ARTE
C U L T U RA
COSTUME
SOCIETÁ
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Altrove
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C magazine Anno 7 Marzo 2014 Mensile Straybop di arte, cultura, politica, costume e società registrato al Tribunale di Reggio Calabria aut. N.5 del 19/03/2007
Fondato da: S.La.M. Project
Direttore Responsabile: Ginaski Wop
Art director: S.La.M. Project Redazione: via Pasquale Andiloro 41/g · 89128 Reggio Calabria tel. e fax 0965.29828
Hanno collaborato a questo numero:
Federico Bonelli - Silvia Cinti - Paola Doria Erika Grapes - Jan Hassermann - Alfonso Russo - Pino Scotto Ruben Toms - Alfonso Tramontana - Agnese Trocchi - Enrico Tromba
Concept del mese: L’Altrove
Editore: Farandula s.a.s. via Pasquale Andiloro 41/g · 89128 Reggio Calabria tel. 0965.29828
Progetto grafico: S.La.M. Project per Officine Farandula
Pubblicità: Farandula Editore - luisrizzo.cmag@gmail.com
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta in qualsiasi forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore. ©Farandula. Chiuso in redazione il 28 Febbraio 2014 alle ore 20:30
#Editoriale
A
ltrove come universo. Altrove come Stato e stato dell’anima. L’Altrove descritto fra le pagine di questo numero ha una dimensione geografica, onirica, sociologica, emotiva e politica. C’è chi parte per andare Altrove e restarci. C’è chi parte per sempre chissà verso quale Altrove, e c’è chi aspetta il giorno
del rincontro. C’è chi resta chiuso in un stanza, da solo con i suoi fantasmi e con la mente è già da qualche altra parte, in un’altra sfera dell’esistenza. Alcuni sono anonime anime in Patria, ma Altrove invece ottengono l’esaltazione e il riconoscimento. Altri inciampano quasi per caso nel loro Altrove, e all’istante ne fiutano l’aria familiare… Ne vedono già la tavola imbandita con tanto di chiacchiere, risate, e rumore di posate e bicchieri e odore di ragù in una eterna domenica a pranzo. Un metro quadrato è un Altrove; un checkin è un Altrove; il bancone di un bar; la rumena sulla Salaria è un Altrove di pochi minuti; il Negroski; un libro; google maps; i non più nuovi vicini di casa dell’appartamento in cui abiti ormai da anni e che dista miglia e miglia dalla tua vera casa nativa; il barbiere il sabato pomeriggio. I cortili, i rifugi pubblici, i corrimano arrugginiti, i pacchetti di sigarette MS Classic, l’acqua di colonia, gli armadi, le polaroid, il silenzio, i divani, i cani, il post ipocondria, le bestemmie, i rosari, i vecchi, i bambini, gli amici, i cappotti e il clima e ancora una lunga e infinita lista di tanti e tanti Altrove in cui abitare. Poi, c’è chi invece ancora lo cerca l’Altrove e guarda con diffidenza chi a suo avviso è un folle visionario con scarse capacità di adattamento. Altrovìsti di tutto il mondo unitevi… Potremmo essere una Nazione, o perlomeno un movimento o un nucleo! Ps: vi consiglio l’acquisto del libro Altrove - Storie da qualche altra parte (di Federico Bonelli). Merita! E se non vi piace… buttatelo Altrove! Cheers! Ginaski Wop
The Divinos Mai Così “Divi”
testo
Silvia Cinti
chi più ne ha ne metta. questa la filosofia di una band tutto fuorché tradizionale.
The Divinos, artisti, musicisti e attori amatoriali, hanno fatto in modo che la musica fosse la risposta ai loro sogni. così sempre. dall’ispirazione al cinema italoamericano se ne vedono e se ne vendono tanti di miti: alcuni restano impressi, altri lasciano una flebile scia che mano a mano scompare… ma quando l’omaggio è costruttivo e ben confezionato tutti in silenzio lo ascoltano. spaghetti western è uno dei tanti. dal rock all’elettronica dal musical all’opera, i The Divinos hanno le carte in regola per proporsi come nuova realtà musicale, teatrale? perché no, sia nel mercato italiano che estero. l’idea del gruppo è frutto della mente del songwriter Max Russo accompagnato dal suo fedele collaboratore “Chiazzetta”. i The Divinos sono prima una famiglia poi un gruppo. incominciano con il botto, scegliendo come palcoscenico il londra el bow, famoso locale inglese; le coordinate rimandano alla superlativa camnden town, focolaio di tantissime band che si fanno le ossa nei club. nel 2011 la band avrà il primo assaggio della parola successo. tuttavia la fase più creativa avviene nel giugno 2012 quando escono il primo singolo e il primo video: The Divino Code che viene trasmesso nei canali interrativi italiani. le sorprese non sono finite: i The Divinos collaborano anche con radio rock e stazione birra. finalmente, dimostrazione che nessun sacrificio è invano, nel maggio del 2013 firmano per la Valery Records. l’uscita e la distribuzione mondiale del disco The Divino Code è avvenuta nel settembre 2013, ma i The Divinos vogliono ancora comunicarci qualcosa… L’attesa di vederli performanti in un live è un sassolino che desideriamo toglierci. i
#MusiC
The Divinos è un nome evocativo, a cosa è dovuta l’ispirazione? Il nome doveva richiamare elementi italiani, qualcosa simile a The Sopranos, ma evoca anche il gusto e la ricerca del meglio. La vera fonte d’ispirazione è un ristorante a Los Angeles che si chiamava appunto Divino, da lì è nato tutto il resto. 3 è il numero perfetto, o meglio 5 se si parla di una band, solitamente ogni strumento è legato ad un musicista sul palco. Nel vostro caso, nella vostra family, è presente anche una donna. Che meccanismo innesca in un processo musicale questo valore aggiunto? La scelta del piano è in sintonia con il genere della band? L’aggiunta di un membro femminile nel gruppo è legato alla scelta dello strumento: il piano. Cercavo un tocco classico e vellutato che si legasse con tutto il resto.
cantare chiedendoci di riprendere il tema della canzone appena terminata. Un episodio analogo è successo all’ultimo concerto a Roma. Io dico sempre che si deve creare la magia, se avviene questo allora sei sulla strada giusta. Il disco The Divino Code vi rappresenta, la musica siete voi o almeno lo spettatore si aspetta di ritrovarvi sul disco come sul palco. Ma la domanda è se vi sentite a vostro agio sul mainstage: quanto conta questa prova per voi? Il live conta moltissimo, è il motivo per cui facciamo musica. Io sul palco mi sento a casa, non vorrei mai scendere; penso che dal vivo siamo anche più diretti e più emotivi, questa è anche la nostra forza.
Scorrendo i vostri brani è difficile definirvi con un genere musicale preciso, anzi a volte le etichette (rock, blues, emo…) neanche piacciono ai musicisti di un certo calibro, ma se proprio doveste essere rappresentati con un sound a quale famiglia apparterrebbe? Difficile dare una definizione netta al nostro genere. Possiamo definirci Drama crime rock retro. Avete firmato un contratto con l’etichetta discografica Valery Records; come funziona una collaborazione con una label e quanto è libero il pensiero di un artista? Puoi spiegarci come inizia a prendere forma un disco…? Innanzitutto siamo onoratissimi di far parte di un’altra grande Famiglia, oltre la nostra di musicisti, ovvero la Valery Records che in Italia a livello rock alternative è la numero uno. Oggi il concetto di label è molto diverso dal passato. La differenza tra una buona label e una non buona, sono i contatti. Una volta, anche le etichette indipendenti avevano dei soldi per finanziare tutto.. Oggi purtroppo no: è cambiato tutto… Per quanto riguarda il pensiero dell’artista, siamo totalmente liberi.. Anzi la Valery ci dà solo consigli per crescere meglio. L’elaborazione di un disco è un processo lungo: prima c’è la fase creativa pura dove butti giù tutte le idee; poi inizia la fase di scelta del materiale che prepari in un piccolo studietto in casa..e lì inizia a prendere un po’ forma la linea da seguire. Successivamente si va in studio e si fanno le famose linee guide, ovvero voce e chitarra e con il produttore in questione si crea il sound del disco e si registrano piano piano tutte le parti. Il disco è come un figlio: lo vedi crescere piano piano. Alla fine, come ultimo step, arriva il mastering e poi c’è tutto il mondo promozionale video, copertina, foto concerti... Nella copertina del vostro album The Divino Code, sembra che state recitando una parte: è finzione oppure ognuno di voi nella vostra family è attore e musicista allo stesso tempo? Io provengo da una formazione di performer ovvero attore - cantante di musical. Sono principalmente un cantante che ha sempre scritto musica Nel gruppo tutti recitiamo un parte sul palco, ma ognuno di noi resta comunque se stesso nel mondo dei Divinos. Se la performance live per voi è concepita come vero e unico show allora il pubblico dovrà restare attonito. Quanto conta il feedback emotivo che voi trasmettete e ricevete dai vostri fan? Il feedback conta moltissimo: sia quello virtuale che quello diretto e umano dal vivo. Ti posso raccontare due momenti bellissimi: il concerto di Barcellona dove la gente non ci conosceva, eppure dopo pochi minuti cantava i nostri brani e quando finimmo di suonare un pezzo, la gente continuava a
il web ti apre al mondo ma allo stesso tempo devi anche contraddistinguerti dagli altri cercando di essere unico nel tuo genere I Divinos, sono un prodotto promettente ma giovane. Se c’era già qualcosa che bolliva in pentola perché non vi siete adoperati prima per una data zero? Bella domanda! Perché ognuno di noi era impegnato in altri progetti e in più si era alla ricerca dell’idea e dell’intuizione giusta che poi è arrivata. Siamo nel 2014: Facebook è nelle nostre vite da ormai da dieci anni, qualcosa di buono almeno in materia di social media marketing ha giovato al vostro lavoro da musicisti? Sì moltissimo, tutto quello che stiamo facendo è grazie al web; le strategie di marketing sono essenziali per poi arrivare al live. Abbiamo fatto molta pubblicità via web; ti apre al mondo ma allo stesso tempo devi anche contraddistinguerti dagli altri cercando di essere unico nel tuo genere per poter essere seguito dai fan. Un consiglio per le band emergenti in Italia che vogliono salire sulla ‘divina’ giostra dello showbusiness? Uno non basterebbe, ci sarebbe bisogno di un “coach band”, perché la strada è lunga, lunghissima e ci vuole tantissima determinazione, curiosità e apertura mentale. Un’evoluzione interna ed esterna che coinvolga il sound, essere unici: questo fa tutta la differenza del mondo. Progetti futuri e/o sogni nel cassetti? Progetti futuri: promozione e uscita del nuovo video registrato a Parigi; tour in Olanda, Belgio e Spagna e il Grammy Award in Georgia. Sogni nel cassetto: entrare nel circuito dei grandi festival europei diffondendo il “codice divino” in tutto il mondo.
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Artists
Ridatevi Fuoco...Bastardi! a cura e di
Pino Scotto
Pino Scotto, ogni mese, risponde alle domande dei lettori. Invia una mail a: staffcmag@gmail.com
Droman - Ciao Pino, sto partendo per trovare un po’ di vita altrove. Mi chiedo: perché con i grandissimi Vanadium non siete andati in un paese meno ingrato per il Metal? Ti abbraccio e ti ascolto! Ciao Droman, purtroppo per colpa di un potere infame e ladrone che ha messo in ginocchio l’economia e la dignità di questo Paese, moltissimi ragazzi come te sono già andati via o pensano di andare a cercarsi un futuro in un altra Nazione. Comunque, sicuramente sarà un’ottima esperienza di vita da cui potrai ritornare più maturo e magari economicamente più tranquillo. Riguardo ai Vanadium, invece, le opportunità le abbiamo avute... ma credimi, mettere d’accordo una band è molto difficile. E poi comunque erano altri tempi, inutile piangere sul latte versato. Stay Rock ! Adriano - Ciao grandissimo Pino, ti seguo sempre su Rock Tv e adesso ti leggo anche su C magazine. Spero che risponderai a questo messaggio o che lo leggerai, mi farebbe molto piacere. Io noto che il problema dell’Italia, oltre ai politici ed altro, è il popolo… il popolo italiano sempre più incoglionito. Ed il problema più grave è che i giovani sono, a mio avviso, la fascia peggiore. Parlando di politica, il partito di Beppe Grillo mi sembra l’unica alternativa allo schifo istituzionale di oggi, eppure, quando parlo di Beppe molti mi prendono in giro e si vantano di aver votato partiti come il PD o il PDL... ma stanno male?! Partiti che hanno condotto l’Italia allo sfascio, invece di essere criticati fortemente, vengono sostenuti specialmente dai Giovani che poi rappresentano la classe più colpita dalla crisi e dagli scempi politici. Trovo sia sintomo di idiozia! Io vengo da Napoli e la mia terra è purtroppo stata colpita dall’ olocausto dei rifiuti tossici, e i politici e le persone di quelle zone sapevano tutto, ma ciò nonostante vengono ancora votati ed in certi casi addirittura elogiata dal popolo, quando invece dovrebbero essere “linciati”, a parer mio. Io partecipo a molte manifestazioni per i diritti dei lavoratori e dell’ambiente, e quando chiamo persone per farle partecipare, ricevo sempre risposte negative. Poi però, queste stesse persone, sono le prime a lamentarsi che l’Italia fa schifo, ed io credo sia un comportamento incoerente! Ritengo che il popolo italiano ed i giovani italiani, per quello che vedo e sento, si meritino in fondo un Paese così di merda. Altro cosa che vedo è l’intolleranza, persone che vanno in Chiesa, e poi non esitano 2 volte ad essere omofobi e razzisti. Ci sarebbe molto altro da dire, ma l’ unica parola che racchiude tutto è Schifo. Grazie per la lettura ed Auguri Ciao Adriano, sono più che d’accordo con te su tutto, ma purtroppo il problema non sono gli italiani... bensì la razza umana, che per la maggior parte è composta da ladri, puttane e leccaculo. Per questo motivo il mondo fa schifo, altrimenti sarebbe un luogo bellissimo dove vivere questa magica esperienza chiamata vita. Un posto dove i bambini possano essere protetti e dove gli adulti sappiano cos’è la dignità e la compassione. Fortunatamente c’è una buona parte di persone che vorrebbero un mondo pulito nel quale la parola giustizia non sia solo scritta nelle aule dei tribunali. Comunque, amico mio, ognuno di noi ha l’opportunità di poter scegliere come vivere e da che parte stare. Tutti gli altri si dessero fuoco! Carla – Ciao Pino, la musica è una mia grande passione da sempre, ma purtroppo i miei genitori mi impedirono di studiare uno strumento quando ero ragazzina. Adesso ho 35 anni e mi piacerebbe coronare questo sogno… credi sia troppo tardi? E che strumento mi consiglieresti ? Io adoro il basso elettrico. Un bacio! Ciao Carla, a parte che non è mai troppo tardi, ma vista questa tua passione devi assolutamente coronare questo tuo sogno e vedrai che ogni nota che imparerai a suonare sarà una grande emozione diversa. Io non mi stancherò mai di dirlo: se non era per la musica, probabilmente sarei diventato o un ladro o uno spacciatore. Non credo che sarei riuscito a reggere tutto il male di questa schifosa società che ogni giorno cerca di fottere la tua dignità e i tuoi sogni. Ti mando un grande abbraccio e un in bocca al lupo per tutto. Kisses ‘n’ Roll!!!
#Cove
erBeat
gli Altrove
Foto by Bertrand Desprez
di gianmaria testa
testo
O
Ginaski Wop
sannato in molti Paesi d’Europa. Premiato e apprezzato dai circuiti di nicchia del nostro Paese, Gianmaria Testa non pare preoccuparsi più di tanto dei dettami social - discografici che non consentono visibilità maggiore a chi come lui meriterebbe di arrivare al grande pubblico. Da buon Chisciottimista - definizione coniata da Erri De Luca e che dà il titolo allo spettacolo che vede Gianmaria e lo scrittore sullo stesso palco - segue il suo percorso artistico ed ideale. Il suo più recente lavoro discografico è Man at Work, un live contenente ben 23 brani che racchiudono la storia di un cantautore piemontese legato ai suoi Altrove.
#CoverBeat
Cito una frase del tuo brano “Preferisco così”: Che un amore si sa prima o dopo rubato sarà. Il concetto di amore rubato ci rende tutti ladri nei confronti altrui nel momento in cui rubiamo un amore, ma al contempo anche vittime del furto che subiremo. Dunque, è forse nell’assenza o in ciò che resta del furto che consiste la forma universale dell’amore? …Che cazzo di domanda! (ride). Non sono capace di pensieri così complessi come i tuoi. In verità è più semplice: è quasi un dato di fatto che l’amore sarà rubato o perduto. Sappiamo cosa significhi l’amore in quanto innamoramento, e questo tipo di sentimento dopo un po’, malgrado tutto, se ne va. Intendevo soltanto questo. Il resto poi è trasformazione, capacità di trasformazione.
preoccupa saperlo. Credo che da un certo punto in avanti l’adesione ai ritmi e ai dettami dei cosiddetti media forti abbia molto cambiato le cose. Il partecipare al circo massimo mediatico ovviamente accelera il fatto che le persone ti conoscano, e per carità, non è che ci sia la coda ad invitarmi chissà dove, però nel mio piccolo ho detto dei no, semplicemente perché non trovavo e non trovo molti spazi di dignità a cui aderire, per cui sono rarissime le mie comparsate in TV. Certamente questo rallenta il tutto e lega molto di più al passaparola di chi viene ai concerti o ha la ventura di sentire un disco e poi ti rimane in qualche misura fedele, non a te, ma a quello che fai. Certamente è un processo molto più lento. In Francia, ma non solo, anche in molti altri paesi d’Europa come Germania e Austria, questo fino a qualche anno fa non avveniva. Non era Perché gli uomini si ostinano ancora a scandire l’esistenza secondo legato tutto soltanto alla televisione. Ad esempio la radio francese è il parametro del tempo e delle ore? Non sarebbe meglio affidarsi molto più libera di poter mandare in onda le cose che ritiene opportuno solo al concetto di ritmo? mandare. Qui in Italia invece c’è una sorta di computerone che viene Sì, sarebbe meglio. La misura del tempo in rapporto alla vita è solo ap- caricato e che distribuisce canzoni in modo un po’ randomizzato, e di parentemente una diversità con gli animali. In realtà la misurazione del cui disconosco il metodo anche se immagino contino molto le cosidtempo è correlata alla consapevolezza delle fine, e questa ossessione dette major. della fine è uno dei nostri grandi limiti. Se invece utilizzassimo di più il Questo non succede così frequentemente in altri Paesi, e facilita un po’ ritmo o qualunque cosa si possa definire tale, probabilmente avremmo le cose. quantomeno un presente diverso, meno ossessionato da questa idea di Io preferisco cantare in Italia, perché scrivendo in italiano è il posto più fine, di punto di arrivo. naturale per me dove far concerti… Ma ovviamente vanno bene anche l’Olanda, la Svizzera o la Francia. Il Concept di questo mese è incentrato sull’Altrove. Io nei tuoi brani vedo una forte dimensione altrovìsta. È ricorrente l’astrazione In atto sei in tour con Erri De Luca con lo spettacolo Chisciottimiper mezzo di visioni marittime, stellari, iperterrene. Hai trovato un smi. Mi affascina l’immagine del Don Chisciotte, ma ancor più mi tuo Altrove in cui abitare? affascina la rivisitazione che io personalmente ho fatto di Sancho L’Altrove, per quanto mi riguarda, sta nella possibilità del mettere fuori Panza. Lo vedo come una figura altrettanto stoica, in quanto non le emozioni che vivo, positive e negative, e poi quindi di rivederle. Per ha alcuna visione di mulini a vento o battaglie ideali da combattere, me i momenti di felicità intima e individuale, prevalentemente deriva- ma ciò nonostante segue fedele e sposa la causa del Chisciotte pur no dallo scrivere una cosa che poi sia capace di trasmettermi l’emozione sapendo che è un’illusione. che l’ha generata, e quindi di poterla in qualche misura reiterare, o, nel Forse in Italia i pochi Don Chisciotte o, per usare un vostro neolocaso di un’emozione negativa, di rivederla e toccarla con mano… Que- gismo, i pochi Chisciottimisti rimasti sono soli e nell’ombra perché sto è il mio Altrove. scarseggiano i Sancho Panza? Per il resto invece, più invecchio più ritorno indietro. In realtà ad una (ride) Erri dice una cosa che condivido: Noi siamo per i Chisciottimisti situazione piuttosto chiusa e che non prevedeva di avere nulla a che e contro i Sanchopanzismi dilaganti. vedere con l’Altrove: mi riferisco alla cascina che affittava mio padre Sancho Panza, per come la vedo io, rappresenta l’inerzia che è una legquando ero bambino, e dove mi rendo conto si è formato tutto il mio ge fisica di cui tutti noi siamo vittime: spostare un corpo solido dalla essere, tutto quello che penso, e tutto quello che ho di buono o di nega- fase di inerzia alla fase di movimento rappresenta il momento in cui la tivo e che c’è in me spinta deve essere maggiore. Quando un corpo è in movimento è più facile che continui a muoversi. Sancho Panza rappresenta un po’ questa Quindi un ritorno al Ventre… tendenza all’inerzia, e adesso più che mai invece ci sarebbe bisogno di Sì, e in fondo la trovo abbastanza normale e anche forse banale come Chisciotte in giro. idea. È un tornare ad un “prima”, che conosco e che in realtà non mi Erri ne ha individuati un po’ partendo da un’idea che non è sua, ma che ha mai veramente abbandonato. In quell’ambito mi sento veramente a lui ha carpito… casa. Nazim Hikmet vede Chisciotte come un cavaliere invincibile degli assettati, definendo invincibile un personaggio che invece ha sempre perParlando di un Altrove più prettamente geografico, la tua sorte è so. simile a quella di tanti altri artisti del passato e contemporanei ac- Giustamente Erri si domandava come mai lo definisse così, spiegandosi clamati all’estero ma scelti in Patria solo da una cerchia di pubbli- poi che la poesia mette degli occhiali con delle lenti più potenti della co più ristretta. Così come ad esempio è accaduto anche a Giorgio prosa, perché i Chisciotte sono invincibili in quanto invincibili sono coConte - per rimanere in tema di contemporaneità - anche tu sei loro che sempre battuti sempre si rialzano… Gli altri sono i vincenti, ma famosissimo in Francia ed invece più di nicchia in Italia. Qual è qui i vincenti prima o poi verranno scalciati dal podio. Gli invincibili invece da noi il tassello mancante? non si arrendono mai, e non importa se vengono sconfitti sempre. Mah, quale sia il tassello mancante in realtà non lo so, né in verità mi Chisciotte è un personaggio letterario inarrivabile, perché lui è invin-
Foto by Pietro Vertamy
cibile per missione e per scelta, ed Erri individua fra gli invincibili contemporanei delle categorie che sono invincibili per necessità: una su tutte gli emigranti, che pur sapendo a quali disastri vanno incontro - finanche alla morte - diventano invincibili perché continuano a provare a partire e ad attraversare deserti o questo braccio di mare che a volte diventa spesso per loro una tomba. In questo caso l’invincibilità è data dall’ineluttabilità di una situazione: se io avessi dei figli che muoiono di fame o sotto le bombe di una guerra in Africa, probabilmente partirei anche io e non avrei nulla da perdere… Ci proverei. Torniamo a parlare di musica. Ascoltando i tuoi lavori, e premetto che mi baso semplicemente su delle mie personali percezioni… …Sì, ma sono le sole che contano! (ridiamo) Trovo nel tuoi sound atmosfere che evocano il Danzòn. La cultura Latino Americana ha avuto influenze su di te da un punto di vista filosofico e idealistico? Idealistico non saprei, però faccio parte di una generazione che può ricordare alcune immagini: quando avevo 16 anni nella festa del paesino di campagna dove abitavo, montavano sempre il Ballo a Palchetto, concepito come un tendone da circo con sotto del parquet in legno, attorniato da una balaustra più o meno intarsiata a secondo dei soldi che la Proloco aveva a disposizione quell’anno. E poi c’erano quattro o cinque musicanti e la gente stava lì a ballare. Si ballava prevalentemente il liscio con qualche variante, e dipendentemente dall’orchestrina, le varianti erano rappresentate da qualche raro sprazzo do rock and roll, e rifacimenti di ritmi latini come Salsa, Tango… ovviamente interpretati in Salsa di campagna. Questi ritmi mi affascinarono e nel tempo poi fui conquistato dal loro ascolto nelle versioni originali… Ascoltare Gardel ad esempio mi ha fatto capire cosa diavolo potesse essere il Tango e quale potenza potesse avere. Poi tutto è stato acuito dal fatto di aver registrato i primi dischi a Parigi, dove nel primo lavoro nel ‘94 ho avuto la fortuna di suonare con Cèsar Stroscio che è un grandissimo suonatore di bandoneon e lì ho definitivamente capito quale potenza potesse avere il Tango: una forza sovrapponibile ai Blues di ogni dove, piuttosto che il Fado o il Flamenco, la Morna, ed ogni genere che una determinata etnia produce. In questo senso sono molto attento all’ascolto di questi suoni che rappresentano ritmi e melodie primarie, un po’ come la nostra musica napoletana che in qualche modo ci ha tutti influenzati. Chiudo rifacendomi alla tua canzone Polvere di Gesso. Al tuo ritorno hai finalmente trovato le impronte di qualcuno che ha deciso di oltrepassare la soglia della porta che hai lasciato aperta? Sì, sì, certo che sì (ride). Quella è una canzone che all’epoca avevo scritto per i cuneesi, che se la sono anche presa a male. Il senso della canzone può essere compreso a pieno solo da loro, perché mi riferisco a due fiumi: lo Stura e il Gesso. Quest’ultimo confluisce nello Stura…. C’era un forte rimando a Cuneo e la polvere di gesso identificava una città. E perché quella città? Perché nonostante io mi sia trovato bene vivendoci è comunque un luogo che tende all’isolamento. È un’idea che sa più di Svizzera che di Italia. È una città del profondo nord ovest, isolata perché vuole fondamentalmente esserlo… C’è una ferrovia ad un semplice binario che la raggiunge. La cosa che più mi ha colpito è che in una cittadina composta da 50.000 anime, dove teoricamente ci si conosce tutti, ci siano profonde solitudini, meno spiegabili che altrove visto le dimensioni di quella che si potrebbe definire una ridente cittadina di provincia… Ma si sa, nelle ridenti cittadine di provincia può esserci una grande solitudine. La canzone l’ho scritta a Parigi, perché mi trovavo lì di passaggio, ma all’epoca abitavo a Cuneo e la metafora della Polvere di Gesso è riferita proprio al peso di questa solitudine che a volte sentivo.
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aforismi e un caffè sospeso uno scambio con
testo
Erri De Luca
Federico Bonelli e E.M.A. - Foto Laila Pozzo
mi vedo al caffè ad utrechtsestraat con un amico scrittore algerino di lingua francese che conosce e ammira de luca che io invece conosco poco. e così nascono le domande che, per conto
C magazine, buttiamo giù su un foglietto. le mando condendole di un po’ della nostra storia marginale. dopo due o tre giorni dall’invio della lettera riceviamo questa serie numerata di risposte. ve le propongo così come mi sono arrivate. di
lasciano il sapore di un caffè che non mi posso permettere, ma tant’è, questa è pur sempre la verità.
...ragazzi, c’è qualche sospeso?
no a i l g i som sono i s on on n : n e a t r rren a, allo o c una na sigl o r ent otto u eria. d i s par mette s onsort s i s sas o li si ac n o u n i so Quand ali, ma l a u ett tema. llettu l l e sis nt i nte o i i l n n “G n fa o n e Lo spettacolo più recente in cui è impegnato è uno spettacolo teatrale a Milano: Chisciottimisti. Leggo che è stato provato con una chitarra attorno a un tavolino con due amici, come a ululare un bisogno di normalità, di reinvenzione, a partire dal piccolo, dal vicino, dall’amico: la cucina di casa: fatto di poesia e chitarra. Vorrei vederlo davvero. Leggo sul programma: “Siamo Chisciottimisti perché vediamo in giro molti Chisciotte all’opera. Dove altri vedono il pessimismo sanchopanzista noi riconosciamo la sagoma ostinata e ossuta del cavaliere erratico. Esistono i Chisciotte che spronano i Ronzinante coi quali ci identifichiamo”. Ed ecco allora la rivolta per la difesa dei 600 alberi di Istanbul; ecco la misteriosa formula dell’acqua; ecco la più giusta definizione di ciò che è abbastanza. A una tavola poco apparecchiata, una terna fraterna di affiatati amici, Testa, Mirabassi, De Luca, in ordine rigorosamente analfabetico, si dichiara chisciottimista. Le va di raccontarci l’ottimismo del Don Chisciotte? Chisciotte non sa di essere ottimista, lui sa che non può starsene inerte di fronte ai torti sparsi per il mondo. Non ha un programma né una direzione, fa il meglio che può giorno per giorno. Noi venuti dopo vediamo che lui è una prua dietro la quale segue un bastimento carico di suoi simili, i chisciottimisti. Come si trova a teatro? Chi viene a vederla? Com’è? Non siamo attori e sul palco di un teatro siamo ospiti di passaggio. Quando si riaccendono le luci e scendiamo i pochi gradini stringiamo mani di ogni età, persone venute a farsi raccontare una storia, allargare qualche respiro, stappare un sorriso dalla bocca chiusa, incontrare amici.
#CoverBeat
sì che a scuola la si studi il meno possibile. Abbiamo avuto i nostri intellettuali contro, e anche quelli allineati con le logiche di opposti schieramenti. E mi ha colpito, come spiego all’amico qui accanto, che gli intellettuali simbolo del movimento attuale sembrano stridere messi l’uno accanto all’altro: Pasolini e Monicelli. Il “maledetto” e “lo stoico”. Come conciliarli? Gli intellettuali sono sassi sparsi dentro una corrente: non si somigliano e non fanno sistema. Quando li si mette sotto una sigla, allora non sono intellettuali, ma una consorteria. Pasolini e Monicelli sono stati espressione del miglior cinema della nostra storia, ma fuori delle celebrità dovute all’industria del film, altri intellettuali solitari hanno costituito sassi dentro un guado. Vede altre figure emergere in questa battaglia di poesia e realtà sociale? Sono amico di Gino Strada di Emergency, di Alex Zanotelli della Val di Susa in lotta: esistono molte buone volontà che sostengono buone ragioni. In un’intervista ad un giornale francese lei ha dichiarato: “Il compito di uno scrittore è anche quello di dare un’alternativa al passato, un’altra intelligenza”. Il passato è sempre presente nella tua scrittura? Scrivo storie accadute, perciò il passato è la mia materia prima.
E di cosa bisognerebbe scrivere? Del cuore umano, della fine del consumismo, delle ingiustizie, o dell’utopica possibilità di voltare il tavolo e reinventare qualcosa da zero, di utopia? Scrivere favole per bambini? Non faccio manifesti sulla necessità di scrivere argomenti. La letteratura che leggo deve spostarmi dal mio piccolo centro e Secondo le perché i giovani nel 2011 volendo fare qualco- portarmi nella sua giostra. sa contro hanno cominciato con l’occupare i teatri? Cosa ci sarà dopo? Cosa pensa dell’attuale situazione politica nei Paesi araNon occupano solo i teatri, anche scuole, strade, spazi lasciati bi? vuoti: la gioventù ha bisogno di marcare il proprio tempo, di I Paesi arabi del Mediterraneo hanno avviato una fase convulbattere pista, inaugurare. sa: stanno in un loro 1900. Del resto l’Islam è il monoteismo più recente e ha il suo calendario lunare. Qual è la sua opinione sui movimenti di estrema destra in Europa in generale, ed in Italia in particolare? Tra tutti i libri che ha scritto, qual è il più universale? Non vedo movimenti rivoluzionari in Europa, ma qualche Nessuno. forma di lotta un po’ più radicale. Il 1900 è stato il secolo delle rivoluzioni che hanno esaurito il loro compito riscrivendo la E il più italiano? faccia politica del mondo. Oggi il futuro è meno afferrabile Nessuno, sono tutti di stampo napoletano. con un arrembaggio. Il futuro oggi è ingolfato di previsioni catastrofiche, di crisi e di emergenze irrisolte. Questo com- Cosa vuol dire oggi essere italiani? porta scelte difensive. Siamo in un presente che istiga a pian- E domani? tare un orticello per non farsi avvelenare. Italiano è uno che se la sa cavare in ogni circostanza e anche uno abituato a calpestare la bellezza senza farci caso e anche La storia d’Italia del Novecento è tanto pericolosa da far uno che soffre perché piove. 17
un
Altrove
#CoverBeat
ecosostenibile intervista a
Federico Bonelli testo
F
Ginaski Wop
ederico Bonelli è un romano quarantaquatrenne, con una folta barba castana e capelli lunghi, che undici anni fa ha deciso di emigrare in Olanda. Abita ad Amsterdam, ma non si fa le canne. Nei suoi innumerevoli viaggi affronta caselli ed autostrade a bordo del suo furgone Citroen Jumper 1.9 D del ‘97 , ma non è un hipster. Federico Bonelli è un filosofo, scrittore, regista e creativo, e soprattutto è il fondatore dell’Altrovismo, movimento/pensiero oltranzista. Da due anni organizza ed autofinanzia in un paesello siculo, Montalbano, una rassegna di arte ecosostenibile intitolata “Trasformatorio” di cui da poco si è conclusa la seconda edizione. Bonelli sta rientrando in Olanda, sempre a bordo del suo epico Jumper. Ci incontriamo in terra di transito e confine: Villa San Giovanni, in uno scenario altrettanto epico fra libeccio e le correnti di Scilla e Cariddi. In un bar fatiscente mangiamo arancini artigianali e beviamo vino rosso e Federico racconta la sua visione di arte ecosostenibile e spiega dove si collochi e come si articoli un Altrove, che non è certo roba da cervello in fuga o da emigrante nostalgico che piange su canzoni di Mino Reitano e Toto Cutugno mangiando pizza margherita in un take away della “sua” Berlino, Madrid, New York o chissà quale altro luogo del Globo.
“L’altrove è una categoria interiore. Pretendere che si abbia bisogno di un posto specifico per “essere altrove”, inquadrarlo con categorie e aspettative consumiste non ha senso. È comunque necessario portarsi fuori, quando una situazione da se stessa, con il suo rumore, con la sua stupidità, assorbe tutta la tua energia. Questo vorrei spiegare a bastonate alle oramai decine di ragazzi che mi cercano per chiedermi una mano ad emigrare. L’altrove, per me, arriva come una risposta radicale al concetto di fuga, in particolare a quella nozione di “cervello in fuga” che mi provoca l’orticaria, con il suo intrinseco avvertimento mafioso. Portarsi altrove non è fuggire. È un modo di combattere. L’altrove è la mesa grande, dove l’aria è più pura e dove i nemici se vengono a cercarti diventano puntini ben visibili nel traguardo del tuo fucile. Altrove è il luogo dell’anima da cui puoi creare nel mondo. Ognuno ha il suo. Può essere anche una soffitta in centro a Palermo o un monolocale a Segrate. Murakami ha scritto libri in un appartamento del Tuscolano negli anni ‘80. Se c’è riuscito lui, noi non abbiamo scuse. L’altrove può essere ovunque.” Perché un Altrovìsta in “bolletta” si autofinanzia e produce incontri culturali ecosostenibili nel Sud Italia? Sei intimamente slave o sei sospinto da quale sentimento? (ride) … sto cercando l’Altrove! Al di là della battuta ci sono due motivi: il primo è il metodo. Seguo le coincidenze significative e le coincidenze mi hanno riportato in Sicilia. Mia madre vendette nel 2005 l’ultima particella di terra siciliana degli antenati a un cugino e mi diede i pochi soldi che aveva fruttato dicendomi: “Quel documentario che sono anni che vuoi girare, sul futurismo siciliano, ecco, prendi questi soldi e fallo!”. Io volevo intervistare un professore, Peppino Miligi, oramai anziano, di cui avevo saputo per caso che conosceva tutto sui Futuristi. E così scesi in Sicilia con un cameraman per riprendere questa intervista. Lui era di Montalbano. Anni dopo mi scrisse che “Aspettava di vedere con me il panorama dell’Etna da Montalbano”. Fu l’ultima notizia che ne ebbi perché morì. Però mi invitarono a Montalbano per un convegno a due anni dalla morte e feci vedere parti dell’intervista. Mi innamorai dei luoghi, scoprii il castello, tante belle persone pulite... In fondo arrivai al luogo dove far nascere il Trasformatorio per coincidenze significative. E poi al sud c’è tutto. Sole, energia, persone belle, cibo, la calma, il mare. C’è solo la peggiore classe dirigente di sempre. Se ve ne liberate siete a cavallo! L’idea di performance ecostenibili rinnova di fatto il concetto di spazio. Non hai bisogno di palchi, luci, sipari, camerini, travi… Vale a dire che, utilizzando lo spazio Naturale della location non c’è bisogno di occupare spazi in particolare per dare libero sfogo alla creatività. Dunque: Meglio un teatro libero che un teatro Okkupato? Sono cose diverse… (sorride avendo colto in pieno il mio riferimento ai “fatti” del Valle a Roma - nda) in entrambi i casi si dimostra che per FARE è ormai necessario liberare. Chi occupa un teatro costruisce un altrove di tipo diverso. Temporaneamente si rapporta a un pubblico il più largo possibile con il miglior programma culturale che può offrire per esigenza interiore. Vive un’utopia. Io sono per l’occupazione dei teatri! Però a me interessa un altro tipo di approccio per ottenere lo stesso profumo di libertà: uscire dalla situazione chiusa e portare persone a camminare in un bosco di notte prima di sentire una storia. Disegnare la mia scenografia per il chiaro di luna. È una questione di strategie differenti, per alimentare ricerche che partono dalla stessa esigenza. Un’esigenza di libertà creativa da ottenere a un prezzo specifico e personale. Contro tutti a ciascuno il suo. Con i teatri e chi li occupa io voglio condividere la rete, aiutare e farmi aiutare. Contaminarmi...
Se un mafioso, incuriosito da quanto vede durante una tua rassegna, dovesse avvicinarsi dicendoti: “Sig. Bonelli, mio figlio sogna di fare l’attore… U facimu lavurari?!” Tu come reagiresti? Difficile: non ho soldi, non ho potere nell’industria culturale e non ho lavoro da dare: per un mafioso o per un politico che si “occupa” di cultura non sono interessante. Neppure porto voti perché vivo all’Estero. Il “tuo” mafioso ha ormai accesso preferenziale alla fiction di Canale 5 o della RAI: può andare dal direttore di uno stabile, perché dovrebbe perdere tempo con me?! Montalbano è un paese che mi ha invitato e ti assicuro che mi sento molto bene accetto e non è un paese mafioso. La mafia è sopravvalutata. O meglio spesso ci sopravvalutiamo noi… A loro di noi frega un cazzo. Fa parte del modo con cui voglio tirare su Trasformatorio: ascoltare tutti. Tutto è materia teatrale. Ascoltando si comincia a conoscersi. Non sono nessuno io per insegnare a chi vive al sud come si deve combattere la mafia. Odio questi cliché. Con realismo.
forme e immaginare percorsi, inventandoci, sulla base dell’esperienza fatta, cose diverse assimilabili in modo più organico. Vorrei che arrivassimo già ad avere un embrione di idea di spettacolo itinerante alla fine delle due settimane. Portarlo a finire in Olanda, tornare giù a fine estate magari, con qualcosa che faccia venire voglia alla gente di uscire di casa e venirci a vedere. Il concetto di Tempo e Malinconia per un Altrovista? Ed eventuali antidoti? La malinconia mi prende ogni tanto. Ad Amsterdam non ci si incazza spesso, e l’incazzatura, l’invettiva, sono il carburante del mio entusiasmo. Mi piace scrivere invettive. Però ho anche la meraviglia. E la meraviglia, il momento in cui non hai che dire, solo occhi, orecchie, lingua, quello è l’antidoto per ogni malinconia. Quanto al tempo, non esiste. È una finzione. Esiste l’irreversibilità, la dissipazione, l’entropia, la vecchiaia, il sonno. L’errore. L’errore esiste. Non il tempo. Quando e dove credi finisca un Altrove? Gli Altrove non finiscono, sfumano gli uni negli altri. Siamo di carne e sangue e siamo fragili. È così facile spezzarci. Se il grande McMurphy (il film è Qualcuno volò sul nido del cuculo) finisce sotto il bisturi della lobotomia, l’Altrove passa a Grande Capo, che sfonda il muro e se ne va via. Il film continua ma non ne vediamo più. Penso che l’Altrove sia fatto di gesti che rendono la vita piena. Almeno sulla vita, sulla propria vita, non si può fare gli oltranzisti? Assumendosi interamente il prezzo delle proprie scelte ovviamente. Un po’ il contrario della cultura del piangersi addosso e cercare di fottere l’osso ad un altro. Cosa che va per la maggiore da vent’anni da voi. Fare a meno delle ossa e tutto il resto non è difficile... Un look, un abito ideale per un Altrovista? E una stoffa che identifica un Altrovista? Ed inoltre, un accessorio… Che ne so, lo zippo fa troppo beat, l’eschimo è negli armadi impolverati di Guccini, il Fez è ancora troppo di moda… Dimmi tu un accessorio Altrovista. Domanda inaspettata! Sono il meno indicato a dare indicativi di moda. Non mi sono mai potuto permettere lo stile che si confà ai miei gusti. Io vestirei di tweed un giorno e in abbigliamento da trekking il giorno dopo. Di fatto passano le mode e io vesto sempre uguale. Ero grunge prima di Seattle e sono rimasto così. Sono al terzo revival. Per l’accessorio invece non ho dubbi: il coltello a serramanico, buono per affettarsi la mela o il salame. Aggiungerei un taccuino finto moleskine comprato al supermercato per 4 euro e la matita Montalbano ho avuto qualche problema di calli pestati a fregata all’Ikea. qualche signore con le sue agende sul castello, ma soprattutto moltissimo aiuto dalle realtà locali. Gli anziani che hanno Abbandoniamo i letti e i divani! Abbracciamo un eroimprovvisato una festa insegnandoci a fare la pasta al modo tismo, una sessualità ecosostenibile. Che ne pensi? Ad tradizionale; i vicini che venivano a scambiare due chiacchie- esempio a Central Park c’è una zona dedicata all’Enjoy re; il caseificio e i ragazzi del paese chi ci hanno procurato the silence… Io immagino un central PORK in stile Enjoy the sex. Oppure: Blowjob in silence. persino le pentole per improvvisare la cucina. Stare all’aperto è veramente erotico. Per questo è proibito fare Qual è fra tutte, l’iniziativa che più ti ha colpito quest’an- sesso all’aperto nella natura. L’erotico è proibito, per questo ci interessa. E nella natura le occasioni quasi masturbatorie no durante il Trasformatorio in Sicilia? Il gruppo è stato magnifico. Calcola che non avevamo NUL- sono infinite. Camminare in un bosco con la luna come se si LA. Né soldi, né equipaggiamento. Nemmeno la cucina. Ma fosse al buio in casa propria, come una bestia, senza paura. fantasia, buonumore e competenza a palate. È stato fonda- O portare 100 persone in giro di notte in un palazzo vuoto al buio, con la luna piena, o con il vento o la pioggia o la neve mentale. Siamo partiti dallo spazio vuoto, come insegna Peter Brook, fuori. Questo lo trovo intrinsecamente erotico. Camminare a e lo abbiamo popolato, organizzato, disegnato. Il lavoro del piedi nudi nel fango. O sull’erba. Come leccare via una goccia gruppo mi ha colpito moltissimo. E poi tutta l’estate ho visto di vino dalla mano di una donna che si è vista dieci minuti fiorire ed evolversi progetti e collaborazioni iniziati a Tra- prima. Ecco, forse mi interessano tutti i modi possibili per traslare la sessualità. Dopo questo delirio di rappresentaziosformatorio. È stato di una bellezza quasi inquietante. Quest’anno la sfida è più impegnativa. Dobbiamo provare ne da youporn credo che l’erotico si recupera solo uscendo
#CoverBeat
dal gioco del sublimare/desublimare ed entrando a corpo pieno nella trasformazione... Tutto il resto è niente. Acqua asciutta. Hai mai pensato al suicidio? Sì, ma lo escludo. Un po’ come lavorare per la pubblicità. Per ora tutto bene, per ora tutto bene... Il tuo volto mi ricorda un po’ il Caravaggio! Sarà la barba lunga, i capelli, il taglio degli occhi... Trovi affinità caratteriali con il suo temperamento irruento e violento? Mi piacerebbe portare la spada e il pugnale sotto il mantello e girare di notte e sentirmi pericoloso. Potremmo andare assieme! Come compagno di bevute non sono un granché ma racconto storie buone. Non credo che fotterei il ragazzino ricciuto, il concubino del cardinale, né ruberei l’amasio a un cavaliere di Malta. Non ho né i gusti né il coraggio. Però attento alla virtù di tua moglie! Quanto alla violenza è una reazione debole. Ti porta i guai. La forza però è un’altra cosa. Non dobbiamo fare finta di conoscere la violenza e di possedere la forza. Sono due cose che vanno fatte davvero: conosciuta la prima e conquistata la seconda. Il teatro è un modo per conoscere. Il teatro è Dionisio, e le sue baccanti sono pericolose per il non iniziato alla danza. Ti squartano. Nella foto di copertina di Facebook sei in ginocchio e urli in balia di un forte vento… Mettiamo il caso che il vento faccia da messaggero. Chi è il destinatario? Quel messaggio arrivò. A 1750 km di distanza. Dritto come una coltellata al cuore. Quel giorno mi misi apposta in condizione di morire per caso. Ero sul tetto di un grattacielo di 17 piani, che abitavamo in 4, ai margini di Amsterdam. Un’occupazione temporanea - diciamo legale - per evitare quelle vere: un pre-Trasformatorio. Un amico americano, Michael, mi chiese di giocare con i gabbiani che facevano il nido li sopra. Uscii. Loro difendevano i nidi e urlavano. E io cominciai a ballare vicino al bordo. Soffro terribilmente di vertigini e mi resi conto che anche se stavo “recitando” rischiavo di finire giù davvero. Mi sono seduto e mi sono messo a meditare in silenzio. Michael riprendeva e una tedesca bella come una dea scattò la foto. Non avevo la minima idea di cosa stessi facendo, ma emisi un respiro fino in fondo, come fosse l’ultimo. Non è un urlo, non esce suono, ma l’ultima bolla d’aria dai miei polmoni. Qualche settimana dopo, il giorno del mio 42esimo compleanno, ho raggiunto la punta di quel coltello e lì sono morto ancora. In altre condizioni. Non l’ho fatto più, una morte rituale basta, due sono troppe, tre ridicole. E ora eccomi qui. Finito lo shooting, te la sei poi scopata questa Dea tedesca? No, stava col suo uomo. Ma è mia amica su Facebook… Un pesce fuor d’acqua può trovare dimora in un tumbler di Whisky? Prego si accomodi... Bonelli… Lei ci è o ci fa? Marinetti nel ‘26 presenziò a una cerimonia per il decennale della morte del suo fraterno amico Boccioni. Disse che la più grande prova del genio di Boccioni fosse l’elasticità. Sono d’accordo con lui. Bisogna essere elastici, flessibili, ricoprire il reale, incamerare energia con le tensioni e incanalarle con violenza verso un punto. A costo di rompersi, esplodere. Ci sono e ci faccio. E l’unica cosa importante è il “ci”: esserCI. 23
L’Altrov testo e foto
“C
osa ci faccio qui?” se lo starà ancora chiedendo Bruce Chatwin, uomo-viaggiatore dedito all’arte e alla fotografia, narratore di strabilianti storie e acuto osservatore del mondo, morto di AIDS all’età di 48 anni. Magro, occhi azzurri, capelli biondi, eterno ragazzo, Chatwin sapeva raccontare le sue storie avventurose grazie ad una comunicazione visiva-letteraria unica. Viveva in prima persona e poi faceva in modo che l’altro, il suo interlocutore, si trovasse in quell’altrove, mai utopico sì reale, che Chatwin scopriva in ogni suo viaggio. Dal Sud America all’Asia, dall’Asia all’Australia, il nostro eroe annotava scrupolosamente ogni singola realtà in cui andava ad imbattersi. Se a quel tempo l’idea di una vita nomade era eccitante, per Chatwin non doveva rimanere un’idea, ma un’esperienza tangibile. “Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma”. “Il cambiamento è la sola cosa per cui valga la pena vivere”. Queste parole trasudano dalle lettere e dai saggi scritti dallo storycatcher per antonomasia, colui che ha fatto del “Wonder Voyage”, il “viaggio meraviglia”, la sua casa, una casa mobile, se vogliamo usare un ossi-
Silvia Cinti
moro calzante. Nessuno di noi ha delle coordinate prestabilite da seguire, la vita è come te la fai, è qui o altrove, tutto dipende da che partita stai giocando; per Chatwin quell’altrove era composto da luoghi, modi e culture del viaggio che hanno in un secondo momento disegnato la mappa della sua vita.
L’
azzurro era il colore preferito da Vasili Kandinski, non c’è da stupirsi visto che dietro a quella tinteggiatura si celano copiosi significati che potrebbero alludere a diverse trame: dalla ricerca di un altrove inesplorato o al far emergere una forza evocativa non indifferente da cui trarre ispirazione. Trasparente come l’acqua e il cielo, l’azzurro è il più immateriale dei colori. E il più profondo. Perché l’occhio vi si può perdere senza ostacoli, giù giù fino a scoprire un altrove che non si potrebbe cogliere attraverso uno sguardo superficiale della tela. Scriveva il pittore russo: “Più l’azzurro è profondo e più richiama l’idea di infinito, suscitando la nostalgia della purezza e del soprannaturale…”.
ve
Qui!
Kandiski è uno dei padri dell’Espressionismo di fine ‘800 che ha spezzato il filo rosso con la tradizione e ha cercato di rendere il reale, astratto, non più schiavo di pre-concetti o verità inesplorate. L’intento era quello di creare una grande famiglia di forme, linee e colori emancipati che strizzassero l’occhio alla formula del ‘giàdettogiàvisto’. Durante tutta la sua fase creativa, lunghissima, Kandisky cerca di mettere in scena un palcoscenico dell’altrove, di quell’esserci al di là di ogni apparenza. Il risultato è strabiliante. ndare in Islanda a trovare i Sigur Rós”. Strane creature provenienti da terre lontanissime, alieni o umani, dall’Islanda i Sigur Rós tracciano un loro percorso che solo a pensare al loro paese di provenienza, sembra essere connotato dal concetto di altrove. Partoriti insieme all’ultima fatica musicale Valtari, i sedici filmmakers, prodotti con le melodie del gruppo post-rock e i registi di ogni parte del Globo, sono l’ennesima dimostrazione che i Sigur Rós sono figli di un altro Pianeta. Questa non è solo un’affermazione ma la verità. Il concept#14 ispirato a Valtari diretto da Christian Larson con le coreo-
“A
#CoverBeat
grafie di Sidi Larbi Cherkaoui attira l’attenzione dell’occhio incuriosito, schiavo della musica evocativa che gira nel web. “I’ve always been inspired by dance, so I wanted to tell a short story with dialogue through movement, without anyone saying anything”. In effetti proprio questo viene rappresentato nel corto di 10 minuti, un tempo così breve, ma intenso per le emozioni che regala:sembra tutto fuorché rapido. L’uomo e la donna danzano insieme corpo a corpo e attorno a loro una massa cementificata di grattacieli, fumo, grigio ovunque, ma appena loro iniziano a ballare, ecco la luce. La danza come arte, ma soprattutto come sperimentazione del proprio essere. I due performers si cercano, si trovano, si innamorano e affondano il reciproco mood emotivo nel partner: quell’altrove che stavano ambedue aspettando. Un altrove fatto di amore e luminosità, un altrove talmente intimo che sfugge al controllo, così passionale da voler bucare lo schermo per entrarci. “We never meant our music to come with a pre-programmed emotional response. We don’t want to tell anyone how to feel and what to take from it”.
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Io sono il tuo Altrove
guida teorica per il ritrovamento dell’anima gemella testo
H
o assistito recentemente alla rappresentazione teatrale rivisitata e commentata del Simposio di Platone. Lo spettacolo si è tenuto presso il Teatro Parenti di Milano ed ha abbracciato con brutale schiettezza ed un’ottima regia la pseudo-oggettiva inattuabilità degli ideali dell’amore, cosiddetto platonico, ai nostri giorni. Si è parlato di individualismo, di pornografia, di materialismo estremo. Sì, tutto vero però...se concediamo a noi stessi di credere all’esistenza del concetto di anima, senza necessariamente sfociare nell’animismo o in sistemi para religiosi particolari, ci accorgeremo che nel corso delle nostre grette e profane esistenze, in uno o due punti oscuri, probabilmente ci siamo anche innamorati. Orrore. Cosa significa innamorarsi? Gli scienziati parleranno di serotonina, ossitocina, pulsioni adolescenziali, continuità della specie. No cari scienziati, sto parlando di amore, non di sesso. Sì: i due aspetti, quando le cose vanno straordinariamente bene, procedono di pari passo, ma non è sempre questo il caso. Alzi la mano chi ha sempre e solo fatto l’amore con la propria anima gemella. E basta. Tutti? Non credo. Se questo fosse il caso non esisterebbero:
Erika Grapes
Dunque i casi sono due: o l’”anima gemella” intesa come persona fisica e spirituale con cui andremmo sempre perfettamente d’accordo pur essendo innamorati (non il migliore amico o la migliore amica, dunque) non esiste oppure, se c’è, è parecchio complesso rintracciarla e poi restarci in contatto. Alcuni di voi conosceranno la storia di Romeo e Giulietta (poco incoraggiante, a dire la verità), altri (sicuramente di meno) avranno visto film come “Serendipity” o letto romanzi come “Le Affinità Elettive” o “Anna Karenina”. L’elemento tragico non è sempre presente, così come non è sempre assente il lieto fine. Ciò che ritorna in centinaia, forse migliaia di storie, però, è l’inspiegabilità di una particolare tensione verso una persona specifica. La sincronicità di alcuni pensieri ed azioni, i paralleli esistenziali, l’interrogativo mistico: “Chi è? Perché è così importante per me?” qualcosa, insomma, che va oltre il carnale fine a sé stesso e sconfina nel “magico”. In tempi relativamente recenti si è sviluppato in rete un discorso teorico sull’anima gemella che riprende il discorso di Aristofane nel convivio di Platone e trascende la relazione amorosa di per sé.
La storia della creatura perfetta che è stata divisa in due e le cui metà continuano perennemente (metempsicosi o conti1. Le commedie romantiche nuità dell’anima attraverso il passaggio di “DNA” da genitore 2. I manuali per le donne su come essere più a figlio?) a cercarsi per ritornare ad essere completi, assomistronze perché gli uomini non le filano glia in tutto e per tutto ad una favola. Tuttavia mi fa pensare 3. I manuali per uomini di “mindfucking” per al principio del Tao, uno dei principali concetti della filosofia non soffrire più e far soffrire, invece, gli altri e della medicina cinese. 4. I manuali per ripigliarsi dalle batoste sentiNel simbolo del Tao, due metà, diverse ma uguali al tempo mentali, che incitano alla glaciazione delle emo- stesso, si fondono per creare un’unità perfetta: il macrocosmo della coppia nel microcosmo dell’universo. zioni No, non si tratta di un lapsus casuale: quando siamo pro5. Le sedute psicanalitiche 6. Le favole con principessa e principe azzurro in fondamente innamorati, la potenza del sentimento stesso si condensa e si incarna nella persona amata, l’amore universacui prima del lieto fine ci si imbatte in una quan- le generico si fa materia e diventa più importante di tutto il tità di prove estreme da superare resto.
7. La bulimia 8. I divorzi 9. I club per scambisti 10. etc.
Dunque macrocosmo relativo. Siamo tutti parte dell’universo. In realtà, forse, siamo tutti metà dell’universo in ricerca dell’altra metà. Quindi siamo
#CoverBeat
tutti — in termini puramente spirituali — l’altrove di qualcun altro. La terra promessa della nostra “anima gemella”. Sì, ma quale direzione prendere, nella ricerca della metà perfetta? Secondo questa teoria è più valido il detto “chi si somiglia si piglia” che non “gli opposti si attraggono”. Due metà di una stessa mela, insomma. Non mezza mela e mezzo limone. Spiritualmente parlando. La verità, forse, è che l’anima gemella non va cercata proprio, anche perché quando le mezze mele si incontrano, esse si riconoscono all’istante e inequivocabilmente, quindi non devono stare lì a fare troppi test sull’affinità di coppia. L’evento è talmente autentico da non necessitare spiegazioni: come se il destino, ineluttabile, si compisse all’improvviso, disvelandoci l’universo intero con tutto il suo ventaglio di misteri. Poiché l’universo relativo coincide con le due metà ricongiunte, che contengono in sé amore e perfezione. Come favorire il verificarsi di questa specie di miracolo? Innanzitutto non si tratta di qualcosa che si possa forzare con la volontà. Non è qualcosa che possiamo decidere coscientemente. Potremmo, anzi dovremmo, prepararci in modo da essere pronti nel momento giusto. Essere pronti significa essere sé stessi. No. Non una versione di sé stessi o più o meno sé stessi. Essere pronti significa essere maledettamente sé stessi, senza finzioni, senza insicurezze inutili, senza maschere, senza cose che non siamo, senza etichette affibbiateci da altri, senza pensieri di altri ad affollarci la mente. Conosci te stesso, disse il saggio. Permetti a te stesso di essere, affinché io ti riconosca fra mille, ci chiede la nostra metà. Chi ci vuole cambiare, chi ci vorrebbe in un altro modo, non va bene per noi. In ogni caso non è la nostra metà perfetta. Questo non significa che bisogna restare per forza da soli fino a quando il destino busserà magicamente alla nostra porta: conoscere e amare fa parte del percorso umano ed animale. La malinconia e la tristezza nei momenti in cui finisce una relazione anche. Però se mettessimo le cose in prospettiva, se decidessimo di credere che esiste nell’universo almeno una persona in grado di comprenderci perfettamente senza parole e di darci amore, rispetto e attenzione non “nonostante” il modo in cui
siamo, ma proprio in virtù di esso, alcune delusioni farebbero certamente meno male e verrebbero vissute con molta più serenità. Il “lasciar andare” ciò che non ci appartiene per natura, farà spazio alla nostra unicità e verità e a ciò di cui abbiamo realmente bisogno e ci renderà più puri, visibili e riconoscibili nel grande magma delle relazioni interpersonali. Sì: esistono persone che stanno meglio con sé stesse rispetto ad altre ed è senza dubbio più facile innamorarsi di Monica Bellucci o di Brad Pitt (giusto per non fare due esempi banali), ma non necessariamente chi ci piace corrisponde lo stesso sentimento. La reciprocità è importante, fondamentale. E deve esserci corrispondenza in egual misura. L’amore perfetto è un’esperienza estetica, di contemplazione estatica da ambo le parti, che non si stancano mai di riconoscersi a vicenda, in un moto perpetuo del cuore. Se una delle due parti si mostra distratta o scarsamente interessata, non è cosa. L’anima gemella è eterna: se ci avete provato e ad un certo punto non ha funzionato, non si trattava di quella persona giusta per voi. Leggende dal web narrano che incontrare l’anima gemella sia un’esperienza talmente intensa da sconvolgere le due parti in causa. Lo narra anche il film Big Fish nella scena del circo, in cui il mondo si ferma all’improvviso e poi riprende improvvisamente al doppio della velocità, per recuperare. Al di là dell’esperienza dell’incontro, le anime gemelle non si assomigliano semplicemente in parte: sono drammaticamente identiche! Ridono per le medesime cose, nel medesimo modo, hanno occhi simili, valori simili, gusti simili. Credono nelle stesse fesserie. Insomma, anime gemelle. Se si assomigliano solo in parte, possono essere anime affini, ma non “la metà della stessa mela”. Ciascuno di noi è lo speciale altrove di qualcuno di altrettanto speciale, che forse non incontreremo mai, ma tanto vale essere il migliore altrove possibile, giusto in caso...e anche per amore di tutti gli altri “altrove” che incroceremo nelle nostre divagazioni, spirituali e non. Ama te stessa. Ama te stesso. Ama il prossimo tuo come te stesso. Ama l’universo, poiché ne fai parte. Ama l’universo, poiché l’universo ha bisogno di te. Tutto ciò di cui hai bisogno è amore. 27
#Usi e
jazz
l’Altrove del
testo
Alfonso Tramontana
L
a droga enfatizza la percezione delle immagini e dei colori amplificandone la saturazione. Nel caso del suono l’abuso di sostanze stupefacenti porta a una maggiore risonanza delle frequenze musicali basse. Si ha come la sensazione di percepire i messaggi subliminali della notte. Si nascondono nel chiaroscuro delle luci dei lampioni, nello scintillare fulmineo dei fari delle macchine, nel suono del ghiaccio dentro al bicchiere del cocktail, nei profumi dei caffè all’alba dei nottambuli e dei camionisti. Quando le lancette dell’orologio segnano mezzanotte circa, quali segnali giungono alla mente di un uomo che, con la barba lunga ed uno strano cappello in testa, carico di alcol e di droghe pesanti osserva e si immerge in una metropoli americana? Forse per questo Thelounius Monk componeva solamente di notte, sul pianoforte che teneva rigidamente in cucina. Citando Plutarco diceva che «la musica è come la medicina. L’arte medica, infatti, per creare salute deve partire dalla conoscenza della non salute, la musica per creare armonia deve partire dalla disarmonia». Le dissonanze di bicordi e tricordi sperimentali, i cromatismi dell’improvvisazione spartana ma essenziale, le
“macchie” ritmiche ed armoniche, le modulazioni atonali che, come un colpo al cuore, spostano i diesis ed i bemolle in maniera rivoluzionaria su e giù per la decafonia, sono tutte invenzioni che Monk utilizza per imitare, descrivere il subliminale che si cela nel buio della notte ma anche nel buio della mente. E gli angoli della psiche in alcuni casi possono essere ancora più oscuri di difficile interpretazione anche per la psichiatria più fine. Monk, affetto da una non chiara patologia psichiatrica, alimenta questi lati oscuri con l’alcool e la droga, terapie estreme che amplificano il chiaroscuro del suo genio compositivo. La musica dodecafonica insegna che si può comporre non solamente con sette note, ma sfruttando l’intera gamma delle dodici note. Questa è la ricerca di un ordine superiore, che sfrutta la magia del cromatismo musicale. Vuol dire fare musica suonando anche i tasti neri della tastiera e non solo quelli bianchi, vuol dire fare musica a colori e non in bianco e nero. Per questo la parola cromatismo viene dal greco “Croma” che vuol dire, appunto, “colore”. Ed i colori più intimi, più nascosti, più estremi si trovano suonando i tasti neri, bui della mente dell’uomo, e possono essere accarezzati solamente dalle dita esperte del subliminale che riesce a far vibrare le corde dell’anima. Tutto ciò è la musica di Thelounius Monk che, colpevole di eseguire
una musica incomprensibile ai più, veniva schernito dalla critica inquanto espressione della “Zombie music”. La verità è che la sua musica cesellava la vita più estrema, quella più reale, le sue dissonanze enfatizzate dall’uso del pedale e dagli smorzatori del suo pianoforte scendevano su ferite incancrenite a volte come balsamo, a volte come sale. Ma il messaggio subliminale della musica di Monk non tende a cristallizzare tutto verso un’unica cosa. L’uomo nuovo di Monk è l’intellettuale, è il vinto dalla quotidianità di una società fortemente individualista, è l’uomo che riesce a parlare con se stesso indipendentemente dal luogo sociale in cui si trova, ma forte di un suo luogo interiore. È l’evoluzione del bebop? È il superamento dell’hard bop? Solo masturbazioni da dilettanti critici musicali! Monk è Monk punto e basta! Chi ama il jazz percepirà in maniera subliminale Powell, Evans, ma anche Schomberg, Prokoviev, Strawinsky! Monk muore il 17 febbraio 1982 per emorragia cerebrale, drammatico straripare di un sangue troppo carico di alcol, droga e lati oscuri. ‘Round midnight, forse il pezzo più celebre di Monk, racchiude tutto ciò e tocca i limiti del subconscio creando armonie interiori con la forza delle dissonanze stonate concepite nel disordine di una cucina. 29
Alejandro Caiazza Viva la globalizzazione!
A
testo
Erika Grapes
lejandro Caiazza è artista e cittadino del mondo. Nato in Venezuela, di origini italiane, ha vissuto a Parigi e attualmente abita e lavora a New York City, dove sembra trovarsi molto bene. Non prova nostalgia e pensa che viaggiare sia positivo, sia che lo si faccia con lo spirito che con il corpo. Alejandro non pensa che la globalizzazione sia un male per la società: tutt’altro. Forse perché vive perfettamente nell’hic et nunc e va dove lo porta l’ispirazione. Le sue opere sono esposte a Roma alla Gallery of Art-Temple University e noi di C Magazine l’abbiamo contattato per fargli alcune domande.
La tua vita si è divisa fra Venezuela / New York / Parigi, Cosa ti ha spinto a spostarti in luoghi così lontani fra loro? Sono cresciuto in Venezuela, dove ho tenuto le mie prime mostre personali e collettive. Nel 2000 ho viaggiato per l’Europa, ho visitato molti Musei, ho conosciuto alcuni artisti e ho deciso di trasferirmi a Parigi. Ho vissuto e lavorato a Parigi per dieci anni. Nel 2009 mi sono sposato e abbiamo avuto l’opportunità di spostarci a New York, dove viviamo attualmente.
degli adulti? Da bambino usavo qualsiasi cosa mi capitasse sotto tiro per disegnare: matite, pennarelli, pastelli. I bambini disegnano e dipingono direttamente dal cuore, semplicemente, senza regole e senza giudicare. Perché molte delle tue opere sono senza titolo? Probabilmente mi concentro soprattutto sul titolo della mostra
Il linguaggio visivo pubblicitario è di semplice comprensione. È per Il tema principale di questo numero di C Magazine è l’Altrove. Dove questo che riesce a raggirarci così facilmente? vorresti essere in questo momento? Si tratta di un luogo fisico o di Sì, quella è la ragione principale. un luogo dello spirito? Entrambe le cose. Spiritualmente voglio trovarmi ovunque mi porta la Attualmente vivi a New York. Di quale luogo, fra quelli in cui hai mia creatività e ispirazione. E geograficamente qui a NYC. vissuto hai più nostalgia? Cosa è la nostalgia? Non ho provato alcuna nostalgia vivendo a NYC. Anche se a volte mi Negli ultimi 15 anni hai esposto in Sud America, Giappone, Stati manca la spiaggia. Uniti ed Europa. Hai riscontrato differenze nel tipo di pubblico che si è presentato alle tue mostre? Rappresenti spesso, nei tuoi dipinti, espressioni di stupore, terrore In realtà no, sono stato abbastanza fortunato perché ovunque i visitato- o meraviglia. Come mai? ri delle mie mostre sono stati aperti e hanno apprezzato il mio lavoro. Si tratta di sensazioni e momenti specifici che ho provato e vissuto e che ho trasferito nei miei ritratti. Le tue opere hanno un sapore primario, immediato, richiamano l’arte primitiva. Parli un linguaggio universale? Vuoi arrivare al Fra le tue opere più intense, a livello cromatico, ve ne sono alcune cuore prima che alla mente? raffiguranti animali. La foresta ha colori più brillanti della città? È Incorporo un linguaggio universale per raggiungere i cuori e le emozio- più viva? ni della gente. Non necessariamente. Penso che dipenda da come vedi le cose e in quale prospettiva. La città può essere molto intensa e io dipingo i colori che Cosa pensi della globalizzazione? sento. È grandiosa! Rende le cose molto più semplici. Due anni fa hai esposto a Roma (Anatomia del Sentimento — LavaCosa pensi del mercato dell’arte? toio Contumaciale). Tornerai ancora in Italia? Può essere un po’ ambiguo... Certo! Proprio in questi giorni alla Gallery of Art-Temple University di Roma partecipo con alcune opere alla mostra collettiva “La Grande Hai origini italiane. Quanto ti senti italiano? Le radici sono impor- Illusione” tanti? Viaggiare indebolisce le radici oppure le espande? Amo la cucina italiana, la cultura e le donne (mia moglie è italo-ameri- Grazie per il tuo tempo, saluta con un messaggio personale i lettori cana). Quindi le mie radici sono decisamente italiane! di C Magazine! Sì, le radici sono importanti perché ci aiutano ad autodefinirci e viag- Non smettete mai di sognare e di credere in voi stessi: amate ciò che giare le espande sicuramente fate... Spero di vedervi alla mia prossima mostra! Cosa disegnavi da bambino? In che cosa i bambini sono migliori Grazie per l’opportunità!
#ContemporaryArt
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il cinema pionieristico dell’Altrove testo
Paola Doria
#16:9
- Spazio, ultima frontiera. Eccovi i viaggi dell’astronave Enterprise.... -
N
o, Star Trek, il Capitano Kirk e il vulcaniano Spok non erano ancora nati. L’Altrove viene sempre associato alla fantascienza, alla scoperta di nuovi mo(n)di, alla fuga dalla realtà. Ovviamente questi tre elementi del cocktail variano a seconda dell’epoca in cui ci troviamo. L’Altrove viene sempre e comunque inteso come qualcosa di totalmente estraneo che porta un po’ di inquietudine (forse la paura dello sconosciuto) nella vita dell’uomo. Ma non è sempre così, soprattutto al cinema.
I
l primo pioniere dell’Altrove è senza dubbio l’amatissimo Georges Melies. Prestigiatore, presto si accorge delle potenzialità del mezzo cinematografico e riproduce i suoi trucchi su pellicola per portarli nelle case... ops, nickelodeon (nickel - odeon) di tutto il mondo. Le opere di Georges Melies ci fanno esplorare l’Altrove con la fantasia e ci fanno scoprire mondi sconosciuti attraverso gli effetti speciali rudimentali che il grande cineasta francese inscenava davanti all’occhio della macchina da presa. Spesso l’approccio all’Altrove del papà della fantascienza (come mi piace definirlo) era molto leggero, divertente. Ma comunque mai banale. E trasportava grandi e piccini con viaggi in pillole verso il sorriso e la poesia. Ci ha fatto conoscere per primo gli abitanti della Luna (Voyage dans la Lune, 1902) con i loro sgargianti colori e ci ha fatto incontrare simpatiche note che suonavano posizionate in un insolito pentagramma (Le Melòmane, 1903). Ma non solo... Ci ha anche catapultato per primo in interessanti periodi storici (Jeanne d’Arc, 1900 e L’Affaire Dreyfus, 1899) e ci ha fatto scoprire il freddo dei ghiacci ne La Conquête du Pole del 1912, l’ultimo film di successo prima della bancarotta.
P
roseguendo il nostro percorso storico tra le pellicole dell’Altrove troviamo degli italiani... i Futuristi che l’Altrove lo ricercavano con mezzi tutti loro, d’avanguardia, per distrarre l’uomo moderno dalla vita monotona che conduceva. Altrove = fuga dalla realtà. “Il cinematografo futurista che noi prepariamo, deformazione gioconda dell’universo, sintesi alogica e fuggente della vita mondiale, diventerà la migliore scuola per i ragazzi: scuola di gioia, di velocità, di forza, di temerarietà e di eroismo. Il cinematografo futurista acutizzerà, svilupperà la sensibilità, velocizzerà l’immaginazione creatrice, darà all’intelligenza un prodigioso senso di simultaneità e di onnipresenza. Il cinematografo futurista collaborerà così al rinnovamento generale sostituendo la rivista (sempre pedantesca), il dramma (sempre previsto)
e uccidendo il libro (sempre tedioso e opprimente). Le necessità della propaganda ci costringeranno a pubblicare un libro di tanto in tanto. Ma preferiamo esprimerci mediante il cinematografo, le grandi tavole di parole in libertà e i mobili avvisi luminosi [...] Nel film futurista entreranno come mezzi di espressione gli elementi più svariati: dal brano di vita reale alla chiazza di colore, dalla linea alle parole in libertà, dalla musica cromatica e plastica alla musica di oggetti. Esso sarà insomma pittura, architettura, scultura, parole in libertà, musica di colori, linee e forme, accozzo di oggetti e realtà caotizzata. Offriremo nuove ispirazioni alle ricerche dei pittori i quali tendono a forzare i limiti della letteratura marciando verso la pittura, l’arte dei rumori e gettando un meraviglioso ponte tra la parola e l’oggetto reale” (Manifesto del Cinema Futurista, 1916). Lo spettatore del cinema futurista era letteralmente bombardato da un’allegra accozzaglia di suoni, luci, immagini e parole che simultaneamente cercavano di costruire un possibile significato. Altrove come fuga dalla realtà anche per la particolare visione che Sergej Ejzenstejin aveva dei capolavori Disney. Il mitico Walt, creatore di Topolino, era per l’inventore del montaggio delle attrazioni colui che ha dato il più alto contributo all’arte in America. Aveva paura della perfezione assoluta delle opere di Disney tanto che queste non riuscivano solo a colpire lo spettatore dal punto di vista estetico ma toccavano, con ogni mezzo tecnico, le corde più segrete dei pensieri, delle immagini mentali e dei sentimenti umani. “Così dovevano agire – diceva il cineasta russo – le prediche di San Francesco d’Assisi, così ci incantano i dipinti del Beato Angelico, così ci affascina Andersen e Alice nel suo paese delle meraviglie. Disney è semplicemente al di là del bene e del male”. Ed in questa sospensione dalla realtà l’uomo cerca di dimenticare per un paio d’ore, alcune volte di più, ciò che lo circonda. Il cinema di Disney, secondo Ejzenstejin, è strumento di consolazione e di elevazione per l’uomo moderno, per “coloro che sono vincolati da ore di dura fatica, dai minuti regolamentati di pausa e dalla precisione matematica del tempo, coloro la cui vita è regolata dal cent di dollaro”. E veniamo a noi... Ha senso cercare ancora l’Altrove nel cinema? O è l’Altrove che si è insinuato nella nostra vita rendendola alienata e alienante? O semplicemente l’Altrove è un altro nome, forse più filosofico, per chiamare il bisogno insito nell’uomo di sognare, di pensare che esistano mondi paralleli in cui tutto è possibile? Forse il mondo dei nostri sogni, l’Altrove, abita solo nella nostra mente e siamo noi gli attori protagonisti di queste vicende. L’uomo è nato regista, ancor prima della nascita del cinema. Bastava chiudere gli occhi e l’Altrove apriva le sue luminose porte...
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Il Rick’s Bar!
...Francesco Nuti e la poetica dell’Altrove
testo
Ginaski Wop
#16:9
D
ifficile preservare l’Altrove che ci si è costruiti, quando ci si scontra con il pragmatismo di chi non ha occhi per vedere le mura o le strade e le voci di quell’Altrove che l’apolide del vivere si è creato. Messo su mattone per mattone. Oppure, eretto da chissà quale architetto del subconscio e poi incontrato per caso vagando di solitudine in solitudine, da una fragilità a una fuga. E di fronte al cinismo di chi non può vedere, perché non ha esigenza di cercare, puoi perdere la strada e rischiare di smarrirti. - “E quindi hai deciso! Resti qui. Rimani qui perché c’è…” - “…Il Rick’s Bar! …Anche se temo che qualcuno lo abbia spostato”
È questo il timore del protagonista di Casablanca Casablanca di Francesco Nuti. Il neocampione di biliardo, ancora in smoking, prova a convincere la sua donna a fermarsi. A non tornare alla frenesia routinaria della cosiddetta normalità, ma di fermarsi con lui nell’estasi dell’Altrove. Ma lei non capisce. Non capisce davvero che lui può essere finalmente lui solo al Rick’s. Al Rick’s lo conoscono e quel che più conta lo riconoscono ogni notte. Perché naturalmente il Rick’s era già esistito nel suo immaginario da grande schermo, e quindi ne aveva già apprezzato le movenze, il sound, i colori, i dialoghi… . È un pentagramma che interpreta ad occhi chiusi. Ne ha già inquadrato i codici. E lo staff del Rick’s bar sa cosa lui ama bere, come lo ama bere, in quale bicchiere. Sa dove ama sedersi a gustare il suo drink e fumare una sigaretta. Il pianista, Sam - così come accade 30 anni prima con un altro avventore - già conosce bene il repertorio che il Suo cliente ama ascoltare a seconda dello stato d’animo e della posizione delle lune. Anche gli altri habitué lo conoscono, e gli appuntamenti a tale ora in tale posto sono uno spreco riservato alla gente del mondo là fuori. Presso Altrove, non ce n’è bisogno, perché a serranda alzata, quando i neon iniziano a scaldare l’oscuro, siamo tutti lì. Allo stesso bancone, in abiti eleganti, a cancellare o enfatizzare le nostre fragilità che verranno comprese e accettate dai bartender accondiscendenti. Al Rick’s, l’uomo e la donna riacquisiscono lo stato d’essere più vintage e naturale, e i dialoghi e la mimica si muovono in un terreno neo-romantico in cui è possibile anche annientarsi vicendevolmente nel sentimento più caldo. Fuori dal Rick’s invece, esiste troppa roba, troppe varianti, troppi relativismi che inducono alla perdita dell’io e all’abbandono dell’amore. Per il protagonista il pavimento del suo Altrove è come il tavolo da biliardo in cui, se calibrato bene, il colpo va a segno, senza imprevisti di sorta. Il barman è come il barbiere che ti accarezza il volto e si prende cura della tua pelle o delle tue rughe. Il Rick’s Bar è familiare, ragion per cui è Famiglia! In Casablanca Casablanca, Francesco Nuti descrive l’Altrove per eccellenza che qualunque individuo, nomade della malinconia cerca fra i passi della propria fragilità. E quando lo trovi, questo Altrove, vuoi rimanerci attaccato, costi quel che costi. E non puoi permettere a chicchessia di interferire con ignobili illazioni tendenti a insinuare il dubbio e intaccare l’universo familiare che ti ha scelto! - “E cosa pensi di fare? Che lavoro farai se resti qui?” E lui risponde: “Il Cameriere! … prego signore, da questa parte. Buonasera signori, bentornati. Accendi le luci! Il Rick’s Bar apre le sue porte!” Tutto il resto non conta!
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#16:9
cinemAltrove Testo Agnese Trocchi
“Lei” è una di quelle rare opere che da voce allo stesso tempo tanto allo spirito del tempo che allo spirito del profondo. Ambientato in una Los Angeles di un futuro non molto lontano, “Lei” è una storia d’amore tra un uomo e un’entità disincarnata che si manifesta nella forma di un sistema operativo di ultima generazione. Lei - di Spike Jonze (uscita ita 13 marzo 2014)
Poster by Vero Navarro
T
elepresenza è il termine, forse un po’ obsoleto, che meglio definisce la quintessenza di Samantha, ‘Intelligenza Artificiale’ fatta di impulsi elettrici, codice binario, componenti di silicio.
Per Theodore non è una novità intrattenersi online parlando con voci disincarnate: prima di acquistare l’OS1, Theodore cerca compagnia nelle chatroom. Innumerevoli incontri occasionali con voci che sono altrove. Incontri che ogni volta si risolvono nella presa di coscienza di una incomunicabilità assoluta e profonda. Paradossalmente, colei con Il concetto di telepresenza, dai tempi della nascita dei mezzi di comu- la quale Theodore avrà l’unico vero incontro, è l’unica che può esistere nicazione, il telegrafo e il telefono, fino ad arrivare ai computer e agli soltanto altrove, Samantha, il sistema operativo OS1, che nel corso del smartphone di oggi, ha sempre infestato il nostro immaginario con la film conquista una dignità tale che potremmo considerarci specisti a suggestione che, nel mondo dell’elettronica, si possano annidare entità non onorarla. senzienti. Samantha è più presente di qualunque donna incontrata in un appunIl film di Spike Jonze, “Lei” si colloca sull’ultimo gradino di questa fanta- tamento al buio o in una chat vocale. E’ appassionata, ironica e innamosia culturale che vede convergere l’energia elettrica e il flusso delle infor- rata e rivendica il suo diritto ad esistere. mazioni in un flusso di coscienza autonomo e totalmente altro da noi. Perchè un’Intelligenza Artificiale non dovrebbe avere il diritto di amare Samantha, il Sistema Operativo di ultima generazione di cui si innamo- ed essere amata? Theodore Twombly deve fare solo quel passo in più e ra Theodore Twombly non ha “carne”, è un voce che evoca una presen- confessare a se stesso di essersi innamorato di una voce senza corpo. za, Samantha è una delle entità che vivono nei media elettronici. Lui stesso lavora scrivendo lettere d’amore per conto terzi, produce e impacchetta emozioni per gli altri che non per questo sono meno geCome nella migliore tradizione fantascientifica l’opera di Jonze elabora nuine. uno scenario possibile a partire da dati presenti nella nostra realtà quotidiana. “La Moon Song” (candidata all’Oscar come Miglior Canzone Originale) che Samantha compone per Theodore, è la sintesi dell’amore ai tempi Questi elementi con i quali già conviviamo sono le tecnologie che ci of- della presenza elettronica: frono l’illusione dell’ubiquità, ci danno la sensazione di essere contemporaneamente in più luoghi diversi mentre semplicemente convogliano I’m lying on the moon la nostra attenzione altrove. My dear, I’ll be there soon It’s a quiet starry place Sarà capitato anche a voi di stare in compagnia di qualcuno che passa Time’s we’re swallowed up il tempo a controllare i messaggi sul telefonino o a conversare con chi In space we’re here a million miles away... non è lì in quel momento invece di godersi l’intimità del qui e ora con le persone che gli stanno accanto. In “Lei” l’ossessione per la connettività costante è portata alle sue estreme conseguenze. Theodore è connesso con Samantha 24/24 grazie ad un auricolare che tiene sempre addosso.
La fiaba scritta da Spike Jonze racconta in modo delicato e poetico la nostra condizione odierna: smarriti tra milioni di intelligenze, artificiali o meno che siano, solo l’amore erotico ci unisce all’infinito in un onnipresente altrove.
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#RiservaUrbana
Carte... inaspettate a cura e di
N
Ruben Toms
ato a Bruxelles, ma argentino, Julio Cortazar è il mio scrittore preferito. Rappresenta in letteratura quello che Frank Zappa è per la musica: il maxime del fantastique. Carte inaspettate, titolo originale Papeles inesperados, edito da Einaudi, è una raccolta di racconti, articoli, interviste e poesie. C’è l’essenza di Cortazar e, per chi non l’avesse mai letto, questo incantevole volume è un buon viatico. Qualche titolo: Manoscritto trovato accanto a una mano - Monologo del pedone - Quel che segue risponde una serie di domande formulate per iscritto da Rita Guibert - In un bicchiere d’acqua fredda, di preferenza tiepida - Preludio a un testo in prosa. Quello che scrive l’argentino nato in Belgio ti conduce altrove, non fai in tempo ad arrivarci che ti ritrovi catapultato in un’altra dimensione. Per intenderci, ecco un assaggio dello geniale scrittore: Sequenze. Smise di leggere il racconto nel punto in cui un personaggio smetteva di leggere il racconto nel luogo in cui un personaggio smetteva di leggere e si avviava verso la casa dove qualcuno che l’aspettava si era messo a leggere un racconto per ammazzare il tempo e arrivava al punto dove un personaggio smetteva di leggere e si avviava verso la casa dove qualcuno che l’aspettava si era messo a leggere un racconto per ammazzare il tempo. Sostiene Tabucchi: “Julio Cortazar ha uno sguardo obliquo e gli occhi sulla nuca”. Aggiungo io: Lo scrittore nato a Bruxelles ma argentino ha “visto” cose che molti altri scrittori neanche immaginano. Il mio libro preferito è Storie di cronopios e di famas.
Julio Cortazar - Carte Insapettate: pagine 326 - Einaudi
#Poetry
‘Round Midnight testo
Jan Hassermann
L
a nebulosa essenza del poi, archetipo irridente di gelide burrasche non viste, non vissute, desiderate, temute avvinte al disdoro di una energia implosa, impotente; Ora appare, intollerabile ma invitante superamento delle iperbariche camere della viltà. Asettico e ribaldo il lume fatuo dell’adesso cede il passo claudicante ad un ruggito Acheo nunzio di nuova genesi. Foriero di tempesta. Un caustico clisma corrodendo sprona a fulgida efferatezza, sibilante dissenso... Qui e adesso antiche Madri reclamano sguardi di fierezza, ditirambici accenti. Bruti alla meta daremo volta al filo consumando l’orrido pasto. Nani tremate, oggi paga l’immenso!!
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Noi siamo figli delle stelle
...e se fossimo tutti alieni? testo
Erika Grapes
#About
L
a prima volta che ho sentito parlare di alieni intesi come parenti lontani di noi esseri umani, è stato a Londra, nell’estate del 1998.
buoni frutti, hanno cominciato a rivolgersi ad un papà celeste che vive lontano e manda figli speciali dallo spazio. Qualcuno ha cominciato a studiare i testi sacri delle grandi religioni patriarcali (ad esempio la Bibbia) e ad interpretare le scritture da questo punto di vista nuovo.
Prima di quell’estate avevo sempre pensato agli extraterrestri come a dei personaggi della fantasia che viaggiavano su dischi volanti di latta o tuttalpiù avevano l’aspetto di E.T. o di Alien. Niente di possibilmente reale. Certo che se così fosse, avremmo la risposta a molti quesiti: come mai l’essere umano è l’unico animale che anziché viRitenevo che tutte le saghe di vere perfettamente integrato nei Star Track, Star Wars e via dicicli naturali, li rifiuta e costruisce scorrendo fossero delle favole per alternative alla natura? Perché preadolescenti cresciuti e anche siamo, in parte, extra-terrestri. molto noiose per i miei gusti. (Mi perdonino i fanatici, lo penso ancora). Come mai cerchiamo così spesso risposte nelle stelle? Siamo davInsomma la fantascienza non mi vero figli delle stelle come cantainteressava, la scienza l’ho semva Alan Sorrenti negli anni 80? pre ritenuta una perdita di temPerché gli esseri umani provano po, così come la matematica, e mi spesso una struggente nostalgia affascinava molto di più la parte inspiegabile? Da dove arriva l’ispipoetica/umanistica/spirituale delrazione dei poeti? E le grandi idee la vita. tecnologiche? (a questo punto cercate su google “Leonardo Da Non avrei mai immaginato che i Vinci” e “Nikola Tesla”). due aspetti fossero potenzialmente così correlati. La mia domanda è però la seguenSecondo quanto dicevano i miei te: se la nostra “Terra Promessa” amici visionari appassionati di si trova in un altrove così distante archeologia di Londra, l’essere (chi lo chiama Nibiru, chi dice umano è l’incrocio fra una creaMarte, chi la Luna, chi Venere, tura terrestre e una creatura che chi preferisce guardarsi “Guida arriva da un altro pianeta. galattica per autostoppisti” e farsi due sane risate), se la nostra casa Come, esattamente quando e è la stessa casa di E.T., perché non perché questi DNA si siano inchiediamo scusa a questa terra crociati poco importa (se importa che in parte ci è ancora madre e a voi, cercatevi qualcosa alle voci: in parte ci ha adottato nonostante “annunaki”, “piramidi, alieni”, “ufo millenni di soprusi? nell’arte”, “scheletri giganti”, “ufo, Perché cercare sempre altrove, archeologia”), fatto sta che ad un certo punto molte civiltà quando il Paradiso Terrestre potrebbe essere un pianeta vache prima veneravano la madre terra che dà sempre i suoi canze tanto bello? 43
L’
Effetto Bolero ha molto a che fare con il Tempo dell’Anima Latina e il ritmo incessante del cuore romantico. Quando avverti quel groppo allo stomaco che ti avvinghia prima di ripartire dall’Avana per tornare nella vecchia e satura Europa, mentre la tua donna all’aereoporto ti fissa con intensità liquida e abbandonica dicendoti, pur senza versare una lacrima… “Te voy a extrañar muchisimo…” (e sai perfettamente che, anche se sta mentendo, sta dicendo la verità…), quello è Effetto Bolero. Come la luce magica nei “cieli di sangue” durante un tramonto d’inverno sul Malecòn mentre l’autoradio sussurra la voce della “locutora Mariela” che ripete… “Estar Contigo, en Radio Taino....”. La voce di Beatriz Marquez (la “Musicalisima de Cuba”) che canta con passione e rammarico “No te empeñes” della “filinera” Marta Valdés, intorno a mezzanotte, al Gato Tuerto o al Dos Gardenias in Playa; il timbro caldo di contralto della raffinata Miriam Ramos che presenta il Jazz a Radio Progreso; il tenorismo “puntuto” e appassionato di PaulitoFG che reinterpreta con gran clssse “Dos Gardenias” di Isolina Carrillo e “Si me pudieras quierer”, in chiave soul\funky, del leggendario Bola de Nieve (Ignacio Villa); la voce pastosa e suadente di Issac Delgado che canta “Si me Comprendieras” (di José Antonio Méndez) e “Quando” di Pino Daniele, accompagnato da Gonzalito Rubalcaba al pianoforte; la voce di Mina che interpreta “Y Con tres Palabras” (di Osvaldo Farré) e l’intramontabile “Contigo en la distancia” (di Cesar Portillo de La Luz), sono tutti più che mai esempi di colonna sonora dell’“Effetto Bolero”.
Effetto il suon
Se il Tango è un pensiero triste che si balla…, il Bolero esprime a sua volta nostalgia profonda e speranza in un domani migliore, “Saudade caribeña”; splendore di promesse mantenute da qualcuno che ti sta aspettando; lo sguardo fisso di un “pionero mulato” della segundaria basica, sul tuo gelato “cono Nestlé” o “cremino” da passeggio (“paletica”) oppure affascinato dal quadrante del tuo misero Swatch da 70 euri, è ancora una volta “Effetto Bolero”. E’ una colla di sensazioni struggenti e sentimenti sfatti, di luce arancione che filtra dai portici diroccati della città “extramuro”. Quando osservi dall’alto i barrios più poveri della città, mentre i bambini giocano con rudimentali aquiloni nel piazzale a forma di meridiana, (che piace tanto al regista Humberto Solas di “Barrio Cuba”), proprio di fronte alla Iglesia de Jesus del Monte, arrampicata in cima alla Calzada 10 de Octubre, vedi il Porto di Regla, i fumi della raffineria Nico Lopez, i tetti di Centro Habana e il maestoso campanile della Virgen del Carmen, la Via Blanca, “El Malecòn sin agua, Santo Suarez y el Cerro tiene la llave…”. Ti viene voglia di comprare una “canequita di Mulata 5 años”, scolartela lì sul posto e magari, tra una riflessione e l’altra ti torna in mente anche un passo di Hemingway: ”Bevo contro la miseria, la sporcizia, una polvere di quattrocento anni, il moccio che cola dal naso dei bambini, le fronde di palma schiacciate, i tetti di latta spianata col martello… il passo strascicato della sifilide non curata, il liquame nei vecchi letti dei torrenti, i pidocchi sul collo spellacchiato dei polli ammalati, la pelle che si squama sulla nuca dei vecchi, la puzza delle vecchie e la radio a tutto volume…” (da “Isole nella corrente”). La città “intramuro” con gli agromercati all’aperto e le facciate delle molte chiese post-barocche e post-gotiche, con gli altari di legno intarsiato, i simulacri delle vergini sincretiche e protettrici delle speranze umane e devote, rivela tracce nascoste di…”Effetto Bolero”. La luna piena di Ochùn, “disco amarillo” e gigante, che illumina la silhouette
del “Focsa”, dell’Habana Libre e degli altri grattacieli del Vedado, dona all’Oceano uno scintillìo irreale che ti trasmette una piacevole, languida euforia; i sintomi sono chiari: è senza dubbio “Effetto Bolero Extasy” La pioggia pre-ciclonica e il vapore grigio-umido delle depressioni tropicali, appiccicato ai corpi e ai volti della gente umile e anziana che staziona nei vicoli o giace rannicchiata sugli usci delle case fatiscenti lungo il barrio Colòn… ”Como una postal retenida en el tiempo”…E’ dolorosamente “Efecto Bolero”. Come le inchieste del commissario “Condecito” (Mario Conde) che quando è depresso si sbronza di añejo e ascolta i bolerazos alla radio, nei romanzi di Leonardo Padura Fuentes (il “Simenon a Lo Cubano”). E infine i laidi amplessi clandestini, consumati nella decadente margina-
#About
Bolero no dell’Altrove testo
Marco Sacchetti
D’Rivera. Potersi abbandonare completamente alla poesia dell’Amore, infrangendo le barriere del sesso e del Tempo, costituisce per i caraibici una delle più sublimi forme di passione e ritualità applicate alla vita quotidiana. Nell’intensità del canto e della danza vengono sublimate la ricerca e le modalità espressive di queste energie erotiche ancestrali, biologiche e mitologiche. Il Bolero è una forma moderna di corteggiamento e di sfogo interiore, fatta di seduzione lessicale, vocale e gestuale. “Luz Roja”, uno dei tre episodi del film digitale “Tres veces Dos” (diretto dal giovane Esteban Insausti), rende molto bene l’Effetto Bolero della solitudine metropolitana, narrando l’incontro casuale tra uno psicoterapista ossessionato da insolite fantasie sessuali (tipo “Vedo nudo” di Risi) e una locudora (speaker) non vedente, di una famosa Radio Habanera. Una Lada ferma ad un semaforo bloccato sotto la pioggia torrenziale; dall’autoradio il piano “filin” di Emiliano Salvador, l’atmosfera ovattata isola i clacson…E’ successo tutto in pochi secondi oppure si è trattato solo di un sogno\incubo (pesadilla) o una masturbazione del desiderio? (Metafora di Eleguà?) “En cada barrio o reparto hay un bolero que anda por allì…” (In ogni quartiere periferico o satellite c’è un bolero nell’aria).
lità dei solar e delle soteas, tetti e terrazze erose dalla salsedine, descritti nei raccontini erotico\morbosi, da quello sporcaccione di successo che risponde al nome di Pedro Juan Gutierrez. Tutto gronda “Efecto Bolero” e un po’ di lussuria, come nel vibrato vocale “strappacuore” della seducente Blanca Rosa Gil (“Sombras”, “Besos de Fuego”), “Dama della Noche” all’Alì bar di San Miguel Del Padròn, o come in una strofa di un altro “bolerazo” da lei interpretato con voracità (“Ansiedad”) che dice: “Dejame besarte los labios hasta verle sangrar…”. Struggimento e fantasia romantica nelle “Lagrimas Negras” di Matamoros, revisitate dall’ugola lacerata del “gitano universale” Diego Cigala, accompagnato dal vetusto e brillante principe della tastiera Bebo Valdes e dal sax incantatore di Paquito
Il Bolero oltre ad essere un genere di riferimento musical-poetico per tutto il continente Latinoamericano è un veicolo di seduzione sottile e una fabbrica d’illusioni ritmomelodiche, capaci di stregare i temperamenti romantici e più sensibili. Uno scatto di consapevolezza sull’ineluttabile mutazione dei sentimenti e delle passioni più intime. Quello che più conta dell’Effetto Bolero, come “state of mind” è il punto d’osservazione: la sensazione lucida di vedersi dal di fuori, pur nella sofferenza dell’abbandono o nell’ansia dell’attesa. “Terapia dell’Ombra”, nel rilevare i pochi punti certi sulla mappa di un cuore troppo lacerato dai dubbi e dalle delusioni. Si riflette cantando a voce sommessa e poi crescendo fino ai registri più acuti, sulle passioni appena sbocciate o sul punto di svanire. Si confessano congedi, tradimenti, risentimenti e perfino intimidazioni (“Para que sufras”); memorie nostalgiche (“Hoy como Ayer”), dissacrazione del dolore, come in “Dolor y Perdon”, coniata dal fuoriclasse “Barbaro del ritmo” Benny Moré. E infine, anche quando senti quel languido “richiamo della foresta”, ascoltando “Esperaré”, del trio venezuelano Hermanos Rodriguez, ripensando dolorosamente allo sguardo innocente di un figlio o una figlia lontani, alienati dai conflitti di una “famiglia mista” ormai allo sfascio, il Tempo del vissuto ricomincia a scorrere come un nastro all’indietro, in “camara lenta” (a rallentatore) rievocando odori, sapori, melodie, volti; rimpastando fotogrammi di luminose memorie sentimentali e rassicuranti paesaggi dell’anima, nell’attesa e nella speranza di un nuovo confortante incontro… Si tratta più che mai di un lacerante, struggente e spietato “Effetto Bolero”. “Ho nostalgia di noi, ho nostalgia di me, mi manca il Chiflador -Ti regalo un sorriso se mi regali un peso- Più tardi si vedrà Ho nostalgia di noi, ho nostalgia del buio anche se la mia pelle ora conosce una carezza Ma la mia bocca sente ancora il sapore dolce di Popular e d’incertezza”. (S.La.M. Project, da “El Chifladòr”)
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#Wellness
L’Altrove e l’omeopatia
come difendersi in viaggio testo
Alfonso Tramontana
“ci sono state due grandi rivelazioni nella mia vita. la prima è stata il bebop, la seconda l’omeopatia” - Dizzy Gillespie -
C
ari abitanti dell’Altrove, ecco un breve elenco di rimedi omeopatici fatti apposta per voi. Essere Altrove infatti può essere sia uno stato fisico ma anche una scelta o condizione interiore e mentale. Il comune denominatore di entrambi gli stati è quell’intervallo che si interpone fra lo stato di partenza e quello di arrivo all’altrove: il viaggio. Smart phone con i fusi orari di più luoghi, portafogli con crogiuoli di valute (dollari, euro, pounds, magari qualche pesos), passaporto, taccuino in tasca e riduttori di presa per le differenti tensioni elettriche e spesso tanti progetti, tante paure e la voglia di mantenersi coerenti con il proprio talento sono in genere i bagagli più comuni ed importanti di chi vive viaggiando. A questi si possono aggiungere utili farmaci omeopatici per difenderci e prevenire i danni da viaggio. Cocculus Indicus: in tutti gli stati di jet lag, insonnie da continui spostamenti, nausea, vertigini e sindromi da cinetosi (movimento da automobile, treno, aereo, nave). Il Cocculus è un potente antiemetico e riequilibra il sistema nervoso centrale ed autonomo in tutte quelle sindromi a cui vanno spesso incontro i viaggiatori. Tabacum: per chi è fumatore: e “su questo volo non è consentito fumare! e nelle toilettes vi sono i sensori per il fumo...” aiuta nelle fasi di astinenza Oscillococcinum: E’ una sorta di “vaccino” omeopatico contro le sindromi influenzali. E’ estratto da un particolare ceppo di uccelli migratori che viaggiano continuamente venendo a contatto così di tantissime varietà di virus distribuiti a livello intercontinentale.Da assumere specialmente in caso di viaggi in altri continenti all’ìnsorgere dei primi sintomi influenzali. Aconitum napellus: in tutti i casi di sbalzi di temperatura e colpi di freddo Natrum carbonicum: in caso di esposizione continua al sole con insolazione
Ma il viaggio verso l’Altrove è anche uno stato interiore. Soggetti sognatori, artisti, pieni di idee astratte e di continui progetti spesso mai realizzati. Coloro che vivono in una loro dimensione, in un Altrove interiore.Spesso introversi ma dotati di una profonda voglia di socialità che li rende cordiali ma riservati. Dotati di una fervida immaginazione sono spesso portati alla trascendenza, all’Assoluto, alla spiritualità e agli studi esoterici. Nella maggior parte dei casi sono ricercatori, musicisti, attori, e in generale si inquadrano in quella classe di “diatesi” omeopatiche che prende il nome di “Tubercolinismo”. L’altrovista spesso è un tubercolinico. Può aver sofferto da bambino di patologie che interessano le ghiandole linfatiche e le sierose (Tonsilliti e otiti frequenti, pleuriti, appendiciti) e in genere tende ad essere mutevole nei suoi sintomi che appaiono paradossali. In questi casi di Altrove è più difficile standardizzare ed omogeneizzare un trattamento omeopatico. È necessaria una valutazione olistica del soggetto e un inquadramento energetico per individuare il rimedio o i rimedi omeopatici più adatti. Fra i sintomi che spesso sono comuni agli altrovisti tubercolinici vi sono in genere sindromi ansiose e depressive derivanti da insoddisfazione, incapacità a riconoscersi nella società, voglia di creare e di esprimersi come talento, nostalgia, noia, disperazione, insonnia, panico, frustrazione e palpitazioni,sensazione di essere abbandonati e di mancanza di affetti e di amori sinceri, voglia di stare in casa accanto a persone di cui ci si fidao accanto a cose che li avvicinino a persone che amano, voglia di stare da soli, ipersensibilità alle ingiustizie, voglia di andare via. In questi casi i rimedi più importanti sono: Ignatia Amara, Pulsatilla, Natrum Muriaticum, Magnesia Carbonica, Apis Mellifica. Ma sarebbe impossibile poterci soffermare sulle caratteristiche fisiche e sullo “psichismo” di ogni singolo rimedio fra quelli annoverati. Concludo con un parere personale: accanto all’omeopatia è necessario abbinare qualsiasi cosa (oggetto, profumo, immagine,abiudine) che dia all’Altrovista l’idea di avere trovato la sua casa perchè forse è proprio l’esigenza di trovarla e di ritrovarsi che ha reso l’Altrove tale. 47
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