LOCATELLI a sphere in the heart of silence (II) nuove acquisizioni ———

Il MAC arricchisce le sue collezioni permanenti con l’acquisizione dell’opera A Sphere in the Heart of Silence (II) di Francesco Locatelli, una china su carta montata su legno e vetro fumè. Nelle intenzioni dell’artista, il disegno di una montagna si sviluppa mescolando diverse tipologie di tratteggio: i volumi, i dettagli delle ombre e i riflessi danno forma ad improvvise geometrie e inaspettate prospettive. Il vetro che copre l'immagine è racchiuso in una cornice inclinata che offre al disegno una profondità e una presenza scultorea, il colore scuro del vetro proietta la composizione in una dimensione notturna, in cui la danza tra il bianco e il nero, l'astratto e il figurato, è immersa in una silenziosa sospensione. Francesco Locatelli non sfugge alla tradizione del paysage moralisé impostosi nel momento in cui gli artisti hanno compreso di poter infondere nel soggetto qualità e valori umani in un rapporto di reciprocità emotiva. Con un disegno al tratto, che potremmo equiparare a un’incisione a puntasecca, Locatelli ha dato vita a uno scenario arido e allo stesso tempo denso, formato da acrocori imponenti, granitici, vertiginosi: giacimento della materia e del pensiero, oltre che sorgente del divenire e dell’essere.

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Francesco Locatelli, A Sphere in the Heart of Silence (II), 2013 47


16 maggio 2013 16 giugno 2013 ——— INDEX G Bcome a cura di Marianna Frattarelli e Giorgio Specioso ———

La rassegna Index G rinnova il suo appuntamento con Bcome, un progetto curatoriale dalla vocazione didattica che gioca con l’alfabetizzazione (B come Blog e B come Box). Il concept cui s’ispira deriva dal verbo inglese To become: diventare artisti per assimilare in modo naturale la poetica e l’immaginario dell’arte contemporanea. Dalla piattaforma BcomeBlog è possibile scaricare gratuitamente “istruzioni” per realizzare art project ideati da artisti e designers. Alcuni esempi: Daniela d’Arielli omaggia la fotografa Cahun proponendo la costruzione di una camera stenopeica pop–up; Amaya Bombìn ci guida nella realizzazione di un’installazione “da camera”; i designer Matteo Sangalli ed Erika Zorzi spiegano cos’è il design ai più piccoli attraverso il progetto La fabbrica delle bolle a fiato; Rebecca Agnes ci invita a realizzare una mappa urbana attraverso il gioco da tavolo La Città delle Oche. Ultimo in ordine di tempo è il progetto di Paride Petrei che, prendendo le mosse dal ready–made duchampiano, realizza L’Odradek; durante l’opening della mostra, l’artista ne darà diretta dimostrazione al pubblico, suggerendo differenti modi di fruizione dell'opera. Tra editoria, curatela e didattica, il progetto Bcome si realizza e trova una nuova declinazione nella collana BcomeBox: prodotti d’artista interattivi, a tiratura limitata e commercializzati in scatole confezionate a mano. Ciascuna Box contiene il kit per la creazione della propria opera d’arte, che sarà realizzata personalizzando le istruzioni suggerite dall’autore. A inaugurare la collana BcomeBox è stato Andrea Aquilanti, con l’opera Girandolare. La seconda uscita è Senza titolo con nuvola di Matteo Fato, nella quale l’artista rivela il processo di studio alla base delle sue opere e invita il collezionista a intraprendere sotto la sua guida un primo studio del disegno. Nell’ambito di Index G, l’artista utilizzerà la china, il pennino e il taccuino contenuti nella scatola, si ispirerà quindi alla fotografia allegata per tracciare l’immagine di una nuvola su alcuni fogli da disegno.

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Matteo Fato, Senza titolo con nuvola, 2013 49


18 maggio 2013 ——— RE/COLLECT RE/CONNECT a cura di Filippo La Vaccara e Alberto Zanchetta ———

In concomitanza con la Notte Europea dei Musei sponsorizzata dall’ICOM e patrocinata dall’Unesco, il MAC resta aperto fino a mezzanotte per consentire una “insolita” visita alle proprie collezioni. Anche quest’anno, la Giornata Internazionale dei Musei ha coinvolto tutte le istituzioni culturali chiedendo loro di interpretare il tema Musei (Memoria + Creatività) = Sviluppo Sociale; lo scopo è quello di mettere in evidenza il carattere universale e la positiva influenza che i musei hanno sulla società. Tra le cinque sottotracce suggerite dall’ICOM, il Museo di Lissone ne ha scelti due – “Esporre il patrimonio in chiave moderna” e “Un legame intergenerazionale” – in cui il Museo è chiamato a proporre nuove opportunità di comunicazione, di mediazione e di interazione rispetto alla tradizione, mantenendo pur tuttavia un dialogo tra le generazioni, ossia tra la comunità lissonese e il suo patrimonio culturale. Nell’intento di evidenziare una parte delle collezioni permanenti, Alberto Zanchetta ha coinvolto Filippo La Vaccara nell’allestimento di una mostra che avrà decorrenza di un solo giorno. Fine ultimo di questa esposizione è «raccogliere, ricordare, riordinare e ricollegare il passato al presente». Particolarmente significativa è la scelta dell’artista che co–curerà il progetto: Filippo La Vaccara ha infatti la possibilità di esporre un suo dipinto all’interno della collezione, così come sarebbe successo se le sue opere fossero state premiate in occasione del Premio Lissone 2005.

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Filippo La Vaccara, Senza titolo, 2012 51


06 giugno 2013 30 giugno 2013 ——— OFF–SITE / NOT IN PLACE #2 «offstage» a cura di Barbara Meneghel ———

Dopo il primo screening program a cura di Simone Frangi, il mese di giugno è dedicato alla selezione di Barbara Meneghel. Off–site / Not in Place #2: «offstage» Sono qui messi a confronto tre modi diversi di affrontare il tema del backstage nella videoarte italiana: da un lato, Diego Tonus con il lavoro Hour of the Wolf punta l’attenzione sulla Biennale veneziana e ci racconta il dietro le quinte del Padiglione allestito da Elmgreen & Dragset nel 2009. SopravVivere in televisione di Nicola Pellegrini penetra invece il backstage dello spettacolo al suo grado massimo: il mondo delle telenovele; in un progetto articolato in cinque parti legato alla Telenovela Vivere, l’artista gioca sul confine rigoroso eppure fragile tra verità (il backstage) e finzione (lo stage), spingendosi fino a entrare fisicamente in una puntata della telenovela. Danilo Correale, con il video The surface of my eye is deeper than the ocean, svela infine un retroscena più sottile; l’illusione che crolla è in questo caso legata al gesto quotidiano di grattare i biglietti della lotteria, un gesto antico e popolare che in tempi di crisi si è fatto più frequente. Visione filmica e partecipazione al video si sommano e si confondono (il budget di produzione del lavoro è stato realmente investito nell’acquisto dei biglietti della lotteria, con la promessa che eventuali vincite sarebbero state divise equamente). Un altro gesto di svelamento metafilmico, che ci fa riflettere sul significato del concetto di palcoscenico nella contemporaneità.

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Danilo Correale, The surface of My Eye is deeper Than the Ocean, 2011 53


06 giugno 2013 28 luglio 2013 ——— BALLO DI SEGNO (PRIMI PASSI) una “Ginnica del Segno” Giualiano Guatta ———

La Ginnica del Segno di Giuliano Guatta è una disciplina fondata sulla consapevolezza del movimento del corpo nello spazio e inscindibile dal suo fine: il segno. Tale pratica si è sviluppata da un progetto denominato MRPLS (movimento di ricerca e pratiche di liberazione del segno) che intende indicarne programmaticamente gli obiettivi; si tratta di un percorso di riattivazione e stimolazione della pulsione gestuale e visiva del segno‚ messo in atto attraverso esercitazioni che coinvolgono oltre all’aspetto motorio anche quello ritmico, sonoro, corale e performativo. Partendo dall’idea che il disegno è il rilevamento, vale a dire la mappatura della presenza e dello spostamento di un corpo nello spazio, l’artista ha organizzato questo principio in forma di ballo. La struttura, ossia lo schema dei passi, è a croce: un passo avanti e uno indietro, uno a destra e uno a sinistra, ogni volta tornando al centro (in pratica è un’oscillante tensione all’andare e al tornare, una pulsione trattenuta, reiterata, che spinge nelle quattro direzioni). I passi vengono rilevati attraverso il segno su una corazza, costituita da due tavole di compensato posizionate sul petto e sulla schiena del danzatore. Gli arti superiori si muovono sincronicamente a quelli inferiori, riflettendone la struttura. Le mani impugnano pastelli che lasciano tracce (corrispondenti ai passi) sulla superficie verticale della corazza. Il ballo si attua contemporaneamente sia sulla terra sia sul danzatore. Si possono ovviamente sviluppare varianti, ribaltamenti e improvvisazioni tra lo spostamento dei passi e quello delle mani.

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Giuliano Guatta, Disegno marziale, 2013

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23 giugno 2013 28 luglio 2013 ——— SO/STARE opere, incontri e riflessioni a cura di Remo Salvadori e Alberto Zanchetta ———

Il progetto So/stare è il culmine di un percorso pratico–teorico che ha coinvolto gli studenti delle Accademie di Belle Arti di Brera, Brescia e Venezia sotto la guida di Remo Salvadori. Il concetto del So/stare è stato inteso dall’artista come un «io–so–stare in un punto per un dato tempo! So–stare per nutrirmi d’impressioni, per leggere, guardare, vedere, per concentrarmi sullo sguardo e sull’ascolto. So–stare è gioco, è sorriso, è una pratica». Remo Salvadori ha incentrato il proprio percorso artistico e di docente sull’attenta riflessione di ciò che ci circonda, alla ricerca dell’armonia e della relazione con la realtà. Negli ultimi tre anni l’artista ha lavorato con gli studenti sull’idea di sosta e di incontro in relazione all’Isola Comacina, territorio donato nel 1920 allo Stato italiano affinché lo destinasse a scopi archeologici e artistici. Dopo aver organizzato dei tavoli di discussione intorno alle problematiche connesse al concetto del So/stare, gli incontri si sono conclusi con la selezione di una trentina di studenti, i quali hanno aderito all’iniziativa in forma individuale o collettiva. È stato inoltre possibile prender parte al progetto offrendo le proprie capacità a fini divulgativi, di scambio e di collaborazione con gli altri; non a caso, nell’allestimento sono stati presi in considerazione anche i documenti, i testi, le immagini e le ricerche prodotte durante le fasi pregresse della mostra. La selezione degli studenti e dei loro interventi è servita a fare il punto con sé stessi, con la necessitá di catalizzare energie, concetti e forme secondo una relazione con gli spazi espositivi, le persone e le opere.

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Dario Sbrana, Rubedo, 2012 57


23 giugno 2013 28 luglio 2013 ——— LA SCULTURA INTERROGA LA PITTURA Nicola Bolla & Valerio Adami a cura di Alberto Zanchetta ———

Nei mesi di giugno e luglio, il ciclo La scultura interroga la pittura ospita le opere Camel di Valerio Adami e Perrot player di Nicola Bolla. Entrambi gli artisti tendono a una maniacale cura del dettaglio, a una sintesi e a una stilizzazione delle forme che si risolve in una visione artificiale – di urbe e di fauna – caratterizzata da cromie piatte, prive d’ombre o chiaroscuri. Delineate con calma e chiarezza, le due opere mettono in evidenza i segni di Adami, da una parte, e i semi di Bolla, dall’altra, dando vita a un bizzarro rendez–vous. Di contro agli stilemi della Pop statunitense, le opere di Valerio Adami tendono a ragionare sulla complessità della tradizione europea. L’assunzione di soggetti massmediali, pubblicitari e fumettistici volge alla massima semplificazione, sino a raggiungere un’elementare ed elegante struttura disegnativa; la pittura stesa à plat rispecchia infatti la forma del segno. Il dipinto Camel rientra nel ciclo dei temi urbani, in cui il soggetto architettonico risente ancora di suggestioni avanguardistiche. Noto per le sue sculture con cristalli Swarovski, Nicola Bolla propone questa volta uno degli animali della serie Player. Si tratta di un esotico volatile, "implume" perché ricoperto di carte da gioco che sono state accostate tra loro in base alle figure e ai semi delle carte. Il pappagallo, con le ali adese al tronco e la lunga coda che scende lungo il trespolo su cui è abbarbicato, tradisce una postura timida e schiva. Benchè scosti lo sguardo dal dipinto di Adami, il volatile sembra intrattenere un rapporto di somiglianza con il dipinto che ha di fronte (si noti, ad esempio, come i piani squadrati che si intersecano nel quadro ricordino la stratificazione delle carte presenti nella scultura).

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Nicola Bolla, Perrot player, 2000/2003 59


23 giugno 2013 28 luglio 2013 ——— INDEX G Drago Edizioni a cura di Piero Drago ———

La programmazione espositiva del MAC punta i riflettori sul mondo dell’editoria ospitando alcuni dei titoli più significativi delle edizioni Drago di Bagheria. L’esordio editoriale di Piero Drago è coinciso, nel 2006, con una mostra e un libro di Pablo Echaurren, dal titolo Terremoto Picasso. Da allora vengono realizzate poche edizioni ogni anno, partendo generalmente da un racconto o più racconti brevi che vengono richiesti ad alcuni tra i migliori scrittori italiani, dopodiché – in base al testo pervenuto – viene scelto l'artista. «Il mio compito di editore», dice Piero Drago, «è sostanzialmente quello di mettere insieme materiale prezioso perchè ne venga fuori un bel libro, fatto salvo eventuali errori da parte dell'editore». In mostra sono esposti alcuni dei volumi pubblicati negli ultimi otto anni, a firma di Roberto Alajmo, Erri De Luca & Fabio Pierangeli, Federico De Roberto, Raffaele La Capria, Paolo Nori, Maurizio Padovano, Gabriele Tinti, Frederic Tuten. Ad ogni libro è associata un’opera grafica di Lucio Del Pezzo, Giosetta Fioroni, Fausto Gilberti, KRM, Mimmo Paladino, William Marc Zanghi. Tra le curiosità sono da annoverare il libro “Controverso” realizzato interamente in acquaforte e acquatinta da Manuela Marchesan e Paola Sapori, così come le copertine dipinte a mano da Marco Cingolani e Wainer Vaccari.

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Erri De Luca e Fabio Pierangeli, A piedi, in bicicletta, 2013

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20 giugno 2013 07 luglio 2013 ——— ALFABETO 22 libri d’artista, edizioni rare, tirature limitate a cura di Alberto Zanchetta ———

Il Museo d’Arte Contremporanea e la Biblioteca Civica di Lissone mettono in sinergia i loro spazi, sancendo il primo importante connubio tra i due poli culturali della città. In concomitanza con il festival “Libritudine”, il MAC ospita i progetti So/stare e IndexG mentre al pianterreno della Biblioteca è allestita la micro–mostra ALFABETO 22 che raccoglie libri d’artista, pubblicazioni rare o in edizione limitata. Ogni volume è stato scelto in funzione di una lettera (desunta dal titolo della pubblicazione) nel tentativo di ricomporre l’alfabeto italiano. Accanto ai 21 libri/lettere trova posto anche la Lettera 22 di Marcello Nizzoli, la celebre macchina da scrivere prodotta dalla Olivetti nel 1950, come a voler estendere il linguaggio a nuove possibilità grammaticali.

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Marc Weiss+Martin De Mattia, Was du heute, kannst besorgen, 1999 63


04 luglio 2013 28 luglio 2013

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OFF–SITE / NOT IN PLACE #3 «c'è una piccola radice che, se la masticate…» a cura di Cecilia Guida ———

Dopo gli screening program a cura di Simone Frangi e Barbara Meneghel, Cecilia Guida chiude la rassegna con una selezione di artisti presenti nell'archivio arthub.it promosso da UnDo.net. Off–site / Not in Place #3: «c'è una piccola radice che, se la masticate, vi spuntano le ali immediatamente» Dopo il MACRO di Roma, arthub.it esce dallo spazio della rete e viene presentato all’interno della video room del Museo d’Arte Contemporanea di Lissone con una selezione di video d’artista che cambiano ogni settimana per quattro settimane, per dare visibilità alla quantità e varietà dei lavori degli artisti presenti nell’archivio online. Il titolo di questa selezione di video d’artista è tratto da Gli Uccelli di Aristofane, commedia considerata un’opera di evasione che libera la fantasia attraverso il ricorso a una tribù interrazziale e ludica di uccelli parlanti e umanissimi. In una realtà spesso dominata dalla pesantezza dei fatti quotidiani, dalla rigidità degli schemi e dal vortice asfissiante degli impegni, questa commedia senza tempo è lo spunto per la costruzione di uno spazio fragile e sognante, tratteggiato da una sequenza di video che hanno la leggerezza come filo conduttore.

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Giacomo Bolzani, Oltralpe, 2013 65


14 settembre 2013 13 ottobre 2013 ——— LORENZO PIEMONTI regesto cromatico a cura di Alberto Zanchetta ———

Lorenzo Piemonti presenta alcune delle sue opere più rappresentative, dagli anni ‘70 fino ad oggi, assieme a un ricco e variegato corollario di progetti inediti, schizzi e studi su carta, opere grafiche, multipli ed edizioni in tiratura limitata, senza dimenticare i tanti ephemera provenienti dallo studio dell’artista. L’esposizione intende ripercorrere, in forma antologica e didattica, il percorso che ha portato Piemonti a maturare una disciplina pittorica incentrata sul rigore logico e matematico. Le deduzioni percettive di Piemonti appartengono allo scibile del campo cromatico, sempre condiviso – in forma dialettica e diretta – con lo spettatore. Il concetto della “variazione su uno stesso tema” si riscontra nei Multipli d’angolo degli anni Settanta , sagome in cartoncino fustellato che l’acquirente poteva comporre a proprio piacimento. Particolare attenzione è riservata anche alle sculture, come ad esempio i Momenti tubolari, sulla cui superficie sono intagliati dei «messaggi di apertura a tutto e a tutti», oppure le sculture basate sulla sezione aurea che sviluppano l’idea dalla Linea ’79. Di questo periodo sono esposte alcune maquette di ambienti espositivi mai realizzati, progetti e prototipi vari. Orientato sempre più verso l’oggetto, alla metà degli anni Ottanta l’artista realizza i suoi primi Cromoplastici, seguono quindi le Accelerazioni del decennio successivo. Tra gli esiti più recenti di Piemonti viene infine ricordato il suo ruolo di promotore del gruppo MADÌ.

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Lorenzo Piemonti, Ăˆ l’ora del colore, 1977 67


14 settembre 2013 13 ottobre 2013 ——— DISPLACE Francesco Fossati & Andrea Magaraggia a cura di Alberto Zanchetta ———

Pur essendo accumunati dall’uso disinvolto di materiali eterogenei, gli esiti formali di Francesco Fossati e Andrea Magaraggia differiscono in modo sostanziale. Fossati si destreggia tra i linguaggi dell’arte, sottoponendoli a una lenticolare disamina che ne incrina o ne riqualifica le premesse. Magaraggia giunge invece a formalizzare un oggetto che si definisce attraverso una perdita progressiva, stabilendo così una tangenza tra la sua origine (dissipata) e la sua specificità formale (autosufficiente). Diversi ma non necessariamente divergenti sotto il profilo concettuale, i due artisti hanno fatto propri sia i requisiti fondamentali sia i modelli di comportamento dell’atto espositivo per interrogarsi sui codici estetici e i confini dell’arte. L’allestimento da loro concepito presuppone infatti una ridefinizione del piano espositivo mediante l’azione di “spostare” e “dislocare” le opere all’interno del museo grazie a una serie di display/divisori che impongono un ordine e una disciplina allo spazio. Anziché relazionarsi con il contesto espositivo, Fossati e Magaraggia hanno deciso di destrutturare il secondo piano del MAC, isolando le opere dall’ambiente circostante e costringendo lo spettatore a confrontarsi con una visione che sfuma dal generale al particolare. L’impiego di prodotti lignei li ha inoltre obbligati a una modalità operativa di dialogo e di condivisione che – a partire da uno stesso modulo espositivo – si è diversificata in base all’attitudine del singolo artista.

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Andrea Magaraggia, Influence of light, 2013 14 settembre 2013 13 ottobre 2013 ——— ETTORE TRIPODI la città degli Immortali a cura di Alberto Zanchetta ———

La personale di Ettore Tripodi è ispirata a “L’immortale” di Jorge Luis Borges. Il racconto narra di un fiume segreto, «che purifica dalla morte gli uomini», sulle cui rive si erge la nefanda Città degli Immortali. La struttura scostante e incomprensibile di questa città sembra il frutto di una complessità insensata, eccetto per il fatto che ogni impresa è vana. La mostruosità di questo luogo è talmente orripilante che «il suo solo esistere e perdurare, sia pure al centro di un deserto segreto, contamina il passato e il futuro». La Città degli Immortali condivide con la Torre di Babele il tema della molteplicità e della confusione, congiuntura che permette a Tripodi di svelarci la “versione plurima” di una stessa storia, quella cioè di una patetica e drammatica follia che indusse i Semiti a perdere la loro identità e che costrinse gli Immortali a vivere come rozzi trogloditi. Con la precisione di un miniaturista medievale, il tratto minuzioso dell’artista pare aderire in modo epidermico al linguaggio analitico di Borges. Il ductus e il discursus dell’artista tende però a sfuggire alle inibizioni cronologiche della narrazione per mostrarci soltanto alcuni frammenti di una storia che potrebbe non aver mai fine. Coniugando la visionarietà e vitalità onirica di Borges, le tavole di Tripodi indulgono in quella zona convulsa e incoerente che distingue l’idillio dall’incubo, rendendo concreta la città che «da nove secoli gli Immortali avevano rasa al suolo. Coi suoi resti avevano eretto, nello stesso luogo, un’insensata città […] sorta di parodia o d’inverso».

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Ettore Tripodi, Grotta, 2013 71


14 settembre 2013 13 ottobre 2013 ——— UMBERTO CHIODI crossage a cura di Alberto Zanchetta ———

Umberto Chiodi presenta l’inedita serie Crossage adottando un allestimento compatto ed ermetico, espressione di un progetto unitario e totalizzante. Nel ciclo Crossage si evince lo sforzo di lottare contro il flusso delle immagini nella speranza di emanciparsi dalla bulimia visiva prodotta dalla nostra società; in un’epoca invasa dalle immagini e dai simulacri, i collage dell’artista sono il desiderio informe di altre forme. All’ambiguità percettiva corrisponde un euforico collasso del significante (sin dagli esordi, la ricerca estetica di Chiodi si è sempre imposta come trasmutante e interpretante, incline all’ibridazione, alla decostruzione e alla disseminazione) che consente un trapasso dal vecchio al nuovo, dalla cultura alta a quella bassa. Rifacendosi alla tecnica dell’intarsio, l’artista fa collimare elementi e materiali eterogenei che vengono tagliati per alludere a una serie di incidenti letterali e figurati. Tutte le parti combaciano perfettamente per dar forma a immagini distorte che sembrano allignare in un ambiente alabastrino potenzialmente infinito. Anziché stagliarsi sul fondo, i collage sono intagliati al suo interno, senza alcuna velleità di realismo ma con la consapevolezza di rendere visibile un reticolo non dissimile dall’effetto craquelé o dal sistema arterioso del corpo.

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Umberto Chiodi, Crossage XIV, 2013 73


14 settembre 2013 13 ottobre 2013 ——— LA SCULTURA INTERROGA LA PITTURA Francesco Sena & Giorgio De Chirico a cura di Alberto Zanchetta ———

Il ciclo La scultura interroga la pittura volge al termine con Il cavaliere di Giorgio de Chirico e I vinti di Francesco Sena. Messi a confronto, il quadro e la scultura sanciscono una sorta di metamorfosi ovidiana, in cui la coscienza si frange e si logora, generando un effento perturbante. Le opere dei due artisti evocano una classicità inquietante in cui i rapporti con il mondo moderno tendono a rarefarsi. La facoltà di “trovarsi altrove” rispetto all’attualità è una condizione irrinunciabile per Giorgio de Chirico, il cui gusto estetico mescola archeologia e impianto scenografico. Il cavaliere errante e solitario del maestro metafisico monta a pelo il suo destriero bianco; le fiere posture dell’uomo e del cavallo mettono in evidenza le loro masse muscolari, esaltate dalla biacca con cui è stato sfumato il disegno a carboncino. Ai toni diafani del dipinto si ricollega la pelle incolore, sottile e fragile delle sculture di Francesco Sena le quali evocano l’apparizione e la dissoluzione figurale, esito estremo delle sculture “velate” di Giuseppe Sanmartino e Antonio Corradini. L’opera sembra fare eco all’atmosfera metafisica e malinconica di de Chirico, così come ai suoi “uomini senza volto”. Il mezzo busto di Sena è parvenza più che presenza anatomica, figura fantasmatica i cui lineamenti si sciolgono sotto il gravame della materia liquefatta. La scultura gronda di cera fusa, stillicidio che si raggruma in “mille rivoli”, trasformando le gocce in lacrime di dolore e disperazione.

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Francesco Sena, I vinti, 2010 75


14 settembre 2013 10 novembre 2013 ——— READESIGN Castiglioni–Sundberg–Rella a cura di Alberto Zanchetta ———

Decisamente ambiguo è l’accostamento tra la Remington Ten Forty di Carl Sundberg e il Mezzadro di Achille e Pier Giacomo Castiglioni. Nel secolo scorso la Remington & Sons fu la prima azienda a produrre macchine da scrivere in scala industriale, affermandosi come indiscusso leader del settore. Tra i prodotti immessi nel mercato, la ditta a conduzione famigliare si occupava anche di macchine da cucire, diversificazione voluta dal figlio di Eliphalet Remington, la cui fama è indissolubilmente legata all’omonimo fucile. Strano ma vero, una delle griffe più apprezzate dagli scrittori vide la luce negli stabilimenti di un armaiolo. Oltre alle armi da fuoco, alcuni sostengono che i Remington si occupassero persino di attrezzi agricoli. Ed è proprio un sedile da trattore ad aver ispirato il Mezzadro dei fratelli Castiglioni, suggestione rurale cui rimandano anche l’elemento ligneo e la balestra in acciaio che funge da gambo alla seggiola. Fedeli alla pratica del readymade dadaista, i Castiglioni progettarono il Mezzadro nel 1957 ma dovettero attendere i primissimi anni Settanta affinché venisse messo in produzione. Interpellato a dar voce allo strano connubio, Franco Rella ha ammesso di non riuscire a decidersi a «sedere su quello scranno che si chiama Mezzadro. Mi sentirei come sospeso nell’aria, e la scrittura richiede una sorta di gravità. Ma non vorrei rinunciare di confidarmi alla Remington». A contatto con le “lettere da sparo” e una “seduta agreste”, il filosofo ha confessato un timore reverenziale verso i due oggetti, si è abbandonato a memorie autobiografiche e ha ipotizzato domande che vorrebbero fare il bilancio di tutta una vita.

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Carl Sundberg, Ten Forty, 1970s 77


14 settembre 2013 31 dicembre 2013 ——— IN VITRO Igor Eškinja & Anton Kehrer a cura di Alberto Zanchetta ———

Dopo le opere False Flag di Michelangelo Consani, The Dead Commercials di Mirko Smerdel, le vetrofanie del Museo si arricchiscono con gli interventi di Anton Kehrer e Igor Eškinja. Anton Kehrer disciplina l’immagine fotomeccanica mediante l’eloquenza del colore. Intensità, combinazione e variazione sono solo alcuni dei fattori che concorrono alla definizione dei suoi artificial horizons, paesaggi liquidi in cui la luminosità tende a sfumare, diluendo il contorno troppo netto delle cose. Con uno sguardo di tipo pittorialista, Kehrer raggiunge un “puro figurale”, per estrazione o isolamento. Lavorando per deflagrazioni e sottrazioni, Igor Eškinja giunge a un’astrazione il cui tecnicismo illusionistico interroga lo spazio circostante così come lo sguardo dello spettatore. In questa sua costante ricerca di una “forma ricostruita”, l’artista costringe lo spettatore a trovarsi di fronte all’inganno/incanto di un mondo a due dimensioni. L’opera sfrutta infatti un meccanismo di finzione e di alterazione della realtà, riducendo le “infinite possibilità di vedere” a una soltanto.

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Igor Eskinja, Struttura che trasforma materia in idee, 2010–13 79


01 ottobre 2013 01 dicembre 2013 ——— IN RICORDO DI Agostino Bonalumi a cura di Alberto Zanchetta ———

L’omaggio che il Museo dedica a Agostino Bonalumi si compone di due opere: Bianco del 1976 (Collezione permanente del MAC) e Bianco del 1977 (Comodato Walter Fontana). Entrambe le opere sono la testimonianza dello sforzo di pensare e praticare la pittura in modo razionale ma non meramente concettuale; l’analisi morfologica del campo pittorico si avvera nelle estroflessioni e introflessioni della tela, il cui movimento coincide con la volontà di modulare lo spazio. Non si dimentichi infatti che l’etimologia della parola “oggetto” è da ricollegare al termine Ob iacio, che significa “gettare, lanciare in avanti”. Così le tele centinate dell’artista, le quali sottopongono la superficie a una sollecitazione che sembra premere, spingere e resistere di continuo alla sua tensione interna. Il piccolo tributo è accompagnato da alcuni articoli di Massimiliano Rossin, testimonianze che sanciscono il profondo legame che Bonalumi aveva con il territorio brianteo. Sulla facciata del Museo è inoltre riportata la poesia Nascere, scritta dallo stesso artista, che recita: «impossibile dire essere nati/ quando ancora/ è nascita/ …il giorno che me ne andrò/ senza bagaglio/ che volgerò le spalle/ che non risponderò al saluto/ sciogliendomi dal tempo/ la parola del silenzio/ dirà che sono nato». Un estremo saluto che, parafrasando questi stessi versi, non coincide con una fine bensì con l’inizio di una immortale posterità.

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Agostino Bonalumi (1935–2013) 81


19 ottobre 2013 01 dicembre 2013 ——— LA MILIZIA REALISTA una storia italiana a cura di Alberto Zanchetta ———

Quella del Realismo è stata una stagione lunga, intensa, idealista, che oggi costituisce un importante documento storico–sociale. Attraverso le opere della collezione permanente si è cercato di tracciare una sommaria eppur significativa evoluzione della pittura figurativa del secolo scorso. In aperto dissidio con il Gruppo Novecento della Sarfatti, l’eterogeneo Gruppo di Corrente mescolava letteratura e arti visive sottoponendo la realtà a una disamina critica. Stilisticamente disomogenei, gli affiliati pretendevano di dipingere le “verità esistenziali”. Alla compagine di Corrente aderirono Birolli e Morlotti, l’ultimo dei quali si troverà a militare nelle fila dell’Ultimo naturalismo assieme a Piero Ruggeri. Un nuovo, accentuato ritorno alla figurazione si riscontra anche nel secondo dopoguerra. A cavallo degli anni ’40 e ’50 emerge una tendenza neorealista che si oppone in modo perentorio agli sperimentalismi geometrici o informali (si vedano le opere di Domenico Cantatore e di Gino Meloni). Rispetto al Realismo ufficiale, quello esistenziale si rifà alla filosofia – da Husserl a Sartre – di cui si fanno portavoce alcuni pittori milanesi come Ferroni, Vaglieri, Francese e Ceretti, nei cui dipinti emerge uno spirito inquieto, tormentato e tragico, che si rispecchia in toni cupi e soggetti urbani pervasi dall’alienazione. La drastica rottura degli esistenzialisti trova una breve ripresa anche negli anni Sessanta, grazie a reinterpretazioni individualistiche che esulano da un programma coeso, sia sotto l’aspetto civile sia per quanto riguarda l’impegno politico. Ne fanno parte Baratella e De Filippi, che con Ossola, Forgioli e Sturla appartengono a quella che era stata definita Nuova figurazione.

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Piero Ruggeri, Omaggio al Signor X, 1963 83


19 ottobre 2012 01 dicembre 2013 ——— (1:13) LE TREDICI SEDIE MAI DIPINTE nell’Ultima cena di Leonardo a cura di Davide Crippa ———

Il progetto reinterpreta una delle opere più emblematiche della storia dell’arte, l'Ultima cena di Leonardo. Ammirato nel corso dei secoli, ed entrato di diritto nell’immaginario collettivo, il dipinto non sembra desistere da nuove e versatili interpretazioni. Provando a “guardare oltre" quella scena tante volte rappresentata, 13 designer sono stati invitati a immaginare le sedie che accoglievano Gesù e gli Apostoli. Il titolo della mostra, (1:13), gioca sulla duplicità dei riferimenti storici e iconografici: da una parte il Cenacolo, perché “1” è il capolavoro di Leonardo, e dall’altra il Vangelo di Giovanni, più precisamente il capitolo 13,12-30 che fa riferimento all’ultima cena. Ovviamente 13 sono anche i designer–commensali e le altrettante sedie qui “ricostruite”. Ognuno dei designer, scelti a rappresentare la nuova generazione italiana, è stato associato a un diverso santo: Alberto Biagetti (Giuda Iscariota), PG Bonsignore (San Simone Zelota), CTRLZAK (San Bartolomeo), Lorenzo Damiani (San Tommaso), Ghigos Ideas (San Giacomo Maggiore), Gumdesign (San Giuda Taddeo), JoeVelluto (San Giacomo Minore), Alessandro Marelli (San Pietro), Elena Salmistraro (San Giovanni), Brian Sironi (Sant'Andrea), Sovrappensiero (San Matteo), Alessandro Zambelli (San Filippo). I giovani designer prenderanno quindi posto intorno a una figura carismatica e fondamentale per la storia del design italiano, a cui è stato riservato il ruolo principale: Alessandro Guerriero (Gesù Cristo). L'esposizione è arricchita con la partecipazione di 13 fotografi e 13 critici che, dando seguito al loro particolare punto di vista, offriranno l’ennesima rilettura artisticoletterario delle tredici sedie. Nel tentativo di raccontare ciò che è rimasto celato così a lungo, gli autori della mostra invitano gli spettatori a un "atto di fede" e a un'ulteriore epifania: una riconfermata fiducia nel valore propositivo del progetto.

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(1:13) le tredici sedie mai dipinte nell’Ultima cena di Leonardo, 2013 85


28 novembre 2013 22 dicembre 2013 ——— YAYOI KUSAMA biografia infinita a cura di Alberto Zanchetta ———

Giovedì 28 novembre, Gianluca Ranzi e Alberto Zanchetta presenteranno l’autobiografia di Yayoi Kusama pubblicata in Italia da Johan & Levi. La serata sarà accompagnata da un piccolo ma rappresentativo corpus di opere dell’artista, che comprende alcune Infinity Nets, una Soft sculpture del 1966 e una serie di tecniche miste su carta. Nota come “la sacerdotessa dei pois”, la fama di Kusama è legata alle Infinity Nets, opere intessute di reti che si allargano all’infinito, dove miriadi di particelle sono sottoposte a minime variazioni di ritmo o di gradazioni cromatiche. La reiterazione monotona e ossessiva dei piccoli grumi di colore è priva di trasporto emotivo, capace di far trascendere lo sguardo verso l’ignoto, in uno spazio – ma anche un vuoto – assoluto, fatto di pura luce. Altrettanto importanti sono le Soft sculptures, accumulate le une sulle altre fino a saturare gli ambienti espositivi. La forma di queste sculture, ispirate ai genitali maschili, è un evidente tentativo di esorcizzare l’attrazione–repulsione nei confronti dell’educazione sessuale ricevuta in Giappone, così come il senso di insofferenza, abuso e sporcizia che l’aveva traumatizzata negli anni dell’adolescenza. Riscattatasi dall’inedia e dalla povertà degli inizi, Kusama è oggi acclamata come una delle più importanti artiste della sua generazione.

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Yayoi Kusama, Wind blowing through the Shadows of the Fallen Leaves, 1978 87


10 dicembre 2013 07 gennaio 2014 ——— STENDARDI D’ARTISTA Arruzzo–Ceolin–Di Caprio–Lanaro–Marotta&Russo in Piazza Libertà a Lissone ———

L’iniziativa degli “stendardi d’artista” è un ulteriore tassello nella ricca e variegata proposta culturale che l’Amministrazione di Lissone sta svolgendo negli ultimi anni. Il progetto vede coinvolti cinque artisti, i quali hanno progettato altrettante opere che saranno destinate all’arredo urbano di Piazza Libertà durante le festività natalizie. Gabriele Arruzzo si è ispirato ai simboli del Natale e a quelli della comunità lissonese; la pecora che compare nello stemma araldico della città è infatti trasformata in un balocco natalizio. Mauro Ceolin stabilisce un legame tra la realtà dei bit e le entità assoggettate alle leggi del mondo fisico per definire nuovi immaginari che siano in grado di traslare una forma immateriale in un codice. Nicola Di Caprio gioca sul doppio significato di "star" (corpo celeste e personaggio famoso); lo stendardo mostra cinque tra i volti più noti della musica popolare, ognuno dei quali ha avuto un diverso destino, ma tutti legati dal forte pathos della loro musica. Federico Lanaro riproduce una struttura di scale con un albero stilizzato in cima. L'opera prende spunto da un’usanza popolare che invita a mettere un abete sul tetto delle case per festeggiare la fine dei lavori. Marotta&Russo hanno realizzato un’immagine ispirata alla “economia dell’attenzione”. I feedback del profilo eBay dei due artisti sono messi in vendita come cartoline e poi spediti, in forma di saluti, per ottenere nuovi feedback.

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Federico Lanaro, Di senso compiuto, 2013 89


14 dicembre 2013 19 gennaio 2014 ——— UNA PROSPETTIVA RADIANTE pittura astratta, geometrica e analitica a cura di Alberto Zanchetta ———

Dopo il prologo delle Cronache del dopobomba e l’interludio de La Milizia Realista, Una prospettiva radiante è il logico compimento di una trilogia espositiva ispirata alle collezioni del MAC. Poiché Giorgio Manganelli aveva scritto che «ogni triangolo vorrebbe essere scambiato per Dio», è da questi imeni triangolari che hanno origine le opere che invadono il piano interrato del Museo. L’area di ricerca astratto–geometrica, che nel secolo scorso aveva sancito l’inevitabile rottura con la tradizione figurativa, si cristallizza in strutture primarie che vengono asservite al mondo del numero e della regola, come nel caso di Bonalumi, Dorazio, Grignani, Piemonti, Reggiani e Simeti. L’esposizione prosegue poi con la lirica policromia di Bressan, Guarneri, Olivieri, Raciti, Sermidi, Vago, Verna e Vicentini, esponenti di una pittura tonale che si produce in una emissione di sorprendete luminosità. Infine, l’astrazione si fa vibrante, caratterizzata da pennellate delicate, più sensuali che razionali, come testimoniano le declinazioni in ambito internazionale di Edo Murtič, Michael Rögler e Agustín Español Viñas.

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Claudio Olivieri, Senza titolo, 2000 91


14 dicembre 2013 19 gennaio 2014 ——— COSA GUARDO QUANDO OSSERVO a cura di Alberto Zanchetta ———

Dedicare attenzione a un’opera d’arte implica una particolare concentrazione visiva da parte del percipiente. Ebbene: cosa stiamo guardando quando ci troviamo di fronte alle opere di questi giovani artisti? Nel ciclo fotografico Ossimoro, Elena Marzocchi compie un’immedesimazione in situazioni e costumi che si contrappongono agli oggetti presenti nell’immagine. Suscitando una sensazione di disturbo nello spettatore, Marzocchi intende scardinare alcuni tra i più comuni stereotipi. Attraverso piccole modifiche, realizzate direttamente sulla scansione di un francobollo, Nicolò Maggioni cerca di imprimere una traccia del proprio passaggio, un segno non invasivo che riesca ad amalgamarsi con la natura stessa dell’oggetto filatelico. I dipinti di Elisa Rossetti attuano una stratificazione del colore sulla cartavetrata. L’intento è quello di rappresentare la società odierna, quella che dà più valore alla forma esterna rispetto all’interiorità degli individui. Nel video Magna carta Martina Brugnara strappa e mastica un libro di storia dell’arte, atto che rimanda alla “negazione” intesa non solo come gesto del ricusare ma anche come contenuto del rimosso. I lavori su carta di Camilla Zanini sono degli “studi tra natura e forma”; il linguaggio del segno e quello delle geometrie dialogano all'interno di un’immagine formalmente incoerente, ma incline alla ricerca di un equilibrio. I lavori di Marta Belleri tendono a stilizzare gli elementi che ci circondano per creare degli “aggregati in potenza”. La scultura–ziggurat di Anna Negretti è invece il conseguimento di una radicale sublimazione, che dall'oggetto si riconduce al sapone con cui è realizzata.

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Anna Negretti, Senza titolo, 2013 93


14 dicembre 2013 26 gennaio 2014 ——— OPERE SCELTE DELLA COLLEZIONE PERMANENTE Mario Schifano & Vasco Bendini ———

Cartello n. 20, 1960 smalti su carta intelata 150x130 cm I dipinti monocromi di Mario Schifano sono il perfetto esempio dell'avvenuto superamento delle poetiche informali. In questo dipinto giovanile l’artista stende il colore denso e vischioso su un foglio di carta intelata, privilegiando così il valore energetico del pigmento che sembra collidere con la scritta alfanumerica posta al centro del quadro (motivo ripreso dalla realtà oggettiva e convertito in un segno pittorico). La reinvenzione intellettuale e formale di Schifano culmina in una nuova e straniante versione della cultura di massa, aprendo la via alla Pop art italiana. Gesto e materia, 1970 tecnica mista su tela 72x60 cm Appartenente alla serie Gesto e materia, l’opera di Vasco Bendini è virata in una scala di non–colori, o più precisamente di colori–luce che non sono né descrittivi né evocativi. La luce attinge infatti alla forma mentis dell’artista, il quale rende possibile l’affioramento della sostanza pittorica. L’immediatezza del gesto diventa effusione emotiva, coagulo in cui la materia e lo spazio sono considerati valori in sé. La pasta cromatica, tesa a eccitare il processo generativo dell’immagine, permette all’artista di saggiare la fisiologia interna dell’opera.

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Vasco Bendini, Gesto e materia, 1970 95


14 dicembre 2013 19 gennaio 2014 ——— UGO LA PIETRA l’occultamento a cura di Alberto Zanchetta ———

In Italia, agli inizi degli anni Sessanta, nascevano i primi programmi di sperimentazione nei settori dell’edilizia residenziale. All’epoca vennero varate le norme Gescal (Gestione Case dei Lavoratori) che richiedevano una progettazione più consapevole per quanto riguardava gli interventi nelle case popolari; la richiesta della “progettazione integrale” e della “progettazione coordinata” costituiva un primo, significativo tentativo di innovazione procedurale. È in questo contesto ideologico che si inserisce l’Occultamento di Ugo La Pietra, che l’autore aveva così raccontato: «Nella mia proposta appare chiaro da una parte il tentativo di esprimere una presa di posizione critica nei confronti dello spazio, così come ci viene fornito dalle norme Gescal, dall’altra la volontà di proporre non tanto soluzioni precostituite imposte dall’alto, quanto ritrovare nella progettazione di spazi interni abitativi, un ruolo da parte del formalizzatore che non copra tutti i possibili gradi di libertà che lo spazio potrebbe consentire, realizzando cioè delle “strutture di base” che siano in grado di risolvere i problemi più grossolani dell’attrezzatura di uno spazio abitabile, lasciando poi però alla possibilità di intervento dell’individuo la libertà di agire autonomamente, minimamente condizionato alla creazione di uno spazio congeniale alle sue effettive esigenze. Il progetto non vuole essere quindi una reale soluzione al tema proposto, ma un approccio al problema, esprimendo attraverso l’operazione di occultamento alcune scelte all’interno della sua effettiva soluzione». Presentato per la prima volta alla XVI Settimana Lissonese del 1973, il progetto dell’Occultamento viene riproposto al pubblico attraverso tavole, fotografie e altri materiali d’archivio per raccontare e ricordare la singolare collaborazione tra Ugo La Pietra e i mobilieri lissonesi.

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Ugo La Pietra, L’Occultamento, 1973 97


14 dicembre 2013 19 gennaio 2014 ——— ALCHIMIA oggetti della nuova sensibilità a cura di Davide Crippa e Alberto Zanchetta ———

Rievocando il famoso Mobile infinito del 1981, l’allestimento segue uno sviluppo in profondità, creando una sorta di orizzonte che inficia i criteri cronologici delle opere per privilegiare quello spirito di “confusione” che aveva caratterizzato lo storico Studio Alchimia. Sviluppatosi in seno alla crisi di valori dell’epoca postmoderna, lo Studio Alchimia ha segnato l’evoluzione del design italiano grazie alla sua vocazione poetica, autoriflessiva, introversa, eclettica, che si prefiggeva l’obiettivo di mettere in crisi l’ordine precostituito e il concetto di normalità, trovando la sua raison d’être al di fuori degli schemi. Il gruppo si opponeva infatti alla specializzazione in favore di un approccio interdisciplinare che favoriva la commistione dei generi, così come degli stili e delle tecniche. Oltre a sperimentare inedite metodologie, l’atteggiamento anticonvenzionale dello Studio Alchimia era indirizzato all’elogio del banale e dell’imprevisto, dell’ornamento e della decorazione, di ciò che è ludico e curioso. La grande importanza assegnata al disegno – prima ancora che al design – si è incentrata sul pensiero visivo, sul suo aspetto immaginifico, dando origine a un “progetto dolce”, innamorato non solo degli oggetti ma della vita in generale. L’esperienza del gruppo si conclude nel 1992 ma rivive ancora oggi in mostre e nelle tante, eterogenee opere dell’epoca.

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Studio Alchimia, the Ollo collection, 1998 99


14 dicembre 2013 26 gennaio 2014 ——— PREMIO LISSONE DESIGN design for food, design to feed a cura di Matteo Pirola ———

In conformità con il dipattito aperto da Expo 2015, la sfida lanciata dalla quarta edizione del Premio Lissone Design prevede nuove soluzioni intorno al tema del cibo. Dal design per il “Rito del Cibo”, riguardante proposte legate alla cerimonia del cibo e alla socialità, fino al design per la “Funzione del Cibo”, inerente oggetti commestibili e idee legate all’alimentazione e al nutrimento individuale, le ipotesi e le proposte dei designer stimolano gli orizzonti immaginativi nell’ambito del progetto. 93 designer provenienti da 9 Paesi (Italia, Cina, Bulgaria, Svizzera, Spagna, Romania, Filippine, Venezuela, Albania) hanno risposto al bando di concorso che prevede 4 premi per la categoria “Rito” e altrettanti per la categoria ”Funzione”. Tra i dati di partecipazione si rileva una predominanza di giovani under 26 mentre la categoria prescelta risulta essere la categoria del “Rito”, che riflette l’attenzione delle giovani generazioni nei confronti degli aspetti più sociali del cibo: dagli oggetti per la condivisione agli spazi della convivialità. Durante l’inaugurazione della mostra, che raccoglie i progetti selezionati dalla Giuria, è prevista la cerimonia di premiazione dei designer vincitori.

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Paolo E. Nava e Luca M. Arosio, Binomio, 2013 101


14 dicembre 2013 26 gennaio 2014 ——— DE GUSTIBUS non est disputandum? a cura di Matteo Pirola e Alberto Zanchetta ———

A latere del Premio Lissone Design, incentrato sulle tematiche connesse al Food design, viene riproposta una selezione di taglieri d’artista che gli eredi di Ico Parisi hanno donato alla città di Lissone nel 2009. L’importante e amena collezione è stata raccolta da Parisi tra gli anni Sessanta e Novanta del secolo scorso. Si tratta di oltre 80 opere realizzate su tradizionali taglieri da cucina, singolari non soltanto per il supporto su cui sono realizzate ma perché costituiscono un significativo documento storicistico. I taglieri d’artista che Parisi ha collezionato durante la sua vita sono stati commissionati agli amici che gli facevano visita nella casa di Spurano di Ossuccio, sulle sponde del lago di Como. Dalla casa di Spurano sono transitati artisti, architetti, designer, poeti e critici, ma anche giovani creativi che erano accolti con piacere e che se ne andavano con un tagliere in mano, sollecitati dal padrone di casa a trasformalo in un’opera d’arte. Ne è nata una collezione sui generis – ma forse bisognerebbe dire “de gustibus” – che annovera interventi di Enrico Baj, Luciano Baldessari, Dadamaino, Sergio Dangelo, Gabriele De Vecchi, Lucio Del Pezzo, Bruno Di Bello, Lucio Fontana, Nato Frascà, Aldo Galli, Omar Galliani, Anaid Manoukian, Fausto Melotti, Bruno Munari, Gianfranco Pardi, Giò Ponti, Mario Radice, Mauro Reggiani, Pierre Restany, Francesco Somaini, Mauro Staccioli, Emilio Tadini, Nanda Vigo e altri ancora.

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Bruno Munari, Senza titolo, s.d. 103


14 dicembre 2013 19 gennaio 2014 ——— IL MANICO DELLA SCURE È FATTO CON LO STESSO LEGNO CHE LA SCURE ABBATTE a cura di Alberto Zanchetta ———

In concomitanza con il Premio Lissone Design 2013, la micro–rassegna Readesign volge al termine ed assume una nuova connotazione, giocando a più livelli sulla storia del Museo e del territorio in cui opera. Con il pleonastico titolo Il manico della scure è fatto con lo stesso legno che la scure abbatte, l’esposizione intende ricollegarsi alla lavorazione del legno, la cui ricerca e creatività appartiene alla tradizione lissonese. Prendendo spunto da questo “attaccamento” alle cose e al passato, si è voluto innescare un rapporto dialettico tra tre oggetti in legno che (idealmente) omaggiano la tradizione delle piccole e medie imprese cittadine. Volendo mantenere una continuità con i precedenti appuntamenti di Readesign, anche in questa occasione l’allestimento è incentrato su una storica seduta, la Zig Zag di Gerrit Thomas Rietveld, progettata nel 1932-33 e composta da quattro piani separati, assemblati mediante una giuntura a coda di rondine e un cuneo triangolare che ne rinforza la base. Ancor prima che architetto, Rietveld è stato un abile artigiano, esperienza che gli ha permesso di lavorare in prima persona agli arredi delle sue abitazioni. Se la sedia Zig Zag e/semplifica il concetto del Neoplasticismo, ricollegandosi alle esperienze aniconiche allestite nell’interrato del MAC, il secondo oggetto qui esposto rimanda alla sezione dedicata ai taglieri di Ico Parisi, visibili al primo piano del Museo; si tratta di un analogo tagliere, la cui forma corrisponde alla provenienza geografica del legno utilizzato per realizzare l’utensile da cucina. Il terzo oggetto, invece, appartiene alla casistica del design anonimo ed esautora il concetto per cui “la forma segue la funzione”: l’aspetto dell’oggetto è quello di un piccolo razzo, ma in realtà non è altro che un macinapepe del secolo scorso. L’affascinante commistione tra questi utensili e complementi d’arredo innesca uno strano, finanche ironico “legame naturale” che rimanda al materiale ligneo di cui sono fatti.

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Gerrit Rietveld, Zig Zag, 1938 105


01 febbraio 2014 24 dicembre 2014 ——— IL COLLASSO DELL’ENTROPIA (eins) a cura di Alberto Zanchetta ———

Il collasso dell’entropia è una “collezione espansa ed effimera” che si affianca alle collezione permanenti del Museo. L’obiettivo è quello di trasformare tutto l’edificio in superficie espositiva: corridoi, scalinate, bookshop, terrazze, colonne e vetrate diventano parti integranti di questo progetto diffuso, che si inserisce all’interno della normale programmazione museale. All’iniziativa hanno aderito oltre una ventina di autori, i quali hanno concesso in comodato le loro opere per tutto l’anno in corso. Luigi Carboni e Gabriele Arruzzo sono presenti con dei quadri particolarmente rappresentativi del loro linguaggio formale. Jack Sal, Fausto Gilberti e Giuliano Dal Molin hanno realizzato degli interventi pittorici che si relazionano con l’architettura stessa del MAC. Tra gli interventi site–specific si segnalano quelli di Giovanni Termini, che ha manipolato le colonne delle scale con dei tiranti, e di Stefano Serusi, che ha smaterializzato la fisicità di uno scaffale. Svariate sono anche le installazioni: Jacopo Mazzonelli si interroga sui cimiteri tecnologici proponendo l’ultimo “respiro” di un tubo catodico; Michele Spanghero cerca e crea una sintesi tra l’arte visiva e quella acustica; Ivana Spinelli indaga la progettazione e la costruzione di una casa; Fabrizio Prevedello documenta gli “innesti” da lui realizzati all’interno di cave in disuso; Adriano Persiani ha cucito assieme dei pannolini per ricreare l’abito di un “incontinente” Gilles. Nell’ambito della scultura troviamo i Travasi di Paolo Grassino, una piccola fusione in bronzo galvanizzato di Arnold Mario Dall’O e i nani da giradino ricoperti di cemento da Luca Coser.

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Giovanni Termini, Necessariamente tesa, 2014 107


01 febbraio 2014 09 marzo 2014 ——— ALESSANDRO ROMA organizzazione organica di forme a cura di Vera Dell’Oro e Alberto Zanchetta ———

Alessandro Roma lavora principalmente con il collage, tecnica che gli permette di creare paesaggi mentali, dove la prospettiva si appiattisce e il segno si perde nella composizione. Attraverso la costruzione di personali peregrinazioni, l’artista è interessato a esplorare i confini della tradizione pittorica, preservandone le tematiche classiche, ma allontanandosi dalle tecniche e dai formalismi del passato. Mantenendo aspetti di indefinitezza, Roma permette alla memoria e alla fantasia di confondersi vicendevolmente, senza mai anchilosarsi in un’unica forma. Il processo di creazione parte inevitabilmente da un dato naturale riconoscibile, ma l’analisi è condotta in una direzione che porta a interrogarsi sulla natura stessa della percezione. In mostra sono esposte opere recenti organizzate in un percorso che sottolinea la progettualità dell’artista, risolta in un allestimento pensato in relazione allo spazio circostante, sia dal punto di vista architettonico che da quello ambientale. Tutta la mostra si snoda attorno a dei collage che mettono in relazione le fasi precedenti l’elaborazione delle sculture disseminate nello spazio espositivo. Organizzazione organica di forme è un’occasione per conoscere le riflessioni e le ricerche di un artista che si è lungamente interrogato sui temi cardine della storia dell’arte, dimostrando che i soggetti legati al paesaggio naturale sono ancor oggi aperti a nuove indagini e a inediti risultati.

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Alessandro Roma, Senza titolo, 2012

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01 febbraio 2014 09 marzo 2014 ——— CARLO BENVENUTO titolo/senza a cura di Alberto Zanchetta ———

La ricerca di Carlo Benvenuto è da sempre consacrata alla tecnica fotografica. Sospesi in un tempo e in uno spazio indeterminato, alcuni oggetti vengono estrapolati dal quotidiano ed edulcorati da connotazioni autobiografiche o letterarie. Gli oggetti appartengono al vissuto dell’artista ma non sono scelti in virtù dell’utilizzo cui sono destinati, bensì per la loro capacità di risultare funzionali al concepimento dell’opera d’arte. Si tratta di utensili o di suppellettili comuni, familiari, fortemente evocativi ma comunque neutri, passibili ciò nonostante di nuove interpretazioni. Benvenuto cura in modo maniacale la disposizione degli elementi, ne mette in evidenza i dettagli e ricorre a un sapiente equilibrio tra luci e colori, rendendo queste immagini irreali. Le sue opere aspirano a una perfezione formale, una calma assoluta che impone un ordine al caos del mondo. Prestando fede alle parole dell’artista: «l’implacabile logica naturale delle cose, prevedibilmente e inesorabilmente condiziona e vincola il pensiero poetico: la realtà non è razionale, né bella, né nobile. La sua condizione generale è il caos, la mancanza di qualsiasi ordine, l’assenza di qualsiasi finalità». La personale di Benvenuto si snoda in quattro distinte sezioni tematiche che ripercorrono lo scibile dell’artista. Accanto alle “composizioni” con tazzine, piatti, tavoli e bouquet di fiori troviamo le “apparizioni” in cui i soggetti vengono sorpresi nell’attimo immediatamente prima dell’en pose. Altrettanto significativi sono i due piccoli autoritratti che l’artista ha eseguito con delle penne biro (il disegno è infatti concepito come una disciplina affine alla fotografia) e le sculture in vetro di murano che fungono da repliche dei bicchieri che si trovano nella casa dell’artista.

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Carlo Benvenuto, Senza titolo, 1999 111


01 febbraio 09 marzo 2014 ——— ST/RINGS Jack Sal & Daniele D’Acquisto a cura di Alberto Zanchetta ———

L’esperienza minimalista e concettuale di Jack Sal è caratterizzata da una sensibilità tipicamente europea, tesa a scardinare i presupposti ideologici del Modernismo. Ring/Rings/Ring è la logica conseguenza di una serie di cerchi su carta fotografica autosviluppante che l’artista ha realizzato al Caffè Quadri di Venezia nel 2011; quel segno bidimensionale ed elementare è stato convertito in una serie di ceramiche al terzo fuoco di cui l’artista si serve per articolare l’ambiente espositivo. Attraverso i “rings”, Sal realizza dei wall–paintings che scandiscono lo spazio e la luce, stabilendo una relazione anche con lo spettatore e i suoi spostamenti all’interno del Museo. Nella sala video, quattro filmati approfondiscono la ricerca estetica e teorica dell’artista: Re/Place documenta un’installazione permanente nella Max Weber Platz di Monaco; White/Wash II racconta la storia di un monumento ideato nella città polacca di Kielce; De/Portees è dedicato alla memoria dei deportati italiani; Via Bixio mostra una sequenza di fotogrammi incentrati su spazi minimi, dentro e fuori lo studio dell’artista. La ricerca di Daniele D’Acquisto si interroga sulla zona liminale che separa ciò che è reale da ciò che è ideale; in pratica l’artista intende tradurre dei concetti in oggetti, mettendo in contiguità il piano fenomenico con il livello neurologico, giacché immaginare o vedere una cosa stimola le medesime aree del cervello. Con un approccio analitico e tecnicista, l’artista intende trasformare l’arte in una scienza sperimentale. Ne sono una dimostrazione le sue Strings, le quali sviluppano l’idea di una “proliferazione della forma” che si appropria dello spazio, espandendosi in esso per definirne le parti. Progettata come un work in progress, l’installazione disegna una traiettoria atta a connettere, stringere e far aderire oggetti molto diversi tra loro, rendendoli parte di uno spazio organicamente strutturato.

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Daniele D’Acquisto, Strings Int., 2013 113


01 febbraio 2014 09 marzo 2014 ——— PROTOCOMBO Chung–Gabriele–Vivacqua a cura di Alberto Zanchetta ———

L’arte, che potremmo spiegare in tanti e differenti modi, ha tra le sue prerogative la condivisione degli spazi. Tale atteggiamento (troppo spesso dimenticato dagli addetti ai lavori) ha esortato Alberto Zanchetta a consegnare le nuove collezioni del MAC in mano a tre artisti affinché riescano a stabilire una sinergia tra le tecniche e le poetiche altrui, instaurando così un dialogo tra le opere permanenti del Museo. Ideato da T–yong Chung, Michele Gabriele e Jonathan Vivacqua, il progetto Protocombo rende necessari dei ripensamenti e dei cambiamenti rispetto alle consuete dinamiche espositive. In questo clima di incontro/confronto, lo spazio espositivo diventa un’arena relazionale in cui poter attuare una pratica di rimescolamento e risignificazione. Uniti sotto il profilo concettuale ma diversificati nella resa stilistica, le inferenze dei tre artisti fanno tesoro della condivisione d’intenti, di idee e di spazi che è all’origine del progetto. In base a una logica cognitivo–comparativa, Chung, Gabriele e Vivacqua riflettono su questo “temporaneo passaggio di proprietà” e sul concetto stesso di collezione.

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T-yong Chung, Michele Gabriele e Jonathan Vivacqua, Protocombo, 2014 115


01 febbraio 2014 09 marzo 2014 ——— CIÒ CHE L’APPARIRE LASCIA TRASPARIRE a cura di Alberto Zanchetta ———

Il piano interrato del Museo, che lo scorso anno è stato deputato al riordino tematico della collezione permanente, inaugura la stagione 2014 con le nuove raccolte d’arte. Ampio respiro è stato dedicato alle opere pittoriche, a cominciare dalle acquisizioni del Premio Lissone 2012, che annoverano il grande Animale fermato di Paola Angelini, un dipinto su plexiglass di Elsa Salonen e le due opere che sono valse il primo premio a Mattia Barbieri. L’excursus continua con un piccolo autoritratto di Ettore Tripodi, una inedita losanga di Daniele Bacci e un Esercizio di misurazione della breve media e lunga distanza di Gianni Moretti. In tale disbrigo prendono posto anche il collage della serie Crossage di Umberto Chiodi, i disegni su legno di Nero/Alessandro Neretti e il paesaggio rupestre di Francesco Locatelli. Segue un cambio generazionale con i dipinti di Arcangelo, Marco Cingolani, Giovanni Manunta Pastorello e Andrea Di Marco. L’esposizione assume poi un carattere più scultoreo e installativo con l’opera Infinito di Virginia Zanetti, Welcome di Gianluca Zonca, la pipa in radica e stucco di Armida Gandini e L’Odradek di Paride Petrei. Accanto a un taccuino di disegni realizzati a Lissone nel maggio del 2013, Matteo Fato presenta un’installazione che accorpa opere di anni diversi, creando così un piccolo compendio della propria ricerca. La collezione si conclude quindi con due artisti del Belgio, Philippe Van Damme e Cel Crabeels; il primo presenta un progetto su carta ritenuto irrealizzabile il secondo un video girato lo scorso anno sull’Isola Comacina.

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Daniele Bacci, Senza titolo, 2013 117


01 febbraio 2014 30 luglio 2014 ——— LO STRANO CASO DI JOAN MITCHELL Gabriele Di Matteo & Andrea Facco a cura di Alberto Zanchetta ———

Quando nel 1995 Roberta Cloe Piccoli cura il catalogo della collezione del Premio Lissone, non viene fatto cenno ai premi conferiti nel 1961, eccetto quello assegnato a Mario Schifano. L’anno dopo, è la stessa Piccoli a tornare sull’argomento nel volume “Una straordinaria avventura”, ma anche in quell’occasione sorvola sul conferimento del Gran Premio Internazionale nel 1961. È solo dal verbale della Giuria che è possibile far luce sul vincitore del XII Premio Lissone. Come si apprende dal documento, la commissione aveva ristretto la rosa dei candidati a Gottlieb, Mitchell, Moreni, Scialoja, Twombly; dopo ulteriori esami, il premio viene conteso tra Mitchell e Twombly, e alla fine Joan Mitchell si aggiudica la palma della vittoria. Del verdetto dà notizia Marco Valsecchi sul quotidiano “Tempo”, ove scrive: «per i premi l’attenzione della giuria si fermò alla fine sui dipinti di Moreni, Twombly, Mitchell, tutti e tre di un fervore inventivo, variamente emozionato sul limite appassionato dell’esistenza; […] nell’ultima selezione è emersa l’americana Joan Mitchell col suo dipinto che si ricollega, con spirito moderno, ai grandi Giardini di Monet». Meno lusinghiero è l’articolo che Dino Buzzati firma sulle pagine del “Corriere di Informazione”: «La scelta è caduta sulla americana, per un quadro nel suo genere solido, ma direi piuttosto anonimo». Difficile dire se lo scrittore avesse torto o ragione, perché di quell’opera non c’è traccia alcuna nelle collezioni del MAC. Diversamente da tutte le altre opere che si sono aggiudicate il Gran Premio Internazionale, e che oggi si trovano nei caveaux del Museo, nessuno ha saputo dare spiegazioni sull’assenza del dipinto di Joan Mitchell, dilemma che da molti anni affligge la città di Lissone. Walter Benjamin diceva che «le copie sono memorie», ma com’è possibile tramandare ai posteri una replica se si è perso ogni indizio dell’originale? A questo proposito è stato chiesto a Gabriele Di Matteo e Andrea Facco di “colmare il vuoto” creatosi nella collezione permanente del MAC, offrendo allo spettatore la possibilità di addentrarsi in questo mistero.

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Andrea Facco, Lo strano caso di Joan Mitchell #3, 2014 119


22 marzo 2014 27 aprile 2014 ——— 9 NEW YORK pittura postmoderna in America a cura di Alan Jones e Alberto Zanchetta ———

In America, la decade dell’Ottanta è stata un periodo di prosperità economica e di grande bolla speculativa, ma anche di moralismo bigotto. Fu un decennio adrenalinico, iperbolico e ipertrofico, come fosse stato pompato con gli steroidi. Di quella epoca, la mostra intende presentare le opere di alcuni “pesi massimi” attivi a New York City: Donald Baechler, Ross Bleckner, David Bowes, James Brown, Ronnie Cutrone, David Salle, Peter Schuyff, Philip Taaffe e Terry Winters. Dopo anni di minimalismo e arte concettuale, nella Grande Mela si avverte una certa nostalgia per la pittura, che improvvisamente irrompe sulla scena con vigorosa audacia (ogni intellettualismo viene bandito, il quadro non vuole più essere opera ma “tela e colore”, intriso soltanto di piacere). Nel tipico pastiche postmoderno, che connetteva astrattismo e figurazione, i dipinti inclinano alla contaminazione degli stili e al rimescolamento delle tecniche. Ancor più che disinvolta, la pittura viene percepita come “disturbante”, addittata con sospetto e diffidenza, denigrata aspramente a causa della grossolanità della sua stesura. La manualità pedestre e trasandata del Neo–espressionismo americano viene di fatto apostrofata come Bad painting. In una decade audace, esuberante, persino sfrontata, presuntuosa e narcisista, la pittura degli anni Ottanta ha imposto al mondo la delirante fucina artistica delle cronache americane. A quel fermento spontaneo ed estemporaneo devono molto gli artisti di questa mostra, “colpevoli” di aver portato la pittura figurativa alla ribalta internazionale.

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Peter Schuyff, Untitled, 1986 121


22 marzo 2014 27 aprile 2014 ——— LUCA CACCIONI onicophagie a cura di Alberto Zanchetta ———

Luca Caccioni presenta le Onicophagie, un inedito ciclo di lavori che prende il nome dal disturbo compulsivo che l’artista associa all’idea del ritaglio. Le prurigini della onicofagia rispecchiano l’abitudine di saggiare il limite a cui si può giungere lavorando sugli elementi minimi del linguaggio artistico. Già in passato l’artista aveva utilizzato grandi fondali di scena, ma questa volta concentra l’attenzione soltanto sulle qualità e i valori di superficie delle carte, tagliandole e ricomponendole, senza più cedere alla tentazione di intervenire con pigmenti, oli o resine. L’inconscia attività di “rosicchiare le estremità” ha portato l’artista ad adottare uno stile lineare, di contorno, che nelle opere raggiunge effetti plastici e di sfumato. Addossate alle pareti, le Onicophagie sono accompagnate da microinstallazioni e da scritture calligrafiche. Gli stimoli visivi ruotano intorno all’evanescenza che modifica il campo attentivo (la mente più dell’occhio si dimostra vigile in questa mostra), è come se l’artista invitasse il pubblico a seguirlo nel tentativo di accarezzare le forme attraverso un “appetito” – l’onicofagia – che ci sgrava dalle abitudini e dalle vestigia del mondo. Tutta la ricerca di Luca Caccioni si è sempre ostinata a mettere in crisi il concetto di forma, “trasgredendo” la bella maniera e i suoi cliché tecnico–stlistici. Nelle opere dell’artista tutto concorre alla creazione: dall’accumulo alla sedimentazione, dallo scorrere del tempo fino all’imprevisto e all’imperfezione. In questo senso, le Onicophagie sono il logico approdo di una ricerca che ha sempre sondato i limiti della visione.

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Luca Caccioni, Onicophagie #16, 2013 123


22 marzo 2014 27 aprile 2014 ——— MICHAEL RÖGLER k a cura di Alberto Zanchetta ———

K è la prima mostra antologica di Michael Rögler in un museo italiano. Transitando da un paesaggio naturale verso uno spazio neutrale, la pittura di Michael Rögler nutre la speranza di commutare la tabula rasa in una tabula picta. Quelli di Rögler sono quadri “disambientati”, spazi sensibili in cui la sostanza del tegumento tende alla sensualità coloristica. Anziché abolire l’immagine, l’artista cerca di renderla indeterminata, fino a diventare un vibrante campo cromatico. A metà strada tra l’atarassia e l’ebbrezza del gesto (essenziale e sintetico), la pittura di Rögler si produce in un’emissione di forte, intensa luminosità. L’impalpabile “forma–luce” ottenuta dall’artista rivela trasparenze e opacità da cui si sprigionano energie corpuscolari che sembrano indugiare verso una réaction poétique: istanti situazionali in cui le stille di luce eccitano lo sguardo, quel tanto da desiderare di vedere meglio, e di più, e ancora. Quasi fossero intrisi di nebbie e vapori, i suoi dipinti sono permeati da velature e sfocature, striature e macchie; i colori si smaterializzano fino a trasformare il supporto in uno spazio sconfinato: uno spazio vis[su]to non tanto in superficie, quanto semmai dall’interno. Alla continua ricerca di una definizione spaziale, Rögler scandaglia il rapporto tra la superficie e il colore per creare danze in punta di pennello.

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Michael Rรถgler, K 305, 1989 125


22 marzo 2014 27 aprile 2014 ——— SILVIA MARIOTTI attempts a cura di Alberto Zanchetta ———

Silvia Mariotti presenta l’inedita serie Attempts, progetto che nasce dalla volontà di palesare un fallimento, consapevole del fatto che il raggiungimento di un obiettivo può passare attraverso un’infinita serie di tentativi. Spiega l’artista: «Il fallimento porta necessariamente al controllo, alla difesa, quella stessa difesa che istintivamente ci costringe a proteggerci dietro a una maschera. Maschera che è finzione, che vuole abolire o sospendere la propria riconoscibilità, svelando così l’estrema difficoltà con la quale ci si muove per sopravvivere». Il “tentativo” cui l’artista si riferisce è enfatizzato da azioni svolte in uno scenario che assume un fascino indefinito, in quanto spazio anonimo, non riconducibile a nessun contesto specifico. Altrettanto anonimi sono i soggetti, i quali svolgono azioni decisamente realistiche benché misteriose. L’atto che li impegna non è importante nel momento in cui si concretizza, diventa semmai rilevante nella sua fase transitoria, quando cioè il gesto deve ancora compiersi. Indagando l’ambiguità che circonfonde momenti fortuiti oppure situazioni che sono reali e allo stesso tempo alienanti, le fotografie di Silvia Mariotti evidenziano una ricerca volta all’esplorazione dell’incertezza.

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Silvia Mariotti, Impianto notturno, 2013 127


22 marzo 2014 27 aprile 2014 ——— SE BASTASSE L’OBLIO Domenico Brancale Jacopo Mario Gandolfi ———

Il video Se bastasse l’oblio suggella la collaborazione tra Domenico Brancale e Jacopo Mario Gandolfi. Il filmato documenta un’azione ambientata in una vecchia colombaia in Puglia, ove un uomo deposita un foglio in ogni loculo. I singoli loculi racchiudono il messaggio di una parola che nel suo svanire ritrova il proprio destinatario, trasformando lo spazio nell'immaginario collettivo di una “biblioteca dell’avvenire”. Il titolo del video è tratto da uno scritto di Domenico Brancale contenuto nel libro Incerti umani: «(se bastasse l’oblio, se almeno bastasse per mettere a fuoco quell’unico pun-to dove il luogo non ha più dimora, dove il verso non dichiara direzione... nel vicinato nulla... presso quel sempre cominciamento... a finire... in cui fiato e sangue impastano lo scafo del nostro avvenuto... in quella periferia lontana indiscriminata anima al largo di un possibile incontro... se solo ci fosse nell’oblio uno spiraglio per la memoria... di cedere... di cedere... di cedere.... se solo bastasse la cancellatura di ogni debita distanza... se tu fossi qui e io smettessi di dire tu... qui imme-diatamente... portando ogni mio arto dentro il tuo... ognuno alle prese con le proprie giun-ture... a farsi innesti... essendo illimiti... av-verandosi al di là della nostra pietanza... e tu smettessi di essere qui... dove saprei solo... essendo diverso dove ora voltarti ora pren-derti ora stretta ora scavi ora vene... e poi tacere fino al prossimo sussurro dell’attimo vivo... l’orizzonte in luogo di noi... eufrasia)».

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Jacopo M. Gandolfi e Domenico Brancale, Se bastasse l'oblio, 2013 129


22 marzo 2014 27 aprile 2014 ——— DISFUNZIONE MEDITERRANEA anteprima del Fuorisalone a cura di Alberto Zanchetta ———

Associazione culturale fondata nel 2012, PADIGLIONEITALIA è un ritratto del design nostrano. Gli autori che vi partecipano raccontano ognuno col proprio linguaggio una storia comune, integrandosi e dialogando, svincolandosi da semplicistiche definizioni anagrafiche, parlando di ricerca e di qualità progettuale. Alla prossima Settimana del Design, PADIGLIONEITALIA si presenterà con una mostra dal titolo “Disfunzione mediterranea”, tema che il curatore della mostra così racconta: «Il pensiero erettile è quello che si svolge in linea retta, seguendo una traiettoria prestabilita; il pensiero disfunzionale è invece imprevedibile, destabilizzante, segue e traccia nuove ogive. Prese singolarmente, le persone sono tutte disfunzionali, per un motivo o un altro: psicologico, affettivo, fisico, etc. Ognuno di noi presenta una minima imperfezione, un (sano) difetto che può renderci unici, persino originali. Il difetto diventa quindi una peculiarità. Ebbene: se le persone sono tutte diverse/disfuzionali tra loro, perché non dovrebbero esserlo anche gli oggetti? La “disfunzionalità mediterranea” vorrebbe sondare le infinite possibilità di un mondo latino popolato da oggetti che vivono in un imperfetto dell’essere». Premesso che tutta la creatività è intrinsecamente disfunzionale – perché pensa fuori dagli schemi e perché crea fuori dalla serie – l’esposizione lissonese è qualcosa di più e di diverso di una semplice “anteprima”: l’allestimento rispecchia infatti il concetto della disfunzione (intesa come errore che genera nuove interpretazioni) mettendo in mostra le suggestioni e i processi precedenti la realizzazione dei prototipi che saranno presentati a Milano. Allo spettatore è quindi concesso conoscere ciò che i designer hanno scartato durante il processo creativo ma che è stato altrettanto risolutivo nelle fasi di lavorazione. All’iniziativa hanno aderito: 4P1B, Alessandro Zambelli, Alhambretto, A/R studio, CarusoD’AngeliStudio, CTRLZAK, Elena Salmistraro, Ghigos Ideas, Gio Tirotto, Giorgio Laboratore, Giulio Patrizi, Luca Scarpellini – useDesign, Marta Lavinia Carboni, Serena Confalonieri, STUDIO NATURAL, uovo design, Whomade + Michela Milani.

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Disfunzione mediterranea, 2012 131


22 marzo 2014 27 aprile 2014 ——— L’ETERNO COMPROMESSO (appunti per una mostra) a cura di Alberto Zanchetta ———

L’eterno compromesso è un gioco di parole che può essere letto in una duplice accezione: “l’ineluttabile compromissione di ciò che riteniamo eterno” oppure “il duro compromesso con il nostro concetto di eternità”. Inoltre, L’eterno compromesso non è una mostra di opere, né vuole essere un’esposizione di soli documenti, è semmai una riflessione critica sulle sperimentazioni polimateriche. Attraverso libri, fotografie, articoli e altri documenti si è cercato di indivuare quelle opere che nel recente passato hanno fatto ricorso all’Eternit. Brevettato nel 1901 dall'austriaco Ludwig Hatschek, l’Eternit trovò vastissimo impiego, soprattutto in edilizia; dall’inizio del secolo fino al 1992, anno in cui fu dichiarato fuorilegge, l’Eternit era economico e malleabile, caratteristiche che ne accrebbero l’utilizzo indiscriminato anche da parte degli artisti. Oggi alcune di quelle opere sono state bonificate e recano nelle didascalie la rassicurante dicitura “fibrocemento inertizzato”, ma bisogna ammettere che quelle non sono [più] le opere originali. Su tali premesse si basa il progetto de L’eterno compromesso che ipotizza una mostra come dovrebbe essere, ma come non sarà e non potrà essere nella realtà. L’Eternit si rivelò infatti un duro compromesso per i posteri: il nome stesso – che deriva dal latino aeternitas – lo reclamizzava come un materiale di lunga durata, ma ciò che si credeva potenzialmente “eterno” doveva fare i conti con il proprio disfacimento.

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Depliant prodotti Eternit, 1958 133


10 maggio 2014 21 dicembre 2014 ——— IL COLLASSO DELL’ENTROPIA (zwei) a cura di Alberto Zanchetta ———

Dal mese di febbraio, una ricca e variegata proposta di opere ha iniziato a trasformare il Museo in un grande contenitore espositivo. Nuove opere e interventi installativi arricchiscono ora il secondo appuntamento de Il collasso dell’entropia. Tra gli interventi site–specific si segnalano lo Scacciapensieri di Oppy De Bernardo, installazione precedentemente esposta al Museo Cantonale d’Arte di Lugano; Mirko Canesi interviene sulle foglie e sui fusti di alcune piante d’appartamento generando un’ibridazione che sposa le dinamiche della Green Art e della Viral Art; Matteo Bergamasco ha “occultato” un suo grande quadro che può essere visto soltanto attraverso un foro praticato su dei listelli di legno; Fabrizio Prevedello si riappropria dello spazio a lui assegnato per realizzare un inedito intervento scultoreo; Andreco ha dipinto una colonna del Museo con una serie di macigni che suggeriscono un senso di instabilità. Disseminate negli ambienti espositivi trovano posto il Soffio di Silvia Vendramel, scultura che rielabora tensioni e nodi legati al nostro comune “senso di appartenenza”; Mattia Bosco propone un nucleo di lavori eterogenei per forma e materiali, ma coerenti sotto il profilo concettuale, che mettono in evidenza il rapporto tra l'artista e le potenzialità insite nella scultura; in una nicchia del Museo, Mario Consiglio ha abbandonato una mazza sul cui lungo manico è incisa una frase enigmatica; Filippo Manzini ha asportato delle piccole porzioni di carta da alcuni fogli per ottenere morbidi avvallamenti e ombre cariche di allusività. Una particolare attenzione viene dedicata anche al design: A/R Studio presenta Edison Jr, un set di costruzioni che possono essere infilate nelle prese elettrice permettendo ai bambini di giocare in totale sicurezza; oltre agli orologi Catino, Lorenzo Damiani ha progettato i nuovi fermaporte del MAC, caratterizzati da un lungo manico in legno e un contrappeso in marmo.

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Mario Consiglio, With this hammer i have killed dozens of fake monkeys, 2011 135


10 maggio 2014 15 giugno 2014 ——— NICOLA SAMORÌ intus: cristalli di crisi a cura di Alberto Zanchetta ———

Il titolo della mostra, Intus, allude a un “dentro” violato attraverso un lavoro di endochirurgia scultorea. Le sculture di Nicola Samorì rappresentano infatti la risposta plastica più coerente al suo modus operandi. «Se l’ambizione della mia pittura è quella di risvegliarsi dal sonno bidimensionale», spiega l’artista, «l’aspirazione della mia scultura è talvolta quella di fare tabula rasa dell’immagine scacciando i rilievi dal piano e scavando i volumi da dentro». Altrettanto emblematico è il sottotitolo della mostra, Cristalli di crisi, una espressione usata da Carl Einstein che Didi-Huberman attribuisce a qualcosa che si manifesta come anomalo nella storia dell’arte, osando promuovere l’avanzata sovversiva delle forme attraverso un assalto regressivo dell’informe (una regressione all’informe che nel caso di Samorì informa di sé tutte le opere in mostra). Sono circa una trentina le opere realizzate per il Museo di Lissone e comprendono teste convulse oppure busti liquefatti nell’onice o nel marmo rosa. Alcuni “corpi senza ossa”, ottenuti staccando la pittura dal supporto rigido e facendole assumere un volume plastico, danno vita a un deposito di situazioni plastico–pittoriche. Al centro della sala, un nudo di due metri e mezzo replicherà in grande scala un modellino in cera che ha assunto una postura tortile attraverso la pressione delle mani dell’artista. Completano l’esposizione degli altorilievi antichi, rimodellati fino a ottenere una vitalità del negativo, e una serie di busti con la faccia rivolta a parete, intenti a fissare otto formelle in bronzo, marmo e olio. Tra questi ci saranno cinque opere autografe dello scultore neoclassico Paolo Visani, provenienti dal Museo Civico delle Capuccine di Bagnacavallo, che dialogheranno con tre rifacimenti eseguiti dallo stesso Samorì.

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Nicola SamorĂŹ, Il male della pietra, 2014 137


10 maggio 2014 22 giugno 2014 ——— NICOLA VERLATO hostia a cura di Alberto Zanchetta ———

La mostra di Nicola Verlato si fonda su un’ipotesi che è anche un desiderio: costruire un complesso monumentale a Ostia, luogo della morte di Pier Paolo Pasolini. Più che un poeta, un cineasta o uno scrittore, Pasolini è un corpo che vive nella dimensione del mito, in quanto è riuscito a incarnare un destino non solo tragico ma addirittura universale. L’esposizione è stata pensata come uno spiegamento – nello spazio e nel tempo – di un grande dipinto che è anche il luogo da cui si origina tutta la mostra. Alla stregua di una pala d'altare, il dipinto rappresenta il corpo di Pasolini mentre attraversa la propria vita a ritroso. Disseminati nell’allestimento, alcuni piccoli dipinti rivelano altri aspetti connessi alla narrazione di questo grande dipinto. Sulla parete concava del museo si sviluppa un enorme disegno a carboncino, immaginario frammento di un Grande Fregio che immortala scene di violenza evocanti le atmosfere di Salò, con figure ignude che lottano tra loro. Una scultura a dimensioni reali, che ritrae in modo estremamente realistico Pasolini, è sospesa al centro della sala. La scultura e il fregio introducono lo spettatore nello spazio in cui ha luogo questa rappresentazione; si tratta di un edificio che l’artista ha concepito a guisa di mausoleo. Completa l’esposizione un brano musicale che interpreta in chiave sinfonica i “Canti pisani” letti da Pasolini nella dimora veneziana di Pound.

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Nicola Verlato, Pier Paolo Pasolini, 2014 139


10 maggio 2014 08 giugno 2014 ——— LUCIO POZZI il sogno bianco a cura di Alberto Zanchetta ———

Dando prova dei temi che da oltre un decennio ricorrono nella propria poetica, il 10 maggio Lucio Pozzi sarà protagonista di una “pitturazione” che avrà inizio alle ore 12:00 e si concluderà alle ore 20:00 (le “assurde otto ore di ufficio” svolte dalla maggior parte delle persone). All’interno delle sale del MAC, Pozzi si cimenterà con una tela alta due metri e lunga dieci, gigantismo che sancisce una sfida con se stesso, condizione estrema che permetterà all’artista di far fluire pensieri e sensibilità, senza remore o filtri. La grande tela verrà dipinta alla presenza del pubblico, mettendo così a nudo il conflitto amoroso che intercorre fra il pittore e lo spettatore. L’evento pittorico non coinvolgerà soltanto Pozzi, ma anche altri artisti, musicisti e spettatori. Nell’arco delle otto ore di “pitturazione”, Stefano Castagna e Luca Formentini produrranno suoni per mezzo di strumenti da loro costruiti, e allo scoccare di ogni ora riceveranno la visita di Pino Dieni, Roberto Zorzi, Maddalena Fasoli, Max Foti e Vittorio Guindani che collaboreranno alla produzione sonora. Alla mezza di ogni ora, una persona scelta tra il pubblico sarà invece invitata a piantare un chiodo all’interno delle campiture dipinte sulla tela per appendervi un piccolo quadro fatto pervenire da otto artisti amici di Pozzi: Luca Bertolo, David Lindberg, Filippo Manzini, Maria Morganti, Albano Morandi, Luca Pozzi, Lorenza Sannai e Lynn Umlauf. L’ambiente nel quale si svolgerà l’azione sarà considerato parte integrale dell’opera; nella sala verranno sparse alcune sedie, atte a formare piccoli nuclei di conversazione, nei quali gli spettatori si potranno accomodare per riposare o chiacchierare. L’andirivieni e le voci delle persone presenti in sala concorreranno in pari modo a definire l’evento in “corso d’opera”, che sarà registrato e proiettato nelle quattro settimane successive all’evento inaugurale.

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Lucio Pozzi, Il Sogno Bianco, 2014 141


10 maggio 2014 15 giugno 2014 ——— GIANNI DESSÌ tutto insieme a cura di Alberto Zanchetta ———

Gianni Dessì indaga il mondo con occhio curioso e vigile. Nel corso degli anni l'artista ha sviluppato una personale visione della realtà che ci circonda. Né astratta né figurativa, l'arte di Dessì interroga i linguaggi della pittura per assecondare le proprie intuizioni, le idee e le urgenze che gli permettono di raggiungere un'essenza e un'evidenza delle forme. «Vagheggio un'idea dell'arte che possa essere inclusiva e non esclusiva» ammette l'artista. È con questo spirito che si esplica il titolo di questa mostra: Tutto insieme allude a un complesso eterogeneo attraverso il quale Dessì intende riarticolare lo spazio espositivo, creando rimandi e concatenazioni tra i singoli elementi. Poiché la somma delle singole parti è più grande delle parti stesse, l'artista intende stabilire una relazione tra opera e opera. Concependo ogni mostra alla stregua di un ambiente unitario, l'artista stabilisce una forte relazione con lo spettatore. Tematizzando la sostanza del gesto e del segno, dei pieni e dei vuoti, Dessì genera un coagulo di significati che trovano il proprio fondamento nel groviglio del mondo. Un dipinto su tela, una serie di opere su carta e una grande vetroresina intendono afferrare il cuore stesso della forma mentre migra tra le tecniche e i materiali.

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Gianni Dessi, Concentro, 2012 143


10 maggio 2014 22 giugno 2014 ——— SIMONE RACHELI vuoto a perdere a cura di Alberto Zanchetta ———

Simone Racheli presenta un inedito ciclo di opere su carta, dal titolo Gli incerti, e una scultura, denominata Sostegno all’incertezza, che rappresentano creature biomorfe sviluppatesi attorno a degli orifizi, o più precisamente intorno a un’assenza che ne condiziona e deforma l’aspetto. Nel descrivere il progetto, Racheli racconta che «nel tempo abbiamo coniato molti aggettivi che inducono a pensare a una completezza dell’essere umano, integrità suddivisa in due parti, secondo le dottrine attuali che affondano le proprie radici nello sciamanesimo e nel mondo dell’antica Grecia. Il corpo resta comunque un’unità in evoluzione, dalla sua formazione fino alla sua degenerazione. Tale “movimento” (obbligato dalla natura e poi dalla società volitiva) lo rende instabile, inafferrabile, come la materia nell’inquieto Principio di indeterminazione della fisica quantistica. Partendo dal concetto di completezza, sia fisica che emotiva, l’approdo è verso un’inevitabile deformità, quale mancanza del compiuto. “Completo” è ciò che è finito, indubbio, a cui non manca niente, neanche una piccola parte. L’integrità è una necessità da opporre all’incertezza, che nasce in modo insidioso dal senso di vacuità, dovuto alla percezione di un’assenza. Tale consapevolezza è forse connessa al vuoto da dover colmare, alla perdita dell’altro (di un “altro corpo”) all’atto della nascita. Il vacuo ci rende mutili: occupa spazio senza che lo desideriamo. L’incompletezza è una mancanza rispetto a ciò che è definito, formato, concluso. Il nostro corpo, composto da materia vulnerabile e sensibile, somatizza il dolore, modificandosi. Benché mantenga i suoi attributi, la sua caratteristica peluria, così come l’incarnato irrorato da vene o tempestato da efelidi, il corpo diventa deforme. La delicata epidermide prelude a un’anima che corrisponde alla sensibilità del proprio corpo, svelandone gli strati e la profondità; gli orifizi, infatti, sono i punti di accesso per il dentro, per lo spazio interiore. La reazione somatica al vuoto – che alberga dentro ciascuno di noi – diventa deformazione patoplastica nella crescita dell’individuo e della sua coscienza».

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Simone Racheli, Gli incerti, 2014 145


21 giugno 2014 21 dicembre 2014 ——— IL COLLASSO DELL’ENTROPIA (drei) a cura di Alberto Zanchetta ———

Come recita un detto tedesco, Alle Guten Dinge Sind Drei (“Tutte le cose buone sono tre”). In attesa della pausa estiva, il terzo appuntamento de Il collasso dell’entropia propone una serie di nuovi interventi all’interno del MAC: l’installazione Tu envidia es mi progreso di Esteban Ayala propone un monumento composto soltanto da una postazione vuota sulla quale l’artista invita le persone a salire; l’intervento di Daniele Carpi sfrutta la soglia del vecchio ingresso del Museo per ospitare delle sculture modellate con materiali organici; Francesco Cossu presenta alcune “armi da fuoco” realizzate assemblando materiali poveri e riciclati; le Wooden drafts di Gianfranco Mazza danno vita a disegni che sono generati attraverso l'uso del legno e delle sue difformità "linfatiche"; la Scatola della linea verticale di Daniele Pulze si basa sul presupposto che un'architettura è una scatola cartesiana: spazio fisicogeometrico in cui possiamo visualizzare linee e piani; Days before you came di Matteo Sanna è un calco del volto dell’artista, ottenuto utilizzando una federa di lino imbevuta di amido di mais, colla e vernice acrilica; sull’eterna tensione tra uomo e natura si interrogano i due volti scolpiti da Silvano Tessarollo: il primo è espressione della sua stessa decadenza, il secondo è privo di un occhio e chiede udienza alla nostra coscienza

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Esteban Ayala, Tu envidia es mi progreso, 2013 147


21 giugno 2014 27 luglio 2014 ——— WILLY VERGINER baumhaus a cura di Alberto Zanchetta ———

Per questa sua mostra personale, Willy Verginer ha sentito il bisogno di percorrere sentieri su cui stava riflettendo da qualche anno, intraprendendo così una ricerca diversa e più radicale rispetto al passato. Con Baumhaus l’artista affronta per la prima volta il soggetto della casa: «Vedo la casa come una della prime sculture create dall’uomo», ammette Verginer, «trovo infatti che ci sia una forte relazione tra architettura e scultura. La casa, inoltre, è oggi molto importante anche dal punto di vista dell’ecologia e credo sia un fattore con cui ci si dovrebbe sempre confrontare». Prestando attenzione alle opere è possibile notare come gli elementi scultorei (le case) entrino in relazione con elementi naturali (ceppi, rami e radici di alberi) che l’artista ha raccolto nei boschi della Val Gardena. Nelle sculture vediamo arbusti o radici che scardinano le fondamenta degli edifici, tronchi che fuoriescono dai comignoli, alberi che crescono o si inerpicano all’interno delle abitazioni, situazioni imprevedibili e paradossali che si muovono sotto il segno di uno scarto rispetto alla tradizione. Molti dei lavori in mostra cercano una relazione diversa con lo spazio, come nel caso di Mediei, un’installazione composta da sei elementi appesi al soffitto, o la grande scultura Casa di Noè, che invade l’ambiente espositivo fin quasi a saturarlo. Un ruolo determinate lo gioca anche il volume delle opere: quelle di grandi dimensioni inducono lo spettatore a un rapporto molto diretto, mentre le più piccole rimangono in una sfera più distante e onirica. Come d’abitudine, l’artista è poi intervenuto sulle superfici levigate con campiture di colore che traggono in inganno il realismo delle forme e la vera “pelle” del legno.

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Willy Verginer, b, 2013 149


28 giugno 2014 27 luglio 2014 ——— WINFRED GAUL verkehrszeichen und signale, 1961–1972 a cura di Alberto Zanchetta ———

La mostra intende mettere a fuoco la ricerca pittorica che Gaul seguì dopo l’esperienza del Premio Lissone negli anni '57, '59 e '61, quando cioè l’artista si affrancò dall'esperienza dell'Abstraction lyrique per rivolgersi a una pittura piatta e inespressiva che nell’arco di un decennio – dal 1961 al 1972 – diede vita ai Verkehrszeichen und Signale, ciclo pittorico che è unanimemente considerato come il più importante e innovativo di Gaul. Affascinato dai pannelli multicolori e dal repertorio iconografico della segnaletica stradale, Gaul iniziò i Verkehrszeichen und Signale per decontestualizzare e reinventare i codici del paesaggio urbano. Gaul era convinto che i segni astratti che connotavano il linguaggio della strada fossero sì riconoscibili per convenzione ma che il guidatore o i pedoni fossero diventati insensibili a quelle indicazioni, giacché le conoscevano a memoria ed erano quindi indotti a ignorarle o a darle per scontate. Gual reagiva quindi a quella presunta “comunicazione istantanea” trasformando i simboli e i divieti in una realtà del tutto nuova. Concepiti come “forma d'arte concreta in un contesto popolare”, i Verkehrszeichen und Signale destrutturavano l'organizzazione sociale dando vita a un soprendente parco visivo–oggettuale.

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Winfred Gaul, Villa Romana, Firenze 1964 151


28 giugno 2014 27 luglio 2014 ——— RESTITUZIONI e nuove attribuzioni a cura di Alberto Zanchetta ———

La mostra è incentrata su alcune opere, appartenenti alle prime sette edizioni del Premio Lissone, che la Famiglia Artistica Lissonese ha concesso in comodato al Museo già da diversi anni. Caratterizzata da un acceso cromatismo e da uno stile picassiano, Composizione è l’opera con cui Aldo Brizzi si aggiudicò la vittoria alla seconda edizione del Premio Lissone. Vittorio Viviani, che partecipò alla manifestazione quasi ininterrottamente dal ’46 al ‘53, ottenne il proprio riconoscimento con il dipinto Venezia, Campo Sant’Angelo del 1949. Nell’edizione del 1950, Eugenio Tomiolo ricevette il secondo premio per l’opera Forme marine, mentre l’anno dopo si ricandidò con il dipinto Il mare alla finestra. Nell’edizione del 1952, che aveva visto Morlotti e Reggiani dividersi a pari merito il Gran Premio per la Pittura, Guido Trentini fu premiato dall’Ente Comunale del Mobile per una sua Natura morta. Benchè non sia riconducibile alle partecipazioni al Premio Lissone, il quadro Senza titolo di Gino Fossati testimonia della singolare esperienza che il giovane pittore, nato a Lissone nel 1928, aveva maturato all’interno della rassegna. L’ultima opera qui inclusa è il dipinto Ricordo di un autunno nella mia Brianza del 1958, erroneamente ascritto al pittore Alfredo D’Angelo; l’occasione di questa mostra offre la possibilità di una corretta attribuzione, in quanto l’opera è di mano di Sergio Dangelo. Nel dipinto, datato al 1958, si riscontra un tipico automatismo d’ascendenza surrealista che volge verso quel grafismo orientaleggiante che caratterizzerà la pittura di Dangelo negli anni Sessanta.

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Guido Trentini, Natura morta, 1952

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28 giugno 2014 27 luglio 2014 ——— GRUPPO KOINÉ elogio dell’imperfezione a cura di Angela Madesani ———

Invitati ad esporre il loro lavoro, i 12 artisti del Gruppo Koiné hanno deciso di utilizzare il Museo in maniera anticonvenzionale, come punto di partenza per una serie di rimandi all’esterno. L'installazione che il Gruppo ha realizzato al secondo piano del MAC è caratterizzata da una serie di dodici grandi leggii. Ogni leggio riporta informazioni sull’opera che i singoli artisti hanno specificamente realizzato e che si trova “altrove”. Alcune proiezioni contribuiscono a chiarire il percorso intrapreso, in cui la sede museale deve essere un centro propulsore di idee e di riflessioni. Quella del Gruppo Koiné è una chiara posizione nei confronti dell’odierna museificazione: lo spettatore è costretto a uscire dal Museo per andare a trovare le singole opere, immerse in contesti avulsi al sistema dell’arte. Tema della mostra è l’Elogio dell’imperfezione che è in grado di ingenerare riflessioni, dibattiti e desideri di mutamento o perfezionamento. Del resto, all’interno del Gruppo stesso non si coglie un’omogenea coralità, quanto piuttosto una dissonante ed evidente diversità. Scrive la curatrice Angela Madesani: «Probabilmente Koiné non esisterebbe dal 1995 se i primi componenti non si fossero posti come un gruppo di resistenti di fronte alle istanze della società e del mondo dell’arte».

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Gruppo Koiné, Elogio dell’imperfezione, 2014 155


13 settembre 2014 05 ottobre 2014 ——— LUDWIG WILDING zum beispiel a cura di Alberto Zanchetta ———

Testimone dell’epocale transizione dalla società industriale alla società della informazione, Ludwig Wilding ha iniziato a realizzare le sue Programmierte Strukturbilder agli inizi degli anni Sessanta, sviluppando un’arte logico–sensoria basata sulla cinesi virtuale. L’ambiguità, l’indeterminatezza e l’instabilità costituiscono i caratteri distintivi della ricerca di Wilding, il quale ha approfondito il discorso sui falsi movimenti e sulla visione stereoscopica. Le sue opere sviluppano l’interferenza sottoforma di linee disposte su due livelli, distinti ma complementari: la parte anteriore dell’opera e quella posteriore, che nella retina finiscono per combinarsi assieme (la sintesi percettiva del livello frontale e di quello retrostante genera infatti un movimento apparente). Oltre che dalle linee interspaziate, l’oscillazione percettiva scaturisce, trame ortogonali, superfici concave/convesse, trasparenze e ripiegamenti che analizzano l’interdipendenza tra il soggetto percipiente e l’oggetto percepito. Posto che le investigazioni cinevisuali possono suddividersi in due distinte categorie, quelle cioè che si interessano alla deduzione e quelle che ricorrono all’induzione, i gradienti strutturali di Ludwig Wilding appartengono senza dubbio alla seconda casistica: sono provocazioni intellettuali che agiscono sui fotorecettori della retina. Le elaborazioni tissurali dell’artista agiscono proprio su queste illusioni ed elusioni ottiche, a riprova del fatto che l’arte è un meraviglioso inganno.

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Ludwig Wilding, PSR 5001, 1980 157


13 settembre 2014 19 ottobre 2014 ——— PAOLO MASI in ordine sparso a cura di Flaminio Gualdoni e Alberto Zanchetta ———

Sin dalla metà degli anni Sessanta, la ricerca di Paolo Masi si è incentrata sul ruolo primario della luce; attraverso sperimentazioni materiche e sollecitazioni cromatiche, l’artista ha continuato a ridefinire le istanze spaziali connesse ai propri interventi spaziali. Differenziandosi sia nelle tecniche sia nei procedimenti, Masi ha dimostrato una particolare sensibilità e predilezione per l’utilizzo del plexiglas, che prende il posto di supporti più tradizionali, come la tela, il cartone o il legno. Agli anni Settanta è databile l’opera Inserimenti lineari a quantità percettive colore + rifrazione, che viene riproposta anche in questa mostra; si tratta di quattro piccole lastre di colore che, conficcate direttamente a parete, sembrano “dipingere” l’ambiente in base alla incidenza della luce. L’effetto visivo fa leva soprattutto sulla trasparenza del plexiglas, il quale permette uno scambio da un piano fisico a un piano immateriale. Pur non seguendo un criterio antologico, la mostra fa dialogare le opere del passato con quelle del presente, disseminazione cronologica che rispecchia il tentativo di dissolvere i margini dell’opera, con l’obiettivo di far fluttuare l’arte “in ordine sparso”. In questo allestimento diaframmatico, l’artista ha analizzato la virtualità del colore, alternando superfici monocrome a strutture geometriche che riescono a in/formare lo spazio e lo spettatore.

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Paolo Masi, Inserimenti lineari a quantitĂ percettive colore + rifrazione, 1972-2014 159


13 settembre 2014 12 ottobre 2014 ——— LA STANZA DELLE MERAVIGLIE Gerosa–Mazzuferi–Mottolese a cura di Marco Belpoliti ———

Uniti dalla comune attività nell’ambito dell’insegnamento presso l’Istituto d’Arte Sperimentale di Monza, Antonio Mottolese, Lino Gerosa e Paolo Mazzuferi hanno formato diverse generazioni di operatori dell’immagine, contribuendo con le loro proposte e attraverso la didattica quotidiana all’elaborazione del progetto culturale e professionale della scuola. La ricerca di Antonio Mottolese si svolge intorno alla forma delle cose inanimate e degli esseri viventi, concependo la forma come metamorfosi, transito, spiazzamento. L’artista, che lavora con la pittura, la fotografia, la scultura, espone a Lissone dei dipinti su carta che si ispirano a forme animali. Lino Gerosa opera direttamente con la materia, in particolare la carta, che utilizza in installazioni che ambiscono a entrare nello spazio come sculture leggere, sottili, invisibili (la leggerezza e l’aspetto lirico connotano tutta l’attività dell’artista). Nel corso di più di trent’anni, Paolo Mazzuferi ha realizzato opere che appartengono all’ambito della scultura, ma che allo stesso tempo traggono forza vitale, intelligenza e sensibilità dal campo della geometria. L’artista traduce le forme della geometria e della matematica in forme appartenenti al mondo vegetale e minerale.

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Paolo Mazzufferi, Senza titolo, 2010–14 161


13 settembre 2014 19 ottobre 2014 ——— CHIARA DYNYS al sesto cielo a cura di Marco Bazzini ———

Stendhal era fermamente convinto che l’arte fosse una promessa di felicità. Anche Chiara Dynys è persuasa che si possa raggiungere la felicità attraverso l’arte, ma tale promessa resta un concetto molto romantico, relativo e fuggevole. Lo ribadisce il titolo stesso di questa mostra, che allude proprio alla prossimità al Settimo cielo: basta poco, giusto un soffio per raggiungere quella felicità, ma per quanto sembri vicina, alla fine si rivela inafferrabile. Le opere di Chiara Dynys si sono distinte all’interno del panorama artistico in virtù di una promiscuità stilistica che mantiene una sua coerenza etica, lei stessa afferma di non perseguire uno stile ma una linea concettuale. La sua poetica – che ha come centri nevralgici la dicotomia e l’ambiguità percettiva – denota una complessa progettualità che passa dall’intuizione all’intenzione, dalla ricerca alla sperimentazione, senza mai rinunciare a stabilire una relazione con lo spettatore. In mostra sono presenti tre distinte serie di opere che agiscono sulla percezione e sono tra loro connesse dal leitmotiv dello specchio: Look At You è una lunga sequenze di teche, grandi o piccole, in cui si assiste a un occultamento e a uno svelamento cromatico. L’inedito ciclo Doppia stella e l’installazione Grande stella si compongono di coni prospettici al cui interno è possibile ammirare l’illusione di un solido platonico. L’effetto caleidoscopico di queste “stelle” crea una vertigine che risucchia lo sguardo in una dimensione straniante, dove infinito e indefinito si incontrano.

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Chiara Dynys, Look At You, 2013 163


11 ottobre 2014 19 ottobre 2014 ——— INDAGINE SU Gino Meloni a cura di Alberto Zanchetta ———

Il MAC rinnova l’attenzione sul lavoro di Gino Meloni e sul ruolo da lui svolto in veste di animatore culturale della città. Ai dipinti, scelti tra quelli conservati presso il Museo, si aggiunge Cagnolino al guinzaglio del 1986, un olio su tela donato dal figlio Ermes, al quale l’Amministrazione Comunale porge i suoi sentiti ringraziamenti. Formatosi all’Istituto d’Arte di Monza e all’Accademia di Brera, Gino Meloni tiene la sua prima mostra personale nel 1939, alla Galleria Mazzucchelli di Milano. Nel 1946 espone alla Galleria 15 Borgonuovo suscitando un generale interesse fra critici, pittori e collezionisti. Nel 1956 e nel 1964 espone alla Biennale di Venezia. Da questo momento la sua pittura è impegnata sempre più nella rappresentazione di scene di vita quotidiana, per lo più ispirate alla cittadina briantea in cui vive. Del forte legame di Meloni con Lissone rende conto Giuseppe Pizzi, Presidente della Famiglia Artistica Lissonese: «Il suo nome rivela origini sarde, lui stesso era nato a Varese ed era arrivato a Lissone in giovane età. A Lissone era però nata e si era sviluppata la vocazione alla pittura, alla quale sarebbe stato fedele per tutta la vita. Le motivazioni e i temi originari della sua arte li aveva trovati qui, fra le case basse e i cortili del borgo, negli interni disadorni, sotto i cieli arcigni che nelle mattinate di primavera si spalancano in imprevedibili viste sulle Grigne, in mezzo ai volti severi della gente dei suoi primi ritratti, per le strade e le campagne lungamente attraversate nelle sue scorribande di camminatore curioso. A questi luoghi avrebbe mostrato per tutta la vita un attaccamento ininterrotto, senza mai scivolare nel campanilismo o nel compiacimento folcloristico. Gli interessava l’arte, e avrebbe voluto che la sua passione contagiasse l’intera comunità in cui viveva».

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Gino Meloni, Il falegname, 1948

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25 ottobre 2014 30 novembre 2014 ——— PREMIO LISSONE 2014 pittura espansa a cura di Alberto Zanchetta ———

Tra le pratiche che connotano gli sviluppi pittorici più attuali, la “pittura espansa” è l’elemento di novità che contraddistingue l’edizione di quest’anno. Un Comitato di selezione costituito da Flavio Arensi, Gianluca D’Incà Levis, Alberto Mugnaini, Gianluca Ranzi, Lorenzo Respi e presieduto da Alberto Zanchetta, ha valutato i materiali pervenuti da 171 partecipanti, tra cui sono stati selezionati i 27 finalisti: Matteo Antonini, Irene Balia, Agostino Bergamaschi, Marco Bongiorni, Calori&Maillard, Anna Caruso, Stefano Cumia, Francesco Fossati, Max Frintrop, Alessandro Gioiello, Silvia Hell, Silvia Infranco, Joan Saló Armengol, Osamu Kobayashi, Andrea La Rocca, Federico Lanaro, Davide Mancini Zanchi, Bruno Marrapodi, Silvia Mei, Luca Moscariello, Carlo Alberto Rastelli, Milena Rossignoli, Angelo Sarleti, Thomas Scalco, Patrizia Emma Scialpi, Stefano Spera, Luca Zarattini. Durante l’inaugurazione della mostra, la Giuria composta da Sergio Breviario, Alberto Garutti, Volker W. Feierabend, Federico Luger, Giuseppe Pero, Remo Salvadori e Alberto Zanchetta proclamerà il vincitore del Gran Premio per la Pittura. Nel corso della serata i membri del Comitato di selezione assegneranno anche il Premio della Critica e una Menzione d’onore, cui si aggiungeranno i premi acquisto del MAC. Le opere premiate andranno così ad arricchire le collezioni permanenti della sede museale. A latere dell’esposizione dei finalisti, l’edizione di quest’anno presenterà anche due sezioni ad invito: le “Presenze straniere” vedranno riunite le opere di Greg Colson, Kim Dorland, Franklin Evans, Jason Martin, Eric Mistretta e Katy Moran, mentre le “Presenze italiane” si suddivideranno in una mostra personale di Gabriele Arruzzo e in una sala commemorativa dedicata a Anselmo Bucci.

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Joan Salò Armengol, Untitled, 2014 167


25 ottobre 2014 06 dicembre 2014 ——— GABRIELE ARRUZZO compendium a cura di Alberto Zanchetta ———

L’esposizione raccoglie alcune delle più significative opere che Gabriele Arruzzo ha dipinto negli ultimi quattro anni di attività, ma il “compendio” cui allude l’artista è riconducibile anche alle fonti iconografiche di cui si compone ciascun quadro. Facendo leva sulla smania onnivora e pantagruelica del proprio campionario culturale, Arruzzo sollecita i nostri processi intellettuali mediante un pastiche figurativo che padroneggia idiomi e simboli annegati nell’impasto dei pigmenti industriali; rispetto ai colori saturi e caramellosi degli esordi, predominano ora le cromie neutre, in particolare l’argento che l’artista definisce come un “colore–arma”. Quasi tutte le opere sono concepite come macchine teatrali ove si avvicendano pittori, tiranni e assassini, figure metaforiche che rimandano ai patimenti e all’estasi dell’ars picta (e non per caso i personaggi sono ritratti in posture che alludono alla devozione o al patimento). Arruzzo ritrae dei “filosofi della pittura” che si comportano alla stregua dei serial killer, lasciando cioé la propria firma sul luogo del delitto, oppure come i grandi dittatori del secolo scorso, i quali hanno imposto un “ordine” e uno “stile” alle arti liberali.

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Gabriele Arruzzo, Ritratto del brigante Terenzio Grossi (1832-1862), 2011 169


25 ottobre 2014 06 dicembre 2014 ——— JEUNESSE omaggio a Anselmo Bucci a cura di Alberto Zanchetta ———

Riprendendo una tradizione dello storico Premio Lissone, che negli anni Sessanta aveva dedicato delle sale retrospettive a Atanasio Soldati, Osvaldo Licini e Mario Sironi, nell’edizione 2014 si è deciso di commemorare l’attività di Anselmo Bucci, omaggio che non a caso si ricolegga alla provincia briantea (a Monza l’artista ha infatti trascorso i suoi ultimi anni di vita). Bucci è stato un pittore eccelso, un instancabile disegnatore, un formidabile incisore e uno stimato scrittore, oltre che un assiduo viaggiatore. Cronista dei grandi conflitti mondiali, Bucci ha conosciuto i più importanti protagonisti del XX secolo, associando una buona parte della sua nomea al Gruppo Novecento. Rivedere le sue opere a distanza di tempo è una giusta e utile occasione per apprezzarne i solidi e severi valori pittorici, la figurazione monumentale e celebrativa, quel fiero nazionalismo che si opponeva agli sperimentalismi avanguardistici. Le opere scelte appartengono agli anni degli esordi, in particolare al soggiorno parigino, come testimonia L’autoritratto a 22 anni dipinto nel 1909. Profondo estimatore dei pittori antichi, il giovane Bucci dà prova di una libertà espressiva, fiera e feconda, che ne caratterizza la produzione successiva. I paesaggi, i ritratti e i motivi simbolisti qui esposti – tutti antecedenti alla prima mostra del Gruppo Novecento, tenutasi nel 1923 – permettono di assaporare quella “devozione al mestiere” cui l’artista è sempre stato fedele.

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Anselmo Bucci, Autoritratto a ventidue anni, 1909

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27 novembre 2014 11 dicembre 2014 ——— cineMAC Fondo Cinematografico Nino Zucchelli a cura di Enea Brigatti e Daniela Vincenzi ———

Se, come afferma Peter Greenaway, il cinema «non è che una mostra», il museo non può che includerlo all'interno del suo spazio espositivo, ridisegnandone il perimetro. Il MAC schiude le sue porte all'arte cinematografica tramite una rassegna in collaborazione con la GAMeC di Bergamo che promuove la valorizzazione del Fondo Cinematografico Nino Zucchelli. Per tre settimane ogni giovedì sera, il Museo sarà lo scenario per la proiezione di alcune fra le più interessanti pellicole del Fondo, caratterizzate da una stretta connessione con la sfera delle arti visive. Film unici, come ha avuto modo di definirli Antonio Costa, copie da festival, testimonianze di cinematografie emergenti, nascoste, ma qualitativamente significative. Il primo appuntamento avrà un'impronta documentaristica, con due rari critofilm riguardanti Marcel Duchamp e Henry Moore. Nel corso della rassegna si passerà al cinema d'animazione degli anni Sessanta con tredici cortometraggi d'avanguardia firmati da alcuni maestri del genere (tra cui il surrealista Jan Švankmajer e il pioniere del cinema underground Stanley Vanderbeek) per poi concludere con due film provenienti da scuole votate a una radicale sperimentazione: quella della nouvelle vague cecoslovacca, rappresentata da Úzkost di Zdeněk Kopáč e quella del nuovo cinema americano, con I'm Happy, You're Happy, We're All Happy, Happy, Happy, Happy di Velcrow Ripper.

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Jean-Marie Drot, Jeu d'échecs avec Marcel Duchamp, 1963–64 173


13 dicembre 2014 15 febbraio 2015 ——— MICHELE ZAZA corpo cosmico a cura di Walter Guadagnini ———

«La fotografia è il tempo di un momento della nostra esistenza. Il mio lavoro possiede una componente metafisica piuttosto rilevante nel senso che stimola il fruitore a leggere una dimensione psichica dello spazio e della presenza umana. La rappresentazione non è la mimesi del già visto, ma del pensato. La fotografia ha un ruolo strumentale. Essa è un mezzo efficace e fedele per visualizzare le mie domande sull’esistenza umana». È con queste parole che Michele Zaza spiega il suo rapporto con la fotografia, medium che consente all’artista di osservare, interrogare, criticare e ricreare l’esistente. Tra i più acclamati maestri della fotografia concettuale, Zaza ha sempre scandagliato la condizione umana, in particolar modo il corpo e il volto dei suoi protagonisti, portando a compimento una ciclicità e una circolarità archetipica. Oltre a creare relazioni interpersonali, le fotografie sono “rivelazioni” che convertono il pensiero in immagine; le idee (vale a dire le “astrazioni”) si contrappongono al reale (banale, standardizzato, effimero), ragion per cui l’artista dissimula il reale in ambienti disadorni e in atmosfere rarefatte. Fulgido esempio di quel mondo onirico ed estraneo alla dinamica convenzionale del quotidiano, il progetto dal titolo Corpo cosmico occuperà le cinque grandi vetrate al pianterreno del Museo, introducendo il visitatore alla mostra vera e propria.

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Michele Zaza, Universo segreto, 2003 175


13 dicembre 2014 15 febbraio 2015 ——— CARLO NANGERONI sessanta cum laude a cura di Alberto Zanchetta ———

«Parto sempre dal cerchio, e dagli avvenimenti che si producono al suo interno, per poi assumerlo come elemento cellulare, in moltiplicazione, sempre con eventi plastici». Con queste parole Carlo Nangeroni ha inteso definire la sua pittura, che dagli anni Sessanta si è sempre enucleata in cerchi–cellule che racchiudono il DNA della pittura. Dopo essere transitato attraverso un periodo di “divisionismo geometrico”, Nangeroni ha individuato l’ubi consistam della propria pittura in una topografia puntiforme. Assumendo la forma primaria del cerchio a sistema cartesiano (retaggio della geometria euclidea, allora applicata alla pittura astratto concreta), l’artista ha iniziato a scandire i suoi quadri con punti–luce che ricorrono a una fredda gamma cromatica. Il risultato finale è quello di uno spazio luminoso che sembra proliferare di quadro in quadro, assicurando così una continuità alla prassi pittorica. Malgrado Nangeroni abbia paragonato i suoi cerchi a elementi cellulari, e nonostante Giovanni Maria Accame avesse fatto ricorso alla terminologia del patrimonio genetico per definire le opere dell’artista, il concetto dell’informazione genetica non è mai stato tenuto in debita considerazione fino a oggi. Ammesso e concesso che ogni quadro contenga in ognuna delle sue particelle un “codice genetico”, questa mostra antologia è incentrata sulle opere degli anni Sessanta, che potremmo considerare come pitture molecolari.

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Carlo Nangeroni, Interferenza, 1969 177


13 dicembre 2014 01 febbraio 2015 ——— LE ORE FELICI Beatrice Pasquali & Enrico Fedrigoli con la collaborazione di Fanny & Alexander ———

Il progetto Le ore felici proietta il visitatore dentro ai prototipi poetici e visionari di Beatrice Pasquali attraverso lo spazio ottico di Enrico Fedrigoli, il quale si insinua tra gli oggetti e le opere presenti nello studio dell’artista. Il risultato è un itinerario che si snoda secondo una cartografia fisica e mentale, un atlante immaginario dove ogni pagina si concretizza nell’inconsueto magnetismo delle forme. Il progetto di Pasquali e Fedrigoli rispecchia il senso luminoso e il tempo felice trascorso nello studio. A questo lavoro duale, portato a compimento nell’arco di un paio d’anni, si affiancano i video di Fanny & Alexander, interventi che si riannodano ai temi poetici della mostra e dei due autori. L’impianto generale della mostra è costituito da alcuni grandi teleri i cui titoli rimandano a tematiche warburghiane, stabilendo al contempo una “legge del buon vicinato” tra un’immagine e l’altra. In questa mostra non c’è la volontà di rivendicare una paternità individuale rispetto alle opere: il progetto espositivo è prima di tutto un esperimento di metodologia in cui tutto è di tutti, così da creare un mosaico che cambia di senso e di direzione qualora venga meno anche solo una piccola tessera.

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Beatrice Pasquali e Enrico Fedrigoli, Atlante, 2014 179


13 dicembre 2014 15 febbraio 2015 ——— OUT OF FRAMES Bergamaschi–Calori&Maillard–Cumia–Hell–Spera a cura di Alberto Zanchetta ———

Apprezzati dalla Giuria del Premio Lissone appena concluso, Agostino Bergamaschi, Calori&Maillard, Stefano Cumia, Silvia Hell e Stefano Spera sono stati invitati a esporre nuovamente al Museo per dare seguito alle loro ricerche individuali. Come recita il titolo dell’installazione di Agostino Bergamaschi, Un gesto originario è un'azione infinitamente originata, un fascio di luce che diviene forma nello spazio e che vuole essere percepito sensibilmente in una nuova materia, in una superficie mutevole, leggera e visibile, ma allo stesso tempo pesante e percepibile. Calori&Maillard, che al Premio Lissone avevano partecipato con una Chaise Lounge costruita con telai di quadri a cui era stata applicata una seduta dipinta a mano, presentano ora una variante dello stesso ciclo: Study on painting n9 (Henri). LAMPS #2 (SCP-trittico GBR) di Stefano Cumia è il risultato di una serie di azioni rituali che ribaltano e mettono in discussione l'ordine interno del “discorso sulla pittura”, riorganizzandone la sintassi. Le sculture di Silvia Hell sono parte di due progetti basati su un processo di codifica che intende far confluire in una forma estetica una gamma di valori multidimensionali; i diversi diametri di ogni scultura corrispondono infatti agli anni in cui è combiato il confine di alcuni Stati europei. L’opera di Stefano Spera rappresenta una raccolta di esperienze frammentarie (con annesse distorsioni) attinte dal web che, come dice Jean Baudrillard, diventa il nostro terzo occhio, o forse un’altra dimensione tra il reale, il virtuale e l’immaginazione.

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Silvia Hell, Markgraf II – A Form of History, 2011 181


13 dicembre 2014 01 febbraio 2015 ——— LAURA SANTAMARIA hypnero un libro d’artista e nuove produzioni ———

«Quello che più considero prezioso: il riflesso che la materia ha del cosmo in se stessa. Così guardo questo suolo e vedo lo spazio». Questa frase è contenuta nel primo libro d’artista di Laura Santamaria, una chiave di lettura di ciò che il libro stesso è e contiene. Le immagini fotografiche che compongono la copertina e il suo interno sono tratte dall’opera Cosmic joy swept over, realizzata nel 2012, e Hypnero dello stesso anno. I pigmenti al centro del libro sono frammenti di questi lavori, i quali danno l’idea del materiale e della lievità con cui sono realizzate le opere dell’artista. La produzione e il carattere editoriale dell’edizione sono legati alla fotografia ma allo stesso tempo traggono origine dal “leporello”, un libro che trae ispirazione dall’esperienza del viaggio e dalle diverse vedute che si possono avere di un luogo. Nei meandri del leporello s’innesta quindi una visione delle opere d’arte, di cui diventa un prodotto autonomo, squisitamente editoriale.

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Laura Santamaria, Hypnero, 2013 183


07 febbraio 2015 19 febbraio 2015 ——— PER VASCO BENDINI in ricordo del Maestro scomparso il 31 gennaio 2015 ———

I primi mesi del 2015 si tingono a lutto per la scomparsa di Vasco Bendini. La Città di Lissone si unisce al cordoglio della famiglia e degli amici, così come a quello di tutto il mondo dell’arte, esponendo un’opera polimaterica che l’artista aveva realizzato nel 1970. L’opera, che viene riproposta al pubblico a distanza di un anno, appartiene alla serie Gesto e materia in cui l’immediatezza del segno, l’affioramento della sostanza pittorica e l’approccio istintivo dell’artista permettono di saggiare fino in profondità quei processi generativi che hanno contraddistinto la pittura di Bendini. Con orgoglio e rammarico, Lissone ricorda la carismatica figura dell’artista e la lunga storia condivisa nell’arco di cinquant’anni. Bendini aveva infatti partecipato a tre edizioni del Premio Lissone (1959, 1961, 1963), assiduità che nel 2002 gli valse una mostra antologia e il conferimento del Premio alla Carriera.

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Vasco Bendini (1922–2015) 185


07 febbraio 2015 19 febbraio 2015 ——— IL REALE NON BASTA nuove geografie del mondo onirico a cura di Stefano Pellizzari ———

A quasi cent'anni dalla nascita del movimento surrealista, il tema dell'onirico e le sue suggestioni sono tornati a influenzare il linguaggio dei giovani pittori. Attraverso composizioni cariche di atmosfere neogotiche, l'amore da tempo sopito per la pittura accademica si ibrida con la riscoperta di ciò che fino a pochi anni prima era considerato underground, come l'illustrazione e la Street art. Ciò si manifesta come un comune spirito generazionale che questa mostra intende presentare con il lavoro di quattro giovani artisti che condividono la fascinazione per l'onirico e per le atmosfere di matrice neosurrealista. Nonostante si dichiari apertamente surrealista, è difficile non notare nei lavori di Stefano Ronchi la forte influenza che maestri come Bosch e Doré hanno sortito nella sua formazione, ibridandosi efficacemente con l'immaginario di H.R.Giger. Le sue rappresentazioni sono pervase da un'inquietudine visiva in cui lo spettatore viene assalito dalla molteplicità di dettagli che invadono lo spazio iconografico. Nicola Caredda è un pittore all'apparenza più legato alla realtà, dalla quale però preferisce evadere. L’artista compone immagini attraverso un linguaggio figurativo particolareggiato e completo, dove mondi cupi e funerei si popolano di elementi imprevisti che sembrano trasportarci in un dormiveglia carico di tensione. Silvia Idili ama concentrarsi attorno a scenari mentali, realizzando composizioni caratterizzate da panorami intrisi di puro colore, nei quali figure umane o oggetti inanimati sono accomunati dalla loro immobilità. Il lavoro Sea Creative è influenzato dal graffiti–writing, dall'illustrazione e dall'urban culture. I suoi personaggi sono caratterizzati da volti dormienti che fluttuano nello spazio, come in un flusso di coscienza. Fantasiose e sognanti, le sue opere svelano un pizzico di ironia; ironico, del resto, è anagramma di onirico.

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Silvia Idili, Visionaria 29, 2014 187


7 marzo 2015 19 aprile 2015 ——— MATTEO FATO Krinein (la) Crisi a cura di Gianni Garrera e Alberto Zanchetta ———

Nel corso del Novecento abbiamo assistito allo sgravio dalle categorie artistiche, ma il secolo scorso ci ha anche affrancato dai basamenti delle sculture e dalle cornici dei quadri. Matteo Fato ha avuto l’ardire di rendere nuovamente attuali e familiari sia gli uni che le altre; le basi delle sue opere sono costruite con lo stesso legno di cui si compongono le cornici, che in realtà non sono altro che le casse usate per trasportare i dipinti. Per l’artista il contenitore diventa quindi l’ornamento e il completamento dell’opera. Ogni opera di Fato evoca le relazioni che si costituiscono per forza interiore, dichiarando apertamente il proprio intento: documentare non il soggetto ma la relazione tra l’artista e il suo mezzo. Attraverso la specificità dell’apparato tecnico, e grazie all’alibi delle tematiche adottate, Fato sfida di continuo la percezione retinica, convinto che «chiunque indaghi il linguaggio visivo della pittura debba fare i conti prima di tutto con se stesso». La parola greca krinein, che dà il titolo a questa mostra, ha molti significati: distinguere, scegliere, giudicare, interpretare, ma anche condannare oppure entrare nella fase cruciale di una malattia. Inoltre, Krinein è radice sia di "crisi" che di "critica", ed è a partire da tali presupposti che l’artista ha affrontato il progetto di questa esposizione, obbligando se stesso a "capire la transizione da uno stato all'altro". In mostra sono presenti opere che dialogano in modo sincronico, riannodando le esperienze maturate nel corso del tempo, restituendo così una visione ampia e completa della ricerca da lui intrapresa in seno alla pittura, al disegno e alla scultura.

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Matteo Fato, Autoritratto con Tavolozza (2014 circa), 2014

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7 marzo 2015 3 maggio 2015 ——— PAOLO GRASSINO magazzinoscuro a cura di Alberto Zanchetta ———

Drenate dai loro colori, le opere di Paolo Grassino sono state ridipinte di un nero fumo che, alla maniera della caligine, sembra depositarsi sugli oggetti. Dello stesso avviso è anche l’allestimento di questa mostra, concepito come lo stoccaggio di un magazzino. Giocando sui pieni e i vuoti della scultura, sulle euforie e le disforie dell’esistenza, le cataste dei pallet – usati per trasportare le opere – permettono all’artista di creare un dedalo in cui le opere vengono segregate all’interno dell’ambiente. L’esposizione costringe quindi i fruitori a un’immersione nei meandri oscuri della quotidianità, ove affiorano presenze perturbanti. Accedendo al piano interrato, lo spettatore ha la sensazione di sprofondare in un ipogeo, in quell’abisso che fa vacillare ogni nostra certezza. Non dobbiamo infatti dimenticare che le ansie e le paure ci permettono di sentirci (più) vivi (che mai), apprezzando fino in fondo l’esistenza. Proprio per questo motivo, all’uscita del Museo i trova posto un grande cuore espiantato dal corpo che lo conteneva; sottoforma di involucro inerte e inane, il muscolo cardiaco ci rammenta la necessità di una vita che pulsa e freme di continuo. Ancora e ancora.

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Paolo Grassino, Analgesia nero, 2012 191


07 marzo 2015 26 aprile 2015 ——— PAOLO VENTURA d’armi e d’uomini a cura di Walter Guadagnini e Alberto Zanchetta ———

L’esposizione comprende una selezione di opere che Paolo Ventura ha realizzato ispirandosi ai tempi della Grande Guerra. Agli istrionici futuristi, che consideravano la guerra come sola igiene del mondo, l’artista ha dedicato una serie di immagini che suggellano lo spirito di esacerbato interventismo tipico dei primi decenni del Novecento. Le atmosfere surreali di Paolo Ventura ci trasmettono un velo di ironica ma pur sempre inquieta malinconia. Le sequenze fotografiche raccontano storie brevi, semplici e allo stesso tempo inaspettate, ambientate in scenari che non sono altro che lo studio dell’artista, in cui sono stati allestiti i fondali da lui dipinti. La fotografia di Ventura non “registra passivamente l’esistente” ma ricrea un immaginario dove i protagonisti, le scene e i costumi mescolano le fantasmagorie del tardo Settecento con le memorie del conflitto armato. Per l’occasione, l’artista ha deciso di accompagnare le immagini con testi scritti di proprio pugno, oggetti della sua collezione e costumi di scena che si avvicenderanno con autentici cimeli bellici (borracce, elmetti, fotografie e cartoline) creando un’alternanza tra la pura finzione e ciò che è effettivamente reale. Tra soldati infagottati nelle loro uniformi e truppe che combattono ai confini delle proprie nazioni, la mostra intende creare una frenesia bellica che ci ricorda i tanti eroi e le troppe vittime della Grande Guerra, ma soprattutto quell’indole guerrafondaia che non cesserà mai le ostilità.

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Paolo Ventura, I gemelli, 2014 193


7 marzo 2015 19 aprile 2015 ——— SERGIO BREVIARIO the Belle of the Ball a cura di Alberto Zanchetta ———

Anziché realizzare una mostra vera e propria, Sergio Breviario ha deciso di esporre un progetto in itinere che dorrebbe concludersi con la pubblicazione di un volume a tiratura limitata. Affascinato dai sistemi robotici impiegati per la lavorazione del marmo, negli scorsi mesi l’artista ha scattato una serie di polaroid che mostrano gli impianti robotizzati mentre sono all’opera o in attesa di essere utilizzati. Lambiccandosi sul “sogno modernista” in cui le macchine eseguono ciò che l’artista può limitarsi a pensare, Breviario ha inseguito le proprie epifanie per poi immortalarle con una Land Camera 230 degli anni Sessanta. Mescolando le suggestioni vintage del recente passato con le visioni futuribili del nostro presente, l’artista ne ha ricavato delle immagini che ha rielaborato nel proprio studio, ritagliando forme concentriche che ha poi liberamente incollato per ottenere dei personaggi dalle fattezze stilizzate; per lo più si tratta di Re e di Regine che indossano vistose gorgiere, quasi sempre assorti nella apparizione di fiori o di pianeti che gravitano intorno a loro. Le tavole dell’artista non intendono raccontare una storia, inanellano semmai una sequenza di situazioni in cui i veri protagonisti sono il collage e il disegno. Le opere, collocate all’interno di lunghe bacheche, creano una prospettiva–percorso che ridefinisce l’ambiente espositivo e si avvale di sfere luminose per scandire i ritmi e i volumi dello spazio.

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Sergio Breviario, Marmo umido, 2014 195


07 marzo 2015 19 aprile 2015 ——— VINCENZO RUSCIANO echi dal bianco a cura di Alberto Zanchetta ———

Echi dal bianco rievoca un luogo dove si rinvengono blocchi di marmo, materia prima e d’eccellenza delle sculture antiche. Obbligandoci a mettere in discussione il rapporto di familiarità e di fugace analogia che le opere di Vincenzo Rusciano intrattengono con la tradizione, l’artista partenopeo simula frammenti di statue e bassorilievi rinvenuti chissà dove, chissà quando, evidenziandone l’artificiosità per mezzo di materiali e oggetti che rimandano al gusto o alle tecniche contemporanee. Affrontando argomenti quali l’abbandono, l’assenza, l’incuria, negli ultimi anni la ricerca di Rusciano si è incentrata sulla ripresa e il rifacimento delle macerie dell’antico. L’artista cerca cioè di ridare vita a ciò che si è perso attraverso una ipotetica conservazione del nostro patrimonio artistico, in cui i reperti vengono amalgamati con gli strumenti del lavoro e le casse da imballo che dovrebbero proteggerli. In questi suoi assemblaggi, l’artista rivela quell’indole d’archeologo cui ogni artista è chiamato a confrontarsi prima o poi, affinché ci si possa riappropriare e si riesca a rinnovare modelli preesistenti. Coniugando e congiurando contro i codici visivi, Rusciano riesce a creare un tessuto connettivo che vive di contraddizioni ed è in grado di verificare l’ipotesi di un ideale spostamento (di cronos/tempo e di topos/luogo) di quei “reperti” che ancor oggi continuano a essere un importante giacimento del nostro patrimonio culturale.

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Vincenzo Rusciano, Passaggio #2, 2014 197


07 marzo 2015 ——— JOYS epic windows intervento permanente ———

Nella città di Lissone Joys continua il progetto Epic Windows che consiste nello studio del disegno all'interno di spazi architettonici. Percepibile soltanto dall'esterno del Museo, l’intervento è stato realizzato dipingendo direttamente sul rosone, le vetrate e le finestre della facciata dell’edificio, la quale preserva ancora una parte dell’insediamento originario. In bilico tra la cultura undeground e quella istituzionale, la ricerca di Joys è stata riconosciuta come inedita e personalissima grazie al suo maniacale studio del lettering; le sue opere si stratificano e si arricchiscono di livelli e linee atte a creare labirinti impossibili, dove nulla è lasciato al caso e in cui le forme ubbidiscono sempre a precise regole logico–geometriche. Da anni l’artista ha esteso il proprio linguaggio anche alla scultura, utilizzando diversi materiali ma mantenendo uno stile inconfondibile, quello stesso stile che da vent’anni lo contraddistingue sui muri di tutto il mondo.

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Joys, Epic Windows, 2015 199


23 maggio 2015 20 settembre 2015 ——— 1946–1967 il Premio Lissone a cura di Alberto Zanchetta ———

Lissone celebra l’evento culturale che, all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, ha proiettato la cittadina brianzola nel cuore del dibattito artistico europeo. Il Premio Lissone ha infatti ricoperto un ruolo di primo piano, grazie soprattutto ai premi assegnati da giurie d’eccellenza così come alla capacità degli organizzatori di sapersi aggiornare in tempo reale sull’arte di quegli anni. Il percorso espositivo, suddiviso per gruppi e correnti artistiche, è arricchito da un ampio apparato di disegni, carteggi, manifesti, inviti, locandine e altro materiale che attesta l’importanza della manifestazione. La mostra ospita 48 opere – per la prima volta radunate nel loro complesso – che recano le firme di Adami, Appel, Bellegarde, Birolli, Boyle, Brizzi, Brüning, Buri, Cheval–Bertrand, Crozier, Damian, De Gregorio, Dorazio, Dufrêne, Faesi, Feito, Ferroni, Francese, Guinovart, Hughes, Kessanlis, Klasen, Marfaing, Moreni, Morlotti, Murtić, Perilli, Pisani, Reggiani, Romiti, Ruggeri, Scanavino, Schifano, Schneider, Soffiantino, Tàpies, Thieler, Tomiolo, Trentini, Vedova, Verhoog, Viviani, Werner. Rivaleggiando in notorietà con la Biennale di Venezia, il Premio Lissone ha rispecchiato le tendenze più innovative nella pittura del ventennio postbellico, accogliendo correnti che andavano dal Neorealismo al Post–cubismo, dall’astrazione geometrica all’Abstraction Lyrique, dal gruppo degli Otto a quello di Corrente, da Origine a Cobra, dallo Spazialismo al Movimento Nucleare, dall’Informale all’Espressionismo astratto, dal Nouveau Réalisme al Neodadaismo, dalla Pop Art alla Nuova Figurazione, fino all’Arte cinetica e programmata.

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Telaio de L'emploi du temp di Achille Perilli, 1959 201


23 maggio 2015 20 settembre 2015 ——— LE LEGGI DELL’ATTRAZIONE design & affini: 1985–2015 a cura di Alberto Zanchetta ———

A distanza di trent’anni, la mostra de Le affinità elettive è ricordata per il suo impegno nel ripensare le forme dell’abitare, fulgido esempio di una attractio electiva duplex da cui prendere esempio ancor oggi. L’esposizione, curata da Carlo Guenzi nel 1983, intendeva stabilire una consanguineità tra la ricerca intellettuale e la plurisecolare sapienza esecutiva della manifattura lissonese che si pregiava della denominazione di “Primo Centro Italiano del Mobile”. Impegnata in progetti provenienti da mezzo mondo e sensibile ai temi della collaborazione tra cultura e produzione, la comunità mobiliera di Lissone si era mobilitata per promuovere e finanziare l’evento con l’auspicio di perseguire le affinità tra i progettisti e i produttori. L’esposizione corrente intende riportare alla luce i progetti che avevano sancito il connubio tra la capitale lissonese e il design internazionale, progetti che a distanza di tempo sono diventati degli importanti documenti storici. Concepiti all’insegna della ricerca e della sperimentazione, i disegni vengono riproposti al grande pubblico, che da allora non ha più avuto l’occasione di ammirarli in tutta la loro carica dirompente e visionaria. Come in una capsula del tempo, i fruitori del MAC ritroveranno le idee e gli schizzi di Emilio Ambasz, Gae Aulenti, Mario Botta, Pierluigi Cerri, Peter Cook, Peter Eisenman, Michael Graves, Simo Heikkilä, John Hejduk, Hans Hollein, Arata Isozaki, Luigi Massoni, Alessandro Mendini, Rafael Moneo, Adolfo Natalini, Paolo Portoghesi, Tobia Scarpa, il collettivo Site, Oswald Mathias Ungers, Ettore Sottsass, Robert Venturi.

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AffinitĂ Elettive, XVII Triennale di Milano, 1985

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06 giugno 2015 settembre 2015 ——— LE AFFINITÀ SELETTIVE coltivare, cucinare, mangiare a cura di Aldo Colonetti ———

Trent'anni fa La Triennale di Milano ospitava la mostra Le affinità elettive: un dialogo tra ventun grandi architetti sul tema utopico dell'abitare, dove interveniva il sistema artigianale e manifatturiero del territorio. Oggi queste due istituzioni si trovano nuovamente insieme per presentare Le Affinità Selettive – Premio Lissone Design Speciale EXPO 2015, una mostra in continua evoluzione che sarà ospitata in anteprima a La Triennale e successivamente al MAC di Lissone. Dodici designer si sono confrontati con il tema di EXPO 2015, “Nutrire il pianeta”, investigando e risolvendo in modo innovativo il ciclo che dalla terra arriva all'uomo, con particolare attenzione al territorio in quanto sistema produttivo e alimentare. I designer, divisi nei gruppi Coltivare (Tania da Cruz, Francesco Faccin, Ilaria Innocenti e Giorgio Laboratore, Tecnificio), Cucinare (Dossofiorito, Gionata Gatto e Alessia Cadamuro, Lanzavecchia+Wai, Francesco Meda) e Mangiare (Giorgio Biscaro, Natascia Fenoglio, Attila Veress e Zanellato/Bortotto) hanno elaborato idee che esprimono convivialità, sostenibilità, tradizione, sensibilizzazione e sociologia del territorio, I progetti dei tre gruppi verranno inizialmente presentati presso l'Agorà de La Triennale ed esposti immediatamente dopo al Museo. Tutti i progetti verranno realizzati da qualificate aziende del territorio, realtà che da sempre si distinguono per eccellenza e versatilità nella lavorazione di materiali di qualità.

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Francesco Faccin, Allevamento domestico, 2015 205


03 luglio 2015 20 settembre 2015 ——— TRACCE DI CONTEMPORANEO collezioni di arte italiana nelle ville della Brianza a cura di Simona Bartolena ———

In occasione di “Fuori Expo in Brianza”, iniziativa finanziata da Regione Lombardia e Camera di Commercio di Monza e Brianza, con il coordinamento della Provincia di Monza e della Brianza, prende avvio un progetto promosso dal Comune di Nova Milanese che coinvolge i Comuni di Cesano Maderno, Besana in Brianza, Desio e Lissone. Tracce di contemporaneo. Collezioni di Arte italiana da Lucio Fontana alla contemporaneità nelle ville della Brianza propone un tour all’insegna dell’arte, dal Novecento fino ai giorni nostri, percorrendo le strade del collezionismo brianteo, insieme alla scoperta delle bellezze architettoniche del territorio. Le opere, selezionate dalle raccolte private della provincia di Monza e Brianza, verranno esposte nelle varie sedi per nuclei omogenei, mettendo a confronto linguaggi, grammatiche e tendenze stilistiche. Da Fontana a Manzoni, da Bonalumi a Castellani, da Tancredi a Scanavino, da Uncini a Crippa, da Colombo a Grazia Varisco: un vero e proprio viaggio nella storia dell’arte italiana dagli anni Sessanta agli anni Novanta, alla scoperta dei gioielli nascosti delle collezioni private. L’itinerario comprende anche il MAC di Lissone, rinomata sede museale, che ospiterà una selezione di opere appartenenti a quella stagione di radicale rinnovamento della pittura che Lucio Fontana aveva tenuto a battesimo nel suo studio milanese.

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Tracce di contemporaneo, 2015 207


26 settembre 2015 20 dicembre 2015 ——— BEYOND ENVIRONMENT il progetto dell'ambiente in Europa e in America a cura di Emanuele Piccardo e Amit Wolf ———

Beyond Environment indaga il concetto di enviroment attraverso il lavoro di Gianni Pettena, Allan Kaprow, Gordon Matta–Clark, Robert Smithson, Ugo La Pietra, UFO e 9999, stabilendo una serie di relazioni tra arte e architettura, tra arte e natura, nella consapevolezza che solo un’educazione non convenzionale può essere ancora attuale nel “progetto dell'ambiente”. Mentre in Italia l'environment è urbano, rappresentato dalla piazza come spazio di espressione del pensiero politico, negli States l'environment coincide, nella versione di Kaprow, con lo spazio della galleria per poi spostarsi nello spazio esterno. Diverso è il caso di Robert Smithson, che sin dall'inizio agisce in un contesto alterato dall'azione della natura stessa oltre che da l'uomo, come dimostra la sua celebre Spiral Jetty. La differenza nel concepire l'environment tra Italia e America è testimoniata dagli interventi condotti da Gianni Pettena. La ricerca che lui attua, dal '68 al '72, si focalizza sull’emersione delle criticità della città, enfatizzando in modo provocatorio il rapporto tra spazio e pubblico. I suoi progetti, insieme a quelli elaborati da Ugo La Pietra e dal gruppo UFO, risentono infatti del clima politico del Sessantotto e delle rivolte studentesche. Diversamente, i lavori americani di Pettena, liberi da quel vincolo, riescono a esprimere forme e linguaggi autonomi che – senza imitare le ricerche dei landartisti – continuano a rimanere all'interno dei confini urbani, attitudine che ne caratterizza la ricerca teorica.

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Gianni Pettena, Tumbleweeds Catcher, Salt Lake City – USA, 1972 209


26 settembre 2015 29 novembre 2015 ——— ZERO IN THE MIRROR Christian Megert & Nanda Vigo a cura di Marco Meneguzzo e Alberto Zanchetta ———

A cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, Zero fu un movimento transnazionale che coinvolse molti centri della cultura europea, favorendo un fervido scambio di idee e progetti. Il susseguirsi di esposizioni connesse a Zero anche in anni recenti è una lampante testimonianza di quel clima culturale che gravita attorno alle suggestioni di un nuovo idealismo e di una rinnovata sensibilità (al reale, alla vita, alla percezione, alla luce) in cui può avverarsi un’integrazione tra arte, design e architettura per riuscire a conciliare tra loro l’uomo, la natura e la tecnica. Le opere esposte nella mostra Zero in the mirror ricorrono a superfici specchianti che, nelle intenzioni degli artisti, sono impressioni avvolgenti, essenziali e allo stesso tempo illimitate. In modo autonomo ma affine, Nanda Vigo e Christian Megert hanno incentrato le loro ricerche sull’impiego di specchi che sono in grado di generare un movimento spaziale in cui l’immagine viene deviata, moltiplica, frammenta. Al di là di un’ottica convenzionale, le opere ci introducono a una visuale in perenne mutamento. Se Megert ha esortato più e più volte le persone a tenere uno specchio sollevato di fronte a un altro specchio per «trovare uno spazio di infinite possibilità», Nanda Vigo ha sempre ribadito la necessità di sperimentare le «rifrazioni degli specchi che rimandano labirintici sistemi di luci». In queste loro opere ritroviamo infatti quella purezza della luce vaticinata da Otto Piene, fondatore e teorico del Gruppo Zero cui è dedicata la mostra lissonese. Gli artisti ricordano inoltre con affetto la recente scomparsa di un altro grande artista del “movimento” Zero, Bernard Aubertin, amico e gentile compagno di strada.

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Nanda Vigo e Christian Megert, Zero in the mirror, 2015 211


26 settembre 2015 29 febbraio 2016 ——— ENRICO CAZZANIGA fuoristrada installazione temporanea ———

FuoriStrada di Enrico Cazzaniga è una Range Rover ricoperta di asfalto. Collocata a Cabiate nel 2009, due anni dopo è stato esposta a Torino, nella Sala Nervi del Palazzo delle Esposizioni. Dal 2011 fino ai primi mesi del 2015 l’opera è stata ospitata anche nel Parco Sculture di Briosco, e nel giugno di quest’anno presso il Museo del Legno di Cantù. Il piazzale antistante il Museo di Lissone è l’ultima tappa di questo percorso espositivo attraverso i territori della Brianza. L’idea prende in esame la possibilità di trasformare la Range Rover di Cazzaniga in una scultura. Dopo aver percorso le vie stradali per oltre quindici anni, l’intervento artistico punta a rendere l’oggetto meccanico opera d’arte a sé, con un suo preciso significato. La vettura che ha macinato innumerevoli chilometri viene essa stessa agglomerata alla strada, rendendosi contemporaneamente luogo adatto al viaggio nonché sede di viaggio. La carrozzeria, interamente ricoperta di uno strato di composto bituminoso, è tale da renderla d’asfalto come le strade finora percorse. Sulla superficie è inoltre dipinta una striscia bianca, come le consuete segnalazioni orizzontali che compaiono sopra il manto stradale.

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Enrico Cazzaniga, FuoriStrada, 2009–11 213


07 novembre 2015 29 novembre 2015 ——— DE SCULPTURA summa summarum a cura di Alberto Zanchetta ———

In attesa delle nuove mostre in programma, il piano terra presenta una selezione di unidici opere in comodato d’uso o appartenenti alle collezioni permanenti del Museo: Santo anch’io di Arnold Mario Dall’O, Brecia di Willy Verginer, Il dorso delle cose di Luca Coser, Giano di Daniele Carpi, Quasi verticale di Igino Legnaghi, [!m’a:t?t”e(o)f;a.t,o‽] di Matteo Fato, Ascensione e caduta con sguardo piumato di Fabrizio Prevedello, Pausa relax di Armida Gandini, Fermo di Lorenzo Damiani, Unione e Origine di Andrea Cascella.

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Igino Legnaghi, Quasi verticale, 1978 215


10 dicembre 2015 23 gennaio 2016 ——— SALVO il migliore a cura di Alberto Zanchetta ———

Una volta Salvo ha detto che «ciò che sta tra un imbiancare un muro e fare la Gioconda si può chiamare pittura». Se a lungo andare le pareti rischiano di scrostarsi, i quadri di Salvo non sono fatti di banale calce e tempera muraria, al contrario: sono come pietra dura, imperturbabile, solida e solenne. Non è un caso che nel trattato Della pittura – Imitazione di Wittgenstein, scritto dall’artista nel 1989, ricorra più e più volte il riferimento alla durezza delle pietre, che il pubblico aveva imparato a riconoscere nelle lastre di marmo da lui realizzate nei primi anni Settanta. La letteratura epigrafica incisa in quelle opere preannunciava una pacifica messa a morte dell’arte concettuale, quasi fossero delle pietre miliari che scandivano il ritorno alla pittura. Salvo è stato tra gli artisti che per primi hanno ripreso a frequentare i musei per poter dialogare con il passato. È su queste premesse che il MAC rende omaggio a un artista che ha sempre saputo infondere grazia e ingegno nel suo lavoro. Come i sassolini di Pollicino che lo riconducevano a casa, le Lapidi di Salvo ci permettono di risalire a ritroso nel tempo, nella storia e nell’arte, ritrovando le radici stesse dell’artista.

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Salvo, Effetto di tutte le cause, 1971 217


10 dicembre 2015 23 gennaio 2016 ——— [dis]APPUNTI Baricchi–Ferreri–Meoni–Morandi a cura di Alberto Zanchetta ———

Una mostra suddivisa in quattro par[e]ti e altrettanti artisti, le cui opere ci appaiono come piccoli appunti visivi sottoposti a una vivace disseminazione nello spazio e nel nervo ottico. I quadri di Mirko Baricchi si snodano tra macchie, aloni e atmosfere ovattate. L’artista asseconda un’azione (del vedere) e una reazione (del dipingere) capaci di dare libero corso a una infaticabile, irrefrenabile libertà espressiva. Mescolando elementi preesistenti, Francesca Ferreri insiste su un sottile gioco di sintesi e di dilatazione della materia. Le collisioni e gli occultamenti delle sue opere restano però sempre, fortemente elusive. La pittura di Beatrice Meoni scruta oggetti quotidiani, usurati o in frantumi, che vengono messi en pose, quasi a voler ricomporre un discorso frammentario, interrotto e più volte ripreso. La vena artistica di Albano Morandi si origina da “cose umili” sulle quali l’artista interviene in modo minimo eppur determinante. Le sue opere sembrano reliquie di un quotidiano che non potrebbe essere più straordinario di così.

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Francesca Ferreri, Memoria di uno stress, 2014

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10 dicembre 2015 10 gennaio 2016 ——— EX CORPORE per Francesco Mariani a cura di Alberto Crespi ———

Francesco Mariani compie un personale itinerario di ricerche estetiche collegate con i materiali della professione: al disegno e alla pittura affianca il niello e l’incisione su tavole rivestite di polimeri, iniziando così l’attività espositiva lungo gli anni Settanta. Nel 1995 aderisce per un decennio al Gruppo Koiné, crogiolo di sperimentazioni istallative e performative in ambienti avulsi all'ufficialità dell’arte. La mostra presenta l’installazione inedita Ex corpore e dà seguito a quella che era la volontà dell’artista, prima di quell’incidente che tuttora gli impedisce di essere presente accanto alla sua opera. Questo progetto vuole configurarsi come “memoria attiva”, a sostegno di quell’ispirazione – e di quella urgenza del fare artistico – che nessun impedimento può vanificare.

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Francesco Mariani, Ex corpore, 2011 221


10 dicembre 2015 17 gennaio 2016 ——— LUCA BARBIERO resurgam a cura di Matteo Galbiati ———

Protagoniste della prima mostra personale di Luca Barbiero in uno spazio museale sono due sculture in marmo, esemplificative della specificità di un linguaggio con cui l’autore traduce la sua ricerca plastica. Nelle mani di Barbiero, il marmo fonde due principi essenziali: la rappresentazione in forma monumentale di un oggetto comune e lo strumento dell’ironia, che interviene alterando lo status quo delle cose. Post fata resurgam è una benna che viene riproposta in marmo e in scala reale. Nel titolo dell’opera (traducibile in “risorgerò alla fine dei tempi”) annotiamo quel pensiero che l’oggetto ci aveva già parzialmente introdotto e suggerito: il tema della buca–fossa, il loculo estremo dove le nostre spoglie mortali attendono l’ineffabile vita dopo la morte. In relazione alla benna troviamo un’altra opera in marmo: Tam Tam, un tavolo da gioco perfettamente funzionante che riproduce le forme di una bara. Impegnando un unico giocatore alla volta, Tam Tam è una partita che si gioca con la Morte. In altre parole, l’opera ci ricorda che siamo soli davanti all’imperscrutabile destino che ci attende.

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Luca Barbiero, Post fata resurgam, 2015 223


10 dicembre 2015 23 gennaio 2016 ——— UNA GITA NEL BOSCO un progetto di Annalisa Furnari, Fabio Marullo e Gianni Moretti ———

Una gita nel bosco è un progetto tenutosi nel quartiere di Schöneberg, a Berlino, dove i collezionisti Haarmann e Bloedow hanno messo a disposizione la propria abitazione privata. Il piano di lavoro consisteva in un intervento svolto da artisti, critici e curatori, invitati a esprimersi su un tema comune, quello dell'ingenuità. Attraverso opere e testi, l'analisi ha dato vita a un rapporto di scambio e collaborazione, senza ruoli o gerarchie prestabilite. Martina Cavallarin, Stefano Franchini, Annalisa Furnari, Alice Ginaldi, Olaf Hajek, Veronica Liotti, Fabio Marullo, Concetta Modica, Gianni Moretti, Marco Pezzotta, Michele Tocca, Sophie Usunier e Alberto Zanchetta si sono espressi sull'argomento preso in esame attraverso un proprio contributo. L'esposizione, riadattata ed arricchita per gli spazi del MAC, si affianca a un piccolo simposio aperto al pubblico dove si avvicenderanno i punti di vista di alcuni dei partecipanti, che dibatteranno sul tema del progetto, riflettendo su un concetto che è d'interesse comune.

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Una gita nel bosco, 2015

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10 dicembre 2015 23 gennaio 2016 ——— ARC#IVE, VOLUME 1 Mauro Staccioli a cura di Lorenzo Respi ———

Impegnati sia nell’organizzazione e conservazione dei documenti degli artisti, sia nell’aggiornamento delle loro opere, gli Archivi svolgono un importante ruolo all’interno del sistema dell'arte. Fondamentali non soltanto per la loro funzione di catalogazione, tutela e promozione artistica, gli Archivi incentivano ricerche a fini di studio o di pubblicazione, impegnandosi altresì nella organizzazione di seminari ed esposizioni. A conferma del ruolo e dell’attività da loro svolta, il MAC intende divulgare la conoscenza di questi Archivi presso il grande pubblico. Il progetto, nato da un’idea di Alberto Zanchetta, permette di consultare materiali afferenti a un particolare periodo o evento connesso alla vita di un artista. La disponibilità di questo materiale non costituisce quindi un semplice corollario all’interno di un percorso espositivo ma diventa esso stesso il perno di una serie di mostre che si protrarranno nel corso dell’anno. Inaugura il percorso la mostra dedicata a Mauro Staccioli. L’Archivio che tutela e promuove il suo lavoro è nato nel 2012 e ha sede presso la Galleria Il Ponte di Firenze, che da anni segue l’attività dell’artista. La mostra a Lissone presenta un’accurata selezione di materiali originali, per la maggior parte inediti, tra cui i primi schizzi per la realizzazione del “Muro” eretto alla Biennale di Venezia del 1978 e l’invito a partecipare al Simposio di Scultura organizzato in occasione delle Olimpiadi di Seul del 1988. Taccuini personali e altre fotografie raccontano invece gli incontri e le frequentazioni dello stesso Staccioli.

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Testo dattiloscritto di Mauro Staccioli per la XXXVIII Biennale di Venezia, 1978 227


14 gennaio 2016 ——— RUMORE ROSSO Di Caprio–Migliore–Rotondi mostra e concerto ———

Rumore Rosso è un progetto di Nicola Di Caprio, Bartolomeo Migliore e Michael Rotondi, artisti che intendono rileggere il rumore per mezzo di un'installazione e di una performance electro–noise. I tre artisti confrontano il loro metodo di produzione con un'attitudine musicale che è colonna sonora proveniente dal paesaggio urbano/industriale combinato al timbro delle varie subculture. Il questo circuito visivo, l’esposizione presenta parole e slogan che Bartolomeo Migliore dipinge sulla tela, come gesto pittorico e ricerca di una fonetica visiva; Nicola Di Caprio espone invece innesti scultorei che attingono a frammenti e parti di materiali fonografici; infine, un tracciato ambientale di Michael Rotondi traduce il titolo di una canzone nel racconto di un ricordo. Durante l’inaugurazione, gli artisti realizzeranno una performance di suoni, ritmi e rumori per creare uno “spazio sonico” di condivisione collettiva.

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Nicola Di Caprio, Deus Ex Machina, 2014

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06 febbraio 2016 esposizione permanente ——— LA COLLEZIONE DEL PREMIO LISSONE a cura di Alberto Zanchetta ———

Il nucleo fondante del patrimonio culturale del Museo d’Arte di Lissone, formatosi sui fasti dello storico Premio Lissone, torna a essere ospitato nella sala dedicata a Gino Meloni, collocazione definitiva che corrisponde anche a un inedito allestimento. Ispirato a una fotografia scattata nel 1955, che ritrae Guido Le Noci mentre impartisce direttive sulla disposizione dei dipinti partecipanti al IX Premio Lissone, il nuovo allestimento si ispita alle Wunderkammern e nei Cabinets des amateurs. Nei secoli XVIII e XIX era consuetudine appendere i dipinti a ranghi serrati, gli uni accanto agli altri, cornice contro cornice, partendo dal pavimento fino al soffitto, a formare una specie di seconda parete. Pensati come elaborate tappezzerie, gli allestimenti assecondavano uno spirito tassonomico e permettevano allo sguardo di riconoscere i generi e le loro gerarchie. È su queste premesse che la collezione permanente pone in contiguità gli artisti e le loro opere, gli stili e i movimenti pittorici, concependo la raccolta stessa come un insieme indivisibile che definisce il contesto in cui è contenuta: attraverso questa collezione si possono comprendere le radici storiche e le ragioni culturali che nell’anno 2000 hanno portato alla fondazione del MAC. A Settant’anni dalla prima edizione del Premio Lissone, giunge così a compimento questo sforzo ordinatore che va dalla “raccolta” alla sua definitiva “sistematizzazione”.

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Invito Galleria Schettini, Milano 1953

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06 febbraio 2016 03 aprile 2016 ——— LA GORGIERA DEL TEMPO a cura di Alberto Zanchetta ———

La Gorgiera del Tempo non è l’ennesima mostra museale ma un progetto gravido di soluzioni formali. Per la prima volta, al MAC di Lissone verrà meno l’idea della mostra come “forma chiusa”, l’allestimento sarà infatti rimaneggiato di continuo, sviluppando possibilità e potenzialità latenti. Questa esigenza nasce dal fatto che si nega al grande pubblico il piacere di assistere al farsi stesso di una mostra, a quel processo di maniacale cesellatura attuata dagli artisti in dialogo con i loro curatori, impegnati a inseguire la “migliore delle forme possibili”. Anziché rifinire l’allestimento in tempo utile per l’inaugurazione, si cercherà viceversa di ri[de]finirlo di volta in volta, durante tutta la decorrenza dell’esposizione. Lo spettatore che visiterà l’esposizione nel corso dei mesi noterà com’è possibile costruire, riassemblare e integrare l’esposizione, che diventerà un’opera essa stessa, ma soprattutto ne svelerà i meccanismi interni. Fedele allo sgravio delle categorie, il progetto permette di accostare opere autografe e oggetti anonimi assieme ad arredi e arnesi funzionali all’allestimento. Tale connivenza non è legata solo allo spazio da loro occupato, ma anche al tempo e al gusto cui appartengono. Nella lingua francese, gorgiere deriva da Gorge, “gola” (laddove abbiamo imparato ad associare la nostra educazione estetica), a rimarcare il fatto che il gusto può rinnovarsi ma non deve mai essere rinnegato. Proprio per questo motivo, l’arte moderna e quella contemporanea dialogheranno tra loro – e con il contesto – in totale libertà. Così come non è possibile immergersi due volte nello stesso fiume, la natura in fieri di questo progetto non consentirà mai al pubblico di vedere la stessa mostra.

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Mosè Bianchi, Il Conte Egidio, 1867 233


06 febbraio 2016 03 aprile 2016 ——— LUIGI CARBONI chi può aver camminato sull’erba? a cura di Alberto Zanchetta ———

L’esposizione presenta un ciclo di opere recenti, tutte inedite, in cui classicità e sperimentazione convivono in una dialettica del paradosso. Rinunciando a ogni perentoria dichiarazione di metodo, Luigi Carboni pone l’attenzione sul confine tra la figurazione e l’astrazione, tra lo stile decorativo ed espressioni più intimistiche. I segni, i paesaggi e i corpi si alternano sulla superficie della tela generando piccoli inganni che hanno la parvenza del vero. Questi incontri, in parte visibili, in parte solo suggeriti, danno vita a un flusso di immagini che si disperde nei piani prospettici, nella totale assenza di una spazialità tradizionale. La natura e le figure si sostengono a vicenda, fino a confondersi, creando una pittura di doppi fondi. Tale accorgimento è dovuto ai fori che appaiono nelle opere, considerati come spazi di sosta e di svuotamento della forma; è grazie a questi fori che Carboni dichiara di non voler descrivere un esterno (la superficie del quadro) ma un interno (ossia la pittura stessa), in cui non viene evocata la realtà ma la sua immagine riflessa. L’invenzione contenuta nelle opere assume le caratteristiche di una riflessione concettuale, in cui la pittura desidera ricreare uno spazio ove sia ancora possibile riflettere sul concetto della bellezza. Oltre alle opere su tela, la mostra presenta una serie di sculture che sono una diretta emanazione del processo pittorico: un’unione di incertezze e contraddizioni che convivono nella loro diversità.

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Luigi Carboni, L’occorrenza del ventaglio, 2014 235


06 febbraio 2016 03 aprile 2016 ——— DITTICO Guglielmo Castelli & Giuseppe Gonella a cura di Alberto Zanchetta ———

In concomitanza con il settantesimo anniversario dello storico Premio Lissone, il MAC dedica una bipersonale a Guglielmo Castelli e Giuseppe Gonella. Annoverati tra le fila dei giovani vessilli della disciplina pittorica, nel corso degli ultimi anni Castelli e Gonella si sono distinti sia a livello nazionale sia Oltralpe, riscuotendo l’attenzione della critica e del pubblico. Entrambi gli artisti intendono ridefinire i codici della pittura figurativa, in cui l’immagine giunge a un progressivo grado di dissoluzione formale, più evocativa che descrittiva. Nelle opere di Castelli ritroviamo un’inconfondibile cifra stilistica, dettata da sfondi monocromi e figure slavate. Sospesi nel tempo e nello spazio, le anatomie dei personaggi sprofondano in un silenzio opprimente: il disagio esistenziale viene infatti attenuato – e non già lenito – dalle nuance del colore, fino a perdere ogni grado di intensità. Giuseppe Gonella concentra la sua attenzione sulla carica espressiva ed emotiva del colore. L’impasto pittorico, sempre denso e gravido di invenzioni, deforma i soggetti per renderci partecipi di sentimenti e suggestioni che attingono alla vita quotidiana.

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Guglielmo Castelli, Infinita è la notte, 2014 237


06 febbraio 2016 03 aprile 2016 ——— FILIPPO BERTA sulla retta via a cura di Alberto Zanchetta ———

Le inquadrature di Sulla retta via ci mostrano una battigia calpestata da uomini e donne disposti in fila indiana. La loro traiettoria è ondivaga proprio come l’acqua che, dopo aver risalito la china della spiaggia, si arresta e si ritira. Le persone avanzano e al contempo si ritraggono, cercano in tutti i modi di seguire la linea tracciata dalla schiuma del mare, marcando con il loro passaggio una traiettoria che è in perenne trasformazione. Nelle immagini che scorrono si ode il brusio del vento e lo sciabordio delle acque, “silenzio” che ci obbliga a osservare più attentamente il movimento a serpentina che si snoda sul bagnasciuga, quell’ipnotica e inane oscillazione umana che insegue la risacca del mare. L’unicità con cui ogni onda si frange sulla battigia mette in evidenza le piccole discrepanze tra i movimenti e i gesti delle singole persone (a rimarcare una differenza all’interno della società di cui fanno parte). Ma se a ogni piè sospinto i precedenti vengono cancellati, e il percorso dimenticato, di quest’esperienza non resterà altro che un dolce naufragar nell’effimero?

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Filippo Berta, Sulla retta via (On the straight and narrow), 2014

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06 febbraio 2016 03 aprile 2016 ——— ARC#IVE, VOLUME 2 Gabriele Devecchi a cura di Simona Santini ———

ARC#IVE è un’occasione per spiare dal “buco della serratura” e conoscere aspetti poco noti della vita personale o professionale di un grande artista del nostro tempo. Seconda tappa di questo percorso negli archivi dell’arte è la mostra dedicata a Gabriele Devecchi. Nato a Milano nel 1938, dove ha vissuto sino alla sua scomparsa, sopraggiunta nel 2011, Devecchi è stato uno dei protagonisti dell’Arte cinetica e programmata. Nel 1959 ha fondato, insieme a Giovanni Anceschi, Davide Boriani e Gianni Colombo, il celebre Gruppo T, cui presto aderisce anche Grazia Varisco. Oltre che artista, Devecchi è stato designer e imprenditore. Per il proprio laboratorio di argenteria, ereditato dal padre Piero nel 1962, ha creato oggetti entrati nella storia del design italiano. L’Archivio Gabriele Devecchi è nato nel 2015 e si propone di promuovere, sviluppare e coordinare le attività inerenti l’artista, realizzando e fornendo assistenza per la progettazione di mostre, pubblicazioni e altre iniziative culturali. La mostra presenta una selezione di materiali originali, tra cui i pieghevoli delle mostre Miriorama, alcuni cataloghi “cinetici”, fotografie dell’artista, disegni di oggetti e gioielli cinetici.

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Lettera dattiloscritta di Enrico Crispolti a Gabiele Devecchi, 13 marzo 1979

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16 aprile 2016 10 maggio 2016 ——— I “PAESAGGI” opere grafiche di Gino Meloni a cura di Alberto Zanchetta ———

Viene esposta per la prima volta al Museo una cartella grafica di Gino Meloni dal titolo “Paesaggi”. Si tratta di sei acqueforti stampate da Giorgio Upiglio nel 1972 per conto della Galleria delle Ore di Milano, presso cui Meloni aveva allestito quattordici personali in un arco temporale che si snoda dal 1962 al 1986. Alle acqueforti sono affiancati due Studi per un paesaggio (inchiostri e acquerelli su carta) degli anni Quaranta, a sancire una continuità tematica e affettiva col territorio brianteo: «Essere lombardo», diceva l’artista, «vuol dire che c’è tutta la tua storia, dentro c’è il contadino, il senso della struttura, il sentimento sensuale della terra…». Nato a Varese nel 1925, Meloni si forma all’Istituto d’Arte di Monza e all’Accademia di Brera. Il 23 febbraio del 1989 muore a Lissone, sua città adottiva.

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Gino Meloni, Marcel Brion e Guido Le Noci, Parigi 1956 243


16 aprile 2016 10 maggio 2016 ——— MICHELE LOMBARDELLI + LUCA SCARABELLI a cura di Rossella Moratto e Alberto Zanchetta ———

Le opere di Michele Lombardelli si caratterizzano per una costante contaminazione tra linguaggi visivi e sonori all'interno di una poetica che tocca l'assurdo, il non finito, l'irrisolto. Attraverso elementi distanti e discordanti, i lavori di Lombardelli tentano di creare una nuova simmetria e una differente, possibile, comprensione che sembra (apparentemente) priva di verifica. Nelle immagini dipinte, disegnate o fotografiche emergono assemblaggi che sembrano svincolarsi dalle proprietà dei materiali di cui sono composti, rivelando equilibri instabili e vulnerabili. In questo modo l’artista riesce a privare le opere della loro funzione, destrutturando o spostando i significati per accentuarne il potere evocativo. La ricerca di Luca Scarabelli si sviluppa con continue sperimentazioni e una particolare attenzione verso le problematiche che riguardano l'indifferenza dello sguardo, l’equilibrio precario, la dialettica tra l'ordine e il disordine, il senso dell’attesa, la caduta, il fallimento e l’inframince duchampiano. Alla tecnica del collage, Scarabelli affianca anche quella dell’assemblaggio, che consiste nel montaggio di svariati oggetti; a volte è sufficiente un semplice spostamento, uno scarto minimo, quasi un “furto con destrezza”, affinché l’artista riesca a produrre le sue epifanie infrasottili, sfuggenti ed enigmatiche.

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Michele Lombardetti + Luca Scarabelli, 2016 245


16 aprile 2016 ——— UNTITLED NOISE portion of user interface in a sound activity performance ———

Il progetto Untitled Noise, nato nel 2014, coinvolge Michele Lombardelli e Luca Scarabelli, artisti il cui interesse li ha spesso portati a collaborazioni multidisciplinari. All’interno della loro mostra bipersonale, i due artisti ospitano la dimensione creativa del suono che si connota come un’installazione le cui linee noise rimandano all’incompiuto, al flusso, alla ripetizione differente e alla sospensione del tempo. L’improvvisazione, concepita come filosofia e metodologia compositiva, permette il dialogo fra i due artisti, i quali sperimentano il suono con diversi sistemi elettronici e altri strumenti inventati con materiali d’uso quotidiano, per un incrocio di visioni/emozioni sospinte e modulate dal suono in fieri.

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Michele Lombardelli e Luca Scarabelli, Untitled Noise, 2014 247


16 aprile 2016 10 maggio 2016 ——— PIERLUIGI PUSOLE P/16 a cura di Alberto Zanchetta ———

Dalla metà degli anni Novanta, Pierluigi Pusole è impegnato nel tentativo di rifondare il mondo attraverso la pittura. All’artista non interessa dipingere un simulacro della realtà, egli desidera semmai crearsi il proprio vivaio di forme. Come in una gaia scienza, la biosfera di Pusole si sublima in un Egosistema pittorico: non il migliore dei mondi possibili ma la possibilità di un mondo migliore. In questa nuova fase della sua ricerca, l’artista passa da creatore ad architetto di paesaggi; è come se Pusole cercasse di arginare il campo d’azione dei suoi macrosistemi, quasi a volerne ridurre le variabili e limitarne l’ipertrofia labirintica. Le opere ci appaiono come una sequenza di ritagli su carta, appunti o grafici statistici che tendono ad accumularsi gli uni sugli altri. Sono “progetti” che prendono forma su un tavolo di lavoro in cui l’artista continua a sperimentare il segreto della pittura. A dispetto di una più semplice ars topiaria, Pusole cerca di ottenere un paesaggio antropizzato, caratterizzato da una fitta vegetazione e da ambienti lacustri che sono dominati da intensi cromatismi. In uno spazio omnicomprensivo e in un tempo omogeneo, l’opera entra così in competizione con il sistema formale più complicato e aperto, quello di Madre Natura.

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Pierluigi Pusole, 15, 2015 249


16 aprile 2016 10 maggio 2016 ——— PAOLO RADI al divenire a cura di Lorenzo Respi ———

Paolo Radi ha orientato la sua ricerca allo studio dei volumi e alla ridefinizione delle relazioni spaziali, attraverso la sperimentazione dei materiali sintetici, tra cui il perspex, il pvc e la gomma siliconica. Al Divenire è il fulcro ideale e fisico dell’allestimento che l’artista ha progettato a Lissone. Un vortice oscuro, profondo, si contorce tra le spirali della sua stessa materia costitutiva, imprigionato da una superficie di perspex che lo costringe all’immobilità, impedendogli di emergere alla vista. L’opera manifesta la sua condizione di moto apparente e, nello stesso tempo, la sua tensione al “cambiamento di stato” attraverso il rapporto con la luce e lo spazio circostante. L’allestimento è completato da una serie di carte di grandi dimensioni, realizzate a tecnica mista, che raccontano il processo mentale che ha condotto Radi a indagare e ragionare su concetti universali quali l’infinito (inteso come indefinitezza e orizzonte), la ciclicità (del tempo e dello spazio), lo spazio (superficie e volume).

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Paolo Radi, Al Divenire, 2016 251


16 aprile 2016 10 maggio 2016 ——— MARCO SAVERIANO PurpleRain a cura di Silvia Conta ———

PurpleRain indaga la relazione tra la casualità e la progettualità. Marco Saveriano riflette infatti su un duplice rapporto: da un lato, la costante pianificazione che ogni individuo opera durante lo svolgimento di azioni pratiche e in funzione di decisioni in una prospettiva più ampia; dall’altro, tutti quei fattori che determinano la sfasatura degli eventi rispetto all’idea originaria. Le cause che determinano questa discrepanza possono variare da fatti evidenti, di immediata leggibilità, fino a impulsi inconsci, che condizionano l’individuo a sua insaputa. La sgocciolatura della cera corrisponde a un processo meditativo sui meccanismi di relazione tra l’individuo, le sue scelte e i fattori incontrollabili che le influenzano. In questo caso, l’abolizione della forma fissa dell’opera corrisponde alla rinuncia a un’illusoria definizione, in quanto non potrà mai essere sottratta alla casualità degli eventi. Saveriano lascia quindi che PurpleRain sia libera di ridefinirsi innumerevoli volte: sempre diversa benché resti sempre se stessa.

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Marco Saveriano, PurpleRain, 2016 253


16 aprile 2016 10 maggio 2016 ——— FORME DEL BUIO un’opera di Piero Fogliati omaggio all’artista recentemente scomparso ———

Piero Fogliati se n’è andato in punta di piedi, così come aveva sempre vissuto. Ci ha lasciato in silenzio, lui che era riuscito ad ammutolirci ogni qualvolta che le sue opere prendevano vita, sprigionando la loro “magia” interna. A suggellare l’unicità e l’importanza di Fogliati nel panorama artistico, il MAC aveva in programma una mostra con le sue opere più rappresentative. Afflitto da una malattia di lungo corso, Fogliati non ha potuto essere partecipe di questo progetto, che il figlio Paolo ha deciso di portare a compimento, qui a Lissone, il prossimo 14 maggio. Volendo ricordarlo a poche settimane dalla sua scomparsa, il Museo ha deciso di esporre una delle sue creazioni più atipiche: Forme di buio. Con quest’opera si offre al pubblico una parte “speculare e avversativa” della mostra prevista per il prossimo mese. Non quindi una semplice anticipazione bensì la sua antitesi. Se Fogliati ha sempre lavorato con l’obiettivo di modellare la luce, Forme di buio è invece l’assenza di luce. Come ricorda l’artista, l’idea gli era venuta osservando le girandole disseminate sui tetti di Berna: «Mentre osservavo queste girandole, mi venne in mente che sarebbe stato interessante scavare la luce. Non plasmare la luce, ma poter creare un vuoto nella luce. Fare il negativo». Con questa “vitalità del negativo” il MAC desidera salutare l’astro brillante di Piero Fogliati.

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Piero Fogliati, Forme di buio, 1977 255


14 maggio 2016 30 luglio 2016 ——— PIERO FOGLIATI teoria del pluriverso a cura di Alberto Zanchetta ———

Immaginiamo che l’universo non sia soltanto uno ma che esista un “pluriverso” (perché il contrario di uno non è zero, né due, ma molti). Piero Fogliati è stato in grado di immaginare questo pluriverso straordinario, inebriante, elettrizzante. Per suggellare il genio e l’unicità di Fogliati, questa mostra raccoglie un’accurata selezione di opere storiche: dalla Luce solida al Prisma meccanico, dal Rivelatore cromocinetico al Fleximofono fino al Reale virtuale. Al contrario dei prestigiatori, che non rivelano mai i loro trucchi, Fogliati ci ha sempre messo a diretto contatto con gli “strumenti del mestiere”, senza tuttavia inficiare il senso di meraviglia che le sue opere ci trasmettono. In Fogliati non c’è trucco, non c’è inganno: c’è solo ingegno. Per Fogliati l’arte non è finzione ma incanto e stupore. Quello stesso stupore che ha saputo imbrigliare nelle sue “scatole magiche” alimentate dall’elettricità, o forse dai sogni (perché, come diceva Sartre, l’acte d’imagination est un acte magique). Grazie a una formidabile dimestichezza con la meccanica, l’artista è riuscito a dar vita a una tecnologia decisamente sofisticata, non tanto nella sua sostanza quanto semmai nel suo scopo. Ancor più che opere d’arte, quelle che noi vediamo sono le invenzioni di un “visionario” che si è interrogato sui fenomeni luminosi e acustici.

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Piero Fogliati, Reale Virtuale, 1993 257


14 maggio 2016 30 luglio 2016 ——— GRAZIA VARISCO il corpo come campo dei sensi a cura di Alberto Zanchetta ———

La XII edizione del Premio Lissone è a tutt’oggi ricordata come la più importante e memorabile, merito anche della sezione “Informativo–Sperimentale” in cui Grazia Varisco aveva esposto una Tavola magnetica. L’occasione di questo suo ritorno nella cittadina briantea non è vincolato a nostalgici amarcord, sancisce anzi il desiderio di soffermarsi sulla ricerca che l’artista ha sviluppato dai primi anni del Duemila fino ai giorni nostri. Ovviamente e inevitabilmente qualcosa è cambiato nelle “regole del gioco” degli ultimi cinque lustri. Esemplificativi di questo atteggiamento sono i Double, opere che si prestano a un’ampia gamma di associazioni divergenti: fronte e retro, dentro e fuori, noto e ignoto. Dello stesso avviso sono pure Sollevo/Sollievo e R. RotoReteRossa che intrattengono con il mondo delle idee un rapporto basato su volumi animati da tensioni e suggestioni interne. Il ciclo dei Silenzi si compone invece di passepartout che ritagliano “spazi di vuoto”. Sfasamenti, sospensioni, sorprese caratterizzano i Quadri comunicanti: arcipelaghi di forme geometrizzanti che disegnano un’orizzonte di stimolazioni, sensazioni e suggestioni. Non dissimili sono i Ventilati di cartone vegetale e i Rivelati di metallo, i cui fogli ci appaiono ripiegati su se stessi, come fossero sospesi a un filo invisibile. Infine, con le Risonanze al tocco l’artista incoraggia gli spettatori a interagire con l’opera, senza timori, né imbarazzi, giocando con il senso dell’udito.

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Grazia Varisco, Risonanza al tocco, 2010 259


14 maggio 2016 30 luglio 2016 ——— TOMAS RAJLICH ab imis a cura di Alberto Zanchetta ———

Quarant’anni dopo la storica mostra “Fundamentele Schilderkunst” allo Stedelijk Museum di Amsterdam, Tomas Rajlich ci ha insegnato quale sia l’aspetto fondante e fondamentale della pittura. Come molti altri artisti della sua generazione, Rajlich era considerato “eroico” proprio perché si ostinava a dipingere, insistendo su una disciplina che nel corso dei decenni sarebbe giunta a ridefinire il proprio linguaggio. Rifacendosi a una dichiarazione d’intenti che si vaticinava nell’azzeramento, l’artista ha sviluppato razionalità e necessità interiori. Lasciandosi alle spalle giorni, settimane, mesi, anni di tenace lavoro, Tomas Rajlich ha coscienziosamente messo in discussione l’anatomia del quadro, pungolato dall’innocenza del perfettibile oltre che dal logico divenire delle cromie. Per l’artista non esiste un modello da imitare ma una griglia che può instaurare la “collaborazione” tra l’artista e il colore. Gli esordi sono stati determinati proprio da questa struttura chiusa, regestum che contrariamente alla sua indole restrittiva si è rivelata alquanto feconda.

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Tomas Rajlich, Untitled, 1979 261


14 maggio 2016 20 luglio 2016 ——— DELL’INFINGIMENTO quello che noi crediamo di sapere della fotografia a cura di Elio Grazioli e Alberto Zanchetta ———

La mostra Dell’infingimento: quello che noi crediamo di sapere della fotografia ospita le opere di sedici autori, italiani e internazionali, provenienti dalla Collezione Malerba. La rassegna è l’occasione per interrogarsi sulle modalità con le quali il mezzo fotografico ci rivela il mondo come appare agli occhi del fotografo anziché ai nostri occhi: è cioè un mondo passibile di verità e di inganni, di equivoci o di trucchi ottici. Giocando sulle analogie tra fotografia e teatro, tra camouflage e spettacolo, la mostra presenta alcune opere che sottendono ad artifici e mascheramenti. Nel sottile gioco tra realtà e finzione, l’esposizione propone i lavori di Nobuyoshi Araki, Mino Di Vita, Lukas Einsele, Annabel Elgar, Joan Fontcuberta, Luigi Ghirri, John Hilliard, Renato Leotta, Tracey Moffatt, Yasumasa Morimura, Olivier Richon, Thomas Ruff, Hyun-Min Ryu, Alessandra Spranzi, Thomas Struth e Kazuko Wakayama.

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Lukas Einsele, Tavola, 1996 263


14 maggio 2016 30 luglio 2016 ——— ARC#IVE, VOLUME 3 Emilio Isgrò a cura di Lorenzo Respi ———

Il terzo appuntamento del ciclo ARC#IVE è dedicato all’Archivio Emilio Isgrò. Pittore, poeta, scrittore, drammaturgo e regista, Isgrò ha elabora la sua poetica della cancellatura contribuendo alla nascita della poesia visiva e dell’arte concettuale. Finalità principale dell’Archivio Emilio Isgrò è la catalogazione dell’intera produzione dell’artista, anche in vista della pubblicazione del Catalogo ragionato. L’archivio ne tutela il patrimonio artistico, intraprendendo anche iniziative di ordine legale contro la contraffazione e la circolazione di atti illeciti. L’archivio collabora inoltre con musei, istituzioni culturali, gallerie private, collezionisti e ricercatori per promuove l’artista e per reperire informazioni sul suo lavoro. La mostra presenta una considerevole selezione di materiali originali, prevalentemente inediti, tra cui la corrispondenza sullo “scandalo” legato all’opera Volkswagen (1964) e il Pentateuco cancellato dall’artista. Cataloghi, articoli e inviti raccontano le sue imprese artistiche ma anche le sue frequentazioni e amicizie.

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Lettera del concessionario Volkswagen alla Galleria Apollinaire, 12 maggio 1967 265


03 settembre 2016 17 settembre 2016 ——— UN CERTAIN REGARD “disallestimento temporaneo” a cura di Alberto Zanchetta ———

Dalla fine del 2012 a oggi, un’intensa attività espositiva ha caratterizzato la programmazione del MAC. Dopo quattro anni, il Museo si mette a nudo offrendo ai visitatori l’opportunità di guardare (per davvero) la struttura museale. Al pianoterra del Museo sono esposti i progetti tecnici che attestano i lavori di riqualificazione del complesso espositivo confinante con l’infrastruttura ferroviaria. Nei piani superiori i visitatori possono invece immergersi negli open spaces dello stabile, camminando liberamente all’interno delle sale. Infine, sulla pagina facebook del Museo gli utenti hanno modo di sfogliare un inedito album fotografico che documenta le fasi di costruzione dell’edificio. Le Corbusier ha detto che «une maison est une machine-à-habiter»; in questo senso il MAC vuole essere una “macchina da vivere” e motore della vita culturale del territorio, ma non solo. E non per caso si è qui voluto scomodare il grande maestro del Movimento Moderno: La Main Ouverte, realizzata in collaborazione con la Fondazione Le Corbusier di Parigi, è stata finalmente collocata nel piazzale esterno del Museo, in modo permanente.

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Un Certain Regard, 2016 267


24 settembre 2016 27 novembre 2016 ——— ALLE ORIGINI DEL PREMIO LISSONE a cura di Alberto Zanchetta ———

La sala dedicata alla collezione storica ospita una selezione di opere di proprietà del Comune e della Famiglia Artistica Lissonese che mai prima d’ora erano state esposte al Museo. Figure chiave del Premio Lissone furono Francesco Santambrogio e Gino Meloni; il primo ne fu lo storico e più alacre Presidente, il secondo si tenne invece nell’ombra, seguendo e coordinando la rassegna da dietro le quinte. Di Santambrogio viene qui esposta una veduta di San Michele di Pagana in cui possiamo ancor oggi ravvisare una pittura gravida di passioni e sentimenti. Di Meloni è presente un poco noto Paesaggio che ha in sé i tratti tipici dell’autore. Accanto alle Figure di Galarani e al Vaso con ortensie di Menin, troviamo un quadro informale di Leveni e un dipinto di Fossati. L’esposizione si continua con un paesaggio di Sangalli e una serie di scorci urbani, tra cui le Case in demolizione di Nalsaria, le Case senza finestre di Mariani, l’Incrocio con case di Barletta e la Piazza cittadina di Sala, altra presenza ricorrente alle edizioni del Premio Lissone. Particolarmente significativi sono però due quadri: La stazione di Lissone di De Cecere in cui è possibile riconoscere lo stabilimento Saisa che alla fine degli anni Novanta venne abbattuto per edificare il MAC, e Piazza Libertà di Bonzanini con al centro la fontana degli anni Trenta che in seguito venne rimossa per essere collocata in piazza IV Novembre.

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Francesco Santambrogio negli anni Cinquanta mentre dipinge en plein air 269


24 settembre 2016 27 novembre 2016 ——— LA PAROLA AGLI ARTISTI arte e impegno a Milano negli anni 70 a cura di Cristina Casero e Elena Di Raddo ———

Negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, l’ideologia e la politica si respirano nelle strade e nelle piazze, al punto che si comincia a parlare di “politicizzare il quotidiano”. Il mondo dell’arte negli anni della contestazione non rimane in silenzio, sente la sua vocazione sociale, anzi percepisce tale vocazione come il motore stesso del fare arte. Gli artisti cercano modalità diverse per avvicinarsi alla vita: alcuni rifiutano decisamente di operare nel sistema dell’arte offrendo la propria manualità alla lotta rivoluzionaria, altri sviluppano linguaggi differenti in opere che affrontano temi legati alla società, svelandone le contraddizioni e le falsità. Altri ancora ricorrono a mezzi tradizionali come la pittura, la scultura e la fotografia per convogliare temi d’attualità e di politica nell’arte, oppure realizzano interventi performativi che introducono la propria creatività nei luoghi della contestazione. Uno dei dati più evidenti di questa stagione è la ricerca di nuovi spazi e nuove forme di rapporto con il pubblico, le istituzioni, il contesto sociale e urbano. Molti artisti abbandonano i luoghi professionali per diventare animatori sociali e operatori estetici coniugando le proprie competenze con quelle più spiccatamente politiche. Nelle opere entrano le tematiche e i problemi del momento: l’ecologia, le condizioni di lavoro nelle fabbriche, la questione manicomiale, la status sociale della donna e i caratteri manipolatori della comunicazione di massa. Da questo punto di vista, Milano costituisce un luogo privilegiato ed è al centro di questa mostra che indaga le ricerche di Balestrini, Baratella, Benedini, Berardinone, Bond, Branca, Collettivo Cinema Militante, Del Ponte, Bertini, Campagnano, Cuman, De Filippi, Fedi, Giannarelli, Gini, Gravier, Grifi, Isgrò, Laboratorio di Comunicazione Militante, La Pietra, Mari, Mariani, Mattioli, Mazzoleni, Mazzucchelli, Petri, Rubino, Sarenco, Simonetti, Spadari e Truppi.

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Sarenco, Poetical Licence, 1973 271


24 settembre 2016 27 novembre 2016 ——— IGNAZIO GADALETA punti–pittura+radianti a cura di Francesco Tedeschi e Alberto Zanchetta ———

Walter Benjamin aveva detto che «colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte vi si immerge». È ciò che accade di fronte ai dipinti di Ignazio Gadaleta: lo spettatore ha l’impressione di penetrare all’interno della pittura, quasi potesse immergersi nel suo tessuto segnico e cromatico. Quella di Gadaleta è una pittura da guardare da lontano e da molto vicino, chiede di essere vista ma anche vissuta per riuscire a percepire e interpretare le fini tessiture che si articolano in cunei, irradiazioni o linee di frequenza. La mostra concepita dall’artista è suddivisa in piccoli nuclei, come altrettanti capitoli di una storia. L’evidente contiguità e consequenzialità tra opera e opera si ritrova anche negli elementi che le compongono, stabilendo una frequenza e una tensione retinica che viene imbrigliata nelle maglie dell’olio, in quel denso reticolato che si effonde sulla superficie delle tele o delle tavole in legno. Scandendo i ritmi, i colori, gli spazi e i volumi, le opere di Gadaleta prefigurano le disseminazioni realizzate negli anni Duemila; all’esposizione si aggiunge infatti un intervento site–specific in cui l’effetto dei “radianti” si combina con l’idea dei “punti–pittura”, sviluppando una emissione luminescente che assimila l’opera al contesto.

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Ignazio Gadaleta, Rivelatori di frequenza, 1990 273


24 settembre 2016 27 novembre 2016 ——— 2501 la Macchina a cura di Davide Giannella ———

Il percorso espositivo si interroga sulle modalità con le quali il mezzo pittorico si sviluppa in base all’interazione fra l’uomo e la macchina, presupposto che permette di lavorare su due canali antitetici, facendo incontrare gli opposti: naturale e sintetico, analogico e digitale, lineare e circolare. Le installazioni presentano vari meccanismi composti da rulli che fanno ruotare dei nastri di carta su cui l’artista e il pubblico hanno dipinto (in passato e in altri luoghi, ma sempre in tempo reale) seguendo il movimento in loop generato dalla Macchina stessa. Andando oltre gli aspetti fisici e strutturali della mostra, ciò che emerge dal di–spiegarsi delle diverse installazioni è che non sono affatto “rappresentazioni”. Non rimandano a una teoria al di fuori di esse, né veicolano significati simbolici. Si tratta piuttosto di “modelli” che esprimono appieno il desiderio della scultura e della pittura di essere utilizzata e realizzata. Questo allargamento di prospettiva, in direzione sia dell’ambito scultorio sia del pubblico, non è tanto dovuto all’interesse di tradurre il “reale” in immagini pittoriche, bensì intende mostrare allo spettatore come delle forme, dei meccanismi e dei suoni creino un nuovo spazio visuale.

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2501, Motor city II, 2016 275


24 settembre 2016 27 novembre 2016 ——— ARC#IVE, VOLUME 4 Emilio Scanavino a cura di Lorenzo Respi e Alberto Zanchetta ———

La rassegna, che si è aperta con un focus dedicato agli archivi di Mauro Staccioli, Gabriele Devecchi e Emilio Isgrò, continua il suo percorso espositivo dedicando questo quarto appuntamento all’Archivio Scanavino, scelta che si inserisce a pieno titolo nelle celebrazioni del settantesimo anniversario del Premio Lissone. I documenti, selezionati appositamente per questa mostra, mettono in evidenza la ricerca del pittore ponentino e le sue esperienze di vita, come nel caso della “dichiarazione di poetica” inviata a Francesco Arcangeli. Assieme ai carteggi afferenti il Premio Lissone e i contatti intercorsi con Guido Le Noci, particolare attenzione è riservata alle missive che attestano i rapporti di lavoro e di amicizia con Édouard Jaguer, Alain Jouffroy, Théodore Koenig, Guido Ballo, e il sodalizio con i fratelli Cardazzo, di cui si dà testimonianza in alcuni cataloghi d’epoca e in un libro d’artista pubblicato dalle Edizioni del Cavallino. Oltre ai documenti testuali, sono esposte due opere su carta della metà degli anni Sessanta – a ribadire la centralità del segno in tutta la parabola creativa di Scanavino – e un significativo repertorio di fotografie d’epoca che ritraggono l’artista al fianco di Fontana, Burri, Corneille, Dova e Turcato.

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Emilio Scanavino e Gianni Dova, s.d.

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3 dicembre 2016 12 febbraio 2017 ——— PREMIO LISSONE 2016 settantesimo anniversario a cura di Alberto Zanchetta ———

Ovviando alla consueta rassegna “di” pittura, quest’anno sono state individuate delle aree tematiche riconducibili a una grande mostra “sulla” Pittura, così come vaticinato da Guido Le Noci nel 1961. Anche in questa occasione viene approfondito il complesso dibattito sull’identità della Pittura, a partire da due quesiti nodali: Quand’è che un dipinto smette di essere un quadro? E quand’è che la Pittura non si può più definire tale? Tra gli aspetti più salienti di questa edizione c'è sicuramente l'assunto secondo cui la Pittura non la si fa solo con la pittura, ragion per cui alcune opere scultoree e fotografiche entrano di diritto in un discorso pittoricistico. Ripristinando le partecipazioni a invito diretto, il Premio Lissone di quest’anno offre al pubblico una mostra articolata in cinque distinte sezioni. Nella sezione delle Presenze vengono prese in considerazione le edizioni succedutesi dal 1952 al 1967, allorquando il Premio venne rilevato dall’Amministrazione pubblica. La sezione delle Proposte costituisce invece un piccolo compendio di ciò che è accaduto negli anni che decorrono dall’ultima edizione del Premio storico fino alla sua ripresa nei primi anni Zero. Nelle Partecipazioni sono stati selezionati otto artisti, uno per ogni edizione che si è tenuta dal 2002 al 2014. Nella sezione Parerga & Paralipomena sono stati invitati gli artisti delle ultime generazioni, i quali assumono la Pittura come metafora di se stessa. Infine, la sezione delle Pleiadi (che i celti associavano al lutto) rende omaggio a quattro importanti artisti. Fatto tesoro delle esperienze pregresse, il Premio Lissone per la Pittura intende perseguire l’ecceità: il principio per cui ogni cosa si distingue dalle altre, persino da se stessa. L’auspicio di un Premio in costante evoluzione è quindi nuovamente possibile a partire da questa edizione.

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Eugenia Vanni, Ritratto – tela di lino su tela di cotone, 2016

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3 dicembre 2016 12 febbraio 2017 ——— ARC#IVE, VOLUME 5 Guido Le Noci a cura di Alberto Zanchetta ———

A detta di Vincenzo Costantini, Guido Le Noci era un «puro e onesto idealista». Per Leonardo Borgese era un «eroe martire e vergine». Per Pierre Restany un «eterno militante dell’avanguardia, senz’altra risorsa che il suo entusiasmo». Per Luigi Carluccio un «mercante dell’insolito che si butta a capofitto nelle imprese più rischiose». In occasione del settantennale del Premio Lissone, il MAC rende omaggio alla solerte e carismatica figura di Guido Le Noci, il cui operato all’interno dell’industriosa cittadina lissonese ha lasciato un segno indelebile. In qualità di Segretario del Premio Lissone, carica che lo vede impegnato dal 1953 fino al 1961, Le Noci è riuscito a elevare il prestigio della rassegna a livello internazionale. Ed è sempre a lui che dobbiamo il merito di aver visto transitare sul territorio brianteo i grandi nomi della pittura del secolo scorso. Grazie alla calorosa disponibilità della moglie Eugenia e della figlia Marina, il quinto capitolo del ciclo ARC#IVE rende pubblici i documenti e i carteggi inviati da Le Noci durante i preparativi del Premio Lissone. Particolarmente nutrita è la selezione di lettere datate al 1957-1961, che corrispondono agli anni di maggiore vitalità del Premio, tra cui citiamo le missive di Emilio Vedova, Piero Dorazio, Karel Appel, Julius Bissier, Corneille, Achille Perilli, Antonio Saura, Emil Schumacher, Giuseppe Capogrossi, Vincente Aguilera Cerni, Zoran Music, Sadamasa Motonaga, Hisao Domoto, Minoru Kawabata, Kazuo Shiraga e Yasse Tabuchi.

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Lettera di Piero Dorazio a Guido Le Noci, Roma, 12 Ottobre 1959 281


3 dicembre 2016 12 febbraio 2017 ——— ARCHIVI DEL GRUPPO ENNE documenti del XII Premio Lissone a cura di Alberto Zanchetta ———

Il Premio alla Carriera conferito quest’anno a Alberto Biasi non è solo un doveroso riconoscimento alla sua attività, è anche l’occasione per fare ammenda con alcuni retroscena del XII Premio Lissone. La rassegna lissonese è la prima mostra che vede riuniti al completo i componenti del Gruppo Enne: Alberto Biasi, Toni Costa, Manfredo Massironi, Ennio Chiggio e Edoardo Landi. Invitati a fornire una breve nota informativa sulla loro attività, gli artisti patavini fanno recapitare un manifesto programmatico. Su richiesta della curia locale, l’Ente comunale di Lissone proibisce però l’affissione del manifesto all’interno della mostra, a causa delle posizioni ideologiche in esso espresse. Dopo più di cinquant’anni vengono riproposti il manifesto censurato e un’inedita copia dattiloscritta, i carteggi con Le Noci, articoli di giornale e una polemica cartolina che denuncia con proverbiale precocità i dissapori, le tensioni e le fazioni che andavano covando all’interno del Gruppo Enne.

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Lettera dattiloscritta di Alberto Biasi, Padova, 8 novembre 1961 283


25 febbraio 2017 09 aprile 2017 ——— GIOVANNI TERMINI visioni d’insieme a cura di Bruno Corà e Alberto Zanchetta ———

Come dichiarato nel titolo, Visioni d’insieme rimanda sia a una totalità sia alle sue parti costituenti. Dello stesso avviso è anche la ricerca di Giovanni Termini che è indivisibile malgrado le sue parti continuino a essere scindibili. Come di consueto, l’artista cerca di dimenticare l’effetto per concentrarsi unicamente sul processo: le sue sono “opere cognitive” e non già dei semplici “oggetti contemplativi” in quanto si sforzano di interrogare l’idea stessa della scultura. Non per nulla, Termini ricorre sovente a materiali predisposti al montaggio, specificità che connatura la sua ricerca tra le forme assemblate (anziché tra quelle scolpite), che per converso restano delle forme scomponibili. Termini equipara l’arte a un cantiere, un ambiente dove le opere vengono definite da tautologici lavori in corso. I materiali, infatti, veicolano sempre i loro referenti culturali, di cui l’artista accetta la fascinazione, senza mai subirla. Non potendo più essere un oggetto inerte, l’opera d’arte diventa l’esito di un pensiero che si è incarnato, motivo per cui la ricerca di Termini sfocia in una lenticolare verifica della propria disciplina, alla ricerca dell’autenticità e dell’autorialità della scultura.

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Giovanni Termini, Attraverso, 2017 285


25 febbraio 2017 14 maggio 2017 ——— AGOSTINO ARRIVABENE l’ospite parassita a cura di Chatia Cicero e Alberto Zanchetta ———

La mostra offre un approccio caleidoscopico all’arte di Agostino Arrivabene in un gioco di connessioni, dissonanze e dialoghi tra dipinti, installazioni e mirabilia. Cos’è l’artista se non L’ospite parassita delle sue stesse idee e ossessioni? Il titolo evoca la condizione ambivalente dell’essere ospitato e quella dell’ospitante, la necessità di attingere energia emozionale da fonti e situazioni che ne alimentano la creatività. L’influsso parassitario si estende anche all’interno dei dipinti: inserzioni entomologiche, peduncoli o infiorescenze si cibano delle carni dei personaggi effigiati, lasciando proliferare nuovi tessuti connettivi che talvolta finiscono per fagocitarne il respiro vitale. Ne scaturisce una concezione visionaria che stabilisce un abbraccio perpetuo e teratomorfico tra il mondo vegetale, minerale e animale. La pittura di Arrivabene è colta e seducente, intrisa di simboli ed enigmi. Alla stregua di un alchimista, l’artista travalica i limiti spazio–temporali nell’incessante esplorazione di un universo interiore che si snoda tra reminescenze di vite già vissute o solo vagheggiate. Il percorso espositivo ospita alcune installazioni organiche e un ricco repertorio di mirabilia provenienti dalla collezione privata dell’artista, suggestioni che permettono allo spettatore di accedere all’opera e al mondo esoterico dello stesso Arrivabene.

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Agostino Arrivabene, Kore diptera, 2016–17 287


25 febbraio 2017 09 aprile 2017 ——— GIOVANNI CAMPUS tempo in processo: rapporti. misure. connessioni a cura di Alberto Zanchetta ———

Ogni artista dovrebbe lasciarsi pervadere da un tempo circolare, un tempo che non sia più soltanto sincronico o semplicemente diacronico: un “tempo totale” che riscopre e reinterpreta il passato radicandolo nel presente. Nel caso di Giovanni Campus è un Tempo in processo, sempre variabile, progressivo e aggregativo; e così le sue opere, che sono “processi segnici” e “figurali spezzati” scanditi da ritmi e pause, armonie e dissonanze. Nel corso dei decenni, questi suoi percorsi – ma l’artista li chiamerebbe “formulazioni indicative” – lo hanno condotto a rompere con la tradizione, aderendo a una dimensione temporale che si estrinseca in sequenze e intervalli. Campus persegue una logica modulare che non veicola un significato bensì una specificità (ogni materiale concorre a individuare il progetto di uno “spazio segnico continuo”). Lo si evince osservando gli Interrelazionali continui del 1978, realizzati con corde e legni, in rapporto alle opere degli ultimi dieci anni. Particolarmente significative sono due serie di opere su carta, la prima costituita da quindici tavole di densi reticoli, la seconda composta da tredici tavole in cui gli acrilici e la grafite ripropongono le stesse modularità delle sue tele sagomate.

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Giovanni Campus, Tempo in processo – Rapporti. Misure. Connessioni, 2015 289


25 febbraio 2017 14 maggio 2017 ——— GUERRA ALLA GUERRA nella Repubblica di Weimar a cura di Alberto Zanchetta ———

Durante la Repubblica di Weimar, la cui genesi è concomitante con quella del Bauhaus, molti artisti scendono in prima linea per progettare poster, striscioni e altri materiali che si schierano a favore del Partito comunista. Si tratta di manifesti elettorali connessi ai partiti socialdemocratici o alle organizzazioni antinaziste che cercano di sensibilizzare la società e le classi operaie. Gli slogan politici inneggiano alla Lotta unita e alle Giornate contro la guerra, irridono al malcostume del capitalismo ed esortano a un’estensione della legislazione per quanto riguarda le giornate lavorative. Gli autori di questi manifesti – da John Heartfield a Max Pechstein, da Käthe Kollwitz a Max Schwimmer, da Alfred Frank a Victor Theodor Slama e Boris Angeluscheff – saranno brutalmente osteggiati a seguito dell’ascesa al potere di Hitler. Oltre a continue rappresaglie e persecuzioni, le loro opere furono confiscate dai musei e i loro nomi diffamati attraverso la mostra dell’Entartete Kunst. Il titolo dell’esposizione riprende il motto Krieg dem Kriege (“Guerra alla Guerra”), cui fa eco l’annuncio di un altro dei manifesti in mostra: “Mai più guerra”. Nonostante sia trascorso quasi un secolo da allora, poco o nulla sembra cambiato, giacché i conflitti continuano a mietere vittime innocenti. La mostra è l’ennesima occasione per non dimenticare le angherie del XX secolo, ma offre anche l’opportunità di riscoprire il linguaggio visivo e sovversivo della grafica d’avanguardia, nella speranza che l’arte e il design possano tornare a fare breccia nella coscienza dei popoli

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Max Schwimmer, Wählt VSPD, 1924 291


25 febbraio 2017 ——— PAOLO IACCHETTI drawing the wall intervento permanente ———

L’intervento permanente che Paolo Iacchetti ha concepito appositamente per la facciata interna del MAC scaturisce da una serie di riflessioni di cui rende conto lo stesso artista: «L'architettura del Museo fonde una facciata ottocentesca con un recente intervento di impostazione razionalista, caratterizzato in pianta da una curva sfuggente. Sulla base di queste suggestioni mi sono orientato a un intervento basato su una forma classica e dinamica: l’ellisse, un’unità percettiva costituita da segni dipinti, non modulari. La visione viene continuamente intervallata dal corpo scale che costituisce anche la sequenza e il ritmo dello sguardo. L'unità della forma è così impossibilitata a essere recepita in un'unica volta. Tale unità viene continuamente ricostruita nella mente, sia dall’integrazione degli elementi segnici, sia dal percorso di salita e discesa delle scale, inoltre è accompagnata dal ritmo curvo regolato dalla pianta, presente nel volume spaziale dell'architettura. Un'ultima osservazione di ordine metaforico sull’ellissi: è quasi una mandorla, una forma che ai giorni nostri è oramai impossibile vedere nella sua interezza, ma ancora possibile come luogo della mente. Un luogo ottenuto attraverso disciplina, riflessione ed osservazione, rimando autentico alla nostra unità e sacralità».

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Paolo Iacchetti, Drawing the wall, 2017 293


25 febbraio 2017 14 maggio 2017 ——— ARC#IVE, VOLUME 6 Arnaldo Pomodoro a cura di Lorenzo Respi ———

La rassegna ideatada Alberto Zanchetta continua il suo percorso di approfondimento con l’Archivio Arnaldo Pomodoro. Attraverso le foto, le lettere e i ritagli d’archivio è possibile ricostruire un periodo molto significativo della vita di Pomodoro: “il periodo americano” degli anni Sessanta e Settanta, tra Beat Generation, rivendicazioni sociali e cinema impegnato. In mostra sono raccolte importanti testimonianze: il dattiloscritto della poesia Trirème composta da Frank O’Hara per la personale di Pomodoro a New York; la fotografia scattata a Zabriskie Point, accompagnata da una lettera autografa di Michelangelo Antonioni; gli scatti di Leo Holub che fanno vedere lo scultore al lavoro con i suoi studenti. E ancora: la bozza di un’inedita sceneggiatura scritta da Francesco Leonetti per un film di Joe Green; la corrispondenza privata dagli USA all’Italia, impreziosita da piccoli disegni a margine. Leggendo i documenti e guardando le fotografie si potranno scoprire gli incontri e le frequentazioni dell’artista, nonché le sue passioni. L’Archivio, che oggi è curato dalla Fondazione Arnaldo Pomodoro, è nato negli anni Cinquanta, quando lo stesso artista ha iniziato a raccogliere minuziosamente i ritagli della stampa e a fotografare passo dopo passo tutti i suoi lavori.

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Lettera di Arlo Acton, s.d. 295


22 aprile 2017 14 maggio 2017 ——— MARCO FANTINI HB a cura di Federico Mazzonelli e Alberto Zanchetta ———

La mostra di Marco Fantini è dedicata al disegno, allo sguardo e ai presupposti che lo sostengono. L’artista si misura con la semantica della matita in un gioco costante di depistaggio, atto a minare i cardini desueti della percezione. La traccia del disegno attraversa le opere di Fantini come un gesto che non precede mai l’opera, perché non la descrive e non ne costituisce l’ossatura progettuale, agisce semmai sul magma fondante della pittura per meglio definirla, riducendone l’enfasi e gli eccessi di espressività. In quest’occasione Fantini trasla nell’autoreferenzialità del disegno tutti i tratti caratteristici della sua poetica, enfatizzando l’allestimento con una decina di pali di castagno naturale che sono stati convertiti in grandi matite che esprimono il lavorio e l’ansia creativa. Le sculture in legno grezzo intervallano i lavori pittorici più recenti e quelli più datati innescando così veri e propri cortocircuiti visivi che depistano e confondono gli automatismi della visione. HB è una mostra in cui il disegno diventa il mezzo ideale per ricordare che guardare non significa subire la realtà ma agire su di essa e per suo tramite, trasformandola e trasformando noi stessi.

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Marco Fantini, HB, 2017 297


22 aprile 2017 14 maggio 2017 ——— 1973 [ri]proposte critiche a cura di Alberto Zanchetta ———

Dopo l’omaggio alle Affinità Elettive, è la volta di riscoprire e celebrare un’altra importante iniziativa che nel 1973 aveva coniugato l’inventiva degli architetti con la perizia degli artigiani lissonesi. Conseguentemente alle lotte del movimento operaio e alla presa di coscienza della collettività, Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi allestirono presso il Centro del Mobile di Lissone la mostra Proposte critiche per 6 alloggi IACP in cui una decina di architetti furono invitati a realizzare dei prototipi che rispecchiavano la trasformazione e l’evoluzione dell’habitat domestico. Frederik Fogh e Luigi Caramella idearono degli arredi modulari svincolati da “l’ansia di novità formale” che caratterizzava la produzione dell’epoca; Jonathan De Pas, Donato D’Urbino e Paolo Lomazzi concepirono degli arredi che si potevano consumare e aggiustare, come un qualsiasi altro oggetto d’uso comune; Roberto Barbieri e Lella Montecroci risolsero in modo ergonomico il difficile rapporto tra lo spazio e i mobili; Giotto Stoppino decise di abbattere il pregiudizio borghese che considerava la casa come uno “status symbol”; Nanda Vigo affrontò il problema del singolo individuo e del nucleo familiare sia da un punto di vista sociale che estetico; Ugo La Pietra propose delle strutture che permettevano di essere agite in totale libertà all’interno della cellula abitativa (al suo progetto venne assegnato il Premio della Città di Lissone e in seguito anche il Compasso d’Oro). I progetti tecnici di quelle sei proposte critiche vengono ora ripresentate al pubblico assieme a una ricca selezione di materiali d’archivio.

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De Pas–D’Urbino–Lomazzi, Prototipo di poltrona componibile imbottita, 1973 299


22 aprile 2017 14 maggio 2017 ——— MICHAEL ROTONDI end hits a cura di Rossella Farinotti ———

Michael Rotondi trasferisce all’interno del Museo una parte del suo studio per raccontare al fruitore l’intero processo lavorativo che lo porta alla realizzazione di disegni, tele, schizzi e stendardi. Rotondi ricrea dunque un microcosmo personale in cui ogni elemento dipende dall’altro, innescando processi cognitivi strutturati attraverso diversi media, dalla video proiezione al recupero di oggetti, sfociando infine nella pittura su carta, tela o tessuto. Ogni supporto è congeniale per raccontare, come in un diario in fieri, personaggi e situazioni che riaffiorano dal vasto bacino del vissuto, dell’immaginario e della memoria dell’artista. Tre tavoli in legno raccolgono un ricco e denso accumulo di ricordi che l’artista mostra come fosse un diario personale aperto al pubblico, cadenzato da un immaginario sottofondo musicale. Il processo creativo e la sua incubazione partono da questi tavoli per poi svilupparsi in un grande lavoro a parete, un telo di lino dipinto con smalti dove elementi naturali risaltano all’interno della stanza. Sei piccoli smalti su carta ci svelano invece gusti e stili del passato, dove tematiche socio–politiche vengono mescolate a episodi di vita privata.

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Michael Rotondi, End Hits, 2017 301


22 aprile 2017 14 maggio 2017 ——— MISCIBILI ovunque e comunque a cura di Alberto Zanchetta ———

Miscibili presenta le opere di cinque giovani artisti. Disseminate nei diversi piani del Museo, le opere formano un’unica e omogenea fase progettuale all’interno della superficie architettonica. Priscilla Sagoe trasfigura un pettine in un oggetto contundente, ricordo di quando i colpi di spazzola producevano nella sua intricata capigliatura un dolore persistente nel tempo. Negli interventi di Camilla Zanini la nudità e l’erotismo vanno a esaltare la sessualità e il piacere fisiologico attraverso un amplesso di materiali che si relaziona con lo spazio espositivo. 99 sono gli occhielli dorati che Nicolò Maggioni ha impresso su una camicia, a rammemorare il ritrovamento della tomba di Childerico I, il cui corpo era circondato da centinaia di api dorate. Beatrice Paganessi ha unito delle saponette con l’acqua e il calore, inserendo poi il blocco in un contenitore in plexiglas. In base all’incandescenza delle luci del Museo, il blocco si deformerà e renderà visibile la trasformazione del sapone. Non un “senza titolo” bensì un Senza nome è l’opera proposta da Simone Abrami: una piccola testa in creta collocata direttamente a terra, emblema di bambini non nati che sono stati abbandonati al loro destino.

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Simone Abrami, Senza nome, 2017 303


27 maggio 2017 23 luglio 2017 ——— LUIGI BOILLE turbolente frenesie a cura di Alberto Zanchetta ———

Il decennio dei Sessanta rappresenta uno snodo fondamentale per comprendere il linguaggio tecnico e poetico di Luigi Boille, sia dal punto di vista artistico sia sotto il profilo umano. Annoverato nella Jeune École de Paris e cooptato nelle ricerche dell’Art autre vaticinata da Michel Tapié, Boille visse a Parigi fino al ‘65, coronando il suo ritorno in Italia con una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia. Ed è proprio su questo spartiacque che si concentra la mostra di Lissone, puntando l’attenzione su un decennio che enuclea la pittura filamentosa dell’artista, mettendo in evidenza quel suo atteggiamento integerrimo, che l’ha premiato e allo stesso tempo isolato. Luigi Boille non ha mai assecondato le mode, né ha mai sconfessato il suo impegno ideologico. Il desiderio di riscoprire la sua parabola artistica è un invito a riscrivere un importante capitolo del secolo scorso, oltre che un’inderogabile occasione per emendare gli errori commessi in passato (nel 1961 l’artista si aggiudicò uno dei dodici premi acquisto del XII Premio Lissone, riconoscimento di cui non poté beneficiare a causa di alcuni cavilli burocratici).

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Luigi Boille, Continuum in tensione, 1960 305


maggio 2017 23 luglio 2017 ——— CTRLZAK extincto a cura di Alberto Zanchetta ———

Benché il creazionismo si opponga all’evoluzionismo, l’esatto contrario dell’evoluzione è in realtà l’estinzione. I principali fattori che caratterizzano questo fenomeno sono sempre stati riconducibili alle glaciazioni, alle eruzioni e a eventi imprevedibili, come la collisione di un asteroide; ma il lungo decorso delle estinzioni si sta riducendo in modo parossistico, e per motivi che non hanno nulla a che vedere con il passato. Ci sono specie che lottano per la propria sopravvivenza e c’è chi, come l’uomo, è causa di tutti i mali. Negli ultimi decenni il fenomeno dell’estinzione è inversamente proporzionale all’azione antropica. La scriteriata e indiscriminata sopraffazione del genere umano ha infatti alterato gli equilibri della flora e della fauna, mettendo a rischio tutti gli ecosistemi del pianeta. Non a caso i biologi parlano di una Sesta grande estinzione, definita “antropogenica”, che in breve tempo potrebbe azzerare la vita sul nostro pianeta. Poiché è difficile capacitarsi dell’entità del problema basandosi soltanto sui dati e le statistiche fornite dalle società scientifiche, lo studio creativo CTRLZAK ha deciso di sensibilizzare le persone con un progetto che utilizza l’arte e il design per avvicinare il pubblico a questo fenomeno. Extincto è un progetto composto da una serie di interventi ed elementi eterogenei che introducono lo spettatore ai paradigmi dell’estinzione.

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CTRLZAK, Extincto, 2017 307


27 maggio 2017 23 luglio 2017 ——— ALBERT PINYA recent works a cura di Gianluca Ranzi e Alberto Zanchetta ———

La decisione di intitolare i dipinti con un laconico “opere recenti” (una denominazione impersonale e standardizzata) è conforme alla volontà di mascherare le proprie intenzioni dietro un titolo convenzionale e allo stesso tempo ermetico. In questa circostanza, Albert Pinya non intende svelare nulla del nuovo corso della sua pittura, preferisce semmai adottare un depistaggio che amplifica la confusione iconografica dei quadri qui proposti. Nell’ultimo anno l’artista ha infatti sperimentato nuove ipotesi di ricerca, giungendo a una sintesi formale che coniuga il suo precedente stile pop–naïve con stilemi astratto–geometrici. Il risultato è quello di un melting pot esuberante e caracollante. Le grandi tele dipinte appositamente per l’esposizione alludono a una pittura in costante espansione, così come suggerito dagli interventi a parete che connettono i dipinti in una sorta di circolo vizioso, un infinito cordone ombelicale che attraversa e amalgama le sgargianti strutture biomorfe. Concepita come un unico grande dipinto, la mostra ci offre un turbinio di forme e colori che occupano lo spazio e cercano di concupire gli spettatori, accerchiandoli e magari insidiandoli, affinché sia possibile entrare in contatto diretto con le urgenze e le delizie della pittura.

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Albert Pinya, Recent Works 4, 2017 309


27 maggio 2017 23 luglio 2017 ——— IGNAZIO MONCADA arie a cura di Francesco Tedeschi ———

Ignazio Moncada inizia il suo percorso artistico poco più che ventenne, assimilando dapprima il clima concretista e le forme dell’astrattismo lirico. Il suo fare pittorico si definisce negli anni Sessanta attraverso forme aeree, vibranti e dinamiche che sono rinvigorite dalle cromie accese e dalla fisicità delle pennellate. L’esposizione verte su un nucleo significativo di opere realizzate a cavallo degli anni Settanta e Ottanta. Nel volgere del periodo preso in esame, l’indagine di Moncada si orienta verso una pittura giocata su effetti di dissolvenza, trasparenza e sovrapposizione, in cui le geometrie diventano rarefatte – improvvisamente sembrano venire meno sia per morfologia, sia per consistenza – cedendo il passo al colore puro. “Arie”, il titolo della mostra, riprende da una parte le suggestioni desunte dagli ambienti naturali e atmosferici (come ad esempio i refoli di vento che sospingono e scompaginano le forme in queste opere), dall’altra si rifà alle suggestioni musicali, elemento che ricorre in tutte le opere realizzate nella seconda metà degli anni Ottanta. Fulcro dell’esposizione sono le Danze, euforiche partizioni irregolari, dove emerge una vitalità ritmata da timbri luminosi e festosi, una sinfonia che finisce per coinvolgere i visitatori, trascinandoli all’interno di una pittura capace di infondere energia, libertà e gioia.

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Ignazio Moncada, Alesa o i segni del tempo e del vento, 1980–83 311


27 maggio 2017 23 luglio 2017 ——— STEFAN MILOSAVLJEVIĆ wanna fight? a cura di Matteo Galbiati ———

Stefan Milosavljević ha realizzato tre distinti lavori per la sua personale all’interno della Project room. Partendo dalla rielaborazione di esperienze che sono strettamente legate alla cultura e alle tradizioni serbe, l’artista affronta tematiche quali la violenza, la sessualità, i conflitti bellici. In Top on Top, Ass on Ass, l’artista richiama alla mente un folkloristico rituale del suo paese d’origine: i duelli ingaggiati con le uova sode, in cui gli sfidanti cercano di salvaguardare il proprio guscio e tentano di rompere quello dell’avversario. Una esperienza ludica e festosa che nel profondo dissimula il desiderio di confronto che caratterizza l’indole umana, qui tradotta in una scultura che enfatizza la precarietà di un uovo sottoposto alla tensione di un elastico. Gli adolescenziali “riti di passaggio” sono i riferimenti dell’opera Boys Party, una installazione composta da razzi pirotecnici che celano una duplice allusione: da una parte si ricollegano all’ostentazione della virilità che permette di essere accettati nel gruppo dei propri coetanei, dall’altra si connettono al risvolto belligerante di molti giochi di società. Chiude il percorso espositivo la fotografia Why does sun go on shining? Why does the sea rush to shore? che Milosavljević ha scattato in un museo berlinese dove erano esposti gli scheletri di alcuni dinosauri. Ancora una volta, lo spunto arriva da personali ricordi d’infanzia per poi approdare a una riflessione sull’inevitabile estinzione delle specie predominanti a causa di grandi e imprevedibili eventi.

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Stefan Milosavljevic, Boys Party, 2017 313


27 maggio 2017 23 luglio 2017 ——— ARC#IVE, VOLUME 7 Nanni Valentini a cura di Lorenzo Respi ———

La rassegna, che in precedenza ha preso in analisi gli archivi di Mauro Staccioli, Gabriele Devecchi, Emilio Isgrò, Emilio Scanavino, Gruppo Enne, Guido Le Noci e Arnaldo Pomodoro, continua il suo programma di approfondimento con l’Archivio Nanni Valentini. Ceramista di formazione, ma anche pittore, incisore e appassionato insegnante, Giovan Battista Valentini è nato a Sant’Angelo in Vado nel 1932 ed è morto a Vimercate nel 1985. Dopo gli studi iniziati alla Scuola d’Arte per la decorazione ceramica di Pesaro, si iscrive all’Istituto d’Arte di Faenza che frequenta fino al 1953. La mostra al MAC presenta una selezione di materiali originali, prevalentemente inediti, che ripercorrono le vicende biografiche dell’artista attraverso le sue frequentazioni (fondamentale quella con Lucio Fontana per l’inizio della sua carriera) e le sue passioni, dalla filosofia alla poesia. Cataloghi, fotografie e schizzi raccontano non solo il percorso professionale di Valentini ma anche l’attività di ricerca e di approfondimento che oggi viene svolta dall’Archivio: il Diploma al merito alla Terza Mostra Nazionale della Ceramica di Pesaro, l’autoritratto a matita per il taccuino “Rumori di ombre”, la cartella di grafiche “Un ombelico per Empedocle” e la pagina “Prova d’artista” sulla rivista Alfabeta. La mostra propone infine un breve excursus sull’attività didattica di Valentini presso l’Istituto Statale d’Arte di Monza; particolarmente interessante è il quaderno illustrato di lezioni su “Lo spirituale dell’arte” di Kandinsky, ove la teoria del colore si affianca a nozioni di visual design e di studio delle forme primarie, riprese poi nella realizzazione delle sculture in ceramica.

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Nanni Valentini. Un ombelico per Empedocle, 1979 315


10 giugno 2017 23 luglio 2017 ——— MATTEO MONTANI the glow and the glare a cura di Alberto Zanchetta ———

Matteo Montani ritorna a esporre al Museo a dieci anni dalla sua partecipazione al Premio Lissone. Mantenendosi fedele alle asperità del supporto che ha caratterizzato la sua ricerca espressiva, l’artista ha dipinto sulla carta abrasiva usando delle polveri metalliche che variano di intensità a seconda delle fonti luminose. Anziché essere esposte in piena luce, le opere necessitano di luci indirette che ne fanno risaltare i colori e le fosforescenze. Lo spettatore è così invitato a scoprire la infinta varietà di diffrazioni generate dalla pittura, che sembra mutare di continuo, come se avesse una vita propria. Le opere appartengono all’ultimo ciclo di lavori dell’artista, il quale ha ripreso le suggestioni dell’albore e del crepuscolo. Il risultato finale è quello di un “orizzonte circolare” imbevuto di bronzo, rame e oro zecchino. Benché i riferimenti al paesaggio e all’orizzonte siano impliciti, essi vengono trascesi dallo stesso artista per offrirci un’abluzione nelle tremolanti e cangianti densità di un’ascetica policromia.

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Matteo Montani, Hymn #1, 2017 317


23 settembre 2017 19 novembre 2017 ——— LA CASA INCIS Piero Bottoni & Leonardo Fiori a cura di Alberto Zanchetta ———

Nell’ambito della decima Triennale di Milano, Piero Bottoni propose di realizzare un alloggio che analizzava le forme, le funzioni e le ampiezze dei locali in costruzione al QT8. L’alloggio, allestito con arredamenti dimostrativi che corrispondevano alle necessità del nucleo famigliare, soddisfaceva l’esigenza dell’ospitalità e della convivialità della zona giorno, senza però precluderla ad altre attività; i grandi armadi della camera matrimoniale, solitamente inadatti agli spazi, erano stati ridimensionati, mentre la camera da letto dei bambini era stata arredata secondo le esigenze di un ambiente – finalmente ed effettivamente – moderno. Gli obiettivi di quella mostra vengono riproposti nell’esposizione lissonese attraverso le eliocopie firmate da Piero Bottoni e Leonardo Fiori che illustrano le forniture degli arredi in legno (armadi, mensole, scaffali, divani, poltrone, sedie, tavoli, scrittoi, librerie, letti e comodini), concepiti in modo tale da efficientare lo spazio architettonico. Accompagnati dalle riproduzioni di fotografie e documenti d’epoca, gli elaborati tecnici di Bottoni e Fiori ci ricordano la vocazione educativa del design italiano, impegnato a risolvere i problemi della quotidianità. Una lezione di vita, d’etica e di estetica da cui si può ancora imparare molto.

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Piero Bottoni e Leonardo Fiori, Libreria Alloggio Incis, 1954 319


23 settembre 2017 19 novembre 2017 ——— SILVIA CAMPORESI genius loci a cura di Lorenzo Respi ———

Attraverso una ricca selezione di fotografie tratte dalle serie Atlas Italiae (2015) e Mirabilia (2017), Silvia Camporesi racconta la lunga storia di luoghi abbandonati e di spazi dispersi lungo tutta la penisola italiana. L’artista ha viaggiato per diversi anni per l’Italia, in lungo e in largo, chiedendo alle persone informazioni che l’aiutassero a scovare località e meraviglie nascoste, per poi poterle fotografare interpretandone il profondo significato esistenziale. Eco dei suoi studi di filosofia, l’approccio di Silvia Camporesi all’architettura e all’ambiente è quello tipico della fenomenologia che indaga le interazioni tra luogo e identità. Genius Loci non è una semplice ricognizione di luoghi, è piuttosto la summa per immagini di un intreccio di caratteri sociali e antropologici, di stili architettonici e forme naturali, di cultura materiale e immateriale, di usi, costumi e abitudini che hanno caratterizzato questi luoghi. Proprio come fa il tempo, anche l’artista lascia il segno del suo passaggio su alcune fotografie, colorandone la superficie. Al tempo si somma altro tempo, in un divenire continuo e composito di identità.

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Silvia Camporesi, Planasia #06 (la scuola), 2014 321


23 settembre 2017 19 novembre 2017 ——— MICHELE CHIOSSI living mc a cura di Alberto Zanchetta ———

Il titolo della mostra allude a un ambiente domestico, un “total living” che lo spettatore è invitato a esplorare, esperire e vivere in prima persona. Integrando il DNA dell’arte e quello del design, l’artista ha deciso di arredare il Museo con un’installazione in cui trovano posto disegni e sculture funzionali. A questa seconda categoria appartengono i vasi in marmo della serie Kadomatsu, ispirata alle composizioni floreali con le canne di bambù della tradizione giapponese, e della serie Guggenheim pot, il cui modellato riprende l’architettura ascensionale di Frank Lloyd Wright. Il celebre appendiabiti Hang it all di Charles & Ray Eames è stato invece convertito in una grafia puntiforme, traducendo le parole in un letterale “tutto tondo”. Ai coniugi Eames rimanda anche l’affusolata silhouette degli Housebirds che, installati sui basamenti dei fratelli Bouroullec, sono stati qui “impanati” come fossero una pietanza culinaria. Non mancano ovviamente oggetti di vanità, come lo specchio inghirlandato da una cornice zigzagante che riprende l’emblema della Repubblica italiana. La linea a zig zag, che si rifà alle texture elettroniche, è utilizzata anche nel disegno dedicato alla Diamond Chair di Bertoia. Diversamente, lo Shiva Vase di Sottsass è reso con una tecnica puntinata, stilema altrettanto frequente nella ricerca dell’artista. Oltre a celebrare i Maestri del Design, Chiossi ci delizia con alcune personali creazioni, è il caso di a meter of Bauhaus e degli Sbocciacandle, un gruppo di bottiglie fuse in resina che sono autoprodotte dall’artista.

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Michele Chiossi, Kadomatsu vase, 2016 323


23 settembre 2017 19 novembre 2017 ——— BLANK PLAYS DUDEN Augst–Carl–Korn proiezione video ———

Nel 1999 gli artisti Oliver Augst e Christoph Korn, assieme al musicista Rüdiger Carl, danno vita al progetto Blank, un trio elettronico che coniuga teoria e rumore. Dopo diverse esibizioni in pubblico e una manciata di album all’attivo, nell’ottobre del 2004 decidono di filmare le loro ironiche e paradossali improvvisazioni. Blank plays Duden è il risultato di quelle sessioni sperimentali, suddivise in 17 cortometraggi che corrispondono ad altrettante tracce audio. Utilizzando esclusivamente delle inquadrature fisse, i filmati di Martin Kreyssin riprendendo i tre autori in spazi angusti, alle prese con dei giradischi e una limitata campionatura di suoni. L’idea di partenza è quella di una collezione acustica: dopo aver passato in rassegna le loro registrazioni, Augst, Carl e Korn hanno infatti deciso di decostruirle in microscopici frammenti che sono stati poi incisi su dei dischi in vinile. A differenza di un normale LP, in cui la singola scanalatura si avvolge a spirale, il materiale di “Duden” (titolo dell’omonimo disco del 2004) è formato invece da oltre duecento cerchi concentrici. Attraverso interminabili variazioni, a volte minime, a volte drastiche, le dinamiche del gruppo consistono nell’abbassare e sollevare la puntina dal piatto, manipolare il selettore di velocità, sabotare la ritmica scuotendo i giradischi, oppure interferire con la rotazione del disco usando le dita, o magari la punta del naso.

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Blank, Blank plays Duden, 2004 325


23 settembre 2017 19 novembre 2017 ——— EPHEMERA volume 1 / volume 2 a cura di Alberto Zanchetta ———

Incentrato su metodologie e monomanie, il progetto è stato concepito come un bizzarro atlante visivo. Il “primo volume” della serie è incentrato sul tema dell’effimero. Ne fanno parte una Scultura pieghevole di Munari, una riproduzione fotolitografica delle Sostituzioni di Olivotto, il Catalogo ragionato dei dipinti falsi di Afro, i fogli di sala distribuiti alle inaugurazioni di Stazione di Topolò e di A Life (Black & White) di Solakov. Sul tema dei monumenti effimeri vengono esposti il testo programmatico del Conceptual Monument di Serra, gli inviti della mostra Roma di Canevari e di Every website is a monument di Plessas. Un volantino elettorale testimonia inoltre la “fugace” candidatura di Schwarz nella lista del P.S.I.U.P. Il “secondo volume” è dedicato all’iconografia dell’asino e della scimmia. Si tratta di appunti, libri, collage e altri materiali che il curatore ha accumulato nel corso degli anni, sulla scorta di un vecchio adagio della fine dell’Ottocento: «bête comme un peintre», dove per bête si intende non già la “bestia” (e in specie l’asino) ma lo “stupido pittore”. La storia dell’arte ci insegna che esiste una consuetudine tra i pittori/critici e le scimmie/asini, indaffarati a scambiarsi ruoli e fattezze: a seconda delle culture e delle epoche, gli uni e gli altri sembrano posti a salvaguardia della pittura oppure contro di essa.

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Ephemera / volume 1 + volume 2, 2017 327


23 settembre 2017 19 novembre 2017 ——— MINIMA SILLOGE opere su carta a cura di Alberto Zanchetta ———

Minima Silloge è una mostra dedicata alle opere su carta acquisite nel patrimonio museale. L’olio su carta di Andrea Di Marco, raffigurante una pompa di benzina, è stato donato in occasione dell’omaggio postumo che si tenne a Lissone nel 2013. Quasi concomitante è la personale di Marco Cingolani che annoverava il ritratto dal titolo Stupito. Il Codice QR disegnato a mano da Facco è direttamente connesso a Lo Strano caso di Joan Mitchell e appartiene a una tiratura realizzata dall’artista appositamente per il MAC. Per il progetto del Collasso dell’entropia, Dal Molin ha concepito un wall–painting che ancora oggi è visibile nel bookshop e che qui si accompagna al suo bozzetto preparatorio. Al wall–painting di Andreco, realizzato sempre nel contesto del Collasso dell’entropia, è connessa una lino–cut che viene esposta per la prima volta all’interno delle sale lissonesi. Diverse sono le opere di Matteo Fato conservate nei caveau del museo; dell’artista, che tenne una personale nel 2015, è stata scelta una china su carta, rappresentativa della sua pratica artistica. Particolarmente importante è la mostra Le leggi dell’attrazione, grazie alla quale il pubblico ha potuto riscoprire un fondo di disegni che comprendevano gli schizzi della Cabinet Tower di Oswald Mathias Ungers e gli arredi Palus Feni Articus di Simo Heikkilä. In ricordo della performance sonora tenutasi la sera del 16 aprile 2016, una locandina in edizione limitata è stata firmata da Luca Scarabelli e Michele Lombardelli. Nello stesso periodo, Paolo Radi ha lasciato traccia della sua personale con un’opera su carta ispirata all’infinito e alla ciclicità del tempo e dello spazio. A questo nucleo di opere se ne aggiungono altre che sono state recentemente inventariate nel patrimonio lissonese: una piccola incisione di Gino Meloni e tre grandi serigrafie policrome di Thomas P. Kausel.

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Andreco, Senza titolo, 2014 329


23 settembre 2017 19 novembre 2017 ——— NELLA CASA ROSSA Im Roten Haus a cura di Alberto Zanchetta ———

909 sono i chilometri percorsi dalle cartoline spedite da Moritzburg all’indirizzo del Museo d’Arte Contemporanea di Lissone. Il piccolo comune della Sassonia, appena fuori dal centro urbano di Dresda, è famoso per il suo castello, un tempo residenza adibita alla caccia o alle feste, e oggi meta del turismo globalizzato. Poco lontano dal maniero cinquecentesco ha sede la Rotes Haus (“Casa Rossa”, così soprannominata per l’inconfondibile colore delle sue murature), una struttura balneare che si staglia sulle rive di un lago artificiale. Grazie alla sua suggestiva cornice paesaggistica, questo luogo di svago e relax ha attirato l’attenzione degli artisti fin dai primissimi anni del Novecento. Tra il 1909 e il 1910 pittori come Ernst Ludwig Kirchner, Max Pechstein e Erich Heckel hanno più e più volte immortalato l’edificio balneare nei loro dipinti, in numerosissime incisioni e in altrettanti acquerelli. Nel 2005 la “Casa Rossa” è stata ricostruita sull’esempio del vecchio stabilimento dando inizio a un programma di residenze che permettono agli artisti di organizzare mostre, workshop ed eventi che animano il periodo estivo. Quest’anno, nei mesi di luglio e agosto, una ventina di artisti hanno soggiornato presso la Rotes Haus. Ad ognuno di loro è stato chiesto di cimentarsi con la xilografia realizzando un’opera in “formato cartolina” che ha viaggiato fino a Lissone. Gli elaborati di Alborghetti, Brokof, Casadei, De Angelis, Fitze, Fuchs, Gebhardt, Kabelitz, Kaufmann, Miele, Mundt, Noppes, Portatadino, Quandt, Rucker, Schrat, Shafir e Wieland sono quindi giunti in Italia per raccontarci l’esperienza condivisa alla Rotes Haus.

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Henrik Schrat, Im Roten Haus, 2017 331


02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— FRANCO GRIGNANI gli anni di Alfieri & Lacroix a cura di Alberto Zanchetta ———

Nell’ottobre del 1964 il “Time magazine” pubblica un articolo in cui viene annunciata la mostra che di lì a breve il MoMA di New York avrebbe dedicato alla Op art. Due mesi più tardi anche le pagine della rivista “Life” ne danno notizia. In tutta risposta, Franco Grignani fa notare che, mentre i giornali americani si affannano a divulgare la nascita della pittura optical, «ogni mese e da anni, Alfieri&Lacroix propone problemi visuali in un’area adattissima: la grafica». A quelle date Grignani vanta già la realizzazione del marchio della Pura lana vergine, e da oltre un decennio collabora con la Società fondata nel 1890 daEdoardo Lacroix e Emilio Alfieri (fu la prima azienda in Italia a produrre il cliché a colori). Considerata una eccellenza nel campo della stampa, la Alfieri & Lacroix sancì con Grignani un sodalizio longevo e assolutamente ineguagliabile nella storia del Graphic Design. La vasta campagna pubblicitaria che Grignani ha concepito all’epoca ci ha lasciato in eredità una grafica ardita, decisamente sperimentale, incentrata sulle forze cinetiche e le spazialità dinamiche, in una virtuosa commistione di immagini e segni tipografici.

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Franco Grignani, A questo punto siamo ancora artisti?, 1968

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02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— GIOVANNI ANCESCHI poesia figurale a cura di Alberto Zanchetta ———

Artista, critico, storico, teorico, pedagogo e designer, ma non solo. Giovanni Anceschi appartiene al novero delle figure eclettiche che sovvertono le regole. Formatosi all’Accademia di Brera, in seno alla quale forma il Gruppo T, approdato quindi alla Hochschule für Gestaltung di Ulm, dove matura il suo interesse per il design, Anceschi sviluppa ben presto quelle tematiche che ne caratterizzeranno il percorso creativo e progettuale. Rispetto all’ampio ventaglio della sua ricerca, il MAC ha deciso di indagare una delle produzioni meno conosciute dell’autore, vale a dire il periodo della “poesia figurale” (come lui suole definirla) sviluppata a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. In mostra sono esposte una nutrita selezione di opere su carta tra cui Parentesi rosa, Invito di matrimonio, Oh, na nie e Carme Figurato che attestano il suo interesse per i calligrammi, i giochi di parole, le citazioni e gli omaggi irriverenti. Coniugando parole e immagini, le poesie figurali di Anceschi svelano un lato semiserio e semi–inedito di uno dei protagonisti dell’arte e del design degli ultimi cinquant’anni.

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Giovanni Anceschi, Partecipazione di matrimonio, 1974 335


02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— PREMIO LISSONE DESIGN dal legno alla carta, dall’arredo alla grafica a cura di Alberto Zanchetta ———

Nel suo primo decennale di attività, il Premio Lissone Design ha inteso aggiornare e arricchire la propria formula espositiva, guardando al futuro senza però dimenticare il passato. L’area tematica del 2017 è quella del Visual e del Graphic design, scelta che rispecchia l’impatto mediatico–propagandistico attuato dall’Ente Comunale del Mobile di Lissone nel secolo scorso. Negli anni Cinquanta e Sessanta la città briantea era conosciuta dai più come il Primo Centro italiano del Mobile. Alcuni la chiamavano la “Capitale del Mobile”, altri la “Città del legno” giacché grandi carichi di legname venivano qui importati per essere lavorati e convertiti in arredi d’uso quotidiano. Dal legno e dall’arredo del secolo scorso è possibile passare alla carta e alla grafica degli anni Duemila. Ai giorni nostri la comunicazione visiva è sempre più globale e di conseguenza ancor più etica, ma senza mai rinunciare all’estetica. Del resto, come afferma Iosif Brodskij, «l’estetica è la madre dell’etica». Alla rassegna, che quest’anno ha reintrodotto la formula dell’invito diretto, hanno aderito Alpaca Società Cooperativa, atelier malte martin, Peter Bil’ak, Designwork, Des Signes, Huang Yang Design, muschi&licheni, Nikos Sideris (Susami), Leonardo Sonnoli, Luca Terraneo e TOMO TOMO. Una ristretta rosa di nomi che la Giuria – formata da Silvana Annicchiarico, Maurizio Corraini, Giacinto Di Pietrantonio, Beppe Finessi e Francesco Ermanno Guida – ha preso in considerazione per decretare il vincitore del 2017.

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Leonardo Sonnoli, A Letter Doesn’t Resemble Anything, 2016 337


02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— MICHELE DE LUCCHI premio alla carriera Premio Lissone 2017 ———

Il Premio Lissone Design istituisce per la prima volta un premio destinato a un Maestro del design italiano. In continuità con i valori che hanno contraddistinto la storia di Lissone, la scelta si è orientata sulla “riscoperta della manualità che precede il progetto”. In questo senso, Michele De Lucchi rispecchia un saper fare che fluisce nelle sue diverse specializzazioni, ma non meno importante è la sua attenzione sia per il mondo industriale, sia per le realtà artigianali; esemplare è l’esperienza di Produzione Privata, un laboratorio sperimentale che si avvale delle sapienti e qualificate botteghe artigiane disseminate sul territorio italiano, votate alla tradizione come pure all’innovazione. Tenendosi fuori dalle logiche del mercato, De Lucchi realizza prodotti in tiratura limitata, dedicando grande cura alla scelta dei materiali e alle tecniche di lavorazione. La volontà di accudire una forma che sia in grado di esprimere una dimensione creativa ancor più personale, dove mente e mano lavorano all’unisono, ha trovato in anni recenti nuove possibilità espressive grazie alla pratica artistica. Dal 2004 ha quindi iniziato a scolpire piccole sculture in legno, che l’autore considera come il «punto di partenza di ogni riflessione».

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Michele De Lucchi, Edificio vuoto 320, 2013 339


02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— LA CASABELLA DI MALDONADO a cura di ALBERTO ZANCHETTA ———

«Tu sei un teorico, un produttore di immagini, un progettista di oggetti, un ingegnere di sistemi, un organizzatore di situazioni industriali, un filosofo dell’educazione, il direttore di Casabella». Con queste parole Alessandro Mendini tentava di delineare il profilo professionale di Tomás Maldonado, figura poliedrica di “giramondo e giramestieri”. Nominato Rettore della Hochschule für Gestaltung di Ulm nel corso degli anni Sessanta, alla fine del decennio gli viene affidata la direzione della rivista Casabella, ruolo grazie al quale assume le redini di un progetto editoriale multidisciplinare che si proponeva l’obiettivo di allargare il dibattito sull’architettura. Pubblicati da Electa su progetto grafico di Pierluigi Cerri e Tomás Gonda, i numeri 421/475 di Casabella vengono riproposti al pubblico nell’ambito del Premio Lissone Design. L’iniziativa ha un duplice scopo: in primis festeggiare il novantacinquesimo compleanno di Tomás Maldonado, in secundis valorizzare le raccolte della Biblioteca del Mobile di Lissone, che comprendono volumi rari, disegni originali e un’ampia collezione di riviste.

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Tomás Maldonado (1922–2018) 341


02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— GLI ARREDI DIMOSTRATIVI DELL’UNRRA–CASAS Giovanna Pericoli & Francesco Gnecchi Ruscone a cura di Alberto Zanchetta ———

Nel secondo dopoguerra una divisione delle Nazione Unite, denominata UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), si occupava della ricostruzione dei Paesi danneggiati dal conflitto mondiale. Con lo stesso intento venne istituita in Italia l’UNRRA–CASAS, acronimo di Comitato Amministrativo Soccorso Ai Senzatetto, che promosse la Commissione per lo studio della città e dell’agro di Matera. Con l’obiettivo di creare quartieri che riprendessero il più possibile i modelli di vita sociale dei Sassi, Adriano Olivetti e il sociologo Frederic G. Friedman si impegnarono affinché la città fosse convertita in un “villaggio modello” in grado di ospitare gli sfollati degli antichi rioni. Nel Borgo Venusio di Matera l’architetto Luigi Piccinato progettò un alloggio i cui arredi vennero affidati a Giovanna Pericoli e Francesco Gnecchi Ruscone. In sintonia con l’idea dell’UNRRA–CASAS, il mobilio venne concepito con estrema semplicità, tenendo presente un limite di spesa accessibile alle famiglie contadine. La comunità mobiliera di Lissone si interessò alla realizzazione di alcuni di questi arredi, dando prova del proprio spirito di cooperazionee solidarietà.

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Giovanna Pericoli e Francesco Gnecchi Ruscone, UNRRA–CASAS, 1954 343


02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— BATTISTA LURASCHI bijoux: tracce per un modello d’ornamento a cura di Alberto Zanchetta ———

Affascinato dalla cosmesi corporea di natura ornamentale, Battista Luraschi ha realizzato dei bijoux modellando il polipropilene e il P.V.C. in forma di girocollo, collane, pendenti o spille. Al posto delle pietre e dei metalli preziosi, l’artista ha ritagliato dei materiali malleabili per poi intrecciarli con dei bottoni automatici. Piccole meraviglie dai ritmi vivaci e dai colori accesi che possono essere assemblati a piacere. Racconta l’artista: «nel mio caso non ci sono perle, diamanti e nemmeno sottile filigrana d’oro, ma il più comune polipropilene abbinato al P.V.C. a specchio e qualche bottone automatico, in grado di formulare le necessarie tensioni compositive, con moduli intercambiabili, componibili a piacere. In questo caso è più appropriato parlare di bijoux, come forma alternativa del gioiello per eccellenza. L’oggetto si offre al simbolico come segno di riconoscimento, strutturando una forma d’identità, sicuro d’essere diretto».

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Battista Lurashi, Bjou, 2017 345


02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— NAOMI ELLER weights/pesi a cura di Geraldine Blais Zodo ———

Le sculture di Naomi Eller sono ispirate alla natura, alla mitologia, alla condizione umana, e traducono in forma visiva la complessità dei nostri stati emotivi. In conformità con la sua ricerca precedente, le attuali installazioni scultoree si focalizzano su fattori esterni che svolgono un ruolo determinante nella costruzione e nella distruzione della nostra sfera personale. Weights/Pesi è un nuovo nucleo di lavori con cui l’artista sviluppa le proprie idee intorno ai concetti di ancoraggio, stabilità e senso di appartenenza ai luoghi. Si tratta di nuovi “set strumentali” dalla duplice valenza, in apparenza funzionali ma decisamente inutilizzabili. Le forme delle opere rimandano all’antichità e in gran parte al nostro Io interiore, rappresentando e incapsulando il senso della pesantezza che molto spesso è onnipresente nei nostri discorsi.

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Naomi Eller, Weight / Peso, 2017 347


02 dicembre 2017 11 febbraio 2018 ——— DAVIDE TRANCHINA SS 9 – Strada Stellare 9 ———

Le grandi vetrofanie del Museo ospitano le immagini di SS 9 – Strada Stellare 9. Presentato lo scorso anno in occasione del festival Fotografia Europea di Reggio Emilia, il progetto di Davide Tranchina si arricchisce ora di alcuni scatti inediti realizzati lungo la Via Emilia che collega Rimini a San Donato Milanese. Il risultato è quello di un viaggio attraverso il paesaggio rurale della Pianura Padana che finisce per stratificarsi, chilometro dopo chilometro, con lo skyline contemporaneo. Le silhouettes di insegne, tralicci, ripetitori e monumenti si stagliano sul fondo di un cielo stellato che ci indica la rotta verso gli abissi della notte, e forse in quelli di un cosmo altrettanto profondo. Immergendosi nella complessità del tessuto viario lo spettatore ha la sensazione di trovarsi al centro di un osservatorio astronomico in cui l’obiettivo fotografico si trasforma in un telescopio puntato su un universo completamente nuovo.

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Davide Tranchina, SS 9 – #10, 2017 349


03 marzo 2018 15 aprile 2018 ——— PLAYGROUND (perché no?) a cura di Alberto Zanchetta ———

Goethe affermava che nella sua collezione non c’era un solo oggetto che non gli avesse insegnato qualcosa. Assodato che l’individuo curioso è attratto da tutto, in questo particolare frangente il gioco viene assunto come stimolo all’apprendimento, oltre che come forma di arricchimento estetico e culturale. Prendendo esempio dai bambini, che interagiscono con gli oggetti per comprenderne il funzionamento, il progetto Playground nasce sotto l’astro di una curiosità che istiga alla creatività e alla partecipazione. “Perché?” chiedono (e si chiedono) con una certa frequenza i fanciulli, “Perché no?” sembrano rispondere gli artisti e i designer di questa mostra. È con questo spirito che ai più piccoli è permesso di rifugiarsi nel Posto dei giochi di Enzo Mari o in mezzo allo zoo di carta di Martí Guixé. Possono giocare a calcio con le sedie–porte di Emanuele Magini, oppure a basket, cestinando palline di carte. Se il tavolo da ping–pong di Giovanni Termini mette a dura prova la pazienza degli sfidanti, è possibile riporsarsi sui cavalli a dondolo di Giovanni Levanti e Marc Newson, o magari stare a cavalcioni dello sgabello dei CTRLZAK e sulla moto di Davide Mancini Zanchi. I costumi di Nicolò Maggioni e Adriano Persiani richiamo alla memoria i vezzi dei luna park, e lo stesso dicasi delle piccole teste di Filippo La Vaccara, autore anche della scultura gonfiabile che migra in giro per le sale, in balia del pubblico. Specchiandosi in alcune ambrotipie del secolo scorso, i visitatori sono indotti a riscoprire quell’Homo curiosus/ludens che la società tende a reprimere con troppa facilità. Questa volta, però, sarà lecito abbandonarsi a svaghi e capricci.

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CTRLZAK, Agaxa, 2016 351


03 marzo 2018 15 aprile 2018 ——— LUCA PIOVACCARI ascolta il tuo respiro (nella quiete polverosa) a cura di Alberto Zanchetta ———

Ascolta il tuo respiro (nella quiete polverosa) è un’esposizione che pone in relazione l’individuo con la natura e il paesaggio. In periodi così stressanti e svilenti per l’anima c’è la voglia di uscire dal rumore visivo per ascoltare il silenzio, forse lo stesso che si cerca visitando una mostra. Le opere di Luca Piovaccari indagano, attraverso molteplici matrici, la complessità delle strutture ambientali e le loro trasformazioni. Vincolato alle trasformazioni fisiche del territorio, il paesaggio è la risultanza di una relazione tra le strutture e i processi che lo definiscono. Brandelli di vegetazione cercano di muovere confini interiori, lasciando le emozioni migrare attraverso l’anima, e facendo vagare il flusso delle idee in cerca di una natura che si fa materia visiva. Se l’anima cerca le emozioni, prima o poi queste si faranno trovare! Le opere di Luca Piovaccari intendono rinnovare l’ovvio e rendere instabile il processo visivo, complicandolo. Gli interventi e le immagini esposte adottano non di rado l’errore o il dramma come matrice d’invenzione e occasione di un rinnovamento. Un rinnovamento che può essere considerato come una silente rivoluzione.

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Luca Piovaccari, Ascolta il tuo respiro, 2015–17 353


03 marzo 2018 15 aprile 2018 ——— MATTEO NEGRI greetings from Mars a cura di Alberto Zanchetta ———

In Greetings from Mars, Matteo Negri usa il colore come fondamentale elemento di dialogo tra lo spazio e la forma e ne fa uno strumento di indagine della superficie e delle sue possibilità riflettenti. Sviluppato in contiguità con la collezione permanente del MAC, il progetto presenta due diverse tipologie di opere, i Piano Piano e le Carte, pensate come elementi installativi entro i quali l'osservatore è chiamato, mediante una lenta contemplazione, a determinare se stesso nella relazione con le opere e a ricostruire il rapporto che lo lega allo spazio. La luce rossa, che domina l'ambiente in cui l’artista ha strutturato la sua installazione, si diffonde nello spazio della stanza e cancella i toni medi delle sculture creando un ambiente uniforme e straniante, instaurando altresì un dialogo attraverso i riflessi e i movimenti che si generano sui volumi delle opere. Greetings from Mars fa riferimento alla sensazione di un viaggio su Marte dove, oltre alla dominante rossa che colma l’ambiente, la gravità e la percezione dell’osservatore vengono messe in discussione.

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Matteo Negri, Piano Piano – Leila, 2017 355


03 marzo 2018 15 aprile 2018 ——— ANTONELLA APRILE dimensioni variabili a cura di Alberto Zanchetta ———

Antonella Aprile presenta un corpus di opere realizzate mentre era in residenza al Nordisk Kunstnarsenter Dale, un polo di ricerca sulle arti visive fondato dal Ministero della Cultura Norvegese. I lavori realizzati in questo periodo di ricerca sondano lo spazio tra le polarità divergenti della Natura Sensibile e della Natura Trascendente. Durante la residenza l’artista ha infatti improntato le sue pratiche operative su una costante indagine dei binomi interno/esterno, intelletto/natura, mente/corpo, trovando la loro naturale trasposizione in immagini in cui l’elemento organico e naturale è in rapporto dialogico con quello geometrico e simbolico. Emerge così un'analogia tra la condizione mentale e quella emotiva che vengono attraversate da istanze contrastanti, in cui i pensieri sono percepiti quasi come prodotti esterni, sfuggendo di fatto al loro concepimento per proiettarsi nel paesaggio, assurto a presenza primordiale e perentoria. L’allestimento è incentrato su una serie di pannelli vegetali lavorati con lagrafite e la tempera, in cui l’ente geometrico corrisponde al dato mentale–introspettivo che collide con la Natura fenomenica nella quale non riesce a situarsi in modo coerente. Allo stesso tempo, un paio di cavalletti telescopici vengono convertiti in controparti visive di alcuni disegni che si fanno presenza assertiva.

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Antonella Aprile, M.F. Dispositivo II – 1200, 2017 357


3 marzo 2018 15 aprile 2018 ——— DIEGO DUTTO repertum a cura di Alberto Zanchetta ———

Diego Dutto presenta una serie di sculture che fanno parte di un nuovo ciclo di opere a cui l’artista sta lavorando e che costituiscono per lui una nuova sfida, oltre che un cambio profondo e radicale dalla sua precedente produzione scultorea, che appare quasi in antitesi rispetto all’attuale. Questo nuovo ciclo di opere comprende i Reperti, gli Ossimori, gli Scheletranti e altri gruppi scultorei, ciascuno dei quali è caratterizzato da configurazioni e nuances osteologiche. Si tratta di conformazioni impossibili, decisamente fantastiche, che finiscono per rimescolare il reale nell’artificiale, risignificando inoltre il nostro presente alla luce di un passato remoto. Il sostantivo repertum ha una duplice accezione: “ritrovamento” e “invenzione”. Il titolo della mostra assume quindi una lettura ambivalente, che la lingua latina già contempla; da un lato un oggetto presumibilmente antico che, restituito alla nostra attenzione, è in attesa di essere sottoposto a più accurate indagini, dall’altro lato una vera e propria scoperta, ossia l’invenzione di qualcosa che è in grado di destabilizzare la nostra concezione della vita e di tutta la storia, soprattutto quella biologica.

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Diego Dutto, Organikall, 2017 359


03 marzo 2018 15 aprile 2018 ——— UN MONDO DI PICCOLI OGGETTI oggetti di un piccolo mondo a cura di Alberto Zanchetta ———

Un mondo di piccoli oggetti / oggetti di un piccolo mondo è un ciclo di esposizioni in cui sono raccolti alcuni manufatti di piccole dimensioni. La prima selezione comprende la Olivetti Underwood 310 di Ettore Sottsass jr., Cubo di Bruno Munari, Brecia di Willy Verginer, Fushigi Circus di Mark Ryden, Odradek di Paride Petrei, Bjoux di Battista Luraschi, Senza titolo con nuvola di Matteo Fato, Kadomatsu vase di Michele Chiossi, Pausa relax di Armida Gandini, Edificio vuoto 320 di Michele De Lucchi, una maquette di Rafael Moneo e un anonimo taglierie della Collezione di Ico Parisi.

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Rafael Moneo, El viaje paralelo del libro y de la vida, 1985 361


05 maggio 2018 24 giugno 2018 ——— MOMENTI E STAGIONI Antonio Calderara & Samuele Villa a cura di Alberto Zanchetta ———

Il MAC di Lissone festeggia il compleanno di Samuele Villa che quest’anno entra nel novero degli ottuagenari. Nella prima metà degli anni Sessanta, Villa inizia a specializzarsi in edizioni d’arte, professione che continua a svolgere fino al 2005, anno in cui cessa l’attività della stamperia Visam da lui fondata a Muggiò. Per quaranta anni Samuele Villa ha condiviso con passione la sua perizia serigrafica con alcuni dei principali protagonisti dell’arte internazionale. Quaranta sono anche gli anni trascorsi dalla scomparsa di Antonio Calderara, artista con cui Villa ha intrattenuto rapporti di lavoro, stima e amicizia. Tra le numerose opere da loro realizzate, il MAC ha deciso di riproporre tre cartelle serigrafiche che comprendono Le quattro stagioni – omaggio a Antonio Vivaldi del 1975, Momenti del 1976 e Momenti numero 2 del 1978. Tre serie complete, da intendersi come altrettanti compendi dell’artista, capaci di sorprenderci ancor oggi per il loro rigore compositivo, così come per la loro qualità di stampa. Sorprende vieppiù il fatto che l’aura delle opere – quasi a voler smentire l’assunto di Walter Benjamin sulla riproducibilità tecnica dell’arte – non venga mai meno, riuscendo semmai a preservarla e talvolta a enfatizzarla.

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Antonio Calderara, Momenti numero 2, 1978 363


05 maggio 2018 24 giugno 2018 ——— GIOACCHINO PONTRELLI memorie di ragazzi perbene a cura di Alberto Zanchetta ———

In un mondo di finezze e dissonanze che si tingono dei colori dell’arcobaleno, Gioacchino Pontrelli rinnega le figure umane per concentrarsi unicamente sull’ambiente in cui vivono, qui assurto a vero e proprio “capriccio pittorico”. Pervase dagli umori e dalle atmosfere della pittura, le immagini sono inondate dal colore, che si muove, invade e cancella i disegni o i decori del fondo. Parafrasando il titolo della celebre autobiografia di Simone de Beauvoir, Mémoires d'une jeunefillerangée, la mostra è incentrata sull’ultimo decennio di attività di Pontrelli. Spiega l’artista: «La ritrovata libertà espressiva dell'oggi e la rimarcata insofferenza nei confronti di istituzioni che non voglio vedere, famiglie posticce e ambienti sociali che non mi appartengono, mi fanno leggero e riesco a star bene accanto ad altri artisti, anche del passato, anche lontani da me. Niente più formalità prestabilite ma solo la consapevolezza della mia esperienza. Tutto questo fa di me, oggi, un ragazzo perbene». Accanto alle opre dell’artista trovano posto alcuni bozzetti conservati nel fondo storico della locale Biblioteca del Mobile. Il valore documentario di queste tavole originali, risalenti alla prima metà del XX secolo, mette in risalto la produzione “in stile” degli artigiani e dei progettisti attivi nella cittadina lissonese. I disegni di Fossati, Rancati e Galli si affiancano così alle grandi tele di Pontrelli, sublimando il perbenismo in una forma che si adopera per il bello e per il confort.

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Gioacchino Pontrelli, Né prima né dopo, 2014 365


05 maggio 2018 24 giugno 2018 ——— MARCELLO SIGNORILE manifesto indifferente a cura di Alberto Zanchetta ———

Artista, formatore, designer, Marcello Signorile presenta un nucleo di opere inedite che rientrano in un progetto avviato nel 2016. Nel corso degli anni il progetto è stato sviluppato con media espressivi, fattezze e dimensioni diverse, approdando ora a Lissone con il titolo Manifesto indifferente. Il lavoro di Signorile ricorre a una “forma breve di pensiero” che si configura in annotazioni, disegni e acquerelli che corrispondono agli elementi di un unico universo in continua espansione: è il racconto di una ricerca diffusa, in costante movimento, senza l’obbligo di dover trovare a tutti i costi una conclusione. La mostra si compone di quattro sezioni, differenti ma collegate tra loro, concepite come altrettante variazioni dello stesso processo creativo. La prima parte presenta una selezione di appunti visivi dove l’autore si confronta con temi quali la libertà di pensiero, il processo artistico e la consapevolezza. Nella seconda parte, la ricerca sui temi della creazione artistica assume la forma di tre bandiere, pensate per manifestare il nostro “essere consapevole”. Nel percorso trovano spazio alcune delle 365 note (concepite una per ogni giorno dell’anno) che in questa versione sono state scritte con una Olivetti senza inchiostro. Infine,una serie di acquerelli dimostrano come un percorso fortemente concettuale possa diventare terreno fertile per ulteriori digressioni. Marcello Signorile intende manifestare la sua “partecipazione indifferente” al fluire degli eventi e per questo in totale armonia e ascolto. Come ci avverte l’autore, il suo Manifesto indifferente«non ha punti o propositi, non fa proclami altisonanti, non è contro e neppure a favore, non aggiunge nulla, non ha neppure degli intenti precisi, non è concluso, non è per una categoria specifica di persone, non manifesta nulla se non ciò che manifesto è già».

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Marcello Signorile, Note per Manifesto indifferente, 2016–18 367


05 maggio 2018 24 giugno 2018 ——— IVANO SOSSELLA usw a cura di Alberto Zanchetta ———

La città di Lissone si estende su una superficie di 9 km2 e ha una densità di popolazione nettamente superiore a quella di Monza, ma al contrario dei paesi limitrofi presenta un’anomalia: nel suo assetto urbanistico non è possibile imbattersi nei tradizionali monumenti issati sopra i basamenti. Gli spazi pubblici della cittadina briantea sono privi di quella statuaria figurativa – deputata a celebrare un personaggio illustre o un evento storico – che è diventata parte integrante della vita quotidiana. Manca insomma a Lissone il tipico monumento che, commemorando il passato, si erge a monito della collettività. In virtù di ciò, Ivano Sossella è stato invitato a realizzare degli interventi che ricorrono all’uso di ombre artefatte per innescare un brusco cambio di scena. Sui principali camminamenti della città, l’artista ha tracciato la silhouette di imponenti statue, restituendo la “presenza di una assenza” che solo l’arte riesce a rendere evidente e possibile.

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Ivano Sossella, Der geist, 2018 369


05 maggio 2018 24 giugno 2018 ——— BUGIE BIANCHE (rendez–vous) a cura di Alberto Zanchetta ———

La storia del Dr Jekyll e di Mr Hyde è un caso doppiamente strano, perché Stevenson ne distrusse il manoscritto originale per trarne una seconda versione. Direttamente proporzionale è il binomio tra il Ritratto di Dorian Gray e il racconto Il ritratto Ovale: mentre Oscar Wilde narra la storia di un dipinto che invecchia e deperisce al posto del protagonista , E. A. Poe descrive le gesta di un pittore che sottrae la vita delle moglie man mano che la immortala sulla tela. Volgendo lo sguardo alle arti visive, e mettendo da parte il problema della primogenitura, la mostra stabilisce un diverso tipo di “cop[p]ia”. Si pensi per esempio a Rubens che imitava alla perfezione i dipinti di Tiziano o alle repliche di Giorgio de Chirico, che rifaceva i quadri del periodo metafisico retrodatandoli. In questo senso, il progetto Bugie Bianche propone tre coppie d’oggetti, ognuna delle quali potrebbe includere un manufatto autentico e l’altro contraffatto, ma potrebbero essere entrambi veri o entrambi falsi. Di primo acchito sembrerà un problema di lana caprina, in realtà ci ricorda che l’arte non è apologetica, né assertiva, al contrario: pone domande anziché suggerire risposte. Il rendez–vous proposto al Museo intende sobillare la curiosità delle persone, mettendole alla prova con un gruppo di oggetti che i fruitori sono tenuti ad analizzare, discerendo l’originale dalla sua copia fraudolenta. Bene inteso, però, che l’arte è per sua stessa definizione una “bugia bianca”.

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Bugie bianche, 2018 371


05 maggio 2018 24 giugno 2018 ——— UN MONDO DI PICCOLI OGGETTI oggetti di un piccolo mondo a cura di Alberto Zanchetta ———

Un mondo di piccoli oggetti / oggetti di un piccolo mondo è un ciclo di esposizioni in cui sono raccolti alcuni manufatti di piccole dimensioni. La seconda selezione comprende il cofanetto The Olivetti Pattern Series, Tree Trunkvase di Richard Woods, Block di Mikael Löfström, Sette di numero di Giovanni Termini, Analgesic agent tape di Martí Guixé, Heroin and Cocaine Shakers di David Shrigley, Valentine di Ettore Sottsass e Perry A. King, una riedizione del Posacenere Olivettidi Giorgio Soavi e un paio di Air Sickness Bag.

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Giovanni Termini, Sette di numero, 2011 373


05 luglio 2018 16 settembre2018 ——— IXION la collezione d’arte, tra evoluzione e ricerca culturale a cura di Alberto Zanchetta ———

Issione non solo mancò di rispetto al padre di sua moglie ma anche all’onnipotente Zeus. A causa della sua ingratitudine, venne flagellato da Ermes, il quale era stato incaricato di estorcergli la frase «i benefattori devono essere onorati», dopodiché venne gettato nel Tartaro affinché scontasse le sue colpe, in eterno. Al contrario di Issione, il MAC di Lissone si è sempre impegnato nella valorizzazione delle acquisizioni e dei lasciti che hanno arricchito il proprio patrimonio artistico. Inaugurato nel novembre del 2000, il Museo ha finalmente raggiunto la “maggiore età” e intende festeggiare i suoi diciott’anni di attività con una mostra che apre i propri depositi per conoscere e approfondire le linee culturali perseguite dal primo consulente del Museo, e dai tre direttori artistici che si sono succeduti nel corso degli anni: Flaminio Gualdoni (2001-2005), Luigi Cavadini (2005-2012) e Alberto Zanchetta (2012-2018). A ognuno di loro è stato riservato un diverso piano del Museo, mettendo in mostra lo svolgimento e lo sviluppo che hanno saputo imprimere all’identità museale.

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Jules–Elie Delaunay, Ixion, 1876 375


05 luglio 2018 16 settembre 2018 ——— UN MONDO DI PICCOLI OGGETTI oggetti di un piccolo mondo a cura di Alberto Zanchetta ———

Un mondo di piccoli oggetti / oggetti di un piccolo mondo è un ciclo di esposizioni in cui sono raccolti alcuni manufatti di piccole dimensioni. La terza selezione comprende alcuni protopi e progetti candidati alle varie edizioni del Premio Lissone Design, tra cui Beetween di Kinga Rusin e Kim Sodam, Why don't we do it in public? di Wulf Kramer, Twin Rest Sculpture di Hanna Rohst, hilBT di Lorea Zaidua Moreno e Althuna Charterina Gaizka, Fre Eat di Stefano Rota, Senza titolo di Angela Ceravolo, Tritasapori di Nicola Violano e Nihil Creatur di Gabriele Montanari.

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Wulf Kramer, Why don't we do it in public?, 2011 377


15 luglio 2018 ——— LEGGERE IL TERRITORIO CON L’ARTE ho incollato il francobollo sulla lettera di un altro a cura di Alberto Gianfreda ———

Nell’intento di rafforzare il suo ruolo nella promozione e diffusione dell’arte all’interno della realtà territoriale in cui è inserito, il MAC ha intrapreso un programma di valorizzazione del Mo.VE (Monumento Verticale), quale padiglione delocalizzato per le ricerche e le sperimentazioni in ambito artistico. La struttura, visibile dalla Valassina, entra così in una fase di sviluppo di idee e di metodologie applicate alla città. Ideato da Alberto Gianfreda, il progetto Leggere il territorio con l’arte è interessato a favorire una riqualificazione urbana attraverso strumenti e competenze multidisciplinari.La ricerca, sviluppata in diverse fasi di lettura e di intervento, ha come obiettivo l’individuazione di bisogni che possono emergere a livello esperienziale. La metodologia proposta e coordinata da Gianfreda intende svilupparsi sotto forma di workshop, prevedendo una serie di appuntamenti in sinergia con l’attività del MAC. La prima metodologia impiegata per leggere il territorio del Mo.VE è intesa a rielaborare i rumori urbani con un’installazione sonora di Manuji Colucci. All’evento, che si prefigura come attività propedeutica a un progetto finalizzato all’indagine e allo sviluppo dell’area designata, seguiranno altre sperimentazioni di musica elettronica a cura di Karl Van Berte e mothclub.

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Manuji Colucci, Ho incollato il francobollo sulla lettera di un altro, 2018 379


20 settembre 2018 ——— LEGGERE IL TERRITORIO CON L’ARTE notte al Mo.VE a cura di Alberto Gianfreda ———

Dopo il primo evento, durante il quale è stato rilevato e modificato il tracciato sonoro del luogo, il progetto Leggere il territorio con l’arte continua la sua modalità d’indagine con l’evento NOTTE AL Mo.VE che offre a 15 persone la possibilità di sperimentare il sonno accompagnati da sonorità rilevate dal contesto urbano e alterate elettronicamente. L’obiettivo è quello di testare una nuova alleanza tra l’ambiente e l’insediamento architettonico attraverso l’azione del coricarsi, fase della giornata in cui il corpo si abbandona al luogo. L’evento pensato appositamente per il Mo.VE di Lissone è organizzto da PIR aps, associazione no profit gestita da studenti dell’Accademia di Brera che promuovono modalità di fruizione degli ambienti attraverso la contaminazione e l’incontro di diverse forme artistiche.

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PIR aps, Notte al Mo.VE, 2018 381


29 settembre 2018 18 novembre 2018 ——— WANG ZHONGJIE 王忠杰 nessundove 不可思议 a cura di Monica Dematté ———

I dipinti di Wang Zhongjie sono passati dal linguaggio figurativo, assai complesso e originale di qualche anno fa, a composizioni vagamente geometriche, in un processo di sempre maggiore semplificazione formale dove i colori, compressi nel perimetro della tela, sono diventati cornici di spazi vuoti. L’artista anela infatti a qualcosa di immutabile che sia in grado di “rivelare il nocciolo”. Wang Zhongjie non ha studiato all’Accademia di Belle Arti, eppure il suo rapporto con la tela non è semplice o immediato. È come se davanti a ogni superficie intonsa egli si trovasse di fronte al mistero della vita. La ricerca della chiave interpretativa, di cui parla spesso, non si riferisce a questioni tecniche, ma a questioni esistenziali. La pittura – e quindi l’arte – è intesa e vissuta da WangZhongjie non fine a se stessa (anzi, in questo senso non la tiene in nessuna considerazione) ma come una chiave interpretativa, perché «rinunciando all’arte, quel che rimane è proprio l’arte». Nessundove è la sua prima mostra personale in un museo italiano.

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Wang Zhongjie, 不可思议, 2018 383


29 settembre 2018 18 novembre 2018 ——— ANTONIO SCACCABAROZZI voiler couleur a cura di Alberto Zanchetta ———

A dieci anni dalla sua scomparsa, il MAC ricorda Antonio Scaccabarozzi con una mostra che ne indaga la ricerca, dall’inizio degli anni Ottanta fino al nuovo Millennio. L’esposizione offre una meditata e attenta ricostruzione del percorso concettuale e dei passaggi creativi che hanno portato Scaccabarozzi a maturare una riflessione puntuale e originale che culmina nella consapevolezza del “vedere attraverso”. Affascinato dalla leggerezza, dalla trasparenza e dalla versatilità del polietilene, l’artista si avvale dei materiali plastici per affrontare il problema e i limiti della visione, interrogandosi viepiù sulla duplicità della pittura (recto e verso) e sulla sua relazione ed estensione nello spazio, così come accade nelle Quantità libere dove il colore è steso a creare una forma vibrante che muta in base alla luce che lo attraversa e alla presenza del fruitore che la modifica involontariamente. In polietilene sono anche i cicli delle Banchise e delle Ekleipsis realizzati nella seconda metà degli anni Novanta; questa volta la membrana traslucida si piega, si estende e svolazza, complice la sua resilienza plastica e la leggerezza della sua installazione con fili di nylon, chiodi sottilissimi o scotch removibile.

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Antonio Scaccabarozzi, Ekleipsis 26, 2003

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29 settembre 2018 18 novembre 2018 ——— FOTORICORDO come eravamo, come vivevamo a cura di Alberto Zanchetta ———

Nel 1936 venne promossa la prima Settimana Lissonese, manifestazione che rivendicava al mercato mobiliero di Lissone l’onesto e onorevole riconoscimento del suo intrinseco valore. Nel tentativo di richiamare l’attenzione del pubblico, la rassegna venne ripresa nel 1946 grazie alla collaborazione degli artigiani e dei commercianti, sollecitati ad ammodernamenti e a più vivaci interessi creativi. Anno dopo anno, le Settimane Lissonesi incrementarono considerevolmente lo sviluppo e il commercio locale, accordando alla città il suo primato di audacia e anticonformismo rispetto alle analoghe manifestazioni che venivano organizzate in Italia. Nella speranza di rivitalizzare quei ricordi – intrisi di tradizioni, fermenti e cultura – la mostra propone una quarantina di fotografie scattate nel 1963. Rigorosamente in bianco e nero, le foto rendono conto del perché il mercato italiano e straniero preferisse i mobili lissonesi, che uno slogan dell’epoca definiva “di squisito gusto moderno”.

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XII Settimana Lissonese, Palazzo del Mobile, Lissone 1963 387


29 settembre 2018 18 novembre 2018 ——— IL GIARDINO DELLE ESPERIDI nuove collezioni di Industrial e Visual design a cura di Alberto Zanchetta ———

Le Esperidi vivevano in un giardino dove facevano la guardia a un albero da cui pendevano pomi d’oro. Come le ninfe della mitologia, anche il Museo di Lissone custodisce i frutti della sua attività che, giunti finalmente a maturazione, possono essere presentati al pubblico. Negli ultimi cinque anni il MAC si è impegnato nell’aggiornare e incrementare il proprio patrimonio. Uno degli obiettivi è stato quello di acquisire una serie di oggetti e di progetti di design che costituiscono il nucleo germinale di una raccolta destinata a crescere e a specializzarsi nel prossimo futuro. Una nuova collezione di Industrial e Visual design si affianca così alla già consolidata collezione d’arte, alla quale era stato dato ampio risalto nel luglio scorso. Tra gli autori che hanno arricchito questa neonata collezione ricordiamo, tra gli altri, i nomi di Ettore Sottsass, Michele De Lucchi, Nanda Vigo, Peter Eisenman, Robert Venturi, Michael Graves, De Pas–D’Urbino–Lomazzi, Alessandro Guerriero, Peter Cook, Rafael Moneo, Leonardo Fiori, Piero Bottoni, Lorenzo Damiani, Ugo La Pietra, Attila Veress, Leonardo Sonnoli, Michele Chiossi, Francesco Meda, Des Signes, Ilaria Innocenti e Giorgio Laboratore.

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Il Giardino delle Esperidi, 2018 389


29 settembre 2018 18 novembre 2018 ——— ALBERTO CAVALIERI alle radici del segno a cura di Chatia Cicero e Alberto Zanchetta ———

Il piccolo tributo dedicato a Alberto Cavalieri propone cinque tecniche miste su carta che datano dalla metà degli anni Settanta fino ai primissimi anni Novanta. Le opere fanno parte di un nucleo che comprende anche una tecnica mista su masonite del 1986 e una terracotta del 1985 che sono state recentemente donate da Silvana Ghezzi Cavalieri alle collezioni del Museo. Tralasciati colori e forme naturalistiche del periodo iniziale, il linguaggio di Cavalieri si astrae fino a raggiungere il puro grafismo. Dagli anni Settanta la predilezione per la grafica imprime una radicale svolta verso la stilizzazione lirica che, scandita per fasi progressive, si pone al passo con uno sviluppo introspettivo. Lungo tutto il suo iter laborioso, l’artista ha incrementato le possibilità d’interazione tra le forze in gioco, calcando sempre più sull’indagine e l’equilibrio delle linee in tensione. Ancor oggi i suoi tratti grafici continuano ad affiorare per rarefazioni, stratificazioni e aggregazioni, conservando una suadente armonia nella sequenza ritmata dei segmenti.

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Alberto Cavalieri, Senza titolo, 1985 391


29 settembre 2018 18 novembre 2018 ——— UN MONDO DI PICCOLI OGGETTI oggetti di un piccolo mondo a cura di Alberto Zanchetta ———

Nel 1975, in prossimità dell’ingresso della galleria Toselli, Emilio Prini aveva allestito una vetrinetta con oggetti che l’artista negava di aver creato, selezionato o scelto di esporre. Come ricorda Franco Toselli, Prini ha chiuso la galleria e ha sostituito la porta d’ingresso «con una a vetri dove dietro ha costruito il paesaggio della vetrina con la seggiolina, la scritta “sei come un’atmosfera che dona un brivido blu” e il bigliettino. Siamo andati in un albergo lì vicino, l’hotel Diana. Ho passato un mese in albergo con mio figlio Giacomo nella culla perché non si poteva accedere alla galleria». Accompagnati dal bigliettino originale della mostra (un cartoncino lucido dove sono riportate le date e il titolo della mostra: Mostro – Una esposizione di oggetti non fatti non scelti non presentati da Emilio Prini), le vetrinette del MAC propongono una cernita di oggetti che a distanza di quarant’anni continuano a non rispecchiare le scelte dell’artista.

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Emilio Prini, Mostro, invito alla mostra, 1975 393


13 ottobre 2018 ——— PRIMO TORNEO INTERDISCIPLINARE DI PING PONG artisti vs designer ———

In concomitanza con la quattordicesima Giornata del Contemporaneo, il MAC propone un torneo di Ping Pong in cui designer e artisti si contenderanno la vittoria. La competizione, che avrà inizio nel tardo pomeriggio e proseguirà per tutta la serata, annovera 14 artisti e 14 designer che si sfideranno in quattro gironi a eliminazione diretta. Ai piani elevati del Museo saranno posizionati due tavoli che garantiranno lo svolgimento in simultanea delle diverse fasi di gioco. Un’installazione dei notclub (Max Colombo e Emanuele Bardin) ridefinirà la percezione acustica del gioco che si svolgerà sul tavolo al primo piano. Alle ore 18:30 il torneo verrà invece accompagnato da un live set di Gianluca Codeghini incentrato su micro percezioni, trasformazioni e sedimentazioni. Al termine della serata, la proclamazione del vincitore sarà accompagnata dalla consegna di un’opera di Francesco Fossati appartenente al ciclo Late again. Il secondo classificato si aggiudicherà invece una copia autografata del volume Trophies di Simone Bergantini.

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Francesco Fossati, #47 (dalla serie Late Again), 2009–12 395


10 novembre 2018 25 novembre 2018 ——— LEGGERE IL TERRITORIO CON L’ARTE let the sunshine a cura di Alberto Gianfreda ———

Dopo i primi due eventi che hanno visto coinvolti artisti del suono, tocca ora alla fotografia leggere gli spazi del Mo.VE e la relazione che la struttura architettonica ha instaurato con la città. Per l’occasione, Jessica Soffiati presenta una ricerca fotografica dal titolo Let the sunshine che indaga le caratteristiche del luogo partendo da un elemento fondamentale, sia per la fotografia, sia per lo spazio urbano: la luce, qui intesa come elemento costruttore dell’immagine ma anche come dato in grado di modificare la qualità e il livello di empatia che si può instaurare con un luogo. Soffiati ha raccolto e rieditato immagini dell’archivio storico di Lissone e della stessa città, impiegando la fotografia come una lente di ingrandimento sul passato e sullo stato attuale delle cose. L’insieme delle immagini catalogate definisce una sorta di moodboard urbano, fatto di relazioni inedite tra gli oggetti, i luoghi e le persone appartenenti al passato come al presente, indistintamente uniformate da un’unica estetica, quella della luce. Maliconica ma anche propositiva, Let the Sunshine aggiunge una nuova analisi del Mo.Ve e contribuisce alla costruzione di una mappa emozionale del luogo.

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Jessica Soffiati, Let the sunshine, 2018 397


25 novembre 2018 ——— LEGGERE IL TERRITORIO CON L’ARTE night drive a cura di Alberto Gianfreda ———

Il quarto appuntamento al Mo.VE è organizzato dal’associazione PIR aps che propone il progetto Night Drive, un’esperienza immersiva che si svolge in due sessioni temporali: tra le ore 18 e le 19, un gruppo di automobili punterà i fari verso la struttura abbagliandola, mentre il pubblico sarà invitato a prendere parte all’azione salendo sulle vetture oppure occupando l’interno del Mo.VE. Night Drive utilizza il medium della luce per indagare le peculiarità del luogo e per far emergere i suoi aspetti inediti, ponendosi così in continuità tematica con la mostra fotografica di Jessica Soddiati ancora in corso. Il progetto innesca così una riflessione sul valore della luce in relazione alla specificità del luogo e alla densità del traffico automobilistico che caratterizza l’area.

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PIR aps, Night Drive, 2018 399


01 dicembre 2018 10 febbraio 2019 ——— PREMIO LISSONE 2018 il chiodo che sporge va preso a martellate a cura di Alberto Zanchetta ———

Il Premio Lissone si rinnova per il secondo anno consecutivo, cambiando pelle (come un serpente) e colore (come un camaleonte). Perseguendo nuovi criteri e nuove formule espositive, il nuovo Premio intende aggiornare e migliorare le proprie consuetudini metodologiche. Oltre che internazionale, l’attuale edizione si propone come intergenerazionale, con l’obiettivo di affrontare e approfondire le tendenze più attuali della disciplina pittorica. In particolare, l’edizione 2018 si interroga sul linguaggio metapittorico, proponendo due sezioni il cui titolo prende in prestito le citazioni di Robert Motherwell – «Desidero fare qualcosa di così bello come una tela vuota» – e di Philippe Sollers – «È strano continuare a pensare che la pittura sia fatta per essere vista». Una terza sezione è invece ispirata al celebre aforisma di Barnett Newman – «La scultura è quella cosa su cui inciampi mentre indietreggi per guardare un quadro» – e propone un dialogo serrato tra pittura e scultura. Anche quest’anno è previsto il riconoscimento del Gran Premio della Pittura e di un Premio della Critica, che verranno aggiudicati da una Giuria formata da Marco Meneguzzo, Demetrio Paparoni e Alberto Zanchetta. In conformità con le passate edizioni, il MAC ha inoltre previsto il conferimento di un Premio alla Carriera e di un Premio Stima. Una commissione formata da Matteo Bergamini e Silvia Conta delibererà invece sulla assegnazione di un Premio Editoria che sarà elargito dalla rivista Exibart, mediapartner dell’evento.

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Alek O., Tangram (Lying Down Cat), 2015 401


01 dicembre 2018 10 febbraio 2019 ——— IN OGNI CASO UN QUADRO, UN DISEGNO, SARÀ PRODIGIO O NULLA a cura di Alberto Zanchetta ———

Nel contesto del Premio Lissone una sala d’onore è dedicata all’opera grafica di André Masson, e non per caso: ancor oggi non è chiaro se l’artista abbia effettivamente partecipato al X Premio Lissone. Benché nel catalogo del 1957 non sia riprodotta nessuna opera di Masson, un suo ritratto fotografico è incluso tra i partecipanti della rassegna lissonese. Un nucleo di dodici lavori su carta, che datano dagli anni Quaranta agli anni Sessanta, evidenzia la grande inventiva segnica e sovversiva del Maestro surrealista che negli anni Ottanta rinunciò definitivamente alla pittura per dedicarsi esclusivamente al disegno e all’incisione.

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AndrĂŠ Masson, Senza titolo, s.d. 403


01 dicembre 2018 10 febbraio 2019 ——— UN UCCELLO CANTA MEGLIO SUL PROPRIO ALBERO GENEALOGICO a cura di Alberto Zanchetta ———

Per avvalorare la reputazione del Premio Lissone 2018, una Sala è stata riservata a Jiří Kolář e alle sue Ornitologie, opere in cui si “annida” un piccolo compendio di pittura che risale a Giotto, prosegue con Jan van Eyck e Jean-Auguste-Dominique Ingres per passare poi a Henri Rousseau e Piet Mondrian. Claudio Parmiggiani ricorda che Kolář «si pronuncia “Kolàge”, come “collage”, e il collage è stato il genere nel quale si è identificata la sua arte»; attraverso la tecnica dell’intercalage – una delle tante declinazioni che l’artista ha brevettato a partire dal collage – lo spettatore assiste al compenetrarsi delle silhouettes di rapaci e lepidotteri con alcuni celebri capolavori della storia dell’arte. Al termine dell’esposizione, una delle opere sarà acquisita nelle collezione permanenti del Museo.

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Jiří Kolář, Quando la primavera arriva, 1987 405


01 dicembre 2018 01 dicembre 2019 ——— SILVIO WOLF Scala Reale MAC a cura di Alberto Zanchetta ———

La ricerca di Silvio Wolf è indirizzata a una visione metaforica e soggettiva del mondo. Stimolando aspettative culturali, ideologiche e sentimentali, le opere di Wolf non descrivono la realtà, bensì una “irrealtà” che insiste sui temi dell’assenza e dell’Altrove (un’irrealtà che è tale proprio perché in essa mancano quei riferimenti percettivi normalmente presenti nella fotografia). L’installazione Scala Reale, concepita appositamente per Lissone, consiste in pellicole fotografiche applicate sulle porte d’ingresso e sulle grandi vetrate del Museo. Wolf descrive il suo intervento come «una monumentale immagine virtuale bidimensionale e prospettica che avvolge le vetrate del MAC, creando una prospettiva illusoria che ridefinisce la percezione dell'edificio. Concepita come frammento di una struttura potenzialmente infinita che si emana dallo spazio interno, l'opera offre ai visitatori una fruizione immersiva: l'entrare al Museo è l'ingresso nell'opera. Le due parti dell'installazione, nate dall'immagine fotografica di un antico pavimento in pietra esploso e raddoppiato sulle pareti vetrate, creano una soglia fisica e relazionale che oscilla tra percezione spaziale e consapevolezza dell'esserci».

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Silvio Wolf, Scala Reale MAC, 2018 407


01 dicembre 2018 10 febbraio 2019 ——— UN MONDO DI PICCOLI OGGETTI oggetti di un piccolo mondo a cura di Alberto Zanchetta ———

Un mondo di piccoli oggetti / oggetti di un piccolo mondo è un ciclo di esposizioni in cui sono raccolti alcuni manufatti di piccole dimensioni. La quinta selezione comprende una miscellanea di articoli di giornale, litografie di Laroche e Schultheiss, fotografie provenienti dall’Archivio de “Il Gazzettino”, una piastrella in ceramica ispirata a un soggetto di Rembrandt van Rijn, un invito della mostra di Rupprecht Geiger alla Galerie Heseler, un intercalage di Jiří Kolář, la bambola Vincent di Becky Kemp, i libri ½ an Autobiography di James Lee Byars e Und im Sommer tu ich malen di Hank Schmidt in der Beek e Fabian Schubert.

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Becky Kemp/Lucie Kaas Studio, Vincent, 2018 409


06 dicembre 2018 13 gennaio 2019 ——— PER L’ANNO CHE VERRÀ Atelier Mendini a cura di Alberto Zanchetta ———

La sagoma di una stella si erge all’estremità di un lungo fusto metallizzato. Da lontano potrebbe somigliare a un albero stilizzato, con i rami appena potati… un piccolo arbusto sotto il quale depositare i regali per la vigilia di natale. Ma più ci si avvicina all’oggetto e più facilmente si dissipano le prime, vaghe impressioni. Effettivamente non si tratta di un albero di Natale ma di uno stravagante appendiabiti. La piantana è tricolore: verde come la vegetazione, bianca come la neve, rossa come il Natale. Quelle piccole sporgenze dorate, che sembravano dei rami, in realtà servono a depositarvi indumenti e cappelli. Ma perché l’appendiabiti progettato da Alessandro e Francesco Mendini non dovrebbe assolvere (anche) a un’altra funzione in questo particolare periodo dell’anno? Una dozzina di appendiabiti Stella sono stati disseminati sulle terrazze interne del MAC per ricreare un viale alberato che si staglia su un panorama stellato, instillando in tutti noi un pizzico di calore e di allegria.

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Alessandro e Francesco Mendini, Stella, 2016 411


06 dicembre 2018 13 gennaio 2019 ——— PINO DEODATO buon viaggio a cura di Alberto Zanchetta ———

Buon viaggio è un saluto all’anno che sta per finire e un saluto a quello che sta per iniziare. Pino Deodato, maestro della scultura in terracotta, ancora una volta, con sorprendente intensità, racconta il suo mondo “in–finito” con sette lavori inediti dedicati alla carta, al tempo (i giorni), al paesaggio della fantasia che è quella dimensione del pensiero capace di ricordarci l’entusiasmo dell’infanzia. 7 giorni. 7 sculture. 7 sogni. 7 avventure. Il percorso di una fiaba che si srotola senza regole, piegando e spiegando le mille e una via per la Meraviglia. Pino Deodato racconta, con la consapevolezza di chi osserva dall’alto – senza alterigia – le “cose dell’uomo”. Oltre il tempo corrente, cercando una narrazione assoluta che, con la delicatezza del cantastorie, parli degli aspetti più forti e drammatici della condizione umana.

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Pino Deodato, Salita, 2018 413


11 dicembre 2018 18 dicembre 2018 ——— LEGGERE IL TERRITORIO CON L’ARTE night drive a cura di Alberto Gianfreda ———

Questa volta, a interagire con l’area del landmark lissonese è Cristina Crippa, performer che predilige l’uso del corpo come strumento di indagine ed espressione, al quale affianca l’impiego della fotocamera come metodo di osservazione esterno al corpo ma contestuale all’azione. Il corpo diventa il canale sensibile da articolare, estendere, contrarre fino al suo limite per diventare esso stesso, strumento di misurazione emozionale dello spazio. La performer abiterà il Mo.VE e collaborerà con Katarzyna Brzezinska, Davide Casiraghi, Cecilia Viganò, in maniera inusuale, tra improvvisazione e gioco, aprendo a inediti punti di vista sulla struttura. Playground introduce una nuova tematica non ancora affrontata nella ricerca di Leggere il territorio con l’arte e aggiunge alla stesura della mappa emozionale del luogo, che andrà definendosi con il contributo di tutti gli interventi, un elemento determinante: il rapporto tra corpo e luogo, indicando inedite possibilità per conoscerlo e per abitarlo.

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Cristina Crippa, Playground, 2018 415


10 febbraio 2019 24 febbraio 2019 ——— LEGGERE IL TERRITORIO CON L’ARTE bau bau baby a cura di Alberto Gianfreda ———

Continua il programma di valorizzazione del Mo.VE intrapreso dal Museo d’Arte Contemporanea di Lissone in collaborazione con Alberto Gianfreda allo scopo di sperimentare l’uso delle arti nella comprensione dei bisogni e delle potenzialità del territorio. Il progetto di ricerca, giunto al sesto appuntamento in programma, è affidato ancora una volta all’associazione PRI aps. Come di consuetudine, gli interventi di PRI aps approfondiscono ed estendono le tematiche emerse dall’intervento pilota che li ha preceduti, durante il quale Cristina Crippa ha misurato con la sua presenza la relazione tra architettura, corpo e fruizione. Il desiderio di riflettere sulla differenza tra la funzione originale del Mo.VE e la reale fruizione del luogo, che lo vede ridotto a un’area per cani non autorizzata, ha indotto i PRI aps a convertire la presenza canina in un fattore evocativo e suggestivo, quale metafora dell’addomesticamento e dell’animalità. In questa occasione la percorribilità del Mo.VE verrà bloccata e la struttura si trasformerà in una gabbia che amplica ulteriormente la mappatura del luogo.

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PRI aps, Bau Bau Baby, 2019 417


23 febbraio 2019 21 aprile 2019 ——— GUARDARE LA LUNA, NON IL DITO a cura di Alberto Zanchetta ———

Considerando la realtà del territorio, fortemente legata alla filiera del legno–arredo, il Museo ha integrato le sue raccolte con oggetti che afferiscono ai trascorsi della cittadina briantea, proiettandosi viepiù in un panorama ampio ed eterogeneo, di respiro internazionale. La volontà di celebrare “l’arte del progetto”, all’insegna dell’innovazione e dell’iconicità, trova la via delle sale museali con la mostra Guardare la luna, non il dito. Il titolo, che parafrasa il celebre detto «quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito», allude alla necessità di osservare con attenzione gli oggetti esposti per riuscire a trascenderne la forma e comprenderne più a fondo la progettualità. Con lo stesso intento si è voluto ripensare la collezione museale, che il Direttore del MAC ha arricchito con oggetti che rispecchiano l’ingegno dei loro autori e la perizia di alcune tra le più rinomate aziende del settore. A fianco di celebri icone del design, immancabili nelle collezioni di tutto il mondo, trovano posto progetti, prototipi ed edizioni limitate che si articolano attorno a gruppi tematici.

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Guardare la luna, non il dito, 2019 419


23 febbraio 2019 21 aprile 2019 ——— WOLFRAM ULLRICH reliefs a cura di Alberto Zanchetta ———

Mettendo alla prova la nostra sfera cognitiva, le opere di Wolfram Ullrich ci invitano a cambiare di continuo il punto di vista, avvicinandoci o retrocedendo, scomponendo e ricomponendo le superfici geometriche per riuscire a svelare il semplice ma ingegnoso meccanismo che obbedisce, e al contempo trasgredisce, le facoltà visive. Affrancatosi dai limiti che distinguo la scultura dalla pittura, Ullrich è solito rivendicare la sua formazione pittorica presso l’Accademia di Stoccarda, esperienza che l’ha condotto al “massimo grado di oggettualità”. La ricerca di Ullrich viene a precisarsi intorno alla metà degli anni Ottanta con un impianto razionale ma non meramente intellettuale. In seguito l’artista sperimenta i materiali siderurgici e decide di indagare le incongruenze tra la realtà e l’apparenza; a partire dagli anni Novanta il suo interesse si concentra sull’effetto atmosferico del colore, elemento che esalta la virtualità del costrutto formale,coniugando sempre più la finzione della pittura con la fisicità della scultura. Dopo aver lavorato con sistematicità a singole opere, l’artista matura una particolare predilezione per i polittici, attraverso i quali indaga le diverse morfologie di uno stesso poliedro.

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Wolfram Ullrich, Orbit cora, 2017 421


23 febbraio 2019 21 aprile 2019 ——— SIMONE BERGANTINI the golden path a cura di Alberto Zanchetta ———

The golden path è un ideale percorso di fitness che sottopone il fruitore a uno sforzo d’attenzione e concentrazione. A beneficiare di questi esercizi non sono però i nostri corpi, bensì le facoltà cerebrali; le strutture ginniche ideate da Bergantini risultano troppo esili e preziose per soddisfare un utilizzo pratico, discrepanza che si riscontra anche negli ambienti in cui sono accolte, ossia le sale museali, avulse all’espletamento di qualsivoglia attività fisica. Allo sfavillio dell’oro 24k, che imperla le sculture metalliche, si contrappone la grisaglia della sequenza fotografica che immortala una serie di trofei, decostruiti e ricomposti dall’artista in totale libertà, assecondando un’estetica minimalista che ammicca sia all’eros sia al thanatos. Ridotti alla bidimensionalità, i premi risultano inconsistenti e svuotati del loro prestigio. Di più: sono stati convertiti da simboli in stereotipi e schierati su un’unica linea d’orizzonte che ne mette in evidenza la forma asettica e anonima. Giocando sulla dicotomia tra spazio reale e virtuale, Bergantini ci rende partecipi di un allenamento culturale (che è anche un “simulacro inverso” della collettività che ci circonda) per riscoprire le virtù della mente, e non più solo quelle del corpo.

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Simone Bergantini, T–017, 2016–17 423


23 febbraio 2019 21 aprile 2019 ——— COME IL CASCO PER I KAMIKAZE a cura di Alberto Zanchetta ———

La mostra prende spunto da una piccola collezione di vasi bianchi, che uno dei due curatori conserva su uno scaffale della casa materna. Poiché le suppellettili non hanno mai soddisfatto una funzione utilitaristica, Crippa e Zanchetta si sono chiesti se, in effetti, un vaso vuoto non sia l’equivalente del casco indossato dai kamikaze, vale a dire: un oggetto inutile. I due curatori sono così convenuti nell’affermare che il contenitore non esplica una funzione ornamentale, al contrario, è opportuno sacrificare l’elemento floreale affinché ogni vaso rispecchi il proprio contenuto semantico. Ivan Baj, Gianluca Codeghini, Alberto Gianfreda, Christian Gonzebach, SuzanneKutter, Alberto Mugnaini, Marcello Panza, Andrea Salvatori e Alessandro Zambelli hanno accettato di esporre vasi interdetti all’uso, di cui si possono però apprezzare forme e intenzioni, tecniche e materiali. Potenzialmente destinati a contenere fiori, foglie, boccioli e stille d’acqua, questi vasi si possono ritenere dei “recipienti incolmabili” proprio perché non abbisognano di nulla: essi bastano a sé medesimi. Come il casco per i Kamikaze, anche i vasi potranno finalmente affrancarsi dalle loro convenzioni.

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Andrea Salvatori, Ottomano #4, 2016 425


17 marzo 2019 31 marzo 2019 ——— LEGGERE IL TERRITORIO CON L’ARTE split landscape a cura di Alberto Gianfreda ———

Il progetto Leggere il territorio con l’arte volge al termine attraverso l’inserimento nel paesaggio di una scultura ambientale realizzata da Alberto Gianfreda, dal titolo Split landscape. Dopo le indagini effettuate attraverso l’uso del suono, della fotografia e della danza, è ora la volta della scultura, disciplina impiegata nella lettura del luogo antistante l’ex Palazzo del Mobile. Un orizzonte fisico di circa venti metri potenzierà il valore architettonico del Mo.Ve, che nelle sue fasi progettuali era stato concepito come un diaframma tra la città e l’asse viario. L’installazione di Gianfreda si pone in continuità con il suo lavoro di ricerca che attua una trasformazione semantica data dall’incontro tra materiali differenti e destrutturati, proponendo il rapporto tra elementi appartenenti a elementi di produzione industriale e la più alta tradizione locale della tornitura del legno. In questo caso, in Split landscape si intrecciano il design industriale e l’artigianato lissonese, realtà mediate dall’uso scultoreo dei materiali che fanno travalicare il significato e le destinazioni d’uso degli oggetti impiegati, consegnandoli a un’inedita funzione poetico–riflessiva appositamente progettata per il paesaggio prospicente la Valassina.

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Alberto Gianfreda, Split landscape, 2019 427


10 aprile 2019 21 aprile 2019 ——— 12+1 invito a cena (il pane di Leonardo) a cura di Davide Crippa e Alberto Zanchetta ———

In concomitanza con il Salone del Mobile 2019 e le celebrazioni per il 500° anniversario della morte di Leonardo da Vinci, il MAC presenta il progetto 12+1, invito a cena (il pane di Leonardo). Il progetto è una logica continuazione della mostra (1:13) Le tredici sedie mai dipinte nell’Ultima Cena di Leonardo ospitata al Museo nell’autunno del 2013. Ancora una volta i curatori hanno deciso di ispirarsi al cenacolo leonardesco e più precisamente agli arredi e agli alimenti presenti sulla tavola imbandita, pane e piatti sono infatti gli unici dettagli che connotano il desco su cui si stringono gli apostoli. Per celebrare il genio di Leonardo, dodici studi di visual design – Alpaca, D+ studio, Designwork, €€€ studio, JoeVelluto, LS graphic design,Muschi&Licheni, Cristina Silva, Luca Terraneo + Federico Boriani, TomoTomo, Stefano Tonti e We Are Müesli – sono stati interpellati affinché si immedesimassero nel Cristo, immaginando gli inviti cartacei che lui stesso avrebbe potuto recapitare ai singoli apostoli. Per la mise en place de “L'Ultima Cena” (il tavolo in legno ripiegabile progettato nel 1976 dallo Studio Alchimia) è stato coinvolto l’Atelier Fornasetti, che per l’occasione ha deciso di declinare le posture e gli attributi agiografici degli apostoli selezionando tredici piatti della serie “Tema e Variazioni”. Prendendo come spunto il pane, ciò che di più umile si trova sulla tavola, il progetto rievoca inoltre la celebre Mostra contro il culto della personalità e contro il mito della creazione artistica, meglio conosciuta come la “Mostra del pane”, che il Gruppo N organizzò nel 1961. Il re–enactment è accompagnato da una serie di documenti e fotografie d’archivio che sottolineano i nessi tra passato e presente, tra arte e design.

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12+1: invito a cena (il pane di Leonardo), 2019 429


10 aprile 2019 14 aprile 2019 ——— REPUBBLICA DEL DESIGN Design Week 2019 a cura di Davide Crippa e Alberto Zanchetta ———

Contestualmente alla Design Week 2019, il Museo d’Arte Contemporanea di Lissone aderisce con 5 progetti alla programmazione della Repubblica del Design nel distretto della Bovisa di Milano. Presso gli spazi del MAC continua infatti l’esposizione dal titolo Come il casco per i kamikaze, a cui si aggiunge l’inedito progetto 12+1, invito a cena (il pane di Leonardo) all’interno della Project room del Museo. Nel distretto della Bovisa sono invece ospitati i progetti Redesign 1979–2019, incentrato sulla rielaborazione semiologica di alcune icone del design, 7/1, con i disegni e i ritratti di sette importanti Maestri del design italiano, e Racconti da bar, che propone una selezione di taglieri e alcune stecche da biliardo realizzate appositamente da artisti e designer.

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Studio Alchimia e Studio Ghihos, Redesign 1979–2019, 2019 431


04 maggio 2019 21 luglio 2019 ——— ANDREA FOGLI effemeridi del giardino a cura di Alberto Zanchetta ———

La mostra Effemeridi del Giardino raccoglie le principali serie di opere che Andrea Fogli ha realizzato dal 2002 a oggi, traendo ispirazione dalla natura e, in particolare, dal mondo vegetale. Come suggerisce l’artista, la parola “effemeridi” viene evocata per indicare apparizioni giornaliere, effimere e imprevedibili: «Ho dovuto cercare di entrare in questo Giardino dalla parte opposta, dove c’è una selva, senza porte né indicazioni». Al centro della mostra vi sono 59 piccole terre crude, modellate giorno dopo giorno, in luoghi ogni volta diversi, impastando all’argilla gli elementi incontrati e raccolti passeggiando. Attorno ai grani ruotano i disegni–impronte del Giardino planetario, ricavati cospargendo di pastello azzurro le foglie e fiori raccolti in luoghi particolarmente emblematici; i disegni della serie 59 Grani che raffigurano elementi naturali trovati e raccolti come “subject trouvé” durante passeggiate cittadine; la grande carta del Bosco (2002), mandala vegetale realizzato con piccoli tratti di matita, come fossero identici punti di ricamo; e infine le immagini e le parole trovate, e ricreate, cancellando e ridipingendo a tempera una serie di cartoline postali che raffigurano paesaggi e giardini.

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Andrea Fogli, Il Giardino Planetario – Ombelico di Venere, Bolognano, 2018 433


04 maggio 2019 21 luglio 2019 ——— HOCUS POCUS Beaurin–Pinhassi–Schramm–Tirelli a cura di Gianluca Ranzi ———

Quattro artisti si confrontano sulla sparizione/riapparizione dell’oggetto e sull’attraversamento delle superfici. Vincent Beaurin ha messo a punto una famiglia di superfici grumose e risplendenti, forme pure e stilizzate, che richiamano sintesi di animali, figure geometriche o bozzoli levigati che sembrano levitare nell’aria, verso nuove coordinate dello spazio e del tempo. Oren Pinhassi crea forme suggestive e misteriose in cui convivono materiali eterogenei come il vetro, l’acciaio, il gesso, la juta e la sabbia. Le strutture, che spesso occhieggiano ironicamente all’architettura e agli oggetti d’uso comune, fondono organico e inorganico in nuovi agglomerati e configurazioni di senso. Felix Schramm mette in scena delle catastrofi che sfondano le superfici per scoprirne i nessi interni; il suo non è un atto rabbioso o devastante, ma corrisponde a una modalità costruttiva, seppur in chiave negativa, che alterna la poetica del frammento all’integrità del pieno. Marco Tirelli fa apparire e sparire gli oggetti sulla tela, trattando la luce come una presenza che si dissolve nell’ombra. Le atmosfere notturne e silenziose della sua pittura mostrano la soglia su cui forme elementari si smaterializzano nel gioco dei chiaroscuri.

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Oren Pinhassi, Disappointment n. 2, 2017 435


04 maggio 2019 21 luglio 2019 ——— LUCA SERRA mentre nessuno guarda a cura di Alberto Zanchetta ———

Nelle opere di Luca Serra non vediamo mai il gesto generativo, primario e fondativo, ma soltanto il suo sudario, una forma “accolta” come un dono inaspettato. Ciò che noi osserviamo è un’impronta, una memoria che ci permette di immaginare cosa sia andato perso oppure snaturato nelle fasi finali del processo pittorico. Per comprendere più a fondo la questione è opportuno rifarsi alle parole dell’artista quando spiega che il progetto dell’immagine «subisce un riversamento, un calco vero e proprio, per mezzo di diversi strati di un collante acrilico su di una tela, in seguito staccata dal supporto originale, stato finale dell’opera e diversa nell’essenza, da ciò che è stato dipinto. Questo procedimento è dunque una specie di gestazione alchemica durante la quale i colori, i segni e tutta la superficie pittorica si sono prodotti per frutto di un’ossidazione, un’osmosi tra pittura e superficie sensibile e temporanea del catrame, e l’assimilazione–divisione del collante del calco». Nel tentativo di ridurre la pittura ai suoi valori essenziali, Serra procede “alla cieca” offrendoci una realtà priva d’enfasi, scabra eppur raffinata, dove scarti e aporie sorprendono l’auto-re così come i riguardanti.

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Luca Serra, Mientras nadie mire – Carbón, 2018 437


4 maggio 2019 21 luglio 2019 ——— LUCA MOSCARIELLO minime dinamiche di mimetizzazione a cura di Alberto Zanchetta ———

Annoverato tra i finalisti del Premio Lissone del 2014, Luca Moscariello torna a esporre al MAC per rivelare il gioco di incastri e paradossi messi in scena nei suoi recenti Puzzle. I dipinti, selezionati e realizzati appositamente per gli spazi del Museo, inducono l’occhio a penetrare le forme pittoriche, in modo da desumere il fraintendimento visivo che si cela all’interno di un perimetro nel quale si innestano i diversi piani delle immagini. L’inganno visivo scaturito dalle opere rimanda a una riflessione sullo stato attuale della contemporaneità che, per via di un sovraccarico di stimolazioni, ha disabituato i fruitori alla curiosità, impedendo loro di penetrare la coltre di cui è circonfusa la nostra quotidianità. Nei lavori di ultima fattura l’artista ci richiede uno sforzo di partecipazione, allo scopo di proiettare lo sguardo oltre l’impalcatura pittorica.

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Luca Moscariello, Puzzle 6, 2018 439


4 maggio 2019 21 luglio 2019 ——— ELIZABETA TZVETKOVA ama, prega, ricama a cura di Alberto Zanchetta ———

La mostra Ama, Prega, Ricama presenta una serie di disegni ricamati a mano che traggono spunto da fotografie di giornali e riviste che Elizabeta Tzvetkova ha raccolto in anni recenti per documentare storie e drammi che si consumano in paesi non molto lontani dal nostro. In contrasto con la vita agiata e ovattata che caratterizza la società occidentale, l’interesse di Tzvetkova è rivolto a tematiche sociali legate all’attualità, in specie ai flussi migratori dei popoli oppressi. La lenta costruzione dell’immagine, che fissa uno dopo l’altro i fili colorati sulla stoffa di lino, si contrappone alla diffusa frenesia che investe la realtà contemporanea; il ricamo si presta inoltre alla riflessione e alla preghiera, sviluppando un processo di consapevolezza e di denuncia dei conflitti.

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Elizabeta Tzvetkova, Ama, Prega, Ricama, 2019 441


06 settembre 2019 22 settembre 2019 ——— I’M A DESIGNER TOO (2013–2019) a cura di Alberto Zanchetta ———

La mostra è incentrata sulla comunicazione visiva che ha interessato il MAC nel periodo che decorre dal 2013 al 2019. Elaborati grafici, comunicati stampa, carte intestate, modulistiche, loghi, inviti e cataloghi sono raccolti negli spazi espositivi del pianterreno per raccontare lo sviluppo e l’evoluzione dell’immagine coordinata che Alberto Zanchetta ha progettato nel corso degli anni appositamente per il Museo d’Arte Contemporanea di Lissone. L’esposizione dei materiali cartacei è accompagnata da tavole sinottiche che orientano il percorso del visitatore, alla scoperta di un linguaggio visivo che ha connotato la ricca e dinamica proposta culturale degli spazi espositivi.

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Alberto Zanchetta, MLLMTR, 2017 443


05 settembre 2019 24 novembre 2019 ——— DAVID CRONENBERG red cars a cura di Domenico De Gaetano ———

David Cronenberg ci riporta al Gran Premio di Monza del 1961, quando il pilota Phil Hill contende al suo compagno di scuderia Wolfgang von Trips il titolo di campione del mondo di Formula Uno. I due piloti sono molto differenti: Hill è un individualista, uno “Yankee” che approccia ogni gara con nevrotica passione; von Trips è un aristocratico che corre in Formula Uno con grazia e leggerezza. Entrambi hanno la stessa ossessione, desiderano lasciare ai posteri un ricordo della loro grandezza. David Cronenberg scrisse la sceneggiatura di Red Cars subito dopo aver girato Crash. Avrebbe voluto farne un film, ma il progetto cinematografico non fu mai realizzato. Ne nacque un volume d’artista da cui sono tratte le 200 tavole della mostra, che Domenico De Gaetano introduce con queste parole: «Cronenberg ha sempre amato i motori e la velocità. Segue come un fan accanito i gran premi di Formula Uno e non ha mai avuto dubbi su chi tifare: la Ferrari, l’auto da corsa per antonomasia. Il progetto Red Cars nasce proprio da questo suo amore: una sceneggiatura per un film mai fatto, una storia realmente accaduta nell’epoca d’oro dell’automobilismo, raccontata con il suo stile ironico e tagliente, che prende forma in un libro d’artista e in una installazione multimediale che affascinerà sia gli appassionati di Formula Uno, sia gli appassionati di cinema».

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Caitlin Cronenberg, David Cronenberg, s.d. 445


07 settembre 2019 22 settembre 2019 ——— GIUSEPPE MONGUZZI segrete passioni ottantesimo compleanno ———

Giuseppe Monguzzi è cresciuto tenendo a mente e negli occhi i quadri dello storico Premio Lissone. A soli ventidue anni ottiene il privilegio di partecipare all’edizione del 1961, nella sezione dedicata ai pittori delle ultime generazioni. Allora era una giovane promessa, ma nel corso dei decenni ha continuato a perseverare, confermando lunghe attese e grandi aspettative. È del 1986 la prima antologica che la sua città natale gli dedica nel Palazzo Vittorio Veneto. Nel 2008 torna all’attenzione dei suoi concittadini con una mostra al Museo di Lissone che ne celebra il lavoro con un percorso che parte dagli anni Cinquanta e giunge fino agli anni più recenti. In occasione del suo ottantesimo compleanno, l’Amministrazione comunale ha inteso omaggiare nuovamente l’artista, dando voce alla sua passione per la pittura. Una ventina di opere, appositamente scelte, sono state individuate a corollario delle tre tele conservate nel Museo: Ascensione, Omaggio a García Lorca e Segrete Passioni, che ha ispirato il titolo di questa stessa mostra.

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Giuseppe Monguzzi, Segrete passioni, 1985 447


07 settembre 2019 22 settembre 2019 ——— MAX MARRA noi e gli altri a cura di Vittorio Raschetti ———

Gli “altri”, spiega Max Marra, siamo sempre noi. L’omonimo cofanetto contiene ventotto tecniche miste su carta, con interventi manuali a tempera e inchiostro su frammenti di carta applicati direttamente sulle singole stampe, a conferire singolarità e unicità a ogni elemento della raccolta. Alla penna di Vittorio Raschetti è stato affidato il compito di raccontare questo grande atlante di «forme umanoidi incastonate secondo un complicato gioco a incastri. Come pezzi di una figura scomposta, ritagliata e infine ricomposta per un gioco di assemblaggio non casuale, che segue un antico incomprensibile rituale. Volti incastonati in altri volti, come anime introiettate in altri spiriti. Labirinti mentali, intrecci visivi, microcosmi di segni che rimandano ad un macrocosmo di un mondo grafico avvolto su se stesso: dove il mondo è segno e il segno diventa mondo».

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Max Marra, Noi e gli altri, 2018 449


28 settembre 2019 24 novembre 2019 ——— AI BORDI DELL’IDENTITÀ videoarte contemporanea dalla Fondazione Han Nefkens a cura di Giacomo Zaza ———

Ai Bordi dell’Identità presenta opere che affrontano il tema dell’identità interculturale. Quindici artisti provenienti da Africa, Asia, Americhe, Occidente e Medio Oriente propongono considerazioni sociologiche e culturali da punti di vista differenti, attraverso linguaggi narrativi eterogenei. L’evento espositivo testimonia quanto la ricerca artistica contemporanea sia coinvolta nel dibattito culturale e sociale riguardante le condizioni dell’esistenza nel mondo globalizzato. Gli artisti coinvolti presentano riflessioni da punti di vista personali e culturali talvolta molto distanti tra loro, con strategie narrative dissimili e variegate. Da questo excursus si ricava l’urgenza di porre l’essere umano al centro di un’indagine che coinvolge i processi d’identificazione e di appartenenza, d’individuazione delle differenze, di riconoscimento dell’alterità. Essere ai bordi, come suggerisce il titolo della collettiva, allude a quella condizione di fluidità in cui la definizione individuale si realizza attraverso rapporti di confronto e negoziazione con il prossimo o il diverso. I video in mostra indicano, in una prospettiva positivistica, la direzione dell’interculturalità come matrice costruttiva del percorso di emancipazione dell’uomo, percorso perennemente in divenire.

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Shirin Neshat, Tooba, 2002 451


28 settembre 2019 24 novembre 2019 ——— MUBILIA Campanile–Moretti–Pedroletti–Tassinari a cura del collettivo ATRII ———

Il collettivo ATRII ha impostato un laboratorio incentrato sulla tematica dello Standard, qui inteso come abitudine e prassi, omologazione a una norma e possibile fattore culturale. I progetti presentati indagano il vuoto, lo scarto (spazi di risulta), l’innesto tra gli elementi presenti nel luogo. Attraverso linguaggi e approcci differenti, Cristiano Tassinari, Chiara Campanile, Gianni Moretti e Alice Pedroletti declinano la propria ricerca toccando aspetti relazionali, emotivi e socio culturali. Gli interventi sono di tipo documentale, fotografico, installativo, scultoreo e sono collocati all’interno dell’atrio museale, che per l’occasione riattiverà la sua funzione originaria. La ricerca degli artisti è stata allargata al territorio e alla storia locale, con un’attenzione particolare all’architettura dell’ex Palazzo del Mobile di Lissone, che è stato simbolo della città e della sua economia. Una parte del lavoro risulta quindi corale, coinvolge cioè tutti e quattro gli artisti innescando un legame tra loro e con il territorio. Parte del materiale esposto, unito al resto della ricerca personale degli artisti, verrà successivamente inserito nell’Archivio Aperto di ATRII, un archivio dinamico e atipico che contiene progetti in costante evoluzione,destinati modificarsi nell’attesa di essere realizzati.

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ATRII, Mubilia, 2019 453


28 settembre 2019 24 novembre 2019 ——— MARIO DAVICO gli anni del Premio Lissone a cura di Alberto Zanchetta ———

Più di sessant’anni or sono, il Premio Lissone annoverava Mario Davico tra le rappresentanze del panoramo italiano. L’occasione di questo suo ritorno nella cittadina briantea, tutt’altro che un nostalgico tributo, ambisce a offrire un focus sulla ricerca che l’artista ha sviluppato lungo un decennio di attività, periodo che si è voluto contestuale alla sua partecipazione alla manifestazione lissonese. La retrospettiva consta di una dozzina di opere che pongono al centro del percorso di visita i dipinti Visione, La riva silenziosa n. 1 e Fantôme, opere che l’artista ha presentato nelle tre edizioni del Premio Lissone succedutesi a cadenza biennale dal 1953 al 1957. La selezione delle altre opere in mostra accompagna e documenta le complessità linguistico–formali che nell’arco degli anni scandiscono la produzione dell’artista, fino allo scorcio degli anni Sessanta, permettendo al visitatore di leggere il fervido processo creativo che lo ha portato alla piena maturità espressiva. Assecondando quella sua naturale propensione a una dimensione intima e privata, le opere esposte rimandano a un universo spaziale/mentale che l’artista ha voluto circoscrivere in una parabola di proverbiale intensità e rarità.

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Mario Davico, FantĂ´me, 1956 455


28 settembre 2019 ——— ELISA CELLA 19–C25 intervento permanente ———

Che cos’è la coscienza? Dov’è la coscienza? Dall’antichità alla modernità, tramite la religione, la filosofia e le neuroscienze, l’uomo ha cercato e cerca ancor oggi di dare risposta a questa domanda. Elisa Cella la sottintende attraverso la bellezza dei neuroni: ne trova suggestive ed eleganti le simmetrie, le diramazioni, i modi che hanno di connettersi l’uno all’altro. Attraverso quelle connessioni passano le informazioni che il nostro sistema nervoso elabora. Tutto quello che siamo è lì: nei neuroni. Il sistema nervoso elabora percezioni, pensieri, emozioni, comandi, movimenti, intuizioni, tensioni, risposte, la gestione stessa del funzionamento del nostro corpo. Avendo una visione immanente del reale, Elisa Cella si lascia affascinare dal mistero e lo ripropone in una serie di lavori in cui trae spunto da sinapsi e neuroni. Il lavoro pensato per Lissone trae origine da queste riflessioni, utilizzando un materiale e una tecnica (il ferro tagliato al laser) che l’artista ha iniziato a utilizzare nell’ultimo anno. I cerchi sono da sempre elemento di base nei suoi lavori: una forma archetipica che ha molteplici connessioni e si presta a rappresentazioni di oggetti modulari a livello materico ed energetico.

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Elisa Cella, 19–C25 b, 2019 457


07 dicembre 2019 15 marzo 2020 ——— PREMIO LISSONE DESIGN amnesia a cura di Alberto Zanchetta ———

In linea con l’evoluzione degli ultimi anni, il Premio Lissone Design 2019 riconferma la formula dell’invito diretto e affianca alla sezione a premio una ricca programmazione di mostre a tema. Passando al setaccio storie, idee e identità, la settima edizione del Premio Lissone Design mantiene uno strettissimo legame con la storia della Città: intende infatti approfondire gli eventi del passato per riuscire a riflettere e comprendere le ricerche più attuali. A detta di Alberto Zanchetta, «le ultime edizioni del Premio Lissone Design hanno inteso aggiornare e arricchire la propria formula espositiva, aprendosi a nuovi paradigmi e a inediti criteri organizzativi. L’aspetto che più connota l’edizione corrente è il connubio tra le forme espressive dell’arte e del design, “progetto interdisciplinare” che contribuisce alla valorizzazione storicistica e patrimoniale di Lissone, ma si pone anche l’obiettivo di riflettere sia sull’odierno gusto estetico, sia sull’eterogeneità delle sperimentazioni contemporanee». L’ambito tematico dell’edizione 2019 si inserisce in una ricerca liminare, in cui le discipline sfumano le une nelle altre, design e arti visive si interrogano quindi sul concetto di “amnesia”. I sei inviti diramati a singoli autori e gruppi di lavoro vedono coinvolti Martina Brugnara, Duccio Maria Gambi, Simona Pavoni e i collettivi bn+ BRINANOVARA, Nucleo, Parasite 2.0. Una ristretta rosa di nomi tra cui la Giuria, formata da Giacinto Di Pietrantonio, Beppe Finessi e Alberto Zanchetta, decreterà il vincitore di quest’anno.

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Premio Lissone Design: Amnesia, 2019 459


07 dicembre 2019 15 marzo 2020 ——— OGGI ERA IL 1965 Alberto Salvati & Ambrogio Tresoldi a cura di Alberto Zanchetta ———

A latere della Premio Lissone Design, il MAC ospita sei progetti espositivi che propongono opere, oggetti, interventi site–specific, documenti e fotografie che insistono sul concetto di Amnesia, nella speranza di ricordare anziché dimenticare. Particolarmente significativo è il riconoscimento che il Museo dedica all’attività di Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi per il ruolo da loro svolto in qualità di coordinatori delle ultime cinque edizioni delle storiche “Settimane Lissonesi”. Attraverso una trentina di disegni tecnici e altrettante fotografie vintage vengono riproposti gli arredi progettati da Salvati e Tresoldi per la mostra “Mobili per la casa d’oggi” allestita al Palazzo del Mobile di Lissone in occasione della XIII Settimana Lissonese del 1965.

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Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi, XIII Settimana Lissonese, 1965 461


07 dicembre 2019 15 marzo 2020 ——— GIULIANO BARBANTI colore espanso a cura di Alberto Zanchetta ———

Documenti, articoli di giornale e una dozzina di fotografie di Laura Salvati accompagno il visitatore alla scoperta di un intervento realizzato nel 1970 da Giuliano Barbanti all’interno di un alloggio popolare del quartiere Missaglia di Milano. Nella periferia meneghina, compresa tra Gratosoglio e Chiesa Rossa, Barbanti viene interpellato dall’Ente del Mobile di Lissone per realizzare una decorazione murale basata sul contrasto dei colori a strisce continue. L’obiettivo, condiviso dall’Istituto Autonomo Case Popolari di Milano, è quello di migliorare il tenore di vita degli ambienti domestici destinati alla classe operaia.

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Laura Salvati, alloggio popolare con l’intervento di Giuliano Barbanti, 1970 463


07 dicembre 2019 15 marzo 2020 ——— MAURIZIO DURANTI progetto–pittura a cura di Alberto Zanchetta ———

Maurizio Duranti, artista, architetto e designer, torna a al suo primo amore: la pittura. Memore di tutte le esperienze pregresse, la serie dei Paesi si configura come attività rigorosamente selettiva e costruttiva che ambisce alla raffigurazione di uno spazio ideale. Lo skyline dei paesi si converte in rarefatti microcosmi in cui i ritmi e le trame della vita sembrano immersi in una dimensione eterea. Dei paesaggi originali rimane soltanto un cenno morfologico, una linea frastagliata che entra nelle masse architettoniche degli edifici, segno zigzagante che racchiude in sé un ordine e una logica adamantina. Fulgido esempio di questa ricerca è il grande wall–painting che Duranti ha realizzato in forma permanente all’interno del Museo.

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Maurizio Duranti, Caravonica, 2018 465


07 dicembre 2019 15 marzo 2020 ——— LUCA FRESCHI asàratos òikos a cura di Alberto Zanchetta ———

In un mondo sempre più avaro di memoria, le sculture di Luca Freschi ci offrono tracce di civiltà che giungono a noi sotto forma di vestigia disgregate e degradate. L’accettazione degli eventi e delle avversità, senza più speranza né paura, è assunta dall’artista a suggello di opere che riecheggiano antichi scenari della cultura greca (l’asàratos òikos o “pavimento non spazzato”). L’identità frustata di questi reperti/residui si accentua nei “pavimenti d’ombre”, realizzati in terra nera smaltata, dove gli oggetti sembrano sprofondare in un buio abissale, un ventre di tenebra che racchiude il ricordo e la nostalgia di qualcosa che non è più ma che ancora, tenacemente, permane.

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Luca Freschi, Rust, 2018 467


07 dicembre 2019 15 marzo 2020 ——— RI/TRATTI SOMATICI a cura di Alberto Zanchetta ———

Andrea Branzi, Paolo Deganello, Anna Gili, Alessandro Guerriero, Ugo La Pietra, Franco Raggi e Nanda Vigo hanno accettato di farsi fotografare da Max Falsetta Spina con la tecnica del multi scatto. Luci e ombre accomunano i ritratti somatici e i tratti grafici dei protagonisti coinvolti, nel tentativo di ricomporre la sfaccettata identità di ciascuno di loro. Il meticoloso “progetto” della fotografia e la disinvolta libertà del “disegno” intendono restituire l’unicità e la complessità di sette volti/enigmi che cercano di raccontarsi attraverso un segno distintivo.

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Franco Raggi, Sedie di Fibonacci, 2013 469


07 dicembre 2019 27 dicembre 2020 ——— STEFANO TONTI Descartes Wall Paper System a cura di Alberto Zanchetta ———

Le grandi vetrate del Museo ospitano il progetto Descartes Wall Papaer System, un sistema di carte da parati ideato da Stefano Tonti per Imperfettolab, azienda produttrice di mobili e complementi d’arredo in vetroresina. Dettagli casuali di un ciuffo di lana di vetro sono moltiplicati, ruotati e ricombinati su assi cartesiani per generare i diversi pattern; il risultato è una gamma di suggestioni visuali che va da un delicato merletto a geometrie art déco, fino a bozzoli e forme entomologiche.

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Stefano Tonti, Descartes Wall Papaer System, 2019 471


20 maggio 2020 20 settembre 2020 ——— LA PRIMAVERA SCORSA, all’improvviso a cura di Alberto Zanchetta ———

Per rispettare il contenimento e il contrasto del virus Covid-19, il MAC è stato costretto a una forzata chiusura al pubblico. In conformità con le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che ha annunciato la riapertura dei musei italiani, Lissone ha deciso di ripartire con l’esposizione La primavera scorsa, all’improvviso. Per recuperare la stagione “persa” sono stati scelti oggetti, fotografie, materiali editoriali e d’archivio – quasi tutti inediti – che offrono riferimenti “essenziali e inattesi” all’interno delle collezioni di design del MAC. Dagli inventari sono stati scelti il celebre Portariviste di Giotto Stoppino, l’E.A.T. Education At Table di Giorgio Biscaro, l’innovativo LoveMe di Maurizio Duranti, il Segavento prodotto da Bottega Ghianda, la storica cucitrice Parva “Punto 64” di Bruno Maestri. Tra le curiosità si segnalano le tavole d’assemblaggio della Tuttitubi small di Lorenzo Damiani, gli studi per una poltrona in ceramica che NicolaToffolini ha progettato e mai realizzato, le t-shirt della serie Republic of Welcome di Arnold Mario Dall’O e This is not an Artwork di Wladimiro Bendandi / D+ studio. Tra i cataloghi e i taccuini sono annoverati alcuni volumi ciclostilati di Carlo De Carli, un booklet di Andy Rementer e due libri di Romeo Sozzi in edizione limitata e numerata. Particolarmente significative sono anche le fotografie vintage di una Poltrona imbottita di De Pas–D’Urbino–Lomazzi e una Poltrona componibile che Pierluigi Cerri e Walter Barbero concepirono per la XV Settimana Lissonese. Altre foto d’epoca si accompagnano a disegni, riviste e pubblicità che celebrano la sedia Fiocco di Gianni Pareschi, stravagante icona del design il cui primo prototipo era stato realizzato a Lissone nel 1970.

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Gianni Pareschi e il Ministro Ripamonti al Palazzo del Mobile, Lissone 1970 473


23 maggio 2020 31 luglio 2020 ——— DON’T OPEN by appointment a cura di Alberto Zanchetta ———

Il MAC ha ufficialmente riaperto i propri spazi espositivi e si appresta ad allestire nuove mostre che saranno visitabili secondo le indicazioni applicate per il contenimento del Covid-19. Pur riprendendo il contatto con il pubblico, il Museo intende restare in connessione con la comunità del web, che nei mesi scorsi ha potuto seguire il progetto #MACAFFINITY grazie al quale è stato possibile ripercorre – attraverso quarantacinque fotografie inedite – le fasi produttive delle Affinità elettive curate da Carlo Guenzi nel 1985; sono quindi seguite le locandine #BOLD XERIE che nel 2018 Alberto Zanchetta ha progettato in copia unica per connotare l’attività espositiva del MAC attraverso testi biffati e indicazioni alfanumeriche. Mettendo a profitto il lavoro svolto da remoto, il MAC prosegue la sua programmazione online. Per i prossimi 70 giorni, sul profilo Instagram del Museo verranno postate altrettante immagini che documentano l’evoluzione della pubblicità nel mondo del design a cavallo degli anni Settanta e Ottanta. In un primo momento, le inserzioni pubblicitarie dovevano confluire in un progetto di riallestimento delle collezioni permanenti, offrendo un corollario agli oggetti in mostra. Rinunciando a una fruizione diretta, si è deciso di digitalizzare le immagini originali, svincolandole dal percorso espositivo per diventare esse stesse [s]oggetto di una mostra virtuale e alternativa rispetto alla fruizione diretta. Nel corso dei giorni si susseguiranno le pubblicità di note aziende di design, “marchi di fabbrica” che si sono avvalsi delle firme di celebri design e di noti visual designer. La mostra ideata per rilanciare l’attività culturale del Museo è cadenzata in modo tale da accompagnare gli utenti fino alla pausa estiva

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PubblicitĂ della Zanotta per il Mezzadro di Achille Castiglioni, 1970 475


13 giugno 2020 20 settembre 2020 ——— MAURIZIO DONZELLI thresholds a cura di Ilaria Bignotti e Alberto Zanchetta ———

Il titolo della mostra di Maurizio Donzelli rimanda alla capacità dell’artista di lavorare sulla latenza delle immagini (tra apparizione e trasformazione), sulla loro origine e deviazione da una forma definita e conchiusa, intrecciandone i tempi e le geografie visuali. Ma Thresholds racchiude anche l’idea dell’attraversamento della “soglia” da parte dello spettatore, il cui sguardo è coinvolto in una stretta relazione con le opere che l’artista vuole “libere e spontanee”, in rapporto di reciprocità e di continua scoperta. Maurizio Donzelli propone un percorso concettuale dove la stessa immagine viene declinata in tecniche diverse: l’acrilico su carta, il mirror, l’arazzo, l’acrilico resinato. All’interno della mostra, due immagini differenti reagiscono in base ai loro supporti, dimostrando in che modo la complessità dell’immagine sia in grado di rapportarsi con la materia, lo spazio e il tempo. Un grande acrilico, di circa 8 metri, si rispecchia nella conformazione tessile di un arazzo palindromo, per poi rifrangersi nella misteriosa condensazione del Mirror. Un’altra immagine, che dal bianco si addensa nel nero, dialoga tra la carta, la tessitura e la resina, tra assorbenza e riflettenza, rendendo il pattern visuale ora aggettante verso lo spettatore, ora restio a svelarsi completamente allo sguardo.

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Maurizio Donzelli, Mirror, 2020 477


20 giugno 2020 20 settembre 2020 ——— SEAN SHANAHAN singular episodic a cura di Alberto Zanchetta ———

Le opere di Sean Shanahan sfuggono alla nomenclatura, riescono a farsele scivolare addosso, merito anche dei loro bordi sagomati: acuti quanto arditi, capaci di inficiare la tradizionale geometria del sacro rettangolo. Sono bordi intonsi che mettono in evidenza il supporto, ma soprattutto servono a delineare e ripensare quella soglia che tende a graduare l’opera verso il mondo circostante. Ridefinendo i confini della propria ricerca pittorica, l’artista riesce a minare qualsivoglia definizione, dando corso a una geometria che spariglia la tradizione e che sembra intraducibile altrimenti. Esattamente come in un ossimoro, il fatto di non trovare un nome che definisca in modo puntuale questi “poligoni irregolari” li rende ancor più e[sc]lusivi, unici nel loro genere. Inequivocabili e irriducibili, estensivi più che inclusivi, monomaniacali ancor più che monocromatici, i dipinti dell’artista avverano un concetto, un pensiero fisso che ha la sostanza del colore: uno per volta. Benché possano sembrare solenni come delle liturgie, non c’è enfasi o vanità in queste opere. La pittura di Shanahan è un oggetto (giammai un soggetto) che estende le proprie leggi all’ambiente circostante. C’è un’impersonalità della stesura, che non è omogenea ma non è neppure espressiva. Il colore aderisce al supporto, si identifica col piano bidimensionale, reclamando pur tuttavia il suo diritto di essere “cosa” tra le cose, una cosa dipinta anziché l’immagine dipinta di una cosa.

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Sean Shanahan, Luisetta, 2018 479


27 giugno 2020 20 settembre 2020 ——— ALEXIS HARDING in fieri a cura di Alberto Zanchetta ———

In occasione del Premio Lissone 2018, la Giuria formata da Marco Meneguzzo, Demetrio Paparoni e Alberto Zanchetta aveva assegnato il “Premio MAC” a Alexis Harding, riconoscimento che gli ha permesso di programmare una mostra personale al Museo di Lissone. L’esposizione, che si concretizza a distanza di due anni, mette in luce la densità e intensità cromatica dell’artista. Grazie a una pratica di ripensamento dei limiti della pittura, l’artista ridefinisce l’epidermide della pittura, che, pur perdendo aderenza con la tela, acquista maggiore aderenza con la realtà. Nel piano nobile del Museo, Harding ha realizzato una serie di opere che rispecchiano un modus pingendi poroso, ampio, flessibile e sempre in fieri. «Queste opere», spiega l’artista, «sono manipolate e “dipinte” in modi molti assurdi ed eccentrici relazionandosi con irrazionalità e controllo in egual misura. Alcune opere le tocco e le manipolo mettendo letteralmente le mani sotto la pelle e la superficie, mentre altre vengono ignorate e alla gravità è permesso di svolgere il suo ruolo. Cerco sempre di usare un modo opposto o incompatibile di pensare nel lavoro e un dipinto funziona quando include razionalità e irrazionalità, interno ed esterno, bellezza e repellenza».

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Alexis Harding, Washout, 2016 481


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L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI a cura di Alberto Zanchetta MAC © giugno 2020

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L’orizzonte degli eventi è una superficie immaginaria che circonda ogni buco nero. All’interno di questa superficie la velocità della luce non è più sufficiente a sfuggire al buco nero, che esercita su di essa un’irrefrenabile attrazione. 484


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