Imprese e Territorio

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Bimestrale di informazione di Confartigianato Imprese Varese 02 - 2017

www.asarva.org

CONGRESSO PROVINCIALE 2017 Prospettive di legalità Numeri, volti e voci per riflettere

COME CAMBIA IL TERRITORIO I nuovi assi dello sviluppo viaggiano su ferro e portano in Europa

NUOVE TECNOLOGIE

Il "padre" del Jobs Act e il futuro «Per il lavoro unite aziende e scuole»

RIVOLUZIONI D'IMPRESA

Viaggio nelle rivoluzioni possibili



EDITORIALE

IL CORAGGIO DELLA LEGALITÀ La forza delle imprese

L DAVIDE GALLI

Presidente Confartigianato Imprese Varese

editoriale

egalità, coraggio, regole, trasparenza. Temi difficili, scivolosi, scomodi, impegnativi. Ma è dal coraggio di rispettare le regole, e di chiederne il rispetto; dall’essere trasparenti, e di insistere affinché la trasparenza sia diffusa; dall’operare nella legalità, e di diffonderla, che dipende il futuro delle imprese, del territorio, del mercato e del Paese. Per questo, in occasione del congresso provinciale, Confartigianato Imprese Varese ha scelto di porre al centro del confronto, del dialogo e dell’impegno il tema della legalità. Legalità da parte delle imprese, pronte a rispettare regole giuste e chiare, a far fronte a una tassazione equa e corretta, a interagire con la burocrazia, purché si sforzi di diventare moderna. E da parte delle istituzioni, alle quali è demandato un ruolo di garanzia, a beneficio del territorio e di chi lo abita, e uno sforzo sempre più incisivo per valorizzare la correttezza e azzerare i comportamenti che compromettono la concorrenza leale sul mercato. La legalità è un requisito fondamentale: tocca a noi proteggerla da virus che potrebbero ammazzare economie e territori sani. Anche per questo trasparenza ed equità sono da sempre due principi base del nostro Statuto. E anche per questo riteniamo che trasparenza di gestione e rispetto delle regole debbano sempre essere

i primi impegni non solo dell'ente pubblico, ma anche di tutti i soggetti, associazioni di rappresentanza comprese, che vantano rapporti privilegiati con il territorio. Tocca a noi per primi, a Confartigianato Imprese Varese, dire con chiarezza chi e quante aziende rappresentiamo, quali strumenti di controllo interni vengono adottati (codice etico, modello organizzativo Decreto Legislativo 231). Ma anche, quali sono le garanzie di correttezza sulle attività delle funzioni tecniche, i processi di validazione dei dati e delle statistiche emesse e pubblicate, quali e quante le partecipazioni in enti e società non di diretta emanazione e quali possono essere le eventuali situazioni conflittuali che si possono generare. E, ancora, come avviene la redistribuzione di fondi pubblici e di quelli di origine contrattuale. Dati che troverete riportati nel bilancio sociale. La funzione della rappresentanza deve prima di tutto essere un esempio di legalità al suo interno. Perché solo prendendo per primi un impegno, è possibile chiederlo al mercato, alla Pa, ad imprese fra loro concorrenti, al territorio. Il mercato è ancora in grado di svolgere la sua funzione di redistribuzione della ricchezza che ha creato. Sono i suoi player che, prima di "scendere in campo", devono ricordarsi di rispettare le regole del gioco.

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sommario

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IL CORAGGIO DELLA LEGALITÀ La forza delle imprese

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Editoriale

REGOLE PER TUTTI non “a misura” di qualcuno

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La regola è l’eccezione. Oppure no?

FACCIA PULITA COLLETTO BIANCO Nuove criminalità al Nord

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La regola è l’eccezione. Oppure no?

LA LIBERTÀ È PIÙ FORTE quando la regola non è un’eccezione

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La regola è l’eccezione. Oppure no?

L’INDUSTRIA CHE VIVE COPIANDO L’INDUSTRIA Irregolarità e contraffazione

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La regola è l’eccezione. Oppure no?

MILANO-VARESE-GENOVA Nasce l’asse dello sviluppo

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Dove va l’economia del futuro

SACCONAGO, la periferia che si prepara a fare centro

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Il video e la svolta

Il Ticino ferma l’Italia E L’ITALIA COME REAGISCE?

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La regola del cambiamento

IL GURU DEL WEB E I SOCIAL «Tu fuori? Guadagni agli altri»

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Il genio in cattedra e le imprese che sfondano

LA TECNOLOGIA non distrugge il lavoro

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Il futuro visto da Tommaso Nannicini

BUTTATE GIÙ GLI STEREOTIPI L’informatica è vera creatività

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L'impresa delle donne in rete

C’È UN’ALTRA FINANZA ED È QUELLA POSSIBILE Guida alla nuova liquidità

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Non più solo banche

“SOSTENIAMO” la casa del futuro

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La nuova edilizia fa squadra

TALENTI E CLIENTI, senza Millennials i conti non tornano

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Generazione da conoscere

«PAGATELI BENE E FORMATELI SEMPRE» Intervista al prof dei Big Data

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Come conquistare i Millennials

INTRECCIARE LE OPPORTUNITÀ conviene a tutti

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Il successo della squadra

Gli approfondimenti – anche video – ai temi trattati nel bimestrale si possono trovare sul sito

www.asarva.org. Tutti gli aggiornamenti sono inoltre disponibili sui nostri social:

Confartigianato Imprese Varese @ArtigianiVarese www.linkedin.com/company/confartigianato-imprese-varese www.instagram.com/imprese_e_territorio_news youtube.com/confartigianatoVA

#iocisono

riflettiamoci su

Oggi il denaro a disposizione è troppo ma è bloccato o concentrato Non ci sono mercati nuovi se non quelli in cui non c'è un ritorno immediato e nei quali è alto l'investimento iniziale a rischio richiesto Senza immediate prospettive di ritorno economico nessuno investe e in pochi assumono, nonostante gli incentivi a disposizione Cosa servirebbe all'Italia? Grandi investimenti del pubblico in tutto ciò che non è ancora considerato favorevole dal mercato (sostenibilità ambientale e digitale) Mauro Colombo

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MARZO-APRILE 2017

Bimestrale di informazione di Confartigianato Imprese Varese 02 - 2017

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COME CAMBIA IL TERRITORIO I nuovi assi dello sviluppo viaggiano su ferro e portano in Europa

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RIVOLUZIONI D'IMPRESA

Viaggio nelle rivoluzioni possibili

Bimestrale di informazione di Confartigianato Imprese Varese. Viale Milano 5 Varese Tel. 0332 256111 Fax 0332 256200 www.asarva.org asarva@asarva.org

Autorizzazione Tribunale di Varese n.456 del 24/1/2002

INVIATO IN OMAGGIO AGLI ASSOCIATI ED ENTI VARI

Caporedattore Davide Ielmini

Direttore Responsabile Mauro Colombo Presidente Davide Galli

Impaginazione Geo Editoriale www.geoeditoriale.it

Stampa Litografia Valli Tiratura 12.000 copie Chiuso il 3 maggio 2017

Interventi e contributi: A. Aliverti, S. Bartolini, T. Bassani, S.Caldirola, G. Caselli, D. Dal Maso, E. Ferrari, F. Ferrante, E. Marletta, M. Mezzanzanica T. Nannicini, G. Nicolussi, A. Parbonetti, P. Provenzano, L. Serra

Il prezzo di abbonamento al periodico è pari a euro 28 ed è compreso nella quota associativa. La quota associativa non è divisibile. La dichiarazione viene effettuata ai fini postali


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RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola è l’eccezione. Oppure no?

REGOLE PER TUTTI non “a misura” di qualcuno

Rispetto di regole giuste ed eque, coerenza, trasparenza, attenzione al territorio, valutazione delle azioni messe in atto per sostenerne la crescita. Propositività e legalità. Confartigianato Varese ha scelto di avviare, a partire dal congresso provinciale del 14 maggio 2017 a Ville Ponti, un percorso di analisi, riflessione, ascolto, formazione e azione per favorire, e incrementare, concorrenza leale, libertà d’impresa e valore a beneficio del territorio e della competitività. Confrontare punti di vista ed esperienze diverse e autorevoli è il primo, indispensabile passo, per muovere i successivi. Le interviste che seguono hanno questo obiettivo: fornire spunti, numeri e suggerimenti per consolidare un processo che impegnerà l’associazione nei prossimi anni.

DAVIDE IELMINI

Comunicazione Confartigianato

davide.ielmini@asarva.org

Giancarlo Caselli, procuratore simbolo della lotta alla mafia e al terrorismo, parla di legalità quotidiana «L’eccesso di norme e burocrazia è un problema reale. Ma non così grave da diventare un alibi» Il ruolo delle aziende? «Ho poco da insegnare, però è arrivato il momento di impegnarci tutti con forza»

A

lle regole ha dedicato una vita intera. Come magistrato (è in pensione dal 2013), giudice istruttore a Torino con le inchieste sul terrorismo e poi a Palermo dove chiese di essere trasferito dopo l’attentato a Falcone e Borsellino. Gian Carlo Caselli è la storia delle regole, di quello che va fatto perché tutti le rispettino e di quello che ancora si deve fare perché tutti si convincano di quanto la regola non debba essere un’eccezione. Il tema, oggetto il 14 maggio a Ville Ponti della tavola rotonda organizzata in occasione del Congresso Provinciale di Confartigianato Imprese Varese, è all’ordine del giorno. Mafia e ‘ndrangheta, corruzione e collusione, abusivismo ed evasione fiscale: legalità e giustizia sono, per Caselli, la colonna portante di una società che se non farà rete – tra associazioni, enti, istituzioni, privati «andrà a sbattere». E il colpo, purtroppo, sarà mortale.


RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola è l’eccezione. Oppure no?

Gli imprenditori, a volte, lamentano un numero esagerato di norme: circa 75mila (se ci aggiungiamo quelle comunali, provinciali e regionali arriviamo a 150mila). Aumentando le regole non si aumenta la tentazione di non seguirle?

L’eccesso di norme e di burocrazia è un problema reale. Ma non così grave (soprattutto sul piano normativo) da giustificare la coesistenza di due Italie. Quella della legalità, che affronta i problemi rispettando le regole e vorrebbe che tutti facessero così, nella consapevolezza che altrimenti si va a sbattere. E l’Italia dei furbi, che considerano le regole impacci da aggirare appena possibile, per stare comodi e meglio “fregare” gli altri. Per questa Italia l’eccesso di leggi spesso è un alibi.

In Francia le leggi sono settemila, in Germania poco più di cinquemila e in Gran Bretagna 3mila: guarda caso i due Paesi che dettano legge in Europa sono agili anche nel normare i comportamenti. Si lavora e si vive meglio con poche leggi ma chiare ed incisive? Nello stesso tempo, alcune imprese lamentano l’ingessatura fiscale (la tassazione arriva al 64%) e burocratica che ostacola il loro lavoro.

Che il nostro sistema fiscale non funzioni al meglio è assolutamente vero. Ma è altrettanto vero, lo ha detto il presidente Mattarella a reti televisive unificate nel discorso di auguri per l’anno 2016, che l’evasione fiscale ci costa ogni anno 125 miliardi di euro. Una cifra spaventosa, che non si spiega soltanto con il cattivo funzionamento del sistema fiscale. Anche perché il 20% dell’evasione finisce all’estero come capitale esportato illegalmente. Se non ci fosse questa gigantesca rapina di risorse, il nostro Paese potrebbe avere molte marce in più.

Purtroppo la politica – in fatto di legalità – non sempre dà il buon esempio. Siamo una democrazia fragile che sta rendendo sempre più fragile anche chi, seguendo le regole, dà forza all’economia? Il cattivo esempio di alcuni politici è devastante, ma ancora più devastante è la difficoltà (spesso incapacità)

della buona politica a “bonificarsi”, allontanando le mele marce in modo da recuperare credibilità e fiducia. Davigo racconta un apologo: «Se si invita a cena una persona che poi si scopre a mettersi le posate in tasca magari la si denuncia, ma in ogni caso non la si invita più a casa propria. Invece, quanti sono i politici o gli amministratori scoperti con le mani sporche di marmellata che continuano ad essere invitati e a banchettare come se non fosse successo niente?».

«Rete significa fare squadra, per avere più forza nel denunciare e pretendere che le regole puntino all’interesse generale e non a quello di pochi» Stiamo vivendo un’economia nuova alla quale adattarci. Più concorrenza, liberalizzazione dei mercati, più credito, meno burocrazia. Un ingrediente fondamentale per la crescita è la legalità diffusa: se la corruzione in Italia fosse come quella spagnola il Pil potrebbe crescere dello 0,6%. Siamo autolesionisti? Per la corruzione (sessanta miliardi di euro all’anno) vale lo stesso identico discorso della evasione fiscale. Più legalità, cioè meno evasione e corruzione, equivale a recupero di risorse. Significa poter disporre di un sacco di cose che invece ci mancano. E che mancandoci ci fanno vivere molto, molto peggio.

La legalità conviene perché è l’unico modo per battere un sistema che drena

quantità infinite di risorse e rende tutti più poveri. Potrebbe funzionare di più la rete responsabile tra associazioni, enti, istituzioni, privati che l’imposizione delle regole dall’alto? Rete significa fare squadra, per avere più forza nel denunciare e pretendere che le regole puntino all’interesse generale e non a qualcuno soltanto. Queste ultime sono le regole calate dall’alto. Quelle “giuste” si condividono.

L’illegalità al Nord è un fenomeno ben conosciuto, ma come si manifesta? Come si distingue dall’illegalità presente in altre parti della nostra Penisola?

Le differenze sono tante. Una di esse consiste nel fatto che al Nord si fanno soprattutto affari per riciclare i soldi sporchi. Per farli meglio, passando inosservati, i criminali cercano di sembrare persone per bene. Spesso ci riescono, anche per la miopia (o peggio) di alcuni che accettano di fare affari con chiunque. Il vecchio adagio “pecunia non olet” è sempre verde.

Lei ha detto: «La macchina della giustizia non si è inceppata, da quando sono entrato in magistratura non ha mai funzionato bene». Cosa ci vuole per farla funzionare bene?

Prima di tutto bisognerebbe riformare la prescrizione. Siamo l’unico Paese al mondo in cui essa non si interrompe mai, neppure con la condanna di primo grado. Così anche il processo non finisce mai e la giustizia diventa un optional.

Lei va spesso nelle scuole per sensibilizzare le nuove generazioni sul tema della legalità: cosa dice ai ragazzi? Cosa direbbe, invece, ad una platea di imprenditori? Ai ragazzi e agli imprenditori ho poco da insegnare. Posso soltanto ribadire che la legalità conviene. Sempre e a tutti. E che perciò bisogna tirarsi su le maniche se si vuole averne di più. Altrimenti (l’ho già detto) si va a sbattere.

«Il cattivo esempio di alcuni politici è devastante ma ancora più devastante è la difficoltà (spesso incapacità) della buona politica a “bonificarsi”«

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RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola è l’eccezione. Oppure no?

«Un’azienda grande se la può cavare in tanti modi anche in tempi di crisi: ha più risorse e, alla peggio, se ne va altrove Ma chi al territorio ha agganciato la produttività è in pericolo»

Antonio Parbonetti

Laureato in Economia e commercio a Pisa nel 1997, durante il dottorato è stato international visiting scholar presso la Case Western Reserve University (Cleveland-Usa) e la Cardiff Business School. Assegnista di ricerca all’Università di Pisa, è diventato ricercatore a Padova nel 2003. È autore di più di 50 pubblicazioni. I principali temi di ricerca riguardano la corporate governance, la comunicazione volontaria e obbligatoria, il fair value accounting con particolare riferimento al settore bancario. Responsabile scientifico di numerosi progetti di ricerca finanziati con risorse pubbliche e private, è nell’editorial board di molte riviste internazionali, tra cui Contemporary Accounting Research. Dal 2012 è presidente del corso di laurea magistrale in Business Administration, responsabile Relazioni internazionali del Dipartimento di Scienze economiche ed aziendali e componente della Commissione Erasmus di Ateneo. Dal 2013 è componente del Consiglio della Scuola di Economia e Scienze politiche.

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niversità di Padova, dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno”: il professore Antonio Parbonetti (pro-rettore), con Michele Fabrizi (ricercatore universitario) e Patrizia Malaspina (assegnista di ricerca), presenta uno studio che fa pensare. Scientifico e, proprio per questo, capace di investigare nel profondo la connessione tra criminalità organizzata e imprenditoria nel Nord Italia. I numeri sono da capogiro: 643 aziende interessante (Spa e Srl), 2.500 osservazioni, 120 operazioni condotte dall’antimafia tra il 2005 e il 2014 con 1.567 soggetti condannati per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso in primo grado.

La mafia tra i colletti bianchi – quella arrivata al Nord – è più pericolosa di quella del Sud?

In realtà sono le stesse, perché la pericolosità e la violenza sono uguali. Una sola differenza: al Nord i criminali si presentano come imprenditori o professionisti, e operano nel tessuto economico per entrare direttamente in quello politico e sociale con la “faccia pulita”.

Lo studio risale al 2016: quali i dati che preoccupano di più?

Partendo dalle sentenze di primo grado dei soggetti condannati per mafia, siamo


RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola è l’eccezione. Oppure no?

FACCIA PULITA COLLETTO BIANCO Nuove criminalità al Nord In uno studio dell’università di Padova un fenomeno con numeri da capogiro: stiamo parlando delle infiltrazioni nell’economia. Antonio Parbonetti: «Sono presentabili, si radicano sul territorio e creano rapporti importanti» risaliti alle aziende in cui questi soggetti erano azionisti o amministratori. I dati che preoccupano sono due: un quarto dei soggetti non è stato condannato per reati associati a realtà criminali come droga, armi o prostituzione ma perché ha gestito attività economiche a favore delle organizzazioni criminali. Siamo abituati a pensare a una mafia secondo tradizione, qui invece ci troviamo di fronte a organizzazioni che si sono evolute, anche dal punto di vista della presentabilità. E questo denota una capacità di radicarsi sul territorio e di creare rapporti importanti. Il secondo dato è che metà delle aziende che abbiamo individuato le abbiamo definite “star”: hanno fatturati più che buoni e sono più grandi della media.

Come si muovono?

Il punto di forza è la reputazione legata alle figure dell’imprenditore e dell’amministratore, persone di successo e responsabilità perché dovrebbero lavorare anche per il benessere della comunità e del territorio. Persone che hanno una visibilità ampia e che, per questo, entrano in contatto con enti e istituzioni con il potere di fare richieste per la loro azienda. Ma nessuno sa che dietro di loro c’è la criminalità organizzata.

Confartigianato Varese ha lanciato il tema del rispetto delle regole: non rispettarle è comodo?

Si aggirano le regole per ottenere un reddito immediato, per recuperare i crediti, per smaltire i rifiuti in modo facile e poco oneroso, per aggiudicarsi un appalto. Accade soprattutto agli imprenditori in crisi: la voglia di risalire la china, di rilanciare l’attività, di fare in fretta. Anche di mantenere i posti di lavoro. Tutto parte da una richiesta di aiuto, non sapendo però che la criminalità usa le aziende per arricchire se stessa e aumentare il proprio potere. Alcuni pensano che una situazione illecita di questo tipo sia marginale, e invece è l’inizio della fine.

Varese è terra di confine con la Svizzera. La vicinanza può incoraggiare un comportamento illegale?

Diciamo che per la criminalità il territorio varesino potrebbe diventare più appetibile proprio per questa vicinanza. Però il punto è un altro: concentrarsi sugli effetti positivi che si ottengono se si eliminano dal mercato le imprese corrotte. Le imprese sane hanno un balzo economico, aumentano le loro performance (la redditività aumenta di circa il 20%), ne nascono di nuove. Tutti ne beneficiano.

Al primo posto per concentrazione di imprese criminali al Nord c’è la Lombardia. Perché?

La Lombardia è un territorio molto ricco quindi è più facile fare affari, è uno dei principali mercati di sbocco legati ai proventi illeciti e si riesce a mimetizzare meglio un’azienda su questo territorio (altamente popolato di imprese) che, per esempio, in Campania. Poi c’è un altro fatto: negli anni Cinquanta e Sessanta il vostro territorio è stato interessato da molti mafiosi in confino obbligatorio. E questi, purtroppo, hanno fatto anche da testa di ponte per le infiltrazioni criminali.

Lei sostiene che «oggi, al Nord, la mafia si fa impresa»: cosa fare?

Innanzitutto condividere la consapevolezza che la criminalità non porta alcun beneficio, poi fare rete tra le aziende e dare un sostegno a chi cade in trappola. Si deve collaborare.

Le imprese di quali dimensioni pagano il prezzo più alto di questa illegalità? Quelle più piccole, e ce lo potevamo aspettare. Un’azienda grande se la può cavare in tanti modi diversi, ha più risorse, alla peggio se ne va altrove. Ma chi al territorio ha agganciato la propria produttività, è in pericolo. E anche se all’Università non ci abbiamo ancora lavorato, gli effetti della criminalità sul territorio e sulla collettività sono deleteri: questo è logico.

Lei parla di “mimetismo” delle imprese mafiose e della mafia come “service” di imprenditori che non sono mafiosi: la crisi economica ha facilitato l’aumento di questi fenomeni? L’infiltrazione dei fenomeni mafiosi e il loro radicamento sul territorio era già presente anche prima della crisi. Negli anni più bui della recessione, qualche imprenditore in più ha immaginato che la criminalità potesse fornire una scorciatoia per ritornare a performance importanti. Una spinta all’illegalità la crisi l’ha data, certo.

Se dovesse parlare di fronte ad una platea di piccoli imprenditori, quali consigli darebbe? Stare alla larga da questi soggetti: una volta che si attaccano è finita. //DAVIDE IELMINI

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RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola è l’eccezione. Oppure no?

LA LIBERTÀ È PIÙ FORTE

quando la regola non è un’eccezione

IL RISPETTO DELLE REGOLE È UN FATTO CULTURALE Il quadro che emerge è quello di un presidio capillare su un tessuto economico complesso che ha anche un altro corollario importante, fatto dell’impegno sul fronte della promozione della cultura della legalità nelle scuole, grazie ad un protocollo di intesa con il ministero dell’Istruzione nell'ambito del progetto “Educazione alla legalità”. «Tutelare le libertà economiche dei cittadini, delle imprese e dei professionisti onesti è il nostro obiettivo - afferma il colonnello Francesco Vitale, comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Varese - ed è condizione indispensabile per il raggiungimento dell’equità sociale che sta alla base del benessere delle collettività». Una strada, quella indicata, che ciascuno può contribuire a raggiungere attraverso il rispetto delle regole.

La Guardia di Finanza oggi non è la stessa di 20 anni fa: sul terreno d’azione la fiscalità c’è ma è affiancata dalla lotta al sommerso e alle truffe su fondi pubblici e dal contrasto alla criminalità economicofinanziaria e ai traffici illeciti

T

utelare le libertà economiche ed essere al servizio di un tessuto economico sano offrendo garanzie agli imprenditori onesti, ma anche ai consumatori. Dire oggi Guardia di Finanza è qualcosa di diverso rispetto a 20 anni fa. Sul terreno d’azione delle Fiamme Gialle oggi c’è ancora la fiscalità, ma anche e sempre più la lotta al sommerso e alle truffe su fondi pubblici, il contrasto alla criminalità economicofinanziaria e ai traffici illeciti. La legalità conviene sempre A raccontarci la nuova fisionomia di quello che resta un corpo di polizia a ordinamento militare con oltre 240 anni di vita sulle spalle, è il colonnello Francesco Vitale, Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Varese: su un territorio, il nostro, ricco di oltre 62 mila imprese, settimo


RIVOLUZIONI RIVOLUZIONIPOSSIBILI POSSIBILILaLaregola regolaè èl’eccezione. l’eccezione.Oppure Oppureno? no?

Un tessuto economico sano significa futuro che – al di fuori della retorica – appartiene alle generazioni che verranno: ecco perché legalità e rispetto delle regole convengono sempre in Italia per il peso del manifatturiero, con una forte propensione all’export e con uno scalo internazionale come Malpensa. Un tessuto economico ricco, dove si gioca una partita importante, non solo per Pil e fatturato, ma per il benessere della collettività. Perché un tessuto economico sano significa futuro per le generazioni che verranno. Ecco perché legalità e rispetto delle regole convengono sempre. Tutto ciò ha una declinazione istituzionale fatta di numeri e risultati che, alla luce delle considerazioni più generali, smettono di essere cifre e raccontano di obiettivi alti. «Ciò che facciamo attraverso le attività concrete di tutti i giorni - dice il colonnello Vitale, che può contare su otto reparti operativi - significa ad esempio lavorare per un fisco più equo, aggredire i patrimoni illegali, mirare al buon uso delle risorse pubbliche. In altre parole stiamo parlando di un’attività trasversale che, attraverso l’utilizzo delle banche dati a disposizione e il coordinamento e lo scambio di informazioni con tutti gli altri Enti e Istituzioni che operano sia a livello nazionale che internazionale, colpisce a 360 gradi tutti quei fenomeni che ostacolano la libertà economica». Tre grandi capitoli L’azione della Guardia di Finanza, a partire dal decreto che nel 2001 ha

ridefinito le competenze, ha a che fare con tre pilastri: entrate, uscite e contrasto agli illeciti economico finanziari. Il primo capitolo, quello delle entrate, riguarda la fiscalità ed è forse quello più noto, quello sotto il quale stanno evasione, elusione e frodi fiscali: un capitolo il cui aspetto è mutato e muta in un quadro normativo che utilizza come leve la “lealtà fiscale” del contribuente, l’adempimento spontaneo e il ravvedimento operoso in caso di errore: strumenti che declinano un rapporto con il fisco basato sulla tax compliance e che chiama in causa, in primis, l’Agenzia delle Entrate e poi la Guardia di Finanza, a completamento. «Per questo motivo oggi i nostri servizi sono basati su di una selezione preventiva e mirata degli obiettivi – dice Vitale – supportata dal ricorso alle numerose banche dati e applicativi disponibili e dal controllo economico del territorio». Nel mirino della Guardia di Finanza, nel 2016, sono finiti 305 reati fiscali riguardanti emissioni di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazioni fraudolente, occultamento di documentazione contabile con il conseguente recupero di importanti cifre per l’erario. Altrettanto importante è il capitolo relativo alle uscite, ovvero il contrasto alle truffe su fondi pubblici e all’illegalità nella pubblica amministrazione: gli occhi, in questo caso, sono puntati su come vengono spesi i soldi pubblici. Nel 2016 i casi accertati di illegittima percezione o richiesta di finanziamenti pubblici comunitari e nazionali hanno riguardato un ammontare pari a

1,6 milioni di euro, con la denuncia all’autorità giudiziaria di 43 soggetti. Qui si collocano anche le truffe nel settore previdenziale e al Ssn e gli accertamenti su delega della Corte dei Conti e la vigilanza sugli appalti pubblici: in questo ultimo caso le verifiche hanno riguardato appalti per un valore di 7 milioni di euro, con assegnazioni irregolari per oltre 1,2 milioni di euro. Vi è poi il terzo capitolo, il contrasto alla criminalità organizzata e alla criminalità economico finanziaria. Per citare solo un dato, basti pensare che – nell’anno passato - le richieste di provvedimenti di sequestro ai sensi della normativa antimafia hanno riguardato 360 beni mobili e immobili, 15 aziende, quote societarie e disponibilità finanziarie per un valore complessivo per oltre 22 milioni di euro. Qui vi sono tutti gli interventi che riguardano la normativa sul riciclaggio e l’auto riciclaggio, reati societari, fallimentari, bancari e finanziari, ma anche l’attività ispettiva ai valichi di confine con la Svizzera e a Malpensa per quanto concerne il rispetto delle norme che riguardano la circolazione transfrontaliera di valuta. E non da meno è infine il contrasto ai traffici illeciti che – per un territorio con valichi e uno scalo intercontinentale – resta un fronte molto importante: stupefacenti, prodotti illegali perché contraffatti o piratati, ma anche prodotti che violano le norme sul made in Italy e quelle sulla sicurezza. Anche in questo caso un numero può aiutare a comprendere meglio: nel corso di 12 mesi è stato tolto dal mercato 1 milione di prodotti ritenuti non sicuri. // PAOLA PROVENZANO

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RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola è l’eccezione. Oppure no?

i numeri

LA CONTRAFFAZIONE PERIODO 2008-2016

5.021 3.683.608 SEQUESTRI

NUMERO PEZZI MERCE

36,6 milioni di euro

STIMA VALORE MERCE SEQUESTRATA ULTIMO ANNO (2016)

76 23.632

SEQUESTRI

NUMERO PEZZI MERCE

339 mila euro

STIMA VALORE MERCE SEQUESTRATA

IL LAVORO IRREGOLARE Perimetrazione artigianato nei 12 settori più esposti al fenomeno del lavoro irregolare:

14.387casi

OVVERO IL 66% DELL’ARTIGIANATO DEL TERRITORIO

LA BUROCRAZIA E I TEMPI DELLA GIUSTIZIA CIVILE

spread burocratico fiscale

240 ore in Italia

NECESSARIE PER PAGARE LE TASSE

gap Italia-media Ocse

47,2% ore

PER ESPLETAMENTO BUROCRAZIA

92 milioni di euro

VALORE DEL COSTO DELLO SPREAD DI BUROCRAZIA FISCALE ITALIA-OCSE

569 giorni

NECESSARI PER LA GIUSTIZIA CIVILE

Danni anche dal sommerso: le imprese artigiane esposte sono 14.387, ovvero il 66% di quelle presenti sul territorio


RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola è l’eccezione. Oppure no?

L’INDUSTRIA CHE VIVE COPIANDO L’INDUSTRIA Irregolarità e contraffazione Dice il “padre” di Alibaba: «Usano le stesse fabbriche, gli stessi materiali grezzi dei marchi originali ma non i loro nomi… risolvere il problema al 100% è complicato perché significa combattere contro l’istinto umano». Un "istinto" che ci costa complessivamente 36,6 milioni di euro nel varesotto

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arlare di contraffazione e di rispetto delle regole partendo dalle dichiarazioni che Jack Ma, fondatore di Alibaba, ha rilasciato al quotidiano “La Repubblica” nel giugno 2016, può sembrare poco ortodosso. Anche perché se da un lato l’imprenditore cinese ci colpisce per la freddezza di analisi su come sta andando il mercato mondiale (e delle sue dinamiche che coinvolgono sempre più i modelli di business), dall’altro aumenta le preoccupazioni su quel gigantesco serbatoio d’affari – anche per chi copia – che è il Made in Italy. Cosa ha detto Jack Ma di fronte alla difficoltà di contrastare le aziende dei falsi? Questo: «Usano le stesse fabbriche, gli stessi materiali grezzi dei marchi originali ma non i loro nomi…risolvere il problema al 100% è complicato perché significa combattere contro l’istinto umano. La contraffazione è un problema di proprietà intellettuale». E proviene da lontano, considerando il fatto che nell’antichità – secondo alcuni scritti latini – c’era già chi falsificava i sigilli che attestavano l’autenticità di particolari tipi di vini. Ma questa non è una scusa: il problema resta e fa danni. L’Osservatorio Mpi di Confartigianato Lombardia, per il Congresso Provinciale di Confartigianato Imprese Varese, ha realizzato uno studio su quanto l’industria della contraffazione e del lavoro irregolare distrugga,

letteralmente, il tessuto economico di chi fa impresa seguendo le regole in assoluta trasparenza. I dati più aggiornati Dal 2008 al 2016, il numero di sequestri della merce contraffatta in provincia di Varese sono stati 5.021 per un valore di 36,6 milioni di euro. Solo nel 2016 il numero di sequestri è stato di 76, i pezzi 23.632 per un valore di 339mila euro. Oltre la metà (56,8%) del valore dei sequestri effettuati sul territorio si riferisce ad abbigliamento, il 17,5% ad accessori di abbigliamento, il 10,8% a profumi e cosmetici, il 3,5% ad apparecchiature elettroniche, il 3,4% ad altre merci, il 3,1% a calzature e il 2,2% ad occhiali e orologi e gioielli. L'indicatore che rapporta il valore dei beni sequestrati nei nove anni esaminati e il valore aggiunto manifatturiero è pari allo 0,56% (inferiore rispetto al valore medio regionale dell’1,34%). In provincia di Varese, le imprese artigiane attive nei settori esposti alla contraffazione sono ben 1.090, pari al 21,9% dell’artigianato manifatturiero del territorio. I danni Per l’appunto, il problema resta e fa danni: economici per le imprese (mancate vendite, riduzione del fatturato ma anche perdita di immagine e credibilità), per lo Stato (perché chi si dedica al falso si dedica all’evasione fiscale) e per il

mercato (perché la concorrenza, da strumento sano che sta alla base del miglioramento, diviene sleale e quindi inquina l’economia). Danni però anche per la salute del consumatore finale (le merci contraffatte sono insicure), per la collettività (il reinvestimento dei proventi illeciti proveniente dall’illegalità va alle organizzazioni criminali) e per i singoli lavoratori (la contraffazione si abbina al lavoro nero). Il lavoro nero E la concorrenza sleale del sommerso si fa sentire anche in provincia di Varese: le imprese artigiane esposte al fenomeno sono 14.387 (il 66% di quelle presenti sul territorio), mentre quelle attive nei servizi alla persona, nei servizi di alloggio e ristorazione e nel trasporto e magazzinaggio che sono maggiormente esposte sono 4.551, il 31,6% dell’artigianato interessato dal lavoro nero. Insomma si tratta di un furto vero e proprio che colloca l’Italia – secondo i dati Ocse ed Euipo (l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale) – al secondo posto nel mondo per contraffazione subita subito dopo gli Stati Uniti. Qual è il principale Paese che si dedica al fenomeno? La Cina, dalla quale proviene il 41,1% dei beni sequestrati ai confini della Ue. // DAVIDE IELMINI

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RIVOLUZIONI POSSIBILI Dove va l’economia del futuro

MILANO-VARESE-GENOVA Nasce l’asse dello sviluppo L’ad di Ferrovie dello Stato Renato Mazzoncini annuncia interventi per 14 miliardi in dieci anni in Lombardia. E rilancia sulle merci: «Sarà l’area metropolitana milanese a rafforzare l’Italia». Ma chi perderà questo treno resterà fuori dai giochi SARA BARTOLINI

Comunicazione Confartigianato

sara.bartolini@asarva.org

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orti, aeroporti e, soprattutto, treni: viaggerà su tre assi l’economia del futuro. Un’economia aperta e metropolitana, destinata a frastagliare i vecchi confini tracciati dalla geografia per ridisegnare agglomerati urbani attraverso i quali far transitare merci e persone. E, con esse, lo sviluppo di imprese e Paesi. È uno scenario futuribile e realistico quello che ha in testa Renato Mazzoncini, bresciano, laurea in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano, con

un’esperienza nel settore trasporti pubblici avviata nel 1992 e culminata nel dicembre 2015 con la nomina al vertice di Ferrovie dello Stato, di cui oggi è amministratore delegato e direttore generale. Mazzoncini – protagonista a Varese insieme all’ad di Trenord Cinzia Farisè del convegno Dem “Il futuro sta cambiando” – guarda al futuro prossimo attraverso la lente delle metropoli, cui affidare il ruolo di collanti e collettori di territori omogenei e confinanti. «Le metropoli, già oggi, sono molto rilevanti a livello mondiale perché, sempre di più, è attraverso le metropoli che viene misurata la competitività tra Paesi». Quale metropoli trascinerà l’Italia è scritto nei programmi di sviluppo disegnati dal Governo e

dall’economia: Milano, «una Milano da intendersi in termini estensivi, e comprensiva dei territori che si snodano dal porto di Genova a Torino, Brescia e Varese, attraverso i relativi collegamenti veloci e con il supporto di un aeroporto a vocazione internazionale come Malpensa».

Sfida da Rotterdam all’Africa

Una grande area che l’ad di Ferrovie dello Stato – il gigante delle 2.200 stazioni italiane – identifica con il comprensorio di dieci milioni di abitanti sulla cui attrattività si giocherà «la partita economica più importante del Paese, quella destinata a trascinare con sé l’Italia, da Nord fino a Sud». Perché quando l’Europa avrà bisogno dell’Africa, e dei suoi


RIVOLUZIONI POSSIBILI Dove va l’economia del futuro

Dal Nord Europa fino all'Africa Varese ridiventa strategica E per Malpensa e le imprese la sfida è trovare un'identità forte

trasferiti dalla strada alla rotaia. I nuovi terminal - Milano Smistamento, Brescia La Piccola Velocità e Piacenza Le Mose dispongono di caratteristiche infrastrutturali in linea con i parametri dei corridoi europei per il traffico merci, ovvero moduli per treni della lunghezza di 750 metri. Le tre aree identificate per la realizzazione dei terminal sono ben posizionate sul territorio, sia per i collegamenti ferroviari che per l’interconnessione con la rete viaria principale. Ultimati tutti gli interventi di potenziamento infrastrutturale e tecnologico dei terminal potranno essere gestiti volumi di traffico merci di circa 800mila unità di trasporto intermodali (Uti) all'anno. Tutto questo rientra nella “cura del ferro” di Ferrovie dello Stato che ha come obiettivo finale quello di trasferire entro il 2030 il 30% del traffico merci dalla gomma alla rotaia e il 50% entro il 2050.

Malpensa, Rho-Gallarate e Gottardo

Renato Mazzoncini

mercati in via di sviluppo, sarà nell’Italia della certezza del diritto e dei servizi efficienti che cercherà il punto d’appoggio per intercettare il business del Continente Nero, creando un asse Nord-Sud destinato ad avere nella “grande Milano” il suo centro di smistamento merci. Una rivoluzione copernicana rispetto all’attuale flusso delle merci, in accesso dal colosso portuale di Rotterdam, centro logistico focale dell’Eurozona. «L’obiettivo è dirottare parte di quei flussi su Genova e, anche per questo, dal primo gennaio è nata Mercitalia Rail Srl, controllata al 100% da Ferrovie dello Stato. Si tratta di una società dedicata al trasporto ferroviario di merci che opera in Italia e all’estero promuovendo e gestendo ogni iniziativa e servizio nel campo del

trasporto ferroviario delle merci». Un modo per tentare di invertire cifre che attualmente non permettono all’Italia di giocare da attaccante la partita delle merci e della logistica (con relativo indotto): «Oggi – conferma l’ad di Ferrovie dello Stato – solo il 7% delle merci viaggia su ferro, un dato drammatico. Anche per questo stiamo lavorando su nuovi terminal e nuovi treni».

Terminal per le merci e la logistica

Il riferimento è al programma da 200 milioni di euro messo in campo per dotare il Nord Italia di nuovi terminal tecnologicamente avanzati e a bassissimo impatto sull'ambiente per gestire il futuro incremento dei volumi di merce che, grazie al Tunnel di Base del Gottardo, saranno

In questo quadro di sviluppo della connettività a beneficio del trasporto merci, il ruolo di Varese e del suo territorio non potrà che essere centrale, anche (e non solo) in considerazione della presenza dell’aeroporto di Malpensa. Decisivo, sempre per Varese, il collegamento Rho-Gallarate: l’istruttoria per approvare il progetto definitivo di potenziamento è in corso al Cipe e, una volta approvato, si svilupperà per un tratto di 31,5 chilometri, prevedendo la realizzazione del raccordo a “Y” fra le linee Rfi e Ferrovie Nord Milano e il completamento degli interventi di potenziamento infrastrutturale del tratto Parabiago-Gallarate. Obiettivo dell’intervento è l’incremento della capacità dei binari a beneficio dei treni veloci, dei treni a lunga percorrenza e, soprattutto, del traffico merci. «Un’ulteriore integrazione tra Varese e Milano che – parola di Mazzoncini – non potrà che dare ossigeno allo sviluppo economico dell’intero territorio».

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RIVOLUZIONI POSSIBILI Il video e la svolta

SACCONAGO, la periferia che si prepara a fare centro A meno di un anno dall’inchiesta di Confartigianato Varese la svolta annunciata dal sindaco di Busto Emanuele Antonelli alle aziende: «Mensa e centro cottura entro la fine del 2018»

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l 31 maggio 2016 l’avevamo intitolata così la video-inchiesta dalla quale tutto è iniziato: “Sacconago, periferia delle imprese”. Da qualche settimana, per quella video-inchiesta c’è un nuovo finale perché Sacconago, da periferia, si prepara a diventare “cuore” delle imprese. L’ha promesso la giunta di Busto Arsizio che, nell’ambito del progetto #fuoridalcomune, ha scelto d’incontrare i titolari delle aziende dell’area industriale della città per annunciare che la mensa, il servizio più atteso dalle aziende della zona, si farà. E non sarà una semplice mensa, bensì un vero e proprio centro cottura, con bar, area per pranzare all’aperto, e ristorante. «Una struttura funzionale ed esteticamente gradevole» ha assicurato il sindaco Emanuele

Antonelli che alla Lodetex di via Tibet ha riunito gli assessori Stefano Ferrario, Isabella Tovaglieri, Alberto Riva, Miram Arabini e Max Rogora per offrire al comparto risposte attese da anni.

Bagni e docce per i camionisti

Il centro cottura-mensa, innanzitutto, che secondo le previsioni potrà vedere la luce nell’area verde antistante il centro raccolta Agesp entro la fine del 2018. Quindi i servizi (bagni e docce) da mettere a disposizione dei molti camionisti che gravitano su Sacconago e, in futuro, "perché no?", uno spazio-coworking, dove accogliere nuove idee e nuovi imprenditori. La rivincita di Sacconago, insomma, ha una data, ha contenuti ben precisi e ha le gambe economiche per camminare: «Grazie alla

collaborazione con le associazioni (Confartigianato Imprese Varese in prima linea, ndr) abbiamo sondato attraverso due questionari l’interesse delle aziende e il numero stimato di utilizzatori della mensa» ha spiegato il primo cittadino di Busto. La stima è arrivata a quota 150-200. Un buon numero, certo, ma non sufficiente a reggere e ripagare il peso dell’investimento economico iniziale. Per questo s’è scelto di optare per un’operazione in project financing che «ha già raccolto l’interesse di operatori specializzati». Prossimo passo? Un bando comunale e la concessione dell’area, che resterà comunque di proprietà comunale. Sacconago brinda, ma non si ferma. Perché l’ingranaggio ha ancora bisogno di olio: c’è, ad esempio, da risolvere il problema della connessione internet, fortemente depotenziata rispetto alle esigenze delle imprese.

Vento in poppa alla Rete

Come intervenire? All’incontro – cui hanno preso parte una sessantina di imprenditori – ci ha pensato Sergio


RIVOLUZIONI POSSIBILI Il video e la svolta

Grassi, direttore commerciale di Eolo, a mettere un po’ di vento nelle vele delle connessioni. «Ci siamo e siamo pronti a giocarci la partita di Sacconago». Eolo, che di casa sta a Busto Arsizio, garantisce parabole e connessioni (con sconti ad hoc per le aziende aderenti a Confartigianato Imprese Varese, nell’ambito di una convenzione siglata a livello nazionale). Ma, soprattutto, garantisce lavoro sul territorio: diretto, con i suoi 300 dipendenti, e indiretto. Sono infatti mille gli occupati nell’indotto, molti dei quali artigiani installatori specializzati. Soddisfatto Roberto Rosanna, della Erreci di Sacconago, gran combattente per la causa di

Sacconago: «Questo passo avanti è fondamentale e fondamentale è anche la rassicurazione del sindaco rispetto al fatto che ci aggiornerà sugli stati d’avanzamento dell’opera. Lo stesso faremo noi, vogliamo assolutamente raggiungere l’obiettivo». Ma Rosanna non si ferma: come Lisa Condorelli della Ic e Carlo Andaloro (responsabile della cooperativa Carva 3), guarda a un futuro che comprende il miglioramento della viabilità e dell’accessibilità del comparto («la variante 341 è scomparsa dalla previsione del Pgt, è necessario trovare una soluzione alternativa per gli autotrasportatori che devono raggiungere la zona»). Va meglio

ImpresAperta: tris con la Regione Detassazione degli utili investiti in ricerca, un canale privilegiato con le scuole e le Università per portare in azienda nuove competenze, bandi regionali più agili e a misura di piccole imprese: la Tintoria Filati Maino di Busto Arsizio ha inaugurato il 16 marzo “ImpresAperta”, il progetto promosso da Confartigianato Imprese per far conoscere alle istituzioni il mondo della PMI e avviare un dialogo destinato a uscire dalla logica delle passerelle per tradursi in fatti. A rispondere per primo alla chiamata di Confartigianato Varese è stato il presidente del Consiglio Regionale Raffaele Cattaneo, che ha visitato l’azienda bustocca insieme al presidente di Confartigianato Varese Davide Galli. La seconda azienda protagonista di ImpresAperta è stata la Bbr Models di Saronno.

anche sul fronte raccolta rifiuti, mentre qualche miglioramento è auspicabile per i pedoni (marciapiedi).

Baratto amministrativo in vista

Intanto anche il sindaco è pronto a portare in dote a Sacconago altre novità, a cominciare dal “baratto amministrativo”. Sacconago non si ferma, e la città attorno si organizza per esserne all’altezza: accanto alla pista ciclabile nascerà un’area feste e via Lonati verrà rimessa a nuovo. Sacconago periferia? Forse ancora per poco. // SARA BARTOLINI Video e approfondimenti sul sito www.asarva.org

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RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola del cambiamento

Il Ticino ferma l’Italia E L’ITALIA COME REAGISCE? economiche che attanagliano da qualche tempo anche il Cantone di lingua italiana, inserendosi nell’alveo dell’iniziativa popolare “Prima i nostri” votata nel settembre dello scorso anno. Frontiere chiuse, e non solo dal punto di vista fisico: anche la concorrenza, favorita in questi anni dalla presenza di aziende varesine (e lombarde), ora rischia di fermarsi sul confine, a discapito di libertà d’impresa, contenimento dei costi e innalzamento della qualità.

Concorrenza leale e qualità

Il presidente provinciale di Confartigianato Imprese Varese, Davide Galli

«La decisione assunta dal Gran Consiglio del Canton Ticino ci lascia sorpresi, anche alla luce dei tanti incontri di questi mesi tra politici italiani ed elvetici a margine dei quali pareva di aver colto una sintonia e una reciprocità condivise»

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l Canton Ticino ha scelto. Lo ha fatto il 10 aprile quando, con 66 voti favorevoli e due astensioni, il Gran Consiglio ha approvato la modifica della Legge sulle commesse pubbliche del 10 febbraio 2001, innescando uno tsunami che ha fatto rumore ma anche riflettere. Il punto: dall’entrata in vigore della nuova normativa, le imprese italiane non potranno più accedere agli appalti pubblici (cantonali, comunali o di enti sussidiati) di valore inferiore agli 8,7 milioni di franchi. Vale a dire, cioè, niente più tricolore nel 90% degli appalti pubblici del settore edile banditi oltre frontiera. Il Gran Consiglio ha scelto di affrontare così le difficoltà

Ma tant’è: il Cantone ha scelto. La partita, quella vera, per le imprese si sposta quindi in Italia. Perché è qui che bisognerà capire se qualcuno vorrà calare l’asso a sostegno dell’imprenditoria locale. Confartigianato Varese, con una lettera a firma del presidente Davide Galli, ha messo proposte e disponibilità nero su bianco, invitando tutti coloro che a vario titolo e a vari livelli rappresentano la provincia di Varese nelle istituzioni a mettere tempo e impegno a disposizione di una concorrenza leale, basata su regole chiare e sul principio della qualità. Premette il presidente Galli: «La decisione assunta dal Gran Consiglio del Canton Ticino ci lascia quantomeno sorpresi, anche alla luce dei numerosi incontri di questi mesi tra rappresentanti politici italiani ed elvetici a margine dei quali ci pareva di aver colto una sintonia e una reciprocità che purtroppo non riscontriamo nell’azione legislativa cantonale. Che dire? Mancanza di trasparenza o eccesso di cordialità a dispetto dei fatti?».


RIVOLUZIONI POSSIBILI La regola del cambiamento

Prosegue Galli: «Per quanto ci riguarda, continuiamo a sostenere che la concorrenza sia una risorsa imprescindibile per tutti i mercati e per i cittadini e temiamo che l’azione del Canton Ticino rischi di sortire effetti negativi, alla lunga, sia sugli enti pubblici che sui consumatori». È solo un’ipotesi, certo, un rischio, ma vederlo correre ad un Cantone con il quale l’Insubria intrattiene rapporti strettissimi non può che preoccupare anche l’Italia.

I fatti smontano i pregiudizi

«C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare – prosegue il presidente di Confartigianato – Le aziende italiane saranno pure considerate sporche (inteso come inquinanti) o cattive (nel senso di poco responsabili) ma i fatti e i comportamenti dimostrano il contrario, a dispetto di ogni pregiudizio, tanto che in questi anni le imprese italiane hanno stimolato le imprese svizzere a diventare ancora più competitive». Riflessioni dalle quali è maturata la proposta inviata a deputati, senatori, consiglieri e assessori regionali, sindaci della provincia di Varese. «Non vogliamo discriminazioni generalizzate, fondate su nazionalità, localizzazione o dimensione d’impresa, ma requisiti selettivi, non solo per prezzo ma per qualità, garanzia tecnica, professionalità, continuità ed operativa prossimità territoriale dell’impresa. Mi aspetto, anzi sono convinto, che anche in Italia inizieremo a operare in questa direzione, affinché si possa lavorare in regime di concorrenza ma con regole ben chiare a garanzia del bene pubblico».

Un patto per i pagamenti veloci

Una prima risposta nella direzione auspicata è giunta, a stretto giro di posta, dal sindaco di Varese Davide Galimberti: «Davanti alla decisione della Svizzera, il Comune di Varese, per impedire che possa avere ripercussioni sulle nostre aziende e sull’occupazione, ha deciso di accelerare una serie di investimenti in opere pubbliche (18 milioni sul comparto stazioni, 6 milioni per il

DAL CHILOMETRO ZERO alle semplificazioni

Buone notizie per le piccole e medie imprese arrivano da Palazzo Chigi dopo l’approvazione del decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 aprile, su pressing di Confartigianato per consentire anche alle Pmi di cogliere le opportunità del mercato degli appalti pubblici. Tra le novità in evidenza, figura in primo luogo la modalità di affidamento “a chilometro zero”, vale a dire la possibilità per le stazioni appaltanti di riservare la partecipazione alle micro, piccole e medie imprese che abbiano sede legale e operativa nel territorio regionale di esecuzione dei lavori per una quota non inferiore al 50% del totale delle aziende partecipanti. Importante anche l’innalzamento a due milioni di euro della soglia di aggiudicazione con l’offerta economica più vantaggiosa, la semplificazione delle procedure di accesso alle gare pubbliche con il principio dell’interoperabilità delle banche dati, il limite all’ambito di

applicazione dei criteri ambientali minimi nell’edilizia, la nuova definizione di rating d’impresa non penalizzante per le piccole imprese, l’eliminazione dei costi di funzionamento delle piattaforme telematiche a carico degli operatori economici, sconti del 50%, riservati alle piccole imprese e ai loro consorzi, sugli oneri delle garanzie per la partecipazione alle procedure. Negativo, invece, il giudizio sulla previsione di rendere obbligatorie le clausole sociali negli appalti e perplessità sulla nuova formulazione relativa ai termini di pagamento.

parcheggio di via Sempione e i 6 milioni per gli interventi delle scuole). Stiamo lavorando per far ripartire il motore economico di Varese con azioni che possano ridare slancio al territorio». Sempre nell’ottica di garantire nuove opportunità alle imprese, l’amministrazione ha sottoscritto un Protocollo per la regolarità e la sicurezza del lavoro nelle costruzioni con Confartigianato Varese, Ance, Cna, Fillea Cgil, Filca Cisl e Fenea Uil. Nel documento c’è l’impegno ad effettuare i pagamenti in favore delle aziende, previsti dai contratti e dall’ordinamento, entro i termini previsti». Si sono mossi su questo fronte anche i deputati Pd Maria Chiara Gadda e Angelo Senaldi. // SARA BARTOLINI

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RIVOLUZIONI POSSIBILI Il genio in cattedra e le imprese che sfondano

IL GURU DEL WEB E I SOCIAL «Tu fuori? Guadagni agli altri»

Davide Dal Maso, 22 anni, è tra i più giovani consulenti d'Italia «Dimenticate i mille euro per un cartellone pubblicitario: con la Rete si risparmia, l’investimento è in capitale umano» DAVIDE IELMINI

Comunicazione Confartigianato

davide.ielmini@asarva.org

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iù che una scelta un dovere: tutte le imprese dovrebbero inserire in Bilancio la voce “social”, perché in questi o ci investi o rischi di essere tagliato fuori. Dalla società e dagli affari. Davide Dal Maso ha quasi ventidue anni, e da sei è un genietto dei social. Per lui, che è di Trissino e si diploma al Liceo Leonardo da

Vinci di Arzignano, tutto corre. E si ritrova a tenere una lezione alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Padova. Come docente.

Davide, alcune Pmi sono ancora refrattarie ai social: perché?

Ci sono ancora pregiudizi, alcuni pensano non siano utili e altri proprio non ci credono perché pensano che i social non possano incidere sul fatturato. Risultato, non ci investono perché vale ancora la regola “è sempre andata così…”. Ormai seguo sempre più aziende, piccole e grosse: trenta solo nel

«Non illudetevi di essere bravi solo se li usate nella vita privata; esserci come utenti è una cosa, esserci come azienda che ci deve fare business è un’altra»

2016. Una di queste, tempo fa, mi ha detto che non aveva più soldi da spendere e quindi ha cessato l’attività sui social. Un’altra ha preferito investire 40mila euro al mese in pubblicità cartacea e solo 500 euro su Facebook. La partita è dura ma è sempre aperta.

Eppure…?

Eppure alcune imprese preferiscono investire in cartelloni pubblicitari da mille euro al mese piuttosto che scommettere su Facebook, comodissimo per raggiungere subito le persone che potrebbero diventare tuoi clienti. Per esempio, poco tempo fa ho curato la campagna Facebook per una piccola attività di “caccia e pesca”: ci siamo concentrati sugli appassionati di questi sport in un raggio di 25 chilometri intorno al negozio e con 20 euro di sponsorizzazione abbiamo raccolto settecento condivisioni e raggiunto 103mila persone. Lo stesso è accaduto con un’azienda di Modena che fa arredamenti su misura: su


RIVOLUZIONI POSSIBILI Il genio in cattedra

«Per il B2C consiglio l’abbinata Facebook e Instagram, mentre per il B2B vale l’uso combinato di Facebook e LinkedIn»

raggiungi qualsiasi potenziale cliente in tutto il mondo perché trovi tutte le informazioni che ti servono. LinkedIn è una banca commerciale pazzesca e in più è un network con il quale iniziare ad interagire. Subito dopo però deve scattare una telefonata per dare un contenuto anche umano al rapporto.

Come si inizia sui social?

Facebook siamo partiti con una campagna rivolta solo agli architetti mentre su Instagram ci siamo rivolti ai cittadini. Dopo venti giorni, ha chiuso un contratto di vendita.

ci devi lavorare ogni giorno. Devi essere dinamico e incuriosire, perché una volta che intercetti un cliente devi anche cercare di vendergli qualcosa. L’obiettivo è quello.

Quindi i social funzionano?

Quali i social più adatti per il business delle imprese?

Le nuove generazioni, soprattutto quelle nate tra il 1995 e il 2010 passano sui social almeno cinque ore al giorno. Il messaggio che mando alle imprese è questo: sui social, o ci sei tu o ci sono i tuoi competitor. Ci devi investire: più in formazione e risorse umane dedicate che soldi. E non illudersi di essere bravi sui social solo perché li si usa nella vita privata. Esserci come utenti è una cosa, ed esserci come azienda che ci deve fare business è un’altra. Le domande alle quali rispondere sono tante: dove vanno le mie foto quando le posto? Come garantirmi una privacy decente?

Ci vuole una strategia?

Non è sufficiente aprire una pagina aziendale su Facebook o LinkedIn;

Per il B2C consiglio sempre l’abbinata Facebook e Instagram, mentre per il B2B vale l’uso combinato di Facebook e LinkedIn. Questi sono gli strumenti più adatti proprio alle piccole e medie imprese. Alcune sono attratte dai grossi numeri che fanno, per esempio, Snapchat e Twitter, ma se sei un’azienda meccanica o tessile, lascia perdere. Ci si deve dirigere su strumenti che aiutano l’attività commerciale.

LinkedIn è fatto apposta, no?

Un’azienda che ha figure commerciali al suo interno, dovrebbe subito aprire una pagina aziendale su LinkedIn. Con i pacchetti premium a pagamento

Parliamo di Facebook. Il primo passo è quello di aprire una pagina aziendale (non un profilo personale) e configurarla in modo ottimale; il secondo step sono i contenuti. Bisogna saperli scegliere e scrivere; l’importante è che siano poco autoreferenziali, un po’ divertenti ma molto utili. In una parola, che facciano edutainment (education più entertainment): un po’ di educazione e un po’ di intrattenimento. Di post se ne devono fare almeno uno o due alla settimana e devono interessare le news dell’impresa e del settore nel quale opera. Insomma, le notizie devono essere appetibili, devono parlare di nuovi prodotti o servizi. Il terzo passo è quello di passare alle sponsorizzazioni sul post e il quarto di usare molto i video (al massimo da un minuto) che Facebook premia sempre alla grande.

Social per tutte le imprese?

Servono sempre: per crearsi un’immagine oppure ottenere più visibilità, per lanciare o rilanciare il proprio brand, per presentare il lato non solo professionale ma anche umano del team che lavora con te. Su Facebook posso lanciare una campagna con 100 euro e dopo un mese ritrovarmi con 10mila contatti e qualche risultato commerciale.

Per gestire bene i social, in azienda ci vuole una figura che si dedichi solo a questi?

È indispensabile ma le pagine social devono essere gestite da chi vive l’azienda, si confronta con i processi, conosce le strategie. Per esempio è validissimo rivolgersi a chi fa assistenza ai clienti dell’azienda e chiedere quali sono state le loro domande più frequenti. Le risposte, poi, l’azienda le dà sui social. Un intreccio decisivo.

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RIVOLUZIONI POSSIBILI Il futuro visto da Tommaso Nannicini

LA TECNOLOGIA non distrugge il lavoro Il docente bocconiano, già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Governo Renzi, fa il punto sul Jobs Act «Domanda e offerta oggi non si incontrano, per superare il mismatch non lasciamo sole imprese e scuole» ENRICO MARLETTA

Giornalista quotidiano La Provincia

e.marletta@laprovincia.it

N Tommaso Nannicini, già sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri

«Per proteggere i lavoratori dal mercato che cambia con una velocità vertiginosa si investa su competenze e formazione»

on c’è solo il lavoro che manca. Ci sono una domanda di qualifiche e un’offerta di professionalità che potrebbero incontrarsi e non si incontrano, a partire dal settore digitale connesso allo sviluppo tecnologico. Nel medio periodo, domanda e offerta troveranno un migliore equilibrio secondo Tommaso Nannicini, il professore bocconiano che ha scritto il Jobs Act e che in seguito è stato nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio durante il governo Renzi: l’imprinting sul sistema nazionale degli ultimi anni darà i risultati sperati, occorre continuare a lavorare sugli indirizzi già delineati.

Secondo l’ufficio studi di Confartigianato, in Italia resterebbe vacante il 22% delle posizioni nel settore digitale per carenza di professionalità adeguate. È effettivamente il paradosso del mercato del lavoro in Italia e viene mostrato da tutti gli studi

internazionali. Esiste un “mismatch” tra domanda e offerta, che significa avere una domanda e un’offerta che non si incontrano.

Come si può intervenire in modo efficace per rispondere a esigenze di lavoro e di professionalità che pure si incontrerebbero? Come abbiamo fatto con il Jobs Act, vale a dire adottando indirizzi per non lasciare nessuno da solo di fronte a uno scenario mutato e a un mercato del lavoro più fluido. Si dice che il progresso tecnologico distrugga i posti di lavoro. Non è del tutto vero. Il progresso tecnologico e la formazione devono correre di pari passo perché il sistema risulti efficiente, mentre in questa fase il progresso tecnologico sta correndo più veloce.

Colpa della formazione inadeguata o arretrata?

Di certo anche al sistema di formazione permanente in Italia serve un salto di qualità. Purtroppo per farlo non basta una buona legge e non basta scrivere che tutti hanno diritto alla formazione di qualità. Dobbiamo attivare tutta la capacità istituzionale sul territorio in grado di far fare un salto di livello. Il governo Renzi ha introdotto l’alternanza obbligatoria scuolalavoro per avvicinare questi due


RIVOLUZIONI POSSIBILI Il futuro visto da Tommaso Nannicini

JOBS ACT, GLI ULTIMI DECRETI

«Serve che gli istituti scolastici facciano orientamento e marketing territoriale, insegnando sia alle scuole sia alle imprese come interfacciarsi»

SEMPLIFICAZIONI ambia la normativa sulle dimissioni C del lavoratore e si dà l’addio a quelle in bianco: il ministero del Lavoro fornisce moduli telematici ad hoc, numerati e datati Eliminato il registro infortuni, in materia di sicurezza le sanzioni (sia civili che penali) sono inasprite, ma limitate ai casi più gravi Novità per l’assunzione di disabili: possono avvenire con chiamata nominativa

CONTROLLI A DISTANZA c, tablet, smartphone e badge aziendali P ora non hanno bisogno delle autorizzazioni sindacali o amministrative imane la procedura autorizzatoria per R le telecamere, ma si apre alla possibilità di utilizzare, anche per fini disciplinari, i dati raccolti dando una precisa informazione al lavoratore nel rispetto della privacy

Cosa ne dice della controversa abolizione dei voucher?

mondi, una misura fondamentale, ma purtroppo anche per questo non basta una buona legge. Serve che tutte le scuole facciano orientamento e marketing territoriale, insegnando sia alle scuole sia alle imprese come interfacciarsi e parlare tra loro a vantaggio di tutti.

Il Governo ha deciso di superare così questa diatriba ma mi è sembrato più un finto problema, uno strumento di distrazione di massa. Si parla dell’1% delle ore lavorate in questo Paese. È chiaro che c’erano anche degli usi impropri e alcuni abusi, allo stesso tempo era un modo di fare regolarmente alcuni lavori realmente occasionali. Tolto dal campo questo strumento di distrazione, così parliamo di altro, dovremo capire come fare in modo che alcuni lavori realmente occasionali che non nascondono abusi ma hanno esigenze di flessibilità, come l’assistenza alla famiglia, baby sitter o giardinaggio, trovino degli strumenti nel nostro ordinamento per non finire nell’economia sommersa.

Questo meccanismo è già avviato?

Sì, ma è facile a dirsi e meno facile a farsi. I risultati si vedranno necessariamente nel corso degli anni via via che il sistema sarà in grado di raccogliere queste sfide. Questa è l’unica direzione possibile e l’unico modo di proteggere i lavoratori dal mercato che cambia con una velocità vertiginosa è investire sulle competenze e sulla formazione. È questo il nuovo articolo 18 e il nuovo modo di non lasciare nessuno da solo sul mercato.

AMMORTIZZATORI SOCIALI utele estese a 1,4 milioni di lavoratori T prima senza copertura, cioè i dipendenti di aziende da 5 a 15 dipendenti ig e contratti di solidarietà potranno C durare in tutto fino a 36 mesi nel quinquennio mobile Confermato il meccanismo di “responsabilizzazione” nell’utilizzo della nuova cassa integrazione che comporta però un aggravio di costi per le imprese

POLITICHE ATTIVE

TASSO DI OCCUPAZIONE E DISOCCUPAZIONE Tasso di occupazione Febbraio 2016 – febbraio 2017, dati destagionalizzati, valori assoluti in migliaia di unità 23.000 22.900 22.800 22.700 22.600 22.500 22.400 22.300 Feb Mar Apr Mag Giu

Nasce l’Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal), operativa dal 1° gennaio 2016. ItaliaLavoro non sarà cancellata e sarà il braccio operativo dell’Agenzia Si rafforza la condizionalità degli interventi: i percettori della nuova indennità di disoccupazione (Naspi) avranno diritto dopo quattro mesi a un assegno di ricollocazione S ui fondi interprofessionali per la formazione continua, lo Stato ora ha solo una funzione di “indirizzo politico” e non più di controllo FONTE: Ministero del Lavoro

medie mobili a tre termini valori assoluti Lug Ago

Set

Ott Nov

Dic

Gen

Feb

Tasso di disoccupazione Febbraio 2016 – febbraio 2017, dati destagionalizzati, valori percentuali 12,2% 12,0% 11,8% 11,6% 11,4%

medie mobili a tre termini valori percentuali

11,2% 11,0% Feb Mar Apr Mag Giu

Lug Ago

Set

Ott Nov

Dic

Gen

Feb

FONTE: Istat

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RIVOLUZIONI POSSIBILI L'impresa delle donne in rete

BUTTATE GIÙ GLI STEREOTIPI L’informatica è vera creatività Esistono ancora mestieri per “soli uomini?”. Ce lo siamo chiesti nel viaggio di Imprese e Territorio News (www.asarva.org) e lo abbiamo chiesto anche a Elena Ferrari (università dell'Insubria) «Non è solo un problema di conciliazione, ma di autoesclusione»

PAOLA PROVENZANO Giornalista

paolaprove@yahoo.it

L'

informatica non è un mestiere per soli uomini e tantomeno una disciplina arida, fatta di ore passate davanti a un terminale. Al contrario sempre più è sinonimo di creatività»: così la pensa Elena Ferrari docente di informatica dell’Università degli Studi dell’Insubria che nel 2011 ha ottenuto il Google Research Award per le sue ricerche nel campo della privacy nelle reti sociali mentre nel 2014, ha ottenuto l'Ibm Faculty Award per le sue ricerche sulla privacy dei Big Data. Il suo punto di vista è sicuramente uno di quelli che aiuta a capire il rapporto tra donne e tecnologia: la docente è infatti anche una delle “donne contro gli stereotipi”, ovvero delle cento esperte che hanno messo nome e curriculum online (www.100esperte. it) per proporsi come interlocutrici quando si parla di scienze dure e tecnologia. Stiamo parlando dell’area Stem, acronimo che in inglese sta per “Science, Technology, Engineering and Mathematics” e che nella nostra lingua racchiude scienza, tecnologia, ingegneria e matematica: un terreno dove tradizionalmente si immaginano all’opera più uomini che donne e dove,

«

dati alla mano, spesso ciò corrisponde ancora al vero.

Dati e stereotipi

Secondo una ricerca sui “Talent Trends”, realizzata da LinkedIn lo scorso anno, nell’ambito Stem le donne rappresentano a livello globale solo il 23% della forza lavoro. «In generale i dati dicono che in questo caso l’Italia non è messa peggio rispetto ad altri Paesi come Germania e Stati Uniti – dice la Ferrari – il che significa che non è solo una questione di politiche di conciliazione, ma sembra piuttosto esserci una specie di autoesclusione delle ragazze rispetto a certi tipi di percorsi di studio considerati ancora molto maschili». Si tratta di dati che sono riprodotti anche dalle aule che la professoressa si trova di fronte. «Su 220 studenti – dice la docente – le ragazze da noi sono sempre poche e posso dire che rispetto al passato le cose non sono cambiate». I motivi di una simile “autoesclusione”? «Sembra che questo meccanismo di autoesclusione cominci già nella scuola primaria dove le bambine non sono spinte a pensare di poter intraprendere qualsiasi carriera. I modelli femminili proposti poi non fanno che rafforzare questa idea». E poi, soprattutto l’informatica, è culturalmente accompagnata da un’aura di professione da “nerd” e poco femminile. «Questo forse poteva essere vero qualche decennio fa – osserva la


RIVOLUZIONI POSSIBILI L'impresa delle donne in rete

docente – ma non certo oggi che l’informatica si dimostra una disciplina ampiamente connessa con molte altre discipline e con un’alta dose di creatività al suo interno». Basti pensare, in questo senso, a tutto il campo della creazione di app che ha rivoluzionato gli orizzonti della nostra vita quotidiana, ma anche all’Iot (internet of thing), per fare solo due esempi fra i tanti nei quali la capacità di visione rappresenta il fulcro del lavoro. Difficile, insomma, parlare ancora di aridità.

FORMIAMOCI ONLINE "NERD" OVER 40 SI DIVENTA L'Itc a misura di donna è firmato "Work Wide Woman" ed è una piattaforma di social learning nata nel 2014 Linda Serra: «Negli Usa ho detto addio al posto fisso...»

Competenze e abilità

Le cose possono cambiare dunque a partire dall’istruzione primaria e dalle proposte che si fanno alle "piccole donne" del nostro secolo: nella loro infanzia – accanto al corso di inglese e di danza – si potrebbe cominciare a considerare anche un percorso di coding, così, giusto per rompere il ghiaccio con il mondo tech. Secondo le stime dell’Ue entro il 2020 i nuovi posti di lavoro nell’ambio Ict saranno infatti 756mila: fare i conti con questo mondo, dunque, non è irrilevante. Ma quali sono competenze e abilità che deve avere chi si avvicina all’informatica? «Agli studenti che si avvicinano a questa facoltà – spiega la docente – io dico sempre che occorre avere capacità logiche per scomporre problemi complessi e capacità di astrazione: insomma si tratta di avere una forma mentale che va al di là della acquisizione delle nozioni». Lo studio dell’informatica richiede anche di essere precisi e metodici. «Per affrontare lo studio a livello universitario non è necessario avere delle basi pregresse, ma una attitudine e un interesse rispetto a questo campo di studio».

Nella scuola primaria le bambine non sono spinte a intraprendere qualsiasi carriera e i modelli femminili non fanno che rafforzare questa idea

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C’è chi ha fatto dell’Itc il suo lavoro e lo ha anche pensato a misura di donna, con una modalità che tiene insieme multitasking e relazioni. Linda Serra ha messo in piedi nel 2014 una start up, accelerata da Tim #WCap Bologna, che ha l’obiettivo di preparare le donne alle professioni digitali e che, nel giro di poco tempo, ha messo in campo partnership con grandi aziende come Telecom Italia, Tim #wcap, Dipartimento di Stato Americano, Google Italia e Dws system. «Work Wide Women – racconta lei stessa – è una piattaforma nata per trasformare un problema in opportunità: il nostro obiettivo era, ed è, quello di dare un contributo alla diminuzione della disoccupazione femminile attraverso formazione online sulle nuove competenze, allineate con le richieste fortemente tecnologiche e digitali del mercato del lavoro». Così è nata Work Wide Women, piattaforma di social learning. Eppure Linda Serra non è una nerd, non è una “smanettona” e neppure una nativa digitale, avendo lei da poco passato i quaranta. «Ho fatto studi classici – racconta – è poi ho studiato giurisprudenza: quando ho fatto la tesi, in diritto comparato, ho dovuto consultare moltissimi documenti online da fonti in inglese. Lì mi è stato chiaro che le potenzialità della Rete erano

grandissime, mi si è aperto un mondo ricco di possibilità». È stato allora che ha cominciato a interessarsi anche di quello che stava dietro le quinte del web. «Un po' da sola per mia curiosità – racconta – e poi anche frequentando corsi appositi, ho appreso il linguaggio Html e ho imparato a sviluppare». Da allora per lei il lavoro non è mai mancato. «Mi sono accorta che, con lo sviluppo di questo tipo di competenze, per me non era difficile trovare lavoro mentre molte mie coetanee facevano fatica». Linda Serra ha così sviluppato l’idea di poter contribuire a far crescere la cultura digitale dapprima con l’esperienza, a Bologna, all’interno dell’associazione Girl Geek, sodalizio presente a livello globale che si occupa di diffondere l’emancipazione professionale delle donne attraverso le tecnologie. Nel 2013 l’Ambasciatore Usa in Italia la ha invitata a prendere parte all’International Visitors Leadership Program del Dipartimento di Stato Americano. Qui ha trascorso tre settimane in giro per l’America, spostandosi per circa cinque Stati e accumulando know how, emozioni e informazioni. Ma soprattutto ricavando l’impressione di un fermento fatto anche di relazioni e capacità di condividere. Al ritorno la sua “adrenalina” era sicuramente alta se è vero che è scattato in lei il desiderio di lasciarsi alle spalle il mitico posto fisso per rimettere in gioco se stessa facendo squadra con altre persone - con gli ingredienti che più le stavano a cuore a quel punto: tecnologia, condivisione, rete, passione, lavoro per le donne e anche un po’ di idee per promuovere una nuova cultura di welfare aziendale basata sull’investimento nei talenti femminili. Oggi la piattaforma online contiene un catalogo molto ampio di offerte rivolte sia a singoli che ad aziende che vogliano investire sulla formazione delle loro risorse anche con progetti ad hoc.

// PAOLA PROVENZANO


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RIVOLUZIONI POSSIBILI Non più solo banche

ANDREA ALIVERTI

Giornalista La Provincia di Varese

andrea.aliverti@libero.it

«S

e esiste un serio problema di liquidità delle piccole imprese e se il sistema bancario non è più in grado di fornire sufficiente liquidità, la ricerca di finanza alternativa al sistema bancario deve diventare prioritaria in Italia». L’affermazione di Fabio Bolognini, fondatore di Workinvoice, società leader in Italia nel mercato dell’anticipo fatture,

sintetizza la situazione attuale per le Pmi italiane, ancora troppo ancorate a un sistema di credito “bancocentrico”. Un tentativo di convogliare liquidità alle Pmi dal bacino vastissimo e bloccato del risparmio gestito è stato il programma “minibond”, agevolato dal punto di vista normativo dal governo, ma nei fatti con risultati pratici ancora limitati. I dati dell’Osservatorio del Politecnico mostrano come meno di 30 Pmi con fatturato inferiore a 50 milioni, sia nel 2016 che nel 2015, ne abbiano beneficiato. Sono state solo 200 le emissioni inferiori a 50 milioni dall’aprile 2013 a settembre 2016 per un totale che non arriva a due miliardi in quasi quattro anni di esperimento.

È il caso del crowdfunding, letteralmente la raccolta di fondi da una “folla” (crowd) di investitori, tipicamente attraverso piattaforme online. Un mercato che in Italia vale 90 milioni di euro e che nella seconda metà del 2016 è cresciuto del 35%, secondo i dati di Starteed. Se il crowdfunding riguarda anche progetti non di natura imprenditoriale, è più utile soffermarsi sul cosiddetto crowdinvesting, ovvero l’opportunità di raccolta di capitale che ha come controparte una remunerazione del capitale stesso, a titolo di investimento. Fenomeno recentissimo: quasi inesistente nel 2012, ha visto una raccolta globale di 28 miliardi di dollari nel 2015.

La ricerca dei capitali sul web e il Bitcoin L’equity crowdfunding consiste nella raccolta di capitale attraverso la sottoscrizione sul web di titoli

C’È UN’ALTRA FINANZA E HA NUMERI IN CRESCITA Guida alla nuova liquidità Il sistema bancario non sempre riesce a rispondere alle esigenze delle aziende e avanzano le alternative Performance record per la raccolta di fondi online nel 2016 (+35%) E per ogni esigenza c’è una modalità “su misura”

Private equity e crowdfunding

Un altro settore in grande crescita è quello del private equity e del venture capital, l'apporto di capitale di rischio da parte di fondi di investimento privati per finanziare l'avvio o la crescita di un'attività in settori ad elevato potenziale di sviluppo. Un mercato che nel 2016 ha registrato il record sull’ammontare investito, che per la prima volta in Italia si è attestato oltre gli otto miliardi di euro (+77% rispetto al 2015), «il valore più alto di sempre - sottolinea afferma Anna Gervasoni, docente Liuc e direttore generale Aifi (Associazione italiana Private Equity) - un ottimo risultato dovuto anche al ritorno di attrattività del nostro Paese e di competitività delle nostre imprese». Altri strumenti si sono sviluppati in maniera più spontanea, “dal basso”.

partecipativi del capitale di una società. Nell’ambito del lending crowdfunding, invece, gli investitori possono prestare denaro a fronte di un interesse e del rimborso del capitale. La piattaforma peer-to-peer di lending seleziona il prestito attribuendo un rating e lo suddivide fra una molteplicità di investitori, per frazionarne il rischio. L’invoice trading consiste infine nella cessione di una fattura commerciale attraverso un portale Internet che seleziona le opportunità, e sostituisce il tradizionale “sconto” della fattura attuato dalle banche per supportare il capitale circolante. La cessione viene attuata tramite asta competitiva o tramite il tranching in tante porzioni, ridistribuite fra diversi investitori. Gli investitori quindi anticipano l’importo della fattura, al netto della remunerazione richiesta.


COSE (IN)UTILI IL CROWDFUNDING FIRMATO EPPELA «Il segreto? Avere alle spalle una comunità che ci crede». L’esperienza di crowdfunding di Cose (in)utili, piattaforma “made in Varese” per il baratto online di oggetti di ogni genere, che per fare un salto di qualità si è rivolta ad Eppela, la prima piattaforma italiana di finanziamento collettivo aperta a tutti, dove proporre progetti culturali, sociali e ambientali, lanciare prodotti innovativi e startup. Era l’autunno del 2015: l’obiettivo, dopo aver tagliato il traguardo dei quattro anni dall’apertura e dei 50mila baratti effettuati, era il restyling del sito, per renderlo più semplice e intuitivo. Rispetto alla richiesta iniziale di settemila euro, la raccolta è andata a gonfie vele: 129 sostenitori hanno versato somme tra i 5 e i 250 euro, consentendo a Cose (in)utili di raggranellare un “gruzzolo” complessivo di 7.417 euro, metà del quale finanziato dal partner Postepay. Così il progetto ha potuto essere sviluppato. «In realtà stiamo ancora completando l’opera, perché l’upgrade del nostro sito si è rivelato complesso, ma ci stiamo arrivando - racconta Elisa Boldi, uno dei fondatori della piattaforma insieme a Mauro Morello -. Il crowdfunding? È stata un’esperienza molto positiva, anche perché abbiamo una comunità di utenti che ci segue e ci sostiene. Io in quel periodo ho visto tante raccolte che non sono andate a buon fine. Se non si ha alle spalle una community di persone che sostengono l’esperienza, ne riconoscono il valore e che ci credono davvero, è difficile convincere le persone a versare anche piccole cifre». Il prossimo passo per Cose (in)utili, che oggi è un sito del tutto gratuito che viene gestito stabilmente da due persone a livello di volontariato, sarà quello di «rendere sostenibile il progetto» in modo tale da avere delle fonti di sostentamento stabili. Anche perché ormai gli utenti sono più di settemila, con una community molto forte soprattutto a Varese dove la piattaforma è nata. «Ancora con il crowdfunding? Perché no?» ammette Elisa. // A. ALI.

DALL’EURO A LINX SI CHIAMA “CAMBIO MERCE” La moneta complementare: una sorta di “cambio merce” fatto in rete tra imprese. Sull’onda del modello Sardex, la “moneta complementare” che è stata celebrata persino sul Financial Times, un’esperienza che è approdata anche in Lombardia. Tecnicamente, si chiama circuito di credito commerciale. Come funziona nella pratica? Prendiamo un’impresa X che ha bisogno di una fornitura da un’impresa Y ma non ha liquidità sufficiente per pagare: se si rivolge ad una banca, il conto degli interessi farà aumentare in modo considerevole il costo della fornitura, così paga una parte del conto in Linx, magari già incassati da un’altra impresa Z per la quale ha eseguito un altro lavoro. È una sorta di “cambio merce” fatto in Rete. Circuitolinx.net rappresenta infatti un mercato complementare e aggiuntivo, che non va a sostituirsi a quello già esistente di un’impresa ma va piuttosto a sommarsi ad esso, consentendole di ottimizzare la capacità produttiva, di rimettere in gioco l’invenduto di magazzino e la capacità produttiva inespressa, di liberare preziosa liquidità e di usufruire di uno strumento di finanziamento e di marketing economico e innovativo, capace di rendere l’impresa più efficiente e competitiva. «Se pensiamo ai tanti periodi in cui in Italia c’è stata difficoltà di accesso al credito - spiega Gianluigi Viganò, amministratore delegato di Circuitolinx.net, esperienza nata tra Merate e Busto Arsizio sul modello e con il know how di Sardex - possiamo ricordare che le aziende lavoravano utilizzando strumenti di scambio del debito, come cambiali, tratte autorizzate, ricevute bancarie o addirittura assegni bancari postdatati. Strumenti molto diffusi anche se in possesso di molti limiti e difetti come la scadenza fissa, il rischio di insoluto o l’impossibilità di frazionamento. Oggi, con l’avvento della rivoluzione digitale, è possibile immaginare un’organizzazione strutturata dei crediti e dei debiti all’interno di una rete di imprese compensata dallo scambio di beni e servizi». // A. ALI.


qualità, comodità 28

RIVOLUZIONI POSSIBILI La nuova edilizia fa squadra

GABRIELE NICOLUSSI

Comunicazione Confartigianato

gabriele.nicolussi@asarva.org

I

n un mondo in profondo cambiamento, come quello dell’edilizia, è necessario guardare avanti, trovare nuove strade e modelli di business alternativi. In una parola, c’è bisogno di rinnovamento. Sono passati quasi 20 anni (l’anniversario cadrà l’11 dicembre) da quando 180 Paesi hanno redatto il protocollo di Kyoto, il trattato internazionale in materia di surriscaldamento globale, ed è ormai chiaro che “rinnovamento” è sinonimo di “ecosostenibilità”.

“SOSTENIAMO” LA CASA DEL FUTURO La battaglia contro le emissioni va combattuta in ogni settore e quello dell’edilizia gioca un ruolo fondamentale. Ne abbiamo parlato con Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club, organizzazione non profit costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati per raggiungere gli obbiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra.

Cosa vuol dire ecosostenibilità in edilizia?

Significa soprattutto ristrutturare, perché il campo più economicamente vantaggioso in questa fase è la riqualificazione delle nostre città, mettendo al centro la questione della sostenibilità. Questo per due motivi. Da una parte si risponde alle richieste di efficienza energetica, che in edilizia sono sempre più pressanti

È un settore in grande trasformazione e Confartigianato con il Matching Day – Costruttori di Relazioni e altre iniziative che seguiranno, punta a sostenere imprese e professionisti a livello di regolamentazione da parte dell’Europa e poi a cascata a livello nazionale. Secondo, perché stimolando l’innovazione si può rilanciare l’edilizia che se dovesse contare solo sulla nuova urbanizzazione, stando attenti più sulla quantità che sulla qualità, temo non avrebbe alcuno scampo. Questo dal punto di vista economico. Poi c’è tutta la questione ambientale. Bisogna dire stop al consumo di suolo perché abbiamo costruito troppo, in alcune parti con veri abusi.

Il problema, però, è anche la massiccia produzione di rifiuti. Per risolverlo

si parla di economia circolare. Cosa s’intende?

È l’uso efficiente delle risorse. Grazie all’innovazione tecnologica siamo in grado di recuperare praticamente tutto e puntare a quell’obiettivo “zero rifiuti” che non è più solo uno slogan, ma un traguardo raggiungibile. Per esempio con la raccolta differenziata possiamo avviare l’umido a impianti di gestione anaerobica in cui possiamo produrre metano e compost. Adesso con meno energia e meno consumo di materia riusciamo a realizzare manufatti anche più confortevoli di prima.


Lavorare in questo modo, però, per alcuni è ancora difficile.

Non ci sono alternative. Se le imprese dell’edilizia non si rinnovano in questo senso, e quindi non pensano alla riqualificazione, all’efficienza e all’utilizzo di materiali innovativi, temo che rimarranno sotto la soglia della sopravvivenza.

Anche una piccola impresa può farcela?

Assolutamente sì. Alcune imprese virtuose sono più avanti delle stesse normative. Il tessuto economico italiano è caratterizzato da Pmi e nel settore dell’edilizia questo vale ancora di più. È vero che le multinazionali possono fare grandi investimenti (penso per esempio al settore dei collanti e delle vernici, in cui si sta investendo molto in ricerca) ma non dobbiamo dimenticare le caratteristiche migliori delle nostre imprese. Flessibilità, agilità e capacità di cogliere le tendenze del mercato fanno del nostro settore quello più adatto a raccogliere questa sfida.

A volte sembra però che la burocrazia e le regole ce la mettano tutta per ostacolare anche chi ha le migliori intenzioni.

Se parliamo di Ue, l’Europa ha svolto e continua a svolgere un ruolo positivo e di stimolo. Sono le autorità italiane a volte ad essere più lente e a rappresentare un ostacolo. È chiaro che da un punto di vista ministeriale si dovrebbe fare di più. È stato molto utile il bonus sul risparmio energetico, che permette una detrazione del 65% su lavori di riqualificazione energetica degli edifici. È stato molto positivo anche estendere l’ecobonus ai condomini e non solo alla singola unità abitativa. Bisogna però impegnarsi di più a determinare le regole per tempo e con la partecipazione degli operatori. I nostri ministeri sono abituati ad andare lenti, senza ascoltare le nostre esigenze. Invece dovrebbero andare più rapidi, attuare norme applicabili e non lasciate nella vaghezza per mancanza di decreti attuativi.

CHI HA TERRA, HA CALORE E ALLA FINE SPENDE MENO Innovare significa anche utilizzare fonti alternative È il caso della geotermia e del riscaldamento sotterraneo Riscaldare una casa costa, costa molto. Ma anche rinfrescarla ha il suo prezzo. Il condizionatore sta aspettando di essere spolverato, pronto a lavorare a pieno regime in estate. E il primo pensiero va al portafoglio. Usando la geotermia a bassa entalpia queste preoccupazioni possono essere, in parte, accantonate. Sostituendo la caldaia tradizionale con una pompa di calore, come Confartigianato Varese ha scelto di fare nella sede di Tradate, si arriva a spendere fino alla metà. Ma di cosa si tratta? Ce lo spiega Luigi Costanzo, titolare di Consolida srl di Busto Arsizio, impresa di trivellazioni che della geotermia ha fatto non solo un modello di business, ma anche una ragione di vita. «È una tecnologia molto utilizzata nei Paesi del Nord – spiega Costanzo - e sfrutta un principio semplice: accumulare il calore presente nel terreno e utilizzarlo per riscaldare la casa. Si può fare per un appartamento, un’azienda, un palazzo. Insomma, per qualsiasi tipo di edificio». Si parte dal presupposto che il sottosuolo ha una temperatura che rimane più o meno costante durante l’anno ed è più fresca d’estate e più calda d’inverno rispetto al suolo. Alle profondità a cui è consentito arrivare in Lombardia con le perforazioni per questo tipo di utilizzo (100-150 m) è all’incirca di 15 gradi. «Si utilizza una pompa di calore, che è un circuito chiuso all’interno del quale circola un fluido che, a seconda delle condizioni di temperatura e pressione in cui si trova, assume lo stato liquido o gassoso. Questo fluido viene fatto passare, attraverso dei tubi, nel terreno, dove assorbe calore. Viene poi compresso per farlo diventare

ancora più caldo e utilizzato per alimentare il sistema di riscaldamento dell’edificio». In pratica fa la funzione della caldaia, ma non utilizza il gas. D’estate invece si trasforma in un condizionatore. Il calore della casa viene ceduto al terreno che restituisce aria fresca. Effetto free cooling per rinfrescare. «È un’ottima soluzione - proseguee Costanzo – che si può utilizzare come unico impianto dell’edificio, non come un integrativo». E i consumi? «Il guadagno è alto. I dati standard dicono che se una caldaia a condensazione consuma 50 euro, un impianto geotermico si ferma a 25. Per il raffrescamento, invece, si spende ancora di meno. Il terreno ha una temperatura di 15 gradi, quindi con una pompa di circolazione riesci a rinfrescare un’abitazione». E a fare, quindi, free cooling, il raffreddamento libero, che sfrutta solamente lo sbalzo termico con l'ambiente esterno. Ecosostenibile e performante, la geotermia presenta però ancora dei costi iniziali abbastanza alti. Per creare un impianto a pompa di calore si spende di più rispetto a un impianto tradizionale. «Questo gap si ammortizza negli anni, senza problemi, perché si ha un grande risparmio nei consumi. Facciamo un esempio concreto. Un nostro cliente, che ha un appartamento di 100 metri quadrati alimentato con pompa di calore e pannelli solari per l’energia, in un anno ha speso 300 euro di corrente per tutte le utenze». In poche parole si è riscaldato, si è lavato, ha cucinato e ha illuminato l’abitazione quasi gratuitamente.

//GABRIELE NICOLUSSI

Il servizio completo su www.asarva.org


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RIVOLUZIONI POSSIBILI Generazione da conoscere

TALENTI E CLIENTI, senza M Quando parliamo di loro in provincia parliamo di un esercito di 193.192 giovani che da qui a dieci anni costituiranno la quasi totalità della forza lavoro: una sfida da giocarsi subito TOMASO BASSANI

Giornalista VareseNews

tomaso.bassani@varesenews.it

L

a delimitazione di una generazione, tecnicamente, viene definita quando un insieme di annate sono accomunate dall’avere sperimentato l’ingresso nella vita adulta in corrispondenza di periodi che hanno rappresentato una “rottura” storica. La generazione del millennio, conosciuta come quella dei “millennials”, è definita tale perché racchiude tutti coloro che sono entrati nella vita adulta nei primi 15 anni del nuovo millennio, quindi orientativamente i nati tra gli anni Ottanta e fino alla fine dei Novanta.

Una generazione che ha condiviso le dinamiche sociopolitiche caratterizzate dall’euro e dalla cittadinanza europea ma, soprattutto, che ha vissuto quel periodo a cavallo tra la nascita, la crescita e l’esplosione della tecnologia digitale, dai primi rumorosi modem per la connessione internet a 56k entrati nelle nostre case alle innovazioni che, con una velocità senza precedenti, stanno condizionando ogni aspetto della nostra vita.

La corsa ai migliori talenti

Il mondo del lavoro, come tutto il resto e anche di più, è immerso in questa rivoluzione che tutto ci indica essere appena cominciata. Una rivoluzione che si è iniziato a codificare in Germania attorno all’ambizioso titolo di Industry 4.0 e sulla quale le frange più avanzate delle nostre imprese hanno già

mosso i loro primi passi. Le altre seguiranno a ruota perché la partita, soprattutto nella nostra zona, è ancora tutta da giocare. Di fronte a questa sfida la capacità delle imprese di attrarre i migliori talenti della generazione del millennio risulterà cruciale: non solo perché si tratta della generazione che ha vissuto da sempre immersa in questo cambiamento radicale ma, soprattutto, per farsi trovare pronte ad attrarre, sia come forza lavoro che come consumatori, la generazione successiva, quella che non ha mai conosciuto un mondo senza le innovazioni digitali: la generazione delle reti. Andiamo con ordine dando qualche numero che può aiutare a comprendere la dimensione del fenomeno in provincia di Varese. Quando parliamo di millennials, ovvero i nati tra gli anni Ottanta e la fine dei Novanta, ci stiamo occupando di 193.192 varesini che da qui a dieci anni, con il pensionamento dei baby boomers, costituiranno la quasi totalità della forza lavoro complessiva. Di questi ben 31.955 hanno meno di 20 anni e 8.054 diventeranno maggiorenni


RIVOLUZIONI POSSIBILI Generazione da conoscere

UTENTI CON ACCOUNT E CONNESSIONE INTERNET

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FORZA LAVORO ATTUALE

193.192

varesini

216mila

gennaio 2008

5.587.060 dicembre 2008

30milioni oggi

con meno di 20 anni PERSONE CHE OGNI GIORNO SI CONNETTONO

450mila

Provincia di Varese

30mila

Busto Arsizio

25mila

31.955

prossimi ai 18 anni

Gallarate

8.054

Millennials i conti non tornano l’anno prossimo. Quest’ultimi sono nati nel 2000, l’anno in cui arrivò in Italia la tecnologia Adsl portando nelle case una connessione a 640 kb/s. A raccontarlo sembra passato un secolo ma la quotidianità così come la vediamo oggi è stata stravolta in appena un paio di decenni e proprio questo stravolgimento fa parte del Dna della generazione del Millennio.

Loro sono connessi, le imprese molto meno

Pensiamo ad esempio a che cosa significhi oggi Facebook. Quando è arrivato in Italia nel 2008 raggiunse nel mese di gennaio 216mila utenti. Alla fine di quell’anno erano diventati 5.587.060 e oggi sono 30 milioni di persone. Solo in provincia di Varese le persone che hanno un account e si connettono almeno una volta al mese sono quasi 450mila, nella città di Varese 40mila, a Busto Arsizio 30mila e a Gallarate 25mila. Di questi esattamente la metà sono millennials, ovvero tra i 18 e i 37 anni, e con tutta probabilità ne sono stati i primi utilizzatori e quindi da considerare utenti

“maturi” di questo nuovo modo di comunicare. Ora pensiamo, con le dovute proporzioni, che questo è accaduto anche per servizi come la messaggistica, la tecnologia mobile, la prenotazione di case, viaggi e alberghi, la fruizione dell’informazione, gli acquisti e, appunto, il lavoro. Il report Istat uscito alla fine del 2016 su cittadini, imprese e Ict ha fotografato una situazione che definisce “limitate” le competenze digitali all’interno delle imprese: solo il 12,4% di quelle con almeno dieci addetti sceglie di svolgere le funzioni Ict per lo più con addetti interni mentre il 61,9% ricorre a personale esterno. Sempre dalle rilevazioni Istat nel 2016 risulta che le piccole e medie imprese acquistano soprattutto servizi di cloud computing (posta elettronica, software per ufficio, archiviazione, hosting di database dell’impresa)

di livello medio mentre una grande impresa su quattro utilizza servizi cloud di alta specializzazione. Dall’altro lato, invece, gli internauti che fanno acquisti online sono passati dal 48,7 al 50,5%. Infine, tra le imprese lombarde con più di dieci addetti risulta che nel 2016 solo il 37,3% utilizza almeno un social media per la propria comunicazione. Nel 2015 erano 36,5% e nel 2014 il 30,9%.

Nuove competenze, nuove risposte al mercato

A fronte di questo un rapporto dello scorso anno del World Economic Forum ha identificato dettagliatamente quali sono e saranno i principali fattori di cambiamento dell’industria e del lavoro, e i risultati sono tutti legati alla rivoluzione digitale: l’internet mobile, la tecnologia cloud, la potenza di elaborazione delle

Le persone che hanno un account e si connettono almeno una volta al mese sono quasi 450mila La metà di queste persone ha un’età compresa tra i 18 e i 37 anni: un dato su cui riflettere


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RIVOLUZIONI POSSIBILI Come conquistare i Millennials

macchine, i Big Data, l’internet delle cose, il crowdsourcing, la robotica, l’intelligenza artificiale, la stampa 3D e la biotecnologia. Di fronte a innovazioni così radicali è evidente che la capacità delle imprese di attrarre i migliori giovani talenti sarà cruciale: le organizzazioni economiche avranno sempre più bisogno di competenze tecniche ma anche di quelle competenze in grado di adattare l’innovazione ai bisogni sociali ai quali si vuole dare risposta.

Il tempo stringe: organizziamoci subito

Conoscere, formare e attrarre lavoratori guardando tra i millennials sarà cruciale per prepararsi alla generazione successiva: la generazione delle reti che, come li definisce l’Istat, è costituita da coloro che sono nati e cresciuti nel periodo in cui le nuove tecnologie informatiche si sono già diffuse e hanno quindi percorso tutto o buona parte del loro iter formativo nell’era di internet, il che li connota per essere sempre connessi con la Rete. In provincia di Varese sono 147.985, poco più di settemila sono ancora dei neonati in fasce ma altri ottomila si affacciano già alla maggiore età. I tempi stringono e la strada da fare è ancora molta.

«PAGATELI BENE E FORMATELI PER SEMPRE» Intervista al prof dei Big Data I talenti oggi hanno una forte attenzione a innovare di continuo competenze e profilo professionale: in azienda è necessario attrezzarsi per rispondere a queste nuove e legittime aspettative

A

ttrarre giovani talenti è un fattore centrale nello sviluppo delle imprese, soprattutto di fronte alle sfide epocali che le attendono e che già stanno rivoltando il mondo della produzione di beni e servizi. Mario Mezzanzanica è professore associato di Sistemi informativi all’Università degli Studi di MilanoBicocca, quello che sta accadendo

nel mondo delle imprese che si trovano di fronte alla rivoluzione dell’Industry 4.0 lo osserva quotidianamente sotto due aspetti: da un lato c’è quello del professore e direttore del master in Business Intelligence e Big data Analytics in Bicocca, disciplina che costituisce il cuore pulsante dell’innovazione 4.0, dall’altro perché è anche direttore scientifico del centro di ricerca interuniversitario Crisp e


RIVOLUZIONI POSSIBILI Come conquistare i Millennials

membro del Comitato Scientifico dell’En Rlmm, European Network on Regional Labour Market Monitoring. Se gli si chiede quale sia il trucco con il quale un’azienda può attrarre i migliori talenti la risposta risulta quasi scontata: «Contesto fortemente innovativo, persone da cui si impara e buon livello retributivo».

Professore, quanto incide la questione economica?

È un aspetto importante ma evidentemente la questione è più complessa. I talenti oggi hanno una forte attenzione a innovare continuamente le proprie competenze e il proprio profilo professionale. Un’azienda deve presentarsi attrattiva anche seguendo queste aspettative.

Siamo di fronte, tuttavia, a un cambiamento importante come quello sollecitato dall’industry 4.0, la richiesta di lavoratori spesso è legata a impieghi completamente nuovi anche per le aziende stesse. Abbiamo concluso recentemente una pubblicazione che analizza proprio questo aspetto. Attraverso un focus group e un modello statistico applicato ai dati delle dinamiche di assunzioni e cessazioni dei lavoratori abbiamo selezionato le professioni più significative relative all’Industry 4.0. Tra queste sono emerse 24 professioni standard di lavoro in costante crescita. Ma accostando le competenze richieste sono emerse anche nuove definizioni delle professioni coinvolte: Solution Architect, Cyber Security Specialist, Connectivity Expert, Business intelligence Analyst, Social media specialist e Big Data Specialist. Professioni che stanno emergendo e che presto diventeranno delle nuove professioni vere e proprie.

Sono dinamiche che si osservano anche nelle piccole e medie imprese?

Recentemente sono stato a discuterne in Germania con i colleghi di un centro di ricerca di Francoforte dove è emerso che l’Industry 4.0 è

oggi un fattore molto importante per le grandi aziende manifatturiere mentre le piccole e medie imprese sono alla finestra per guardare cosa accade. Lo fanno, però, con una consapevolezza: se le grandi aziende si muovono in questa ottica le piccole e medie imprese che fanno parte della filiera non possono non cogliere i cambiamenti introdotti perché presto potrebbero essere realtà per tutti.

E questo come si traduce per un imprenditore varesino che deve attrarre i talenti sul mercato?

La richiesta di queste nuove competenze sta diventando interessante anche nel nostro Paese e non è un caso che stia crescendo anche l’offerta di master universitari e nuovi corsi di laurea magistrale. Ma a queste nuove competenze si affianca un elemento fondamentale: la personalità. È evidente che la capacità di adattarsi alle nuove tecnologie per migliorare i propri processi di produzione e gestione è importante e imprescindibile per competere nel mondo odierno. Ma nel contempo occorrono professionisti dotati di capacità creativa, relazionale, di leadership, di lavorare in team, in sintesi di skill attitudinali che rappresentano un fattore essenziale per accettare le continue sfide che il mercato offre. Un talento oggi è il frutto della combinazione di competenze attitudinali e specialistiche, in una parola una personalità. Questo è il

compito prioritario su cui investire oggi da parte delle Istituzioni dell’educazione e formazione e questo è quello che serve alle imprese. Su questa strada si gioca una importante partita per il lavoro, la crescita e lo sviluppo e in questa direzione l’alleanza tra imprese e università è un fattore su cui investire.

Qualche consiglio?

Condividere. L’impresa deve aprirsi: alla propria filiera, ai concetti di collaborazione con una rete più ampia di imprese e, soprattutto, alla ricerca e allo sviluppo. Creare rapporti con le università e i centri di ricerca è un elemento fortemente attrattivo nei confronti dei giovani talenti. Un altro elemento importantissimo è l’avere uno sguardo internazionale sul mercato.

In provincia di Varese ci sono circa 190mila “millennials”, un esercito di persone che sta diventando grande in una quotidianità dove le innovazioni si sono già affermate in molti campi della vita. Quanto sono cruciali in azienda?

Attrarre e formare i giovani talenti è una sfida importantissima. Tutte le innovazioni di cui stiamo parlando faranno fatica a entrare in una realtà d’impresa che rimane “fossilizzata”. I giovani sono quell’elemento di novità che serve a rimuovere alcune incrostazioni nella cultura del lavoro. A scardinare il “carrozzone”. //TOMASO BASSANI

Mario Mezzanzanica Docente e direttore del master in Business Intelligence e Big data Analytics dell’università Milano Bicocca e direttore scientifico del Crisp: «Il futuro ci porterà nuove professioni, dal Solution Architect al Cyber Security Specialist fino al Business intelligence Analyst. La differenza, però, la farà la personalità. Le Pmi? Sbagliato pensare all’I4.0 solo come a “cose da big”, ma prima occorre comprendere come creare valore e business attraverso le nuove tecnologie»

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RIVOLUZIONI POSSIBILI Il successo della squadra

IM

arealavoro

VE

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ESE FORMATI PR

IFE

DI

ECCELLENZA

Intrecciare le opportunità conviene a tutti

S

abato 10 aprile, al teatro Santuccio di via Varese, eravamo in tanti. Quasi duecento. Imprese, amministrazione comunale di Varese, Consiglio Regionale della Lombardia, Università degli Studi dell’Insubria, Ufficio scolastico provinciale e scuole (Tosi di Busto, Ponti di Gallarate, Curie di Tradate, Einaudi di Varese, Falcone di Gallarate, Casula di Varese, Newton di Varese, Gadda Rosselli di Gallarate, liceo Cairoli di Varese e liceo Ferraris di Varese). Insieme, durante il convegno “Intrecciare le opportunità”, abbiamo percorso il primo tratto di un cammino che speriamo possa coinvolgere sempre più interlocutori e portare a ritrovarci tra qualche mese al tavolo per condividere idee, progetti e fatti per dare ai giovani l’opportunità di costruire il futuro, fornendo loro supporto, garanzie e sinergie. A questo è servito il docufilm di Confartigianato Imprese Varese, firmato da Gabriele Nicolussi e realizzato in collaborazione con Davide Ielmini.

Gianluca Tescione

Ma, soprattutto, a questo serve Ife, il nuovo progetto firmato AreaLavoro di Confartigianato Varese: «Le imprese artigiane fanno da sempre alternanza scuola lavoro, portando i ragazzi in azienda, e trasmettendo loro il proprio sapere e saper fare – spiega Lucia Pala, responsabile AreaLavoro di Confartigianato Imprese Varese – Per quanto ci riguarda, abbiamo accolto l’opportunità data dalla legge della Buona Scuola perché abbiamo avvertito la necessità di imprese e ragazzi di mettersi in gioco da subito, dalle scuole superiori, anche in previsione di un percorso universitario il più consono alle aspettative future». Prosegue Lucia Pala: «Il nostro obiettivo è questo, ovvero non esaurire l’impegno in un atto, seppur concreto, ma andare avanti, perché l’alternanza scuola-lavoro richiede una dedizione costante e duratura da parte delle imprese che devono saper offrire una collaborazione qualificata agli impegni e alla preparazione che dà l’ambito scolastico».

Davide Galli

Raffaele Cattaneo


note



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