IL CAMPO DI FRAGOLE Un racconto di fantasia Ambientato nella cittadina di Pignataro Maggiore Nel meridione d’Italia
Di lucignolo@web.de Edito da Pietro Ricciardi Via Gramsci, Pignataro Maggiore (CE) www.comunedipignataro.it Rilasciato sotto licenza Creative Commons by-nc-nd/2.5 http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/
INDICE
Nota dell’autore………….…………………………..………………………pag. I Capitolo 1 …………………………………………………………..………..pag. 1 Capitolo 2 …………………………………………………………..………..pag. 10 Capitolo 3 …………………………………………………………..………..pag. 18 Capitolo 4 …………………………………………………………..………..pag. 25 Capitolo 5 …………………………………………………………..………..pag. 33 Capitolo 6 …………………………………………………………..………..pag. 39 Capitolo 7 …………………………………………………………..………..pag. 44
Nota dell’autore
Capitolo 1
Quando nel marzo del '97 fuggii da Pignataro in cerca di un'alternativa di vita, portai con me uno scatolone pieno di appunti,quaderni e diari. Con il trascorrere del tempo, a mente lucida e tra lavoro e studio ho rimesso un po' d'ordine a questi appunti. E' il racconto della mia giovinezza, del mio percorso tortuoso e doloroso, ma a tratti anche goliardico e spensierato verso quello che sono oggi. Forse e' un modo di rielaborare con il beneficio del tempo, di cercare di capire e, a tratti, forse anche di giustificare le mie esperienze. Avendo vissuto questa giovinezza a Pignataro inevitabilmente racconterò anche del Paesello
e
delle
persone
che
allora
mi
circondarono.
Voglio chiarire che racconto la mia storia. E' la mia verità di allora esclusivamente dal mio soggettivo punto di vista. Io non sono tra quelli che pensano di avere la verità assoluta.
“…andai alla ricerca della tua fiaba. La solita fiaba dell’eroe che si batte da solo, preso a calci, vilipeso, incompreso. La solita storia dell’uomo che rifiuta di piegarsi alle chiese, alle paure, alle mode, agli schemi ideologici, ai principi assoluti da qualsiasi parte essi vengano, di qualsiasi colore si vestano, e predica la libertà. La solita tragedia dell’individuo che non si adegua, che non si rassegna, che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti…”
Quindi, frase d'obbligo, ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti o esistite, e' puramente casuale.
Un Uomo - Oriana Fallaci
Per critiche, commenti o semplicemente un saluto lucignolo@web.de
Pag I
ma anche un segno della crescita, dell’evoluzione dell’Uomo. Ogni generazione e` un piccolo passo verso il nuovo, verso il meglio: nuove idee, nuovi valori. Quindi guai se venisse a mancare una sana ribellione adolescenziale. E inevitabilmente quella sana ribellione adolescenziale scatto` anche in me.
Il tempo e´ un compagno lento ma inesorabile che cuce, scuce e ricuce brandelli di Il tempo e´ un compagno lento ma inesorabile che cuce, scuce e ricuce brandelli di memoria che affiorano dall’inconscio come un iceberg. Ma come un iceberg questi brandelli ti mostrano solo la punta emergente, il momento clou, lasciando i retroscena, i contesti, i collegamenti, immersi sotto una superficie di un denso velo nebuloso di non ricordi o di ricordi rimossi. Andare a scavare in un passato relativamente recente e doloroso, costringe a fare i conti coi propri fantasmi che si celano in questi enormi iceberg della nostra memoria, costringe ad immergerci in quel pantano da cui non siamo certi di riemergere e, anche se riemergessimo, non saremmo mai certi di tornare con la risposta a quell’eterno perché che ci assilla…
Quand’è che finirà di piovere? Da dietro i vetri della mia stanza osservavo una coppietta che litigava sotto all’ombrello. Valentina, mia coetanea e vicina di casa, aveva uno strano modo di gestire questo suo primo esperimento sentimentale. Lui aveva forse due tre anni più di lei ma questo non lo metteva al riparo dai modi bruschi e duri di Valentina. Era aggressiva e mostrava indifferenza ma dentro di se` era insicura ed infondo aveva paura di quel maschio che la abbracciava e baciava, che la toccava e che non si accontentava più del superficiale petting che lei poteva offrirgli. Con quei modi perdeva quel po’ di grazia femminile che incominciava ad insinuarsi in lei e che in seguito ne avrebbero fatto una donna attraente, ma allora quello doveva essere il suo modo per tenere a bada il maschio prima che si mettesse strane idee in testa o che la cosa incominciasse a piacere anche a lei. Ogni tanto, quasi con cattiveria, tirando a s è l’ombrello lasciava che il ragazzo si
Allora dovevo essere un’adolescente come tanti altri: avevo i miei problemi, le mie ansie, le mie insicurezze, l’incapacità di adattarmi al mondo dei grandi, l’insofferenza verso gli altri. Ero ancora avvolto dal grembo caldo e sicuro della famiglia, ma era un grembo possessivo e gerarchico che richiedeva una cieca ubbidienza che io non ero più in grado di concedere. I valori e le certezze del mio nucleo familiare non mi bastavano più, cercavo me stesso, la mia identità, quello che infine avrebbe fatto la differenza tra me e il resto del mondo. Cercavo il mio ruolo andando incontro al nuovo, all’incerto, volevo che la mia presenza venisse notata e accettata, ero desideroso di confrontarmi con gli altri, ma stavolta alla pari. Insomma mi muovevo nel nulla più assoluto. Dovevo trovare il mio ruolo e dovevo farlo anche in fretta per riempire quel nulla e sottrarmi cosi alla sensazione di essere inutile. E da dove potevo iniziare? Cercando il nuovo si inizia ovviamente facendo prima i conti con il vecchio. E il vecchio era la sicurezza del nucleo familiare e i valori che rappresentava, quindi quale miglior inizio per affermare il mio ruolo poteva essere rifiutarli quei valori. E` l’eterna storia dei conflitti generazionali, l’eterno conflitto tra Padre e Figlio
bagnasse. Il tira e molla durò ancora alcuni minuti ma Valentina continuava a respingerlo e alla fine lo pianto´ li, sotto quell’acquazzone. Tornai a sedermi al tavolo dove c’erano dei libri aperti e un quaderno con degli esercizi di matematica da finire. Ma non è che avessi una gran voglia di studiare ultimamente. Senza bussare mia madre entrò nella mia stanza, invase i miei pensieri e mi comunicò che la cena era pronta. Provai ad immaginare la solita atmosfera serale di famiglia perbene a cena. Mio padre, seduto a capotavola e perennemente stanco dal lavoro anche stasera mi avrebbe chiesto della scuola. “Ti stai impegnando?” “ Lo sai che potresti fare molto meglio, anche i tuoi professori lo dicono.” “Non voglio che tu faccia l’operaio come me. Devi avere una vita migliore.” “Lo so che hai appena iniziato il Ragioneria ma non ti pensare, il tempo passa e l’Università sarà presto alle porte.” Dentro di me pensavo che forse sarebbe stato molto meglio riservare tutte quelle attenzioni serali a mia madre. Io ne avrei fatto volentieri a meno e mia madre le avrebbe sicuramente apprezzate. Lui si era creato la sua isola felice, un mondo in miniatura con cui conviveva abbastanza pacificamente, senza grossi problemi: il lavoro in fabbrica, qualche film in TV la sera nel salotto buono, i suoi sacrifici
per farsi la casa, la macchina nuova firmando 36 cambiali e il suo arbitrario concetto di
bianco e nero. Sembrava che anche noi incominciassimo a far parte staticamente della
giusto e ingiusto, di bene e male. Aveva gli amici del bar, i colleghi di lavoro. Mia madre
scenografia, come delle comparse ci confondevano con i muri del caseggiato che ci
invece aveva solo lui. Gli serviva la cena poi, una volta seduta, gli avrebbe chiesto della
circondava. Quei muri erano un po’ il simbolo della nostra oppressione, del soffocamento
giornata lavorativa. Lo ascoltava con attenzione, quando riusciva a cavargli qualcosa di
del nostro Essere. Il muro che simboleggiava il nostro limite culturale, quella cultura di
bocca. Mio padre invece, quando aveva la bontà di interpellarla o lei gli raccontava
provincia un po’ bigotta e un po’ perversa a cui eravamo legati e a cui dovevamo rispetto,
qualcosa, doveva fingere la sua curiosità. Poi, inevitabilmente, sarebbero caduti nel
perché ogni inosservanza delle regole non scritte di questa cultura veniva
silenzio più assoluto. Di fronte alla TV ancora mia madre, in un timido tentativo di
all'istante con emarginazione dalla vita sociale.
approccio gli avrebbe chiesto cosa avrebbero visto stasera. Si manifestava allora con una
Qua e là per la piazza erano sparse le tristi sezioni dei partiti e alcuni circoli culturali, che
sconcertante prevedibilità matematica l’unica bizzarria che io ricordi di mio padre: non le
poi avevano ben poco di culturale: erano solo il ritrovo di accaniti giocatori di carte. Alcuni
rispondeva sempre, le rispondeva a giorni alterni, un giorno si e un giorno no. Molti anni
avevano in bella mostra sulla porta il manifesto “NO ALLA DROGA” ma il loro impegno
dopo gli avrei chiesto conto di questa sua piccola deviazione: a suo dire non la ricordava e
finiva lì. Le sezioni dei partiti invece avevano già da tempo smesso di essere luoghi
punita
sosterà di aver comunque sempre risposto a domande di sua moglie. Un giorno si e un
d’incontro di gente desiderosa di confrontarsi in sane discussioni democratiche. Eravamo
giorno no…
a metà degli anni ’80 e l’ecletticità culturale, la capacità di confronto e di mediare punti di vista diversi non era richiesta. Le qualità richieste erano conformità, plasticità, omertà. Più
Fuori intanto aveva smesso di piovere. Ne approfittai per fare un giro in bici. Vagai un po’
si possedevano queste qualità più si era vicini al segretario di sezione. Quindi alla fine
per le strade evitando consapevolmente quelle più affollate. L’odore acre dell’asfalto
queste sezioni di partito non erano altro che il fulcro di quella piccola borghesia di
impregnato dalla pioggia risvegliava la mia riflessiva malinconia, un po’ alla Quanno
provincia che aspirava ai posti di potere della polis, non per il tanto decantato bene
chiove di Pino Daniele. Perché ero divenuto così critico, malinconico, intollerante? Forse
comune ma solo per il proprio tornaconto personale, che fosse questo
iniziavo a crescere ed iniziavo finalmente a vedere il mondo circostante con i miei occhi.
semplice smania di potere dipendeva dall’inetto di turno. A guardarli bene veniva fuori un
Ed evidentemente non mi piaceva affatto quello che vedevo: l’oziosa atmosfera di
lato tragicamente comico di questi nuovi mostri, degni figli di quegli anni fatti di esteriorità
provincia, quel dolce far niente che sembrava un vecchio film in bianco e nero alla
ed effimero, in cui ci si affannava ad esibire il proprio benessere economico e ad ostentare
moviola…
i simboli del proprio potere. L’unità di misura del successo e della propria felicità era la
economico o
consistenza del conto in banca. Si preoccupavano di lodare le qualità della loro macchina, l’ultimo modello dell’ammiraglia supertecnologica e superveloce; si preoccupavano Piazza Umberto 1°.Era uno strano posto quella piazza anche se non aveva niente di
dell’estetica della moglie che doveva presentarsi sempre gradevole ed avvenente per
particolare: una striscia d’asfalto la percorreva lungo tutto il suo perimetro e al centro c’era
poterla scarrozzare ed esporre come un trofeo; si preoccupavano di scegliere gli studi
un grande spiazzo vuoto, c’era qualche panchina e la classica vecchia chiesa con il solito
adatti ai loro figlioli per poi inserirli in qualche ufficio pubblico, truccando concorsi e
orologio. A me ricordava tanto una piazza d’arme di qualche lontano lager nazista con
scavalcando chi magari era più qualificato di loro, rubando quindi benessere economico
l’orologio che scandiva le nostre ore d’aria. L’Architetto responsabile, in un delirio di
ad altri cittadini, statura morale ed efficienza allo Stato. La sera seguivano interessati il
onnipotenza giovanile ai tempi dell’università, deve aver omesso accuratamente la lettura
loro bel telegiornale di partito con le sue verità per poi abbassare lo sguardo e far finta di
di “Individuo e spazi urbani”. E perdipiù alcuni anni dopo lo avrebbero persino eletto
niente di fronte alle brutture del mondo: il degrado urbano ed ambientale, la droga e la
Sindaco. Bé, pazienza. Nessuno è perfetto!
violenza per le strade, l’emarginazione delle minoranze, l’occidente che continua ad
Comunque qui noi ragazzi vivevamo la nostra quotidianità, ma nemmeno i nostri abiti
ingrassare mentre altrove si muore ancora di fame. Così abbassavano gli occhi sulla loro
colorati e la nostra naturale esuberanza giovanile sembravano ravvivare questo posto in
consapevole complicità, sulla loro coscienza. Ma infondo loro stavano bene così: vivevano
nel loro piccolo nido ad orizzonte limitato e da cui non potevano certo partire e cambiare il
nelle strade del mondo dai tempi più remoti. Ma qui dove ci conoscevamo un po’ tutti e
mondo, loro si limitavano ai piccoli intrallazzi, alle tangenti, alla corruzione. Niente di
non esisteva l’anonimato della città, le guerre occulte tra uomini erano più cattive, più
grave, ma per sicurezza apparivano alla rituale messa della domenica uscendone puliti ed
viscerali. La sopraffazione è il verbo. È una sopraffazione sottile che si insinua in un
appagati, con facciata linda e dignitosa.
piccolo lembo di terra, quello che divide la stolta maleducazione dalla presuntuosa
Comunque anche questi politicanti piccoli piccoli erano solo dei comuni mortali, anche loro
arroganza. È una sopraffazione fatta di piccoli gesti, di una parola detta e non detta, di un
erano deboli e vulnerabili. Quindi avevano bisogno, più degli altri, del consenso del proprio
saluto non ricambiato, di uno sguardo. È l’individuo allo stato brado che dichiara guerra
gruppo di appartenenza che li rendeva sicuri di sé ed arroganti. Ma guai se
per la difesa del suo spazio e per la conquista di quello degli altri. Se la sopraffazione è il
improvvisamente questo consenso veniva a mancare: si trasformavano in bestie feroci
verbo lo scopo, anche qui, è il potere. Per quanto possa essere insignificante e transitorio
pronti a sbranare il nuovo leader del gruppo. Altri, grazie alla caduta, diventavano più
e consumato all’interno di una ristretta cerchia d’amici, è potere. Piccolo si, ma
sciolti, ironici e canzonatori, anche più simpatici.
proporzionato agli uomini che se lo contendono.
Ma la maggior parte di loro restavano uomini bramosi di potere. Al turno elettorale
Intanto noi ragazzi ci accalcavamo in piccoli bar pieni di fumo dove anche noi ci sfinivamo
successivo avrebbero trascinato al loro fianco nei comizi di piazza qualche esponente
in chiassose partite a carte con il gioco antico del padrone e sottopadrone o davanti ai
nazionale del partito per dimostrare il loro potere e le proprie conoscenze; sarebbero stati
primi ipnotici videogiochi che ormai stavano sostituendo il buon vecchio flipper. Erano un
più accondiscendenti
quando sarebbero andati a mendicare voti porta a porta,
po’ la nostra zona franca queste arene in cui venivamo iniziati a tollerare l’uso dell’alcool
promettendo posti di lavoro e interessamenti, tramutando i nostri diritti in favori concessi
che assopiva il nostro intelletto e quella genuina vivacità che andavamo già perdendo.
da loro. Poi sarebbero spariti e non li avremmo visti più per un pezzo.
L’alcool a quell’età ti dava quella sicurezza che ti mancava, la sfrontatezza di cui avevi
Ma statene certi che sarebbero di nuovo tornati alla carica al prossimo valzer elettorale e
bisogno con le ragazzine, eri più in gamba con gli amici e ti aiutava a metterti in mostra di
noi avremmo continuato a farli accomodare in casa, lusingati da una visita così importante.
fronte agli altri, ma alcuni purtroppo elevavano quella momentanea euforia indotta a
E noi avremmo anche continuato a votarli questi individui che hanno tutto l’interesse a
modello di se stessi. Venivamo educati ad essere indulgenti: l’alcool era anche per noi
perpetuare la pubblica inefficienza praticando il voto di scambio, perché meno funzionano i
minori alla portata di mano, ci veniva venduto del tutto legalmente dai Monopoli dello Stato
servizi dello Stato più il cittadino ha bisogno di questo politico intermediario disponibile e
e veniva considerato sicuramente molto meno dannoso di qualsiasi altra droga. E così ne
pronto ad aiutarlo.
ho visti parecchi di questi miei coetanei etilici sempre più ebbri che solo in compagnia dell’alcool riuscivano a sentirsi vitali, socievoli e liberi. Davanti al bar un ragazzino continuava a vantarsi di una sua presunta scopata, omettendo invece di parlare dei suoi
E mentre una minoranza intrallazzava sui destini della maggioranza, la maggioranza
indubbi movimenti con una mano sola nel bagno. Ovviamente anche in campo sessuale
viveva apatica la quiete serale di un giorno feriale qualsiasi…
volevamo essere già grandi anche se lo eravamo solo con l’aiuto della menzogna.
Ed anch’io ero lì in mezzo, al centro di quell’universo. Scrutavo, osservavo ed
Il resto della gioventù si radunava in piazza in piccoli gruppetti a se stanti, a circuito
interiorizzavo le mille vicende che erano in corso. Me ne appropriavo, cercavo di
chiuso: ognuno cercava il suo gruppo senza mai sentire l’esigenza di interagire con gli
comprendere ed infine giudicavo. A quell’età ero molto intollerante e drastico verso quello
altri. E se per gli adulti esisteva ancora la suddivisione in classi (chiamate
che non capivo o ritenevo opposto a me. C’erano solo buoni e cattivi, bianco e nero: era il
eufemisticamente fasce di reddito), per i ragazzi esisteva questa suddivisione in gruppi di
solito manicheismo adolescenziale, ennesimo e disperato tentativo di affermare la mia
appartenenza in cui ci si riconosceva e ci si mimetizzava, ognuno coi suoi riti e luoghi
identità rispetto agli altri…
sacri…
In piazza si respirava e si viveva di meschine gelosie, di rigidi conformismi, di arcaici
Davanti al Bar dello Sport (sic!), della serie voglio sempre di più eccoli questi figurini lindi e
pregiudizi e soprattutto di quelle guerre occulte tra piccoli uomini che ormai si consumano
carini sempre alla moda e per la maggior parte figli di quelli delle sezioni di partito.
Massimo, degno figlio del nostro primo cittadino, nonostante l’età aveva già messo da
per vedere la partita; ci sono quelli che al termine della scuola dell’obbligo vanno già a
parte i jeans e si era travestito da grande: così il borghese piccolo scimmiottava suo padre
lavorare, altri invece vanno perdendo tempo; alcuni finiscono per strada in compagnia di
in una sorta di conformismo di classe. Aveva imparato presto e bene l’insegnamento dei
polverine mortali, altri in discoteca, chi con pasticche altrettanto mortali e chi no; ci sono
grandi: dalla Cultura allo Swatch lui in realtà non desiderava avere per un proprio
quelli che s’impegnano nel sociale e quelli che invece se ne fregano altamente. Ma questa
arricchimento culturale o per una vera necessità, ma solo per il gusto di mostrare, di
molteplicità di aspetti fa si che si disperdano molte energie per coordinare esigenze
sfoggiare. Anche il suo brillante chiacchiericcio da cicisbeo pseudo intellettuale veniva
diverse, rende difficoltoso arrivare a una comunità d’intenti, avanzare delle richieste o
usato solo per azzittire gli altri, per mostrarsi superiore a loro e vincente nelle sue piccole
attuare delle lotte nel rispetto di tutti. Ma il mondo dei giovani deve anche fare i conti con
guerre occulte. Alla fine il tutto si riduceva a reciproci affondi pungenti, a volte ironici e
continue variazioni di rotta, quasi impercettibili, dovute al fatto di essere rilegati in una
gradevoli, altre tragici e avvilenti. Era più furbo che intelligente, vanitoso ed egocentrico,
fascia d’età anagrafica molto ristretta rispetto a quella degli adulti, quindi molto più legata a
fasullamente allineato, già pieno delle sue tracotanti certezze e senza alcuna lacuna
un continuo ricambio dei suoi soggetti e di conseguenza anche a un continuo apporto di
dubbiosa. Indubbiamente Massimo si prendeva troppo sul serio per la sua età, e non
nuovi valori e scopi da raggiungere. E infine, ma non meno rilevante, non va dimenticato
avvertiva minimamente l’orrore insito in chi ha la presunzione di essere sempre il più
che i giovani non sono ancora inseriti nel sistema produttivo e quindi non hanno ancora, o
intelligente tra i presenti. Ma era anche un personaggio che riusciva indubbiamente ad
meglio, non avevano, uno specifico e diretto potere d’acquisto, anche se gli strateghi del
affascinare all’interno della sua cerchia anche se, col passare degli anni, avrebbe rivelato
marketing sapranno togliergli pure questa prerogativa. Alla fine i giovani si trovano a non
il suo egoismo assoluto alla frenetica ricerca del successo economico. Avevo dunque
avere una concreta forza contrattuale con le istituzioni, sia esse locali che nazionali, che li
trovato in Massimo il promo vivente di tutti quei valori che stavo iniziando a rifiutare, anche
esclude non solo da qualsiasi decisione che riguarda la crescita della società in cui vivono
violentemente.
ma, paradossalmente anche da quelle che riguardano loro stessi. Tutto questo non fa altro
Dall’altra parte della piazza invece bivaccava un altro gruppo di ragazzi che non aveva
che fomentare una generale sfiducia verso le istituzioni, quindi verso gli adulti, accresce il
molto in comune con Massimo & Compagni, anzi ne erano i naturali antagonisti: non
disagio, l’incomprensione e spesso sfocia in quelle che i soliti esperti definiscono, con un
sembravano molto interessati agli ultimi trend della moda, si mostravano molto informali
oscuro senso dell’umorismo, problematiche giovanili.
tra di loro e poco inclini al mondano. Traspariva anche un’accentuata goliardia verso la
Ma tutte queste considerazioni avevano poco a che fare con la mia realtà da adolescente
vita e un’appartenenza al gruppo più mistica. Non erano particolarmente attaccati ai riti
in un paesino di ottomila abitanti. La nostra frammentarietà non diveniva occasione e
della cultura giovanile del paese: disertavano del tutto le feste alla buona dell’Azione
curiosità di conoscenza dell’Altro: da noi prevaleva l’ignorarsi a vicenda e l’ostinarsi a non
Cattolica e i Bar, poco presenzialisti in piazza e al Campo Sportivo. Si notava in loro una
voler capire chi pensava in modo diverso da se stessi. A volte capitava che un gruppo
certa irrequietezza, un perenne voler andar via, un quasi voler fuggire per non divenire
studiava l’altro ma spesso era solo un’occasione per sputare sentenze: si ringhiava, si
anche loro schiavi di riti che sembravano non approvare. Erano sfuggenti, inafferrabili,
mostravano gli artigli e poi ognuno tornava nella sua tana. Mai uno scontro, mai un
perennemente altrove…
dialogo. In una sorta di razzismo culturale si ponevano le fondamenta del tu non accetti il
Prima di divenire degli adulti, e quindi omologarsi e intrupparsi nella massa, i giovani sono
mio modo di essere ed io non accetto il tuo. Certo era un’intolleranza spiccia e
composti da un universo di sottogruppi molto diversi fra di loro e questo li rende, a dispetto
spocchiosa, ma quante di queste piccole intolleranze quotidiane, opportunamente coltivate
dei sondaggi e delle ricerche, una moltitudine sfuggente, poco catalogabile e indefinibile.
e incanalate, hanno generato violenza sia verbale, sia fisica, sia d’intelletto. E la violenza e
Questa prerogativa ha aspetti sia positivi che negativi. Da un lato l’enorme frammentarietà
l’incomprensione tra giovani sono sempre uno spettacolo doloroso.
permette un continuo e libero confronto con gli altri giovani, sperimentando se stessi in un
E cosi, nella mia mente di ragazzino che non voleva stare alle regole, finii per parteggiare
contesto multiculturale. C’è chi va all’Azione Cattolica e chi nei centri sociali; c’è chi va a
inconsapevolmente per la minoranza che sembrava opporsi a queste regole.
scuola in punta di piedi e chi invece contesta; c’è chi va ai concerti rock e chi allo stadio
Sentivo nascere in me un’opposizione ma non mi schierai ancora: restai a guardare, barcamenandomi tra sentimenti ambigui e in attesa della prossima presa di coscienza…
Capitolo 2
Tornai a casa: i miei già dormivano. Mentre passai davanti alla loro stanza da letto mi chiesi se facessero ancora all’amore. Dà una strana sensazione la consapevolezza che anche tua madre fa del sesso. Chissà se le piaceva ancora o era solo un altro modo per compiacere mio padre. Infondo la mia presenza stava ad indicare un loro amplesso, ma chissà perché avevo la sensazione di essere il frutto di un amplesso fugace, di uno sbattere egoistico di mio padre. Affiorarono così quella sera anche per me i sintomi di quell’ambiguo triangolo edipico. Sintomi che col tempo sarebbero divenuti sempre più tangibili e che mi avrebbero accompagnato per il resto della mia vita. Sintomi che sicuramente ancora non capivo e che volevo scacciare a tutti i costi. Solo a posteriori mi sarei reso conto che vincere questi conflitti edipici può essere altrettanto pericoloso che perderli. E lentamente, col tempo, mi sarei convinto che è molto meglio lasciarli irrisolti. Sgattaiolai tra le mie quattro mura e mi buttai sul letto per ritrovarmi di nuovo di fronte quell’eroica immagine del Che: quel drappo rosso, che ormai aveva già fatto compagnia ad alcune generazioni di giovani arrabbiati, sembrava che stesse lì a rimproverarmi le mie debolezze consumistiche e a ricordarmi di quanto lui lo fosse stato sul serio un Oppositore, un Rivoluzionario. Sbirciai il poster lì vicino: la bionda primadonna del sabato sera televisivo. Calda, rassicurante e soprattutto nazionalpopolare. Spensi le luci e mi chiesi cosa avrei sognato stanotte. Sesso o Rivoluzione?
Stava immobile nel letto con le gambe inesistenti e una piaga sulla bocca che seccava il suo sorriso mi parlava rassegnato con la lingua di chi spera di chi sa che è prenotato sulla Sedia di Lillà Ogni volta che rideva si stracciavano le labbra e il sapore che ne usciva era di stagione amara le sue rughe di cemento lo solcavano di rosso prontamente diluito da una goccia molto chiara “Penso troppo al mio Futuro” mi diceva delirando “penso troppo al mio Futuro, penso troppo e vivo male, penso che tra più di un anno cambieranno i miei progetti penso che tra più di un anno avrò nuove Verità tu non farmi questo errore Vivi sempre del Momento cogli il Giorno e tanto Amore, cogli i Fiori ed i Lillà” “Quanti amici hanno tradito” continuava innervosito “quanti amici hanno tradito per la causa dell’Amore” sono andato a casa sua, sono andato con i Fiori mi hanno detto che era uscito che era andato a passeggiare ma io vedevo un’Ombra appesa, la vedevo dondolare l’Ombra non voleva stare sulla Sedia di Lillà…
La Sedia di Lillà – Alberto Fortis
puntato si sarebbe rivelato l’unica arma di cui disponessi. Penso che quello fu uno dei momenti in cui deve essersi inceppato qualcosa. Non erano ancora i tempi del locale centro sociale "Tempo Rosso", mancavano quelli, che qualche professorone definirebbe "punti d'aggregazione per socializzare ed interagire con gli altri". Insomma, vivevamo in un deserto. E quell’impotenza dell’azione, alla fine, non fece altro che favorire la ricerca di un surrogato del caldo rifugio familiare che avevo appena abbandonato con tanta rabbia. Finii così anch’io per rintanarmi nel mio gruppo d'amici sentendomi finalmente parte di un Chiunque si sia seduto di fronte ad un foglio vuoto con l'intenzione di riempirlo di propri pensieri o ricordi, sa quanto sia doloroso, un dolore quasi fisico, continuarlo a vederlo bianco e vuoto. È difficile collocare e ricostruire determinate ascese ormai confuse ma, appellandomi a Marquez, alla fine mi è chiaro che "…la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla…". Il mio ricordo è il ricordo di un periodo trascorso ad inseguire miti che già generazioni precedenti avevano trovato fallaci, e di disperate letture che dovevano servire da appiglio per giustificare la mia opposizione. Letteratura era fuga, esplorazione, conoscenza. Fuga dal bigottismo di provincia e dai suoi riti definiti, dalle gabbie delle vanità nazionalistiche e dalle violenze che può generare. Esplorazione di un universo, fuori e dentro di me, che mi era ancora sconosciuto. Conoscenza non sola di fatti, ma soprattutto conoscenza dell'Uomo, e quindi anche di me stesso, con le sue qualità, le sue paure, le sue follie. Compito della letteratura è di mettere sempre in dubbio le certezze raggiunte, di mostrarne i limiti, di evidenziare contraddizioni e di conseguenza aprire nuove strade. Letteratura è aprirsi incondizionatamente all'altro. È dialogo. È contraddizione e confronto. Letteratura è
qualcosa, di un valore. Mi ero aggregato ai ragazzi che a pelle sentivo più affini e che in questo nido di provincia emergevano come dei vecchi e superati "figli dei fiori" appena usciti da Woodstock. Avevano tutti un paio d’anni più di me, qualcuno aveva già la macchina e tutti erano membri del club degli sballati del paese, anzi alcuni ne erano stati i padri fondatori. Ovviamente tutto questo era balsamo per il mio ego d'adolescente pseudo ribelle: ero compiaciuto di farmi vedere in giro con loro e di quell’appartenenza. Così anch’io fui iniziato al segreto di quell’appartenenza mistica al gruppo. Ero un pivellino da iniziare, un apprendista stregone che aspirava a giocare con le alchimie del proprio corpo. Quella dell’hascisc è una scalata molto lenta. I primi spinelli non sono mai un granché e raramente si ricordano: all’inizio è facile perdere la bussola. Solo col tempo s'impara a fluttuare in quello stato di percezione alterata, cercando di annullare le aggressività e far emergere solo le buone vibrazioni che ti consentono di avvicinarti all’Altro, in una sorta di empatia spirituale. Una volta acquisita la padronanza del "fluttuare", l’hascisc rivela i suoi segreti e diventa come una lente agli infrarossi che ti permette di svelare le cose che solitamente sono al buio, nascoste alla maggior parte degli altri…
libertà. Amai Kerouac e Moravia, mi avvicinai a Bertrand Russell, Aldous Huxley e fui rapito da Hermann Hesse. Furono letture fulminee e avide di un ragazzo che assorbiva come una spugna. Quando anni dopo mi sarei preso la briga di rileggere alcuni di questi libri, capii che forse allora mancava ancora una coscienza critica che bisogna avere di fronte a letture che vanno oltre ad un semplice racconto e prospettano modi di vita. Cercavo delle fondamenta su cui costruire, mi ritrovai invece con un guazzabuglio di "ideali", su un terreno frollo e paludoso che in futuro avrebbe ceduto. E come in un magnifico gioco virtuale divenni la clonazione degli stereotipi del mio immaginario di "outsider". Mi elevai a giudice e mi arrogai il diritto di giudicare: e così puntai il mio dito accusatore contro il mondo dei grandi e la società che si apprestavano a consegnarci. Purtroppo quel dito
Tonio continuava a sbattersi da una parte all’altra di questa città in miniatura: così s’immaginò come una pallina in un surreale flipper popolato da uomini in miniatura e altrettanto surreali. Era in cerca dell’evento della sera, della scintilla che avrebbe reso particolare quella sera rispetto alle altre. Ma sapeva che spesso era una ricerca inutile. Dal cruscotto la spia della benzina lampeggiava con insistenza da un pezzo, cosi finì per parcheggiare la sua Delta rossa in una stradina laterale del corso su per la salita al Monte. Dal fondo vedeva già le luci della domenica ed immaginò la gente addobbata a "lustrini e paillettes". SHOWTIME! Sorrise. Poi stropicciò i suoi occhi arrossati nel vano tentativo di renderli presentabili e penetrò in quel fiume umano mescolandosi agli altri. Si mimetizzò tra la folla in cerca del suo gruppo. Noi, da lontano, lo vedemmo arrivare. Tonio era un po'
il
nostro
genio
della
lampada:
oggi
diremmo
"Responsabile
Logistico
e
giorno di festa. Fluttuavamo tra la gente ed era come guardarsi allo specchio. Ci
Approvvigionamento". Era lui che curava i contatti coi fornitori, prendeva accordi su
cercavamo negli altri, guardavamo loro e vedevamo noi stessi. Osservavamo le debolezze
quantità e prezzo, si occupava dei mezzi di locomozione. Certo, anche noi altri saremmo
degli altri e condannavamo le nostre, scorgevamo le nefandezze degli altri e
stati capaci di occuparcene, ma col tempo ognuno, in base alle sue capacità ed attitudini
inesorabilmente le riconoscevamo in noi…
fu consegnato ad un ruolo, come, penso almeno, in qualsiasi altro gruppo. Non emergevano dei leader o dei comprimari tra noi, certo l’esperienza dei più grandi aveva il
Avevamo appena importato la solita americanata che già c’eravamo creati l’habitat
suo peso nelle decisioni del quotidiano, ma per il resto eravamo un nucleo democratico e
circostante ad immagine e somiglianza degli adolescenti italiani. Così in quello scorcio
comunitario, o almeno così mi piace ricordarci. Tonio intanto si era unito a noi mostrandoci
degli anni ’80, assieme ai fast-food, vennero i "Moncler", le "Timberland" e le enduro
sottomano l’acquisto serale di tre grammi di libanese. Una volta che tutti avevano avuto
sbuffanti. Si ostentava il simbolo della pace su sdruciti jeans firmati e un’aria da finti ribelli.
modo di periziare ed approvare l’investimento, non ci furono altre discussioni sul da farsi e
Gli adulti non potevano che essere contenti di noi. Eravamo sorridenti e superficiali, certo
sul chi. Nuccio si era alzato per scomparire in una stradina laterale. Anche in questo caso
un po' dispendiosi, ma almeno la nostra "sana ribellione giovanile" era educata e,
avevamo il nostro super-rollatore di canne, il nostro "Responsabile Assemblaggio e
soprattutto, non toccava i vertici utopistici delle generazioni precedenti. "Cos’altro ci si
Manifattura". Nuccio era capace di prepararti una canna ovunque e con tutto: nel chilom,
poteva aspettare da una generazione che aveva come valore un piumino e un paio di
in un collo di bottiglia, in un narghilè, nella carta argentata o in un semplice tappo di
stivali!"
bottiglia. Con le cartine poi: canne, cannoni, le corna di bue, il pentolino, il carciofo. E se
Intanto il nostro piccolo centro di provincia arrancava e sbuffava come una vecchia
da una parte aveva queste indubbie capacità manuali con il fumo, per tutto il resto invece
locomotiva a vapore cercando di rincorrere il resto del Bel Paese, non rendendosi conto di
aveva due mani mancine: era maldestro,
smemorato e creatore inconsapevole di
essere divenuta poco più di una caricatura fumettistica estrapolata dalla Tv…
situazioni esilaranti. Era un po’ il nostro "Fantozzi" cui era impossibile non voler bene.
Così noi ragazzi venivamo per il corso per mostrarci e per offrirci all’altro. In una sorta di
E così adesso, eravamo seduti su quegli scalini con vista panoramica sul corso, felici di
comunicazione erotica si offriva il proprio gioco: a volte si seduceva, a volte si veniva
rinnovare l’ennesimo gesto di convivialità, d'appartenenza al gruppo. Quello spinello che
sedotti e fin troppo spesso si andava in bianco. Mentre i più temerari tra noi tastavano
passava tra noi ci aiutava si a sfuggire temporaneamente da quella realtà, ma
timidamente il terreno per far parte del gioco, ragazzine precoci avviavano un’intensa
contemporaneamente, insieme a quelle prime sperimentazioni, prese anche corpo
campagna promozionale a base di gonne aderenti e dalla lunghezza molto limitata,
l’equivoco che purtroppo avremmo condiviso quasi tutti e che avrebbe segnato molti dei
sguardi ammalianti, e una palese e invitante voglia di carezze. Eravamo come delle
nostri anni a venire. Quello spinello non era solo un esperimento giovanile che prima o poi
rombanti vetture di Formula Uno alla partenza in attesa della luce verde, ansiosi di
sarebbe finito come un qualsiasi momento d'evasione, di relax. No. Per noi divenne il
dimostrarci esperti e non solo dei foruncolosi sbarbatelli. Ovviamente quelle prime
nostro modo di dire agli altri che disapprovavamo, che ci mettevamo contro, che eravamo
sperimentazioni sessuali finivano regolarmente con un gran punto interrogativo, senza
all’opposizione. Così sognammo di cambiare il mondo e di poterlo fare dall’esterno
aver capito molto l’uno dell’altro e tanto meno di quello che per noi sarebbe ancora restato
contestando con la nostra pubblica dissociazione. Ma quel coniugare parallelamente la
l’Enigma Sesso!
droga con il nostro dissenso era solo il primo sintomo di un sicuro deragliamento futuro
Il rituale raduno della domenica sera era anche la vetrina per gli adulti già produttivi
che peraltro non sarebbe tardato a venire. Intanto, tra di noi parlavamo e scherzavamo,
all’interno del sistema. Ragazze divenute donne in fretta con il viso e il vestitino festoso,
ascoltavamo in silenzio il monologo dello schizzato di turno e lasciavamo in pace chi era
grate per quella sortita settimanale, passeggiavano sottobraccio al marito silenzioso che
completamente fatto, perso in un viaggio solitario. Il fumo porta tutto a galla: tutto è
rimuginava ancora sui risultati della domenica calcistica. S’incrociavano vecchi compagni
amplificato e sembra di percepire l’impercettibile. Eravamo un po' come degli spettatori al
di scuola o amici della fase prematrimoniale e il chiacchiericcio si limitava a qualche
cinema che osservavano, si guardavano attorno e cercavano di capire quel rito serale del
pettegolezzo e alle nuove conquiste che ognuno aveva fatto nel campo dell’Avere, ma dell’Essere non chiedeva nessuno. Strano. "Perché signor Fromm?" Ed ecco sbucare con aria compiaciuta il nostro avvocato di provincia con moglie e figli al
Dall’altro lato del corso c’era Gianni che ci teneva compagnia con la sua chitarra.
seguito. L’avvocato Negri da giovane si era laureato senza infamia e senza lode alla
Strimpellava qualcosa di malinconico: la mente richiamava scenari ormai lontani mentre il
prestigiosa Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Federico II di Napoli. Un professore,
cuore si doleva di quell’antica disfatta…
che vedeva in lui ciò che era stato da giovane, lo volle a tutti i costi con sé nel suo studio
E anche quell’amplesso era finito. Per l’ennesima volta avevano commesso l’errore che si
di consulenze aziendali a Napoli. Fu un passo notevole per un neolaureato che veniva dal
perpetua da sempre all’interno della coppia: quello di voler salvare l’amore con dosi
paese. In quell’affollato studio legale però visse solo alcuni anni d'eterno apprendistato:
massicce di sesso. Si erano momentaneamente riconciliati assecondando le rispettive
troppa gavetta da fare, troppi colleghi da sbaragliare. Lui invece aveva fretta di ripagarsi gli
fantasie. Ma per l’ennesima volta si ritrovarono di nuovo vuoti e soli con se stessi. Ormai
anni anonimi passati sui libri. Depose le armi e ripiegò sul suo paese natale dove col
quella storia d’amore era finita da un pezzo, si riaccendeva a intervalli solo in quegli
tempo poté sentirsi come un dio conoscendo le magagne più o meno segrete di tutti noi.
incontri sessuali nei caldi pomeriggi estivi. Poi inesorabilmente ritornavano alla loro tana,
Ma divenne anche un avvocatuccio mediocre capace solo di giudicare secondo le sue
ai loro interessi così diversi e ai rispettivi amici così distanti. Oltre a quel fugace rapporto e
fredde formulette giuridiche. Era divenuto un uomo che non conosceva l’arte di slacciarsi
al bambino che dormiva nella stanza accanto non gli era rimasto molto in comune.
la cravatta al momento giusto e che alla fine si limitava, come tutti gli altri, a mostrare la
Gianni si guardava allo specchio e sapeva che la colpa era tutta sua. Voleva smetterla di
sua rossa sportiva per raccogliere un facile consenso.
trascinare quel rapporto, ma era difficile staccarsi da quella situazione che lui, solo poco
I ragazzi continuavano a salire e scendere per il corso, quasi all’infinito. I ragazzi più ambiti
tempo prima, credeva di poter sostenere. Voleva vivere senza troppe responsabilità,
dalle ragazze, e dai loro genitori, erano sicuramente quelli che avevano già le loro
libero. E poi pensava che non avesse molto da offrirle, voleva che anche lei avesse una
inossidabili certezze e che rincorrevano per anni il posto fisso e lo stipendio sicuro. Va
vita migliore. Lui se la sarebbe costruita lentamente, senza fretta. Ma inconsciamente
premesso che qui in Terra di Lavoro, dove di lavoro ce n'era ben poco, un posto di lavoro
c’era qualcos’altro che per lui, eterno uomo sicuro di se stesso, doveva essere tremendo:
era come uno status symbol da sfoggiare, una garanzia di serietà e futura prosperità. Con
aveva una paura vana e smisurata di fallire davanti agli occhi della sua donna.
questa garanzia in tasca, il nostro giovane dalle inossidabili certezze, poteva finalmente
Mirella intanto si rivestiva, silenziosa e con gli occhi umidi. Cos’era che non andava più in
assolvere quel rito da Forche Caudine che era la presentazione presso i genitori della
lei? Cos’era finito? Lei non gli chiedeva niente, né denaro né successo, voleva solo amarlo
verginea ragazzina che si era cresciuto (sic!) dalle scuole medie e che aveva intenzione di
così per quello che era. Ma ormai lo sentiva lontano, forse non lo capiva abbastanza.
prendere in moglie. Sopravvissuto alle Forche Caudine aveva adesso la legittimazione a
Aveva tutto da rimproverare a se stessa. Era colpa sua. Dov’era la verità? Gianni e Mirella
tenersi la ragazza stretta al suo fianco ed ad andarla a prendere a casa. Poi li rivedevi qui
si conobbero durante l’adolescenza. Si amarono con l’incoscienza e la spontaneità tipici
per il corso per un veloce giro taciturno, perché già non avevano più molto da dirsi, per poi
della loro età, ma non conformi e tipici del nostro paesino. Si amarono senza nascondersi,
incamminarsi verso il solito posticino isolato su al Monte. Il ragazzo scaricava i suoi ormoni
fuggivano lontani per qualche concerto e riuscivano anche a passare qualche notte
e poi riaccompagnava la ragazza a casa, garantendo ai futuri suoceri di essersi
assieme. Ma i genitori di Mirella non vedevano l’amore, coi loro occhi miopi vedevano solo
comportato da perfetto gentiluomo e di non aver attentato alla virtù della loro bambina. La
una figlia che deragliava e che andava recuperata. Così turbarono quel sereno rapporto
bambina, più tardi, sotto le coperte si sarebbe chiesta dov’era il piacere in tutta quella
con grida, divieti, sberle. Loro volevano solo amarsi adesso, con l’età che avevano, senza
fretta. Era tutto lì il sesso, in quel liquido seminale caldo e appiccicoso che fuoriusciva dal
tante preoccupazioni per il futuro. Invece furono spinti a vivere allo spasimo, senza
suo ragazzo? Era tutto lì il gioco? Rassegnata come tutte le domeniche, lasciò che la
equilibrio, perdendo di vista le loro aspirazioni, i loro sogni e consumando quel loro amore
mano scivolasse tra le proprie gambe, abbandonandosi così alle sue fantasie e al suo
troppo in fretta. Intanto era venuto il bambino e furono costretti ad assumersi le loro
piacere solitario…
responsabilità di fronte alla bigotta comunità che li circondava. Ma se l’amore aveva
generato un bambino, quel matrimonio non partorì una famiglia, anzi, consumò quell’amore iniziale che ne doveva essere il naturale presupposto. Avevano messo loro troppa fretta e adesso si ritrovavano con troppe responsabilità per la loro troppo giovane
Capitolo 3
età. Così, lentamente, aggiunsero mattoni a quel muro che si era innalzato fra di loro e le cui fondamenta peraltro erano state gettate dai loro stessi genitori. Il muro crebbe e presto divenne insormontabile. Poi una mattina si guardarono negli occhi e si chiesero “che senso ha tutto questo?” Si parlarono, forse per la prima volta dopo molto tempo e finalmente capirono che tutto era
Io, ostinato archeologo dei miei simboli totemici, continuo ad essere avvolto da una
finito e che non c’era più modo di superare quel muro. Con coraggio si lasciarono e
nebbia, una nebbia ovattata che sembra volermi quasi proteggere dalle brutture di questo
ognuno s’incamminò per la sua strada. Ma quella storia lasciò cicatrici che sarebbero state
viaggio a ritroso nel tempo ed in cerca del tempo che fu…ma la nebbia lentamente si
sì alleviate col tempo, ma mai completamente guarite. Adesso, ognuno solo nel suo letto,
dirada, ed eccolo apparire il monumento più rimpianto della mia giovinezza, ultimo
ripensava spesso a quel loro recente passato. Ripensavano a quella loro storia giovanile,
baluardo posto sul mio cammino a difesa della mia innocenza, inseguito persa e mai più
passionale ed ingenua; a quell’affrettato matrimonio con tanto di bambino; e poi al lento
ritrovata.
sgretolarsi dei sentimenti di fronte al tragico vivere quotidiano che generò solo terrorismo
Una volta che la scuola non diventa altro che un pallido ricordo e le nozioni apprese un
domestico fatto dalla volontà di ferirsi con cattiveria e di violentarsi a vicenda. Erano
vago sussulto della nostra mente, non restano altro che delle figure di compagni di classe
passati solo pochi anni ma per loro erano il concentrato di tutta una vita. Così si ritirarono
e di professori che continuano ad accompagnarci per il resto della nostra vita. Col tempo si
in silenzio e con dignità da quel campo di battaglia domestico per non esporsi mai più ai
finisce per idealizzarli e dimenticare i loro limiti e le loro umane contraddizioni. Ma
sentimenti, per non sporgersi mai più in là di se stessi. Di tanto in tanto s'incrociavano per
nonostante questa consapevolezza sopravvivono intatti come dei simulacri del passato,
il bambino per il quale non avevano scatenato nessuna guerra: tra di loro c’era solo un
accompagnatori fedeli del nostro percorso. Sono come delle voci fuori campo che ci
assordante silenzio, fatto di formalismi imposti dalla presenza del bambino e da quegli
ammoniscono e c'illuminano, a volte invece siamo noi stessi a risvegliare queste voci,
sguardi che si sarebbero evitati per il resto della loro vita. Mirella fu coraggiosa. Tornò a
cercando un improbabile confronto…
scuola per diplomarsi, trovò un lavoro e un appartamento tutto per sé. Finalmente tranquilla riversò tutto l’amore possibile su quel bambino cercando di dargli anche quello del padre assente tra le mura domestiche. Ma, così facendo, esaurì tutto l’amore, non
Mi ero iscritto ad un piccolo Istituto Tecnico per Ragionieri in un paesino distante alcuni
trovandone più né per se stessa e né per un altro uomo. Gianni invece si lasciava vivere,
chilometri dal mio. L’istituto era ospitato in un vecchio edificio che negli anni ’30 era stato
con più disillusione e con meno rispetto per se. Aveva abbandonato l’Università cui tanto
usato dai fascisti come prigione per dissidenti. Strani scherzi del destino per un’istituzione
teneva e si era messo a fare l’operaio. A lui stava bene così, adesso non aveva bisogno di
che dovrebbe sfornare menti pensanti e libere, essere collocata all’interno di un ex
rincorrere il successo economico a tutti i costi.
istituzione che soffocava proprio queste caratteristiche. Nonostante gli innumerevoli
Era lì, solo su quegli scalini e continuava a suonare la sua chitarra. Sapeva di aver fallito
ammodernamenti, l'istituto non poteva nascondere il suo passato da reclusorio d'idee
una prova decisiva della vita ma era fiducioso per il futuro: le prossime prove le avrebbe
L'esterno dell'istituto era caratterizzato dai due cancelli d'accesso in sbarre di ferro che gli
sicuramente vinte. Almeno sperava…
davano l’aria di un austero fortino e l’interno era scolorito ed umido. Nelle aule si svolgevano lezioni come decenni addietro: stessi argomenti, stessi autori, stessi metodi. E spesso s’incontravano anche gli stessi insegnanti. Solo i ragazzi cambiavano
continuamente e insieme al loro chiassoso andirivieni portavano con se anche gioia,
me in discussioni sterrate e contorte, ribattendo sempre con le ragioni della mente. Fu per
vitalità e curiosità, quindi quella linfa vitale senza la quale, e questo veniva spesso
un paio d'anni il mio primo ed unico amico-fratello, il mio naturale interlocutore opposto, il
dimenticato dai professori, l’istituzione scuola non avrebbe motivo di esistere. Non erano
mio "alter-ego" raziocinante. Mimmo invece dichiarava candidamente di venire a scuola
ancora i tempi d'elucubrazioni autonomistiche: al Ministero della Pubblica Istruzione
per perdere tempo nell'attesa di arruolarsi in Aeronautica. Vestiva senza pretese ed era
imperversava un certo ministro in gonnella, tale Franca Falcucci, d'area democristiana,
l’anima goliardica del gruppo a conferma che le persone un po' in sovrappeso sono
che era in sella da tempo, nonostante i governi che si avvicendavano, nonostante i cortei
sempre quelle che riescono a trasmettere allegria. Era un iperattivo che non riusciva a star
degli studenti…
fermo in nessun posto, diventava ansioso anche stando in casa pensando che si stesse perdendo chissà cosa. Poi c’era Alessandra, la nostra ragazza da sogno di cui un po' tutti a turno c’eravamo innamorati, anche se restò sempre e solo un dolce gioco platonico ed
Anche qui avevo lottato per un mio ruolo e, dopo avermi lasciato alle spalle le ingenuità
amichevole. Alessandra non aveva la spensieratezza della sua età e dai suoi occhi scuri
tipiche dei primi anni, ero assurto a piccolo "maître à penser" grazie alle mie prese di
traspirava una sofferenza malinconica…
posizione nelle assemblee studentesche e ai miei temi che facevano il giro dell’istituto. Compiaciuto del mio ruolo, e pateticamente bisognoso di riconoscimenti, scrutavo e penetravo in quella moltitudine babelica così varia che si formava la mattina davanti alla
Alessandra era seduta distrattamente davanti alla TV. C’era Marzullo che continuava ad
scuola. Amori allo stato nascente avvinghiati sui motorini, con lo zainetto sulle spalle e in
analizzarsi e cercarsi nei suoi intervistati ponendo il suo amletico interrogativo: “la vita è un
cerca dei posti dell’amore; amicizie che forse non sarebbero andate oltre l’esame di
sogno o i sogni aiutano a vivere meglio”. Alessandra invece volava lontana. Osservava se
maturità ma che avrebbero sicuramente sfidato la qualità d'amicizie future ben più
stessa e non capiva. Guardava il suo corpo: sedici anni e già sembrava una donna. Era
durature; filoni progettati per un'interrogazione da rinviare e filoni improvvisati per primi test
cresciuta in fretta Alessandra. Era bella e corteggiata dai ventenni, ma dentro restava una
sessuali non rinviabili; la concitazione attorno ad un compito in classe che avrebbe deciso
bambina incerta che cercava solo il consenso dei grandi. Non visse la sua età per quello
il voto del quadrimestre con ripassi frenetici ed ultime consultazioni con il timido ed
che era, bruciò le tappe senza accorgersene. A quindici anni già in giro in macchine grandi
insicuro "primo della classe", che acquistava improvvisa e fatua popolarità dopo mesi
ed in discoteca con giovani che si sentivano sicuri solo con il loro portafogli rigonfio.
d'oblio; le esercitazioni pratiche di facile conquista e seduzione - vedi anche
Nessun'amica della sua età, soltanto uomini e sempre troppo grandi. Uomini che le
circonvenzione d’incapace - dei ragazzi della maturità a danno delle ragazzine dei primi
chiedevano sempre lo stesso gioco, un gioco che Alessandra imparò presto: era un gioco
anni.
antico giocato fuori al freddo, in macchina al buio, tra le lenzuola di un letto che non era il
Ovviamente anche qui avevo cercato e trovato i miei affini: eravamo una ristretta cerchia
suo. Quel gioco che lei confondeva con l’amore, quel gioco cui lei si concedeva con facilità
di ragazzi variamente assortiti e tutti in avanzato conflitto adolescenziale con il resto del
pur di conquistare quell’attimo d’attenzione. Ripensò a quell’ennesima porta che si
mondo. Riuscivamo a mescolare spensierata allegria ed impegno intellettuale con qualche
chiudeva alle sue spalle e lei era già lì che alzava la sua gonna. Aveva imparato cosa
spinello. Le nostre discussioni "cosmiche" erano pregne di quell’ingenuità ideale che
eccitava questi uomini tanto più grandi di lei, ma in quel momento così piccoli e in suo
cercava sempre un punto d’approdo, la soluzione universale: non solo cercavamo la
potere. Si spogliava in fretta: sapeva che non ci sarebbero stati preliminari sdolcinati,
quadratura del cerchio, eravamo anche convinti di poterla trovare! Com’era naturale che
diventavano tutti bestiali e spicci con lei. Volevano il suo corpo e vi entravano senza
fosse a quell’età, eravamo un po' di tutto e il contrario di tutto…
riguardo: volevano godere della sua lingua vagante sul loro corpo, volevano sentire le sue
Maurizio era il nostro guardiano posto alle porte dei limiti che c'eravamo tacitamente dati:
labbra attorno al loro membro.
s’incaricava di frenarci e di riportarci coi piedi per terra quando spiccavamo voli troppo
Così Alessandra perse il contatto con la sua età e visse illudendosi d'essere più grande.
arditi. Era l’unico che si armava di pazienza e mi seguiva fino alla fine, inerpicandosi con
Era diventata altera ed eccessivamente raffinata. Ma per quanto la vita che viveva al di
fuori della scuola potesse sembrare affascinante e magica, al mattino lo specchio non era
l’autoironia come coi ragazzi del mio gruppo al di fuori della scuola, ma anche l’affinità
magico come nella favola che solo pochi anni prima le raccontava la mamma: si guardava
culturale e l’ecletticità intellettuale. Poi mettevamo su qualche film e ci mettevamo in
e già sembrava una donna sfatta.
viaggio. Il cinema era il nostro modo di muoverci stando fermi: apprendevamo altri modi di
Un giorno si svegliò dall’incanto e si chiese se voleva essere quello che era divenuta: un
vita muovendoci nel tempo e nello spazio. Percorrevamo la cultura, la cronaca, la storia,
pezzo di carne da esibire, una scopata di cui vantarsi. Adesso riconobbe quegli uomini che
ma era anche un modo per vergognarci dei nostri misfatti e ridere delle nostre certezze…
aveva pensato d'amare, per quello che erano.Nonostante il loro bel membro eretto e
Così ci chiedemmo se gli extraterrestri saranno più simili a "Incontri ravvicinati del terzo
turgido erano dei castrati dell'anima, in grado solo di perpetuare un atto vandalico su un
tipo" o ad "Alien", se l’America era quella dei film collettivi di Altman o delle dissezioni
corpo estraneo: sesso, copula e semenza infame all'infinito. Si chiuse in se stessa, non
minimali del quotidiano di Woody Allen. Scoprimmo un allora per noi sconosciuto Gilbert
uscì più e tanto meno qualcuno la andò a cercare o si chiese che fine avesse fatto.
Becaud nell’irrepetibile affresco "Tutta una vita" di Claude Lelouche. Ci chiedemmo anche
Adesso era spaventata più di prima dal mondo là fuori. Aveva cercato di vivere ma il
quanto fosse cresciuto il Belpaese dal dopoguerra in poi, ripercorrendo la nostra storia in
mondo l’aveva solo scippata della sua innocenza. Il Buon Dio l’aveva dotata di quel corpo
immagini cinematografiche. Vedemmo un’Italia sconfitta e umiliata da ex alleati inviperiti in
avvenente ma si era dimenticato di spiegarle avvertenze e controindicazioni. Iniziò ad
"Roma città aperta" e la difficile e dolorosa riconquista del quotidiano in "Ladri di biciclette"
odiarlo quel corpo che considerava la colpa di tutto. Cercò di mortificarlo in tutti i modi
e "Una vita difficile". Poi venne l’Italia de "I Vitelloni", ma anche de "I soliti ignoti".
mettendo da parte le minigonne, i tacchi a spillo e i vestiti scollati. Riscoprì i suoi vecchi
Vedemmo anche l'Italia dal punto di vista del principe de Curtis. Un occhio superficiale può
jeans, gonne lunghissime e larghi maglioni. Riscoprì anche il suo viso da bambina
considerare quel suo teatrino perenne e i suoi personaggi come delle caricature scontate,
mettendo da parte la trousse del trucco. Voleva passare inosservata ma si sentiva anche
ma le sue dissertazioni sull’italiano che doveva farsi largo a bracciate per sopravvivere ci
abbandonata e vuota. Adesso aveva bisogno dei suoi coetanei: solo loro avrebbero potuto
lasciavano l’amaro in bocca. Il decennio che seguì ci fu descritto, al di là di capolavori
farle riconquistare l’equilibrio perduto. Capimmo subito che avremmo dovuto avere molta
indiscussi come "La dolce vita", "Rocco e i suoi fratelli" e "Le mani sulla città", dalla satira
pazienza: sarebbe stata un’impresa lenta, quasi titanica, cercare di riallacciare quel
che dissacrò l’italiano medio travolto dal boom economico. Il consumismo rivelò già allora
cordone ombelicale. Lentamente e un po' impacciata riscoprì i riti della sua età: in giro con
il suo lato caduco con le maschere di un Alberto Sordi spaccone e menefreghista e di un
il motorino, le uscite domenicali per il corso e senza pretese, in pizzeria con pochi soldi in
Vittorio Gassmann vuoto, cinico ed ineguagliabile in "Il sorpasso". Gli anni ’70 ci
tasca. Con calma tornarono anche l’allegria e la spensieratezza. Ma restava ancora una
consegnarono dolci "come eravamo" come "Il giardino dei Finzi Contini" e "Amarcord".
sorta di sfiducia verso noi ragazzi, era ancora impacciata e quasi spaventata dai nostri
Stentammo a capire l’equazione cristiano-marxista di Pasolini ne "Il vangelo secondo
abbracci. Quello di coccolarci era un gesto fisico frequente tra noi: a volte era una sorta di
Matteo" e seguimmo l’"Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto".
manifestazione di disponibilità ad accogliere l’altro con le sue problematiche e le sue
Riflettemmo sulla grettezza della vita operaia anni ’70 tra "La classe operaia va in
paure, a volte semplice gesto d’affetto. Dovette passare un po' di tempo e, solo quando si
paradiso" e "Mimì Metallurgico". Poi ci chiedemmo se gli impiegati erano ancora le vittime
convinse che tra noi nessuno voleva portarsela a letto, riuscì spensieratamente a venirci
ridicolizzate da Paolo Villaggio o se erano diventati più simili agli "Impiegati" di Pupi Avati.
incontro e ad abbracciarci forte. Sembrava finalmente riconsegnata alla sua età…
E alla fine, purtroppo, dovemmo tutti convenire che forse eravamo più simili ai primati della scena iniziale di "2001: Odissea nello spazio", che all’Uomo che percepisce la Conoscenza della scena finale.
Una volta a settimana ci ritrovavamo a casa di qualcuno di noi. Mentre il mondo là fuori andava sempre più di fretta noi ci prendevamo la libertà di rilassarci e di distrarci con un po' di fumo con il quale diventavamo di nuovo dei bambini che credevano solo alla parte
Dopo l’escursione filmica ne discutevamo confrontando le verità che ognuno di noi aveva
buona dell’uomo, senza vederne la sua naturale bestialità. Cosi veniva fuori la goliardia e
percepito: saremmo divenuti degli ottimi critici cinematografici. Ma a che serve un critico
cinematografico! Alla fine eravamo dei ragazzini che giocavano con il loro intelletto
Era la stagione di attori mediocri alla Casa Bianca, di Presidenti al Quirinale che di lì a
godendo di quella masturbazione delle meningi, anche se a noi piaceva considerarci un
poco sarebbero divenuti Picconatori ed Esternatori, di pornostar in Parlamento e di
po' come il "gruppo del mercoledì" che si riuniva e autoanalizzava ad inizio secolo in casa
un’Unione Sovietica tra Perestrojka e Chernobyl. Una semplice tazzina di caffè invece
di un attempato signore viennese dalla barba bianca, le cui intuizioni avrebbero sfidato il
risparmiò alla politica italiana imbarazzanti verità e a noi inconcludenti inchieste
tempo e permesso a future generazioni di analisti di legittimare la loro infausta opera. Noi
parlamentari: il finanziere, che all’inizio degli anni ’70 fu considerato il salvatore della lira,
invece avevamo ancora enormi difficoltà a sfidare il quotidiano: riuscivamo a disperare per
bevve quella tazzina di caffè nel sicurissimo super carcere di Voghera e improvvisamente
la nostra timidezza, per l’amore che si cercava e non si trovava, per il sesso di cui tutti
trapassò a miglior vita. Avvelenato. "Casi della vita!"
facevano un gran parlare e basta, per la nostra transitorietà in bilico tra adolescenza e
E ci scoprimmo increduli di fronte al suicidio dello scrittore che era riuscito a sopravvivere
maturità, tra le diecimila chieste alla mamma e le chiavi di casa che avevamo da poco
ad Auschwitz ma non al vivere quotidiano in questi anni di terribile vuoto.
conquistate. E come se non bastasse, ci dovevamo anche beccare il solito adulto
E alla fine non ci restò che gioire, anche se solo in parte, dei nove Oscar di Bertolucci…
cacasenno che ci ripeteva: "Beati voi che siete giovani e non avete problemi. Ah, se avessi la vostra età!" Non l’aveva la nostra età ed evidentemente aveva anche dimenticato la sua di giovinezza. A noi comunque restavamo i nostri punti interrogativi e alla fine non sapevamo cosa farcene della nostra età e della nostra precarietà… Così accendemmo il tubo catodico, che aveva da poco iniziato a violentarci tranquillamente tra le nostre mura domestiche, e ci concedemmo allo zapping televisivo… Adesso anche noi seguivamo il TG di Stato che diffondeva verità a noi care: erano gli anni di Telekabul diretto da un Kojak giornalista con la tessera del PCI, anni in cui ci bastava entrare in classe con "Il Manifesto" e "Cuore", e seguire appassionati Michele Santoro per sentirci giovani cittadini critici e pensanti. E nella giungla televisiva privata, grazie a un'assoluta mancanza di regole e all’amicizia di un socialista dall’aspetto marziale, tutto d’un pezzo e con lento intercalare che aveva appena lasciato Palazzo Chigi, si era invece fatto largo il Grande Seduttore. Un tal Silvio da Arcore aveva monopolizzato il settore privato e, dalle sue TV, non si limitava più a pubblicizzare prodotti ma aveva iniziato a propinarci interi modi di vita. Era solo un test d'idiozia applicata di chi in futuro ci avrebbe propinato ben altro. Nel frattempo avevamo importato l’ennesima variazione genetica dell’Uomo da oltreoceano. Erano anni di yuppies rampanti: una tribù di tecnocrati neo onnipotenti con un’indubbia componente comica (o tragica, a secondo dei punti di vista). In giro con il fuoristrada, che non avrebbe mai visto nemmeno l’ombra di uno sterrato, erano impegnati in una convulsa caccia al tesoro. Ma non era la solita tribù che si sarebbe estinta da sola: questi edonisti, che non erano altro che l’aggiornamento riveduto e corretto dell’Alberto Sordi meschino ed arrivista anni ’60, presto si sarebbero attestati come una parte sicura ed integrale della nostra società.
Capitolo 4
cuore ferito dell’immediato hinterland partenopeo con immensi lager dominati dalla camorra, con servizi e strutture promessi ma mai realizzati. Questi ghetti non avevano più nulla in comune con le periferie popolari di una volta raccontateci da Pasolini: la cintura rossa fatta d'operai, suoni e colori è scomparsa. Certo, quelle periferie erano anch’esse emarginate ma c’era vita, adesso c’era solo il deserto. Il tasso di disoccupazione era altissimo ed il tasso d'evasione scolastica il più alto d’Europa. Le Vele erano una serie di palazzi che prendevano il nome dalla loro forma architettonica che ricorda appunto la vela
Mentre la mattina cercavo l’impegno e il confronto dell'intelletto a scuola, nella seconda parte della giornata tutto quello che cercavo era qualche canna mentre portavo avanti la mia solinga esplorazione dell’Altro. Poiché nel paesino in cui vivevamo eravamo in pratica gli unici consumatori e quindi non c’era offerta, dovevamo procurarci le nostre sostanze alteranti altrove. La nostra combriccola si ritrovava in piazza: eravamo gli irrequieti del pomeriggio, presi a risolvere le problematiche della "partenza". Con "partenza" definivamo allora tutta la parte organizzativa che precedeva l’accensione di una canna. Avevamo bisogno di denaro, della macchina, ed era buona norma avere sempre a portata di mano delle cartine. Erano ancora tempi insospettabili a casa, quindi avevo gioco facile con mia madre mentre le illustravo quanto era cara la vita da studente, cercando di persuaderla ad una sponsorizzazione straordinaria di un deca al di fuori dello stipendio studentesco che percepivo settimanalmente. Del mezzo di locomozione erano incaricati Tonio e Nuccio. Ed alla fine eravamo sempre gli stessi, noi quattro o cinque che ci ritrovavamo presi da quel rito: una volta accertato il budget che avevamo a disposizione si poteva finalmente partire. PARTIRE… Quante volte ho desiderato di partire per quel viaggio per non tornare mai più. Invece tornavamo. Tornavamo sempre. Il viaggio d'andata era veloce, in corsia di sorpasso e al suono di "Smoke on the water", dei Doors, di Vasco, dei Supertramp. E dopo una mezz’oretta eccoci arrivare a quel luogo tragico che era alla periferia nord di Napoli…
di un’imbarcazione nautica. Qui la violenza dello Stato nei confronti dei suoi stessi cittadini aveva la sua massima espressione: strutture portanti in ferro arrugginito, muri cadenti, impianti fognari ed elettrici perennemente guasti, mini appartamenti iperaffollati, storie di droga, camorra e prostituzione. Il ridurre le persone alla disperazione, senza denaro, senza lavoro e farle perdere ogni briciola di dignità è violenza. Costringere questi adolescenti nel migliore dei casi a lavorare, nel peggiore a spacciare e prostituirsi è violenza. Non dargli un’educazione che li porti a migliorarsi e di conseguenza non dargli un’occasione e metterli alla merce della malavita è violenza. In questi luoghi si respirava e si viveva di violenza. Ma nonostante queste considerazioni quel girone dell’inferno non tardò a divenire il centro di gravità della nostra vita da sballati. In questo luogo potevamo concederci a qualsiasi tipo di droga, a qualsiasi tipo di viaggio, ma bisognava anche conoscere i luoghi e le piazze dello spaccio. Ovviamente allora le uniche piazze che c’interessavano erano quelle dello spaccio del fumo. Lo spaccio essendo un’attività illegale non conosce alcuna regola, non sai mai chi hai di fronte e quindi devi valutare il tuo prossimo molto più in fretta. Anche se il circuito del fumo era relativamente tranquillo imparammo presto a stare sul chi vive e a fare il muso duro. La peculiarità principale della 167 era che un pincopallino qualsiasi non si poteva svegliare una mattina e decidere di aprire una nuova piazza per vendere fumo o altro: il ragazzino che ci allungava sottomano le stecche di fumo era un semplice dipendente, dietro di lui c’era la camorra. Questo aveva il vantaggio per noi consumatori
La 167 di Secondigliano, che prendeva il nome proprio dalla legge che aveva creato questi mostri, era il tipico quartiere ghetto costruito alla periferia di una grande città con il solo scopo di ammucchiare il maggior numero di persone possibili in modo poco dispendioso. Quello che doveva essere il satellite a dimensione d’uomo di Napoli era divenuto solo il
che non esistevano fregature, a parte ovviamente quella intrinseca della droga stessa: le piazze erano assegnate, alle strade d’accesso c’erano altri ragazzini che tenevano d’occhio il movimento ed eventuali apparizioni della polizia e, cosa più importante, quantità e qualità erano costanti. Per la serie: "un cliente soddisfatto è un cliente che torna!"
L’altro ostacolo da superare prima di uscire dalla 167 erano le forze dell’ordine. Le piazze
mantenere il ritmo della tecno fino al mattino dopo. Noi cercavamo altro. Le mete preferite
dello spaccio, nonostante che fossero conosciute a tutti e anche alla polizia, non erano
erano locali con musica dal vivo, dove c’incontravamo con i nostri simili in cerca delle
soggette a particolari controlli o razzie. La polizia sembrava interessata solo a colpire il
"buone vibrazioni" della sera, della favola da raccontarci, della discussione fiume ed
consumatore finale: l’anello più debole della catena doveva fungere da capro espiatorio.
ovviamente del rito del chilom da comitiva. Presto trovammo anche qui a Napoli il nostro
Eravamo l’erba cattiva da sradicare, vittime finali di un’assurda politica proibizionista.
gruppo di riferimento con il quale ci s'incontrava di tanto in tanto, seduti ad un tavolo in
Certo è vero, l’uso delle droghe, ed intendo soprattutto quelle pesanti, può essere un
compagnia di un po’ di vino e di una pizza. Poi si usciva in giro per la città. Ci fermavamo
esercizio tragico, doloroso e a volte mortale. Ma pura proibizione non ha mai inibito la
in qualche piazzetta, seduti su una panchina, alzavamo il volume della musica in
disubbidienza dell'Uomo. L’Uomo ha sempre usato droghe e le userà sempre: l’arte di
macchina e accendevamo enormi chilom. Il feeling tra sconvolti di fumo è immediato: ci si
manipolare la percezione attraverso l’uso di droghe è tramandata da millenni. Il perché
conosce in fretta e si comunica facilmente. Il fumo ti denuda, il tuo nucleo si spoglia degli
dell’uso è un perché senza risposta: l’uso della droga è ricerca, esplorazione ma anche
involucri che gli hai dato e che nel corso degli anni creano una corazza inaccessibile di
metafora, malessere e autodistruzione. Il pericolo non è la sostanza in se, il pericolo è il
falsi valori: come quelli propinatici dagli uffici pubblicitari delle multinazionali, dalle leggi e
personale perché e il modo di quell’uso. Ma paradossalmente per conoscere questi
consuetudini, da paure e conseguenti meccanismi di difesa che ci rendono aggressivi,
pericoli dobbiamo prima sperimentare: solo se sperimenti arrivi al nucleo del perché, solo
dalla voglia di protagonismo, dalle mode.
se sperimenti sei in grado di affinare il modo d’uso. Solo sperimentando allargheremo la
Tornavamo al paesino a notte fonda ed immediatamente assolvevamo il nostro rituale: a
conoscenza dell’uso delle droghe, ottuso proibizionismo non fa che distorcere, bloccare e
qualsiasi ora tornavamo, facevamo sempre un ultimo giro di ricognizione in piazza. Era
ritardare questa conoscenza…
una sorta di verifica: ci accertavamo che non era scoppiata nessuna rivolta, che non era successo niente di nuovo e che non c'eravamo persi proprio niente. "Purtroppo!" L’autista di turno ci accompagnava poi tutti alle rispettive casa. Spesso però ci ritrovavamo
Poi una volta fuori da quella bolgia della 167 ci mettevamo all’opera e alle canne veniva
davanti al portone di casa di uno di noi, insonni, ancora ebbri ed incapaci di distaccarci da
dato fuoco. L’abitacolo si riempiva dell’odore dell’hascisc mentre le canne passavano di
quella convivialità, a chiacchierare fino all’alba.
mano. Adesso sulla via del ritorno il viaggio era lento, eravamo "on the road" senza fretta, anche perché il nostro stato d'alterazione non è che ci permettesse di essere dei campioni di reazioni al volante. Eravamo comunque attenti ad affidare il volante a quello che si
San Giorgio Martire. Il santo che liquidò coraggiosamente con la sua lancia l’enorme
sentiva più sicuro: chi non aveva voglia, non guidava e se nessuno aveva voglia ci
drago, era il santo protettore del paesino, ma al paesino mancava il coraggio di
fermavamo. Questo consentiva anche all’autista di turno di scegliere il percorso, di
sopprimere il proprio drago delle consuetudini fasulle.
cimentarsi come regista della sera, in un film tutto suo ma da condividere con gli altri. Non
A fine maggio, si faceva onore a questo santo protettore riducendo il tutto a tre giorni di
avevamo fretta di tornare al paesino, per fare cosa poi: per stravaccarci davanti ad un bar
festa che erano come delle domeniche elevate all’ennesima potenza, con tutto quello che
o sugli scalini della chiesa aspettando il nulla mentre scendeva la notte? No grazie.
ne poteva derivare: la processione con la banda del paese; pranzi con i parenti che a
Cercavamo l’avventura, il viaggio notturno, la città da vivere. E Napoli era lì a portata di
tavola si studiavano e s'invidiavano il benessere raggiunto negli ultimi dodici mesi; ragazzi
mano, subito sulla destra in uscita dalla via Bakù di Secondigliano. Non eravamo
foderati con abitini firmati acquistati per la festa; visi festosi e falsa allegria. "Insomma, un
personaggi da discoteca: la nostra era un'alterazione mentale, quindi avevamo bisogno
film dell’orrore! (e con tanto di drago)"
del viaggio, del confronto dialettico, della goliardia del gruppo. La discoteca invece era
La festa patronale si annunciava una settimana prima, quanto il paesino veniva invaso
divenuta una sorta di palestra esibizionistica: era appena iniziata l’epoca di pasticche
dagli operai che montavano per le strade le tipiche arcate luminose della festa. L’addobbo
chimiche colorate che procuravano un'alterazione fisica, si dopava il corpo cercando di
veniva posto lungo le strade principali e partiva giù dal corso, riempiva la piazza e saliva
su fino al Monte. Poi c’erano le nostre tranquille anormalità di paese. Questi archi
convinto che ogni persona, una volta esaurito il contenuto interessante, ha il suo fondo su
apparivano anche in luoghi del tutto estranei alla festa, in strade isolate e senza una
cui alla fine si urta: dopodiché non resta che la replica di ciò che già si conosce. E per
continuità con le vie principali. A parte lo spreco energetico senza alcun'utilità, c’era poi il
rimandare il più possibile nel tempo la constatazione che i miei ragazzi non potevano
lavoro molto più complicato di collocare una sola arcata al di fuori di una struttura continua
darmi più niente e che non erano più in grado di apportare nulla alla mia evoluzione – ed io
che reggeva il tutto. Visto che le solenni celebrazioni di San Giorgio Martire erano
alla loro -, cercavo di diluire questo tempo con conoscenze più o meno frivole. Da questa
finanziate dai cittadini, già all’atto di fare l’offerta alla Commissione della festa c’erano i
situazione nacque anche il mio ruolo nel gruppo: ero l’intelletto della combriccola, quello
primi tentativi di trattativa: "vi do 20, ma se provvedete ad un'arcata di fronte casa mia
che provvedeva ai rapporti verbali con l’esterno, quindi n'ero divenuto il "Responsabile
avrete 50." Questa era la classica richiesta, ingenua, da semplice cittadino, che peraltro
Pubbliche Relazioni".
non veniva mai esaudita. Ma le vere situazioni esilaranti si venivano a creare il giorno
Quella fu per me anche l’estate dell’avvenimento che tutti ricordano della propria
prima delle festività o durante. Improvvisamente ci rendevamo conto che mancavano delle
giovinezza. Stavo crescendo in una società che ci propinava immagini precostituite in tutti i
arcate come se fossero state rubate di notte. Ma non erano state rubate. Facendo un giro
campi, anche in campo sessuale. La nostra immaginazione veniva bloccata e
per il paesino ci accorgevamo che le arcate erano state semplicemente "ricollocate". Ma
monopolizzata da morbose copertine patinate che inneggiavano a rapporti meccanicistici,
dove? Le arcate di San Giorgio Martire diventavano motivo di trattative ai più alti livelli.
da palestra: così divulgavano anche in campo sessuale la frenetica rincorsa del possesso
Anche San Giorgio Martire diveniva uno status symbol da esibire. E così queste arcate
di quegli anni, in questo caso a danno di un corpo e spirito estraneo. Io mi ero interessato
finivano per la strada di fronte alla casa del sindaco, di qualche assessore e presunto VIP
più al fumo e ai sussulti della mente ed avevo trascurato la mia sessualità: o meglio, avevo
di paese. Era una tal sicura manifestazione di potere che dalla dislocazione di queste
trascurato quella sessualità che prevedeva anche la presenza di una donna in carne ed
arcate si poteva dedurre la mappa del potere locale. Ma si poteva anche dedurre il
ossa. A differenza degli altri ragazzi del gruppo io ero ancora, come sarcasticamente mi
prossimo assessore che "sarebbe stato dimissionato": ovviamente quello senza le lucine
definivano loro, un "intoccato". Avevo però l’attenuante che loro erano tutti più grandi di
della festa davanti casa.
me. "Beh lo so, magra consolazione!" In compenso fui però più fortunato di alcuni di loro. Il mio primo sesso vero non fu squallido, non fu fallimentare e non fu mai dimenticato o peggio, rimosso. Giusy dall’alto
La fine di maggio era anche la fine della scuola. Ero stato "ligio al dovere" e di nuovo
dei suoi vent’anni e con tutti i ragazzi che le giravano attorno, mi appariva già come una
promosso. Mio padre n'approfittò per tentare l’ennesimo avvicinamento. Ovviamente tentò
donna adulta e quindi irraggiungibile. In precedenza, in un gioco di sguardi e sorrisi
l’impossibile, allora eravamo distanti ed io volevo quella distanza fatta di mutismo
avevamo flirtato un po’, ma poi, quando iniziò a suscitare l’interesse dei ragazzi più grandi,
assordante. Questo però non m'impedì di accettare il lusso di una Vespa 125 che mio
c'eravamo persi di vista.
padre col suo stipendio da operaio mi concesse. Solo molti anni dopo avrei apprezzato
Era la seconda serata di "San Giorgio Martire on tour". I miei ragazzi vivevano l’altra faccia
quel gesto, ma allora fu per me come un qualcosa che innegabilmente mi spettasse.
della loro realtà da bravi fidanzati con ragazza stretta al fianco. Io invece ero in giro di
Mi ero motorizzato, finalmente avevo un mezzo di locomozione tutto mio che mi
perlustrazione solinga per il paesino: le lucine delle arcate brillavano come i miei occhietti
permetteva di correre verso l’estate e di coglierne tutti i frutti…
arrossati dal fumo, il popolino s'inchinava al rituale del passeggio, l’odore della porchetta si
La sera aveva rinfrescato un po' l’aria ed aveva smorzato quell’afa pomeridiana. I miei
confondeva con quello delle mandorle tostate, ed il borbottio della mia Vespa si
ragazzi all’imbrunire sparivano per un paio d’ore: dopo la canna della sera correvano dalle
confondeva con la banda che suonava il liscio in piazza…
loro promesse spose e mi lasciavano solo. Questo mi dava modo di conoscere e
Scorsi Giusy da sola su all’incrocio del corso: sembrava aspettare qualcuno. Dopo ai soliti
sperimentare anche conoscenze fuori del solito gruppo. Col tempo avevo imparato a non
convenevoli, "come stai? a scuola com’è andata? che fai questa estate?", mi feci coraggio
coltivare solo amicizie integraliste, super fedeli. Amavo i miei ragazzi ma ero anche
e la invitai a salire e a fare un giro. Da quel momento niente fu come prima: entrambi
sapevamo che era giunta l'occasione per consumare quella relazione erotica che era in
sapevano di fallire miseramente il confronto nel quotidiano. A volte la bellezza e l’intelletto
agguato da un pezzo. Ricordo l’odore dell’erba su cui ci sdraiammo, l’ulivo gigantesco
possono essere una condanna. Per me Giusy restò sempre l’unica e vera regale presenza
sotto al quale avevo parcheggiato la Vespa, la musica della festa in lontananza. Allora non
del paesello. Il suo portamento delicato fatto di leggiadra grazia, quell’incedere senza
sapevo molto del corpo di una donna e di come andava esplorato. Dall’alto della sua
fretta con quel suo vezzo di incrociare le braccia, lo sguardo lontano…
esperienza Giusy mi trattò con comprensione e dolcezza. Mi diresse tra le sue gambe e mi disse come lo voleva. M'insegnò il ritmo: m'insegnò a rallentare, a variare, a non essere frettoloso e superficiale. Spinse la mia testa giù, giù verso il meridione del suo corpo, insegnandomi che il clitoride e il punto-g non sono la stessa cosa e tanto meno, a differenza di certe credenze maschili, che siano solo dei miti. M'insegnò che un po' di buona tecnica si può insegnare e che è indispensabile nella sessualità che prevede la soddisfazione di entrambi. M'insegnò a non dare per scontato che ciò che piaceva a me piacesse all’altro, e che ciò che piaceva a lei piacesse anche alle altre. M'insegnò ad apprezzare il piacere del sesso mentre era ancora mezza vestita, perché a volte è molto più eccitante intuire che vedere. M'insegnò che non esistono perversioni o deviazioni: finché si è maggiorenni, consenzienti ed entrambi si divertono tutto è permesso, si tratta solo di accettare le nostre umane bestialità. Ma ci scoprimmo anche più amici che amanti: lei subiva le mie logorroiche dissertazioni, io il suo bigotto e testardo desiderio di educarsi ad inseguire valori in cui non credeva. Le tre settimane di sessualità intensa con lei m'insegnarono più dei successivi tre anni di pratica con le ragazzine che vennero dopo. Era stata paziente e aveva sopportato la mia infantile impazienza: ero come un bambino che aveva scoperto un nuovo giocattolo e che desiderava giocarci quotidianamente. Ma alla fine il giocattolo si ruppe, ormai c'eravamo sperimentati: io nel ruolo d'alunno, denudato della corazza e costretto a mostrarmi con le mie insicurezze ed incapacità; lei nel ruolo lusinghiero di donna che insegna e che sicura di sé traghetta con mano ferma il ragazzino dall’altra parte della riva. Altre sperimentazioni non erano previste. Continuai ad osservarla da lontano, con discrezione. Tornò alle sue frequentazioni: ragazzi con la macchina e le loro certezze, superficiali si, ma che sembravano avviati verso sicuro successo. Ma Giusy crebbe, maturò e cercò di andare oltre. Divenne una donna dall’apparizione rara e preziosa di una gemma. E restò sola. Agli uomini del paesino faceva paura una donna colta, che sapeva quello che voleva e per di più era anche dotata di una bellezza elegante, fine, quasi aristocratica. E così negli anni successivi acciuffai spesso i miei concittadini riempirsi la bocca di chiacchiere ed insinuazioni sulla donna che tutti avrebbero voluto ma che nessuno voleva amare, perché
Capitolo 5
Venite signori della guerra voi che costruite i cannoni voi che costruite gli aeroplani di morte voi che costruite le bombe voi che vi nascondete dietro i muri voi che vi nascondete dietro le scrivanie voglio solo che sappiate che posso vedere attraverso le vostre maschere Voi che non avete fatto altro se non costruire per distruggere giocate con il mio mondo come fosse il vostro giocattolo mettete un fucile nella mia mano e vi nascondete al mio sguardo vi voltate e scappate lontano quando volano i proiettili Come Giuda dei tempi antichi voi mentite e ingannate Una guerra mondiale può essere vinta volete che io creda Ma io vedo attraverso i vostri occhi e vedo attraverso il vostro cervello così come vedo attraverso l'acqua del mio scarico Voi armate i grilletti perchè altri sparino poi vi sedete a guardare il conto dei morti farsi più alto Vi nascondete nei vostri palazzi mentre il sangue di giovani fluisce fuori dai loro corpi ed è sepolto nel fango Voi avete sparso la paura peggiore che mai si possa avere la paura di mettere figli al mondo Per minacciare il mio bambino non nato e senza nome
non valete il sangue che scorre nelle vostre vene Cosa ne sò io per parlare quando non è il mio turno? Potreste dire che sono giovane potreste dire che non sono istruito ma c'è una cosa che sò sebbene sia più giovane di voi che nemmeno Gesù perdonerebbe mai quello che fate Lasciate che vi faccia una domanda il vostro denaro è così buono che pensate che potrà comprarvi il perdono? Io penso che scoprirete quando la Morte chiederà il suo pedaggio che tutto il denaro che avete fatto non riscatterà la vostra anima E spero che moriate e che la vostra morte verrà presto Seguirò la vostra bara nel pomeriggio opaco Veglierò mentre siete sepolti nel vostro letto di morte e resterò sulla vostra tomba finchè sarò sicuro che siete morti
Masters of War – Bob Dylan
altri contenuti o prerogative eterne. Sapeva che prima o poi saremmo divenuti adulti e responsabili e che il nostro lungo cazzeggiare avrebbe avuto fine. Grazie alla sua mole era anche delegato a nostra difesa nei rapporti duri con gli altri: non è che n'avessimo bisogno, ma lui era il primo a ringhiare, a contrattaccare ad eventuali aggressioni violente dall’esterno, sia esse verbali che fisiche. Era il nostro “Responsabile Sicurezza”. Una volta che i ragazzi poi avevano le loro quattro settimane di vacanze si partiva. Ma si PARTIVA davvero. Non organizzavamo mai un bel niente, si fissavano solo dei punti L’estate era un periodo di viaggio continuo. Se eravamo tutti presenti organizzavamo già
cardini e il resto veniva come veniva. Punti cardini erano allora data e luogo di alcuni
in mattinata la partenza per la 167 per poi correre al mare. Spesso invece scattava il piano
concerti in giro per la penisola a cui avevamo intenzione di assistere. Come al solito
“sostegno ai lavoratori”: i ragazzi lavoravano, quindi ci eravamo organizzati in modo che la
avevamo cassa comune e prima di partire non poteva mancare il passaggio per la 167.
mattina ero io a provvedere alle nostre necessità allucinogene e poi c’incontravamo
Furono estati felici. Estati in campeggio a Tropea, Rimini, Viareggio, Cefalù…insomma
direttamente in spiaggia sul litorale domizio. Io non avevo un cazzo da fare e poi mi
tutti quei posti che si riempivano di ragazzi in cerca della ricreazione estiva. Ovviamente di
piacevo nel ruolo estivo del deus ex machina. Infilavo il mio walkman, avviavo la mia
ogni luogo conoscemmo il giro e i posti della droga. Questo ci insegnò a muoverci anche
vespa e mi mettevo in viaggio: l’aria calda estiva, lo spino prima di partire, le ragazze che
in circuiti diversi dal nostro. Erano giri nuovi, con consuetudini diverse e pericoli diversi.
ti sorridevano ancora. Quando poi i ragazzi si presentavano uno ad uno sulla spiaggia tra
Ma come già nella 167, potemmo constatare che nel giro del fumo prevalevano ancora le
le due e le tre del pomeriggio loro non dovevano fare più un bel niente: ognuno di loro
buone vibrazioni. Certo il personaggio che voleva fare il furbo lo incontravi sempre, anche
trovava già la sua personale canna rollata e a volte avevo anche abbordato un gruppetto
se poi molto dipende anche da come ti porgi all’altro: stava anche a noi comportarci in
di ragazze con cui potevamo passare la giornata. “Furono i miei primi vagiti da futuro
modo tale da non permettere a un tizio nemmeno minimamente di pensare di fare il furbo.
dirigente nel terziario!”
Ma la maggioranza era costituita da persone veramente corrette con le quali si faceva
Ma il nostro re del flirt era Nuccio. Lui era incapace di stare semplicemente sdraiato per
girare con piacere un chilom da comitiva. Ma noi non riuscivamo a restare in un posto per
più di dieci minuti di fila: così si poggiava sugli avambracci, alzava il capo, sfoggiava
più di una settimana, anche in vacanza eravamo irrequieti. Eravamo dei nomadi del rock
un’aria da latin lover fasullo e si metteva in “torretta” squadrandosi le ragazzine del
estivo che si spostavano da un happening all’altro.
circondario. I suoi approcci impacciati e con ovvia conclusione comica erano pietre miliari
Erano le estati in cui poteva ancora succedere che un questore qualsiasi aveva il potere di
della storia della nostra comitiva, erano episodi che avremmo continuato a raccontarci e di
vietare un concerto accusando quello spontaneo e pacifico ritrovarsi di ragazzi di
cui avremmo riso anche anni dopo.
fomentare violenza, accusando la pittoresca popolazione rock di invadere e accampare
Quello che tra noi invece poteva contare i maggiori successi concreti con le ragazzine era
nella SUA città creando problemi di igiene pubblica. Purtroppo la cultura rock è ancora
Salvo. Avrebbe potuto farsi un bel po' di storie, ma Salvo era legato da anni ad una
considerata una cultura di serie B, un piano inferiore alla letteratura, al cinema, alla lirica,
ragazzina tutta perbenino del paesello. Certo flirtava, si dava da fare, mostrava i muscoli,
alla musica classica. Ogni società, e particolarmente la nostra, visto il sistema che ci
ma alla fine bloccava. Era un puro esercizio del suo ego maschile. Voleva solo la
siamo dati, ha le sue problematiche, le sue contraddizioni. Compito della cultura è
conferma che se voleva, poteva… Sosteneva di essere un tipo fedele, ma lo era
raccontare anche di queste contraddizioni: il rock non fa che raccontare di queste
sicuramente più per paura di perdere la sicurezza conquistata che per convinzione. La
tematiche, cambia solo il linguaggio rispetto alle cosiddette culture di serie A. E poi, c’è
natura oltre ad averlo dotato di un corpo da Bronzo di Riace lo aveva anche munito di una
forse minor violenza la domenica allo stadio per il rito nazionale del calcio? Non ci sono là
buona dose di ironia il che gli permetteva di non prendere il nostro cazzeggiare troppo sul
due squadre, due tifoserie, quindi competizione e contrapposizione? Forse c’è più cultura
serio. Viveva il fumo, i nostri sballi e la nostra amicizia per quello che erano, senza dargli
e comunicazione nel vedere ventidue uomini adulti in pantaloncini correre affannati dietro
libero in giacca e cravatta? Si può conservare una mente libera in un involucro schiavo
ad una sfera di cuoio?
delle convenzioni?" I cancelli si aprirono e prendemmo posto in quell’arena naturale: noi 15.000 sparsi su per un’altura del terreno e seduti sull’erba, il palco giù in fondo. Restai frastornato, ma anche
"Knocking on Heavens Door."
attratto da quel popolo. Non solo perché avevano fatto il mitico ’68, ma per quello che
E finalmente il menestrello del rock, che con le sue ballate aveva fatto da sottofondo alla
erano adesso, con le loro umane contraddizioni e i loro interrogativi senza risposta. Anche
storia degli ultimi trent’anni, venne. Col tempo e grazie all’avanzare delle mie conoscenze
loro, come noi, bussavano alle porte del cielo nell’attesa della Conoscenza, della
linguistiche inglesi, Bob Dylan era divenuto il mio poeta amato: quello che mi faceva
Percezione, di una semplice risposta. Erano nostri compagni, compagni nella ricerca di
sognare un mondo migliore, ma nel contempo mi insegnava anche a preservare sempre
una risposta che ci si rivelerà solo quando quelle porte si sarebbero spalancate e noi
uno sguardo critico di fronte al potere o a cose che a prima vista sembrano innocue. Dylan
avremmo varcato la soglia. Ma una volta varcata quella soglia, se esiste, a cosa ci servirà
ha vissuto tutti i sogni americani ed ovviamente anche le contraddizioni che ne seguono:
allora la Conoscenza? La Conoscenza ci resterà preclusa e questo certamente rende la
dal sogno borghese a quello alternativo, dalla conversione religiosa all'ateismo, dalla
nostra esistenza limitata, ma il solo fatto che siamo qui, a picchiare a queste porte,
rivolta esistenziale al riflusso, dall'idillio piccolo borghese del matrimonio fino al divorzio.
bramosi di Conoscenza, quasi petulanti, non ci rende forse degli Esseri migliori ed, in
Dylan è sempre stato fedele testimone ed osservatore dei suoi tempi, cosciente della sua
questo caso, più vicini all’Uomo della Conoscenza e lontani mille miglia dai primati di
(e nostra) incoerenza e dell'impossibilità di stabilire norme di comportamento
2001: Odissea nello Spazio? Oppure: non è forse il cammino verso la Conoscenza, la sua
standardizzato. L'unica regola del mondo è il caos…
ricerca e le esperienze che si accumulano lungo il percorso, la vera Conoscenza?...
La città di Modena era divenuta già dal mattino un gigantesco bivacco per vecchi hippies che erano venuti da mezza Europa. Personaggi strani, motociclisti dai capelli bianchi sulle loro Harley, padri di famiglia che si erano momentaneamente dimessi dal loro ruolo, olandesi che cercavano di vendere del fumo, dirigenti che si erano tolti in fretta il doppiopetto per infilarsi in vecchi jeans ormai stretti, cinquantenni in cerca di reminiscenze giovanili. Una volta tanto i ragazzi della nostra età erano in minoranza, quasi assenti: era un enorme e pacifico assembramento di dinosauri che erano venuti a chiedersi il perché della loro estinzione, o meglio, il perché del loro presunto fallimento. Era una babele assordante di interrogativi. "Siamo divenuti anche noi come quei borghesi bacchettoni che contestavamo nei cortei dove gridavamo alla rivoluzione totale? Siamo adesso noi quelli da contestare? Perché la fantasia non è arrivata al potere? Dov’è la saggezza tra un vecchio asceta indiano dalla lunga barba bianca e un top manager capace di slacciarsi la cravatta al momento giusto. Non è forse vero che la saggezza varia anch’essa nello spazio e nel tempo? Non è forse stata una fortuna che la fantasia non sia arrivata al potere? Il potere della fantasia avrebbe rispecchiato solo una piccola parte della realtà ed avrebbe perseguitato la maggioranza. Sarebbe divenuta anch’essa una dittatura crudele da contestare. La mia libertà di pensiero e di individuo la esprimevo indossando un eskimo. Ma oggi sono ancora un individuo
Capitolo 6
insegnate in maniera nozionistica come per rispondere ad un quiz del giovedì sera televisivo, della materia ITALIANO che non stimolava il ragionare con la propria testa e trascurava autori contemporanei, della materia STORIA che veniva insegnata come una serie di fatterelli trascurando anche qui il confronto critico con la storia ufficiale (ancora nel 1990, secondo il mio libro di testo della maturità, veniva avvalorata la tesi ufficiale secondo cui JFK fu senza ombra di dubbio assassinato da un pazzo solitario e comunista di nome Lee Harwey Oswald!!!)
Dopo l’estate dei concerti tornavo alla mia amata-odiata scuola. Continuavo a crescere nel
Ovviamente giocavo anche con la mia vanità adolescenziale a fare l’indifferente, il duro, il
contesto scuola con la mia indole incerta e volatile: alternavo momenti di euforia e
ribelle della classe. Quelle continue latitanze dalla classe pero’ non erano solo fine a se
riconoscimento verso l’istituzione scuola e la sua funzione, a momenti di sconforto di
stesse, avevo iniziato a cercare altri luoghi ed espressioni della scuola che mi
fronte alla burocrazia, alla sua dispersione di energie e alla sterilità ed inefficacia di certi
permettevano nuove sperimentazioni: le contrapposizioni della Presidenza, la bagarre
programmi ministeriali. Come il solito cercavo spesso la solitudine per rifugiarmi nelle mie
delle riunioni dei rappresentanti di classe, i flirt con le ragazze per i corridoi.
letture che mi caricavano ed avvallavano quel mio impegno da studente rivoluzionario dal
Così, una volta avuta la meglio all’interno della classe, mi misi in cerca della mia nuova
sapere un po’ libresco e stereotipato. M’infilai i miei occhialini alla Lennon e, in una sorta
terra di conquista. Era come una scalata al potere in un continuo gioco al rialzo. Spostai il
d’autoidolatria pagana, mi crogiolai nella mia immagine di ribelle mentre mi esercitavo nel
confronto nella cerchia più ristretta dei Rappresentanti di classe, dove si giocava con la
confronto con gli altri. E poi potevo considerarmi fortunato rispetto ai miei compagni di
capacità d’imporsi agli altri e si misurava il proprio ascendente in cerca della leadership.
classe: non avevo grossi problemi con lo studio, riuscivo a conseguire un profitto più che
La conquista del consenso allora, a differenza della politica dei grandi, era un gioco pulito
accettabile nelle varie materie senza peraltro faticare molto. I miei problemi, casomai,
basato su un reale confronto dialettico e nel rispetto delle regole. Quel gioco non poteva
erano tutti inerenti alla condotta e alla disciplina a cui non volevo piegarmi. Insomma, ero
che piacermi e presto n’assimilai i fondamenti: parlavo in pubblico sciorinando belle parole
divenuto un rompiscatole. Ma questo mi permetteva anche di avere una duplice merce di
e cercando di affascinare. Ma una volta conscio dell’ascendente che potevo avere sugli
scambio col professore di turno all’interno della classe: visto che avevo una discreta
altri fui anche accorto a dichiararmi sempre per ultimo e a scegliere con discrezione.
preparazione ma anche che le mie spigolosità e continue provocazioni disturbavano il
E di nuovo mi ritrovai ad osservare e a cercare di capire…
normale andamento delle lezioni, i professori non si sentivano in obbligo di trattenermi
Scoprii che non tutti erano lì presenti perché volevano partecipare attivamente a un
quando uscivo dalla classe per non rientrare più. Anzi, erano felici di essersi liberati di me.
miglioramento, a un cambiamento. Erano i soliti furbi che si erano infiltrati tra noi solo per
Loro non cercavano di capire il mio disagio e la mia aggressività ed io li lasciavo al loro
avere più tempo libero dalle lezioni: li notavi subito questi fighetti seduti in disparte che
quieto vivere: era un tacito accordo che comunque resse solo dopo molte prove di forza. A
leggevano il giornale, ignorando le nostre discussioni e facendosi quasi beffa del nostro
volte scomparivo dalla prima ora per rientrare all’ultima avendo pero' in ogni caso sempre
impegno. Ma a quanti di questi fighetti disinteressati ci saremmo ricordati in futuro?
l’accortezza di rientrare all’inizio d’ogni ora, almeno per farmi vedere dal prof di turno: si lo
Fighetti superficiali godono di momentanea popolarità giovanile, ma poi scompaiono nei
so, avevo strani ritorni di buone maniere. Questa posizione di potere e il mio conseguente
meandri delle difficoltà della vita.
comportamento da furbo bulletto erano ovviamente una chiara mancanza di rispetto sia
Invece quanti di noi pseudo tribuni idealisti, capipopolo intransigenti e ribelli invece si
verso i professori sia verso i miei compagni di classe. Ma io non sapevo che farmene di
sarebbero trasformati, una volta adulti, in docili impiegatucci disposti ad ingoiare il rospo
rigide lezioni a norma di programma ministeriale, di materie tecniche che non avevano
davanti al dispotico capoufficio? Oppure quanti di noi sarebbero divenuti quel capoufficio,
nessun contatto con il nostro futuro lavorativo, di materie letterarie che ci venivano
servile col padrone e sferzante con i sottoposti? Quanti di noi avrebbero tradito la loro giovinezza classificandola solo come un’epoca in cui si è sognato l’irrealizzabile? Quanti
sarebbero cambiati senza evolversi? Quanti invece sarebbero stati capaci di maturare,
suoi mulini a vento. In un mondo in cui noi giovani non avevamo grossi ideali da
accrescersi ed arricchirsi culturalmente coltivando e conservando quello spirito giovane ed
perseguire io avevo trovato la mia causa ma non ancora un avversario con cui lottare. Ma
il rispetto per esso?
alla fine trovai anche quello.
Noi, in ogni caso, in quel consesso sognavamo e progettavamo la nostra scuola ideale, così come la volevamo noi. Vogliamo una scuola e un’istruzione in funzione e a dimensione dello studente.
Il preside Carmine Cellase era un fregno buffo prossimo al pensionamento che non voleva
Vogliamo una scuola che ci fornisca solo gli strumenti d’analisi: coscienza e cultura critica
altro che quieto vivere fino al giorno del suo collocamento a riposo. Dalla sua età dedussi
non si possono insegnare ad una classe intera, è un percorso individuale.
che il movimento del ’68 lo aveva sorpreso già nel ruolo d’insegnante e sono sicuro che
Vogliamo una scuola che ci sostenga ed affianchi nel formarci come cittadini liberi e
aveva assistito a quel sogno con indifferente sufficienza. Era della vecchia scuola fatta di
sovrani.
disciplina e studio, di ruoli ben definiti e regole da rispettare. Nascondeva i suoi occhietti
Vogliamo una scuola che tenga conto delle nostre individualità, che c’insegni a guardare
da pazzo furioso dietro a lenti spesse un dito e, lui stesso, si nascondeva dietro a forbite
oltre i pregiudizi e le apparenze.
citazioni in latino che pretendeva fossero capite al volo, dimentico del fatto di essere in un
Vogliamo una scuola che ci fornisca attrezzature tecniche e libri di testo all’altezza dei
Istituto Tecnico e non in un Liceo classico.
tempi.
Tastai il terreno molto discretamente per conoscere l’avversario e la sua forza, poi,
Vogliamo una scuola che tenga contatto ed interagisca con aziende e realtà locali.
appena ci odorammo capimmo di non piacerci. Purtroppo le potenzialità del confronto che
Vogliamo una scuola che c’insegni il metodo, l’approccio e la disciplina alle singole
si andava delineando furono già dimezzate in partenza: c’era sospetto e circospezione ma
materie, perché una volta imparati resistono al logorio del tempo e si applicano facilmente
soprattutto un rapporto di potere sbilanciato che veniva costantemente sottolineato. Io mi
in tutti i campi della vita, formulette imparate a memoria invece si dimenticano in fretta.
cinsi dell’alloro imperiale e divenni contemporaneamente l’ideologo, lo stratega e il
Invece la scuola continuava a sfornare appiattiti diplomati educati alla sufficienza e allo
generale che doveva abbattere il vecchio modo di fare scuola; lui si sentì attaccato nelle
studio nozionistico. È vero anche che già allora (ed ancora) l’istituzione scuola doveva
sue certezze, nell’opera di una vita intera, e vi si pose ad estrema difesa. Vide in me la
combattere con i problemi del quotidiano: bilanci in rosso, programmi da rispettare,
solita testa calda (cosi mi definiva), forse un po' più motivato, ma che era pur sempre uno
strutture che necessitavano di continue manutenzioni. Queste continue distrazioni
studente che doveva fare i conti con il profitto e le sanzioni disciplinari e che quindi, alla
amministrative ovviamente affievoliscono il potenziale della scuola, non la mettono in
fine, sarebbe rientrato nei ranghi. Quel confronto divenne quindi l’ennesima replica della
grado di operare serenamente e finiscono per mettere in secondo piano le sue più
mia prima impresa eroica: la ribellione a mio padre. E, purtroppo, divenne altrettanto aspro
profonde ed elevate finalità educative. Maggiore sarà l’investimento che lo Stato farà
e disperato. Fu un tragico susseguirsi d’impuntature, minacce, sospensioni ed avvilenti
nell’istruzione e quindi nei giovani, maggiore sarà la possibilità di elevare il benessere
incomprensioni: non sarebbe uscito nulla di buono da quello scontro. Avevo chiesto degli
generale della nazione. Benessere non è solo ricchezza economica ma anche ricchezza
incontri mensili tra alunni e professori all’interno d’ogni classe in modo da poter discutere
culturale. E maggiore cultura vuol dire anche maggiori capacità di creare: creare quindi
nuovi approcci alle singole materie, difficoltà dei vari argomenti e sistemi gerarchici più
ricchezza economica, ma creare anche basi per una società meno sbilanciata e meno
funzionali. Volevo solo far scendere l’istituzione scuola dal suo piedistallo e farla sedere
cannibale. Quindi alla fine avremo anche un ritorno economico dell’investimento iniziale. È
con noi tra i banchi. Ma quei colloqui potevano diventare un gioco pericoloso per la scuola:
un cerchio che si chiude da solo che non aspetta altro che una consistente spinta iniziale.
si sarebbero messi in discussione molti aspetti dell’insegnamento e questo non poteva
E così, armato di quell’ingenuità ideale che solo a quell’età si può avere, pensai di aver
essere tollerato da persone che avevano la presunzione di aver creato un sistema
trovato i mali della scuola (o del mondo?) e quindi, ero di nuovo punto e daccapo: ancora
pedagogico che ormai funzionava da anni. Senza calcolare che per molti professori non
una volta infilai l’armatura e mi tramutai in un Don Chisciotte qualsiasi che combatteva i
sarebbe stato piacevole mettere a nudo i loro metodi e debolezze di fronte ai colleghi.
Chiesi collaborazione ed ebbi contrapposizione. Inutilmente avevo cercato di arrampicarmi sugli specchi e, alla fine, ormai deluso, logoro, spossato e a pochi mesi dalla Maturità,
Capitolo 7
deposi le armi, mi dimisi dal mio ruolo d’ammutinato e passai il testimone alla prossima generazione, speranzoso che loro avrebbero saputo fare di meglio. Quel primo grande scontro con un’istituzione dello Stato comunque lasciò il segno: in futuro avrei sempre diffidato di burocrati che arroccati nei loro posti di potere si prendono troppo sul serio e che si negano ad un confronto paritario e civile. Certo, non ero un tipo facile da
Valentina, la mia vicina di casa, intanto continuava ostinatamente a rifiutare le attenzioni
maneggiare: ero stato irruente, polemico e poco diplomatico, ma credo che la giovane età,
dei ragazzi. Aveva cambiato qualche ragazzo, niente di particolare, niente di travolgente.
l’inesperienza e soprattutto la buona fede possano giustificare il mio comportamento. Da
In una sorta di gioco voyeuristico, mentre entrambi crescevamo, continuavo ad osservarla,
non giustificare invece fu il comportamento del mio contraente: il pedagogo, l’educatore
appagando la mia egoistica bramosia di conoscenza dell’Uomo, qui in versione con
era lui, quindi stava a lui capire il mio dissenso ed aiutarmi ad incanalarlo in argini e forme
gonnella. La osservavo sempre lì al solito posto, sotto la mia finestra all’angolo della
più consone. Questo avrebbe richiesto una mente flessibile, aperta ed autocritica che
strada. Si vedeva con questo suo nuovo flirt già da un pezzo. C’era qualcosa di nuovo nel
avrebbe rinunciato alla sua posizione di potere per divenire traghettatore e mediatore in un
suo comportamento: a tratti sembrava più accondiscendente, ma era ancora dibattuta tra il
confronto tra Istituzione ed Utenti che alla fine avrebbe potuto essere proficuo per
cedere alla propria voglia di carezze e al restare ancora in trincea, a lottare. Usava ancora
entrambi.
la sua cattiveria, anche se era divenuta più sottile. A tratti voleva smetterla di ferirlo, di trattarlo male, ma era più forte di lei: lo sapeva indifeso ed innamorato, e una volta che aveva iniziato ad impuntarsi su una qualsiasi stronzata non poteva smettere. Glielo imponeva il suo orgoglio e poi sarebbe sembrato una debolezza, uno scendere a patti con lui, un esporsi anche suo ai sentimenti. Valentina aveva la mano sul suo petto e poteva sentire i battiti del suo cuore. Batteva forte. Era compiaciuta, eccitata nel sentire il suo battito accelerato, mentre faceva la cattiva. Le procurava uno strano piacere farlo arrabbiare: era in suo potere! Valentina scoprì allora per la prima volta il sapore di quel potere: ne godé e ne fu compiaciuta, ma quel attimo fu anche il fondamento di chi in futuro avrebbe imparato ad abusare di quel potere per scopi diversi dall’amore... ma questa è un’altra storia. Poi all’improvviso si strinse forte a lui. Era stufa di quel continuo gioco che lei stessa aveva creato. Voleva dirgli quanto era importante per lei, che aveva una gran paura di rovinare con il suo maledetto orgoglio quel loro rapporto allo stato nascente. Ormai lo aveva umiliato già una volta di troppo e non aveva più il coraggio di parlare. Si strinse ancora più forte. Guardò le sue mani immobili: adesso avrebbe voluto che quelle mani la stringessero e magari salissero su per il suo corpo. Ma Valentina era incapace di chiedere, ed ormai era tardi. Lo aveva già perso. Lui già pensava a dimenticarla…
persone o popoli terzi. Il benessere di pochi sarà la fine del nostro sistema. E poi, proviamo ad essere onesti: cosa abbiamo fatto della nostra civiltà? Era l'estate dell'ottantanove. Per me ed i miei ragazzi fu l'ultima estate felice, spensierata
Esseri indaffarati a rincorrere un presunto benessere misurato in beni di consumo e
ed innocente. Per il resto del mondo invece, l'ottantanove fu un anno sconvolgente, pieno
denaro. Un’orda di barbari incapaci di controllare la propria bramosia di potere, e pronti a
d'emozioni e cambiamenti radicali. L'anno dei cambiamenti per antonomasia. Il
bombardare il nostro vicino solo perché crediamo che il nostro sistema sia migliore o,
comunismo come modello sociale stava disgregandosi. I metodi del socialismo reale, la
meglio ancora, perché abbiamo disperato bisogno di un combustibile fossile che rende il
dittatura del proletariato e del partito unico sembravano ormai inconciliabili con il libero
nostro benessere ancora più benessere ed il nostro pianeta ancora più sudicio. Certo,
mercato sempre più in espansione, la diffusione in tempo reale delle informazioni e quindi
siamo passati dalle palafitte ai grattacieli: ci siamo dati abitazioni calde ed accoglienti,
della democrazia. I popoli dei paesi dell'Est avevano fame e volevano anche loro una fetta
regole di convivenza, ma nell’animo restiamo dei barbari che dopo tanto correre si
del benessere occidentale. Gli apparati di stato erano alla bancarotta da un pezzo,
ritrovano in un vicolo chiuso e non si rendono ancora conto che le opzioni, le vie d’uscita
glasnost e perestrojka fecero il resto. I Paesi del Patto di Varsavia in quell’anno, alcuni
sono finite da un pezzo…
pacificamente altri meno, transitarono verso la democrazia. In Novembre il Muro di Berlino
Ma torniamo a quell’ottantanove: mentre in Polonia si celebravano le prime elezioni
fu preso d'assalto e buttato giù a picconate. La Cortina di Ferro non esisteva più.
democratiche, in Cina l'apparato di partito non aveva nessuna voglia di passare il
Così la Storia si era presa la sua rivincita sull'Utopia. Una rivincita tragica ma necessaria
testimone. Gli eccidi di piazza Tienanmen e quelli che seguirono sono ancora oggi una
ed inevitabile. Nonostante il divario evidente tra realtà ed utopia, restai con il dubbio: la
ferita aperta della nostra storia recente. Chi non ricorda l’immagine dello studente che si
fine dei sistemi comunisti fu causata dalle degenerazioni e dal culto della violenza di
confronta con il carro armato nella notte di Pechino...
personaggi come Mao e Stalin? Dalla loro incapacità di applicare il "metodo" al continuo
L'Italietta di provincia invece non poté offrire altrettanta vitalità. Tra l'indifferenza generale,
sviluppo economico e alle esigenze di libertà individuale? Oppure da un vizio d'origine
13.000 operai degli impianti siderurgici di Bagnoli furono messi sulla strada. Mentre il
intrinseco alla dottrina stessa? Oggi diremmo che i signori sopra citati non si sono
popoletto si nutrì dei gialli attorno all'uccisione di un ex Presidente delle Ferrovie e alle
preoccupati di scaricare sempre l'ultimo update. Hanno installato alla lettera solo il
lettere anonime di un corvo in procura a Palermo, la politica si limitò alle solite beghe
programma originario (l'ideologia), poi si sono scollegati dal resto del mondo e s’illusero di
interne del "pentapartito": cambio ai vertici DC ed il nostro buon vecchio Giulio instaurò il
farla franca. Non essendo in rete pensavano d’essere immuni da virus, spyware, troiani e
suo Governo numero sei…
via dicendo. Ma anche un sistema chiuso e scollegato dal mondo può crollare. I signori avevano dimenticato che esistono gli UTENTI!
Un qualsiasi pirla ed utente Windows
d’oggi, quindi doppiamente pirla, non avrebbe fatto certo lo stesso errore.
Liberi, Liberi... Santo era il figlio di un esponente politico locale dell’opposizione. Santo era
In ogni caso non riuscivo a credere che dopo 5000 anni di Storia l'Uomo non avesse
la croce di suo padre e la delizia dei cronisti del pettegolezzo locale. Il padre era un
partorito altro che due topolini. Due massimi sistemi sociali, uno contrapposto all'altro,
signore sobrio, gentile e silenzioso, fiero delle sue origini proletarie, di quello che aveva
entrambi ai due estremi. Sono sicuro che anche il nostro tanto amato sistema
raggiunto, del suo studio pieno di libri e abbellito solo da una mediocre riproduzione ad
democratico-capitalistico-consumistico in futuro sparirà. È solo una questione di tempo
olio del Quarto Stato di Volpeda. Non aveva nulla in comune con la politica d’arrembaggio
finché tutti i nodi vengano al pettine, finché la maggioranza della popolazione mondiale si
e scostumata di quegli anni. Santo invece era sempre all’arrembaggio, mai sulla difensiva.
renda conto e si stufi d'essere la fonte della ricchezza di una minoranza. La democrazia è
Vestiva in maniera incurante, un po' da punkettaro di provincia, esibiva capelli lunghi,
un bene caro e sacro e va difeso a tutti i costi, ma è democrazia vera solo se le nostre
trasandati, e modi da duro inattaccabile. Dietro quell’involucro si celava un ragazzo
libertà non vanno ad intaccare quelle altrui e se il nostro benessere non va a scapito di
dall’intelligenza viva, curiosa, ma anche cinica e realista. Si rapportava agli altri in un modo tutto suo. Era un rapporto basato sul sarcasmo: nel suo discorrere c’era un’aria
canzonatoria, di beffa amara che spesso indispettiva l’interlocutore. Be’, così era fatto in
Il signor Michele era cresciuto in campagna dove aveva imparato il valore dei frutti della
nostro Santo...ma quando avevo bisogno di tirarmi un po’ su, sapeva essere un’ottima
terra, del denaro e del sacrificio che lo produce. Aveva lavorato sui campi per finanziarsi lo
medicina e quando avevo bisogno di evasione dal gruppo era lui la mia preferita.
studio, ed ogni mattina inforcava la bicicletta per raggiungere la scuola che distava una
Insomma, era uno dei personaggi del paesello che emergeva dalla folla piatta e liscia che
ventina di chilometri da casa sua.
mi circondava. C’incrociavamo e, se non si presentava già con qualche estrosa idea per
Quando agli inizi degli anni '70 nacque sua figlia Tina, il signor Michele era uno stimato
vivacizzare la serata, organizzavamo qualcosa. Poi ci perdevamo tranquillamente di vista
tecnico industriale all'interno dell'universo Alfasud. Da un po' di tempo però stava
per un po’, sapendo in ogni caso di poter contare sull’altro, anche se non si condivideva il
coltivando l'idea di lasciare il pane sicuro per mettere su una di quelle piccole aziende
quotidiano.
dell'indotto automobilistico che in quegli anni spuntavano come funghi. Sapeva che poteva
E anche quella sera di luglio si presentò con una delle sue: Vasco, profeta rockeggiante
contare suoi contatti che aveva all'interno dell'azienda, ma non s'illuse, sapeva bene che
della nostra inquietudine già dai tempi di Albachiara e Siamo solo noi, dava un concerto
sarebbe stata una lotta al ribasso dei prezzi e che si sarebbe messo da una dipendenza
all’ippodromo di Agnano, Napoli. Bene, anzi benissimo, me lo sarei fatto volentieri un
all'altra, da dipendente a fornitore esterno, alla merce di quella Grossa Casa Madre che
concerto di Vasco, ma erano le sette ed il concerto iniziava alle otto. In un'ora dovevamo
dava e toglieva lavoro e commesse a piacimento: "Dopo di te c'è sempre un altro disposto
giungere a Napoli, da lì spostarci ad Agnano e poi procurarci il biglietto. Tutto questo
a produrre al prezzo imposto“. C'era il rischio di divenire una di quelle piccole ed
senza nessun mezzo di locomozione dato che avevamo a malapena la somma per i
insignificanti rotelle del grosso Meccanismo che, sfruttate, dovevano a loro volta sfruttare e
biglietti d’entrata. Per nostra fortuna avevamo almeno qualcosa da fumare. Gli pronosticai
sottopagare i propri dipendenti.
un misero fallimento dell’operazione, ma qualsiasi avventura a quell’ora della sera era
Tina non era stata prevista dai suoi genitori e non rientrava nel progetto di quegli anni
benvenuta e sicuramente molto più allettante di fronte al nulla del paesello.
confusi. La famiglia fu colta di sorpresa. Avevano un maschietto ed il tempo e le attenzioni
Dieci minuti dopo eravamo al casello dell’autostrada alzando il nostro pollice destro. Dopo
erano già insufficienti per lui. Erano in piena fase d'avvio delle loro nuove vite lavorative da
un po’ accostò una grossa berlina. Un tipo tutto schizzato in giacca e cravatta c’esortò a
piccoli imprenditori, non c'era posto per un altro bambino. E poi, tra i genitori, era appena
salire in fretta e ripartì come un razzo. Ci raccontò di essere un impiegato di una fabbrica
iniziato quel lento scricchiolio che si sarebbe protratto per anni. Cosi Tina si ritrovò in una
del circondario e che il capo gli aveva affidato dei documenti che dovevano essere
famiglia piena di tensioni che spesso litigava. E come ogni bambino pensava d’essere lei
consegnati a tutti i costi al Centro Direzionale di Napoli per le otto. E per fare più in fretta
la causa di tutto. Ogni litigio era l'occasione per sentirsi colpevole. Aveva paura Tina: era
gli aveva dato le chiavi della sua vettura. Bingo! Adesso sì che eravamo a cavallo:
piccolina e non capiva cosa succedeva, ma pensava "…gridano perché ci sono io…",
eravamo nelle mani di un pazzo furioso in vena di compiacere il capo e alla guida di una
quindi "…non dovrei essere qui…", quindi "…io sono colpevole". Crescendo imparò che
potente berlina che non aveva mai guidato. Non ci restò che allacciarci la cintura di
doveva essere sempre gentile e disponibile e, soprattutto, imparò a non attirare
sicurezza. Venti minuti dopo, un po' frastornati ma in perfetta salute, ci fece scendere
l'attenzione. Imparò ad essere sempre attenta alle esigenze dei suoi genitori e del fratello
all’uscita per Agnano dove non fu difficile proseguire con altri ritardatari di passaggio. I
e a non deluderne mai le attese. In seguito fu anche investita di un ruolo di responsabilità
bagarini evidentemente aspettavano molti più clienti: a dieci minuti dall’inizio del concerto
che non aveva niente a che fare con la sua età. Si occupava del fratello maggiore, della
trovammo ancora un paio di biglietti a prezzi abbordabili. Rollammo le nostre canne in
casa e, quando venne, anche della sorella minore. Sarebbe andato qualcosa storto
fretta e n’accendemmo una mentre superavamo il controllo biglietti. Era l’anno del tour
sapeva che i genitori si sarebbero rivolti in prima istanza a lei. Imparò presto a sapersi
Liberi, Liberi e Vasco era lì, sul palco, a portata di mano…
destreggiare in situazioni difficili e conflittuali che iniziò a considerare una sfida. Sentiva l'obbligo di risolvere ogni problema che la circondava. Non sapeva dire di no. Tutto questo ovviamente avrebbe anche influenzato la sua futura vita sentimentale. Avrebbe sempre attirato uomini problematici, presi più da se stessi ed incapaci di mostrarle attenzioni
emozionali. Tina avrebbe sempre cercato di giustificare il partner, adattandosi alle sue esigenze e non manifestando le proprie, sperando di venir amata un giorno, così come lo sperava da bambina… Tina, la sua famiglia e la loro piccola azienda si trasferirono al paesello alla fine degli anni '80. Tina era allora una sedicenne con un viso ancora da ragazzina pulita, un sorriso solare, capelli nerissimi, lineamenti fini ed un corpo esile ed asciutto in transizione tra innocenza e peccato. Insomma, il paesello aveva una nuova ragazzina di cui innamorarsi. Nuove ragazzine non passavano inosservate al paesello. Provincialotti gioiscono sempre in modo eccessivo e pittoresco per delle novità, ancor più se si tratta di novità in carne ed ossa. Tina fu subito circondata dai soliti ragazzi perbene e splendidi in vena di facili conquiste: ragazzi che spruzzavano di salute, gioia di vivere, voglia di divertimento, superficialità, piattezza. Ma Tina si muoveva leggiadra, volava come una farfallina e sembrava distaccata e anche un po' imbarazzata da tutto quell’interesse. Ovviamente anch'io la notai. Mi tenni in disparte: non volevo essere un dei tanti nella folla, ma ero anche un po’ da tutti quei tipi sorridenti che la circondavano. Allora io ero tutto preso dal mio periodo esistenzialista (sic!!). Ero malinconico, riflessivo, lunatico, amante degli eccessi e perennemente sballato. Questo però non m’impedì d’iniziare a corteggiarla a distanza, solo con lo sguardo. Fu un gioco innocente, solo tra di noi. Per quanto fossimo circondati da amici, gente o folla qualsiasi, i nostri occhi si corteggiavano. All'inizio con discrezione, inseguito in modo sempre più evidente. Non ci conoscevamo, non avevamo mai scambiato una parola, ma sapevamo, o almeno credevamo, di appartenerci. Era quasi un appuntamento fisso che ci davamo la sera in piazza: ricordo che a volte costringevo i miei ragazzi a passare un paio d’ore al paesello solo perché io potessi vederla. Lascio all'immaginazione del lettore i commenti sarcastici dei miei ragazzi: per un convinto single misogino mi stavo rivelando maledettamente ed esageratamente romantico! Poi finalmente, nel giugno di quell’anno, distribuendo un volantino con le mie riflessioni su Tienanmen e sul futuro del comunismo, me la trovai di fronte. Non ricordo, ma conoscendomi, sono sicuro d’averla assillata con i problemi di transizione tra il vecchio comunismo e un nuovo mondo social-comunista(!!). Ascoltò attentamente. Rifletté un po’, capì e decise di assumere il comando: "Baciami imbecille! Il tuo mondo adesso sono io." E così fu. Tina mi avrebbe accompagnato in modo discreto e paziente per quattordici anni. Oggi spero che, nonostante la catastrofe in cui la coinvolsi, non abbia mai maledetto quella sera d’estate dell’ottantanove…