L'impresa della storia

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L’impresa della storia



L’impresa della storia I dieci anni che hanno cambiato il mondo nelle storie e nei racconti dei piccoli e medi imprenditori


Stampa a cura di: STAMPA 2009 - Azzate (VA) Progetto grafico: Simona Caldirola Confartigianato Imprese Varese Finito di stampare: marzo 2019 Edizione I - Anno 2019

Š 2019 Confartigianato Imprese Varese Viale Milano 5 - www.asarva.org - relazioni.esterne@asarva.org

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A cura di Davide Ielmini

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sommario

L’Impresa della Storia: il cambiamento raccontato dalle storie d’impresa ........................................................... 06 L’Impresa della Storia: le tante scelte che hanno ridisegnato l’economia ..........................................................07 Le frasi simbolo.............................................................................................. 09 Il made in Italy ................................................................................................. 18 La Cina? Da nemico a mercato................................................................. 22 La “rete del sapere” ......................................................................................26 Protagonisti nelle nicchie, ma solo se piccoli? ................................... 30 Investire per andare nel mondo ...............................................................34 Focus .................................................................................................................38 Una rivoluzione “in rete”.............................................................................. 39 Anno per anno per non dimenticare ..................................................... 40 I 4 pilastri del 2018 Export........................................................................................................... 60 Digitale ..........................................................................................................65 Staffette ........................................................................................................70 Welfare ..........................................................................................................75 Storie di vita e di cambiamenti..................................................................79 Le nostre imprese......................................................................................... 80 Un nuovo libro con tutte le imprese .........................................................81

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L’Impresa della Storia: il cambiamento raccontato dalle storie d’impresa Il decennio 2008-2018 ha lasciato segni tangibili sulla pelle del sistema economico, produttivo, finanziario e sociale dell’Italia e del mondo. È stato il decennio del crollo, della ricostruzione, “del cambiamento” e “dei cambiamenti”. È stato un mosaico complesso, che rende difficile tirare le somme di quei centoventi mesi che ci hanno messo di fronte, più di altri, a conseguenze imponenti e imprevedibili. Analizzando le recenti e poco confortanti analisi congiunturali relative alla provincia di Varese, abbiamo preso atto che, se qualcosa non va, è doveroso che ciascuno dei soggetti coinvolti nel processo in esame si assuma una parte di responsabilità. Questo libro vuol essere, in tal senso, un contributo all’analisi, alla valutazione e all’autovalutazione. Ognuno si sentirà in qualche modo chiamato in causa dalla storia che questo libro ricostruisce e da ciò che è stato fatto, nel micro come nel macro, per interpretarla e innescare i cambiamenti necessari ad assecondarla. Confartigianato Imprese Varese ha raccolto la sfida nei settori del welfare, dell’organizzazione aziendale, dell’internazionalizzazione e della digitalizzazione e gli sforzi compiuti sino ad oggi hanno dimostrato d’avere un valore per le imprese e per il territorio. Uno sforzo di resilienza compiuto anche come contributo al territorio e allo stesso sistema Paese.

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Passato e presente si intersecano in questo volume imponendo nuove riflessioni e ponendo ognuno di noi di fronte a dati di fatto non controvertibili. Non siamo ancora un Paese fuori dalla crisi, non possiamo contare su un sistema produttivo trainante né siamo, agli occhi dell’Europa, un’economia solida. La manifattura, nostra spina dorsale produttiva,

non ha superato indenne le tre ondate recessive e di stagnazione dell’ultimo decennio. Il periodo 2008-2018 non è stato impalpabile, i fatti che vi ricorderemo dimostrano la loro forza e incisività. Per questa ragione, accanto al cambiamento maturato al nostro interno, negli anni abbiamo chiesto cambiamenti di passo anche ai nostri interlocutori. Abbiamo incoraggiato l’avanzamento delle grandi opere e abbiamo ribadito il valore della formazione e della vicinanza tra scuola e impresa. Abbiamo rimarcato la necessità di restituire alle imprese gli strumenti necessari a muoversi sul mercato liberamente, promuovendo il cambio di paradigma sulla lotta alle disuguaglianze ma, parallelamente, rivendicando interventi in grado di limare il livello di tassazione e di burocrazia. Il tutto con l’obiettivo di rimettere in moto gli investimenti privati contestualmente a quelli statali, purché orientati – questi ultimi - alle infrastrutture, alla digitalizzazione della Pa e alla sostenibilità ambientale. Abbiamo ricordato le buone prassi della spending review e abbiamo chiesto attenzione e prudenza nel merito delle coperture di bilancio di ogni azione normativa. L’impresa della storia è l’essere micro-storia che testimonia come la Storia non sia elemento astratto ma parte integrante della quotidianità di ciascuno. La storia siamo noi. E non possiamo non avvertire la responsabilità di scrivere quella che verrà. Davide Galli Presidente Confartigianato Imprese Varese


L’Impresa della Storia: le tante scelte che hanno ridisegnato l’economia Accadde ai francesi quando Gino Bartali vinse il Tour de France nel 1948 e accade ancora oggi, quando sono passati ormai undici anni da quel fatidico 2008, quando l’economia mondiale è arrivata al suo «anno zero». Non scoraggiati ma indispettiti, gli imprenditori lo sono ancora. Anche se secondo natura hanno rivoltato le maniche ben al di sopra dei gomiti per spingere quella locomotiva italiana che, con loro, deve fare i conti. E hanno fatto tutto, o quasi, da soli. Con le loro famiglie, i loro collaboratori, i cancelli aperti alle 7 della mattina, le commesse prese al volo, gli ordini portati a termine in un batter d’occhio, le strette da parte delle banche, gli investimenti coraggiosi, le ipoteche su tutto, gli stipendi non dati a loro stessi e quelli garantiti ai loro dipendenti. Fermi non sulle loro posizioni, ma in continuo movimento nel mare mosso dell’incertezza. Rischiando e cambiando. Perché una “bolla” che scoppia – quella immobiliare che nel 2007 ha travolto gli Stati Uniti d’America, e nel 2008 la crisi finanziaria trascinata dal fallimento della Lehman Brothers – non fa rumore ma lascia buchi ovunque. Li lascia nei bilanci, nelle convinzioni, nei progetti, nelle economie del territorio (con i tanti cartelli affittasi e vendesi su capannoni vecchi o quasi nuovi), negli equilibri con i clienti e i fornitori (che non ce la fanno più a pagare), nelle risorse (non solo economiche). Inutile usare licenze poetiche: gli imprenditori sono arrabbiati. Eppure, resistono all’imprevedibile, e fanno dell’imprevisto il loro mestiere. Per l’appunto, rischiano. Tanto si è scritto sulla selezione darwiniana che ha portato con sé la crisi globale, che è ormai inutile ricordarla. Però un concetto chiave di quell’«anno zero» fu subito chiaro: cambiare. Cambiare ritmi, tempi, strategie, programmi, processi, a volte anche prodotti. Cambiare

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per migliorare: l’organizzazione aziendale, il modello di business, la relazione con il mondo interno della propria azienda, il rapporto con i mercati. Cambiare per guardare oltre i propri confini, con uno sforzo in più sul fronte della lungimiranza ma anche delle competenze. In quel 2008, le imprese sono state prese in contropiede, vero, ma l’assestamento nei confronti della crisi si è presto tramutato in abitudine quotidiana. E il cambiamento è diventato un’attitudine. Grazie a due caratteristiche fondanti della piccola impresa: flessibilità e dinamismo. A tal punto che il modello di produzione delle Pmi diventa, non solo in questi anni feroci della crisi, una bandiera per l’intero sistema produttivo. In quel 2008, allora, la sfida posta sul tavolo delle imprese non è banalmente quella di resistere, ma di trasformarsi. Non tanto di crescere nelle dimensioni quanto nella loro stessa idea di essere impresa, legata al territorio locale ma anche votata al panorama globale dove si può sviluppare un business diverso e più appagante rispetto alla cedevolezza del mercato casalingo. In realtà in questi ultimi anni (con l’esclusione del 2018, quando le tattiche imprenditoriali si consolidano maggiormente per attuare e confermare il vero cambiamento) non si può parlare di una singola scelta strategica ma di un mix di azioni che, sommandosi fra loro, aiutano gli imprenditori a reagire in modo compiuto a un’economia che ha fatto della continua oscillazione – compresa la forte volatilità sui mercati finanziari – un punto con il quale confrontarsi quotidianamente.

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Lavorando su alcuni temi forti: la rivalutazione del Made in Italy con scelte di campo pragmatiche; il confronto con la Cina (un Paese con il quale è impossibile non misurarsi); la trasmissione di quelle competenze che, con l’inserimento dei giovani in azienda, si amplificano inevitabilmente; la necessità di crescere o la scelta di restare piccoli; gli investimenti nelle nuove tecnologie abbinati all’export. Ma dal 2008 ad oggi come sono cambiati i comportamenti, le strategie, le visioni delle imprese? Le risposte arrivano dagli stessi imprenditori, più che mai convinti del fatto che «se fai attenzione a quello che cambia, puoi cambiare».


Le frasi simbolo C’è un particolare che non è sfuggito alla nostra attenzione in questi anni trascorsi a visitare e a raccontare le aziende: si è protagonisti della Storia attraverso la propria operosità, ma anche attraverso la condivisione di concetti e stimoli che aiutano ad abbracciare il cambiamento e a farne sedimentare i valori. È per questo che il libro si apre con quattro frasi – di Luigi Einaudi, Albert Einstein, Steve Jobs e Jeff Bezos – che hanno accompagnato gli imprenditori in un cambiamento culturale e di prospettiva prima ancora che in quello produttivo. Quattro «colonne» che negli anni si sono integrate fra loro senza mai annullarsi fino in fondo: i sacrifici chiesti alle piccole imprese (così ben descritti da Einaudi) valgono ancora oggi. Tanto quanto le nuove sfide che hanno dovuto affrontare: lo sbandamento dei mercati, la concorrenza delle economie emergenti, la digitalizzazione, i nuovi modelli di business. Con coraggio e un po’ di follia. 9


2007 | 2008

Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi.

di Luigi Einaudi, Presidente della Repubblica Italiana 1948-1955 10


Quando entri ed esci da capannoni e officine, laboratori e uffici ti accorgi che anche i muri raccontano una storia. Prima dell’arrivo della grande crisi economica, incorniciata e attaccata alle pareti, in molte aziende gli occhi incrociavano una frase capace di esaltare più di tutte l’anima imprenditoriale italiana. La firma era quella di Luigi Einaudi, presidente della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955. Poche righe a difesa, però, di quello spirito imprenditoriale che dell’Italia è – prima ancora dei suoi valori artistici e paesaggistici – la vera forza aggregatrice. Nonostante sia passato tanto tempo da quell’accorato riconoscimento di Einaudi, quella riflessione è ancora lì. Perché nonostante la crisi, l’imprenditore della piccola impresa è ancora un esempio di laboriosità, resistenza e adeguamento. Il Presidente lo aveva capito ed è forse per quello che si permise, con toni pacati, di dire la verità con quel «migliaia di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli». Da quel secondo dopoguerra, quando la parola “cambiamento” si legò a doppio nodo alla parola “ricostruzione”, ad oggi le “molestie” nei confronti degli imprenditori sono le stesse: le tasse e la burocrazia occupano i primi posti nella classifica di una virtuale “corsa agli ostacoli”. E nonostante le lamentele, l’impresa è ancora lì. A fare da sentinella della nostra economia. Perché come tutte le sentinelle sa cosa fare quando si presenta l’inatteso. E i suoi tempi di reazione a volte stupiscono anche gli economisti. Che da tempo guardano al modello della piccola impresa come al modello dell’imprenditoria del futuro. Ma di quel dinamismo e di quella flessibilità, si era già accorto proprio Einaudi.

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2009 | 2013

Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.

di Albert Einstein, fisico (1879-1955) 12


La crisi economica, poi finanziaria, colpì anche i “gusti letterari” degli imprenditori. Così Albert Einstein non scalzò Einaudi, ma lo affiancò. Con poche ma significative righe tratte da “Il mondo come io lo vedo” scritto nel 1931. Poche ma significative, lo sottolineiamo, perché lo scienziato ribalta le prospettive e costringe tutti noi, non solo le aziende, a guardare alle difficoltà come a un’occasione di riscatto e rinascita. Non è un processo facile, ma dai racconti d’impresa raccolti anche in questi ultimi dieci anni (2008-2018) ci si accorge di quanto la crisi sia sì un argomento di dibattito e confronto, ma anche una componente che l’impresa non esclude a priori perché sa che ci può essere e si deve quindi attrezzare per contrastarla. Con la crisi, un evento esterno deciso dai mercati e dal cambio dei paradigmi economici, si deve fare i conti. Con determinazione e fermezza. Ma anche con creatività. E’ forse per questo che nella frase di Einstein gli imprenditori hanno trovato più di una motivazione valida per non farsi scoraggiare dalle difficoltà. Anzi, alcuni dicono a chiare lettere che «la crisi serve per fare selezione». Ma anche per spingere sull’acceleratore dell’innovazione. In fondo, le aziende sono abituate a mettersi in discussione e mai come prima, in questi dieci anni, tante hanno sfidato le loro abitudini e le loro certezze per entrare in un mondo economico dove le abitudini non contano più e le certezze sono evaporate dalla continua trasformazione.

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2013 | 2016

Il tempo a vostra disposizione è limitato, non sprecatelo vivendo una vita che va bene per altri ma non vi appartiene. Non lasciatevi condizionare, non lasciate che il rumore delle opinioni altrui copra la voce che avete dentro. Ma soprattutto abbiate il coraggio di seguire quello che avete nel cuore, lasciatevi guidare dall’intuito. Siate aamati. Siate folli.

di Steve Jobs, fondatore Apple 14


Lo scossone del 2008 per molte aziende si trasforma in dramma: tutto è messo in discussione. Il “vecchio” mondo (quello dell’economia in equilibrio e del “lavoro che non manca”) viene dissolto da un “nuovo” Continente: quello del «niente-sarà-più-come-prima». Nel pieno delle difficoltà, la digitalizzazione apre nuove strade. E la frase che gli imprenditori citano e ricordano di più è quella di Steve Jobs, fondatore della Apple. Frase che l’imprenditore visionario inserì nel suo discorso di auguri, il 12 giugno 2005, ai laureandi di Stanford. Ma la “lezione” dell’americano è in realtà una lezione di fiducia in sé stessi e in quello che si è. Anche nell’imprevedibile e nelle scelte, a volte illogiche, che si fanno. Credete, diceva lui, «nel vostro ombelico, nel destino, nella vita, nel karma, in qualsiasi cosa». Per poi arrivare a quello che siamo oggi. Le parole di Jobs stimolano studenti, imprenditori, manager, persone di successo. Con quel «Siate affamati. Siate folli», Jobs spronava chiunque, non solo i giovani, ad avere coraggio e a sognare. A scalare le proprie fantasie, lasciandosi stupire dalle meraviglie della scoperta. Quindi fame di curiosità e di potercela fare, fame di potersi riscattare nella vita e di essere parte attiva nel cambiamento della società, dell’ambiente, delle persone. Da qui alla “follia”, il passo è più che necessario. Perché qui non si parla di azioni devianti ma di una carica che muove il nostro istinto e le nostre passioni. Al di fuori di qualunque dogma, la follia che chiede Jobs è quella di dare un senso e una forma alle proprie idee. Puntando dritti al proprio obiettivo, nonostante gli ostacoli e le paure.

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2017 | 2018

Se iniziamo a concentrarci su noi stessi, invece che sui nostri clienti, allora sarà l’inizio della fine. Dobbiamo cercare di rimandare quel giorno il più possibile. L’attenzione su di loro deve essere tale da diventare una ossessione.

di Jeff Bezos, fondatore di Amazon 16


In questi nostri giorni, dove la parola “network” esprime più di quanto possa dire la sua semplice traduzione (rete come la più alta espressione della sharing economy), il cambiamento ha ormai assunto i tratti della mutazione. Culturale, certo, ma ormai sempre più caratterizzata da una flessibilità che ha invaso i campi della produzione e, di conseguenza, quelli dell’organizzazione aziendale. Il 2018 è l’anno di Jeff Bezos, e non solo per il fatto che i media lo abbiano incoronato “l’uomo più ricco della Storia”. E’ lui ad aver inaugurato un modo di fare impresa che alcuni hanno definito “amazonificato”. E’ sempre lui ad aver mandato in pensione alcune imprese del settore retail online basate su modelli di business più tradizionali. Ed è sempre lui ad essere riuscito nell’impresa di creare un organismo in grado di autorigenerarsi. A tal punto che Amazon sta continuando a crescere, così come crescono la popolarità del suo assistente vocale Alexa e i progressi nel mercato del cloud-computing. Se Steve Jobs diceva «Siate affamati. Siate folli», Bezos pone al centro la sua capacità di pensare e agire sempre come una start up. In sintesi, una curiosità insaziabile nei confronti delle nuove tendenze e la capacità di prendere decisioni nel minor tempo possibile. Con al centro il cliente. Frasi famose ne ha pronunciate tante anche il fondatore di Amazon, ma le imprese non si sono solo concentrare sul concetto del “Too big To Fail” (Amazon, secondo Jeff, è destinata alla bancarotta seppur così grossa).

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Il made in Italy ď Ž

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Il valore del Made in Italy, nell’immaginario collettivo legato quasi esclusivamente ai settori della moda e dell’agroalimentare, esce con forza dai discorsi degli imprenditori di tutti i settori: «Perché chi compra da noi, sa che il prodotto è davvero tutto italiano», ci avevano detto Giuseppe e Stefano a capo di un’impresa di Casorate Sempione specializzata nella produzione di impianti per la depurazione dell’acqua. Che aggiungevano: «I nostri depuratori sono di qualità molto alta, e questo i nostri clienti lo sanno». «Ogni singolo pezzo è prodotto in Italia, tranne una componente, la membrana, che acquistiamo da un’azienda americana molto nota e quotata. Chi compra da noi sa che il prodotto è davvero sicuro. È questo il nostro biglietto da visita». Il Made in Italy, dunque, diventa sinonimo di una tradizione e di una cultura imprenditoriale da un lato legata alla provenienza delle materie prime (su questo, però, le imprese del tessile hanno aperto da tempo un dibattito particolarmente acceso) ma dall’altro connessa alla capacità di pensare, ideare e realizzare un prodotto secondo quella capacità tutta italiana di mettere d’accordo la funzionalità con la creatività. Quindi, ancora una volta, la differenza la si ritrova nel compromesso tra i processi automatici e quella ricerca, anche nella manualità, che dà valore e unicità a quello che fanno gli imprenditori. È quello che Daniele e Paolo di Varese, titolari di un’azienda specializzata in lenti, definiscono con il termine di “artigianalità”: «Sta tutto qui, nel know how delle imprese del nostro Paese. In pratica, sappiamo come si fa. Sappiamo lavorare, sappiamo cosa poter chiedere alle macchine quando dobbiamo realizzare qualcosa di unico, sappiamo farle “sbagliare” - quando necessario - per arrivare a un prodotto speciale. Questo è il Made in Italy».

Che nei momenti più critici della crisi diventa un porto sicuro. Gli imprenditori partono da qui, dalle domande ma anche dalle certezze. Come fanno a Busto Arsizio Piero, Antonio e Marco alla guida di un’impresa specializzata nella tintura di filati utilizzati anche per l’abbigliamento tecnico-sportivo: «Il Made in Italy esiste ancora, è che la gente non ci crede più. Molti hanno smesso di credere nella nostra capacità di sostenere la competitività estera». Eppure molti inseriscono la bandiera italiana nel logo della loro azienda, oppure la dipingono sulle pareti interne dei capannoni. E tutti lo scrivono a chiare lettere sui loro prodotti: Made in Italy. Perché è questo a descrivere un’economia – quella delle piccole imprese – da sempre sospinta dalla personalizzazione e dalla varietà. Da quella che è la customizzazione applicata anche ai prodotti più semplici dove, però, il brand si sposa all’abilità del problem solving. Facendo tesoro di una convinzione che da sempre si porta dentro Filippo, alla testa di un’azienda di arredamento di Besnate: «Anche se parti dalla provincia, non è vero che non riesci a evidenziarti a livello internazionale: il gusto e lo stile del design italiano sono una garanzia ovunque». Grazie a quella versatilità tipica di chi non è “grande” nelle dimensioni ma in quello che fa: «Versatili – come ricordano Massimo e Maurizio da Gavirate – nel proporre e nell’accettare. Abbiamo qualità, fantasia e coraggio». Come in una scatola cinese, il Made in Italy si incastra con un’invidiabile capacità di soluzione dei problemi e con la produzione “on demand”. «Quello che ci ha permesso di restare a galla è il lavoro sulla singola richiesta. È per questo che paragoniamo la nostra azienda a un supermercato: il cliente entra, fa la spesa e poi se ne torna a casa». Con un prodotto che da supermercato non è.

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MADE IN ITALY: COME SIAMO CAMBIATI

Dal 2008 ad oggi, il concetto di Made in Italy si è esteso. Le piccole imprese non lo considerano come un automatico riconoscimento ai loro prodotti (automatico per il solo fatto che l’impresa lavora in Italia: il Made in Italy è l’anti-delocalizzazione per eccellenza), ma come il risultato di una strategia aziendale che amplifica il valore del brand. In una parola, “autenticità”. Autentico nel pensiero che lo muove, nella cultura che lo accompagna, nella tradizione su cui poggia. Autentico in quello che vuole rappresentare, a maggior ragione quando ci si muove in un’economia globale a tal punto consapevole della portata del Made in Italy nell’immaginario collettivo da arrivare a definire prodotti secondo l’«italian sounding». Ecco perché, oggi, questo brand è il risultato di un’integrazione tra l’innovazione tecnologica, la capacità di concentrarsi sempre più su lavorazioni ad alto valore aggiunto, l’apertura di nuovi mercati, la diversificazione del prodotto e l’orientamento al cliente. Orientamento nel senso di marketing. Perché se sempre più imprese sono convinte del fatto che il Made in Italy debba essere un po’ meno slogan per ritornare a comunicare il suo valore di unicità, tanti imprenditori sanno che il brand – per riadattarsi al passare del tempo – necessita di visioni nuove che devono nascere da riflessioni riguardanti le politiche di prodotto, di prezzo, di distribuzione, di comunicazione.

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Il Made in Italy, quindi, non deve essere una semplice marca perché deve sapere raccontare la storia di come nasce, e di ciò di cui si compone, un prodotto. È quello che contiene (l’idea e la fatica dell’imprenditore) e quello che non si può imitare. Non è un nome ma un signifi-


cato che è fatto da identità, consapevolezza e immagine. Quello di oggi è dunque un Made in Italy sinonimo di appartenenza ma ancor più forte leva commerciale. Un brand che, all’interno del cambiamento economico più improvviso ed esteso, con forza ha rimesso al centro l’importanza del territorio (il radicamento culturale) riflettendo sulla valorizzazione della propria identità (locale) a livello globale. Superato nel mondo solo da Coca Cola e Visa, il Made in Italy è il risultato di un approccio che nel tempo si è fatto più articolato e complesso, ma non meno naturale rispetto al passato. E se oggi «il marchio si è indebolito – ci aveva detto un’imprenditrice di Ancona attiva nel settore tessile - è perché gli italiani ne sono assuefatti». E perché, con una buona dose di autocritica, sono gli stessi imprenditori a rendersi conto che così come è cambiato il mondo, devono cambiare anche gli strumenti con i quali dare valore al Made in Italy.

Nulla è riconosciuto per diritto: questo è il punto di partenza di questi dieci anni di crisi. Non lo è il fatto che l’italianità, e quello che rappresenta nella storia dell’artigianato e delle piccole imprese, debba essere riconosciuta solo perché esiste. In quei momenti di acuta recessione, gli imprenditori hanno puntato un’altra volta su quel Made in Italy che è espressione di cura, attenzione e manualità. Soggetto a cambiamento, perché il suo valore è aumentato solo in presenza di una nuova presa di coscienza – da parte delle imprese – dei mercati da conquistare e dei nuovi modelli di consumo verso cui ci si è spostati. Per esaltare l’equilibro tra qualità “intrinseca” e qualità “percepita” di cui è portatore il Made in Italy, ecco subentrare l’impegno su design e racconto. Non basta una targhetta o una stampa

tampografica per esaltarne le qualità. Ci vuole, accanto alla professionalità, all’esperienza e alle competenze quella capacità di dire, di narrare e di spiegare perché un prodotto italiano è inimitabile. Da qui il passo successivo che alcune imprese hanno già compiuto e altre stanno compiendo in autonomia o affidandosi a professionisti esterni: mostrare il “dietro le quinte” dei loro prodotti. Riprendere le fasi di lavorazione, svelare l’originalità della progettazione, puntare sull’efficacia delle immagini, intervistare chi realizza giorno dopo giorno il piccolo miracolo della produzione. La forza del Made in Italy, quindi, non sta solo nei suoi ingredienti ma anche nel modo in cui l’imprenditore sceglie di renderli “trasparenti” al mondo.

SI RINGRAZIANO: » RG Italia Production » Laboratorio Ottico Varesino » Tintoria Filati Maino Srl » Art Nova » Fratelli Rovera

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La Cina? Da nemico a mercato India e Cina, in quel 2008, sono economie che crescono nonostante la crisi globale. Crescono in modo imbarazzante e senza battute d’arresto. Le imprese si devono confrontare soprattutto con la seconda, che però non fa paura a tutti. Anzi, «la Cina è uno fra i Paesi dove il Made in Italy si apprezza e si paga bene – dice Rino, titolare di un’azienda di Lonate Pozzolo specializzata in lavorazioni meccaniche d’eccellenza – È un plus soprattutto per chi italiano non é: da un lato si compra perché c’è un valore culturale, dall’altro perché tutto si traduce in valore economico. Chi pianifica le partecipazioni ai grossi gruppi, o gli acquisti in massa delle grandi industrie di casa nostra, questo lo sa. È normale. Il Made in Italy è un valore per pochi, ma riconosciuto da tutti. Ecco perché la Cina ci tiene così tanto ad acquisire, o entrare, nelle grosse società italiane che hanno portato e sostenuto il Made in Italy nel mondo. Società che oggi, sempre di più, parlano il mandarino».

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A questa fecondità imprenditoriale la Cina ci tiene così tanto, da voler acquisire anche qualche piccola impresa della provincia di Va-


rese. Nel 2013 l’offerta arriva anche a Rino che, però, rinuncia con cortesia e pensa a qualche collaborazione futura: «Con la Cina ci lavorerei eccome, perché ho sempre pensato che un tuo competitor può diventare una risorsa preziosa. Le porte della mia azienda sono aperte a tutto il mondo: ma solo per portarci le mie macchine». A Olgiate Olona, Elena e Andrea sono alla testa di un’azienda che dal 1962 produce girarrosti, churrasco, griglie e vetrine termiche per tutto il mondo. Per loro, l’intervista risale al 2010, il “pericolo Cina” non esiste «perché i cinesi puntano alla quantità, non al ben fatto. Vede, qui in azienda non si fanno tostapane o microonde – ci aveva detto Elena - ma prodotti per il settore industriale che mantengono le qualità tipiche del Made in Italy. Non escludiamo il mercato cinese a priori, ma le piccole imprese potranno scoprire e sfruttare questo mercato solo se decideranno di muoversi insieme con scopi precisi». Perché può piacere o meno, ma l’Impero Celeste è il vero “dragone dell’economia”. Su come lo è diventato, e su come riesca a detenere questo primato competitivo, si potrebbe discutere a lungo. Lo hanno fatto anche molti nostri imprenditori, troppi per elencarli uno ad uno, che in Cina ci sono andati quando «il calibro, o il metro, valevano tanto quanto un televisore a colori» e ci vanno ancora oggi per installare rettificatrici, sistemi di automazione industriale, sviluppo software. La voce si fa collettiva: «Si tratta di un Paese che punta a crescere e a migliorare continuamente. Il Made in Italy, soprattutto quello che esce dalle nostre aziende meccaniche, è stato apprezzato lentamente ed oggi è considerato al pari del Made in Germany. Certo resta una domanda: fino a quando la nicchia della produzione italiana riuscirà a resistere alla veloce capacità di apprendimento dei tecnici cinesi?». Il timore che si registra dal confronto con gli imprenditori è un po’ questo: la Cina investe sull’innovazione tecnologica, ormai risolve problemi sempre più complessi, sta recuperando terreno in quei settori dove l’Italia è veramente forte. Come uscirne? Lo dicono le aziende: «Probabilmente arriveremo ad esportare sempre meno macchine e sempre più “cervelli” nel senso di idee, progettualità e supervisione per l’assistenza e la gestione delle macchine. Ad interessare la Cina sarà un po’ meno il prodotto fisico (motori o valvole)

e sempre più quello intellettuale: chi sa gestire, mettere insieme, tenere sotto controllo, sviluppare software avrà di che lavorare. Chi ha le conoscenze gestionali adatte farà la differenza». Ma c’è sempre chi punta alla partnership: «Collaborazione, problem solving e supernicchia d’eccellenza. D’altronde parliamo di una Cina dove in un anno costruiscono una città e magari non ci va a vivere nessuno perché mutano gli equilibri economici e sociali, di imprese che occupano 20mila dipendenti (loro le considerano di media grandezza) e dove accade che per raggiungere la sala mensa dal punto in cui stai lavorando ci vogliano 45 minuti di autobus. È un Paese che va a doppia velocità». Però si ritorna sempre lì: Marco, titolare di un’azienda di Gavirate specializzata nella produzione di docce, soffioni e saliscendi è convinto che «i cinesi sono golosi di Made in Italy. L’importante è che si punti alla fascia medio-alta di chi, di italiano, vuole prodotti super e prestigiosi». Marco, in Cina, ci è arrivato grazie a un agente conosciuto alla fiera di Francoforte: «Ai suoi cataloghi mancava quello che noi facciamo tutti i giorni – interviene Marco – ma siamo entrati nel mercato cinese in punta di piedi: oggi il nostro fatturato con questo Paese non supera l’1%; se ci aggiungiamo Hong Kong saliamo però al 4%». Su questo mercato non ci sono “ma” che tengano: l’azienda di Gavirate ha puntato su componenti da 600/700 euro l’uno nel settore del contract e ha capito che commercializzare prodotti “da poco” non porta a niente». Lo ricorda ancora Marco: «È così, infatti il nostro core business in Cina è fatto prevalentemente da alberghi, villaggi e abitazioni private di un certo livello. Riempiamo dei nostri prodotti palazzine da 75 appartamenti e ormai siamo certi del fatto che ai prodotti da 25 euro ci pensano gli stessi cinesi: quelli, agli italiani, non li chiederanno mai». Marco, in Cina, c’è stato tre volte: nel 2003 («in quell’anno era come l’Italia del boom degli anni Sessanta»), nel 2011 e nel 2013. Una valutazione sull’oggi? «Quasi impossibile: la Cina viaggia alla velocità della luce, cambia tutto in pochi mesi, è un mercato che si muove bene, paga bene e soprattutto in fretta. Una piccolezza, che piccolezza non è: il trasporto è sempre a carico loro». Un unico neo, la bu-

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rocrazia: «Dal momento del primo contatto a quello della prima fatturazione ci vuole circa un anno, ma ne vale la pena». Chiedetelo a Ivano, che guida un’azienda leader – la prima in Italia e punto di riferimento in Europa - nella costruzione di morse modulari di precisione e di attrezzature per il serraggio e che in Cina c’è dalla fine degli anni Ottanta. Un caso? Non proprio: «Avevamo stretto rapporti di collaborazione con l’industria aerospaziale cinese, che sono poi sfociati nella costituzione di una joint-venture in Cina per la produzione sia di accessori standard che di parti per le attrezzature. La joint-venture di cui oggi (l’intervista è del 2015, ndr) abbiamo il pieno controllo grazie agli enormi investimenti nelle macchine rettificatrici di nuova generazione, opera secondo gli standard di qualità ISO 9001:2000, e sta conseguendo in Asia e nel mondo ottimi risultati». Non sempre si può vivere in sintonia, anche se un concetto è ormai chiaro a molte imprese: se si può, con la Cina è meglio collaborare. Questa è anche la storia di Ferdinando e Alberto, che con la loro azienda di modellini d’auto con sede a Saronno hanno fatto «vroom» anche in Cina. E lo ricordano così: «Quando alcuni nostri colleghi “attaccavano” la competitività sleale di quel Paese, noi abbiamo stretto patti con gli imprenditori cinesi e nel 2005 abbiamo aperto un’azienda nel Guandong. Così, quasi per scherzo, però fortuna nostra che ci siamo andati. Ma senza delocalizzare, perché qui in Italia produciamo modellini targati Made in Italy con tutta la cura e la qualità che ci hanno fatto conoscere nel mondo, mentre in Oriente sono Made in China, ne curiamo tutti gli aspetti ma qualche differenza c’è. A partire dal prezzo: tra una macchinina prodotta qui e una fatta in Cina c’è uno scarto di 150 euro».

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A sostenere la tesi della cooperazione è anche Francesco, che a Ternate guida un’impresa che produce impianti per la macinazione e il dosaggio a secco dei più svariati prodotti utilizzati in campo

industriale ed ecologico: «Per molte aziende la concorrenza è stata traumatica, nel mio caso invece è diverso perché ho allacciato contatti importanti con aziende cinesi che operano nel mio stesso settore. Devo dire di aver trovato sempre serietà, onestà e una grande capacità imprenditoriale». Altri danno risposte diverse: «Facciamo tutto quello che i cinesi non sanno fare», dice Marco a capo di un’azienda di minuteria meccanica di precisione ad Arsago Seprio. Altri, invece, hanno vissuto esperienze spiacevoli che hanno lasciato il segno. È accaduto ad Alessandro. A Germignaga, in un’azienda specializzata in microfusione dei metalli, la Cina è innominabile. Ecco il perché: «Il nostro lavoro è fatto di conoscenze e competenze che fanno di un collaboratore un lavoratore super specializzato – dichiara Alessandro – Lavoratori così preparati in Cina scarseggiano, così un mio dipendente se n’è andato proprio là». Mai avuto un’offerta dai cinesi? «Certo, ma nel mio settore loro si propongono come fornitori e non come clienti». Non ne abbiamo ancora parlato, ma è giusto farlo. Anzi, la parola va ancora alle imprese: «Qui in Italia i controlli sulle aziende sono restrittivi, mentre le imprese cinesi vivono di una certa libertà di movimento. Ne parlano anche i giornali e non è un mistero per nessuno: da parte loro non c’è alcuna preoccupazione (oppure ce n’è ben poca) nei confronti di tutto quello che è ambiente, ecologia, sicurezza e diritti dei lavoratori». E qui ci fermiamo.

SI RINGRAZIANO: » Cos.Me.L. » Elangrill » Almar » Gerardi Spa » Bbr Models » Stm Srl » Sfericad » Aessevi


LA CINA: COME SIAMO CAMBIATI

L’Asia continua ad essere la regione che cresce più rapidamente al mondo e contribuisce per oltre il 60% alla crescita economica del globo. Tre quarti di questo contributo, secondo l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale pubblicato nell’estate 2018, sono da attribuire a Cina e India. L’hanno definita «fabbrica-mondo», e non è difficile crederci: la Cina, nel primo trimestre del 2018, è cresciuta del 6,8% superando l’obiettivo del suo governo fissato al 6,5% (nel 2008 superò il 14% e nel 2010 era vicina al 12%). Ed è pronta a “inglobare” anche le economie di molti Paesi con una politica di acquisti diretti: sono ormai più di 300 le aziende italiane nelle mani, in tutto o in parte, dei cinesi. Ma l’Impero sta volgendo l’attenzione anche alle Pmi di casa nostra. Per questi motivi: le piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana (creano ricchezza e sviluppo), sono a conduzione familiare (quindi flessibili e dinamiche) e sanno realizzare tecnologie uniche sul mercato. Che piacciono ai cinesi. Nel 2008, a molti imprenditori italiani la Cina non piaceva. Comunista e capitalista, si faceva forte di una manodopera retribuita ai minimi livelli, non garantiva diritti umani e sindacali, non applicava alcuna norma di sicurezza e il rispetto dell’ambiente non rientrava tra le priorità. Insomma, non si poteva competere con una realtà che non sostiene i tuoi stessi costi. Però, da qualche anno i piani del governo stanno cambiando: si studia l’introduzione della settimana lavorativa di quattro giorni e si sono accelerati gli investimenti in energie pulite, politiche e tecnologie per l’ambiente. Se in quel 2008, e un po’ più in là, l’Impero Celeste veniva considerato un nemico, negli anni a seguire tanti piccoli imprenditori sem-

brano aver risposto alla loro domanda così come ha fatto Maria Weber, autrice del volume “Il miracolo cinese: perché bisogna prendere la Cina sul serio” edito nel 2001 da Il Mulino: «Prenderla sul serio perché, semplicemente, non esiste altra scelta». Le testimonianze di alcune imprese, già ricordate, vanno in questa direzione: con un competitor forte – non tanto se si vuole, ma se si può in termini di professionalità e prodotti - meglio collaborare. La Cina ha una capacità produttiva di massa, ma nel suo incastro tra socialismo e capitalismo ha saputo generare un ceto che punta al Made in Italy perché espressione di una produzione d’eccellenza. E non stiamo parlando solo dei grossi nomi della moda o dell’automotive, perché la campagna anticorruzione lanciata dal regime cinese ha sganciato i consumatori di prodotti d’alta gamma dalla sola passione per il brand per avvicinarli alla grande qualità. D’altronde il nuovo ceto medio cinese chiede due cose: qualità e varietà dell’offerta. Il mercato è insidioso e va studiato a fondo, i contatti non sono immediati e per ottenere i primi risultati ci vuole pazienza e costanza. Però, come avevano già intuito alcuni imprenditori che alla Cina iniziarono a guardare con interesse anni fa, il mercato di quel Paese non sta interessando solo il manifatturiero ma anche le tecnologie verdi, l’Ict, la sanità, i servizi innovativi all’interno del terziario e le attività consulenziali su questioni ambientali e qualità della vita. La partita è aperta, anche perché la crisi globale potrebbe essere superata anche riflettendo sulle possibili collaborazioni con le economie emergenti. E con chi detterà i tempi dell’economia del futuro, come sta facendo la Cina.

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La “rete del sapere” 

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Si può descrivere la piccola impresa con una sola frase: «Se fai attenzione a quello che cambia, puoi cambiare». La crisi ha dato forza a un concetto sempre vivo dell’essere imprenditore: la trasmissione del sapere. Trasmissione in senso più ampio del termine ma che, per tutte le aziende, deve partire da un concetto di fondo non così scontato: i segreti (qui non si parla di quelli dettati dai contratti di esclusività firmati con i propri clienti) non devono esistere. Come tagliare, come modellare, come miscelare, come assemblare, come progettare devono essere considerati un “patrimonio dell’umanità” che va ad inserirsi nella missione secolare dell’artigianato: l’apprendistato. E proprio nei momenti più delicati della crisi economica, le imprese hanno fatto quadrato su questo concetto: formare persone valide che, nel tempo, si dimostrano indispensabili. Sono queste a fare di un’impresa qualcosa di straordinario, e il primo a sottolinearlo è Fabrizio, titolare di un’azienda che nel 2006 ha lanciato la prima collezione di occhiali in plastica riciclata al mondo e che oggi è la sola in Europa, nel settore dell’occhialeria, ad avere certificazioni ambientali. «Crediamo che le persone facciano la differenza, dice l’imprenditore. Facciano la differenza come carattere, come approccio, come divertimento, come passione, ma lo facciano anche in base alle competenze che hanno. Per questo, investiamo ogni anno il 5% del nostro fatturato in formazione. E se lo facciamo, forse è perché non siamo così felici dei risultati e delle nozioni con cui i ragazzi escono dalle nostre scuole. Siano esse scuole professionali, licei o università, noi vorremmo sempre di più». Gli fa eco Gianni, alla testa di una sartoria con sede in Varese: «E’ importante che i giovani riscoprano le attività artigianali per ricavarne soddisfazioni e realizzazione. Circa dieci, quindici anni fa (siamo nel 2015, ndr), mi sono reso conto che tutti i nostri collaboratori avevano una certa età. Allora mi sono posto una domanda: tra dieci anni

chi mi aiuterà a confezionare un abito per cui ci vogliono in media circa 40 ore di lavoro?». La domanda si trasforma in un’inserzione sul giornale. «Per quasi cinque anni nessuno bussa alla mia porta, poi un bel giorno arriva Marco, il mio primo “discepolo”», ricorda ancora Gianni. In una manciata d’anni entrano in sartoria anche Francesca, Beatrice, Alessandro e Martina. In totale cinque apprendisti con una media di 24 anni d’età. Figli dei cosiddetti “Anni Zero”. Quelli della crisi, che ribaltano i modelli economici e sociali del passato e che vedono un esercito di giovani alle prese con l’insicurezza e l’indecisione riflesse nel proprio futuro. Eppure, la piccola impresa è lì: forte dei suoi valori, della sua resilienza, della sua generosità nel voler trasmettere quello che sa fare. D’altronde, la crisi si supera se le imprese non chiudono. Paolo e Roberto, che a Varese stampano libri e scoprono nuovi talenti della scrittura, sui giovani ci scommettono da sempre. E dicono: «L’imprenditore che lascia per mille motivi la sua attività, dovrebbe essere obbligato per legge ad indicare un giovane di riferimento da inserire in azienda. Le imprese sono incubatori di giovani, e i giovani sono come funghi: li devi coltivare. Imparare accanto a chi sa il mestiere, è fondamentale per il futuro dell’imprenditoria». Rinunciando, però, anche a qualche tentazione. Lo ricorda Stefano, che a Groppello di Gavirate prosegue l’attività di famiglia nella produzione di pipe: «Le imprese devono competere con la qualità: è un passo prioritario. Nello stesso tempo devono respingere la tentazione di aumentare la produzione solo per fare profitto». Lo sa bene Luciano, che a Oggiona Santo Stefano è uno fra i pochi ancora impegnato nella produzione di affettatrici: «Le nuove generazioni aiutano il cambiamento, un passo fondamentale per restare in sella. Se guardo alla mia esperienza, qui siamo passati dall’essere un’officina meccanica di riparazioni ad un’impresa di produzione, dalle affettatrici comuni al lancio sul mercato di una

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linea personalizzata, dai modelli piccoli a quelli più grossi». Anche grazie ai giovani, «che però non sempre ci sentono: se hai scelto di studiare meccanica e poi non vuoi sporcarti le mani, c’è qualcosa che non va». Perché, sottolinea Nicola (uno dei cinque soci di un’impresa che a Carnago progetta e sviluppa hardware e software ed è attiva nella ingegnerizzazione di prototipi elettronici), «si rischia di perdere il contatto con l’officina e la fabbrica. È per questo che si deve coltivare, stimolare e difendere la cultura della formazione sul campo per avere operai, tecnici e dirigenti sempre più preparati». Insomma, se non occupi non riesci a trasmettere quello che sai. E le definizioni, legate più o meno al passato, pochi anni dopo la recessione non hanno più il significato di un tempo. Ne è sicuro Alberto, che l’impresa tessile di famiglia, a Cassano Magnago, l’ha completamente cambiata: «Essere artigiano non credo sia ancora identificabile con la bottega o con il solo lavoro manuale. Lo è, invece, con la qualità e la passione del lavoro. Ecco perché per noi essere artigiani ha un valore di appartenenza a un mondo che è portatore di principi importanti, anche se le nostre dimensioni ci avvicinano ormai più alla media impresa». Si è scritto di come si può racchiudere l’impresa in una sola frase. Ora, per dire dell’importanza dei giovani, basta una parola: curiosità. E’ questo quello che da sempre cercano le imprese: la curiosità che porta, inevitabilmente, a nuove idee.

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GIOVANI IN AZIENDA: COME SIAMO CAMBIATI

Il World Economic Forum dice che nel 2030 non ci saranno più servizi e, probabilmente, tutti saranno in linea con lo stile di vita dei Millennials: nessuna proprietà, nessuna privacy, tanta condivisione e - forse - più tempo libero. Le priorità di vita cambieranno secondo prospettive che le nuove generazioni dimostrano già di preferire ai vecchi schemi: salario e carriera sì, ma prima di tutto la possibilità di entrare in un’impresa capace di creare un ambiente empatico, creativo e confortevole. Dove imparare attraverso il confronto e la relazione continui. Fatto sta che proprio nei momenti più duri della recessione, quando il rischio di scivolare – imprenditorialmente parlando – era alto, alcune imprese hanno cercato nuove soluzioni per l’inserimento di giovani in azienda. Principalmente perché il cambiamento economico richiedeva uno sprint in più e una capacità di adeguamento rapida ma anche innovativa. Capacità che i giovani hanno e sulle quali scommettere. D’altronde, dalle nuove generazioni le imprese cercano idee vivaci, riflessioni coraggiose se non audaci, entusiasmo, uno spirito collaborativo informale, aria fresca. Ma anche la capacità di affrontare con una marcia in più quelle sfide future che non sono prevedibili. Un altro dato al quale dedicare una certa attenzione: il Bureau of Labor Statistics dice che nel 2020, sul posto di lavoro, si potranno avere 5 generazioni tutte insieme. Per gli imprenditori della piccola e media impresa questa, però, non è una novità. Crescere in azienda, nelle Pmi, da sempre porta al concetto, mai superato, dell’imparare-facendo. Che si basa su una nuova concezione formativa: non più legata all’esigenza stringente del momento ma continua, integrata, trasversale. Sempre più ancorata


all’ottenimento di quelle che sono le soft skills, le caratteristiche personali che influenzano il modo con il quale, di volta in volta, affrontiamo e risolviamo le richieste e i problemi che sorgono nell’ambiente lavorativo: autonomia, flessibilità, capacità organizzativa, attenzione ai dettagli e la voglia di affrontare un apprendimento non-stop per acquisire nuove competenze. La sfida, in questi ultimi dieci anni, ha coinvolto sempre più gli imprenditori e i giovani per dare il via a un reciproco percorso di crescita. L’impresa ha così amplificato la sua capacità di essere vivaio delle nuove generazioni, dove l’impatto di quello che i giovani sanno fare e di quello che vogliono imparare a fare diventa colonna portante della trasformazione dell’azienda. Che, da parte sua, si impegna non solo in quello che è l’apprendistato (per l’appunto, l’imparare facendo) ma anche alla definizione di pacchetti formativi che aiutano i collaboratori a meglio sviluppare le loro qualità attraverso un costante miglioramento. La collaborazione, secondo le imprese intervistate in questi ultimi anni, ha generato un’energia contagiosa e ha portato a una moltiplicazione delle esperienze e della professionalità anche grazie alla responsabilizzazione dei giovani e al loro coinvolgimento nella costruzione degli obiettivi aziendali. Una missione educativa, quella delle piccole imprese, che è stata rivalutata – se non riscoperta – anche attraverso l’inserimento dell’alternanza scuola-lavoro obbligatoria. Qualcosa che appartiene al dna degli imprenditori, e non solo a quelli della vecchia guardia: «La mattina si andava a scuola – ci raccontano – e il pomeriggio si aiutava i genitori in bottega oppure si

andava da altri artigiani per imparare il mestiere e quello di cui è fatto il lavoro». Un buon consiglio, ancora attuale. Il cambiamento e la maturazione delle aziende passano da qui: nell’aiutare i giovani ad evitare l’approccio individualistico («ho fatto quello che dovevo fare»), a prendersi le proprie responsabilità e ad ampliare i loro orizzonti d’intervento (non si può fare solo quello che piace), a cambiare il proprio modo di lavorare, ad interagire in team e a realizzare i propri obiettivi in linea con quelli aziendali. Prima di tutto, però, da parte dell’imprenditore c’è la capacità di raccontare e di trasmettere la propria esperienza, appassionando chi si trova davanti a lui. Alla base di questa costruzione formativa ci dev’essere, quindi, anche la fiducia perché – come dicono ancora gli imprenditori intervistati – «il lavoro non deve essere semplicemente il compito di una giornata, ma lo strumento attraverso il quale dare un significato alla nostra vita e al nostro futuro».

SI RINGRAZIANO: » Nau! » Sartoria Vergallo » Zecchini Editore » Santambrogio & C. » Maineri Luciano Snc » Tea Elettronica Srl 29


Protagonisti nelle nicchie, ma solo se piccoli? 

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La crisi sistemica che si è generata dal 2008 ha portato a quello che è conosciuto come il “shift of paradigm”, ossia la messa in discussione delle fondamenta stesse delle dottrine economiche. Consapevoli del fatto che per uscire da questa situazione non ci sono state e non ci sono ricette, gli imprenditori hanno deciso di strutturarsi (ma senza dimenticare la propria flessibilità) e di trasformare il proprio servizio in qualcosa di unico. Basato, per la maggior parte dei casi, su quella produzione di nicchia nella quale a fare la differenza non è la dimensione imprenditoriale ma la qualità. A dirlo è Tiziano, titolare di un’azienda di Azzate leader nella produzione di serramenti: «Noi vogliamo crescere, ma la nostra crescita deve essere proporzionata alla precisione del lavoro. I nostri clienti devono avere la garanzia di essere seguiti non solo prima e durante il lavoro, ma anche dopo. Se non possiamo dare loro la nostra massima collaborazione, è inutile crescere ancora». La storia di Fabrizio, che con il socio Gabriele ha fondato un’impresa attiva nel settore degli impianti elettrici, è diversa: «Abbiamo fondato l’azienda nel 2011: in tre anni siamo passati da due (i titolari) a nove, contando un’impiegata e sei dipendenti». Alessio ha deciso di seguire i passi del papà e del nonno producendo componentistica per gli articoli da viaggio. E come loro pensa che sia importante «restare piccoli. Restare nella nostra nicchia fatta di grande professionalità e competenza. Espandersi troppo nel nostro settore vuol dire non essere più in grado di seguire in modo appropriato i progetti che i nostri clienti ci affidano. A noi si rivolgono designer, stilisti, creativi, persone che amano essere seguite in tutto e per tutto». Per farlo, Alessio ha introdotto in azienda il metodo Kaizen che deriva dalla composizione di due termini giapponesi: Kai (cambiamento, miglioramento) e Zen (buono, migliore). La traduzione che se ne ottiene è “miglioramento continuo” per «ottimizzare i processi produttivi e livellare i carichi di lavoro sugli operatori finalizzati alla qualità totale del prodotto», rimarca Alessio. Che sa di essere, in parte, una mosca bianca nel vasto panorama imprenditoriale

della provincia. Però non è l’unico. Kaizen sì o no, le imprese sanno che la “serie” non è la carta vincente. Lo hanno sempre saputo, vero, ma salendo gli anni – dal 2008 siamo ormai arrivati al 2015 – le difficoltà non sono cessate, ma c’è la piena consapevolezza nei confronti di quelli che sono i punti di forza di una Pmi: la customizzazione, prima di tutto. Quella capacità di soddisfare il cliente non con un prodotto ma con “il” prodotto. Il suo prodotto. La forza del prodotto esclusivo. Un must che ha fatto delle piccole imprese un punto di riferimento per coloro che cercano l’originalità a tutti i costi. In tutti i settori. Pensando alla falegnameria, o meglio ancora al vasto mondo dell’arredo design, a Gallarate si trova un’azienda che con la nicchia ha stravolto la propria capacità competitiva sui mercati. A raccontarlo è Antonio, il titolare: «La nostra vera forza è quella di non esserci mai limitati al solo uso del legno. Anzi, ormai lavoriamo da anni il metacrilato, l’acrilico, il carbonio, l’alluminio e l’ottone. Inoltre, non siamo più solo un’azienda produttrice perché, grazie alla prototipazione interna, forniamo anche consulenze progettuali per lavori di arredo e per studio di prodotto. Perché per noi innovare non significa solo soddisfare le richieste dei nostri clienti dal punto di vista dei materiali o della “meccanica” degli arredi, significa andare oltre i nostri limiti»: ecco una buona definizione di “evoluzione”. Anche perché quando gli imprenditori della piccola impresa parlano di nicchia, non si limitano a fare meglio degli altri ma a fare quello che nessuno sa fare. E’ il caso di Antonella e Davide, imprenditori a Caronno Pertusella dove producono dispositivi medicali destinati alle sale operatorie e alle ambulanze di tutta Europa. Dove brevettano, inventano, aprono canali con aziende spagnole e tedesche. Dove la nicchia trova una fra le sue più alte espressioni, nonostante tutto: «Perché si può parlare di innovazione, inventiva, creatività italiana ma quello che è certo è che se ce la fai è praticamente solo merito tuo, e questo è un gap enorme con il resto del mondo».

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Gisella e Flavio fanno sentire la loro voce da Barasso: «Noi principalmente ci occupiamo di componenti che hanno una valenza estetica nel prodotto finale dei nostri clienti. Ad esempio i loghi delle automobili o i pannelli di comando di lavastoviglie, frigoriferi e altre apparecchiature elettroniche». Però questo non bastava: «Negli anni abbiamo introdotto macchine per la fresatura, il taglio laser, la termoformatura e il doming. Una tecnologia, quest’ultima, che permette di rivestire le etichette con una resina trasparente che rende il prodotto antiurto, resistente agli agenti atmosferici, agli attacchi chimici e all’usura. A offrire soluzioni come queste, in Italia, ci siamo solo noi». Ecco svelato il punto: ciò che contrasta la crisi è questo essere unici o in pochi; occupare la pole position; offrire un servizio che vada oltre la produzione; soddisfare il cliente non in quello che ha chiesto ma offrendo quello che lui non si aspetta. Infine, abbinare la nicchia alla novità. Su quest’ultimo punto si concentra Valeria, che a Olgiate Olona lavora con i fratelli Bruno e Daniele nel settore dell’occhialeria: «Siamo specializzati nel rivestimento in pelle di occhiali e nella produzione di riccioli di acetato, destinati alla ricopertura delle montature di metallo. In pratica ci siamo inventati un prodotto che non esisteva, e oggi mi fa un certo effetto pensare che da questo ufficio sono passate e continuano a entrare aziende con sedi a Parigi, New York, Hong Kong, Los Angeles e Pechino. Grandi nomi che da anni ci confermano la loro fiducia».

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Però la domanda resta: meglio piccoli oppure no? Giandomenico, che a Gallarate ha sdoppiato il proprio servizio legato al mondo delle stampanti (da un lato la manutenzione ordinaria e dall’altro l’e-commerce per un servizio di reverse logistic), non ha dubbi: «Bisogna superare alcuni difetti: il primo è il nanismo delle imprese. All’estero non capiscono il nostro tessuto imprenditoriale perché è unico nel suo genere, ma anche frammentato e fatto da piccole e medie imprese. E’ anche per questo che noi abbiamo costruito una rete di piccole aziende partner che consentono di soddisfare clienti in tutt’Italia, pur mantenendo la nostra specifica identità».

PICCOLO È BELLO? COME SIAMO CAMBIATI Sul tema si dibatte ancora oggi: non è sempre vero che le piccole imprese non vogliono crescere. Anzi, il problema è all’ordine del giorno ma c’è un primo ostacolo di fronte al quale la crescita si blocca inevitabilmente: la tassazione. Che sulle Pmi raggiunge picchi del 68%. Franco da Albizzate, a capo di un’impresa specializzata nella polarizzazione delle lenti sportive, dal 2008 al 2018 è passato da 25 a 50 collaboratori, «e sarei in grado di assumere ancora». Ma si è fermato, perché da un lato c’è una forte incertezza nel futuro e dall’altro bisogna accantonare risorse per gli investimenti in macchine d’ultima generazione. Il nanismo delle imprese e lo slogan «piccolo è bello» sembrano non essere più attuali. Lo è invece, sempre più, la capacità camaleontica delle Pmi, che seppur piccole hanno reagito ai mutamenti dell’economia globale grazie anche alle nuove tecnologie digitali. Le reti d’impresa sono diventate virtuali e si può restare Piccoli a patto che non si resti isolati dal mondo. L’importante è restare efficienti in una realtà nella quale, a cambiare, è il gioco del tempo: bisogna essere più veloci e più dinamici a fronte di una richiesta di qualità che è rimasta immutata. Secondo gli economisti, dunque, si resta Piccoli per scelta (nessun interesse a crescere), per necessità (si lavora in una fetta di mercato di nicchia) o perché non si hanno le corrette informazioni che possono aiutare a fare il grande salto. E non è sempre vero che l’arrivo delle economie emergenti sui mercati e la rivoluzione tecnologica (anche nei campi della comunicazione e dell’informatica) abbiano raso al suolo chi ha dimensioni ridotte. Al centro del dibattito ci sono imprenditori che avvertono l’e-


sigenza di crescere (seppur in modo calcolato) e quelli, invece, che hanno aumentato il loro fatturato puntando esclusivamente sulle super-competenze attraverso la formazione a tutto campo. E che di crescere non ne avvertono alcun bisogno. Piuttosto, le imprese ne fanno una questione di libertà: libere da una tassazione iniqua, dai vincoli burocratici (che sono il vero freno alla crescita), dai pregiudizi che inquinano la capacità di valutazione degli istituti di credito, da una normativa che non è né chiara e né trasparente, da un mercato del lavoro ingessato che non agevola le assunzioni. Sotto questo punto di vista, è cambiato poco o nulla.

scoraggiano la crescita anche delle realtà di maggior successo. In anni in cui il modello dell’impresa tradizionale, come la si è sempre pensata e vissuta, è stato messo duramente in crisi; in anni in cui il manifatturiero si è dovuto reinventare generando un nuovo valore nei suoi prodotti; in anni in cui il “fare” si sta alleando a studi, conoscenze e saperi sempre più elevati, le piccole imprese si sono messe in gioco. Con ottimi risultati.

Crescere può essere un obiettivo, ma non deve diventare un’ossessione. E la crescita può essere graduale, perché per molte aziende l’importante è osservare la definizione che l’Unione Europea ha dato di microimpresa (deve occupare meno di 10 persone con un fatturato non superiore ai 2 milioni di euro) e di piccola impresa (meno di 50 persone con un fatturato non superiore ai 10 milioni di euro). Per alcuni imprenditori le prospettive sono comunque cambiate e la voglia di crescere c’è. Partendo dalle assunzioni delle nuove generazioni che portano, con loro, quell’elasticità nell’uso degli strumenti digitali che fa la differenza. Dall’altro, da parte degli imprenditori a capo anche di realtà veramente piccole (dove, però, non mancano nuove idee e prodotti innovativi) si assiste ad una maggiore attenzione all’ampio spettro della Ricerca & Sviluppo (che a volte, con una certa fantasia, qualcuno confonde con una più immediata propensione al problem-solving). Ma i “vizi” italiani che colpiscono le Pmi sono sempre gli stessi: la pressione fiscale e i vincoli stringenti

SI RINGRAZIANO: » Finazzi Serramenti » Fast Impianti Snc » Travetti Srl » Effegieffe Snc » GVP Med Sas » Seristampa Srl » F.lli Origgi Snc » Tecnoassist » Nice Srl 33


Investire per andare nel mondo 

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C’è chi collabora con il Politecnico di Milano (dipartimento di Bioingegneria) e chi con quello di Torino, chi con il San Raffaele e l’Ospedale Niguarda di Milano, chi vorrebbe aprire una filiale in Francia e chi realizza piccoli pezzi per le imbarcazioni dell’America’s Cup. Chi è stato Maglia Rosa di ciclismo e fa il falegname, chi lavora per Lindt e Rolex, chi sceglie l’hi-tex (una fibra sviluppata in Giappone che viene però lavorata e cardata in Italia) e chi la Zama (una lega a base di zinco). Ma c’è anche chi è laureato in Ingegneria, in Economia e Commercio o in Biologia e chi è salutista (e su quello ci ha costruito la sua impresa). Chi era odontotecnico e si è scoperto mastro birraio, chi lavorava con il traforo e oggi lo fa con il laser cut. Tutti, però, fanno parte della stessa, grande famiglia delle piccole imprese. E tutti, in azienda, ci sono andati per vocazione o perché, dopo aver preso confidenza con i banchi di lavoro rincorrendo un proprio sogno, si sono accorti che il sogno era lì a due passi. In molti casi il sogno era quello di papà, ma non sempre. Una cosa, però, accomunava tutti: la volontà di investire. Dal 2008 con ancora più determinazione e più risorse. Niente di facile, ci vuole coraggio. Le Pmi questo coraggio l’hanno avuto proprio nei momenti più sfidanti della crisi: un cambiamento repentino nei ritmi di lavoro, l’incertezza nelle commesse, le richieste di prodotti sviluppati con un’alta componente tecnologica, la chiusura del mercato casalingo, l’apertura di nuovi fronti all’estero, la concorrenza delle economie emergenti e la necessità di avere professionalità sempre più definite portano a scelte spesso incoscienti. Ci aveva detto un imprenditore, poco tempo fa: «Oggi, di mio, non ho neppure il conto corrente. Tutto in azienda, per non perdere un colpo». Davide, che con il papà Gianni governa un’officina meccanica a Gerenzano specializzata nelle lavorazioni per asportazione di truciolo,

lo dice senza mezzi termini: «Vuoi restare sul mercato? Devi investire, non conosco altri modi. È così che siamo cresciuti in media del 6% ogni anno; è in base a questa logica che lo scorso anno (l’intervista risale al 2017, ndr) abbiamo investito centinaia di migliaia di euro con l’acquisizione di due nuove macchine utensili e che quest’anno realizzeremo una nuova sala metrologica con un investimento ancora importante. Ed è sempre nell’alveo di questi principi che riteniamo fondamentali formazione e passaggio di competenze verso e tra i nostri ragazzi». Luca, nell’azienda di famiglia di Grantola, si occupa invece della produzione di macchine per l’assemblaggio del packaging dei prodotti cosmetici - «ogni anno investiamo circa il 10% del fatturato in formazione dei collaboratori e acquisto di software di ultima generazione» - mentre a Rescaldina Marco, Luca e Odino nei test delle nuove soluzioni tecnologiche e nell’ufficio tecnico reinvestono, annualmente, il 15% del loro fatturato. La ragione che li guida è comune a molti imprenditori: «Nell’ufficio tecnico avviene tutta la parte di analisi e progettazione necessaria per mantenere la leadership nel settore: è questa che ci permette di soddisfare giorno dopo giorno tutte le richieste dei nostri clienti, anche quelle più audaci». Tutti i settori sono interessati da una pianificazione che porta gli investimenti a lievitare per far crescere le performance aziendali. Simone da Castronno annuisce e condivide. Nella sua azienda fondata nei primi anni Ottanta da papà Giorgio, dove si realizzano «le macchine più piccole al mondo», si investe ogni anno, in Ricerca & Sviluppo, tra il «20 e il 30% del fatturato. Le soluzioni che escono da queste sperimentazioni le portiamo in tutto il mondo. Però noi non andiamo alla ricerca del mercato più comodo, ma del mercato migliore per i nostri prodotti». Il tessile, che di crisi ne ha viste e superate parecchie, dal 2008 si è dimostrato un comparto in ebollizione. Lorenzo e Maria Carla, a Bru-

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nello, hanno dato il via ad un cambiamento che li ha tenuti sul filo del rasoio, eppure le loro scelte li ha premiati: «Un tempo nella provincia di Varese c’erano circa 2000 macchine da ricamo mentre oggi, se è tanto (l’intervista risale al 2016, ndr), ce ne sono 400. Noi abbiamo investito in ricerca, studio dei materiali e macchinari, ma non è stato facile. Attualmente seguiamo circa 500 clienti, di cui 40 in modo assiduo. Nei prossimi cinque anni abbiamo programmato investimenti per quasi il 10% dei nostri fatturati. Perché da un ricamificio italiano ci si aspetta precisione, velocità di consegna, collaborazione, tracciabilità dei fornitori, prezzi competitivi e grande qualità». E macchinari «in grado di garantire la produzione in ogni circostanza». Accade anche a Olgiate Olona, in una tessitura che produce tovaglieria alberghiera: «Negli ultimi anni abbiamo investito circa il 70% del nostro fatturato per avere una tessitura attrezzata e moderna – dice Alessandro - Abbiamo ampliato la nostra capacità produttiva e vogliamo ampliare gli orizzonti anche commerciali, con un ambizioso progetto a medio termine per aumentare il nostro fatturato di circa il 60%, provando ad espanderci ulteriormente in Italia e all’estero. Il tutto senza lasciare indietro la qualità del prodotto, anzi aumentandola». Gli investimenti portano nel mondo, e dal 2008 ad oggi la parola d’ordine è “market oriented”.

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INVESTIRE PER SOPRAVVIVERE: COME SIAMO CAMBIATI

Una buona notizia, non di questi giorni: il sistema italiano ha una propensione all’export tra le più alte a livello europeo. Probabilmente per il fatto che le nostre Pmi hanno saputo sfruttare la domanda internazionale nonostante anche questa abbia accusato un duro colpo dal crollo del 2009 e dalla crisi del 2011-2013. L’export è centrale nella vita di un’impresa. E se prima della crisi non per tutte le aziende era possibile parlare di una vera strategia di internazionalizzazione, con la caduta del mercato casalingo l’export è passato dall’essere un’esigenza ad essere una priorità. Investire in piena recessione è più una scommessa che una sfida, eppure il Rapporto Istat del 2013 aveva sottolineato quanto le Pmi avessero un’alta capacità di tenuta alla recessione anche grazie «al miglioramento qualitativo e all’ampliamento della gamma dei prodotti, al contenimento di prezzi e margini, al rafforzamento delle politiche di commercializzazione e alla concentrazione dell’attività nei segmenti di mercato più redditizi o dinamici». In quegli anni di turbolenza economica, l’investimento lo si pensava non come strumento di crescita dimensionale ma come azione “contenitiva” della crisi (per alcune imprese, quelle che si erano già attrezzate prima della recessione puntando alle nuove tecnologie e alla penetrazione dei mercati, azione “espansiva”). Le dichiarazioni degli imprenditori non lasciano dubbi: le aziende sono votate al mercato estero e si dicono pronte ad assumere connotati internazionali. Alcune pianificano a tal punto le loro strategie, da dirigersi su scelte più che impegnative: aprire filiali in Europa od oltreoceano. Soprattutto negli Stati Uniti. L’investimento «mordi e fuggi» e guidato dalle sensazioni (qualche missione estera e col-


laborazioni con pochi Paesi più che altro geograficamente vicini) funziona sempre meno. Nel 2018 l'export si amplifica a tal punto da essere elemento imprescindibile per la tenuta di ogni azienda. Le performance delle Pmi lasciano il segno. A dirlo è il Rapport Ice 2012-2013: «Tra il 2010 e il 2013 la quota delle piccole imprese è aumentata dal 14,6 al 16,4% e quella delle medie dal 30,3 al 32%, mentre l’incidenza delle grandi è scesa dal 55,1 al 51,6%. Parallelamente è proseguita anche l’internazionalizzazione produttiva delle imprese italiane. Queste evidenze confermano come i processi di internazionalizzazione siano ineludibili e come le imprese italiane, anche di piccola dimensione, vi partecipino a pieno titolo, nonostante le enormi difficoltà entro cui si dibattono». Le risorse in azienda entrano a getto continuo - poche o tante che siano - aiutate dalla naturale propensione del piccolo imprenditore a non porsi alcun limite. I commenti, da parte di molti, si somigliano: «E’ preferibile avere un’azienda che funziona perfettamente e che corre verso il futuro, che una bella macchina o una vacanza di un mese ai Tropici». La grande spinta all’investimento si fa anche motivazionale, perché da un lato si concentra sull’inserimento in azienda di figure ad alto valore aggiunto (o di giovani da crescere direttamente in officina), e dall’altro sull’esplorazione consapevole dei nuovi mercati. Quando, con consapevole, si intende lo studio a tavolino dei Paesi in cui il proprio prodotto può essere meglio apprezzato. E acquistato. L’imprenditore scommette, a questo punto, anche su un proprio cambiamento culturale perché sa che l’economia di mercato non è fatta solo dai bisogni di chi compra ma anche dai costumi, dagli usi e dai comportamenti. Germania e Francia (i Paesi con i quali si lavora

di più), Polonia, Grecia e Brasile. Ma anche Pakistan, Arabia Saudita, Sud Africa. E poi Canada e Russia. Franco, alla testa di un’azienda che a Tradate produce nottolini e cilindretti di sicurezza per serrature, però mette le cose in chiaro: «Tante aziende si spaventano a causa dei costi elevati. Io sono dell’idea che se vuoi fare una fiera non basta un anno, devi crederci. Per prendere un mercato ci vogliono cinque, sei anni. Dico questo in base alla mia esperienza: il primo anno di fiera in Russia, abbiamo raccolto una valanga di contatti ma non se n’è concretizzato nemmeno uno. Il secondo anno non ci siamo arresi e il terzo abbiamo rilanciato». Ma l’approdo ai mercati esteri è solo una conseguenza di un pensiero imprenditoriale che sa di dover prediligere, in prima battuta, altri investimenti più delicati: da un lato, come già detto, sul capitale umano e dall’altro su macchinari che sappiano esprimere un altissimo potenziale. La fusione tra questi elementi (tralasciamo l’ampio capitolo che si aprirebbe dall’analisi del rapporto tra banche e imprese nei momenti di crisi) è il punto di partenza di un’imprenditoria che ha saputo reinventarsi, mettendo in discussione non ciò che avrebbe potuto rappresentare in futuro per il Pil italiano, ma il modo in cui avrebbe potuto farlo. SI RINGRAZIANO: » Segat Gianni Srl » Tecnosas Srl » Gammatec » Gimac di Maccagnan Giorgio » Ricamificio Albiati » Tessitura Valdolona Srl 37


focus » Grande recessione (2007-2009)

» Steve Jobs presenta l’iPhone. «Con questo prodotto rivoluzionario abbiamo fatto un salto in avanti di almeno 5 anni rispetto alla concorrenza: abbiamo reinventato il telefono» » Popolazione mondiale residente in aree urbane superiore a quella in aree rurali (dal 2010) » Quota del commercio SudSud del mondo pari a quella Nord-Nord (2014) » Accuratezza in ambito visivo dell’Intelligenza Artificiale superiore a quella umana (2015) » Record storico del Pil globale a 80 trilioni di dollari (2017) » Record storico di numero di migranti internazionali, pari a 258 milioni (2017) » Record storico di 2,5 milioni di articoli scientifici pubblicati in un anno (2017) 38


UNA RIVOLUZIONE “IN RETE” Tra il 2004 e il 2005 O’Reilly Media organizza una serie di conferenze negli Stati Uniti per spiegare le nuove opportunità che la Rete e il web mettono a disposizione degli utenti. In questi incontri viene coniato e ufficializzato il concetto di “Web 2.0”. Web 2.0 è, in sintesi, collegamento di pagine web tra loro, condivisione dei dati tra siti web e applicazioni con l’uso di social networking. Il termine Web 3.0 compare invece per la prima volta agli inizi del 2006 in un articolo di Jeffrey Zeldman. Si apre, con questa definizione, la fase del “read-write-execute web”, vale a dire della rete come grosso e inesauribile database (Data Web). In questo periodo compaiono anche le intelligenze artificiali, ovvero software in grado di interagire con l’utenza. L’idea di web 4.0 affonda le radici nel fatto che le applicazioni presenti sul web hanno lo scopo di mettere in connessione in modo automatico le persone (come il web semantico connette i contenuti in modo automatico) sulla base delle attività svolte, per aiutarle a collaborare e ad unire le risorse. È la piena integrazione del web con la realtà fisica. Siamo ormai nella dimensione del web come strumento di servizio. Dalle risorse statiche del web 1.0 alle intelligenze del 4.0 e del collegamento tra cose e persone che genera il processo decisionale.

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ANNO PER ANNO PER NON DIMENTICARE

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duemila08 15 GENNAIO - In una conferenza a San Francisco la Apple presenta il MacBook Air, il più sottile computer portatile al mondo. 19 FEBBRAIO - Toshiba annuncia la fine della produzione di lettori e dischi HD DVD. In questo modo il Blu-ray Disc diventa lo standard per i dischi ad alta definizione. 14 SETTEMBRE - Una domenica sera Bank of America compra Merrill Lynch al prezzo di 50 miliardi di dollari: dubbi su Lehman Brothers 15 SETTEMBRE - Il fallimento della banca Lehman Brothers provoca un’ondata di ribassi fra gli indici delle Borse di tutto il mondo. Un lunedì che segna tragicamente, e irrimediabilmente, il sistema finanziario mondiale, sconvolgendo la vita di milioni di famiglie 16 SETTEMBRE - La Fed cerca di rimettere in sesto la situazione salvando il colosso assicurativo Aig dalla bancarotta al costo di 85 miliardi di dollari 23 SETTEMBRE - Google lancia Android. Dopo aver monopolizzato la ricerca sul web, nel 2008 Google lancia la sfida al mondo della telefonia mobile, allora dominato dai colossi Apple e Nokia 3 OTTOBRE - Viene approvato il Tarp (Troubled Asset Relief Program). Il Congresso approva un bail-out bancario da 700 miliardi di dollari ma i mercati azionari continuano ad arretrare per il timore che l’operazione non sia sufficiente 4 NOVEMBRE - Il senatore Barack Obama è eletto come 44º presidente degli Stati Uniti d’America 6 OTTOBRE - La crisi delle Borse fa bruciare 450 miliardi di euro con perdite delle borse europee che vanno da 7% al 9%

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duemila09 20 GENNAIO - Si insedia il nuovo presidente Barack Obama. Il suo

4 GENNAIO - Viene inaugurato il grattacielo più alto del mondo a

primo atto è una legge che equipara gli stipendi di uomini e donne

Dubai: si tratta del Burj Khalifa

che fanno lo stesso lavoro

12 GENNAIO - Ad Haiti un terremoto distrugge il Paese. Oltre

13 GENNAIO - Parte la nuova Alitalia – Cai. Air France entra al 25%.

200mila i morti

Polemiche per Malpensa

27 GENNAIO - Apple presenta l’iPad

22 GENNAIO - Viene siglato, in Italia, l’accordo sulla riforma della

4 FEBBRAIO - Il Governo approva il riordino delle scuole superiori,

contrattazione collettiva senza la firma della Cgil

in vigore col nuovo anno scolastico

8 FEBBRAIO - Con un referendum, la Svizzera approva il rinnovo

1 MAGGIO - A Shanghai (Cina) inizia l’Expo 2010

dei Bilaterali con l’Ue e la sua estensione a Romania e Bulgaria

- Obama annuncia una super tassa sui profitti e sui bonus realizzati

17 FEBBRAIO - Il presidente Obama firma il pacchetto di stimolo

dai banchieri con i proventi del maxi finanziamento pubblico

per economia da 787 miliardi di dollari approvato dal Congresso

9 MAGGIO - La commissione Ecofin decide la creazione di un fon-

27 MARZO - Con il primo congresso, si fonda ufficialmente come

do di 500 miliardi di euro, a cui si sommerebbero circa 200 miliardi

unico partito il Popolo della Libertà

dal Fondo monetario internazionale, per evitare che la crisi econo-

6 APRILE - Terremoto all’Aquila. Alle 3.32 di lunedì 6 aprile 2009 si apre una ferita nel cuore geografico dell’Italia e nella memoria collettiva, che a distanza di anni dal disastro è ben lontano dal rimarginarsi 27 APRILE - Secondo i dati Istat la popolazione italiana supera i 60 milioni 8 LUGLIO - A Termini Imerese si svolge uno sciopero contro la decisione Fiat di dismettere la produzione di auto nello stabilimento 24-25 SETTEMBRE - Si apre il vertice G20 a Pittsburgh (Usa). Ci si accorda per la crescita mondiale sostenibile, per limiti predefiniti ai bonus dei manager e impegno contro disoccupazione 27 SETTEMBRE - In Germania, con il 33,8% Angela Merkel vince con la sua Cdu in alleanza con i liberali 22 OTTOBRE - Entra in commercio Windows 7, il nuovo sistema operativo di Microsoft

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mica della Grecia si estenda ad altri Paesi che adottano l’euro e per combattere le speculazioni. - Il motore di ricerca Google sfida la censura cinese, reindirizzando il traffico dal sito cinese a quello di Hong Kong 3 OTTOBRE - La Germania finisce di pagare i debiti di guerra imposti dal Trattato di Versailles del 1919 in occasione del ventesimo anniversario della riunificazione tedesca - Marchionne (Ad Fiat) dichiara: la Fiat guadagnerebbe di più se si liberasse degli stabilimenti in Italia 2 NOVEMBRE - Alle elezioni Usa di midterm i Repubblicani conquistano la Camera 28 NOVEMBRE - WikiLeaks rilascia oltre 251mila documenti diplomatici del Dipartimento di Stato Usa, inclusi oltre centomila docu-

7 DICEMBRE - A Copenaghen si riuniscono i presidenti per deci-

menti contrassegnati come “segreti” o “confidenziali”

dere un taglio di emissioni Cop15

9 DICEMBRE - Crac Parmalat, Calisto Tanzi condannato a 18 anni

18 DICEMBRE - Avatar e la nuova frontiera del 3D. A dodici anni

18 DICEMBRE - Primavera araba. Vittima di soprusi da parte della

dallo strepitoso successo di Titanic, James Cameron porta nelle sale

polizia, Mohamed Bouazizi decide di darsi fuoco davanti alla folla. Il

cinematografiche un altro kolossal destinato a fare scuola: Avatar

gesto fa scattare l’indignazione e la mobilitazione in tutta la Tunisia


duemila11 15 GENNAIO - Wikipedia compie 10 anni 11 MARZO - Disastro di Fukushima. Un’immane catastrofe si scatena dal profondo del mare e mette in ginocchio il popolo nipponico. Il rischio di contaminazione atomica getta un’ombra pesante sul futuro della terza potenza economica del mondo 2 MAGGIO - Osama Bin Laden viene ucciso dalle forze speciali statunitensi, nel suo nascondiglio di Abbottabad in Pakistan 28 GIUGNO - Il gigante di Mountain View lancia la sua personale sfida nell’universo dei social network, inaugurando la versione “test” di Google Plus 17 SETTEMBRE - Nasce il movimento che prende il nome “Occupy Wall Street”, a New York 28 SETTEMBRE - Dopo una campagna mediatica efficace che ha alimentato la suspense, Jeff Bezos, fondatore di Amazon, presenta in anteprima il Kindle Fire, il primo tablet low cost 5 OTTOBRE - Addio a Steve Jobs, genio dell’informatica, imprenditore creativo, opinion leader, visionario. Ha vissuto i suoi 35 anni di carriera professionale con uno scopo: cambiare il mondo 20 OTTOBRE - Muammar Gheddafi viene ucciso dai ribelli 1 NOVEMBRE - Mario Draghi si insedia alla guida della Banca Centrale Europea 12 NOVEMBRE - Silvio Berlusconi rassegna le sue dimissioni da Presidente del Consiglio nelle mani del Capo dello Stato 16 NOVEMBRE - Si insedia il governo di Mario Monti

duemila12 13 GENNAIO - Standard & Poor’s declassa il rating della Francia ad AA- e dell’Italia a BBB+, oltre che quelli della Spagna, del Portogallo e dell’Austria - La nave Costa Concordia del gruppo Costa Crociere naufraga a 500 metri al largo dell’Isola del Giglio. L’incidente provoca 32 morti. A bordo ci sono 4.229 persone di cui 1.013 membri dell’equipaggio

13 FEBBRAIO - Il tribunale di Torino legge la storica sentenza Eternit, il più grande processo celebrato in Italia per morti sul lavoro e reati ambientali. Davanti ai circa 1.500 presenti, per oltre seimila parti civili costituite, i giudici condannano a 16 anni di reclusione il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier 4 MARZO - Vladimir Putin viene rieletto in Russia 13 MARZO - Dopo 244 anni di onorata carriera l’Enciclopedia Britannica cessa l’edizione su carta: da ora in poi sarà disponibile solo online 5 APRILE - Travolto dalle indagini sull’uso personale dei fondi della Lega Nord, condotte dalle procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria, il segretario della Lega Nord Umberto Bossi si dimette 6 MAGGIO - Secondo turno delle elezioni presidenziali in Francia. François Hollande (Partito Socialista) batte col 51,62% dei voti Nicolas Sarkozy, fermo al 48,38% 24 GIUGNO - Con 393 sì, 74 no e 46 astenuti alla Camera (ultimo passaggio dopo l’approvazione al Senato), la riforma del lavoro di Elsa Fornero diventa legge 16 GIUGNO - Una navicella con equipaggio viene lanciata dallo spazioporto di Jiuquan (Cina) con destinazione la stazione spaziale Palazzo Celeste. L’impresa (che si conclude con successo 10 giorni dopo) testimonia i progressi dell’industria aerospaziale della Cina e i cambiamenti sociali che stanno attraversando il Paese 26 LUGLIO - Il Gip di Taranto ordina il sequestro dell’intera area a caldo del più grande stabilimento siderurgico italiano: l’Ilva 6 AGOSTO - Il Mars Science Laboratory Curiosity, lanciato il 26 novembre 2011, atterra su Marte: inizia l’avventura scientifica più condivisa ed emozionante del secolo 31 AGOSTO - Si spegne Carlo Maria Martini, a 85 anni. Da tempo sofferente e malato, era arcivescovo emerito di Milano, ed era stato alla guida dell’arcidiocesi dal 1979 al 2002 6 NOVEMBRE - Barack Obama è riconfermato per un secondo mandato alla Casa Bianca (2013-2017): è il terzo Democratico in 72 anni a riuscire nella rielezione (dopo Franklin Delano Roosevelt e Bill Clinton) 21 DICEMBRE - Il Presidente del Consiglio, Mario Monti, rassegna le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano

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duemila13 11 FEBBRAIO - Papa Benedetto XVI annuncia le dimissioni. Dal 28 febbraio fino al Conclave la sedia apostolica sarà vacante 13 MARZO - Il nuovo Pontefice è Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, che prende il nome di Papa Francesco. Il 19 marzo comincia ufficialmente il suo pontificato. 8 APRILE - Gli inglesi piangono la morte di Margaret Tatcher, la Lady di Ferro, spentasi all’età di 87 anni 15 APRILE - Tragedia negli Stati Uniti. Durante la maratona di Boston scoppiano due bombe che causano 3 morti e più di 140 feriti 22 APRILE - Giorgio Napolitano ottiene, primo nella storia italiana a riuscirci, il secondo mandato alla presidenza della Repubblica. 24 APRILE - Giorgio Napolitano dà l’incarico di formare il Governo ad Enrico Letta, che diventa il nuovo premier. Si tratta di un Governo di larghe intese, che vede riuniti membri di Pd, Pdl e Scelta Civica 26/27 MAGGIO - In molti comuni italiani si svolgono le elezioni amministrative che vedono, dopo i ballottaggi, una schiacciante vittoria del centrosinistra in quasi tutta la penisola 10 GIUGNO - Violente proteste in tutta la Turchia 6 GIUGNO - Il Guardian e il Washington Post pubblicano la prima inchiesta del Datagate: denunciano la raccolta indiscriminata di tabulati telefonici di milioni di cittadini statunitensi, ottenuti con la complicità dell’azienda di telecomunicazioni Verizon e senza l’autorizzazione di alcun giudice. Esplode lo scandalo 9 GIUGNO - Edward Snowden esce allo scoperto e rivela di essere l’informatore del Guardian e del Washington Post 4 LUGLIO - In Egitto è golpe, il presidente Morsi viene destituito e la Costituzione sospesa. Il generale Abd al-Fattā al-Sīsī prende il potere 21 AGOSTO - A est di Damasco 1.300 civili muoiono nel sonno. Gli Stati Uniti non hanno dubbi: sono state utilizzate armi chimiche 23 SETTEMBRE - Angela Merkel diventa, per la terza volta consecutiva, cancelliera tedesca 16 NOVEMBRE - Il Pdl si divide in Forza Italia, guidata da Berlusconi, e Nuovo Centrodestra, capeggiato da Alfano 5 DICEMBRE - Muore a 95 anni Nelson Mandela 44


duemila14 12 FEBBRAIO - Il Senato degli Stati Uniti alza il tetto massimo del debito pubblico e scongiura il default del Paese 19 FEBBRAIO - Mark Zuckerberg raggiunge l’accordo per acquistare Whatsapp, l’applicazione di messaggistica istantanea per smartphone, a un prezzo di 19 miliardi di dollari 22 FEBBRAIO - Matteo Renzi diventa il più giovane presidente del consiglio d’Italia - Il presidente ucraino Victor Ianukovich scappa da Kiev e il suo regime filorusso crolla 16 MARZO - In Ucraina, il referendum per la secessione della Crimea vince con il 96% di voti favorevoli 30 MARZO - Disfatta di Hollande alle elezioni comunali francesi, trionfo del Front National di Marine Le Pen 13 APRILE - In Ucraina parte l’offensiva militare del governo di Kiev nelle province ribelli dell’Est

scozzesi chiamati a esprimersi decidono di restare nel Regno Unito 29 SETTEMBRE - Spagna, la Corte Costituzionale boccia il referendum indipendentista per la Catalogna 25 OTTOBRE - Al ballottaggio Dilma Rousseff viene rieletta presidente in Brasile 12 NOVEMBRE - Obama e Xi Jinping raggiungono uno storico accordo per la riduzione dei gas serra 13 NOVEMBRE - Il gigante dell’ecommerce Alibaba supera i 9 miliardi di dollari in vendite in un solo giorno. Un record. La compagnia cinese si quota in borsa e il successo è grande fin da subito. 16 NOVEMBRE - Il G20 di Brisbane chiede nuove politiche economiche in grado di stimolare la crescita economica 17 DICEMBRE - Storico disgelo tra Stati Uniti e Cuba con la mediazione di papa Francesco

14 APRILE - In Nigeria Boko Haram rapisce 223 liceali

18 DICEMBRE - Ultimo Consiglio Ue del semestre italiano, via libera al piano Juncker di investimenti

21 MAGGIO - Raggiunto un accordo da 456 miliardi tra Russia e Cina per la fornitura di gas a Pechino

19 DICEMBRE - Gli Stati Uniti accusano la Corea del Nord di un attacco informatico ai danni della Sony Pictures

25 MAGGIO - Elezioni europee, i popolari vincono di misura sui socialisti. Balzo degli euroscettici, il Front National di Marine Le Pen è primo partito in Francia 10 GIUGNO - L’Isis conquista Mosul, l’esercito iracheno è in rotta, il mondo sotto choc 29 GIUGNO - L’Isis proclama il Califfato, lo Stato islamico che comprende parte dell’Iraq e della Siria 8 AGOSTO - Ebola, l’Organizzazione mondiale della sanità dichiara l’emergenza mondiale 15 AGOSTO - Celebrazione per il centenario del canale di Panama che unisce l’Oceano Atlantico con l’Oceano Pacifico. In quel periodo il limite di grandezza delle navi fu superato grazie ai lavori di espansione ad opera di belgi, spagnoli, panamensi e italiani 18 SETTEMBRE - Dopo una forte mobilitazione, si arriva al referendum per l’indipendenza della Scozia ma i 4,3 milioni di elettori 45


duemila15 7 GENNAIO - Due uomini armati fanno irruzione nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo a Parigi e aprono il fuoco sui redattori. Uccidono dodici persone 25 GENNAIO - Il partito della sinistra radicale Syriza vince le elezioni in Grecia con la promessa di rinegoziare i termini del piano di salvataggio imposto dai creditori ad Atene 3 FEBBRAIO - Insediamento di Sergio Mattarella al Quirinale 9 MARZO - La Bce annuncia l’avvio di imponenti stimoli monetari chiamati Quantitative Easing, pari a 60 miliardi di euro di acquisti di bond governativi, covered bond titoli Abs. L’obiettivo è stimolare l’inflazione dell’Eurozona e contrastare la deflazione 1 MAGGIO - Inaugurazione a Milano di Expo. Il bilancio finale sarà di oltre 21,5 milioni di visitatori 21 MAGGIO - La città di Palmira viene conquistata dallo Stato Islamico 5 LUGLIO - Si svolge in Grecia il referendum popolare sulle misure di Austerity imposte dall’Unione Europea, che ha portato alla vittoria – con il 60% dei voti – i “no”. Una volontà popolare solo parzialmente rispettata 14 LUGLIO - L’Iran e il gruppo dei 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania) raggiungono un accordo storico sul programma nucleare di Teheran 20 LUGLIO - Gli Stati Uniti mettono fine all’embargo con Cuba dopo 54 anni di silenzi diplomatici 46

29 LUGLIO - Microsoft rilascia Windows 10 20 SETTEMBRE - Dopo le dimissioni di Alex Tsipras, il premier uscente guadagna di nuovo il potere grazie alle elezioni anticipate che lo vedono vincitore con il 35,5% dei consensi 21 SETTEMBRE - La Germania viene travolta dallo scandalo delle emissioni Volkswagen, la casa automobilistica colpevole di aver alterato i valori durante i test ufficiali con cui venivano rilevate le emissioni di CO2 13 NOVEMBRE - Quattro uomini armati entrano nella sala da concerto Bataclan, a Parigi, e aprono il fuoco contro la folla 12 DICEMBRE - L'accordo di Parigi, patto globale sui cambiamenti climatici che impegna tutti i paesi a ridurre le emissioni di gas serra, viene raggiunto alla COP21 a Parigi


duemila16 19 GENNAIO - Le Nazioni Unite trovano un accordo per un governo unitario in Libia tra il parlamento di Tobruk e quello di Tripoli. Alla guida del nuovo esecutivo viene posto Faye al Serraj

14-15 LUGLIO - Durante la festa della Repubblica, a Nizza un camion si schianta a velocità sulla folla lungo Promenade des Anglais causando 85 morti

27 GENNAIO - Tolte le sanzioni all’Iran. Per il presidente della Repubblica islamica d’Iran, Hassan Rohani, è un nuovo capitolo nelle relazioni tra l’Iran e il mondo

16 LUGLIO - Tentato golpe poi fallito scuote la Turchia, l’Europa e il Medio Oriente. Un’ondata di repressione per mano del Presidente Erdogan si abbatte sulla popolazione, militare, politica e civile

4 FEBBRAIO - Si trasforma in tragedia la scomparsa al Cairo del ricercatore friulano Giulio Regeni: in un fosso della periferia della capitale egiziana viene rinvenuto il suo corpo con segni di tortura

24 AGOSTO - Nuova scossa di terremoto, trema il Centro Italia

15 MARZO - Il presidente russo Vladimir Putin dice che la Russia ritirerà dalla Siria la “parte principale” delle sue forze militari presenti nel Paese 22 MARZO - Barack Obama proclama «l’inizio di un giorno nuovo» nelle relazioni tra Cuba e Stati Uniti. Passa alla storia una stretta di mano ripresa sulle testate di tutto il mondo 6 APRILE - Esplode lo scandalo dei «Panama Papers», il nome dato al fascicolo riservato digitalizzato composto da 11,5 milioni di documenti confidenziali creato dalla Mossack Fonseca, uno studio legale panamense, che fornisce informazioni dettagliate su oltre 214mila società offshore, includendo le identità degli azionisti e dei manager 12 APRILE - Gianroberto Casaleggio muore a 61 anni dopo aver perso la battaglia con la malattia contro la quale ha lottato a lungo. Il M5S resta senza uno dei suoi leader 14 MAGGIO - La IV Sezione della Cassazione conferma la condanna per omicidio colposo plurimo, incendio colposo e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro inflitta a sei dirigenti della ThyssenKrupp 19 GIUGNO - Nei ballottaggi delle elezioni amministrative italiane il Movimento Cinque Stelle vince a Roma e a Torino con le sue candidate Virginia Raggi e Chiara Appendino

4 SETTEMBRE - Cina e Stati Uniti annunciano la ratifica dell’accordo sul clima di Parigi, raggiunto nel dicembre 2015 durante la Conferenza mondiale sul clima, nota anche come Cop21 21 SETTEMBRE - Il Ministero dello Sviluppo Economico Carlo Calenda presenta il piano nazionale Industria 4.0 che prevede un insieme di misure organiche e complementari in grado di favorire gli investimenti per l’innovazione e la competitività 8 NOVEMBRE - Il candidato repubblicano Donald Trump vince la sfida per la presidenza degli Stati Uniti d’America battendo la candidata democratica Hillary Clinton 4 DICEMBRE - Il 60% degli italiani boccia le modifiche della Costituzione proposte dal Governo Renzi. Il presidente del Consiglio si dimette aprendo una crisi di Governo gestita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella con la nomina di un nuovo Governo guidato da Paolo Gentiloni 7 DICEMBRE - La cancelliera tedesca Angela Merkel fa sapere che si candiderà per un quarto mandato alle elezioni federali di settembre 2017 19 DICEMBRE - A Berlino il terrorista Anis Amri dirotta un camion polacco per farlo schiantare su un mercatino di Natale in centro uccidendo 12 persone, tra cui un’italiana

23 GIUGNO - L’Europa viene travolta come un ciclone dalla vittoria del sì al referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Il 52% dei britannici l’ha voluta 47


duemila17 17 GENNAIO - Viene eletto il nuovo presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani 18 GENNAIO - A Farindola, in Abruzzo, una slavina si abbatte sull’hotel Rigopiano Gran Sasso Resort, nell’Appennino centrale: 29 le vittime, 11 i superstiti 20 GENNAIO - Donald Trump si insedia alla Casa Bianca ma aleggiano ombre sulla sua elezione. Esplode il Russiagate, ovvero il sospetto sempre più tangibile che la Russia abbia influenzato l’esito elettorale, favorendo il tycoon e boicottando Hillary Clinton 3 APRILE - Mentre Putin è in città, nella metropolitana di San Pietroburgo esplode una bomba. Sono undici i morti e diverse decine i feriti 7 MAGGIO - Al secondo turno delle elezioni presidenziali in Francia, con il 66,06% viene eletto Emmanuel Macron, che batte Marine Le Pen 22 MAGGIO - Alla Manchester Arena, al termine del concerto della cantante statunitense Ariana Grande, Salman Ramadan Abedi, un ragazzo di 22 anni e terzo di quattro figli di una famiglia libica, si fa esplodere in mezzo alla folla 4 LUGLIO - La Corea del Nord sgancia un missile intercontinentale in un giorno simbolico 17 AGOSTO - Un furgone si lancia sulla folla delle Ramblas travolgendo decine di cittadini e turisti causando 13 morti e quasi cento feriti 1 OTTOBRE - In Catalogna si tiene un nuovo referendum sull’indipendenza. Promossa dalla Generalitat de Catalunya, la consultazione non viene riconosciuta dal Governo di Madrid ed è dichiarata illegale dal Tribunale costituzionale spagnolo perché contraria alla Costituzione 26 OTTOBRE - Svolta soft da parte della Bce che annuncia il taglio degli stimoli monetari a 30 miliardi al mese contro i 60 precedenti, fino almeno al settembre del 2018, di fatto estendendo il “Quantitative Easing” di altri 9 mesi 27 OTTOBRE - Il parlamento catalano approva una dichiarazione 48

di indipendenza non riconosciuta dalla Spagna che risponde con l’approvazione dell’art. 155 della Costituzione, commissariando di fatto la Regione 6 OTTOBRE - Hollywood viene travolta da uno degli scandali più imponenti del mondo del cinema. Harvey Weinstein, tra i più celebri e potenti produttori cinematografici, fondatore della Miramax, viene accusato tramite un’inchiesta del New York Times, di molestie sessuali 13 NOVEMBRE - L’Italia non va oltre lo 0-0 con la Svezia nel ritorno del playoff per la qualificazione alla World Cup di Russia 2018: addio Coppa del Mondo, la Nazionale resta a casa 6 DICEMBRE - Me too, anch’io. Due parole usate da migliaia di donne in tutto il mondo danno il via al movimento contro le molestie sessuali premiato dal Time come persona dell’anno 2017 6 DICEMBRE - Il presidente americano Donald Trump annuncia la decisione di riconoscere Gerusalemme capitale dello Stato di Israele


«A ogni filo d’erba è destinata almeno una goccia di rugiada» recita un proverbio cinese. In anni di racconti di piccole e medie imprese di una media provincia del Nord Ovest d'Italia, abbiamo scoperto che niente è più vero. Ogni singola azienda è stata toccata, sfiorata o colpita (con diversa intensità) dal decennio della crisi. E ogni singola reazione che ne è derivata, combinata alle altre, ha costituito lo scheletro del cambiamento di questo territorio e, a catena, dell'intero Paese. L'Italia è composta perlopiù da Pmi, così come la provincia di Varese, dove le microimprese con meno di dieci addetti sono 60.372, ovvero il 94,6% del totale delle aziende attive. Se vi aggiungiamo le imprese con 10-49 dipendenti (3.017), il valore sale e raggiunge quota 63.389, vale a dire il 99,3% del totale. Ecco perché sono anche queste piccole e medie imprese ad aver influito sulle scelte e sul dibattito governativo negli anni della massima esplosione recessiva. Ed ecco perché abbiamo raccolto dagli esperti alcune chiavi di lettura utili a comprendere la genesi dei cambiamenti che ne sono derivati.

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Il made in Italy  Quando si parla di esportazioni, in qualunque Stato del mondo, ci sono dinamiche economiche e commerciali consolidate. Quando si parla dell’esportazione di prodotti tipici queste dinamiche si fanno più specifiche e complesse, ma quando si parla di Made in Italy il discorso diventa ricco di sfaccettature diverse. Dalla moda, alle calzature, all’arredamento ma anche nella meccanica, nell’automotive e nei brevetti la creatività e la capacità manifatturiera italiana ha raggiunto un nome che in ogni angolo del mondo è sinonimo, innanzitutto, di stile, raffinatezza e altissima qualità. Questo non solo per le caratteristiche intrinseche dei prodotti del Made in Italy, ma anche perché si tratta di una filiera che si porta dietro una storia fortissima e una tradizione radicata. Per questo chi lavora in questa filiera sa bene che il proprio prodotto non aspira alle normali dinamiche di regolazione del mercato commerciale ma ha bisogno di una forte azione di tutela innanzitutto di quelle che sono le sue peculiarità. Il suo successo lo si vede nei numeri: il bilancio dello scorso anno ha visto una crescita dell’export del +7,4% (...). Ma bastano questi dati per dormire sonni tranquilli? 50

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Quali sono le prospettive di chi produce “italiano” di fronte ad un mondo che cambia? Di fronte a cambiamenti che riguardano le tecnologie, i consumi ma anche un quadro politico internazionale carico di tensioni ed evoluzioni all’orizzonte. Su questi temi le imprese non possono essere lasciate sole perché se è vero che ci sono delle sfide produttive che le competono, l’innovazione, l’organizzazione e la capacità di creare valore, è vero anche che ci sono contesti più ampi che richiedono l’attenzione e l’impegno delle politiche pubbliche nazionali e internazionali. La struttura tipica del nostro tessuto produttivo, che trova la sua colonna portante nella piccola e media impresa, spesso limita la capacità delle singole aziende di ottenere al proprio interno tutte quelle competenze che le consentono di affrontare con successo il mercato internazionale. Per questo sono importanti le relazioni fra Stati, gli strumenti di accompagnamento e soprattutto le dinamiche politiche che fissano le regole comuni tra gli operatori internazionali.


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Anche la Cina cambia: «Meno quantità e più qualità». Sempre più opportunità per le nostre imprese. Ma per cogliere bisogna attrezzarsi. È la sintesi di quanto emerge dal nono Rapporto annuale “Cina. Scenari e prospettive per le imprese” - ricerche, analisi di rischio e previsioni nel breve-medio periodo sulla Cina - elaborato dal Cesif, il Centro studi per l’impresa della Fondazione Italia Cina. Un rapporto che disegna una Cina diversa da quella che siamo abituati a considerare, una Cina in transizione che, se da un lato mira al primato globale, dall’altro può essere un mercato di sbocco sempre più appetibile per la qualità del Made in Italy. Il “New normal” lanciato dal Presidente Xi Jinping vede come «parola chiave meno quantità e più qualità», spiega Filippo Fasulo, coordinatore scientifico del Cesif e research fellow dell’Ispi, esponendo un concetto «cruciale nel nostro rapporto con la Cina».

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L’indirizzo è «meno crescita e meno sovracapacità. Oggi la crescita è al 6,5%, obiettivo che consentirà a Pechino di raddoppiare il reddito pro-capite entro il 2020. Ci saranno più consumi e meno investimenti nel contributo alla crescita del Pil». Se oggi in Cina «il rapporto Pil/consumi è molto inferiore alla media di altri Paesi, con ampi margini di miglioramento», e se ogni anno «15-16 milioni di cinesi si spostano dalle campagne nelle città, dove consumano di più», è evidente come si aprano spazi per il Made in Italy. Lo conferma Fasulo, parlando di «grandi opportunità di crescita per il tipo di prodotti che noi vendiamo e che i cinesi ricercano, legati alla qualità». Detto così, sembra un rigore a porta vuota, ma gli imprenditori che ci hanno provato sanno che consolidarsi sul mercato del Paese del Dragone è tutto fuorché semplice. Lo è a maggior ragione nella “nuova Cina”: «Occorre sintonizzarsi con il fuso orario di Pechino, proiettato sul lungo periodo, altrimenti le eccellenze italiane potranno essere messe in discussione. Se vogliamo essere mercato di riferimento e insegnare qualità di vita alla Cina non possiamo sederci sugli allori» il monito del coordinatore scientifico del Cesif. «Per la nuova Cina dobbiamo essere più moderni, più efficienti e più organizzati - sintetizza Ettore Sequi, ambasciatore d’Italia a Pechino

La Cina? Da nemico a mercato - per l’Italia non ci sono solo opportunità di tipo retail, ma la ricerca di qualità del consumatore cinese equivale all’Italia. Occorre fare informazione e comunicazione, perché in Cina non c’è una chiara percezione che l’Italia è sinonimo di innovazione, mentre le città in movimento ci aprono opportunità per la formazione di aree pilota italiane nei poli di imminente costruzione, come Chengdu. Servono visite politiche continue, e dobbiamo organizzarci per capire insieme come affrontare la Cina». Una sfida, perché non si può non tener conto della sfida che la Cina ha lanciato al resto del pianeta: «Si è passati dalla crescita rapida a una crescita di qualità, dove la parola chiave è il controllo di questi processi. Perché il “sogno cinese” ha una prospettiva che guarda al 2049». Gli step dichiarati sono tre: raddoppio del reddito pro-capite entro il 2020, indipendenza tecnologica entro il 2030, primato nel 2049. «Con un concetto di globalizzazione 2.0, in termini cinesi, che segna un cambiamento d’epoca - aggiunge Sequi – la nuova Via della Seta guarda a scenari geopolitici che prima non erano di interesse per la Cina» (...). 51


La “rete del sapere” 

di Gabriele Nicolussi

scendo la mobilità e a farne le spese sono soprattutto i giovani e i precari». Perché pagare la formazione a un collaboratore con partita iva o a un dipendente “a scadenza”, che magari domani se ne andrà da un competitor? Mancanza di liquidi a parte, «se l’imprenditore non è laureato, tutte le ricerche ci dicono che farà a volte più fatica ad assorbire le nuove conoscenze». Ma non bisogna disperare. «Le piccole imprese hanno grandi chance da giocarsi, perché hanno due caratteristiche fondamentali: adattabilità e snellezza. Devono diventare delle spugne per assorbire le novità dall’esterno e per farlo devono assumere laureati, che sono più predisposti a quest’opera di assorbimento».

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Un miliardo di persone nei prossimi anni perderà il lavoro a causa delle nuove tecnologie. E molti bambini, da adulti, faranno lavori che ancora non esistono. Una rivoluzione tecnologica di questa portata, forse, non si era mai vista. La ricetta per non soccombere? Formazione, formazione, formazione. La formazione continua (in inglese lifelong learning) è un fattore spinoso per le imprese italiane, soprattutto per quelle più piccole. Secondo Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, nel 2015 ha fatto formazione il 53% delle imprese con più di dieci dipendenti, percentuale che cala drasticamente (7,9%) quando ci si focalizza sulle micro imprese (meno di dieci dipendenti). I dati sono diretta-

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mente proporzionali alla grandezza delle aziende. Così fa formazione il 65% delle imprese tra 20-49 dipendenti, l’82% di quelle tra 50-249 dipendenti, fino ad arrivare al 98% per i colossi con più di mille lavoratori. Da cosa dipende questa forbice? «Il primo problema – spiega Giuseppe Croce, docente di Economia Politica alla Sapienza di Roma - è la liquidità». Tradotto: se sei piccolo hai meno liquidità e quando vai in banca non ottieni finanziamenti per la formazione. «Ci si scontra poi con un ostacolo di concetto: pagare un corso non è come comprare un prodotto che conosco. La sua qualità e la sua efficacia sono imprevedibili, all’inizio non si conoscono. L’imprenditore pensa spesso che la fregatura sia dietro l’angolo». Secondo Croce c’è inoltre un problema che riguarda il mercato del lavoro, che è «reso fluido dal progresso tecnologico. Il modello del lavoratore dipendente con lo stesso datore si sta limitando. Sta cre52

Ci sono poi i fondi interprofessionali. «Se tutti li finanziano, ma vengono sfruttati solo dalle grandi, finisce che le piccole pagano la formazione alle grandi». Il che è assurdo, soprattutto pensando che sono proprio le Pmi ad aver maggior bisogno di aiuto. È quindi fondamentale sensibilizzare e informare le aziende, per spingere e invogliare gli imprenditori a sfruttare qualcosa che di fatto stanno già pagando e di cui possono usufruire appieno. Secondo Croce bisogna infine cambiare le regole del gioco. Se la formazione è importante per le imprese e, soprattutto, per i loro dipendenti, è bene pensare a misure diverse. Come la dote sul finanziamento della formazione, che il lavoratore può portare in un’altra azienda; il potenziamento dei voucher formativi; un’alternanza scuola-lavoro al contrario, in cui siano i lavoratori a tornare a scuola. Insomma, legare la formazione non tanto all’impresa, quanto al dipendente, in modo che diventi più competente e competitivo sul mercato del lavoro.


Nel luglio del 2006, quando era direttore de Il Sole 24 Ore, Ferruccio de Bortoli pubblicò un “Manifesto in favore della piccola impresa” in cui rimarcava il valore della cultura d’impresa e la necessità di sostenerla politicamente a cominciare «dalle piccole unità che sono il 90 per cento del totale». Perché quel manifesto? In quel momento - eravamo lontani dalla crisi del 2008 - c’era grande attenzione alla necessità che il tessuto economico delle imprese potesse rinnovarsi e dare maggior consistenza alla ripresa. Tema ancora attuale? È vero che abbiamo troppe piccole imprese, anzi troppe microimprese, individuali e familiari, e questo rappresenta da un lato un elemento di forza e dall’altro di debolezza del nostro sistema produttivo. Perché abbiamo bisogno di far sì che le piccole imprese possano crescere, quindi superare le loro difficoltà, dato che sempre più la competizione è fatta a livello globale, dove contano dimensione, efficienza, capacità di investire nella ricerca e gli elementi legati al rafforzamento del capitale. Quindi in questo manifesto c’era la constatazione che dal punto di vista strutturale dobbiamo fare in modo che le piccole imprese crescano. (...) Piccolo è bello se si cresce, piccolo non è bello se si è condannati al nanismo. Ma c’è un altro elemento di quel manifesto che ritengo di straordinaria attualità. La funzione sociale della piccola impresa? Al di là del suo straordinario ruolo economico, ne esercita, a maggior ragione oggi, uno sociale di integrazione, da non sottovalutare. Era l’epoca in cui cominciavamo ad affrontare il tema dell’immigrazione e della necessità di costruire una società multietnica ordinata per favorire l’integrazione. Constatavo all’epoca che le piccole imprese

Protagonisti nelle nicchie, ma solo se piccoli? 

sono le cellule di socialità nelle quali questi immigrati cominciano ad avere non soltanto un lavoro, ma un contatto con il Paese, con le sue istituzioni, con le sue regole, con i suoi valori. Forse questa è una delle ragioni per la quale avendo tante piccole imprese noi abbiamo dei livelli di integrazione nei comprensori e nelle comunità molto più elevati rispetto ad altri Paesi. Un immigrato che trova lavoro in una piccola impresa comincia a diventare cittadino del nostro Paese (...). Che tipo di sostegno serve alla piccola impresa? Sotto il profilo dell’accesso al credito, della possibilità di fare rete, di inserirsi in filiere produttive. Abbiamo un elemento di flessibilità economica che dobbiamo sorreggere e garantire, ma nello stesso tempo abbiamo uno strumento di socialità da implementare. (...) Nel 2006 scrisse che la piccola impresa è «forte a Pordenone o a Varese, debole in qualsiasi commissione parlamentare o tavolo concertativo romano». È ancora così? Vedo grande confusione sotto il cielo della politica. Ci si attesta su grandi programmi irrealizzabili mentre si trascura l’idea che si possa dare spazio, non soltanto fiscale, alle piccole imprese affinché siano in condizione di operare al meglio. Hanno bisogno di certezze, credo anche di essere protette sotto il profilo della sicurezza, specialmente nella fase concorsuale e dei fallimenti, ma anche da infiltrazioni della malavita e dalla 01 TERRE bramosia della voglia di guadagnare di proD’IMPRESA fessionisti senza scrupoli, riscoprendo il ruolo delle associazioni e dei corpi intermedi come propugnatori di idee che possono favorire la crescita delle piccole imprese (...). Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/VA

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M A G A Z I N E D I I N F O R M A Z I O N E D I C O N FA R T I G I A N AT O I M P R E S E VA R E S E

Attrattività, competitività, rilancio di aree dismesse e zone industriali

IL FUTURO È UNA SFIDA DI TERRITORI L’intervista al presidente di Regione Lombardia

RETE E RETI IMPARIAMO A SFRUTTARLE

L’analisi del presidente Istat Giorgio Alleva

LE NOSTRE INCHIESTE

Sacconago, archeologia industriale, e città del futuro

FOCUS GIUSTIZIA

Accelerare si deve I numeri dell’eterna attesa

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Non tutti i dilemmi sono sfacciatamente amletici. Quello che pone Roberto Filipelli, Cloud &Enterprise partner development director di Microsoft, è più intrigante e di facile risposta per una piccola impresa, quindi con minore disponibilità economiche ma non per questo minori opportunità. «Abbiamo un euro – è la domanda - lo spendiamo per fare lo stesso prodotto a un costo più basso o lo investiamo per un prodotto più innovativo?».

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Insomma, prima c’è l’idea, poi il capitale. Le Pmi stanno investendo sempre di più e lo certificano i dati Istat (...). Le dimensioni non scoraggiano, anzi. La spesa per innovazione per addetto di una piccola impresa supera del 15,6% quella delle grandi. Soprattutto per macchinari, attrezzature, software e fabbricati finalizzati all’innovazione. Filipelli induce però a fare attenzione. E cita due recenti articoli del “Corriere Innovazione” che fanno esplodere la contraddizione. Nel primo, emerge la preoccupazione che – dopo l’acquisto delle macchine con Industria 4.0 – si compia un passo indietro, anche per la mancanza di tecnici. Il secondo dà invece una medaglia inattesa all’Italia. Di qui la sintesi di Filipelli: «Da un lato siamo manifattura 3.5, dall’altro ci stupiamo di essere in quinta posizione tra i Paesi Ocse. Quello che appare chiaro è che due anni di investimenti in manifattura 4.0 non sono di fatto correlati ai veri risultati di innovazione che otteniamo in Italia». Oggi le piccole attività stanno spendendo molto – prosegue - «e vedo cose molto interessanti e tentativi low

cost, come se non avessero mai perso la capacità di fare le startup». (...) Qualche consiglio, dunque: l’analisi del core business è fondamentale, prima di investire sull’innovazione, come in ogni altra decisione cruciale dell’azienda. Ma non basta. Altro requisito speciale? «L’umiltà – assicura Filipelli – A partire da quella di capire che qualcuno anche da fuori può avere un quid in più, quello che ti permette di fare l’investimento giusto». Occhio dunque a un atteggiamento diffuso: faccio tutto io, so già io. Conseguenza naturale, l’ecosistema di cui già parlava: «Bisogna crearne per poter evolvere insieme». Piccoli? Nessun problema. Ma isolati, no. E per questa partita non c’entra l’età, ma l’atteggiamento: «Tantissime persone sanno identificare l’attaccante e il difensore in campo. Quante che hanno fatto impresa per molti anni, avrebbero fiuto per capire buone idee e creare associazioni». Altra avvertenza: non cercare alibi, neanche nella disponibilità economica appunto. «C’è un software che gira il video di una stanza, la mappa nel Cad e io posso trasformare in pezzetti di Lego il mobilio del locale, compresi i colori – racconta – Immaginate che cosa può fare un mobiliere di Lissone con gli occhiali della realtà virtuale. Costo? Duecento euro. Non serve andare nelle banche a prendere cinque milioni… Le idee ci vengono regolarmente, come italiani. Non blocchiamole» (...).


Andiamo alla scoperta di ciò che ha rappresentato il 2018, consapevoli del fatto che è stato l’anno in cui si è passati dallo studio degli strumenti del cambiamento alla loro applicazione in azienda. E consci dell’importanza dei quattro pilastri su cui abbiamo fatto poggiare i capitoli che seguono: estero (export), digitalizzazione (I4.0), staffette generazionali e welfare aziendale. Due di questi pilastri, in particolare, hanno «invaso il campo»: da un lato ci riferiamo alla digitalizzazione (che gli imprenditori hanno saputo personalizzare) e dall’altro al welfare (che nelle aziende sta entrando come leva motivazionale e culturale e come elemento facilitatore della qualità della vita dei collaboratori). Il 2018 ha segnando un’epoca fatta di capovolgimenti repentini (tanto nella politica quanto nell’economia) con i quali hanno dovuto fare i conti le imprese adeguandosi ancor più che in passato. E noi li abbiamo raccontati

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incertezza 7 APRILE - L’ex presidente brasiliano Lula, condannato a 12 anni di carcere per corruzione, si consegna spontaneamente alla polizia dopo che i suoi sostenitori glielo avevano impedito

incertezza

14 APRILE - In Siria un attacco aereo da parte di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti colpisce i siti legati alla produzioni o allo stoccaggio di armi chimiche del dittatore Bashar al-Assad 27 APRILE - Il presidente nordcoreano Kim Jong-un incontra il presidente sudcoreano Moon Jae-in, divenendo il primo capo di stato nordcoreano a mettere piede in Corea del Sud dopo oltre 65 anni 14 MAGGIO - Viene inaugurata l’ambasciata statunitense a Gerusalemme; degli scontri a Gaza organizzati in segno di protesta, provocano la morte di 55 palestinesi

20 GENNAIO - Inizia negli Stati Uniti lo shutdown che si protrarrà fino al 23 gennaio 9 FEBBRAIO - Iniziano i XXIII Giochi olimpici invernali a Pyeongchang, Corea del Sud 4 MARZO - In Italia si vota per eleggere 630 deputati e 315 senatori della XVIII legislatura 19 MARZO - Esplode il caso Cambridge Analytica. La società è accusata di aver utilizzato illegalmente i dati di milioni di utenti Facebook per arricchire il proprio database, che è considerato parte dell’offerta che viene rivolta dalla società stessa a partiti politici e grandi società con il fine di targettizzare le campagne e migliorare i risultati di conversione. La società avrebbe contribuito alla vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi del 2016

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adeguiamoci


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nuove sfide

12 GIUGNO - Storico incontro tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un a Singapore per lavorare alla denuclearizzazione della Corea del Nord 21 LUGLIO - Sergio Marchionne viene sostituito alla guida del gruppo Fiat Chrysler Automobiles dal britannico Michael Manley 25 LUGLIO - Muore a Zurigo Sergio Marchionne 14 AGOSTO - Genova, crolla il ponte sull’autostrada A10

31 MAGGIO - Giuseppe Conte ottiene l’incarico di formare un nuovo governo della Repubblica italiana da Sergio Mattarella e propone la lista dei ministri il giorno stesso al Presidente della Repubblica 5 GIUGNO - Viene votata la fiducia del Governo Conte al Senato della Repubblica 10 GIUGNO - Elezioni comunali per rinnovare il consiglio comunale e eleggere il nuovo sindaco in più di 700 comuni

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incertezza

6 DICEMBRE - Arrestata dagli Usa la figlia del colosso cinese Tlc Huawei: alta tensione con la Cina. Crollano le Borse 7 DICEMBRE - La squadra del procuratore speciale Robert Mueller, che sta indagando sui presunti rapporti tra il comitato elettorale del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la Russia, formalizza nuove accuse 11 DICEMBRE - Sparatoria nella serata nei pressi di un mercatino di Natale a Strasburgo: 3 persone morte e 13 feriti, alcuni anche molto gravi.

bilanci

12 DICEMBRE - Il premier Giuseppe Conte incontra il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e altri membri della Commissione per illustrare i nuovi contorni della Legge di Bilancio italiana. L'approvazione della legge arriva a fine anno.

17 OTTOBRE - Il governo Conte invia alla Commissione europea il Documento programmatico di bilancio 6 NOVEMBRE - Si svolgono negli Usa le elezioni parlamentari che, insieme alle governatoriali, costituiscono le Midterm Elections a metà del mandato del Presidente Donald Trump 15 NOVEMBRE - Brexit, il governo britannico dice sì alla bozza d’accordo definita a Bruxelles. «E’ il meglio che si potesse avere in questo negoziato» dice la premier britannica Theresa May 17 NOVEMBRE - Quasi 300.000 persone si mobilitano in vari punti della Francia organizzando più di 2.000 blocchi stradali in tutto il Paese per lo più su strade e autostrade. A innescare la rabbia è la protesta contro il caro carburante che dovrebbe entrare in vigore dal primo gennaio 2019 per volere dell’Eliseo. Inizia la protesta dei gilet gialli 21 NOVEMBRE - La Commissione Europea boccia la legge di bilancio italiana 58

tensioni


i pilastri del 2018

Export | Digitale | Staffette | Welfare

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L’export

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Non toccarsi il naso quando si parla con un cinese, non mettersi in tasca il biglietto da visita consegnato da un giapponese, di fronte a un canadese contare partendo dal mignolo della mano per poi andare verso il pollice, con i tedeschi metterci «la faccia» e le foto di quello che si fa. Con i russi puntare sul Made in Italy, «perché tutto quello che c’è al di qua e al di là di San Pietroburgo ha i colori, i sapori e la qualità tutta italiana: guarda un po’ cosa può fare il marketing», dice Renato da Arcisate. L’imprenditore-inventore che produce macchine per misurare di tutto: dall’elasticità delle fasce Gibaud alla flessibilità degli sci, dalla sofficità della gomma alle molle degli orologi. E che il mondo lo conosce bene, a tal punto da aver selezionato da anni i Paesi con i quali «collaborare senza scocciature. Perché se l’India è superburocratizzata (ci vuole un timbro per tutto) e con l’Arabia Saudita non si “lega”, Taiwan è un buon mercato. Ma poi ci sono anche la Thailandia, il Pakistan e l’Iran. Quest’anno però il mercato porta bandiera russa». Dall’altra parte di quella che era la “cortina di ferro”, ci sono gli Stati Uniti d’America: «Trump e i dazi? E’ difficile che il presidente americano cambi il mondo – ci fanno sapere Walter, Edgardo e Manuele da Cavaria con Premezzo in un’azienda affollata di tamponi in silicone e macchine di precisione pronte per volare nel mondo – Difendere le peculiarità delle proprie imprese è una cosa, ma mettere in difficoltà le altre è diverso. Non scherziamo: le tecnologie italiane, il nostro know how, la progettualità che mettiamo nelle nostre macchine sono insostituibili». Il 2018, per molti, è stato l’anno delle decisioni importanti. L’export, per l’appunto: per i “timidi” che in vita loro non sono andati oltre la Svizzera e per i “temerari” del jet lag che, invece, sono diventati ancora più coraggiosi. E per loro l’Europa non potrà mai bastare. L’export, nella testa dei piccoli imprenditori, è uno spazio senza confini e una mappa del business mondiale.

E all’estero ci si è andati, in questo 2018, con una maggiore consapevolezza. Non più per “tentare” una nuova via ma per arrivare a collaborare con la certezza di moltiplicare i contratti firmati. Così all’estero si va per tanti motivi diversi: perché il mercato casalingo è quasi del tutto chiuso (l’export non deve essere una risposta alle difficoltà ma uno strumento aggiuntivo della strategia aziendale), perché conoscere altre realtà è una ricchezza a doppio senso (per migliorare i propri prodotti, soddisfare un numero crescente di aficionados e trovarne di nuovi), perché confrontarsi con realtà imprenditoriali, a volte multinazionali, aiuta le aziende ad acquisire una maggiore consapevolezza anche nelle nuove tecnologie e perché altrove si paga in fretta e bene. Se in Italia, infatti, i pagamenti tra le imprese non scendono al di sotto dei 90 o 120 giorni, a dispetto di una normativa europea (la 2011/7/UE) recepita dal nostro Paese che li ha fissati entro i 60 giorni, tedeschi e svizzeri pagano tra i 15 (a volte con lo sconto del 3%) e i 30. Però c’è anche chi ha fatto squadra con i competitor del territorio per ottimizzare le conoscenze e scalzare la concorrenza. E’ il caso di Andrea e Antonella da Vigevano, titolari di una storica azienda specializzata in fustellatrici: «Eravamo in due a fare gli stessi prodotti, così abbiamo deciso di comune accordo di diversificare: ora, in tutto il mondo ci contiamo in non più di dieci. D’altronde, per superare le difficoltà un’impresa deve evolversi superando le barriere e occupando quelle nicchie di mercato lasciate scoperte dalle grosse industrie con produzioni standardizzate». L’obiettivo, per un numero sempre maggiore di imprese che esportano direttamente (impossibile contare chi lo fa indirettamente, perché lavora con brand a livello globale), è proprio quello di invertire la relazione tra fatturato interno e fatturato estero: abbassare la percentuale del primo in favore del secondo.

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Per farlo bisogna scommettere su una formula per niente scontata: innovazione ed eccellenza italiana; il prodotto come qualcosa di unico che altri non sanno fare. Se prima del 2010 il 90% del fatturato dell’azienda di fustellatrici interessava il mercato italiano, otto anni dopo si è passati dal 40% prodotto nel nostro Paese al 60% di vendite in tutta Europa ma anche in America, Medio ed Estremo Oriente. A tal punto da dover fondare un’azienda dedicata esclusivamente a questo. Facile? Tutt’altro. Al ricordo delle sue prime esperienze, Fabio da Cassano Magnago un po’ si commuove e un po’ si incendia: «Tra il dire e il fare, di mezzo ci stanno tanti preventivi. E non tutti andati a buon fine anzi, la maggior parte sono rimasti lì dove sono arrivati: negli uffici commerciali in Germania e Svizzera. Ma non abbiamo mai mollato». Perché quella che si definisce con il termine «internazionalizzazione» è la leva che può sollevare il fatturato di chiunque. Certo bisogna investire: il nervo scoperto della Pmi è questo. Investire significa buttare sul piatto, senza un immediato ritorno, tempo, denaro e risorse umane. Perché l’export fa rima con missioni e fiere, ma non solo: «Fiere e missioni – sottolinea Fabio - sono fondamentali ma non bastano, soprattutto per un’azienda come la nostra che lavora nel settore della meccanica dal 1954, contoterzista, senza un prodotto suo e con lavorazioni trasversali su tutti i settori. Allora bisogna formarsi e studiare per capire cosa fare». Sapendo però che non esiste una soluzione collettiva, ma solo interventi “su misura”; non c’è solo l’aereo ma ci sono anche la comunicazione e il marketing online.

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C’è una parola, nell’export, che cambia le carte in tavola: selezione. Anche all’interno di un mercato che sembra possa essere più attrattivo e idoneo a un particolare prodotto, ci possono essere aree da evitare perché disinteressate a quel prodotto o perché considerate “sacche” sulle quali è inutile investire. Scelte che l’imprenditore deve perseguire con la cura di un big data scientist. Perché tutto deve par-

tire dall’analisi dei mercati: l’Europa va bene per alcuni e per altri no; il Canada può essere una valida soluzione, ma non a macchia d’olio. Allora l’analisi di mercato viene prima dello spostamento fisico, perché tutti gli imprenditori sanno che lavorare con l’estero «significa allinearsi agli standard di quel Paese e diversificare i materiali, i prodotti e i servizi». Un consiglio? Eccolo: la certificazione di qualità è ormai richiesta ovunque e non se ne può più fare a meno. Su tutto ciò che è contenuto in Impresa 4.0, come strumento di penetrazione dei mercati, si sta ancora discutendo. Strumento forse ancora troppo giovane per farne un pilastro dell’internazionalizzazione, la digitalizzazione non è ancora richiesta da clienti e fornitori come plusvalore all’interno della produzione «ma probabilmente, seppur non nel breve periodo, si arriverà anche a questo», ricordano alcuni imprenditori. Per il resto, a proposito di consigli, bisogna lavorare con criterio secondo la regola d’arte ed essere sempre chiari, trasparenti e seri. Sempre a Cavaria, in un’azienda attiva nei trasferibili per tessuti, Alessandro non ha dubbi a riguardo: «Quando un prodotto lo fanno tutti, bisogna cambiarlo». Grazie a questo e a una scommessa, vinta, sulle nuove competenze in azienda, la quota di export è cresciuta negli anni dal 35 al 75%, arrivando a soddisfare le richieste di oltre ottanta Paesi. Quello che può fare la produzione di nicchia non è un mistero, ma tanto si può ancora fare. Dimenticare la conoscenza diretta dei Paesi, però, è un errore. Un imprenditore storico, specializzato nel settore degli stampi per calzature, conferma questa convinzione durante una sua trasferta in Canada: «Conoscere sul posto la cultura di Paesi diversi ti aiuta nei rapporti di affari. Per esempio, in Canada tutti parlano l’inglese e gli stranieri pensano che subito dopo arrivi il francese. Invece in seconda e terza posizione ci sono le lingue asiatiche; in quarta e quinta troviamo l’italiano e poi lo spagnolo. Poi, farsi conoscere di persona è indispensabile». Quello che sembra una nota di colore, per l’imprenditore non lo è.


Da qui l’importanza delle fiere, che Gianfranco sostiene a spada tratta: «Devi distinguere quelle di stampo generalista (una missione conoscitiva più sulle opportunità del Paese che sui possibili clienti) da quelle fatte apposta per il tuo settore (votate al business). Però è bene poter partecipare a entrambe le tipologie, anche se non si hanno riscontri commerciali immediati. Alle fiere si va per seminare, conoscere cose nuove e per capire come si stanno muovendo i mercati. Soprattutto quelli dove non ci sei ancora. Poi se c’è la garanzia di un’associazione di categoria, ancora meglio». Se ci si attrezza con un nuovo sito, una comunicazione più efficace e strutturata, e la conoscenza dei social, ancora meglio. Ritorniamo sul concetto, perché ci sono mercati che hanno piattaforme proprie, che vanno conosciute e valutate, sulle quali è importante essere presenti. Lo ricorda Antonino Laspina, in Ice Agenzia dal 1981 e oggi direttore coordinamento Marketing per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane: «Non possiamo trascurare nessun aspetto legato anche alla comunicazione del nostro prodotto, che dovrà distinguersi e dovrà saper raccontare quel qualcosa in più che possiede ciò che noi produciamo». «Chi compera un prodotto italiano spesso è mosso dalla componente emotiva, che deve scaturire da come noi siamo in grado di raccontare ciò che facciamo. Questa è la vera forza del sistema Italia sui mercati esteri e questo fa la differenza anche per le nostre piccole e piccolissime imprese». D’accordo, ma il 2018 ha portato a compimento anche un altro percorso iniziato anni fa. Per alcuni imprenditori la Cina è ancora fonte di preoccupazione, ma per altri non è mai esistita o non esiste più. Anzi: di fronte alla super specializzazione italiana, i cinesi non possono competere: «Loro puntano su macchine basic e a basso costo

– ci dicono dal Centro Artigianale di Cavaria – e se le producono da soli. Aver scelto una produzione di nicchia ci ha posto al riparo dalle tensioni della concorrenza cinese. E così è stato anche per la Corea, dove i mercati sono enormi e diverse sono le esigenze: le loro macchine tampografiche sono a 1 o 2 colori - ricordano dall’impresa di tamponi - e non prevedono automazione. Noi arriviamo a 5 colori e più e l’ingegnerizzazione che le muove è raffinata. Inoltre, i nostri tecnici assistono i clienti in tutto il mondo». Export a tutti i costi. Anche se le infrastrutture e i collegamenti stradali non lo permettono. Le valli del Luinese, in provincia di Varese, ne sono una riprova. Qui alcune fra le imprese presenti sono il fiore all’occhiello della tradizione manifatturiera del territorio. E a Cassano Valcuvia c’è Giovanni, che lavora con 57 Paesi in tutto il mondo esportando macchine tessile d’avanguardia dalla Germania all’Australia, dall’Arabia Saudita all’Argentina, passando per India, Pakistan, Stati Uniti e Cina. Le arterie di collegamento sono un vero disastro, gli autoarticolati si incastrano sui tornanti, i giorni passano. Eppure non c’è ostacolo che tenga: se il Made in Italy è una garanzia nel mondo, una ragione ci sarà.

SI RINGRAZIANO: » EasyDur Italiana » Comec Italia Srl » Chiesa Artorige » Codato Srl » E.T.S. » Bazzigaluppi Mario » Ratti Luino Srl 63


Gli interventi del sistema Confartigianato

L’EXPORT: I NOSTRI CAMBIAMENTI Prove tecniche di resilienza riuscite nell’anno del cambiamento, coltivate insieme alle aziende rafforzando il profilo degli operatori e, al contempo, la qualità tecnica degli incontri, sia nell’ambito degli adempimenti obbligatori che in quello delle proposte di sviluppo. In tal senso figurano rilevanti le azioni condotte da Confartigianato Imprese Varese e dalla società di servizio Artser a sostegno dei percorsi di internazionalizzazione, sia in ambito formativo (anche con videoguide e approfondimenti dedicati ai mercati top player per la provincia di Varese) che operativo in senso stretto, attraverso la partecipazione a specifiche fiere di settore. A cominciare da Intergastra, l’appuntamento biennale che dal 3 al 7 febbraio ha riunito a Stoccarda tutti coloro che nel mondo operano nei settori cibo/cucina, arredamento/ambiente, bevande, hotelleria e gelateria. E per gli imprenditori di Confartigianato Imprese Varese, che alla fiera ci sono andati grazie all’accordo di collaborazione con la Camera di Commercio Italo-Tedesca di Monaco e Stoccarda, la missione ha colpito nel segno, con un bilancio più che positivo. Bilancio positivo anche quello della missione al “Think Canada Global Business Summit” in programma dal 20 al 22 marzo 2018 a Toronto per permettere alle Pmi della provincia di Varese e della Lomellina di individuare le opportunità di business più adatte alle specifiche esigenze. Nel mese di giugno, sempre nell’ottica di garantire nuove opportunità di affari ma anche di osservare i trend del mercato, la trasferta a 64

Stoccarda per CastForge ha offerto chance alle aziende specializzate in fusione e forgiatura di pezzi e loro lavorazione (5-7 giugno). Si è poi rinnovato a luglio l’appuntamento con il Canada grazie alla Web Conference “Perché Toronto, perché Ontario?” promossa in collaborazione con la Camera di Commercio Italiana dell’Ontario e il G.IT. (Gruppo Italia). Settembre è stato invece il mese di Abb, punto di incontro a Stoccarda per gli esperti della lavorazione dei metalli ad asportazione di truciolo mentre l’anno si è concluso con una missione istituzionale ad Astrakhan. Una trasferta condotta dal presidente di Confartigianato Varese Davide Galli insieme al responsabile di Faberlab Davide Baldi e a Matteo Campari (servizio Estero) con l’obiettivo di rafforzare i rapporti instaurati con la Astrakhan State University of architecture and civile engineering (nel 2017 tre studenti della medesima università avevano effettuato un percorso di alta formazione al Faberlab) e intrecciare nuove occasioni di business con una regione ad altissima vocazione economica soprattutto nei settori dell’oil&gas, della chimica, dell’agricoltura, delle lavorazioni alimentari, dei macchinari, della produzione di materiali da costruzione dei trasporti e della logistica. Strategico in questo quadro l’incontro con Andrei Victorovich Sashin, ministro dello Sviluppo Economico della Regione. Importante, nel mese di maggio, anche l’Incoming Moda che ha riunito per quattro giorni a MalpensaFiere trentuno imprese provenienti da tutta Italia (undici dalla provincia di Varese) e quattordici buyer esteri per un appuntamento destinato a rilanciare il tessile e la moda Made in Italy in un contesto di export qualificato e certificato.


Il digitale L’hanno definita la «quarta rivoluzione industriale», e ad oggi ha coinvolto il 20% delle imprese dai 10 addetti in su e quasi il 50% delle grosse industrie. Le prime, che ai contenuti di “Impresa 4.0” guardano con un’invidiabile praticità, puntano a una digitalizzazione “su misura” per acquisire nuovi modelli di business e alcuni miglioramenti qualitativi. Sbagliato pensare, dunque, che questo cambiamento possa interessare solo aziende di dimensioni molto strutturate. Anzi sono proprio le Pmi a dimostrare il contrario, perché in questi ultimi due anni – ma soprattutto nel 2018 – la digitalizzazione si è diffusa anche in quelle realtà dove i valori medi si assestano sui sette addetti e dove il legame fra le strategie innovative e la ricerca è sufficientemente forte. Da sfatare, poi, il fatto che Impresa 4.0 porti a un aumento della robotizzazione e dell’automazione a discapito dell’occupazione. Anzi, proprio tra il 2017 e il 2018 si è sottolineato più volte quanto 65


le nuove tecnologie portino a liberare i collaboratori delle imprese da mansioni ripetitive che invece di valorizzare la loro creatività, e renderli maggiormente responsabili nel processo, li costringono in mansioni che, proprio per il loro scarso valore aggiunto, possono essere affidate alle macchine. Alex e Maurizio, a Cuveglio, guidano un’impresa meccanica specializzata nella produzione di stampi per materie plastiche. La loro più grande soddisfazione è stata quando i loro collaboratori hanno accolto la “rivoluzione” guardando ai vantaggi reali che avrebbe portato non solo sul fronte della produttività ma anche su quello del benessere aziendale. A tal punto che il miglior testimonial di Impresa 4.0, non solo per i due fratelli ma per l’intero sistema delle piccole imprese, potrebbe essere Luciano, un collaboratore che è con loro da anni: «Lavorarci sopra è stimolante – dice - e qui nessuno è “addetto al bottone”. Il layout del tornio lo decide l’uomo perché è lui a giocare ancora un ruolo determinante nella produzione. Ognuno di noi può produrre lo stesso pezzo in modi diversi: professionalità ed esperienze fanno la differenza nel definire le fasi di lavorazione e il modo in cui le si organizza». Insomma, nessuno fa la sentinella alla macchina: «Le nuove tecnologie – interviene Alex – rendono gli uomini più autonomi e liberi di decidere. Questo significa prendersi le proprie responsabilità ma anche ottenere maggiori gratificazioni».

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Paura? Tanta e non ancora risolta. Il rapporto che i piccoli imprenditori hanno con la tecnologia, però, è del tutto naturale. Il cambiamento è normale: le macchine degli anni Ottanta e Novanta non erano 4.0 ma erano diverse da quelle degli anni Sessanta. Eppure ci si è adeguati. I torni dei padri non erano quelli dei figli, e lontani dalle macchine a controllo numerico e dalle isole di lavoro di oggi: eppure ci si è adeguati. Questo per dire che ciò che si nota dal di fuori di un’officina, non è la stessa sensazione che si coglie quando ci si entra.Qui non si è ancora compiuto il salto verso il cloud computing o l’Intelligenza Artificiale ma si sta cogliendo

appieno il valore di quella che è l’analisi dei big data, la simulation (la simulazione tra macchine interconnesse per ottimizzare i processi), l’additive manufacturing (sistemi di produzione additiva che aumentano l’efficienza dell’uso dei materiali: ne fanno parte anche le stampanti 3D) e l’Industrial internet (la comunicazione tra elementi della produzione, non solo all’interno dell’azienda, ma anche all’esterno grazie all’utilizzo di internet). Se ne parla e si sperimenta perché a guidare le imprese è sempre stato il mercato, e la tecnologia è una risposta immediata a quello che i clienti chiedono oggi: una rapida (e innovativa) soluzione dei problemi, velocità nella realizzazione del pezzo, qualità invariata, personalizzazione in grado di rispondere con efficacia ai bisogni individuali e tante garanzie. Non ci sono slogan nel mondo del 4.0, se non uno: «Restare indietro non paga». Lo sa bene Angelo, che nel 1997 inserisce il primo robot nella sua carpenteria di Binago per trovare una parziale soluzione alla concorrenza del mercato svizzero: «Oltreconfine si chiedeva tantissimo personale specializzato e i nostri dipendenti, pur essendo affezionati all’azienda, preferivano andare a lavorare in Svizzera. Nel giro di tre mesi (l’intervista risale al 2016, ndr) tre dipendenti altamente specializzati hanno rassegnato le dimissioni. Per evitare di rimanere fermi ogni volta che un nostro collaboratore lasciava l’azienda, abbiamo optato per la piegatura robotizzata». D’altronde «essere competitivi significa uscire dalla routine, ma anche capire come adottare le migliori tecnologie per dare un valore in più alla propria impresa. L’importante è capire quali robot servono, come inserirli nei processi produttivi e come calarli all’interno della propria, specifica realtà aziendale. Per quanto ci riguarda dobbiamo essere veloci, dobbiamo lavorare anche in notturna e terminare in fretta quantitativi importanti. Oppure adattare i robot a tanti lotti di pochissimi pezzi». L’interazione tra uomo e macchina è fondamentale: «Il robot senza l’uomo non funzionerebbe – continua Angelo. Le macchine sono tutte in autoapprendimento, devono essere programmate sul posto ed è la sinergia tra


collaboratore e robot che offre una certezza in più all’impresa. Prima di scegliere il robot, però, si deve scegliere la propria strategia aziendale». Il salto culturale anticipa, e sospinge, quello produttivo. E l’adrenalina la respiri e la senti perché scorre tra una macchina e l’altra. E’ un qualcosa che sposta sempre più il confine tra un’impresa di semplice produzione e un’impresa, invece, che a quella pro-

Per scommettere sul time to market e sull’alta efficienza dei prototipi. Ma il 4.0, seppur lentamente, sta conquistando tutte le imprese che credono nell’accelerazione data dalla digitalizzazione e dalla manifattura additiva. E’ il caso anche di un’azienda leader nella produzione di occhiali a Venegono Inferiore, con tre suoi brand, dove il design si lega alla progettazione del futuro attraverso lo studio dei materiali e alla loro trasformazione.

duzione vuole dare un’anima diversa. Perché, ricordano le imprese, «Impresa 4.0 significa investimenti impegnativi, impegno di tempo, strategie mirate e riflessioni accurate ma le aziende non ne potranno fare a meno. Forse si potrà rimandare la scelta per qualche anno, ma tra dieci si potrebbe rischiare la chiusura proprio per non essersi adeguati ad un modello organizzativo che all’estero alcuni clienti stanno già chiedendo». Certo il primo passo non è facile, ma a Cuveglio hanno imparato una cosa: «Impresa 4.0 può sembrare una moda, ma poi si rivela uno strumento vantaggioso. Vogliamo che sia così». E’ accaduto anche a Cavaria con Daniele e Giovanni, co-titolari di un’azienda specializzata nella produzione di schede elettroniche, che considerano il 4.0 come un grimaldello contro la

Tommaso (il designer) e Dino (il direttore commerciale) vogliono dare «personalità a un prodotto classico ma “out of the box”, al di fuori degli schemi», concentrandosi su un principio che considerano scolpito nella pietra: «Se riesci a farti coinvolgere meno dal mercato, riesci anche a creare prodotti più innovativi». Insomma non c’è settore in cui Impresa 4.0 non possa essere applicata. Anche in quello del benessere, dall’odontotecnica alla produzione di protesi. In quest’ultimo caso la testimonianza di Sergio e Diana assume un’importanza straordinaria: «Vent’anni fa a Edimburgo abbiamo scoperto la prima mano bionica, e in Israele il primo esoscheletro. Nel 2002 è stata la volta del primo braccio robotico realizzato da un’azienda in Scozia e nel 2007 abbiamo portato la prima protesi robotica ad un convegno ortopedico a Roma. La prototipazione, per un’attività come la nostra, è all’ordine del giorno».

burocrazia: «Dall’ordine alla fattura non ci sarà più un foglio – dicono i due – anche grazie agli investimenti nelle tecnologie di ultima generazione. Quello che ad oggi sta facendo la differenza nella nostra impresa è la completa informatizzazione gestionale: ordini, magazzini, carico lavori sulle macchine, tempi di produzione. Da remoto controlliamo e verifichiamo tutto». Però c’è anche chi, come Fabio da Gavirate, è alla testa di un’azienda attiva nello sviluppo prodotto di articoli in plastica e metallo attraverso la prototipazione rapida. Per lui il principio guida, da più di vent’anni, è questo: «La fantascienza in officina».

E della stampa 3D, oggi, quest’azienda di Marnate non potrebbe farne a meno. Ma la lungimiranza di Sergio potrebbe riservare altre sorprese: Impresa 4.0 o meno, la robotica arriverà con forza non solo nelle nostre case ma anche nei nostri corpi. E non sarà tanto una questione di tempo quanto di prezzo (al pubblico) del prodotto: oggi quasi del tutto inaccessibile. Isabella e Stefano, titolari di un’azienda di Caronno Pertusella attiva nel settore dell’elettronica, su Impresa 4.0 hanno deciso di investire il loro patrimonio personale perché «a un certo punto ci siamo resi conto che potevamo rispondere ai mercati solo crescendo. E per

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crescere bisogna investire: abbiamo messo a garanzia i nostri beni personali e investito tutti gli utili in azienda». Perché se il 4.0 è «una filosofia che muove il lavoro», qui a Caronno la digitalizzazione e l’automazione sono il lavoro: 3 linee robotizzate di cui una dedicata a prototipi/campionature, due linee altamente produttive (una monta 65mila componenti l’ora e l’altra 40mila), una linea di saldatura con carichi e scarichi indipendenti e 5 operatrici addette, 2 linee di saldatura selettiva con carichi e scarichi indipendenti, una ispezione ottica in 3D e una macchina X-Ray per intercettare le più piccole difettosità e intervenire correttamente per la loro rimozione. L’occupazione e il fatturato ne hanno beneficiato. Dice Isabella: «Il gruppo ha registrato una crescita annua del 30%, e con l’arrivo degli armadi automatici abbiamo assunto un magazziniere con esperienza solo per la gestione delle nuove macchine. Poi è arrivato un altro ragazzo per l’ispezione ottica 3D: l’abbiamo assunto dopo circa otto mesi di prova». Qui si è partiti in «pole position. Tradotto nella logica della competitività, questo significa – sottolineano i titolari - «che la possibilità di errore nel montaggio è ridotta al minimo, i fermi macchina sono stati quasi del tutto eliminati, si risparmia tempo e si utilizzano nel miglior modo tutte le risorse: soprattutto quelle umane».

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Però quando si è giovani tutto è più facile. Federico, compiuto il passaggio generazionale nell’azienda meccanica di famiglia a Gallarate, grazie alla digitalizzazione ha rinvigorito il rapporto con papà: «Per me il computer è sempre stato come un tornio: ci passavo pomeriggi interi per il data entry e per organizzare il gestionale dell’impresa. Mio padre agli inizi mi riprendeva e pensava fosse un gioco, ma poi ci ha creduto anche lui». D’altronde questo giovane ingegnere il suo passaggio in azienda lo ha fondato proprio sul cambiamento: in punta di piedi, perché si cambia solo se si studia. Allora si torna al Pc: «Le litigate con papà non sono mancate, ma ringrazierò sempre il computer perché è anche grazie a questo se ho imparato l’inglese, ho fatto crescere la mia curiosità e sono diventato quello che sono. Cioè un imprenditore attento alle nuove tecnologie ma anche capace di capire quanto servono all’interno dell’azienda e come le si deve usare». Come tutti i giovani, Federico si muove tra realtà e sogni. Nel suo

caso, un sogno 4.0 al quale pensa in continuazione ma con piglio pragmatico: «Quanto vorrei comprarmi una stampante industriale 3D a carbonio. Per un investimento di questo tipo, però, la ricerca di mercato è più che mai importante: semmai ci dovessero essere clienti interessati, potrei anche passare dal sogno alla realtà». Nel frattempo la congiunzione tra Impresa 4.0 e Lean production inizia a balzare all’occhio, perché non c’è cliente al mondo che voglia pagare gli sprechi legati a un processo produttivo scarsamente organizzato. Così ritorna agli onori della cronaca il “modello Toyota”, una produzione snella che porta dritto al motivo per cui è stata pensata da Toyota e migliorata negli anni da tutti coloro che l’hanno adottata: il risparmio, a fronte di un investimento più che fattibile. D’altronde il 4.0 e la Lean sono facce della stessa medaglia e la loro integrazione può avvenire senza alcuna forzatura: Impresa 4.0 accelera i processi, ma nessun imprenditore è disposto ad investire in innovazione per aumentare gli sprechi. Ecco perché robotica, manifattura additiva e tracciatura di pezzi (sono solo alcuni esempi) completano alla perfezione la Lean. E Federico, ancora lui, in questo tandem della competitività si sta specializzando: «Impresa 4.0 è un grande contenitore nel quale devi scegliere quello che ti serve veramente. Per quanto mi riguarda sono sempre stato innamorato delle potenzialità che possono esprimere meccanica ed elettronica insieme. Così mi sono concentrato sull’aspetto gestionale dell’azienda lavorando molto su tempi e metodi, per ottenere poi dei feedback in tempo reale dalle macchine e arrivare a un maggiore efficientamento della produzione». La parola magica, qui, è Lean sotto tutti i punti di vista: production e management. Chiude Federico: «Il mio obiettivo è arrivare a una gestione snella dell’impresa (che passa anche dalla riduzione degli sprechi) per creare un valore maggiore per il cliente, aumentando la competitività. D’altronde ho sempre pensato che le piccole e medie avessero un potenziale enorme a volte inespresso: senza tradire ciò che sono in termini di flessibilità e creatività, le Pmi sono in grado di fare tutto quello che fanno le grosse aziende».


Gli interventi del sistema Confartigianato

IL DIGITALE: I NOSTRI CAMBIAMENTI Il 10 ottobre 2018, a poche settimane dall’entrata in vigore della nuova fatturazione elettronica (1° gennaio 2019), Confartigianato-Artser ha lanciato la web app eBox per semplificare il passaggio dalla carta al digitale delle piccole e medie imprese. Si tratta di una piattaforma originale, realizzata appositamente per rispondere ai bisogni dello small business e offerta a titolo gratuito ai clienti contabilità della società di servizi Artser. La web app eBox è stata poi presentata formalmente e tecnicamente alle imprese in occasione di un roadshow che ha toccato le città di Gallarate, Saronno, Varese e Vigevano. Appena qualche mese prima le imprese erano state chiamate ad adeguarsi al Gdpr, il nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali in vigore dal 25 maggio 2018. Per facilitare l’ingresso nel nuovo universo della privacy Ue, ad inizio 2018 è stato lanciato un servizio di consulenza, formazione per titolari e dipendenti, mappatura e redazione della documentazione relativa agli impianti di videosorveglianza e analisi dei sistemi informatici. Il tutto accompagnato da una “guida pratica” al Gdpr presentata in occasione di un convegno organizzato a fine marzo a Saronno (29 marzo). Anche Faberlab è stato un tassello strategico lungo il cammino della digitalizzazione delle Pmi. Tanto che, accanto al lancio di Faberlab Design (progetto finalizzato a sostenere le Pmi nella creazione di nuovi prodotti o in processi di restyling delle produzioni esistenti), il laboratorio tecnico e di consulenza di Tradate è entrato nel vivo della propria attività di Digital Innovation Hub. Numerosi gli incontri indirizzati a specifici settori produttivi: dalle applicazioni di Industria 4.0 per connettere la fabbrica (12 aprile),

alla piattaforma destinata a portare i laboratori odontotecnici verso impresa 4.0 (sempre nel mese di aprile) passando dalla visita a un laboratorio di simulazione della Lean production applicata alla produzione di calcio Balilla (l’iFab della Liuc, 19 ottobre 2018) per arrivare allo stampaggio plastica e alle nuove opportunità offerte dalla stampa 3D dei metalli, in calendario giovedì 4 ottobre. L’anno si è concluso con la combinazione tra design e macchine industriali (29 novembre). Un percorso non casuale, guidato da una convinzione ribadita a inizio anno all’ex titolare dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda: il digitale per una Pmi non è un “porta a porta” forzato e non si costruisce attraverso semplici incentivi erogati a pioggia e perlopiù finalizzati all’acquisto di macchinari. È mettendo a disposizione delle Pmi misure alle quali possano realmente accostarsi ed estendendo le loro opportunità formative che si coltiva il cambiamento dal basso.

SI RINGRAZIANO: » Costa Snc » Lopar Circuiti Stampati » Sordelli Franco Srl » Centro Ortopedico eSseDi » Cabi Group » Bollini Srl » Carrara Luigi Srl 69


Le staffette

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L’importante è che sia lento e “morbido”. Non tutte le imprese sono pronte, non tutte si stanno preparando e qualcuna dimostra ancora una “resistenza” che la porterà a dover fare i conti con un cambiamento inevitabile. Per il quale bisogna attrezzarsi. La Commissione Europea stima che un terzo delle imprese attive nei Paesi dell’Unione “passerà di mano” nell’arco del decennio in corso. Le imprese che ne saranno coinvolte ogni anno si contano in più di mezzo milione e 2,5 milioni saranno i lavoratori interessati. In Italia, dove più dell’80% delle imprese è di dimensione micro o piccola, e il 70% delle Pmi è guidato da un leader che ha più di settant’anni, solo il 30% delle aziende sopravvive al proprio fondatore e solo il 13% arriva alla terza generazione. Inoltre solo il 7% delle imprese familiari ha regolato in modo scritto la successione, il 10% ha deciso l’età del ritiro della vecchia generazione dalla gestione aziendale e il 35% conosce regole e fiscalità della successione. Insomma, quello che dovrebbe essere un passaggio naturale nell’evoluzione di un’impresa non sempre lo è. Eppure, questa staffetta da una generazione all’altra è lo strumento principale per dare continuità non solo all’impresa di famiglia ma anche a un substrato imprenditoriale che, del nostro Paese, è la colonna portante dell’economia. La parola che fa la differenza, anche nelle aziende della provincia di Varese, è “continuità”: nonostante la crisi, nonostante la stanchezza di molti imprenditori, nonostante alcuni pensino che i sacrifici siano troppi e le soddisfazioni troppo poche. Eppure, ancora una volta, l’imprenditore si fa scudo della sua modestia. Ne abbiamo sentiti parecchi, in questi ultimi due anni, dire che non gradirebbero i figli in azienda. E non perché non gli piacerebbe vederli all’opera tra l’officina e l’ufficio, ma perché «se negli anni Settanta fare l’imprenditore era un lavoro gratificante, oggi è un lavoro sfiancante sommerso da obblighi e rapporti deteriorati dall’illogica del “fare tutto e subito”». Nell’epoca della condivisione, per alcune aziende «resta troppo poco tempo per condividere» ma a volte ci si dimentica che proprio i giovani, di quest’epoca così veloce e liquida nella quale i rapporti si gestiscono anche da casa con Skype, web call e Whatsapp, sono i veri punti di forza. E nella rapidità dei contatti e dell’organizzazione 4.0 si muovono con una certa destrezza.

Allora è capitato di incontrare, nel 2018, aziende dove il passaggio generazionale è un must trainato proprio dalla facilità con la quale le nuove generazioni entrano nei nuovi paradigmi economici fatti di cambiamenti repentini per la maggior parte dettati proprio dalle nuove tecnologie. Ma a un imprenditore titubante ne corrisponde sempre uno che, invece, i figli o i nipoti in azienda li vorrebbe. D’altronde se ci si esprime in termini di “impresa familiare”, una ragione ci sarà. Familiare perché non è un caso raro parlare con imprenditori che ormai sono arrivati alla terza o alla quarta generazione, e in cuor loro sperano che si vada avanti. Correttezza vuole, però, che chi è a capo di un’azienda – perché l’ha fondata o perché lui stesso è stato interessato dal passaggio del fatidico testimone – evita di costringere o di forzare la mano. Tutti sono d’accordo sul dire che «i figli devono entrare in azienda dopo aver fatto le loro esperienze, magari in una multinazionale: capire il mondo del lavoro è importante. Poi la scelta spetta a loro: se pensano sia la strada giusta, devono sapere che non sarà facile». In una piccola impresa di Busto Arsizio, attiva nel settore del disegno per il tessile, Deborah e Fabio il passaggio l’hanno fatto nel 2008 dopo essere entrati in azienda negli anni Novanta. L’affiancamento del padre è fondamentale, perché grazie a lui i fratelli iniziano a capire quanto è importante l’investimento in innovazione e quanto si può fare con l’export. Così Deborah va nel mondo – dal Brasile a Singapore passando per l’Egitto e la Giordania – per realizzare per le imprese estere disegni che sono la tipica espressione del buon gusto italiano, molto ricercato nei mercati locali di alta gamma. Fabio, invece, inizia a introdurre in azienda i disegni realizzati con il Cad. Il passaggio generazionale regge alla crisi aziendale del 2012 e rilancia l’azienda scommettendo sui giovani: tre ragazze «nate con il computer in mano». Il cambiamento introdotto dai due fratelli è questo: «E’ quello che serve a noi: i loro percorsi di studi, con inclinazioni fortemente artistiche, sono un plusvalore per questa realtà perché si tratta di un lavoro dove la conoscenza tecnologica (l’uso di tutte le potenzialità dei programmi informatici per raggiungere i massimi obiettivi) e l’estro creativo sono strettamente correlati». Dal tessile ad una litografia il passo sembra enorme, ma non lo è. A Induno Olo-

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na c’è un’azienda che si è reinventata anno dopo anno. E che del passaggio generazionale ne ha fatto un vanto. Fondata da Cesare e Irma cinquant’anni fa, ha visto entrare in azienda i figli – Marco con la moglie Marinella, Felice e Daniela – ed ora i nipoti: Francesco, Luca e Andrea. Felice era linotipista come il padre, Marco cromista e Daniela – una volta preso il diploma da ragioniera – in legatoria. Proprio come la mamma, maestra (oggi si direbbe capo reparto) nel settore tessile e poi al fianco del marito nell’azienda di famiglia. Il papà lavorava con il piombo; i figli si trovano a che fare con le lastre e da anni con macchine più automatizzate: il carattere e il dinamismo di questa famiglia sono la pietra sulla quale si fonda, ancora oggi, l’impresa. Papà Cesare era pacato e riflessivo, lasciava ampio spazio all’iniziativa dei figli, credeva nell’etica, nel ruolo sociale dell’impresa e andava controcorrente. Mai ostacolato nessuno. Marco pretende tantissimo da tutti e da sé stesso. Non molla mai la presa perché sa che «portare avanti un’azienda, oggi, è molto più difficile di quando lo fece nostro padre». In azienda, però, si entra per cambiare e migliorare ciò che magari va anche bene. Così è del tutto naturale attendersi tanto – dopo un percorso di apprendimento non solo tecnico ma anche umano – dalle nuove generazioni. In questo caso da Francesco (ingegnere gestionale con alle spalle un’esperienza di anni come project manager nella Pirelli Immobiliare), Luca (laurea in architettura con esperienze negli studi professionali) e Andrea (laureato in ingegneria gestionale). E’ questa la terza generazione che tra plotter, programmi informatici, rapporti commerciali, stampa in quadricromia, carta pesante o leggera, usomano o patinata, si prepara al passaggio morbido «perché nei meccanismi dell’impresa – dice Marco – bisogna entrarci con una certa consapevolezza». Poi nel 2020 l’azienda sarà nelle loro mani e «sarà la loro àncora di salvezza».

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Francesco, Luca e Andrea sono di poche parole ma sanno, con chiarezza, che portare qualcosa di nuovo

in azienda è il loro obiettivo già da oggi. Così Francesco ha sviluppato un software per la gestione delle commesse e Luca disegna e studia gli espositori. E dice: «I compromessi con genitori e zii sono tanti, soprattutto da parte nostra». Ma Andrea? Per ora «cucino – dice sorridendo – ma non tutti sembrano apprezzare. Però osservo, ascolto e imparo». Va bene, ma per un giovane cosa vuol dire essere imprenditore? Luca, per ora imprenditore non si sente affatto. Abbozza una risposta: «Forse fare un lavoro che serve agli altri». Ci può stare. Per Francesco è una questione di impegno perché «non si stacca mai» mentre per Andrea «avere tra le mani un obiettivo sfidante». Niente male. Anche Marco vuole rispondere alla domanda: «L’imprenditore deve saper guidare e indirizzare le energie di chi lavora con lui per raggiungere un obiettivo». Che per Marco, oggi, è quello di «far crescere professionalmente figli e nipoti e di lavorare con più serenità». Il proposito è condivisibile, ma nel frattempo «qui si aprono i cancelli dell’azienda alle sette del mattino e uno della famiglia li chiude alle otto di sera. E così sarà in futuro». Se il passaggio generazionale non è ancora una costante ma si sta facendo largo, le nuove generazioni dotate di laurea non sono poche. Così è anche in una piccola azienda meccanica di Cavaria «nata per sbaglio» ma ormai un punto di riferimento per chi chiede lavorazioni particolari. Qui le figlie di Silvano sono state le prime ad entrare nella «culla di famiglia»: Sabrina ha un diploma in Ragioneria e Alessandra una laurea in Economica e Commercio. Ma presto la famiglia è cresciuta con Diego (marito di Sabrina) e il cugino Giuseppe che ormai si è meritato la pensione. Ognuno, come sempre accade, ha i suoi compiti: chi nel commerciale e in amministrazione, e chi in produzione. Fino a qui ci si è dimenticati di una figura fondamentale nella vita di un imprenditore: la moglie. Non si tratta di passaggio generazionale, d’accordo, ma spesso è proprio lei ad incoraggiare e stimolare i figli


a seguire le orme del padre. In questo caso è Anna, la moglie di Silvano, ad essere la pietra angolare dell’avventura imprenditoriale: «E’ presente anche quando non c’è», afferma il titolare. Che della definizione di “impresa familiare” ha fatta una regola scolpita nell’acciaio. A volte il passaggio generazionale, anche quando compiuto, vede però la presenza dei genitori come “guida” nei meccanismi più delicati dell’azienda. Quando si dice che «l’imprenditore non va mai in pensione», in parte è vero. Questa presenza non è dettata da una mancanza di fiducia nei confronti dei giovani ma dal fatto che se fare impresa, oggi, è più difficile di quanto non lo sia stato ieri è anche vero che un’esperienza consolidata sulla quale contare è più che mai preziosa. Questo è anche il caso di Daniele e Severino, che ora sono a capo dell’azienda fondata da papà Ernesto nel 1959. E in azienda c’è anche uno dei nipoti. Ernesto ogni giorno è lì, ma con i figli ha condiviso le nuove sfide appoggiando anche scelte particolarmente impegnative. Prima fra tutte quelle di puntare sul risparmio energetico per recuperare gli scarti di lavorazione. In pratica tutto quello che entra in azienda sotto forma di legname, si trasforma poi in energia elettrica e termica. Una storia di famiglia che, grazie a un rapporto continuo e alla tempra di Ernesto, è cresciuta trasformando la propria attività in una realtà innovativa con una forte propensione alla dimensione etica della produzione. Come sempre accade, non è facile mettere d’accordo vecchie e nuove generazioni: «Le discussioni non mancano, soprattutto quando ci sono tanti anni di differenza tra una generazione e l’altra, ma poi tutto si sistema perché amiamo il nostro lavoro», fanno sapere da Somma Lombardo.

SI RINGRAZIANO: » Arte Tessile Snc » Litografia Valli Srl » Officina Meccanica Marchioro Silvano Srl » Gilegno

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Gli interventi del sistema Confartigianato

LE STAFFETTE: I NOSTRI CAMBIAMENTI Passaggio generazionale, ingresso di nuove professionalità, mantenimento di quelle di più alto livello e gestione della staffetta generazionale tra i dipendenti. Ma anche miglioramento dell’organizzazione aziendale in un’ottica di contenimento degli sprechi. I percorsi di rigenerazione aziendale sono stati uno dei fattori sensibili del 2018 al punto da diventare oggetto di azioni condotte tanto da Faberlab quanto da Confartigianato Varese attraverso approfondimenti sul magazine e un convegno di TEH Ambrosetti dedicato a “Governance e continuità generazionale nelle imprese familiari” (ottobre). L’organizzazione aziendale intesa come processo preliminare al corretto avvio di una nuova impresa è stata anche oggetto degli incontri del progetto “Mettersi in Proprio”, che si sono svolti il 15 marzo a Bisuschio, il 27 febbraio a Malnate e il 9 a Gazzada Schianno. L’ultimo in ordine di tempo, promosso nel quadro di una collaborazione con il comune di Gallarate, il 25 ottobre ha riunito un centinaio di persone nella sala convegni di viale Milano 69. Una forma di interazione maturata a fronte di dati sull’impoverimento del tessuto produttivo cittadino. Al ciclo “Mettersi in Proprio” si sono accostate le Officine delle Idee (ottobre-novembre 2018) e i workshop “Ma come ti presenti?” (giugno-luglio 2018). D’altro canto, come sottolineato dall'Osservatorio per il Mercato del Lavoro di Confartigianato Varese, seppure la manifattura rimanga la spina dorsale produttiva della provincia di Varese, è ogni giorno più difficile per le imprese trovare professionalità adatte a trainare la produzione combinandola all’innovazione digitale. In questo senso è complesso per le imprese anche gestire la staffetta generazionale 74

dei dipendenti oltre che il mantenimento delle migliori professionalità, specie in un mercato sempre più competitivo e attrattivo. Per questo la riqualificazione professionale e tutti i processi di interconnessione tra scuola e impresa sono stati più volte oggetto di sollecitazione da parte di Confartigianato Varese sia in occasione dell’incontro del 23 luglio con il Vice Ministro dello Sviluppo Economico, Dario Galli, che nel corso del faccia a faccia con il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana (28 ottobre). Nella direzione del mantenimento delle professionalità e dell’ingresso di nuove professionalità nelle aziende dell’area, si è mosso anche l’iter del progetto di legge “Aree di Confine”, depositato alla Camera il 23 luglio. La proposta “Regime fiscale incentivante per i lavoratori nelle aree di confine” punta ad aumentare il netto in busta ai lavoratori che scelgano di rimanere o di entrare nelle aziende italiane con sede entro i venti chilometri dal confine con il Canton Ticino. Il primo firmatario è il deputato leghista Matteo Bianchi. Il deposito della proposta di legge è avvenuto al termine di un percorso che ha raccolto il consenso, tra le altre, delle amministrazioni comunali di Luino, Lavena Ponte Tresa, Induno Olona e Arcisate e di Villa Recalcati. Al contempo Confartigianato Varese ha ottenuto l’appoggio all’iniziativa da parte di Confartigianato Como (14 giugno). Altri elementi correlati all’organizzazione aziendale e all’inserimento delle nuove professionalità sono stati i momenti di collaborazione con le scuole attraverso l’alternanza scuola-lavoro e in occasione del “Matching Alternanza” (25-26 ottobre).


Il welfare «Il welfare aziendale? Chiamatelo con il suo nome. L’unico vero che vedo in circolazione è quello delle piccole imprese». Lo aveva detto Giulio Sapelli, professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Milano intervistato per “Imprese e Territorio”, magazine edito da Confartigianato Imprese Varese. Un punto alla fine della frase: detto questo, detto tutto. Ed è vero. Il 2018 è l’anno del Welfare e di tutti quegli strumenti che le Pmi, da sempre, hanno posto alla base del loro modello imprenditoriale: «Qui si sta come in una famiglia», è il commento raccolto da tanti collaboratori che lavorano nelle piccole imprese della provincia di Varese. E «stare in famiglia» significa poter lavorare con serenità in un ambiente nel quale si trova un riscontro ai propri bisogni. Bisogno di tempo libero, soprattutto. Tempo da dedicare ai figli e agli anziani. Perché in una società, quella italiana, dove l’invecchiamento della popolazione è un tema sul quale riflettere diffusamente, e le risorse pubbliche a favore del Welfare hanno già registrato più di una stretta, il Welfare proposto dalle aziende attraverso Piani ad hoc svilup75


pati sulle esigenze più particolari dei lavoratori è una risposta concreta. Ma c’è di più: il welfare aziendale non si sta sviluppando solo come una soluzione all’arretramento del welfare pubblico o come uno strumento per ridurre i costi, ma come una risposta concreta e culturale alla grande trasformazione del mondo del lavoro che stiamo vivendo. Dunque una causa, e non una conseguenza, del nostro modello sociale. Infine, il Welfare è scelta e condivisione di obiettivi tra il datore di lavoro e il suo collaboratore. E il mondo delle Pmi è la rappresentazione sincera di quella comunità sulla quale ora si stanno accendendo nuovamente i riflettori. Perché è qui che «gli imprenditori si fanno carico delle esigenze dei loro collaboratori, non li licenziano nemmeno nei momenti di crisi e di scarsità di lavoro, stringendo la cinghia e piuttosto vendendo l’automobile», ricordava Sapelli. Allora accade che il welfare possa assumere anche forme inusitate che vanno ben al di là di quello che si pensa solitamente: la flessibilità di orario, i gruppi di acquisto aziendali, gli strumenti economici a favore dei più piccoli e di chi studia, la scontistica per il tempo libero. Erika e Andrea, che da poco hanno trasferito la sede dell’impresa specializzata in litografia e cartotecnica da Gerenzano a Uboldo, hanno fatto una scelta che ha messo d’accordo tutti. Per festeggiare i trent’anni d’attività si sono regalati, e hanno regalato ai dipendenti e alle rispettive famiglie (40 persone in tutto), sei giorni di relax in un resort all inclusive di Tenerife, l’isola dove una ex collaboratrice rimasta nel cuore di tutti ha scelto di trasferirsi da qualche tempo. Una sorpresa per lei ed una, ancora più grossa, per i dipendenti, italiani e stranieri (in due arrivano dal Marocco e tre dall’Egitto) d’età compresa tra i 20 e i 35 anni.

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D’altronde «i nostri ragazzi tifano per noi e per l’azienda, vedono gli investimenti che facciamo per mandarla avanti e sentono di avere un futuro sicuro – spiegano Erika e Andrea – Per questo un giorno, parlando

di welfare aziendale, ci siamo detti “perché non fare un viaggio tutti insieme per andare a trovare Antonia, la nostra ex collaboratrice, e vivere un’esperienza nuova”?». E l’esperienza ha funzionato. Come sta funzionando l’esperienza di Simone, che sui propri dipendenti ha deciso di scommettere ancora una volta. E ancora di più nel 2017, convertendo il premio di produzione in servizi di welfare. Fondata nel 2003, nel 2010 l’azienda di Mesero aveva già abbracciato la filosofia di incentivare i propri collaboratori. La strada aperta ha portato però ad ulteriori riflessioni per arrivare fino ad oggi: «Negli anni precedenti – dice Simone – quello che riceveva il dipendente era nettamente inferiore a causa delle tasse. In quel caso veniva a mancare il fine aziendale, che era proprio quello di offrire al dipendente un incentivo importante e stimolante». Ecco allora il prossimo passo: se mille euro devono essere, che mille euro siano. Ma tutti per il collaboratore che se li è meritati. Mille euro che, a seconda delle preferenze, «possono essere trasformati per intero nel rimborso delle spese per l’istruzione dei figli o per la baby sitter, utilizzati come versamento per un fondo pensione integrativo, oppure per ticket, viaggi on demand o spese per il tempo libero e la cura della persona». Ecco qui: il welfare diviene incentivo per stare meglio e migliorare la qualità della propria vita. «Perché è giusto che il frutto del proprio lavoro venga utilizzato per questo», conclude Simone. Gli fa eco Monica da Magnago, a capo con il fratello Michele di un’azienda di progettazione e produzione di impianti di cogenerazione: «Partiamo da questo presupposto: l’azienda è una realtà composta da più persone che corrono insieme per raggiungere lo stesso risultato». A unire queste persone, però, da un lato c’è l’obiettivo che ci si è prefissati e dall’altro – prima ancora di tutto il resto – la complicità, la relazione, la condivisione umana. Perché tutti fanno parte della stessa squadra. E il team funziona se c’è un’intesa reciproca. «Un’azienda che cresce e si sviluppa – prosegue la titolare – ottiene i suoi migliori risultati


non solo grazie a chi dirige e coordina, ma anche e soprattutto se ha con sé collaboratori motivati. E’ per questo che alla Mtm abbiamo deciso di introdurre il premio di risultato: una scelta naturale ma anche dovuta, come riconoscimento del lavoro di chi condivide con noi fatiche, sacrifici e successi. Un ringraziamento per tutto quello che fanno i nostri collaboratori giorno dopo giorno. Puntare su di loro, è doveroso». Per Monica la scelta di scommettere su un Welfare particolarmente mirato, «è poco romantica ma agevole, perché la fiscalità che interessa il Welfare facilita l’azienda ma anche i dipendenti. Tanto per intenderci, 500 euro di premio Welfare sono 500 euro netti, e il collaboratore ne percepisce subito i vantaggi. Insomma, diciamo che con questa decisione la Mtm ha risparmiato e ha incentivato la cultura aziendale». Il Welfare, quindi, fa crescere le imprese e fa bene al lavoro: il principio non solo è accettato, ma addirittura incoraggiato dagli imprenditori e dai loro collaboratori. D’altronde a spingere in questa direzione è anche la lettura del rapporto 2018 del Welfare Index delle Pmi promosso da Generali con la partecipazione di alcune associazioni di categoria, compresa Confartigianato Imprese. Il campione di 4mila piccole imprese, mette in luce come nei contratti integrativi circa un terzo delle aziende abbia raggiunto accordi per introdurre misure di Welfare accanto ai premi di risultato erogati in contanti. Gli incentivi fiscali introdotti con la legge di stabilità 2016 sono ovviamente d’aiuto, ma il clima aziendale e la soddisfazione dei dipendenti rappresentano il primo obiettivo per le imprese: lo dice il 42,1% degli intervistati. Che si sta impegnando per inserire al suo interno azioni di Welfare in grado di dare una risposta ai bisogni sociali emergenti. Il 52,5% delle aziende, inoltre, ritiene che le proprie iniziative di welfare aziendale cresceranno nell’arco dei prossimi 3-5 anni, in particolare nelle aree della salute e assistenza, conciliazione vita

e lavoro, giovani, formazione e sostegno alla mobilità. Interesse e volontà sono le parole che fanno da guida tra i lavoratori di un’azienda di Olgiate Olona che progetta e costruisce, dal 1976, apparecchiature dentali ad elevata tecnologia. Interesse e volontà ad aderire ai programmi di Welfare sui quali l’impresa ha deciso di accelerare proprio in questo 2018: «Con l’accordo basato sulla contrattazione di secondo livello – dicono Marco e Alvise – contiamo di raggiungere obiettivi addirittura più ottimistici rispetto a quelli previsti. Siamo molto fiduciosi». Da dove nasce questa esigenza? La storia dell’azienda, in questo periodo storico, ha qualcosa di eccezionale: «Qui avevamo una capacità produttiva di cinquanta macchine al mese: il gruppo di cui facciamo parte ci ha chiesto, poco tempo fa, di aumentarla a centocinquanta. Un cambio non facile, sotto tutti gli aspetti: così ci siamo trovati nella condizione di dover decidere il da farsi e come farlo». I reparti produttivi sono, ovviamente, i maggiori interessati perché da loro dipende la spinta alla crescita. Dopo un primo confronto con i capi-reparto per condividere i nuovi obiettivi, si è lavorato sul come trovare un accordo e acquisire il consenso da parte dei collaboratori. Subito dopo è stata la volta di come poter generare le risorse per poter distribuire l’incentivo e, in ultimo, è stato istituito un sistema settimanale di condivisione per permettere ai dipendenti di verificare direttamente il risultato ottenuto. Da qui l’accordo: «L’accordo di secondo livello è lo strumento più adeguato perché ci ha permesso di studiare un premio di risultato allineato all’accordo interconfederale dell’artigianato: definito, chiaro e trasparente. Così abbiamo dato una spinta motivazionale ai nostri collaboratori e siamo riusciti a raggiungere i risultati richiesti». Vantaggi? Tangibili per impresa e lavoratori. E non solo sul fronte della fiscalità. 77


Gli interventi del sistema Confartigianato

IL WELFARE: I NOSTRI CAMBIAMENTI La diffusione culturale del welfare aziendale e delle politiche volte a migliorare l’equilibrio vita-lavoro rappresenta uno dei tratti caratteristici dell’anno per l’associazione e le imprese, e asseconda una tendenza progressiva sviluppatasi nel mondo aziendale e nel più complessivo contesto sociale. È il mese di agosto a registrare l’accordo integrativo siglato da Confartigianato Imprese Varese con Filcams Cgil a favore degli oltre duecento dipendenti dell’associazione, della società di servizi Artser e di QuiCredito. Un passaggio che riassume e integra quanto fatto dagli anni Ottanta a oggi, con l’introduzione – tra gli altri - del piano welfare, l’estensione del congedo parentale e di paternità e la possibilità di godere di ferie a ore. Un’attestazione di riconoscenza per coloro che ogni giorno concorrono a realizzare il successo dell’organizzazione e un contributo al be-

nessere del territorio anche grazie alle convenzioni e ai benefit erogati nell’ambito del welfare aziendale, per i quali ove possibile si è scelto di prediligere il chilometro zero anche sulla piattaforma per la quale a fine 2017 è stato firmato un accordo di collaborazione con Ubi Banca. Uno strumento fondamentale nel percorso di implementazione di una nuova cultura del benessere rafforzato dall’adesione nel mese di ottobre alla Rete Territoriale conciliazione vita-lavoro coordinata da Ats Insubria. In tre workshop (organizzati tra novembre e dicembre a Saronno, Gallarate e Varese) è stato quindi avviato insieme alle aziende un percorso di avvicinamento pratico al welfare e alla conciliazione vita-lavoro, in forza della consapevolezza di un bisogno sempre crescente all’interno delle imprese e complice la numerosa presenza femminile nelle Pmi certificata a novembre dal Focus welfare condotto dall’Osservatorio Mercato del Lavoro di AreaLavoro.

SI RINGRAZIANO: » Nuova Tecnostampa » Setecs Engineering » MTM Energia Srl » De Gotzen Srl

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STORIE DI VITA E DI CAMBIAMENTI Il viaggio è stato lungo, e lo sarà ancora. E come spesso accade, di un viaggio si conservano le sensazioni più forti, si condensano gli umori, si amalgamo i pensieri, si ricordano le voci. Si fa tesoro di quelle riflessioni, spesso comuni, che aiutano a disegnare un quadro nel quale tutti gli imprenditori sono protagonisti. Con o senza intervista. Succede in questo libro, che non ha ceduto alla tentazione di essere una semplice raccolta o un collage di vicende, intenzioni e azioni. Non tutti gli imprenditori incontrati dal 2008 al 2018 si leggeranno in queste pagine. Ci saranno altre occasioni e ci saranno presto. E' però doveroso spiegare i motivi di assenze non volute e non selettive: tanto per cominciare molte imprese, in un passato recente, hanno trovato spazio in altri volumi ( “L’Impresa delle Meraviglie” del 2013 e del 2015) e altre entreranno in analoghe opere a venire; in secondo luogo, è bene sottolineare che la selezione non è in alcun modo riconducibile ai meriti o ai risultati dei singoli interlocutori, ma riassume specifici settori di interesse attorno ai quali hanno ruotato gli ultimi dieci anni. Non è un volume "enciclopedico", questo. Non è la storia dei nostri racconti di impresa. E' la storia, non esaustiva ma significativa, dei piccoli cambiamenti che hanno prodotto grandi rivoluzioni nelle nostre vite.

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LE NOSTRE IMPRESE Aessevi Almar Art Nova Arte Tessile Snc Bazzigaluppi Mario Bbr Models Bollini Srl Cabi Group Carrara Luigi Srl Chiesa Artorige Codato Srl Comec Italia Srl Cortellezzi Primo&C Cos.Me.L. Costa Snc De Gotzen Srl E.T.S. EasyDur Italiana Effegieffe Snc Elangrill

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UN NUOVO LIBRO CON TUTTE LE IMPRESE I ringraziamenti non sono mai dovuti, ma sentiti. E i nostri vanno in primo luogo a tutti i colleghi che hanno contribuito a segnalare le imprese e che, stando al loro fianco quotidianamente, ne hanno condiviso evoluzioni e cambiamenti nel corso degli anni. Un grazie, doveroso, a tutti gli imprenditori con i quali siamo cresciuti. A chi è presente in questo libro, e a chi lo sarà in un nuovo volume nel quale raccoglieremo tutte le interviste realizzate negli ultimi dieci anni. Un lavoro che avrà anche valenza storica e documentale, perché lo storytelling d’impresa non è semplicemente racconto, ma registrazione di momenti economici e sociali reali sganciati da qualsivoglia previsione teorica. Un volume, dunque, fondato sulla concretezza di chi ogni giorno è in balia dell’altalena dei mercati, delle volatilità finanziarie, delle frizioni internazionali e che cerca risposte vere, con idee e progetti capaci di rispondere ai cambiamenti repentini e attuabili in breve tempo. E’ questo che fanno le imprese; è questo che racconteremo.

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