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Guglielmo Esposito
quotidiano variegato e complesso… nei recessi di una memoria documentaria schiva a essere violata». Questa memoria non può essere vista con quegli occhi, eppure sta riaffiorando nella sua consistenza più significativa, frutto di alacre studio e ricerche indefesse per le vie più impervie, materializzazione corporea di quella che fu, nel Seicento, di Napoli «la scena sfuggente».
Maria Venuso
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JOHN J. MORTENSEN, The Pianist’s Guide to Historic Improvisation, Oxford, Oxford University Press, 2020, pp. 208.
L’improvvisazione è stato un elemento e ha costituito un impulso nello sviluppo dell’arte della musica fin dai suoi inizi. Probabilmente i canti liturgici dell’VIII secolo, quanto la polifonia del XII secolo, furono prodotti dell’improvvisazione. La musica tra il XVI ed il XVIII secolo poneva grande enfasi sull’improvvisazione ed essa era vista come uno strumento essenziale per lo sviluppo del musicista. Numerose forme compositive furono originate dalla pratica improvvisativa, come il preludio, la toccata e la fantasia. Questa pratica tocca il culmine con l’improvvisazione pianistica che raggiunse il suo apice tra il XVIII e la prima metà del XIX secolo.
Nonostante la sua ricca e lunga storia, l’arte dell’improvvisazione nella musica classica gradualmente perse la sua centralità fino a raggiungere il totale abbandono nel XX secolo, poiché considerata non necessaria alle esecuzioni ed inappropriata allo studio pianistico. A questo si aggiunse anche la persistente, ed errata, idea che insegnare alla massa questa “vaga” e “nebulosa” arte fosse impossibile e soltanto pochi individui dotati ed ispirati potevano fregiarsi di questo tipo di creatività. Questo ha generato una mentalità refrattaria all’improvvisazione e all’esplorazione creativa del testo musicale. In conseguenza lo studente era considerato soltanto come un contenitore vuoto nel quale riversare la saggezza dell’insegnante, unico arbitro della sacralità ed intoccabilità della musica scritta.
Purtroppo questo tipo di approccio allo studio della musica esiste ancora oggi, ed è discusso da John Mortensen in una sua intervista rilasciata all’«Observer». Egli afferma che: «c’è qualcosa di mortificante riguardo ad una tradizione dove milioni di pianisti eseguono le stesse 100 composizioni. Il modo in cui abbiamo formato i musicisti sta cadendo a pezzi, siccome è stato progettato per un risultato molto limitato –preservare e perfezionare il repertorio canonico».
Mortensen, professore di pianoforte alla Cedarville University dell’Ohio, con la Oxford University Press, ha pubblicato nell’agosto del 2020 il suo ultimo libro intitolato The Pianist’s Guide to Historic Improvisation. Si tratta di un metodo pratico di avviamento all’improvvisazione storica, rivolto al pianista che desidera improvvisare. Nell’introduzione egli spiega come questa sua guida sia perfetta sia per il concertista di professione, sia per lo studente, poiché negli istituti di musica (conservatorio o università) l’improvvisazione classica non viene insegnata e di conseguenza non è applicata nelle esecuzioni dal vivo.
Nel primo capitolo viene delineato il piano di studi e come nei vari capitoli si apprenderanno i termini storici che progressivamente sostituiranno o affiancheranno
quelli comunemente utilizzati dall’armonia moderna. Questa modalità di organizzazione delle informazioni aiuta il lettore a familiarizzare con i termini più arcaici, così da assimilare più facilmente i contenuti proposti. Mortensen, inoltre, indica alcuni prerequisiti per l’ottimale fruizione del testo, come la necessità di saper suonare la tastiera, la conoscenza della teoria della musica e dell’armonia di base, l’utilizzo del metronomo e l’esigenza di studiare gli esercizi proposti in tutte le tonalità.
Egli utilizza differenti forme compositive del periodo barocco: il preludio, la toccata, la variazione, la suite, etc., e mette a disposizione del lettore tutte le informazioni utili per potersi esercitare nell’improvvisazione.
Nel secondo capitolo, quello che riguarda lo studio del preludio, la spiegazione è incentrata inizialmente sulle prime quattro battute del Preludio in Do maggiore BWV 846 dal Clavicembalo ben temperato di Bach. Ricavata l’ossatura armonica, essa viene comparata con altri preludi di Bach, a dimostrazione del fatto che lo stesso principio di base (schema), può essere adoperato in pezzi diversi, creando ogni volta nuove sonorità. Successivamente richiede alcuni brevi esercizi sulle prime quattro battute del preludio e poi passa all’elemento successivo, la sequenza, un momento nuovo per poter continuare nell’improvvisazione. Questo processo di minime aggiunte continua per tutto il capitolo ed ogni volta c’è sempre un rimando al passaggio precedente in funzione di quello successivo. Dalla struttura di questo capitolo si evince quello che è il progetto generale dell’opera, ossia l’utilizzo di piccole sezioni per costruire il pensiero musicale attraverso continui rimandi ai diversi capitoli, oppure a sezioni precise degli stessi.
Questo approccio aiuta a colmare il vuoto tra un esercizio di improvvisazione (come il partimento) e il comporre musica – una lacuna evidenziata da molti studiosi.
Una delle caratteristiche del testo di Mortensen è l’utilizzo di una prosa semplice, che non indebolisce il materiale esposto e non ne compromette il rigore. Questa sua chiarezza ha così la proprietà di rafforzare il messaggio che si arricchisce anche di una qualità motivazionale. Egli enfatizza cosa si possa fare, rispetto a cosa si debba evitare, incoraggiando così lo studente ad iniziare senza troppi timori. Tutto il mondo dell’istruzione della musica classica è incentrato sull’esecuzione senza difetti, per questo motivo, il prof. Mortensen predispone un ambiente psicologicamente protetto dove le pause, le incertezze e gli errori sono accettati sulla base del percorso verso l’apprendimento del “linguaggio musicale”. Il concetto di fondo è: il miglior modo per evitare gli errori quando si improvvisa è di non improvvisare, mentre l’unico modo per improvvisare è commettere degli errori.
La scorrevolezza del testo di Mortensen, però, può trarre in inganno il lettore. Il libro in sé è abbastanza compatto e facilmente fruibile in pochi giorni, ma questo vanificherebbe quello che è il suo vero scopo: l’esercitazione. Nel primo capitolo Mortensen dice che: «Per acquisire padronanza delle idee sull’improvvisazione qui presentate, è necessario dedicare una parte significativa del tempo all’esercizio alla tastiera. L’unico posto dove questo libro è utile è sul leggio del vostro pianoforte». Infatti, l’autore esemplifica i concetti attraverso un approccio pratico e non solo attraverso il discorso verbale. Nozioni come la diminuzione o la trasposizione non sono difficili da comprendere e si leggono abbastanza velocemente, mentre la trasposizione di The Page One in tutte