Quaderni della Toponomastica Dediche e memorie di uomini e luoghi
n. 1
Comune di Terni Assessorato alla Toponomastica
Assessore all’Urbanistica, all’Edilizia privata e alla Toponomastica del Comune di Terni Arch. Francesco Andreani
Dirigente Direzione Urbanistica del Comune di Terni Arch. Carla Comello
Ufficio Toponomastica del Comune di Terni Arch. Nazzareno Pedica Geom. Alfredo Zanghi Geom. Gianluca Fiore
Autori delle schede biografiche Prof. Sergio Bellezza Prof. Dario Guardalben Dott. Paolo Pellegrini Prof. Giocondo Talamonti Dott.ssa Gabriella Tomassini
Progetto grafico e impaginazione Serena Ponteggia
a cura di Serena Ponteggia
Quaderni della Toponomastica Dediche e memorie di uomini e luoghi
n. 1
Comune di Terni Assessorato alla Toponomastica
Introduzione
La storia e la memoria sono qualità distinte della natura umana. Se la storia spesso recede di fronte alle novità, alle profondità dei mutamenti e delle prospettive del giudizio, la memoria invece prevale, accetta la precarietà e valorizza il ricordo dell’azione e la concretezza delle presenze. Così l’iniziativa dei Quaderni della Toponomastica vuole documentare la memoria di dediche e personaggi che spesso sfuggono all’attualità e alla conoscenza dei cittadini, e ricordare per quanto possibile l’identità dei nomi quotidiani della vita urbana. Il primo Quaderno viene anticipato in formato digitale e con una parziale selezione di schede, rinviando ai successivi numeri la pubblicazione del prezioso lavoro di Toponomastica realizzato nel tempo dall’Amministrazione Comunale e curato dai miei predecessori, tra i quali ringrazio in maniera particolare Marco Malatesta, per il suo contributo importante. La nostra Amministrazione promuoverà sicuramente una nuova edizione di “Le vie e le piazze di Terni”, trattato di toponomastica storica scritto da Walter Mazzilli, da poco scomparso, e che tutti ricordiamo con stima e con affetto. Ringrazio il mio ufficio, Pedica, Zanghi, Fiore e Ponteggia, coinvolti in modo particolare nel progetto e gli attuali componenti della commissione Toponomastica, Sergio Bellezza, Dario Guardalben, Paolo Pellegrini, Giocondo Talamonti e Gabriella Tomassini, che hanno redatto le schede e il cui lavoro ha saputo legare con competenza e saggezza, nei pareri e nelle proposte, il tempo lungo e il tempo quotidiano della città.
arch. Francesco Andreani assessore all’Urbanistica, all’Edilizia Privata e alla Toponomastica del Comune di Terni Terni, 16 dicembre 2015 3
Eclo Piermatti Terni 3 luglio 1925 - Terni 16 luglio 1973
Nel 2006 è stata intitolata “Via Eclo Piermatti”, terza laterale destra di Via Piemonte, che termina in Via Romagna. Operaio delle Acciaierie, fu Segretario del Partito Comunista locale e attivista del Sindacato FIOM. Un personaggio rappresentativo della militanza politica.
Figlio di operai e operaio anche lui alle Acciaierie di Terni, pur non disponendo di una forte preparazione culturale e scolastica seppe, con la sua intelligenza, con l’impegno come autodidatta e con la sua sensibilità, trarre dalle esperienze di vita le condizioni necessarie per diventare un apprezzato esponente della vita politica, sindacale e amministrativa della nostra città. “Prodotto unico e carismatico della classe operaia ternana testimonia quanto il ruolo dei lavoratori abbia giovato positivamente alla comunità ternana e quanto oggi, anche a Terni e in Umbria, pesi negativamente la mancanza della rappresentatività operaia nella gestione del Governo locale e della stessa attività politica e sindacale”.* La sua formazione, quale esponente della vita politica, sindacale e pubblica, inizia all’interno delle Acciaierie e si afferma con il contributo alle lotte sindacali, con il credo politico nel PCI e con una militanza notevole, molto apprezzata dai lavoratori. Il valore di questo contributo va considerato nel contesto di un periodo di grandi difficoltà per l'attivismo sindacale e politico all’interno delle fabbriche. All’epoca i datori di lavoro avevano, soprattutto verso gli esponenti della CGIL e del PCI, un palese atteggiamento discriminatorio e persecutorio. “Eclo Piermatti fu un capofila della resistenza operaia a questa politica: con il risultato di questo impegno, insieme a quello di tanti altri compagni, creò le condizioni per giungere ad una delle più grandi conquiste, realizzate nel dopo guerra, l'approvazione dello ‘Statuto dei diritti dei lavoratori’.”* Eclo Piermatti divenne uno dei principali Dirigenti della FIOM-CGIL Provinciale, insieme ad altri operai come Ettore Proietti Divi, Arnaldo Menichetti, Alfio Paccara ed Emilio Secci. Come componente del gruppo * Cit. On. Mario Andrea Bartolini
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Quaderni della Toponomastica - volume primo
promosse con successo le lotte della classe operaia ternana. Nel corso di questa militanza le nuove generazioni si inserirono nell’Organo politico e si realizzò uno splendido rapporto tra esponenti politici e sindacali. Tra queste esperienze giova ricordare il rapporto tra Mario Andrea Bartolini, Ovidio Laureti ed Eclo Piermatti, giovani esponenti di diversa espressione e provenienza: Bartolini dal mondo contadino e mezzadrile, Laureti dalla realtà cittadina e Piermatti dalla classe operaia. Questi personaggi furono bonariamente chiamati “i tre Moschettieri”, tutti e tre destinati a svolgere un ruolo molto importante nella vita pubblica, politica e sindacale di Terni e dell’Umbria. In quel periodo si realizza, almeno per quanto riguarda il PCI e la CGIL, una svolta radicale che condizionerà non poco i ruoli futuri dei tre. Ci si riferisce a una procedura, che vigeva da diversi anni, con cui era considerato necessario porre alle locali direzioni del PCI e della CGIL personaggi provenienti da zone esterne e con esperienze maturate altrove. Questa procedura inseriva personaggi politici e sindacali estranei alla realtà locale e non sempre produceva i risultati sperati. Ciò convinse l’allora Classe Dirigente del PCI e della CGIL a rinunciare a questi contributi e a valorizzare e utilizzare le risorse e le potenzialità che esistevano in loco. A Terni, nell’attuazione di questo nuovo orientamento, meritano di essere ricordate le decisioni che condizionarono i ruoli futuri di Eclo Piermatti e di Andrea Bartolini, candidati entrambi e senza distinzione dell'incarico, alla direzione della Camera Confederale del Lavoro di Terni e alla Federazione Comunista Ternana. Per arrivare alla scelta, si ritenne opportuno coinvolgere la Direzione nazionale del PCI. A Roma fu convocata una riunione presieduta dal Segretario nazionale, On. Palmiro Togliatti. “Togliatti, ascoltato l'intervento introduttivo e informativo di Raffaele Rossi, allora Segretario del PCI ternano, chiese il parere dei due Compagni interessati, dopo il quale si ebbe la decisione poi divenuta operativa: Mario Andrea Bartolini Segretario Provinciale della CGIL ed Eclo Piermatti Seretario della Federazione di Terni. “Da questo incontro ha inizio l’esperienza politica di Eclo Piermatti. Egli fu molto stimato e amato dai compagni e seppe tenere unito il Partito anche in momenti non facili. Fermo nelle sue convinzioni e sempre attento al dialogo con tutti i soggetti politici e sindacali rimase un uomo del popolo mai distante dalla gente e dai loro problemi, con particolare riferimento per quelli che riguardavano la parte più emarginata e bisognosa della nostra popolazione.
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1° Maggio, primi anni '50, parla Eclo Piermatti immagine tratta dal volume di Alvaro Valsenti “Diventammo Protagonisti", Edizioni Galileo, Terni 1998
Fonti •Testimonianze On. Mario Andrea Bartolini; •Anagrafe del Comune di Terni. 7
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Gianfranco Ciaurro Terni 6 aprile 1929 - Roma 29 novembre 2000
Nel 2008 è stata celebrata l'intitolazione dei “Giardini Gianfranco Ciaurro”, compresi tra Via Cavour e Largo Atleti Azzurri d’Italia. Nato a Terni nel 1929, si laurea in giurisprudenza a Perugia nel 1951, affiancando alla sua attività di stimato studioso di diritto e di professore universitario, una brillante carriera politica che lo vede ricoprire nel tempo numerosi ruoli a livello nazionale e locale. È stato Vicesegretario Generale della Presidenza della Camera e poi Segretario Generale, segretario di importanti commissioni di inchiesta parlamentari, Consigliere di Stato, Assessore per il Comune di Roma, Ministro per le Politiche Comunitarie e infine Sindaco del Comune di Terni per due mandati consecutivi, dal 1993 al 1999. Il nome di Gianfranco Ciaurro, prima della sua sindacatura, era noto a Terni per il padre Italo, stimato giornalista negli anni '30 e per lo zio Ilario, apprezzato pittore di quella che fu detta la “scuola ternana”, che segnò un’importante aspetto della cultura cittadina tra le due guerre e negli anni '50. Di lui si sapeva che, trasferitosi a Roma con la famiglia dopo aver perso la casa nei bombardamenti, aveva fatto fortuna prima come giovane avvocato poi come funzionario della Camera dei Deputati. Vinto il concorso fece in un trentennio un brillante cursus honorum arrivando a ricoprire infine la carica di Vicesegretario Generale della Presidenza della Camera e poi quella di Segretario Generale. Ma Gianfranco Ciaurro non fu solo un “grand commis” dello Stato, coltivò parallelamente gli studi giuridici divenendo uno dei più apprezzati studiosi di diritto pubblico e diritto costituzionale, fu professore universitario di diritto pubblico presso l’Università La Sapienza, portando avanti contemporaneamente la sua professione di avvocato Patrocinante in Cassazione. La sua profonda preparazione gli valse il delicato incarico di segretario delle Commissioni di Inchiesta Parlamentari sul Caso Moro e sulla P2. Tutte queste attività furono sempre congiunte alla passione politica: esponente di spicco del Partito Liberale fu particolarmente vicino al Sen. Valitutti, poi Ministro della Pubblica Istruzione, e con Valitutti dette vita alla Rivista di Nuovi 9
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Studi Politici di cui fu direttore, una delle iniziative che segnarono il dibattito politico e ideale tra gli anni '70 e '80 sul versante liberaldemocratico. Fu proprio in questa veste che riannodò i rapporti con Terni dove viveva un suo stretto collaboratore, il Prof.Vincenzo Pirro, e per suo tramite negli anni '80 venne più volte a Terni in occasione di convegni e dibattiti organizzati dal locale Circolo Culturale B. Croce. Furono quelle le occasioni che fecero conoscere Gianfranco Ciaurro ad un più vasto pubblico e gettarono i presupposti per la sua futura candidatura a sindaco. Una volta in pensione, fu nominato Consigliere di Stato dal 1990, venne chiamato a ricoprire l'incarico di Assessore al Bilancio del Comune di Roma sotto la Giunta Carraro dal 1991 al 1993, fu anche Ministro per le Politiche Comunitarie del Governo Amato nel 1993. In quello stesso anno divenne sindaco di Terni, carica cui venne rieletto nel 1997 e da cui si dimise nel 1999. Candidato alla presidenza della Provincia in quello stesso anno, si spense l'anno successivo. La sua sindacatura segnò una significativa cesura nella storia amministrativa e politica di Terni.
Bibliografia •memorie personali. 10
Gian Franco Ciaurro in un ritratto di Luciano Crisostomi
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Jean-Baptiste Camille Corot, Autoritratto
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Jean Baptiste Camille Corot Parigi 26 luglio 1796 - Parigi 22 febbraio 1875
Nel 2008 è stata celebrata l'intitolazione del “Piazzale Camille Corot”, nell’area antistante all’ex stabilimento Papigno, adiacente a Via Carlo Neri. Nacque a Parigi nel 1796 da una famiglia di commercianti. Ebbe come maestri il Michallon e J.V. Bertin. Nel 1825 effettuò il primo viaggio in Italia, dove si trattenne per tre anni soggiornando a Roma, Papigno, Terni. Viaggiò moltissimo in Francia, in Svizzera, nei Paesi Bassi e a Londra. Nel 1834 e nel 1843 fu di nuovo in Italia a Firenze, Venezia e Napoli. Morì a Parigi nel 1875. Nato in una famiglia di agiati commercianti, provò a lavorare nel negozio del padre con risultati talmente disastrosi che i genitori si convinsero ad assecondare la sua passione per la pittura. Fu allievo del Michallon e alla morte di questo, di J. V. Bertin, che lo iniziarono alla pittura dal vero e a dipingere quello che realmente vedeva. Il paesaggio ripreso dal vero e la figura umana, in particolare quella femminile, saranno i due temi costanti della sua pittura. Decisivi nella vita artistica di Corot sono i tre viaggi che compì in Italia, nel 1825, nel 1834 e nel 1843. Il primo durò per ben tre anni: si stabilì dapprima a Roma, meta di tutti gli artisti dell’epoca, dove entrò in contatto con i paesaggisti provenienti da tutta Europa che avevano abbandonato l’accademismo e lo studio dei grandi del passato, studiando e dipingendo all’aperto. Nell’estate del 1826 soggiornò a Papigno, Terni e Piediluco, mete privilegiate dei viaggiatori del Grand tour e degli artisti che viaggiavano in Italia, dove realizzò alcune delle sue più belle opere, come le vedute e i personaggi di Papigno, il Ponte di Narni, la Cascata delle Marmore e Piediluco. Negli schizzi realizzati sul posto il Corot esplica tutta la sua spontaneità e freschezza emozionale che però in parte si perdono nella realizzazione finale dell’opera. Dopo il terzo viaggio in Italia, il paesaggio si complica con scene mitologiche, ninfe, personaggi biblici che allontanano Corot dalla sua ispirazione più genuina anche se la critica a lui contemporanea lo celebrò soprattutto per questa sua fase artistica. 13
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Caratterizzano questo periodo i numerosi ritratti e le rappresentazioni delle popolane in costume. Senza dubbio la sua migliore produzione è quella che rimane fedele al principio secondo il quale la luce è vita e la vita si esplica attraverso l’osservazione diretta. Il paesaggio di Corot nasce quindi dall’osservazione diretta, ma viene reinterpretato in chiave squisitamente romantica. Corot, pur non essendo un disegnatore, ha prodotto circa 600 disegni, quasi tutti conservati al Louvre mentre, pur mostrando una notevole abilità tecnica, ha prodotto pochissime incisioni, circa 17, e lo stesso numero di stampe litografiche. A partire dal 1853 molto abbondante è la produzione di pitture su lastre di vetro, circa 70. Molte opere degli ultimi anni sono di ”maniera”, realizzate sotto la spinta di una committenza sempre più esigente e pressante: molte hanno i colori bruniti a causa di una preparazione errata e frettolosa della tela. Corot è stato molto contraffatto, mentre la sua influenza sulla pittura contemporanea e successiva è minima, a causa della sua riottosità a formare una scuola: si limitava infatti a fornire consigli e suggerimenti piuttosto che insegnamenti.
Bibliografia •Benezit, E., “Dictionaire des peintres sculpteurs dessinateurs et graveurs.”, E. Grund, Paris 1924; •Brilli, A., “Alla ricerca degli itinerari perduti.”, Silvana, Milano 1988; •“Corot 1796-1875. Dipinti e disegni di collezioni francesi. Accademia di Francia, Villa medici, Roma, 25 ottobre 1975-11 gennaio 1976.” De Luca, Roma 1975; •“Dizionario della pittura e dei pittori.”, Einaudi Larousse, Torino 1989; •“Un paese incantato. Italia dipinta da Thomas Jones a Corot. Parigi, Galeries nationales du Grand Palais, 3 aprile- 9 luglio 2001; Mantova, Palazzo Te, 3 settembre-9 dicembre 2001.” Electa, Milano 2001. 14
Jean-Baptiste Camille Corot, Waterfall at Terni, 1826
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Luigi Michiorri Poggio Mirteto 13 agosto 1900 - Terni 21 marzo 1959
Nel 2008 è stata celebrata l’intitolazione dei “Giardini Luigi Michiorri”, in Via dell’Abete, nel quartiere di Borgo Rivo. Luigi Michiorri, nato a Poggio Mirteto il 13 agosto 1900, fu il Sindaco che, dal 1948 al 1955, guidò Terni nella difficile fase della prima ricostruzione postbellica, il primo a doversi misurare con le necessità della ricostruzione materiale, economica e civile della città. Già impiegato presso l’azienda elettrica, fu una delle figure chiave della nascente democrazia cittadina. "...era facile parlare con lui”- racconta Mario Andrea Bartolini - “faceva il giro delle sezioni, stava in mezzo alla gente, con la quale aveva un buon rapporto... quando morì - il 21 marzo 1959 - ci aspettavamo una partecipazione, ma non in quelle dimensioni... credo che il funerale di Michiorri sia stato il più partecipato che si è svolto a Terni... io rimasi sbalordito..." . Gli anni che vanno dal 1948 (sconfitta del Fronte Popolare alle elezioni politiche) al 1953 (anno della “legge truffa”, in cui la Dc di De Gasperi tenta di assicurarsi una larga maggioranza), furono anni “caldi”, perché vissero lo scontro viscerale che si era creato tra il Pci e la Dc, i due maggiori partiti. Se dopo il 1948 l'Italia è “bianca”, Terni è “rossa”. Terni, anzi, è una delle roccaforti della sinistra in Italia. Nell’elezione del consiglio comunale del 1946, in carica fino al 1952, i comunisti poterono contare sul 43% dei voti, i socialisti erano al 20,7%, la Dc al 18%, il Pri al 15,2%, il Pli al 3,1%. Fu eletto Sindaco Comunardo Morelli, sostituito nel febbraio del 1948 da Luigi Michiorri. Michiorri fu un Sindaco amato dai ternani: egli non mancava di stare in mezzo alla gente, di ascoltare i cittadini durante le partite a carte presso le case del popolo, di far proprie critiche ed eventuali proposte che i cittadini facevano nel momento della ricostruzione e nei momenti particolari in cui gli sfollati ritornavano in città. Faceva anche il giro delle sezioni per conoscere il parere degli iscritti al PCI. Un amministratore che dette un sensibile contributo all’immagine e alla crescita del territorio, grazie all’esempio morale e civile della sua condotta dimostrata anche nei momenti più difficili. 17
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Il 17 marzo 1949 Luigi Trastulli, un giovane operaio di 21 anni delle acciaierie, fu ucciso dalla Celere di Mario Scelba intervenuta per spaventare e reprimere le manifestazioni degli operai contro l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico (Nato) e contro l’imperialismo USA. Gli operai di uno dei più importanti poli siderurgici d’Italia, nonostante l’inferno della fabbrica che caratterizzava la quotidianità delle loro vite, non scesero in piazza per i propri bisogni, ma per denunciare la paura che il loro lavoro potesse essere piegato al servizio di altri scopi. A seguito della morte di Trastulli non mancarono sui muri di Terni le scritte contro Scelba e la Celere, accanto a quelle rimaste nei tempi dell’accesa campagna elettorale del 1948. Nel 1950 fu emanata dal Ministero la circolare, valida per tutta Italia, che imponeva di cancellare tutte le scritte inneggianti alle diverse posizioni delle fazioni politiche. Il Sindaco Michiorri, a sostegno dei lavoratori, per i quali era fresca la morte del giovane operaio, non volle sottostare all’ordine di cancellare le scritte contro chi aveva ordinato le cariche sui dimostranti. Tuttavia il prefetto, Francesco Mauro, non se la sentì di soprassedere e punì il Sindaco con una sospensione dalle funzioni di ufficiale del governo per 15 giorni. Tutte le scritte furono cancellate. Impegnata la posizione del Sindaco Michiorri anche durante il periodo dei licenziamenti della “Terni”. Il 4 settembre 1953 Terni si ferma per lo sciopero generale di 24 ore proclamato in difesa della fabbrica, già colpita dalle settecento lettere di licenziamento e contro le ulteriori duemila in programma. È il terzo sciopero generale cittadino proclamato per le stesse ragioni. Il primo si era tenuto il 12 dicembre 1952, poco dopo i primi settecento licenziamenti, il secondo il 5 febbraio 1953. La città è paralizzata, negozi chiusi in centro e in periferia, fabbriche vuote con un’astensione dal lavoro del 99% nello stabilimento siderurgico. La manifestazione ufficiale di tutta la cittadinanza vide il teatro Verdi affollatissimo, presenti tutti i parlamentari eletti nel collegio, il segretario della commissione interna delle acciaierie, i rappresentanti della Cgil, della Uil e della Cisnal. Apprezzatissimo l’intervento di Luigi Michiorri, nel quale il Sindaco interpretò l’ansia e la preoccupazione dei lavoratori, in lotta per l’occupazione e per l’economia cittadina. Quegli anni duri di lotta, con barricate e scontri con la celere, rappresentarono una grande crescita di coscienza politica di classe. Durante il mandato di Luigi Michiorri fu istituito un Comitato cittadino che, raccogliendo forze politiche, Enti locali, commercianti, rappresentanti sindacali, commissioni interne delle fabbriche, forze sociali ecc., doveva occuparsi di affrontare i problemi della comunità ternana per trovare le soluzioni più idonee. 18
Michiorri fu anche, insieme ad Antonio De Pascali, Direttore Responsabile del settimanale “Il Maglio”. Il giornale, organo del circolo socialista ternano, è uno dei primi fogli popolari nato a Terni. Aveva una rubrichetta nella quale venivano riportate le ingiustizie, gli arbitri, le irregolarità che si commettevano negli stabilimenti industriali. Fu anche uno dei Direttori responsabili de “La Turbina”, settimanale delle Federazioni provinciali comunista e socialista, che si distinse nell’affrontare problemi di rilievo nazionale e internazionale quali l’antimilitarismo e il suffragio universale. Fu un settimanale che può qualificarsi tra la più intelligente e vivace stampa socialista di allora. Nel settembre del 1951, il Sindaco avanzò in Consiglio Comunale la proposta di consegnare alla sposa delle coppie unite in matrimonio con il rito civile, un mazzo di fiori. Ne seguì un iter travagliato fino alla definitiva approvazione. Ancora oggi l’amministrazione comunale, in sintonia con tale proposta, continua a rispettarla sostituendo, solo recentemente, i fiori con un libro. Un segno di attenzione, fra i tanti, che il Sindaco usava come, ad esempio, quello di scrivere personalmente un bigliettino di auguri a coloro che prendevano la residenza nella nostra città. Tutti si riconoscevano nel Sindaco e quando morì le strade percorse dal feretro erano piene di cittadini, desiderosi di esprimere gratitudine a un comunista perbene che si era speso in un momento difficile del dopoguerra.
Bibliografia •Canali Gianfranco, “‘Operai, antifascisti e partigiani’ a Terni e in Umbria”, Strumenti & documenti, Crace 2004; •Giani Gisa, “Terni cento anni d’Acciaio”, bibliografia dell'industrializzazione, Carit; •“L’anno dei licenziamenti, Terni, 12 dicembre 1952-15 ottobre 1953”, ICSIM; •“Umbriasud 2.0 Terni, l’Umbria, i “vicini”: fatti, persone, tradizioni; •Patalocco Walter, “La scritta superstite”, Terni in Rete, 10 maggio 2014; •Michiorri Luigi, “È più che mai indispensabile razionalizzare la ‘Terni’”, in “Unità”, Cronaca di Terni, 16 novembre 1946; •Michiorri Luigi, “La Terni non si smembra”, in “Unità”, Cronaca di Terni, 24 novembre 1946; •Michiorri Luigi, “L’Acciaieria può produrre mulini, macchine utensili e turbine elettriche”, in “Unità”, Cronaca di Terni, 31 agosto 1946.
Fonti •Archivio di stato. 19
Emilio Secci in un ritratto di Luciano Crisostomi
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Emilio Secci Terni 1 maggio 1912 - Terni 8 gennaio 1976
Nel 2008 è stata celebrata l’intitolazione dei “Giardini Emilio Secci”, presso Via dell’Abete. Figlio di Ettore e Consalvi Ines. Segretario del 1° Consiglio di gestione delle Acciaierie di Terni, Assessore poi Sindaco del Comune di Terni dal 1955 al 1958. Pur con un mandato assai breve, in un periodo difficilissimo della storia cittadina segnato dalle conseguenze dei 2000 licenziamenti alle “Acciaierie”, fu tra l’altro sostenitore del progetto di acquisizione di palazzo Spada per trasferirvi la sede dell’Amministrazione municipale. Fu senatore della Repubblica Italiana dal 1958 al 1968, per due legislature. Amministratore di solida cultura, ha caratterizzato la vita dell’Amministrazione sotto tale profilo. Diplomato all’Istituto Industriale. Dipendente della Società Terni come impiegato tecnico. Segretario del 1° Consiglio di gestione delle Acciaierie di Terni, Assessore, poi Sindaco del Comune di Terni dal 1955 al 1958, artefice dell’acquisizione di palazzo Spada a patrimonio comunale e dell’avvio del progetto per trasformarlo in palazzo municipale. Nelle elezioni politiche del 1958 venne eletto Senatore per il Collegio di Terni nelle liste del Partito Comunista Italiano. Senatore per la III e IV Legislatura. Membro dal 12 giugno 1958 al 15 maggio 1963 e dal 16 maggio 1963 al 4 giugno 1968 della 9ª Commissione permanente (Industria, commercio interno ed estero, turismo); Componente della Commissione speciale per l’esame del disegno di legge recante “Istituzione dell’Ente nazionale per l’energia elettrica e trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche” (n. 2189) - Cfr. legge 6 dicembre 1962, n° 1643. Nel 1950, nei numeri 3, 4, 5 e 21 della rivista “La nostra lotta”, affronta i problemi connessi al fenomeno dell'industrializzazione con articoli dal titolo “salviamo la siderurgia ternana”. Nel primo numero della pubblicazione "Cronache Umbre" del 1958, Secci traccia un ampio quadro del modo in cui l’Industria ternana si è sviluppata e di come la situazione sia andata evolvendosi negli anni. Indica inoltre per quali vie sarebbe 21
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possibile ridare ad essa la vitalità produttiva necessaria per farne un elemento di progresso economico dell’intera regione. Nella stessa pubblicazione, nel 1962, sostiene il progetto di nazionalizzazione dell’energia elettrica. Una testimonianza dell’opera di Secci è rintracciabile nelle parole dell’On. Mario Andrea Bartolini: “Emilio Secci è stata una figura qualificante della classe operaia ternana che, utilizzando il suo livello culturale, ha saputo interpretare a fondo i valori di tale settore della popolazione di Terni per farli diventare proprietà collettiva dell'intera cittadinanza”. Il suo contributo ha investito principalmente l’aspetto sindacale e politico, anche grazie all’impegno avuto presso la Soc. “Terni”, all’attività di sindaco di Terni e di senatore della Repubblica. “L’insieme di queste responsabilità lo hanno reso un interprete tra i più colti e preparati della storia di Terni e dell'Umbria nei suoi importanti e qualificanti valori sociali, culturali e storici”. Nel periodo di permanenza in fabbrica si impegnò nel Sindacato CGIL, all’interno della fabbrica e a livello Provinciale per dedicarsi poi alla vita politica quale uno dei più prestigiosi Componenti del Comitato Federale e del Comitato Regionale del PCI. La sua militanza politica e sindacale è testimoniata da numerosi scritti e discorsi sui problemi della trasformazione della “Terni”: da industria di guerra a industria di pace, dall’andamento produttivo e occupazionale di tale complesso industriale, alla politica programmata di crescita e di sviluppo dell’intera realtà ternana e umbra. “La qualità delle sue analisi e proposte fu di grande aiuto per superare un radicato ‘provincialismo’ della politica ternana e servì nel dopoguerra a interrogarsi sul regionalismo e sulla necessità di formulare un ‘Piano Regionale di Sviluppo’”. La capacità di collegare le esigenze della classe operaia agli interessi generali della città, la conoscenza dei problemi di Terni e in particolare la fiducia dell’intero mondo della sinistra ternana, portarono Emilio Secci a svolgere il ruolo di Sindaco della città. In tale ruolo assicurò una continuità dell’opera delle precedenti Amministrazioni, in un dialogo costruttivo con le altre componenti del mondo della sinistra e con le Forze politiche della minoranza. La sua esperienza di Senatore della Repubblica si svolse all’insegna della serietà e sempre in armonia con le scelte politiche del partito di appartenenza. Emilio Secci era un “pensatore perpetuo”, che privilegiava l’elaborazione, il conversare sui vari aspetti della vita e non solo della politica. 22
Per i suoi interlocutori era sempre cosa piacevole e utile misurarsi con lui in questo permanente sforzo di ricerca e di conoscenza. Una testimonianza significativa di Alvaro Valsenti “...l’ho conosciuto incontrandolo, nel 1946, presso la sede della Federazione del PCI, allora situata in via Cavour, presso il Palazzo Mazzancolli, dove egli svolgeva l’incarico di corrispondente de “L’Unità”. Dopo l’uscita dal lavoro scriveva articoli riguardanti i tanti problemi aziendali che allora si ponevano, quali il futuro della fabbrica, quelli del salario e delle pensioni più adeguate, della difesa della salute del lavoratore, degli eccessi dello sfruttamento...”.
immagine tratta dal volume di Alvaro Valsenti “Diventammo Protagonisti" Edizioni Galileo, Terni 1998
Bibliografia •Giani Gisa, “Terni Cento Anni D’Acciaio”, bibliografia dell'industrializzazione, Carit; •Valsenti Alvaro, “E siamo ancora qui”, Edizioni Thyrus, Arrone 2004.
Fonti •Archivio di Stato di Palazzo Mazzancolli di Terni; •Testimonianze dell'On. Mario Andrea Bartolini; •Anagrafe del Comune di Terni. 23
Cimitero Ebraico Nel 2008 è stata apposta una targa commemorativa presso i Giardini G. Ciaurro all’interno del parco cittadino conosciuto come “La Passeggiata”. Utilizzato dalla comunità ebraica di Terni dalla fine del XIII secolo alla seconda metà del XVI, il cimitero sorgeva in un terreno allora posto fuori dalle mura cittadine. Alla fine del '400, probabilmente in seguito ad ampliamenti, raggiunse un’estensione di oltre 1.100 mq. Dopo l’Unità, fu sostituito da altre due aree riservate alle sepolture degli ebrei ricavate all’interno del camposanto comunale. Il cimitero ebraico che sorgeva sotto i giardini pubblici conosciuti come “la Passeggiata” fu ricavato in una zona di Terni che nel medioevo era denominata vocabolo “Cavate”, compresa entro i confini amministrativi del rione di Sotto – uno dei sei in cui all’epoca si divideva la città – e posta all’esterno delle mura urbiche. Si può presumere che esso sia sorto alla fine del Duecento, quando a Terni si stabilirono alcuni prestatori di denaro romani che formarono il nucleo originario della piccola universitas judeorum scomparsa nella seconda metà del XVI secolo. Tra le condizioni poste dagli ebrei al loro stanziamento in una località vi era sempre, infatti, quella di disporre di un luogo per le proprie sepolture, distinto dalle zone destinate alle inumazioni dei cristiani. Delimitato da un muro di cinta che avrebbe dovuto ridurre il rischio che malintenzionati potessero profanare le tombe, il sepolcreto, secondo un catasto del tardo Quattrocento, misurava 4 stai, corrispondenti a circa 1.120 mq. È però possibile che quella rilevata alla fine del XV secolo non fosse la sua estensione originaria, essendo noti precedenti acquisti da parte di ebrei ternani di terreni confinanti che probabilmente dovettero consentire l’ampliamento di uno spazio reso non più sufficiente sia dalla crescita della comunità avvenuta fra Trecento e Quattrocento, sia dal rispetto del divieto di esumare i defunti previsto dal rito ebraico. Questo cimitero cessò di essere utilizzato alla fine del Cinquecento, dopo che anche gli ebrei di Terni dovettero lasciare lo Stato pontificio o, in alternativa, trasferirsi dentro i ghetti di Roma e Ancona, secondo quanto disposto nella bolla di Pio V “Hebraeorum gens sola quondam a Deo dilecta” (26 febbraio 1569). Tuttavia, il suo ricordo di luogo riservato alle spoglie di non 24
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cristiani, di individui morti fuori dalla Chiesa e quindi – per la mentalità del tempo – votati alla dannazione eterna, in città si sarebbe conservato a lungo, come rivela la prassi di sotterrarvi, ancora a metà Ottocento, i cadaveri dei condannati a morte impenitenti. A confermare quanto radicata fosse la memoria della funzione svolta per secoli da questo sito, è pure la decisione presa nel 1867 da Alfonso Rouf, uno dei primi ebrei giunti a Terni dopo l’Unità, di seppellirvi la figlia prematuramente scomparsa. I regolamenti di polizia mortuaria e le norme igienico-sanitarie dello Stato unitario decretarono la definitiva dismissione del sepolcreto di epoca medievale, al cui posto fu creata una sezione israelitica nel camposanto comunale ingrandita nel 1896 e nel 1903 sostituita da una terza area, la cui progettazione si dovette all’ing. Ercole Beer, capo dell’ufficio tecnico del Comune e autorevole esponente della locale comunità ebraica. Tra coloro che furono tumulati in quest’ultimo luogo, coincidente con l’odierno cimitero ebraico cittadino, figurano, oltre allo stesso Beer, il poeta dialettale Ferruccio Coen e alcuni membri della famiglia Sciunnach, noti commercianti attivi a Terni per oltre un secolo.
Bibliografia •Pellegrini Paolo, “I cimiteri ebraici di Terni: siti e vicende (secc. XIV-XX)”, in “Memoria storica”, 24 (2004), pp. 45-65. 25
Volontari del “Gruppo Combattimento Cremona” Nel 2009 è stata apposta in Piazza Solferino una targa commemorativa dedicata ai volontari del “Gruppo Combattimento Cremona”. Il 2 febbraio 1945 trecento volontari partirono da Piazza Solferino per arruolarsi nel gruppo di combattimento “Cremona” e combattere a Nord contro i nazifascisti. Il gruppo, formato da truppe regolari e dai partigiani dell’Umbria e della Toscana, si attestò sul fronte gotico ove il nemico ancora resisteva. La targa posta in Piazza Solferino è una testimonianza di amore nei confronti di chi ha lottato per un ideale di libertà e di democrazia. La mattina del 2 febbraio del 1945, da piazza Solferino partirono 300 volontari ternani al grido di: “…facciamola finita / ed a l'Italia intera / ridiam la libertà!". Essi si arruolarono nel gruppo di combattimento "Cremona", formato sia da truppe regolari sia da partigiani dell’Umbria e della Toscana, per scacciare il nemico che resisteva sul fronte gotico. Alcuni dei nostri concittadini morirono nella lotta. Una lapide posta all’ingresso del Comune di Alfonsine ne ricorda il sacrificio e i nomi: Vito De Giovanni, Dioniro De Santis, Sergio Fucili, Gildo Ginepri, Guido Gonnella, Umberto Lupini, Umberto Paletti, Olivio Zara. Essi, infatti, nelle zone del ravennate, caddero nel corso della battaglia del fiume Senio e della liberazione di Alfonsine, il 10 aprile 1945. Per ricordare, per non dimenticare, per un futuro di pace il Comune di Terni, sempre attento alla memoria, il 10 aprile di ogni anno si reca ad Alfonsine a rendere omaggio a quei giovani che si sacrificarono per restituirci un’Italia libera. Nella targa di piazza Solferino, posta il 2 febbraio 2009 a testimonianza di amore nei confronti di chi ha lottato per un ideale di libertà, è inciso: “Da questa Piazza il 2 febbraio 1945, 300 volontari ternani partirono per arruolarsi nel gruppo di combattimento ‘Divisione Cremona’ del ricostituito esercito italiano, con l'obiettivo di liberare il suolo patrio dall’occupazione nazifascista”. La libertà di cui oggi godiamo va difesa e trasmessa nel senso e negli ideali, perché anche le generazioni che seguono abbiano riferimenti certi in cui credere e per i quali lottare. L’Italia ha una memoria viva e condivisa basata non solo 26
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sulla storia, ma anche sulla passione dei giovani che si sono donati alla patria. La Costituzione italiana, patto fondante della nostra identità di cittadini italiani, ricca di principi di libertà, di giustizia, di uguaglianza e solidarietà è scaturita dal sacrificio dei tanti caduti per la libertà. A Camerlona, vicino Ravenna, nei luoghi della battaglia, c’è un cimitero di guerra che raccoglie i 208 Caduti del Gruppo di Combattimento “Cremona”. La gloriosa divisione “Cremona”, ricca di storia e di imprese militari, venne chiamata “Gruppo” perché così vollero gli inglesi, dal momento che i suoi organici (9.500 uomini) erano ridotti rispetto a quelli normalmente previsti per una divisione in periodo di guerra. La particolarità del Gruppo di combattimento Cremona fu la forte percentuale di volontari ex partigiani che si unirono all’esercito per sconfiggere i nazifascisti. Il gruppo fu utilizzato come nucleo di riorganizzazione del Regio Esercito a seguito dell’armistizio di Cassibile.
Bibliografia •Zoli Roberta, “Il gruppo di combattimento Cremona 1943-1945”, Bacchilega 2008; •Mastrobuono G., “Il Gruppo di Combattimento Cremona nella Guerra di Liberazione”, ANCFARGL Nazionale, Roma 2003.
Fonti •Anpi di Terni. 27
Amerigo Bartoli Natinguerra in un ritratto di Ghitta Carell immagine tratta dal volume “Amerigo Bartoli e l'Umbria. Opere dal 1903 al 1970�
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Amerigo Bartoli Natinguerra Terni 24 dicembre 1890 - Roma 20 dicembre 1971
Nel 2010 è stata celebrata l'intitolazione di “Via Amerigo Bartoli”, prima laterale sinistra di Via Perillo. Nasce nel 1890 a Terni, che lascerà in età adolescenziale per trasferirsi a Roma, ma dove tornerà spesso in età adulta, e che ritrarrà in molte delle sue opere, caratterizzate da un’elevata autonomia espressiva, con uno stile improntato al realismo, non riconducibile con precisione a nessuna scuola italiana. Allievo di Duilio Cambellotti e del professor Sartorio, raggiungerà la notorietà nel 1929. È pittore, scultore, grafico e illustratore, e collabora a numerose riviste. Si spegne a Roma nel 1971. Nasce “per caso” a Terni nel 1890 da genitori marchigiani e vi trascorre l'infanzia e l'adolescenza: tra i suoi ricordi rimarrà sempre “il tonfo sordo del maglio delle grandi acciaierie che faceva tremare i vetri delle case”. Nel 1906, manifestatasi già la sua vocazione artistica sostenuta dalla famiglia, si trasferisce a Roma dove frequenta l’Accademia di belle arti e segue i corsi di Duilio Cambellotti. È di questo anno il primo Paesaggio (Civita Castellana), nel quale si possono già cogliere quelle che saranno le caratteristiche del suo stile, legato al realismo, ma privo di legami precisi con ogni scuola italiana. Conseguito nel 1912 il diploma di abilitazione all’insegnamento del disegno nelle scuole tecniche e normali, si iscrive al Corso libero di pittura tenuto dal professor Sartorio con il quale, in seguito, collaborerà nella decorazione di ville e palazzi romani e di alcune sale del Quirinale. Una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione gli consente di compiere un viaggio di studio a Firenze e Torino, viaggio che egli autonomamente prolungherà fino a Parigi. A Roma, che diventerà nel tempo uno dei soggetti preferiti delle sue opere, entra in contatto con gli assidui frequentatori della terza saletta del caffè Aragno e diviene amico dei più noti critici d’arte, letterati e pittori: Soffici, Francalana, Sironi, Longhi, Morandi, Carrà, Spadini, Cardarelli, Barilli, Maccari, Guttuso e molti altri, tutti ritratti nel famoso dipinto Amici al caffè (1929) che gli darà la 29
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notorietà. All’inizio degli anni Venti intensifica i contatti con gli artisti di Villa Strohl-Fern e con il gruppo di Valori plastici, anche se i suoi contatti con le varie correnti artistiche sono sempre caratterizzati da un certo distacco e da autonomia espressiva. Lavora come illustratore e collabora, come disegnatore satirico, con numerose riviste tra le quali Il Mondo, la Tribuna, Quadrivio, Omnibus, La Fiera letteraria. Una parte importante della sua produzione grafica è raccolta nel volume “Roma in selci” che fu pubblicato con la prefazione di Antonio Baldini. A partire dal 1913 partecipa, non solo con opere di pittura ma anche di scultura e grafica, alle più importanti mostre in Italia (Biennale di Venezia, Quadriennale di Roma, Mostra della secessione di Roma) e all’estero (Parigi, Madrid, Monaco); innumerevoli le mostre collettive in cui sono presenti sue opere e le personali organizzate in gallerie private o in spazi pubblici. Per tutta la vita mantiene i suoi contatti con Terni e l’Umbria, dove soggiorna spesso e frequenta gli ambienti artistici locali. Testimonianza del suo legame con la terra natale sono le numerose opere che ritraggono paesaggi umbri, scorci di Terni, la Cascata delle Marmore e il lago di Piediluco. Si spegne a Roma nel 1971.
Bibliografia •Appella Giuseppe, a cura di, “Amerigo Bartoli e l’Umbria. Opere dal 1903 al 1970”, De Luca, Roma 2008; •Bartoli Natinguerra Amerigo, “Roma in selci, 30 disegni”, L’italiano, Roma 1934; •“Dizionario della pittura e dei pittori”, Larousse Einaudi, Torino 1989; •Nigro Covre Jolanda, a cura di, “Pittori ternani del '900”, Tipolitografia Maccaglia, Terni 2002; •Ponti Antonio Carlo, Fedora Boco, a cura di, “Terra di Maestri. Artisti umbri del Novecento. Vol. II 1923-1945”, Effe, Perugia 2003. 30
Amerigo Bartoli - Paesaggio 1963 Collezione Fondazione CARIT
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Don Gelindo Ceroni Brisighella 1880 - Roma 30 gennaio 1965
Nel 2010 è stata celebrata l'intitolazione della “Piazzetta Don Gelindo Ceroni”, adiacente a Piazza Santa Maria Maggiore, antistante Porta Sabina a Collescipoli. Romagnolo, sacerdote, fu parroco di Santa Maria Maggiore di Collescipoli, dove riuscì a riportare la “buona novella” e far riemergere la fede tradizionale delle nostre genti in un paese dalle forti tradizioni garibaldine e repubblicane. Uomo di cultura, raccolse parecchi riconoscimenti come storico, letterato e poeta. Da segnalare tra tanti suoi libri il testo “Collescipoli: il castello, le chiese”. Fu soggetto nel ventennio alla violenza del regime. Nato nel 1880 a Brisighella, Gelindo Ceroni cominciò gli studi nel seminario di Faenza, per trasferirsi poi a Spoleto e concluderli infine a Narni. Ordinato sacerdote il 23 dicembre 1905, venne destinato da mons. Boccanera a Collescipoli, come parroco di Santa Maria Maggiore e accolto, come scrisse al Vescovo, “[…] da lazzi e canti di socialisti e massoni, durati tutta la notte […]”. Presto però la verve del romagnolo, la bonomia dell’uomo, la parola calda del curato conquistarono le simpatie dei fedeli e il rispetto degli atei, compresi gli autori della chiassata. A convincerli anche l’istituzione, nel convento di Santa Cecilia, dell’asilo infantile, dove educava i bambini al cattolicesimo, ma procacciava loro anche un piatto di minestra, che non tutte le famiglie, allora, riuscivano a garantire ai propri figli. Riportava così la parola evangelica e il calore della solidarietà in una “comunità anticlericale e refrattaria all’odore dei preti”. Il suo Apostolato venne apprezzato da madre Chiesa, che dimostrò stima e affetto per quel suo figlio, con la nomina a monsignore e quelle più ambite di Cameriere Segreto di Pio XII e Prelato domestico di Sua Santità. Laureatosi in Lettere alla Sapienza di Roma, insegnò per anni al liceo Storia dell’Arte e fu nominato Ispettore Onorario per i Monumenti di Collescipoli e Narni, raccogliendo l’eredità degli Eroli, dei Guardabassi, dei Valli. “[…] In quelle strade polverose s’alzava spesso una nuvoletta bianca […]”: era il buon Gelindo, che inforcata la bici, correva a visitare i siti di Carsulae e Otriculum, 33
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raggiungeva basiliche e chiesette di campagna, correva a catalogare opere d’arte e reperti archeologici. Se oggi conosciamo il nostro passato si deve a Lui, che aveva fatto proprio il concetto carducciano che “[…] per far compiuta la storia nazionale, bisogna rifar prima le storie particolari […] dei nostri comuni, ognun dei quali fu uno stato […]”. La piacevole eloquenza lo portò a tenere conferenze, conoscenze e cultura a collaborare con importanti riviste come “Sabina”, “Vita Umbra”, “Rivista Araldica”, “Latina Gens”, a diventare corrispondente della Regia Deputazione di Storia Patria e membro dell’Accademia dell’Arcadia, a essere insignito del titolo di Nobile Accademico della Svedese Accademia della Genealogia GoticoGermanica. L’amore per la natura ne esaltava la vena poetica, che lo portò a scrivere odi di profondo lirismo: la più elevata “I Canti dello Speco”, che l’ha consacrato nel mondo della poesia e gli ha regalato una fama che travalica i confini nazionali. Subì durante il fascismo una forte bastonatura, le cui conseguenze lo accompagnarono fino alla morte. Perseguitato e vilipeso lasciava la parrocchia per cercare serenità nella Capitale, senza però dimenticare l’amata Umbria, dove lavorò al recupero dello Speco di Sant’Urbano. Morì a Roma il 30 gennaio 1965. Riposa nel cimitero de’ Itieli, in una tomba povera e spoglia, dimentica ormai del profumo di un fiore, del sapore di una lacrima, della poesia di una preghiera.
Bibliografia •Bellezza Sergio, “Don Gelindo Ceroni, prete buono ed erudito ‘cameriere’ di Pio XII”, Corriere dell’Umbria, 8 maggio 2006; •Bellezza Sergio, “Dal Fascismo alla Repubblica appunti per una storia dell’antifascismo e della lotta di liberazione a Terni”, Ass. Garibaldina Pietro Faustini, Tip. Massei, 2008; •Rogari Giuseppe, “Gelindo Ceroni, prete storico umanista: un uomo”, Il Giornale di Collescipoli, n. 7, maggio 1997. 34
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Bartolomeo da Miranda Nel 2011 è stata intitolata “Via Bartolomeo da Miranda”, nel centro abitato di Miranda. Bartolomeo da Miranda, nato sul finire del XIV secolo, è stato tra i maggiori esponenti della cultura pittorica di gusto tardo gotico affermatasi in Umbria meridionale nella prima metà del Quattrocento. Autore soprattutto di affreschi e opere su tavola, ha dipinto anche la Madonna col Bambino nel cenacolo di San Marco a Terni, considerata dalla critica il suo capolavoro e restaurata nel 1991. Non si sa molto della biografia di Bartolomeo da Miranda, pittore attivo nel XV secolo. Suo padre Domenico, anch’egli originario del castrum ternano, fu tra i maggiori pittori umbri del secondo Trecento: nel 1369 faceva parte del gruppo di importanti e affermati maestri che lavorarono per papa Urbano V e più tardi è attestato a Spoleto, dove nel 1395 miniò un antifonario per il Duomo e nel 1404 eseguì lavori commissionatigli dal Comune. Forse nato intorno al 1380, Bartolomeo fu, perciò, un “figlio d’arte”, il cui prestigio è dunque frutto anche di una tradizione famigliare. Nel 1437 viveva a Spoleto, ma la sua notorietà travalicò presto i confini dell’ex capitale longobarda. Espressione di una cultura, come scrive Filippo Todini, “radicata entro gli orizzonti della particolare inflessione del gusto tardogotico che si afferma nell'Umbria Meridionale e la cui parabola si compie interamente entro la metà del secolo”, la sua produzione artistica include soprattutto affreschi e opere su tavola. Suoi sono la Madonna della Spiga dipinta nel 1449 nella chiesa di Santa Maria di Pietrarossa a Trevi e, risalenti agli stessi anni, la Madonna del latte in trono e santi nella chiesa dei Santi Pietro e Andrea di Trequanda, vicino Siena, e un tabellone votivo con san Pietro nella chiesa di San Pietro al Pettine, sempre a Trevi. Portano la sua firma, inoltre, alcuni affreschi realizzati per edifici sacri della Valle Spoletana, fra i quali un’Annunciazione nella chiesa dei Santi Domenico e Giacomo a Bevagna, una Madonna in trono (datata 1437) nella cripta di San Ponziano a Spoleto e lo Sposalizio mistico di santa Caterina nella chiesa di San Lorenzo a Spello. Bartolomeo operò anche a Orvieto, dove eseguì un tabernacolo a sportelli con una Madonna con Bambino tra i beati 36
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Tommaso Corsini e Bonaventura Bonaccorti, ora nel Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto. Questo tabernacolo, così come una Madonna più tarda conservata nella Walters Art Gallery di Baltimora, rivela le influenze che le scuole senese e orvietana ebbero sull’opera dell’artista originario di Miranda. A giudizio della critica il suo capolavoro è, però, la Madonna col Bambino dipinta a Terni, nel cenacolo di San Marco. Restaurato nel 1991, l’affresco è caratterizzato, citando ancora Todini, “dalla raffinata esecuzione e dalla morbida brillantezza dell’impasto cromatico, che mostrano il pittore al suo grado più alto”. In quest’opera, Bartolomeo da Miranda “traduce gli ideali del gotico cortese in un linguaggio strettamente umbro, e dell’Umbria Meridionale, in cui è ancora viva l’eco della grande tradizione che dal Maestro di Fossa giunge fino al Maestro della Dormitio di Terni”.
Madonna del latte in trono e Santi - Chiesa Santi Pietro e Andrea di Trequanda
Bibliografia •Todini F., “Bartolomeo da Miranda”, in Lions Club di Terni - Distretto 108 L (I.T.A.L.Y.), Bartolomeo da Miranda e il recupero dell’affresco nel Cenacolo di San Marco a Terni, Todi, Ediart, 1992, pp. non numerate. 37
Alfredo Filipponi (Pasquale) comandante della Brigata "A. Gramsci" immagine tratta dal volume di Alvaro Valsenti “Diventammo Protagonisti" Edizioni Galileo, Terni 1998
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Alfredo Filipponi Macenano 21 settembre 1897 - Terni 3 settembre 1974
Nel 2011 è stata intitolata la “Rotonda Alfredo Filipponi”, rotatoria alla confluenza tra Viale Campofregoso, Via G. Garibaldi, Lungonera Savoia e Via G. di Vitalone. Alfredo Filipponi, comandante partigiano, nato il 21 settembre 1897 a Macenano, una frazione del Comune di Ferentillo. Figlio di Ambrogio, commerciante di tartufi, e di Giuseppina Santarelli, maestra elementare. Militante comunista, viene più volte perseguitato e incarcerato dai fascisti per la sua attività clandestina in difesa della Libertà e della Democrazia. Nel 1944 fu comandante della formazione partigiana "A. Gramsci". Il 13 giugno 1944 la formazione partecipa alla liberazione della Città di Terni contemporaneamente alle truppe inglesi. Dal 1956 è Segretario del sindacato pensionati fino alla morte, avvenuta il 3 settembre 1974. Comandante partigiano, nato il 21 settembre 1897 a Macenano, una frazione del Comune di Ferentillo. Figlio di Ambrogio, commerciante di tartufi, e di Giuseppina Santarelli, maestra elementare. È necessario sottolineare il luogo di nascita perché concorre a spiegare l’uomo e la sua storia. Ognuno di noi è anche figlio dell’ambiente che gli ha dato i natali, ed è tanto più vero per Alfredo Filipponi, che non ha mai interrotto, nelle diverse fasi della sua vita travagliata, il rapporto con la Valnerina. Nell’educazione di Alfredo i genitori agirono con linee differenti, ma complementari. Il padre repubblicano lo educò a combattere contro le classi dominanti, la madre Giuseppina, che era cattolica e dotata di forti sentimenti religiosi, gli insegnò ad aderire ai propri convincimenti. Alfredo frequentò le scuole elementari fino alla terza classe e poi cominciò a frequentare le montagne della Valnerina, poiché i genitori gli affidavano spesso l’incarico di raccogliere la legna. I due fratelli maggiori emigrano ben presto per lavoro, lui frequenta la scuola fino alla terza elementare poi inizia ad aiutare il padre. Dopo essere rientrato dal servizio in marina durante la Prima guerra mondiale, esordisce in politica come consigliere comunale socialista a Ferentillo. Si trova a 39
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sedere vicino al padre ma politicamente all’opposizione, perché Ambrogio è consigliere ed assessore repubblicano. In quegli anni iniziò a lavorare come tranviere, nella tratta Ferentillo-Terni: questo lo obbligò ogni giorno al pendolarismo con il capoluogo, ma gli permise di acquisire confidenza con la classe operaia di Terni e dintorni, con cui condivideva gli spostamenti. Dopo la scissione di Livorno aderisce al Partito comunista d'Italia (Pcd’I). Nel 1923 sposa Bice Benedetti, operaia, e l’anno successivo entra nella dirigenza comunista ternana. Militante comunista, viene più volte perseguitato e incarcerato dai fascisti per la sua attività clandestina in difesa della Libertà e della Democrazia. Nel 1944 fu comandante, con il nome di battaglia Pasquale, della formazione partigiana “A. Gramsci”. Una sua riflessione a sostegno di quanto faceva: “...quando penso al comunismo in Italia non mi viene in mente qualche dottrina, ma gli uomini che lottano per la libertà”. Nei 105 combattimenti della “A. Gramsci”, i sei battaglioni che la formavano riuscirono a liberare dai nazifascisti e a ricostruire organismi di governo democratici in una vasta zona compresa tra Visso, la Valnerina, Cascia, Leonessa, Stroncone, Poggio Bustone. Nell’aprile del 1944 la zona liberata fu sottoposta a feroci rastrellamenti da reparti italo-tedeschi della divisione SS “H. Goering”, responsabili di orrende stragi di civili. Il 13 giugno 1944 la formazione partecipò alla liberazione della Città di Terni contemporaneamente alle truppe inglesi. Nella Brigata hanno combattuto uomini e donne di nazionalità diverse, di tutte le idee e convinzioni, comunisti e cattolici, russi e americani, lasciando sul campo 165 caduti. Nell’arco di pochi anni, dal 1943 al 1948, si attua per Filipponi un’incredibile parabola: dai massimi incarichi politici del 1944-1945 fino alla candidatura per l'Assemblea Costituente del 1946. Nel 1948 fu espulso dal partito, accusato di titoismo. Nel periodo della condanna di Stalin a Tito, alla quale si associava anche il PCI, Filipponi non riuscì a capacitarsi di quella condanna che improvvisamente faceva nemici coloro che avevano combattuto per la stessa causa. Nel 1956 fu riabilitato, la giusta riammissione fu accompagnata all’incarico di “Segretario del sindacato pensionati”, che conservò fino alla morte. Il “resistente di sempre”, come era chiamato, morì a Terni il 3 settembre 1974. “Le ragioni e gli obiettivi per cui ci battemmo nella Resistenza armata ha creato al popolo italiano le possibilità di scegliersi la Repubblica, e darsi una Costituzione”. 40
L’intitolazione toponomastica ad Alfredo Filipponi è un segno molto qualificante e tangibile di riconoscenza e di omaggio alla sua figura di valoroso combattente per la Libertà, e per la vita dedicata all’affermazione dei valori dell’antifascismo, della giustizia e della democrazia nel nostro Paese. Emblema anche di tutti i partigiani che hanno lottato e che sono morti per la stessa causa. L’intitolazione a Filipponi è utile a ricordare la Lotta partigiana, a consolidare sempre più la memoria storica sul significato del 25 Aprile e a rafforzare i valori e i principi della Costituzione nata dalla Resistenza.
Festival provinciale dell'Unità 1949 al Parco La Passeggiata di Terni (in basso a destra Alfredo Filipponi). Immagine tratta dal volume di Alvaro Valsenti “Diventammo Protagonisti" Edizioni Galileo, Terni 1998.
Bibliografia •Gubitosi Giuseppe, “Il diario di Alfredo Filipponi comandante partigiano”, Istituto per la Storia dell’Umbria contemporanea; •Rossi Raffaele, “Filipponi, il capo partigiano”, in “Il Messaggero” (messo a disposizione dall’ANPI); •Rossi Tommaso, “Dizionario Biografico Umbro dell'antifascismo e della Resistenza”, ISUC.
Fonti •Archivio di Stato; •Anpi di Terni. 41
Carlo Marcangeli Terni 9 settembre 1923 - Terni 9 luglio 2000
Nel 2011 è stata celebrata l'intitolazione di “Via Carlo Marcangeli”, adiacente alla Strada di Maratta Bassa, posta sulla destra prima dell’incrocio con Strada di casanova. Nato e vissuto a Terni, Carlo Marcangeli ha rappresentato una presenza significativa per la ricostruzione post bellica e il successivo sviluppo della città. Alla prolifica attività di imprenditore edile ha affiancato quella di amministratore pubblico, ricoprendo la carica di presidente dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari e di primo presidente dell’Asm. Ha fondato e presieduto per otto anni l’Associazione Piccole e Medie Imprese di Terni. L’Amministrazione Comunale, nel voler rendere merito a coloro che contribuirono fattivamente alla ricostruzione della città dopo le devastazioni belliche, ha scelto di intestare dei toponimi ad alcuni dei personaggi più significativi di quella esperienza. Il caso di Carlo Marcangeli è emblematico in quanto in lui si sono riunite la figura dell’imprenditore e quella del pubblico amministratore; fu infatti tra l'altro Presidente dell'Ist. Autonomo delle Case Popolari negli anni '70 e primo Presidente dell'ASM. La sua formazione è legata all’attività già paterna di costruttore, cui aggiunse una preparazione e sensibilità che andavano ben oltre i titoli scolastici, si era diplomato geometra e poi aveva conseguito la maturità scientifica per accedere all’università; tale sensibilità fu probabilmente segnata dalla tragica morte di tutti i suoi famigliari scomparsi sotto un bombardamento. Forse anche per questo, nella schiera dei “geometri” che ricostruirono Terni, Marcangeli si distinse per l’impegno sociale che lo accompagnò tutta la vita. Laborioso e instancabile dette vita a numerose imprese e fondò l’Associazione Piccole e Medie Imprese di Terni che presiedette per i primi otto anni, durante I quali l’Associazione arrivò a contare oltre 150 aziende. Una caratteristica di quella generazione di imprenditori fu la dinamicità e la disponibilità a cambiare e a provare nuove strade e Marcangeli non fece eccezione, al punto che negli ultimi anni volle dedicarsi all’attività di albergatore, fu così che ristrutturò 42
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l’albergo Beta, degradato e abbandonato, per dar vita a una struttura che degnamente accogliesse chi arrivasse a Terni via treno, nacque allora l’Hotel Michelangelo ancora gestito dalla famiglia Marcangeli. Tra le tante realizzazioni delle imprese Marcangeli va ricordato il primo intervento datato 1948 sulle macerie di palazzo Macalotti a Via Cavour, l’avveniristico Istituto Tecnico Statale per Geometri di Viale Trieste, il Palazzetto Tennis Tavolo di Campitelli e la bonifica e ricostruzione di buona parte del Quartiere Clai. Alla sua morte a 77 anni nel 2000, lasciò cinque imprese edili e due imprese turistiche.
Fonti •Memorie personali dell’autore. 43
Cardinal Francesco Angelo Rapaccioli di Giovanni Battista Salvi detto "il Sassoferrato" - Ringling Museum of Art
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Francesco Angelo Rapaccioli Collescipoli 1608 - Roma 15 maggio 1657
Nel 2011 è stata celebrata l'intitolazione di “Via Francesco Angelo Rapaccioli”, nel tratto di strada compreso tra Strada di Collescipoli e Piazzetta Don Gelindo Ceroni a Collescipoli. Francesco Angelo Rapaccioli, nativo di Collescipoli, è stato un Cardinale di Santa Romana Chiesa, destinato a compiti importanti e chiamato a incarichi prestigiosi. A partire dal 1646, e per i dieci anni successivi, è stato Vescovo di Terni, apprezzato per il suo apostolato, che si è caratterizzato per aver ristrutturato il Duomo, istituito il Seminario e ricostruito la chiesa di San Valentino. Francesco Angelo Rapaccioli nacque a Collescipoli nel 1608, discendente da una delle famiglie più antiche e prestigiose del paese, cui Federico II aveva concesso nel 1243 la cittadinanza ternana, dopo la distruzione di Castel dell’Isola. Ne è stato senza dubbio il figlio più importante e la sua protezione ha garantito la crescita e lo sviluppo del Castello, che nel Settecento si arricchì di palazzi nobiliari e ricchi edifici di culto. Il “Libero Comune in segno di riconoscenza” volle nel 1645 che lo stemma dei Rapaccioli e un’epigrafe che ricordasse ai posteri la sua elevazione alla porpora cardinalizia fossero collocati sulla parete del Municipio. Profondo studioso di lettere fin da giovane, da prelato si guadagnò subito prestigiosi incarichi alla corte papale. Regnante Urbano VIII, resse la Cancelleria Pontificia, fu Chierico di Camera e presidente degli Archivi Vaticani, infine Tesoriere e Commissario delle milizie papali, che strapparono ai Farnese il ducato di Castro e di Ronciglione. Lo stesso Papa, riconoscendone la capacità e i tanti meriti, il 13 Luglio del 1643 lo consacrava Cardinale. Dopo la scomparsa di Urbano VIII, partecipava al suo primo conclave, che avrebbe portato all'elezione di Innocenzo X, grazie all’abile regia del card. Barberini, eminenza grigia della Curia romana e suo protettore. L’incomprensione tra Papa Pamphili e il suo grande elettore, spinsero quest’ultimo a rifugiarsi alla corte di Francia, sotto la protezione del cardinal 45
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Mazzarino; Angelo Rapaccioli invece, per timore dei suoi legami col “cardinal fuggiasco”, venne esiliato di fatto da quella pontificia. Approfittando della morte di mons. Andreassi, il 18 Ottobre 1648, Innocenzo X lo nominava vescovo di Terni, pur essendo cardinale. Assumeva l’incarico con profonda umiltà, caratterizzando il suo apostolato per il fervore religioso e l’impegno sociale. A Terni celebrò il Sinodo, imponendosi con la propria dolcezza d’animo sia ai fedeli che al clero locale. Aprì la propria mensa ai poveri della città e il palazzo Vescovile ai pellegrini che nel 1650 si recavano a Roma per il Giubileo. Ricostruì la chiesa di S. Valentino, “rifabbricò” il vescovato e istituì, in accordo al Concilio di Trento, il Seminario diocesano; con l'aiuto dell’amico Bernini, ristrutturò il Duomo cittadino, dove dal 1650 si conserva la reliquia del “Preziosissimo Sangue”, regalata dal porporato alla Cattedrale di Terni. Apprezzò l'arte del Sassoferrato, sua la “Vergine Orante” in Duomo e “S.Cristoforo e S. Anna” a Collescipoli; si legò di profonda amicizia con S. Giuseppe da Copertino. Scomparso Innocenzo X, tornava in conclave, accreditato come “uno dei maggiori papabili”, ma l'opposizione del card. Spada e le dicerie fatte circolare affossarono la sua candidatura a un passo dal soglio pontificio. Lasciata a maggio del 1656 la diocesi di Terni, Angelo Rapaccioli moriva l’anno successivo a Roma, sepolto in S. Maria sopra la Minerva, nella cappella di famiglia, sita accanto a quella di Papa Pio V.
Bibliografia •Bellezza Sergio, “Angelo Rapaccioli, il Vescovo di Terni”, Corriere dell’Umbria, 8 dicembre 2014; •Moroni M. Laura, “Angelo Rapaccioli e L’Arte”, Il Giornale di Collescipoli, n. 6 Anno II, Dicembre 1996; •Giuseppe Rogari, “Angelo Rapaccioli”, Il Giornale di Collescipoli, n. 6 Anno II, Dicembre 1996. 46
Pietro Faustini Terni 21 novembre 1825 - Terni 31 gennaio 1892
Nel 2012 è stata celebrata l'intitolazione della “Rotonda Pietro Faustini”, rotatoria alla confluenza tra Via Narni e Strada di Sabbione. Carbonaro e massone, fu l’anima del movimento risorgimentale ternano, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Garibaldi di Terni”. Contrario al governo dei preti, fu inviso anche a quello sabaudo, che nel maggio 1899 lo arrestava insieme a tanti altri repubblicani e socialisti ternani. Una foto dell’epoca lo ritrae, Lui campione della Libertà, in attesa di giudizio dietro le sbarre del Tribunale di Spoleto.
Il 31 gennaio 1892 moriva nella sua Terni Pietro Faustini, compianto da tutta la cittadinanza e dall’Italia democratica e repubblicana. Imponenti i funerali, 10.000 persone secondo le cronache; presenti le rappresentanze di tutti i comuni dell'Umbria, di circoli e associazioni provenienti da ogni parte della Penisola. Al passaggio del feretro, in segno di lutto, i negozi abbassavano le saracinesche, bandiere abbrunate sventolavano dalle finestre. Tutti s’inchinavano reverenti all’Uomo, al Patriota, al Soldato. Fin da giovinetto Faustini “[…] comprese i tempi nuovi e si diede a cospirare per la libertà […]. Carbonaro e massone, coniugava in sé gli ideali di Libertà e il precetto mazziniano di “Pensiero ed Azione”. Nel 1949 era a Roma, incaricato dal Triunvirato di fortificare le mura della città, dal Governo di reclutare volontari nella Provincia Umbra, dalle proprie convinzioni a battersi a difesa della Repubblica. Fede patriottica e amicizia con Garibaldi lo porteranno a partecipare ad ogni moto e a tutte le campagne risorgimentali, sempre a fianco del Nizzardo, che di lui scrisse. “[...] sebbene non fosse effettivamente nominato ufficiale, giacché mai né mostrò il desiderio, per la di lui ammirabile abnegazione e il disinteresse patriottico lo si teneva in molto conto”. Nel giugno del 1867, con una colonna di un centinaio di ternani, partì dal Casino di Pescecotto alla conquista di Roma, il preludio alla Campagna dell’Agro 47
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romano, che avrebbe trovato il proprio olocausto a Mentana. Due momenti che videro Terni come centro organizzativo e Faustini nelle vesti di presidente del comitato insurrezionale, fatti che portarono Pietro Del Vecchio a riconoscere che la nostra città “[…] fra le tante ch’io vidi, mi parve la più eroica […]” e a definire Pietro Faustini “Il Garibaldi di Terni”. Dilapidò il proprio patrimonio, per sostenere il movimento, ma raggiunta l’Unità non richiese né incarichi né prebende. Si dedicò al lavoro dei campi e allo studio del territorio. Con il figlio Giunio scoprì a Colle dell’Oro giacimenti di lignite, risollevando così le proprie finanze. Da buon repubblicano osteggiò sempre il governo dei preti e il risorgente clericalismo. Inviso al governo regio fu perseguitato e più volte arrestato, come a maggio del 1899, di ritorno dal bosco delle Grazie, dove repubblicani e socialisti avevano festeggiato l’anniversario della Repubblica Romana. Una foto del tempo lo ritrae, Lui, amante della libertà e campione della democrazia, dietro le sbarre del tribunale di Spoleto; la stessa che tappezzava ingrandita la sua camera ardente. Perché “[…] il ricordo e la tradizione orale si trasformino in historia […]” il Comune volle che la via, dove abitava, si chiamasse Pietro Faustini. A cancellarla dalla toponomastica i bombardamenti e la decisione di Ridolfi di lasciare nel tessuto cittadino uno squarcio, l’odierna Villa Glori, a testimonianza degli orrori della guerra. Vi è ritornato a 120 anni dalla morte colla scritta “già via Pietro Faustini” e la rotonda di via Narni.
Bibliografia •Bellezza Sergio, “Garibaldi e i rivoluzionari ternani”, Atti del Convegno “Garibaldi e i garibaldini della Conca ternana”, Edizioni Thyrus, Terni 2003; •Bellezza Sergio, “Pietro Faustini, il Garibaldi di Terni”, Ass, Storica per la Sabina, Atti degli incontri dei soci 2013-14 vol. V, Rieti 2014; •Gnocchini Vittorio, a cura di Sergio Bellezza, “Logge e massoni in Umbria”, Futura Edizioni, Perugia 2013; •Ottaviani Dario, “L’Ottocento a Terni (parte II)”, Arti grafiche Nobili, Terni 1884. 48
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Alessandro Fabri Terni 2 febbraio 1850 - Terni 21 giugno 1922
Nel 2012 è stata apposta una targa commemorativa in onore di Alessandro Fabri in Via Roma, sulla facciata dell’edificio che ospitò la sua casa natale. Medico, socialista, fu per due volte sindaco di Terni: la prima durante la fase d’industrializzazione della città, l’altra nel corso della Grande guerra. Fu presidente della Società Generale Operaia, della Congregazione di Carità, della sottosezione della Croce Rossa e per 15 anni consigliere provinciale. Seppe scontrarsi, nell’interesse della città, contro gli egoismi della grossa fabbrica, tirandosi dietro i fulmini del Governo che sciolse il Consiglio comunale, ma riconobbe al Sindaco il titolo di Commendatore. In via Roma, tra i palazzi Spada e Pierfelici, si legge la lapide che ricorda Alessandro Fabri: “l’uomo, il politico, l’amministratore” che seppe interpretare i sogni dei ternani e dar loro concretezza. Per due volte fu sindaco di Terni, due sindacature brevi, durate entrambe un anno e poco più, ma dense d’iniziative e piene di risultati. La prima nella primavera del 1883, dopo le dimissioni di Bernardino Faustini, nel corso della quale ristrutturò la contabilità comunale, risanò il bilancio, lastricò le vecchie strade e ne aprì di nuove, tra cui via Mazzini. In campo edilizio promosse la sistemazione dei palazzi del centro storico, avviò la costruzione del quartiere Camporeale, permise, con lo sgravio dei dazi, la costruzione del “Palazzone”. Iniziò l’illuminazione della città, tra le prime in Italia, e autorizzò l’allaccio telefonico tra casa Cassian Bon e gli uffici della SAFFAT. Dotò Terni di una Scuola di Musica, promosse la “Raccolta municipale delle Antichità”, impiantò con Ettore Sconocchia la Biblioteca Comunale e un abbozzo di Pinacoteca. Progettò allo stesso tempo l’acquedotto del Peschiera, il sanatorio a monte della Cascata, la costruzione di un nuovo ospedale. Incaricò l’architetto Possenti di studiare il piano regolatore per una città che, soggetta a una vera e propria rivoluzione industriale, necessitava di un riassetto urbanistico e di una migliore organizzazione sociale. Nominato medico primario di Terni, si dimise a dicembre, ma rimase in carica fino alle elezioni del luglio 1884. Poteva così inaugurare il Canale Nerino e 51
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lavorare alla nascita dell’Acciaieria e all’istituzione della sezione di Meccanica dell’Ist. tecnico. A maggio del 1917, dopo la morte di Pietro Setacci, veniva eletto per la seconda volta a dispetto dell’autorità prefettizia, che aveva sciolto il Consiglio e commissariato il Comune. In quell’anno di guerra ospitò i profughi delle zone irredente e i feriti provenienti dal fronte, creò un corpo di crocerossine per assisterli, raccolse coperte per i combattenti e libri per i prigionieri, sostenne le famiglie dei soldati ternani. Per alleviare i disagi accese mutui finalizzati all’acquisto di beni di prima necessità, disciplinò il funzionamento dei forni, istituì la tessera per pane, carne e zucchero, impiegò nelle campagne i militari per la mietitura, impose di denunciare le riserve di farina, grano e olio. Gestì l’inondazione dell’inverno del 1917 e il terremoto dell’estate successiva, inaugurò il nuovo acquedotto, completò l’illuminazione della città, progettò il campo d’aviazione e la navigabilità del Nera, ingrandì l’Ospedale e aprì viale Curio Dentato, istituì la Scuola Femminile, potenziò il Convitto comunale, regificò la Scuola d'Arti e Mestieri. Fu dimissionato dal Governo a maggio del 1918 per essersi opposto “[…] a nome di una città in cui l’acqua scarseggiava e costretta a lesinare la propria ricchezza” alla concessione di altri 8 mq. alla SAFFAT. Moriva a Terni il 21 giugno 1922. Di lui si disse “[…] Passò facendo il bene”.
Bibliografia •Bellezza Sergio, “Dal Regno Pontificio allo Stato Unitario”, Associazione Garibaldina Pietro Faustini, Terni 2008; •Bellezza Sergio, “Il sindaco che cambiò il volto della città”, in Corriere dell’Umbria, 21 giugno 2013; •Ottaviani Dario, “Novecento a Terni, Cronistoria dal 1921 al 1926”, GESP Editrice, Città di Castello 1998; •Tomassini Giovanni “La Croce e il Compasso”, Atanor, Roma 2013. 52
Targa apposta sul muro della casa natale in Via Roma a Terni
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Anna Lizzi Custodi Schifanoia 20 dicembre 1931 - Terni 17 dicembre 2008
Nel 2013 è stata celebrata l’intitolazione dei “Giardini Anna Lizzi Custodi”, presso Piazza Dalmazia. Anna Lizzi Custodi (20 dicembre 1931-17 dicembre 2008), è stata dirigente dell’Udi di Terni e figura di spicco del Partito comunista umbro. Più volte consigliere comunale, provinciale e regionale, ha caratterizzato il suo impegno pubblico con un costante interesse per i diritti delle donne. È stata anche presidente del Consiglio d’amministrazione della scuola materna “Luigi Nobili” di Terni. Nata a Schifanoia, frazione di Narni, il 20 dicembre 1931 e morta a Terni il 17 dicembre 2008, Anna Lizzi Custodi (Custodi era il cognome di suo marito Rodolfo, sposato nell’ottobre 1953), è stata una dirigente della sezione di Terni dell’Unione donne italiane (Udi) e una figura di spicco del Partito comunista in Umbria, nelle cui liste è stata eletta consigliere comunale, provinciale e regionale. Negli anni quaranta ha studiato presso la scuola di abbigliamento femminile “Ida Ferri” di Roma, conseguendo il diploma e la qualifica di insegnante di taglio e confezione. Ha poi frequentato, nel dopoguerra, la scuola di politica per ragazze della Fgci, i cui corsi si tenevano a Faggeto Lario, sul lago di Como. Fu proprio la sua attività di docente a metterla in contatto con l’Udi di Terni, facendola avvicinare al movimento femminista e facendo maturare in lei quel forte interesse per i diritti delle donne che caratterizzerà tutto il suo impegno pubblico. Dopo essere stata responsabile delle Cooperatrici della Provincia di Terni, dal 1957 al 1974 ha ricoperto l’incarico di responsabile della Commissione femminile della Federazione provinciale del Pci e contemporaneamente si è occupata della riorganizzazione dell’Udi ternana, coinvolgendovi anche donne di sinistra non militanti nel Pci. Tra le iniziative di cui fu protagonista in quegli anni, particolarmente numerose furono quelle contro l’analfabetismo, con l’organizzazione di corsi autorizzati dal Ministero della Pubblica Istruzione. Il suo impegno nelle istituzioni ebbe inizio nel 1960, quando fu una delle due 55
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sole donne (l’altra era Marisa Paggi) candidate dal Pci per le elezioni comunali. Prima dei non eletti, entrò nell’assemblea di palazzo Spada in seguito alle dimissioni di Giovanni Grassi. Nel novembre 1964, poi, fu la prima donna eletta nel Consiglio provinciale di Terni, dove sarebbe rimasta per due legislature, al termine delle quali tornò, nel giugno 1975, in Consiglio comunale. Qui sarebbe stata confermata in occasione della tornata elettorale del maggio 1980 ma, essendo risultata anche la prima fra i non eletti per il Consiglio regionale, dopo le dimissioni di Alberto Provantini, candidato alla Camera dei deputati, optò per il seggio nell’assemblea legislativa umbra, dove per la prima volta, con lei, entrava una donna ternana. Tra le promotrici della nascita, nel 1987, del “Centro per la realizzazione della parità e delle pari opportunità tra uomo e donna della Regione Umbria”, sorto dalle ceneri della “Consulta regionale sui problemi della donna”, Anna Lizzi Custodi, dal 1977 al 1982, è stata anche presidente del Consiglio di amministrazione della scuola materna “Luigi Nobili” di Terni. Proprio in tale veste si adoperò per giungere allo scioglimento dell’ente gestore della scuola, l’Istituzione pubblica assistenza e beneficenza (meglio nota come “Opera pia”) e alla trasformazione della “Nobili”, da istituto a carattere prevalentemente educativo-religioso, in scuola materna pubblica.
Bibliografia •Carpisassi D., a cura di, “Con le donne e non solo. Intervista ad Anna Lizzi Custodi”, Thyrus, Arrone 2001. 56
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Cesare Aroldi Viadana 23 giugno 1848 - Viadana 9 ottobre 1921
Nel 2014 è stata celebrata l’intitolazione di “Via Cesare Aroldi”, prima laterale di Via Mario Rapisardi, che termina in Viale dello Stadio. Fervente patriota, Cesare Aroldi indossava la “Camicia Rossa in Trentino, a Mentana e infine nel 1870 in Francia. Avvocato e giornalista, aveva collaborato con Alberto Mario alla “Provincia di Mantova”. A Terni, dov’era arrivato come insegnante di Storia presso l’Istituto Tecnico, diresse “L’Umbria Industriale” e “Il Garibaldi”. Alle amministrative del 1888 era eletto Consigliere comunale e nominato poi Sindaco di Terni. Nelle elezioni del 15 luglio 1888 il Comitato Liberale d’Opposizione batteva onoramente l’Associazione Monarchica Costituzionale e conquistava l’Amministrazione comunale di Terni. Il 18 Ottobre l’insediamento degli eletti e la nomina della Giunta, con Cesare Aroldi chiamato alle funzioni di sindaco, che per delicatezza delegò alla firma Benedetto Faustini, assessore ai lavori pubblici. Dimostrava così una sensibilità non comune e rispondeva a moderati e conservatori, che lo accusavano di intrighi e ambizioni politiche. Assessore alla Pubblica Istruzione e alle finanze ottenne che le Scuole Tecniche diventassero Regie e il Ginnasio governativo. Pesava su Cesare Aroldi il fatto di non essere ternano. Nato a Viadana, nel mantovano, il 23 giugno 1848, era arrivato nella nostra città come insegnante di Storia all’Istituto Tecnico. Era già conosciuto per il suo passato di garibaldino, raccontato in un libro di memorie. Con la “camicia rossa” aveva combattuto nel 1866 in Trentino e a Mentana l’anno successivo, poi di nuovo in Francia, come aiutante di campo dell’Eroe dei Due Mondi. Avvocato, aveva collaborato con Alberto Mario al giornale la “Provincia di Mantova”. A Terni diresse nel 1887 “L’Umbria Industriale” e successivamente “Il Garibaldi”, settimanale socialista e organo della democrazia umbra, il cui primo numero usciva a giugno del 1892. Gli scritti e l’accesa polemica col monarchico “L’Avvenire” evidenziavano le 59
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idee dell’uomo e la natura del politico, che dal patriottismo era approdato alla democrazia e poi al “Sol dell’Avvenire”. Già nel 1882 si era candidato alle politiche, come rappresentante del Partito Operaio nella lista della Democrazia mantovana, risultando primo dei non eletti, insieme a Ernesto Teodoro Moneta, altro reduce della Campagna dei Volgi. Nel 1904 riuscirà invece ad essere eletto deputato nelle file socialiste. Contestato sul piano politico e osteggiato per l’impegno sociale, si vide limitato anche nel suo sforzo artistico e letterario. Gli fu infatti negata la possibilità di rappresentare al Politeama un suo bozzetto in versi, intitolato “Tito Speri”, mentre qualche anno prima, precisamente nel 1890 e sempre nello stesso teatro ternano, un altro suo lavoro, “I Bandiera”, intriso di un forte senso patriottico, venne invece rappresentato,seppur fortemente tagliato dalla censura. All’inizio del nuovo secolo un intervento governativo lo trasferiva d’ufficio in altra sede, espropiandolo della cattedra di Storia all’Istituto Tecnico e allontanandolo definitivamente da Terni. Tornava dalle sue parti, soggetto continuamente e fino alla morte ai controlli di polizia, come dimostra la voluminosa cartella a lui intestata al Casellario Giudiziario di Mantova. Continuava però con ostinazione e perseveranza a professare le idee socialiste e a contribuire alla vita politica e sociale di Viadana, dove si spegneva, stimato e rispettato da tutti, il 9 ottobre del 1921.
Bibliografia •Cesare Aroldi, “L’ultimo dei vecchi Garibaldini. Note e ricordi. 1862-1882”,a cura di Adolfo Ghinzelli, Ed. Castello, Viadana 1973; •Bellezza Sergio, “Cesare Aroldi, sindaco giornalista”, Corriere dell’Umbria, 08 aprile 2013; •Ottaviani Ezio, “L’Ottocento a Terni (II parte)”, Arti Grafiche Nobili, Terni 1884. 60
Angelica Balabanoff Cernigov 7 maggio 1878 - Roma 25 novembre 1943
Nel 2013 è stata celebrata l’intitolazione della “Rotonda Angelica Balabanoff”, alla confluenza tra Viale Trieste, Viale G. Rossini, Via Ippocrate e Via Irma Bandiera. Attivista e politica russa, operò in Italia e a Terni nelle file socialiste, chiamata a far parte della Segreteria nazionale del Partito e della Direzione dell’Avanti! Dopo la Rivoluzione d’Ottobre accorse in Russia, dove occupò importanti incarichi politici. Scoperta la natura del Comunismo, si scontrò con Lenin e fu radiata dal Partito ed espulsa dal Paese. Nel ventennio riparò all’estero, caratterizzandosi sempre per sue posizioni di antifascista. Con l’arrivo della grossa industria e l’afflusso di tante maestranze, Terni diventava crogiolo di rivendicazioni sociali e culla del nascente socialismo italiano. Tra i tanti accorsi in città a propagandarne le idee, anche Angelica Balabanoff, attivista e politica d’origine ucraina. Nata il 7 maggio 1878 a Cernigov da un’agiata famiglia d’origine ebraica, si ribellò fin da giovinetta alle differenze di ceto e abbandonò il collegio per ricchi. Proseguì gli studi in Svizzera, in Belgio e in Germania, dove l’istruzione superiore e universitaria non era preclusa alle donne. A Bruxelles si laureò in Lettere e Filosofia ed ebbe contatti con esponenti socialisti, come il prof. Augsmans, sindaco della città, l’avv. Umberto Zanni, i socialdemocratici August Bebel e Clara Zetkin. Nel 1900 scese a Roma, dove divenne l’allieva prediletta di Antonio Labriola, massimo esponente del marxismo italiano. Si iscrisse al PSI e si trasferì a Lugano, dove condivise con i lavoratori italiani la dura condizione degli immigrati. Fu a quei tempi che conobbe Mussolini, allora povero, disoccupato e goffo. Lavorò anche presso la Camera del Lavoro di San Gallo e fondò con Maria Giudice nel 1906 il periodico “Su, compagne”, per propagandare il Socialismo fra le donne. Il 5 luglio del 1909 la troviamo a Terni, dove tenne un’applaudita conferenza sulla “Politica dei Lavoratori”, sollevando “il più caldo entusiasmo” in un 61
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Politeama affollatissimo. Giorni dopo La Turbina annunciava poi che “[…] la nostra compagna verrà presto a stabilirsi a Terni”, come infatti avveniva il 15 di ottobre, salutata dal foglio socialista come “[...] la gentile sorella […] ardente di fede e pellegrina d’ideali […] scesa sotto il cielo d’Italia […] tra le file dell’esercito proletario”. A Terni, dove rimase fino al 1913, ebbe una stretta relazione col compagno Giovanni Colasanti, professore di storia e vice-preside dell’Istituto Tecnico; divenne soprattutto “l’anima del socialismo ternano”, ruolo che la catapultava nella Segreteria nazionale del Partito e nella direzione dell’Avanti, al fianco di Benito Mussolini. Allo scoppio della Grande Guerra si schierò su posizioni pacifiste e quando questi passò all’interventismo, fu la prima a chiederne l’espulsione dal giornale e dal partito. Partecipò alle conferenze di Zimmerwald e Keintal, conclusesi entrambe con la richiesta socialista di un immediato trattato di pace tra i popoli belligeranti. In Svizzera conobbe Lenin e allo scoppio della rivoluzione russa corse a Mosca, come scrisse a Carlo Farini per “[...] veder trionfare l’ideale della mia vita [...]”. Ma rifiutò la realtà del comunismo dei Soviet e si scontrò con lo stesso Lenin e tutta la dirigenza bolscevica. Espulsa dal partito e da madre Russia, nel 1922 rientrava in Italia. Durante “il ventennio” soggiornò in Svizzera e poi a Parigi, dove diresse in clandestinità l’Avanti, infine a New York, sempre attiva nella propaganda antifascista. Nel 1947 aderì al PSDI di Saragat. È scomparsa nel 1965 a Roma all’età di 87 anni.
Bibliografia •Antonelli Bruna, “Angelica Balabanoff: Anima del movimento socialista ternano”, INDAGINI n. 56, CESTRES, 1992; •Bellezza Sergio, “Il socialismo visto da Angelica Balabanoff”, in Corriere dell’Umbria, 03 gennaio 2011; •Movimento femminile socialdemocratico, a cura di, “In memoria di Angelica Balabanoff: 1869-1965”, Roma 1966. 62
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Rigoletto Belli Pontedera 3 ottobre 1886 - Roma 12 novembre 1951
Nel 2014 è stata celebrata l’intitolazione di “Largo Rigoletto Belli”, parcheggio adiacente ai Giardini Enea Armeni lungo Corso R. Salvati a Piediluco. Giovane forte e intraprendente, Rigoletto Belli fu uno sportivo di successo in campo velocipedistico e motoristico. Progettò e commercializzò una propria bici, iniziando la propria attività imprenditoriale, che sarebbe continuata con le concessionarie ufficiali di moto Guzzi, Triumph e Harley Davison e dal 1925 anche della Fiat. Istituì infine servizi di linea, in particolare la cosiddetta “Automobile del Lavoro”, che da Piediluco portava gli operai al Carburo di Papigno e alle Acciaierie. Rigoletto Belli nasceva il 3 ottobre 1886 a Pontedera (PI), da cui si trasferiva a Terni ancora bambino. Appassionato velocipedista prese a correre giovanissimo con un ciclo “Vulcano”. Il 28 agosto 1910 vinceva a Castiglion del Lago il Circuito del Trasimeno, laureandosi Campione Umbro. Si ripeteva poi nei due anni successivi. Denominato “il diavolo rosso”, per la maglietta e i calzoncini scarlatti che indossava in gara, partecipò con una bicicletta di sua produzione a corse importanti come la Milano San Remo, il Giro d’Italia e quello di Lombardia, con i campioni del tempo, come Luigi Ganna, Eberardo Pavesi e Ugo Agostoni. Con la costruzione e vendita del ciclo “Rigoletto” iniziò la sua fortunata carriera d’imprenditore. Prese parte con I gradi di Capitano al Primo conflitto mondiale, chiamato a combattere nel 1916, quando era già ammogliato e titolare di un garage, come si legge nel suo foglio matricolare. Appena congedato, riprendeva la gestione del negozio di cicli, moto e auto in via del Duomo, con annessi garage ed officina, che sposterà prima a palazzo Sconocchia (ex-Upim) lungo il Corso, poi in piazza Tacito a Palazzo Braschi, infine in via Cesare Battisti. Concessionario ufficiale delle moto Guzzi, Triumph e Harley Davison, lo sarà 65
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Cominciava intanto a gareggiare con le moto, entrando presto a far parte della squadra corse della Triumph, con cui si aggiudicava parecchie gare, tra cui il II e III Circuito dell’Appennino Umbro Marchigiano, corsa su strada della lunghezza dipiù di 600 chilometri. Passava poi all’automobilismo, vincendo corse locali, come quella della Somma, e partecipando a gare nazionali come la Corsa della Mengara e internazionali, come il Gran Premio d’Europa a Lione. Gareggiò dapprima con una Fiat 501 sport e poi con la 509 carrozzata Zagato. Quest'ultima, targata TR 1000, è tornata qualche anno fa alla ribalta della cronaca, dopo che un collezionista romano, che aveva trovato il bolide abbandonato in un fienile, aveva provveduto a restaurarlo. Mise in piedi anche un servizio di trasporto pubblico e collegava Piediluco a Terni, con i suoi bus, sui quali era concesso viaggiare gratis alle suore del paese, come pure al maestro della banda locale, che arrivava da Collescipoli. Ai tanti operai di Piediluco, 230 circa, che prendevano la cosiddetta “Automobile del Lavoro” per scendere al Carburo di Papigno o all’Accieria di Terni, si applicavano invece tariffe scontate. Rigoletto Belli scomparve il 12 novembre 1951, a Roma, negli uffici della Fiat, dopo che l’azienda automobilistica gli ebbe comunicato la decisione di torgliergli la Concessionaria per Terni. Unanime il cordoglio della città e numerosa la partecipazione popolare ai suoi funerali. Anche l’Osservatore della Domenica, organo di quello Vaticano, pubblicava il suo necrologio. Moto e Automobil Club di Terni organizzarono negli anni '50 gare sportive per ricordarlo insieme a Mario Umberto Borzacchini, asso dell’automobilismo ternano e nazionale.
Bibliografia •Bellezza Sergio, “Rigoletto Belli, il geniale Diavolo Rosso”, in Corriere dell’Umbria, 27 gennaio 2014; •“Ricordo di Rigoletto Belli”. Il Messaggero, 17 novembre 1951; •“Ricordiamo Rigoletto Belli nel trigesimo della sua scomparsa”, ibidem, 15 dicembre 1951; •Ibidem, sabato 19 giugno 1954, “Terni in memoria di due sportivi scomparsi”. 66
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Galileo Galilei Pisa 15 febbraio 1564 - Arcetri 8 gennaio 1642
Nel 2014, in occasione del 450° anniversario dalla nascita, è stata apposta presso il lungolago A. Armeni di Piediluco, una targa commemorativa dedicata a Galileo Galilei. Avviato dalla famiglia agli studi di medicina a Pisa, preferì dedicarsi alle osservazioni di fisica e alla matematica che insegnò all’università di Pisa e poi di Padova. Dopo 18 anni di permanenza a Padova, dove costruì il primo telescopio del quale si servì per le sue scoperte astronomiche, nel 1610 tornò in Toscana, chiamato dal Granduca Cosimo II, e poté dedicarsi agli studi a tempo pieno. Sostenitore del sistema eliocentrico copernicano, entrò in conflitto con la chiesa che sosteneva le teorie geocentriche. Dopo la pubblicazione del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano” (1632), fu processato per eresia. Ormai anziano e malato abiurò le sue tesi, fu condannato al confino ad Arcetri dove continuò i suoi studi circondato dagli allievi. Siamo nell’anno Domini MDCXXIV addì XXI di aprile e il Galilei accademico dei Lincei, insieme con Francesco Stelluti, segretario della medesima Accademia, lascia Acquasparta, dove aveva soggiornato dall’8 aprile, e si reca a visitare la Cascata delle Marmore e il lago di Piediluco, probabilmente noleggiando una delle carrozze che gli abitanti di Marmore, a mo’ di bus turistici ante litteram, noleggiavano ai viaggiatori che volevano ammirare dall’alto la “gran caduta velina” e il lago che la origina. A questa data il Galilei ha da poco pubblicato, a cura dell’Accademia dei Lincei, Il Saggiatore (1623), il Sidereus nuncius (12 marzo 1610), e nel 1609 ha messo a punto il telescopio con il quale ha osservato i quattro satelliti di Giove, le macchie della luna, le fasi di Venere e le macchie solari. In questo periodo però il Galilei è già stato ammonito dal Cardinal Bellarmino ad abbandonare le sue convinzioni copernicane. La cultura ufficiale della Chiesa poggiava sulla concezione aristotelico-tolemaica geocentrica per la quale la terra si pone immobile al centro dell’Universo che si muove intorno ad essa. Un’argomentazione addotta dai tolomaici a sostegno di 69
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questa teoria è che, se la terra fosse in movimento, qualunque corpo gettato in alto dovrebbe ricadere molto indietro rispetto al punto dal quale è stato lanciato e in particolare, se gettassimo un sasso da un’alta torre, questo dovrebbe ricadere molto indietro rispetto alla base della torre stessa e non, come invece avviene, ai suoi piedi. Il 21 aprile del 1624 Galilei coglie l’occasione della gita in barca sul lago di Piediluco per dimostrare empiricamente allo Stelluti la teoria del movimento della terra e confutare il geocentrismo tolemaico. Chiede allo Stelluti la pesante chiave che aveva alla cintura e con grande palpitazione di questi la lancia in alto mentre la barca, spinta da sei remi, procede velocemente sull’acqua scura del lago. La chiave ricade tra Galilei e lo Stelluti, praticamente sulla verticale del lancio. Con questo esperimento, che lo stesso Stelluti descrive in una sua lettera, il Galilei aveva dimostrato che “qualsiasi oggetto grave lanciato in alto o in caduta libera conservava sempre lo stato di moto del sistema di riferimento a cui apparteneva”. Questo esperimento può essere considerato il “…battesimo sperimentale del principio di relatività, una chiave di volta della fisica moderna.” La teoria galileiana secondo la quale la natura non contraddice la verità biblica ma la illustra e non viceversa, nonché l’esaltazione della matematica quale chiave di lettura delle leggi naturali, rappresenta l'esaltazione della ragione e il suo primato sulla fede. Tale concetto verrà più tardi ripreso dall’Illuminismo, che lo svilupperà e lo porterà all’estrema conseguenza nel sancire l’inevitabile conflitto e inconciliabilità tra ragione e fede. La mannaia dell’Inquisizione inevitabilmente si abbatté su Galileo e lo costrinse alla solenne abiura pronunciata il 22 luglio 1633. Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, pubblicato il 21 febbraio 1632, fu sequestrato pochi mesi dopo dall’Inquisizione. Fortunatamente la sua diffusione era già in atto e le varie edizioni, avvenute soprattutto in ambiente riformista, ne permisero la grande circolazione.
Bibliografia •Conti Lino, “Giuseppe Neri: un matematico aristotelico”, Accademia nazionale dei Lincei, Roma 1990; •Conti Lino, “Lago di Piediluco, 22 aprile 1624: il primo esperimento relativistico della storia”, in “Federico Cesi e i primi lincei in Umbria”, Thyrus, Terni 2005; •Vinti Carlo, “Galileo e Copernico, alle origini del pensiero scientifico moderno”, Assisi 1990. 70
Targa commemorativa apposta presso il Lungolago A. Armeni di Piediluco
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Giuseppe Garibaldi Nizza 4 luglio 1807 - Caprera 2 giugno 1882
Nel 2014 è stata apposta in Via XI febbraio una targa commemorativa dedicata a Giuseppe Garibaldi . Nel luglio del 1849, caduta la Repubblica, Garibaldi lasciava Roma per raggiungere Venezia, che resisteva ancora alla repressione austriaca. L’8 era a Terni dove si acquartierava nel convento di S. Valentino. Il giorno successivo faceva visita, dalle parti del Duomo, al suo “amicissimo Lorenzo Casalgrande o Casagrande”, come ricorda la lapide voluta dall’Amministrazione comunale. Scoppiava nel 1848 la Primavera dei Popoli, di cui la Repubblica romana costituì il più fulgido degli esempi. Guidata dall’estro politico di Mazzini, sperimentò la democrazia e approvò quella Costituzione, i cui principi sono alla base di quella dell’Italia repubblicana nata dalla Resistenza. Alla sua difesa parteciparono migliaia di patrioti, giunti da tutta Europa. Nutrita la presenza di umbri e ternani, tra cui Ottavio Coletti e Rinaldo Giannelli, deputati alla Costituente, il leggendario Pietro Faustini e il gen. Luigi Masi, assisano di nascita, ma collescipolano d’adozione, che il 30 Aprile respinse a Porta San Pancrazio la prima offensiva francese. Una vittoria simbolo della Repubblica romana, il cui anniversario si festeggiava a Terni e in Italia, ogni anno proprio in quel giorno. Vanno poi ricordati Giuseppe Petroni, “l'ultimo prigioniero del Papa Re”, Paolo Toccoli Garofoli, strappato ai suoi studi dall’amor di patria, Federico Fratini, responsabile per l’Umbria della Giovine Italia, Giovanni Froscianti, il compagno di Giuseppe Garibaldi in tutte le battaglie del Risorgimento e nella pace di Caprera; il battaglione infine della Guardia civica, partito da Terni per l’estrema difesa, al comando dei capitani Nicoletti e Caraciotti. Il genio militare di Garibaldi si esaltò nella fuga verso Venezia, quando inseguito da cinque eserciti stranieri, con Anita, che incinta e malata morirà nella pineta di Ravenna, riuscì a svincolarsi dal nemico e portare in salvo l’intera legione. 73
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Era uscito da Roma la sera del 2 luglio, con circa 3.000 uomini, a cui non prometteva “[…] stipendi, onori e gloria […]” ma solo “[…] fame e sete, marce forzate, battaglia e morte […]”. Con rapidi spostamenti e veloci digressioni attraverso la Sabina, riusciva a disorientare gli inseguitori e ad eludere il contatto col nemico. L’8 era a Terni, dove, accampata la truppa tra Finocchieto e Stroncone, stabiliva il proprio quartier generale nel convento dei Carmelitani, accolto come “un liberatore” dalla popolazione e dalle autorità locali, salite a San Valentino con insegne comunali e banda cittadina. Sul portone una lapide ricorda come il Generale nel luglio del 1849 vi restaurasse “[…] gli avanzi gloriosi dei difensori di Roma”. Il 9, accompagnato da Ciceruacchio e i suoi figli, si recava dalle parti del Duomo in visita al suo “amicissimo Lorenzo Casalgrande o Casagrande”. Lo apprendiamo da una testimonianza scritta, voluta da Diocleziano Mancini e autenticata dal timbro comunale e dalla firma del sindaco, in cui si legge tra l’altro che “[…] la Guardia civica della Speranza si schierò sulla pubblica via in onore del Generale, che, affacciatosi alla finestra, salutò con un fazzoletto bianco i militi e la popolazione, che in gran numero gremiva la piazzetta sottostante”. Dimostrazione della partecipazione emotiva della città e il suo affetto per l’Eroe, sentimenti eternati oggi da una lapide in quella via e sulle mura di quella casa. Il 10 riprendeva il suo viaggio verso Venezia e su Terni cadeva la Restaurazione pontificia.
Bibliografia •Bellezza Sergio, “Terni a Giuseppe Garibaldi”, Associazione Garibaldina Pietro Faustini, Terni 2007; •Italo Ciaurro, L’Umbria nel Risorgimento Contributo dato dagli Umbri all’Unità d’Italia”, Cappelli Editore, Rocca San Casciano 1963; •Vincenzo Pirro, “Terni nell’età del Risorgimento (1814-1870)”, Edizioni Thyrus, Terni 2005. 74
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Alessandro Sillani Collescipoli 18 gennaio 1899 - Firenze 7 agosto 1943
Nel 2014 è stata celebrata l’intitolazione del “Belvedere Alessandro Sillani”, posto al termine di Viale Granati, all'intersezione con Via dei Garibaldini a Collescipoli. Repubblicano collescipolano, lasciava l’Italia all’indomani della marcia su Roma. Si portava in Francia e si stabiliva a Nizza, impegnandosi nella lotta contro il fascismo e in particolare nell’assistenza ai fuoriusciti d’Italia e di Spagna. In contatto con i più bei nomi della Resistenza in esilio, era ben noto alla polizia di regime, che lo giudicava “[…] politicamente pericoloso e capace di compiere attentati […]”. Nasceva il 18 gennaio del 1899 a Collescipoli, dove compiva gli studi elementari. Dopo Caporetto era chiamato alla guerra e arruolato in marina. Una malattia provvidenziale gli salvava la vita: la nave, su cui si sarebbe dovuto imbarcare, era infatti affondata nello Stretto dei Dardanelli. Repubblicano convinto, aveva saggiato la diffidenza degli “amici di partito” per aver aderito agli Arditi del Popolo. Con l'avvento del fascismo lasciava l’Italia e si stabiliva a Nizza, dove si impiegava nella stamperia del giornale antifascista “La France de Nice”, lavorava poi come uomo di fatica in una sala di vendite all’asta e s’inventava infine modesto albergatore. Le note del tribunale fascista lo qualificavano invece come bracciante. Risiedeva al n° 21 di Rue Lamartine con la sua compagna, Marinette, cameriera spagnola, e un nipote della stessa, George, adottato dalla coppia. La sua casa era sempre a disposizione dei tanti fuoriusciti italiani e spagnoli. Li ospitava, li sfamava e trovava loro un lavoro. Si impegnava nella “Concentrazione antifascista”, accanto ai più bei nomi del “fuoriuscitismo italiano”, come Nenni, Mario Angeloni, Giacomo Pertini, Facchinetti, Schettini, Orioli. Un primo rapporto di polizia nel 1927 lo segnalava come partecipante a una riunione della LIDU nella loggia massonica di Nizza, dove era nominato con Pertini nella commissione per la “Festa campestre” da organizzarsi per il 14 77
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Luglio, anniversario della presa della Bastiglia. Segretario della sezione di Nizza, partecipava nel 1929 all’assemblea preparatoria del Congresso repubblicano di Annemasse. Accusato d’aver preparato un ordigno ad alto potenziale era processato in contumacia per attentato alla Sicurezza dello Stato e condannato con sentenza n° 61 del 25 aprile del 1932. Si vanterà sempre di aver fatto parte di un commando, che avrebbe dovuto attentare alla vita di Mussolini. Il capo della polizia Bocchini lo riteneva un “Repubblicano pericoloso”, mentre una nota del Ministero dell’Interno lo segnalava come “[…] persona capace di compiere attentati ed atti terroristici”. Scoppiava la guerra di Spagna e si avvicinava lo spettro della Seconda Guerra Mondiale. Parecchi degli esuli antifascisti combatterono da volontari la prima e si arruolarono poi nell’esercito di una Francia minacciata dalla prepotenza nazista. La cosa non riuscì però a Sillani, che a differenza di tanti suoi compagni, fu “riformato” dalle autorità militari transalpine. All’arrivo dei Tedeschi la Polizia politica lo segnalava alle truppe d’occupazione, insieme ai vari Altiero Spinelli, Carlo Sforza, Silvio Trentin, Giuseppe Saragat, Emilio Sereni e Palmiro Togliatti, con l’ordine perentorio di identificarli e procedere all’arresto. Dopo il 25 Luglio del 1943, decideva di rientrare in Italia. Fermato a Firenze il 7 agosto del 1943 era subito passato per le armi. Un prete raccoglieva le sue povere cose. Marinette, la compagna, cercherà per anni, ma inutilmente, di conoscerne la sorte.
Bibliografia •Bellezza Sergio, “Storia di Sillani, antifascista collescipolano”, in Corriere dell’Umbria, 28 aprile 2001; •Bellezza Sergio, “Dal Fascismo alla Repubblica appunti per una storia per l’antifascismo e della guerra di liberazione a Terni”, Associazione Garibaldina Pietro Faustini, Tip. Massei, Terni 2008; •Bellezza Sergio, “Allessandro Sillani l’uomo, il repubblicano, l’antifascista”, Memoria Storica n° 45, Anno XXIV, 2015. 78
Umberto Elia Terracini Genova 27 luglio 1895 - Roma 6 dicembre 1983
Nel 2013 è stata celebrata l’intitolazione della “Rotonda Umberto Elia Terracini”, rotatoria alla confluenza di Via A. Gramsci, Viale L. Campofregoso e Via Carrara. Nato nel 1895, Umberto Elia Terracini, avvocato, è stato un fondatore e dirigente del Partito comunista italiano. Ha pagato il suo antifascismo con quasi vent’anni di prigionia e di confino, al termine dei quali ha preso parte alla Resistenza. È stato presidente dell’Assemblea costituente, uno dei firmatari della Costituzione italiana e fino alla sua scomparsa, nel 1983, ininterrottamente senatore della Repubblica. Discendente da una famiglia di israeliti originari del Piemonte, Umberto Elia Terracini nacque a Genova il 27 luglio 1895. Morto il padre nel 1899, con la madre e i fratelli si trasferì a Torino, dove studiò nella scuola ebraica e nel liceo “Vincenzo Gioberti” e dove nel 1911 si iscrisse al Fascio socialista giovanile, intraprendendo, nonostante la giovane età, una brillante carriera di polemista e di conferenziere. Contrario all’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, nel 1916 dovette tuttavia arruolarsi come soldato semplice e solo alla fine del conflitto, ritornato nel capoluogo piemontese, si laureò in giurisprudenza. Fondatore con Tasca, Gramsci e Togliatti della rivista “L’Ordine Nuovo”, nel 1920 entrò nella Direzione nazionale del PSI, ma l’anno seguente fu tra gli scissionisti che diedero vita al Partito Comunista d’Italia. Dopo la marcia su Roma, diversamente da altri dirigenti comunisti, rimase in Italia, mantenendo la direzione del partito e riorganizzandone clandestinamente l’attività. Nel 1926, nonostante l’immunità di cui godeva come deputato, fu però arrestato e due anni dopo condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a 22 anni e 9 mesi di carcere, pena che nel 1937, a seguito di un’amnistia, fu commutata nel confino nelle isole Ponza e poi di Ventotene, dove si trovava allo scoppio della seconda guerra mondiale. Negli anni del confino, si acuì il suo dissidio con la direzione del PcdI, non condividendone punti fondamentali della linea politica, come quando nel 1939 criticò aspramente il patto Molotov79
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Ribentropp, il trattato di non aggressione fra la Germania nazista e l’Unione Sovietica. All’inizio del 1943, così, ne fu decisa l’espulsione dal partito di cui era stato un fondatore. Di nuovo libero, Terracini, in pericolo anche in quanto ebreo, nell’agosto 1943 si rifugiò in Svizzera, da dove cercò di riprendere i contatti in particolare con Togliatti, e soprattutto si unì alle formazioni partigiane dell’Ossola. Reintegrato nel PcdI nel dicembre del 1943 e rientrato in Italia all’indomani della liberazione, fu nominato membro dell’Alta corte di giustizia, per essere successivamente eletto deputato e quindi, dal febbraio 1947, presidente dell’Assemblea costituente, veste nella quale firmò, insieme al capo dello Stato Enrico De Nicola e al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, la Costituzione italiana. Nel dopoguerra, fino alla sua scomparsa, avvenuta a Roma il 6 dicembre 1983, venne sempre eletto in Senato, dove fu tra i protagonisti di molte battaglie parlamentari come quella contro la cosiddetta “legge truffa” (1953) e dove si adoperò per superare gli ostacoli politici che si frapponevano alla realizzazione degli istituti previsti dalla Costituzione. Fu inoltre membro del Comitato centrale e della Direzione del partito comunista, da cui venne allontanato dal 1947 al 1955 per divergenze su questioni di politica internazionale. Come avvocato, infine, fu impegnato in alcuni processi politici e difese diversi militanti della sinistra.
Bibliografia •Agosti A. e altri, “Umberto Terracini nella storia contemporanea. Atti del primo convegno di studi su Umberto Terracini (Acqui Terme, 26-27 gennaio 1985)”, Edizioni dell’orso, Alessandria 1987; •Agosti A., a cura di, “La coerenza della ragione. Per una biografia politica di Umberto Terracini”, Carocci, Roma 1998; •Gianotti L., “Umberto Terracini. La passione civile di un padre della Repubblica”, Editori Riuniti, Roma 2005. 80
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Bruno e Costante Garibaldi Roma 23 marzo 1889 - Argonne 26 dicembre 1914 Roma 19 gennaio 1892 - Argonne 5 gennaio 1915
Nel 2015 è stata celebrata l’intitolazione della “Rotonda Bruno e Costante Garibaldi”, rotatoria alla confluenza di Viale F. Turati, Viale G. Rossini e Via G. Brodolini. Entrambi figli di Ricciotti Garibaldi, accorrevano nel 1914 a difesa della Francia repubblicana e cadevano combattendo contro i tedeschi nelle Argonne. Bruno proveniva da Cuba, Costante era invece “un figlio della nostra città”, come studente prima e impiegato poi delle Acciaierie. Terni, forte delle sue tradizioni repubblicane e garibaldine, seconda alla sola Forlì, ha inteso perpetrarne il ricordo, dedicando loro uno spazio pubblico. Scoppiata la Grande guerra, l’Italia dichiarava la propria neutralità, mentre repubblicani e garibaldini accorrevano in Francia a difesa della repubblica. Guidati da Peppino Garibaldi combatterono nelle Argonne, conquistandosi la riconoscenza dei francesi e il rispetto del nemico. Il 26 dicembre il primo scontro a fuoco: costretti dopo tre ore di assalti alla baionetta a ripiegare, i garibaldini lasciavano sul campo di battaglia parecchi morti e tanti feriti. Tra i primi anche Bruno Garibaldi, che conduceva all’attacco i suoi “in camicia rossa”, sotto il fuoco implacabile delle mitragliatrici. Decimo figlio di Ricciotti, a undici anni era mandato in Inghilterra a studiare nell’istituto metodista di Canterbury, dove si specializzava in tecniche agricole. A diciotto anni lasciava la famiglia e si trasferiva a Cuba, per impiegarsi nella lavorazione della canna da zucchero, assumendo presto incarichi di responsabilità. Scoppiato il conflitto, lasciava l’impiego e tornava in Europa, per arruolarsi con i fratelli nella Legione garibaldina. Era il primo dei Garibaldi a morire in battaglia e unanime fu il cordoglio per la sua scomparsa e quella degli altri volontari. L’Avanti! da sempre pacifista scrisse nell’occasione: “[…] Alcuni crisantemi cadranno anche da mani socialiste sulla grande fossa dei garibaldini uccisi nelle Argonne […]”. Il 6 gennaio a Roma i solenni funerali; “[…] Uno spettacolo - scriveva la Stampa - commovente e 83
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grandioso”, con un corteo di non meno di 2.000 persone e grappoli umani sui tram, sui lampioni, sui tetti […]”. Il 5 gennaio 1815 i volontari tornavano all’assalto, sbaragliando le file nemiche e facendo 120 prigionieri. Si guadagnavano così l’ammirazione del gen. Valdant “[…] Questi garibaldini sono meravigliosi […]”. Ancora pesanti le perdite tra cui anche Costante Garibaldi. Penultimo maschio di casa Ricciotti, da giovane aveva vestito la divisa del Convitto comunale di Terni e frequentato, come ricorda una lapide, le aule del ginnasio Tito Maccio Claudio, l’odierno liceo classico. Diplomatosi alla scuola d’Arti e Mestieri di Fermo, nel 1912 era a Drisco, dove combatteva a fianco del padre per la libertà della Grecia. Impiegatosi alle Acciaierie, tornava nella nostra città, in cui “dava il proprio nome alla Gioventù repubblicana e alla locale Loggia massonica”. Era vice capo officina quando nell’agosto del 1914 accorreva in Francia, distinguendosi come Maresciallo nell’inquadramento e nell’assistenza ai volontari. Ai suoi funerali sul Gianicolo la Municipalità ternana inviava il proprio Gonfalone, scortato da vigili urbani in alta uniforme. Il 26 aprile la commemorazione in Consiglio comunale. Dichiarati “Mort pour la France”, Bruno e Costante sono stati insigniti della Légion d’Honneur, un monumento nelle Argonne ne tramanda ai francesi la memoria e i loro medaglioni ornano a Nizza il monumento a Giuseppe Garibaldi. L’Italia non gli ha mai riconosciuto nemmeno lo status di combattenti e ha lasciato sempre cadere la proposta di una medaglia al valore.
Bibliografia •Bellezza Sergio, “La Rossa Avanguardia delle Argonne”; MASSONICAmente, Raccolta N. 1-4, Settembre 2014/dicembre 2015, Erasmo Srl Editore; •Cecchinato Eva, “Camicie Rosse: i garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra”, Editori Laterza, SEDIT – Bari 2011; •Marabini Camillo, “La rossa avanguardia dell’Argonna: diario di un Garibaldino alla guerra franco-tedesca, prefazione di Gabriele d’Annunzio”, Milano, Rava, 1915. 84
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Alberto Guidi Firenze 26 febbraio 1916 - Terni 18 aprile 1973
Nel 2015 è stata celebrata l’intitolazione di “Via Alberto Guidi”, seconda laterale destra di Strada di San Carlo, superato lo svincolo per la TerniRieti. L’avvocato Alberto Guidi fu inviato a Terni dalla direzione centrale del PCI con lo scopo di assumere la difesa di molti partigiani della brigata “A. Gramsci” accusati in processi legati alla Guerra di Liberazione. Fu eletto deputato nel 1958 nella circoscrizione umbro-sabina. Manterrà l’impegno per tre legislature. Nonostante gli impegnativi incarichi istituzionali, ha sempre trovato tempo per difendere le esigenze dei cittadini ternani. Nato il 26 febbraio 1916 a Firenze, ha frequentato il Liceo Classico “Visconti” di Roma per laurearsi, poi, in giurisprudenza. Ha impostato l’attività forense con particolare riguardo alle posizioni dei meno abbienti, sostenendoli professionalmente e spesso finanziariamente, convinto che il diritto alla difesa di chi non disponeva di risorse economiche fosse condizione irrinunciabile per salvaguardare la dignità delle persone. Dall’aprile del 1940 al giugno del 1941, entrò a far parte di un’organizzazione universitaria antifascista, partecipando alla lotta partigiana. Nel 1947 la direzione centrale del PCI lo inviò a Terni con lo scopo di assumere la difesa di molti partigiani della brigata “A. Gramsci”, che avendo operato nell’Appennino umbro-laziale-marchigiano durante la Resistenza, si trovavano accusati in processi legati alla Guerra di Liberazione. Stimato e apprezzato dal movimento operaio ternano, dagli intellettuali e dalle associazioni politiche ternane, fu candidato al Parlamento italiano ed eletto deputato nel 1958 nella circoscrizione umbro-sabina. Manterrà l’impegno per tre legislature (nella III, dal 12 giugno 1958 al 15 maggio 1963; nella IV, dal 16 maggio 1963 al 4 giugno 1968 e nella V, dal 5 giugno 1968 al 24 maggio 1972). Nel corso della IV legislatura ha ricoperto l’incarico di Vicepresidente della IV Commissione Giustizia, e nella V, quello di Vicepresidente della Giunta per l’esame delle 87
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domande di autorizzazione a procedere in giudizio. Nonostante gli impegnativi incarichi istituzionali, ha sempre trovato il tempo per difendere le esigenze dei cittadini ternani. A livello locale, nel 1953, gli fu affidato un assessorato alla Provincia di Terni, confermandolo come un punto di riferimento per tanti ternani, che trovavano in lui la disponibilità di un amico e di un esperto. Nel settembre del 1949 sposò Luciana Farini, figlia di Carlo, conosciuta in occasione del “veglione rosso” dell’anno precedente. La personalità umana e politica di Alberto Guidi non può e non deve essere considerata patrimonio esclusivo di un partito, ma ricchezza di tutta la cittadinanza ternana. Le doti di competenza e di umanità di Guidi sono ancora oggi presenti nel ricordo di tanti cittadini ternani. Con questo obiettivo il Comune di Terni, a cento anni dalla nascita, ha inteso dedicare alla sua memoria una via cittadina, perché il ricordo della sua opera resti indelebile negli affetti degli abitanti e sia da esempio per le generazioni a venire. La via intitolata all’On. Guidi è un omaggio all’uomo e un invito a ravvivare la memoria di un ternano, seppure d’adozione, alla riconoscenza di un’intera popolazione. Dagli atti parlamentari emerge la sua intensa attività nei riguardi della comunità ternana, perfino per gli aspetti della quotidianità. Attento a quanto succedeva in città e ad operare per sostenere quella parte del popolo più debole che, certa di un suo interessamento ad eliminare tutti gli ostacoli, si rivolgeva a lui. Si pensi all’interrogazione del 24 novembre 1959 sugli operai delle Officine Bosco multati per aver scioperato, l’interrogazione del 20 giugno 1960 dove Guidi interroga il Ministro dei trasporti circa l’opportunità di aggiungere altri vagoni al treno D.D. 78 in partenza dalla stazione di Roma alle ore 14.15 perché quotidianamente superaffollato, ecc.
Bibliografia •Cestres Terni nel Parlamento Italiano Vol. III.
Fonti •Prof.ssa Bruna Antonelli; •Anpi provinciale Terni. 88
Carlo Farini, la moglie Wanda Bassi, l’Avv. Alberto Guidi con la moglie Luciana Farini alla trattoria «Lu sumaru» del 1965 Foto tratta dal libro di Bruna Antonelli «Lo squadrismo fascista e l’esperienza degli Arditi del popolo diretti da Carlo Farini» p.118
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Indici
Indice degli autori
Prof. Sergio Bellezza •Cesare Aroldi •Angelica Balabanoff •Rigoletto Belli •Don Gelindo Ceroni •Alessandro Fabri •Pietro Faustini •Bruno e Costante Garibaldi •Giuseppe Garibaldi •Francesco Angelo rapaccioli •Alessandro Sillani
Prof. Dario Guardalben •Gianfranco Ciaurro •Carlo Marcangeli
Dott. Paolo Pellegrini •Bartolomeo da Miranda •Cimitero ebraico •Anna Lizzi Custodi •Umberto Elia Terracini
Prof. Giocondo Talamonti •Alfredo Filipponi •Alberto Guidi •Luigi Michiorri •Eclo Piermatti •Emilio Secci •Volontari del Gruppo Cremona
Prof.ssa Gabriella Tomassini •Amerigo Bartoli Natinguerra •Jean Baptiste Camille Corot •Galileo Galilei
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Indice degli Atti di intitolazione
•Aroldi Cesare •Balabanoff Angelica •Bartoli Natinguerra Amerigo •Bartolomeo da Miranda •Rigoletto Belli •Ceroni Don Gelindo •Ciaurro Gianfranco •Cimitero ebraico •Corot Jean Baptiste Camille •Fabri Alessandro •Faustini Pietro •Filipponi Alfredo •Galilei Galileo •Garibaldi Bruno e Costante •Garibaldi Giuseppe •Guidi Alberto •Lizzi Custodi Anna •Marcangeli Carlo •Michiorri Luigi •Piermatti Eclo •Rapaccioli Francesco Angelo •Secci Emilio •Sillani Alessandro •Terracini Umberto Elia •Volontari del Gruppo Cremona
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D.G.C. 300 del 25/09/2013 D.G.C. 300 del 25/09/2013 D.G.C. 2 del 22/01/2009 D.G.C. 490 del 31/10/2007 D.G.C. 45 del 12/02/2014 D.G.C. 548 del 13/11/2008 D.G.C. 200 del 30/04/2008 D.G.C. 48 del 13/02/2008 D.G.C. 35 del 31/01/2008 D.G.C. 98 del 17/04/2013 D.G.C. 405 del 20/12/2011 D.G.C. 47 del 23/02/2011 D.G.C. 45 del 12/02/2014 D.G.C. 41 del 18/02/2015 D.G.C. 360 del 06/11/2013 D.G.C. 173 del 07/05/2014 D.G.C. 412 del 28/11/2012 D.G.C. 339 del 22/07/2010 D.G.C. 200 del 30/04/2008 D.G.C. 54 del 20/02/2003 D.G.C. 47 del 23/02/2011 D.G.C. 200 del 30/04/2008 D.G.C. 97 del 17/04/2013 D.G.C. 147 del 02/05/2012 D.G.C. 2 del 22/01/2009
Indice Introduzione
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•Eclo Piermatti •Gianfranco Ciaurro •Jean Baptiste Camille Corot •Luigi Michiorri •Emilio Secci •Cimitero ebraico •Volontari del Gruppo Cremona •Amerigo Bartoli Natinguerra •Don Gelindo Ceroni •Bartolomeo da Miranda •Alfredo Filipponi •Carlo Marcangeli •Francesco Angelo Rapaccioli •Pietro Faustini •Alessandro Fabri •Anna Lizzi Custodi •Cesare Aroldi •Angelica Balabanoff •Rigoletto Belli •Galileo Galilei •Giuseppe Garibaldi •Alessandro Sillani •Umberto Elia Terracini •Bruno e Costante Garibaldi •Alberto Guidi
p. 5 p. 8 p. 12 p. 16 p. 20 p. 24 p. 26 p. 28 p. 32 p. 36 p. 38 p. 42 p. 44 p. 47 p. 50 p. 54 p. 58 p. 61 p. 64 p. 68 p. 72 p. 76 p. 79 p. 82 p. 86
Indice degli autori Indice degli atti di intitolazione
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