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Strumenti a tastiera per «un pianista di quarta classe» Francesco Nocerino

Francesco Nocerino

Strumenti a tastiera per «un pianista di quarta classe»

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Egli ha vinto un nome imperituro, il genio e, soprattutto, la felicità. (Stendhal, Vita di Rossini)

Le recenti celebrazioni per i 150 anni dalla morte di Gioachino Rossini (1792-1868), hanno suscitato anche per gli strumenti musicali una rinnovata attenzione per le ricerche legate agli interessi, ai gusti e alle preferenze dell’insigne compositore pesarese. Violinista, violista, violoncellista, autista e cornista, Rossini fu ne conoscitore degli strumenti musicali e, negli anni della sua giovinezza, studiò pure su strumenti a tastiera diversi dal pianoforte. Di ciò, ne è importante testimonianza quanto il musicista stesso asserì nell’ultima sua lettera, inviata il 18 ottobre 1868, da Passy, all’amico Luigi Grisostomo Ferrucci:

Niuna cosa potea essermi più gradita che il parlarmi del gravicembalo o spinetta esistente ognora presso il tuo cugino Malerbi. Saprai che nella mia adolescenza e durante un mio soggiorno in Lugo mi esercitavo quotidianamente su quel barbaro istrumento! Dico barbaro oggi perché divenuto come il sai pianista di qualche valore nella 4a classe ma che ho ognora raccomandato ai professori di canto come di molto preferibile ai nuovi clamorosi pianoforti per l’istruzione del canto sentito, se vai al Teatro ti sarà facile veri care come sian stati messi in pratica i consigli del Pesarese!! Oh miserie umane!!!¹

Realizzato da Augustinus Henrichini Silesiensis nel 1707, cembalaro e organaro originario della Slesia, antica regione dell’Europa centrale, questo “barbaro strumento”, recentemente ritrovato,² è particolarmente prezioso per essere stato lo strumento a tastiera

¹ La lettera è nel Fondo Ferrucci della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Cfr. Matteo Messori-Anna Katarzyna Zareba, Über das von Gioachino Rossini benutzte Lugheser Cembalo, «Deutsche Rossini Gesellschaft», 2018, pp. 4-22: 5. Cfr. Luigi Crisostomo Ferrucci, Giudizio perentorio sulla verità della patria di Gioachino Rossini impugnata dal prof. Giuliano Vanzolini, Firenze, Tipogra a della Gazzetta d’Italia, 1874, p. 13 in nota; Paolo Fabbri, I ricordi rossiniani di Luigi Grisostomo Ferrucci, in Belliniana et alia musicologica. Festschrift für Friedrich Lippmann, Wien, Edition Praesens, 2004 (= Primo Ottocento, 3), pp. 104-130. ² Del clavicembalo di cui parla la lettera, si erano perse le tracce nel secolo scorso, ma grazie agli studiosi

Matteo Messori e Anna Katarzyna Zareba, lo strumento è stato rinvenuto presso una collezione privata negli Stati Uniti d’America. Cfr. Messori-Zareba, Über das von Gioachino Rossini benutzte Lugheser

Cembalo cit., pp. 4-22.

sul quale studiò il giovanissimo Gioachino Rossini sotto la guida del canonico Giuseppe Malerbi tra il 1802 e 1804, mentre era a Lugo di Romagna, città natale paterna. L’estensione del clavicembalo rinvenuto è di quattro ottave con prima ottava corta (Do1/Mi1-Do5), ambito alquanto di uso all’epoca e comune a quello dell’organo positivo dell’Oratorio di Sant’Onofrio realizzato dall’organaro bolognese Filippo Gatti nel 1750, a sei registri e con una piccola pedaliera di otto tasti, collegata all’ottava grave corta del manuale. È tradizione che su questo strumento si esercitasse il piccolo Rossini, quando era allievo dei fratelli Luigi e Giuseppe Malerbi, rettori della confraternita che gestiva l’Oratorio di Sant’Onofrio. L’oratorio fu gravemente danneggiato nel secolo scorso durante la seconda guerra mondiale e l’organo Gatti, restaurato nel 1970 da Barthélemy Formentelli, oggi si trova nella Chiesa del Carmine di Lugo. Nella stessa chiesa dove ora è conservato il positivo del 1750, vi è anche un importante organo del celebre organaro veneziano Gaetano Callido del 1797, con estensione di 62 tasti (Do1-Re6) e con una pedaliera all’italiana di 27 tasti, di certo ugualmente noto a Rossini,³ durante il suo periodo di soggiorno a Lugo. Per ciò che riguarda l’accordatura degli strumenti a tastiera (organi e clavicembalo) presenti a Lugo, sui quali si esercitava “quotidianamente” il giovane compositore, si sa che non era adottato il sistema temperato equabile, appoggiato da Rossini dal 1834 in poi, bensì un sistema inequabile, basato sulle direttive dettate dalle Registrature ed accordature per organo e cembalo del C[anonico] D[on] Luigi Malerba – 1794, molto simile al sistema Vallotti.4

Figura 1: Filippo Gatti, Organo 1750, Lugo, [particolare].

³ Oscar Mischiati, L’organo della chiesa del Carmine di Lugo di Romagna, Bologna, Riccardo Patron, 1968. 4 Patrizio Barbieri, Persistenza dei temperamenti inequabili nell’Ottocento italiano, «L’Organo» XX, 1982, pp. 57-124: 66-68 e l’appendice alle pp.115-120.

La prima metà dell’Ottocento corrisponde a un periodo di fervida ricerca e sviluppo di nuove tecnologie applicate all’evoluzione del pianoforte, divenuto lo strumento dal quale reclamare risposte adeguate alle numerose ed esigenti richieste dei compositori del tempo.

Meccaniche più complesse di quelle viennesi, che erano state protagoniste nel Settecento, a favore di quelle inglesi si andarono sviluppando grazie all’evoluzione dei materiali messi a disposizione dalle nuove tecnologie e l’applicazione di corde d’acciaio, con superiori capacità di tensione e diversa risposta timbrica, imponendo serie evoluzioni nella struttura di questo strumento, sempre più diverso dall’artigianale e ormai antiquato clavicembalo, considerato rappresentante dell’ancien régime.

Quando nel 1829, con la composizione del Guillaume Tell, terminò la sua carriera operistica, Rossini aveva solamente 37 anni. Dopo un periodo di scarsa produzione musicale, in una seconda intensa e non meno impegnativa fase compositiva della sua vita, dedicata principalmente alla produzione musicale cameristica, Rossini ci ha lasciato l’interessantissima raccolta di Péchés de vieillesse e la sua Petite messe solennelle, che lui stesso de niva come «l’ultimo dei miei Péchés de vieillesse», musica tutta scritta negli ultimi anni vissuti a Parigi, nella quale è sempre presente, in maniera preponderante, il pianoforte.5

Un primo pianoforte ricordato nelle lettere del grande maestro è proprio un pianoforte viennese, costruito da Johan Fritz, posseduto da Rossini a Castenaso, nei pressi di Bologna, nella villa acquistata nel 1812 da Giovanni Colbran, padre della celebre cantante Isabella Colbran. Il pianoforte, ra gurato in una foto tratta dal poderoso testo su Rossini pubblicato circa un secolo fa da Giuseppe Radiciotti,6 era lo strumento sul quale fu composta l’opera Semiramide, 7 come ricordato dallo stesso Gioachino Rossini nella sua lettera del 25 marzo 1851 a Rinaldo Fagnoli, al quale il pianoforte, assieme alla villa, era stato venduto dopo la morte di Isabella Colbran:

Pregiatissimo Sig. Rinaldo

Mi compiaccio dichiararle che il Pianoforte del Fabricante Johann Fritz di Vienna a lei ceduto, esistente tutt’ora nella Villa di Castenaso, è quello stesso di cui mi valsi allorquando composi il mio Spartito che per titolo Semiramide: In fede Gioacchino Rossini

Bologna 25 Marzo 1851 All’Ill.mo Sig.r Rinaldo Fagnoli.8

5 Su questa fase della vita rossiniana, si vedano i saggi presenti in I Péchés de Vieillesse di Gioachino Rossini, a cura di Massimo Fargnoli, Napoli, Guida, 2015. 6 Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini. Vita documentata opere ed in uenza su l’arte, 3 voll., Tivoli, Arti gra che Majella di Aldo Chicca, 1928, tavola XXVII, tra pp. 324-325. 7 La prima rappresentazione della Semiramide di Rossini si tenne a Venezia al Teatro La Fenice il 3 febbraio 1823. 8 La lettera, insieme alla foto dello strumento, si trova pubblicata in Radiciotti, Gioacchino Rossini cit., tavola XXVII.

Figura 2: Johan Fritz, Pianoforte, [foto da Giuseppe Radiciotti].

Lo strumento, un pianoforte a coda, è andato purtroppo perduto e dall’unica foto a noi rimasta non è possibile ricavare molto: non è chiara l’estensione dello strumento per la scarsa de nizione dell’immagine; la pedaliera presenta solo tre pedali, nonostante siano ben visibili invece quattro tiranti; in ne, una delle tre colonnine stile impero di sostegno dello strumento appare non in asse perpendicolare. Questi piccoli indizi fanno pensare a un pianoforte in disuso già agli inizi del secolo scorso. La villa di Castenaso, appartenuta poi a Rossini, subì un incendio durante la Seconda Guerra Mondiale dal quale, mentre poté essere recuperato il bel leggio visibile nella foto,9 malauguratamente non scampò il pianoforte, andato così perduto.

9 Il leggio è oggi presente nella Casa Museo dedicata a Rossini del musicologo e collezionista Sergio Ragni.

Figura 3: Johann Baptiste Reiter, Isabella Colbran, (1835 circa).

Un bel quadro dipinto da Johann Baptiste Reiter negli anni trenta dell’Ottocento, rappresenta Isabella Colbran, all’epoca moglie di Rossini, nella sua residenza di Castenaso, seduta accanto ad un pianoforte con una mano sulla tastiera e un piede poggiato su uno dei pedali dello strumento. Dalla targhetta posta sul pianoforte al centro della tastiera è possibile leggere il nome del costruttore viennese Franz Werle (1772-1826). Lo strumento anche in questo caso è un pianoforte a coda che con i giochi timbrici realizzabili dall’uso combinato dei cinque pedali presenti (pedale di risonanza, una corda, fagotto, sordino e turcherie), di sicuro conferiva alle esecuzioni musicali un fascino intrigante ed esotico per noi di cile da immaginare. Una rara ra gurazione di Rossini accanto a un fortepiano, sempre degli anni Trenta del secolo XIX, ugualmente rappresenta uno strumento con una simile pluralità di pedali.¹0

Figura 4: Gioacchino Rossini, Editore Weber, collezione Ragni (Rossini fu nominato membro dell’Istituto di Francia nel 1823).

¹0 Ringrazio il gentilissimo dott. Sergio Ragni per avermi fornito le immagini e le preziose informazioni sul loro reperimento.

Mentre degli antichi pianoforti sinora citati non rimane altra traccia che quella lasciata dalle immagini e dalla lettera di Rossini, migliore sorte invece è stata riservata a un pianoforte tavolino realizzato a Venezia nel 1809 del costruttore Luigi Ho er, oggi esposto a Casa Rossini di Pesaro, esistente al tempo di Rossini e di recente restaurato da Giulio Fratini.¹¹ Il piccolo fortepiano, testimone di una tipologia “domestica” di strumento a tastiera di primo Ottocento, è dotato di 53 tasti e ha un’estensione di quattro ottave e mezza, con prima ottava stesa (Do1-Mi5). I tasti diatonici sono in ebano e i cromatici in avorio. Privo di pedali, lo strumento è fornito di una ginocchiera per sollevare gli smorzatori (Forte).

Durante il periodo della produzione cameristica di Rossini sono stati protagonisti, in particolare, gli strumenti realizzati dalla parigina maison Pleyel, una delle più prestigiose fabbriche europee di pianoforti. Gli strumenti di questa famosa ditta, fondata e diretta ai tempi di Rossini da Ignace Pleyel nel 1807 e successivamente dal glio Camille Pleyel e Auguste Désiré Bernard Wol , furono particolarmente apprezzati da Fryderyk Chopin che li preferì ai pianoforti viennesi e ai pianoforti Érard, che pur montavano l’innovativa meccanica con “doppio scappamento”.¹² Il brend Pleyel fu stimato da numerosi illustri musicisti, tra i quali, oltre a Fryderyk Chopin e a Gioachino Rossini, si ricordano anche Alfred Cortot, Claude Debussy, Camille Saint-Saëns, Maurice Ravel e Igor’ Stravinskij. La meccanica dei pianoforti a coda Pleyel, sul modello della meccanica di tipo inglese, aveva lo scappamento singolo ssato sull’asta del tasto e i martelletti ssati su una barra separata, com’è ben evidente nell’accurata illustrazione del meccanismo riprodotta nel manuale napoletano del costruttore Ferdinando Sievers (vedi g. 5), che così commenta:

Meccanismo Pleyel. Atl. Tav. 8, g. 246, rappresenta un meccanismo in uso in Francia ed in Italia; la casa Pleyel Wolf e Comp. a Parigi l’adopera da molti anni pei suoi grandi pianoforti; ben nito fa un buon giuoco, benché sia un poco pesante pel peso del martello con lo sperone ad un’asta troppo prolungata. Il dito risente ogni volta l’urto quando il martello ricade sul freno. Alle mani abituate a questo genere obbedisce bene; oltre a ciò la capacità del defunto Pleyel fa fede abbastanza della bontà di questo meccanismo, purché la parte artistica sia ben nita.¹³

¹¹ Vedi Giulio Fratini, Relazione conclusiva di restauro / Pianoforte a tavolo Luigi Ho er / Venezia 1809, 2015.

Documento gentilmente fornitomi dal restauratore Giulio Fratini, che ringrazio. ¹² Chopin e il suono di Pleyel. Arte e musica nella Parigi romantica, a cura di Florence Gétreau, Briosco (MB),

Villa Medici Giulini, 2010, in particolare i contributi di Christopher Clarke, Grant O’Brien, Giovanni

Paolo Di Stefano. ¹³ Giacomo Ferdinando Sievers, Il Pianoforte. Guida pratica per costruttori, accordatori, dilettanti e professori di pianoforti, Napoli, Stabilimento Tipogra co Ghio, 1868, p. 187. Sui pianoforti Pleyel a Napoli nell’Ottocento, mi sia consentito segnalare il mio saggio Francesco Nocerino, Pianoforti Pleyel a Napoli, in corso di pubblicazione.

In aggiunta al commento di Sievers, occorre rilevare che questo sistema, il quale prevede la presenza dello spingitore e, quindi, dello scappamento sul tasto, favorisce la prontezza e al tempo stesso l’accuratezza nella risposta dei martelletti al tocco del pianista.

Figura 5: Meccanismo Pleyel (Giacomo Ferdinando Sievers, Il Pianoforte […] cit., Napoli, 1868).

I pianoforti Pleyel, meticolosamente curati in ogni particolare, o rivano un’eleganza e una ricercatezza che consentiva al tocco un ampio ventaglio di sfumature, rendendoli ben cari anche a Rossini, nonostante amasse de nire se stesso, sornionamente, «pianiste de la quatrième classe».

Dalle notizie d’archivio ricavabili dai registri della maison Pleyel-Wol , attualmente conservati al Musée de la Musique di Parigi¹4 e attualmente messi online, risulta che Rossini fosse l’acquirente di vari pianoforti a coda Pleyel nel periodo tra il 1832 e il 1844. I numeri seriali di questi strumenti sono 2362, 10965, 10966 e 11695.

¹4 Per approfondimenti Giovanni Paolo Di Stefano, Gli strumenti musicali di Palazzo Mirto. Storia, tecnologia, restauro, Palermo, Regione Siciliana, 2011, pp. 64-83; René Beaupain, Chronologie des pianos de la maison Pleyel, Paris, L’Harmattan, 2000; Christopher Clarke, I pianoforti di Pleyel all’epoca di Chopin a

Parigi: caratteristiche nella produzione di pianoforti del periodo, in Getreau, Chopin e il suono di Pleyel cit., pp. 212-255 e Andrea Malvano, Érard Versus Pleyel. Liszt e Chopin rispecchiati dai loro pianoforti, «Nuova

Rivista Musicale Italiana» 2, 2011, pp. 157-172.

Figura 6: Registri di vendita Pleyel, Pianoforti a coda numeri seriali 2362, 10965, 10966, 11695, Parigi, anni 1832 e 1846.

Mentre si sono perse le tracce del pianoforte Pleyel con numero seriale 2362, un pianoforte verticale acquistato nel 1832 a Parigi, e di quello con numero 10965, un pianoforte a coda acquistato a Bologna assieme all’esemplare 10966, gli altri due pianoforti a coda Pleyel acquistati da Rossini e inviati a Bologna sono ancora presenti in Italia e, di recente, accuratamente restaurati. Quello identi cabile col numero seriale 10966, ¹5 fu acquistato nel 1844 e adesso appartiene al Museo Civico di Bibliogra a Musicale di Bologna e l’altro, col numero seriale 11695, acquistato nel 1846, oggi appartiene alla collezione privata del musicista e studioso Flavio Ponzi di Bologna. Grazie a questi due magni ci strumenti è possibile oggi costatare direttamente il gusto e la qualità delle scelte del musicista pesarese nella sua produzione pianistica di ne carriera.

Un ultimo strumento Pleyel riguardante Rossini è contrassegnato con il numero di serie 36445: un pianoforte a coda in palissandro, realizzato presso la fabbrica nel maggio del 1864¹6 che, nei registri della ditta, risulta venduto a “G. Rossini”, Parigi, per 2100 franchi; lo strumento però, è segnato in uscita il 9 maggio 1869, a morte già avvenuta del compositore (13 novembre 1868) e, quindi, mai consegnato al musicista. Questo dato, riportato nei registri di fabbricazione della Pleyel, è contrassegnato da una “R” che indica repris, ossia restituito (riportato) al deposito di fabbrica per essere venduto come strumento d’occasione.

¹5 Flavio Ponzi, Il suono pianistico rossiniano: la tipologia Pleyel, in Viaggio a Rossini, a cura di Luigi Ferrari,

Bologna, Nuova Alfa, 1992, pp. 150-165. ¹6 Cfr. Ivi, p. 157, dov’è citato un pianoforte Pleyel dello stesso anno, appartenente a una collezione privata di Pesaro.

Figura 7: Registri di fabbricazione Pleyel, Pianoforte a coda numero seriale 36445, in uscita il 9 Maggio 1869 per Gioachino Rossini, Parigi.

Un evento editoriale, in ne, lega il nome di Rossini al pianoforte; infatti, un interessante e poco conosciuto libretto della prima metà dell’Ottocento, destinato alla manutenzione del pianoforte, fu dedicato a Gioachino Rossini, quando era ancora nel pieno della sua folgorante e fulgida carriera di operista. Si tratta del Manuel simpli é | de l’accordeur | ou | L’art d’accorder les pianos mis à la portée de tout le monde di Giorgio Armellino,¹7 un testo pubblicato a seguito della sempre maggiore di usione nell’Ottocento del pianoforte,¹8 uscito nel 1834 in francese presso la casa editrice Roret di Parigi. Questo piccolo libro desta alcune perplessità già a una prima scorsa, poiché appare davvero strana l’assenza del cognome dell’autore, che si rma solamente M. Giorgio di Roma | Professeur, sia in copertina, sia nella dedica. Il nome dell’autore, Giorgio Armellino, apparirà solo in una successiva edizione del 1855, laddove, invece, sparirà la quali ca di professore, pur permanendo la dedica all’illustre Rossini.¹9 Suscita curiosità a riguardo, inoltre, che vi sia una succinta pubblicazione proprio nello stesso anno 1834 a Parigi di poche pagine dal titolo Abrégé de l’art d’accorder soi-même son piano, déduit des principes rigoureux de l’acoustique et de l’harmonie da parte di Claude Montal, noto accordatore e costruttore di pianoforti, autore, un paio d’anni dopo, di un ben più poderoso e notevole libro su L’Art d’accorder soi-même son piano. In quest’ultimo libro, Claude Montal, pur senza farne il nome, ma citando solo un certo “Monsieur Giorgio”, critica chiaramente il testo di Armellino, manifestando un atteggiamento cattedratico tale da far ipotizzare che Giorgio Armellino possa essere stato un suo allievo.²0

Seppur lo si possa accusare di essere un vero e proprio plagio, il testo di Giorgio Armel-

¹7 [Giorgio Armellino], Manuel simpli e de l’accordeur, ou l’art d’accorder le piano mis a la portee de tout le monde | par Giorgio di Roma, Paris, De Roret, 1834. ¹8 Tra le prime pubblicazioni in francese Alexandre Loüet, Instructions théoriques et pratiques sur l’accord du pianoforte, Paris, Le Duc, 1797-1800; Armand François Nicolas Blanchet, Méthode abrégée pour accorder le clavecin et le fortepiano, avec gures, Parigi, Lacloye, [1800]; Pierre Jean Jobert Lasalette,

Lettre sur une nouvelle manière d’accorder les forte-pianos, Parigi, chez Goujon libraire rue du Bacq n. 33, 1808. ¹9 Giorgio Armellino, Manuel simpli é de l’accordeur, ou L’art d’accorder les pianos mis à la portée de tout le monde, Paris, à la Librairie encyclopédique de Roret, 1855. ²0 Claude Montal, L’art d’accorder soi-même son piano, Paris, Jules Meissonnier, 1836, p. X.

lino, non solo conobbe un’altra edizione nel 1855, ma fu anche tradotto in spagnolo e in tedesco, ottenendo un ampio successo. Nell’edizione del 1855, oltre ad emendare errori e refusi dell’edizione del 1834, l’autore ampliò il proprio lavoro, ero del successo ottenuto, non citando però mai Claude Montal, e spiegando (excusatio non petita?) che il suo primo libro era nato a seguito di uno scambio epistolare con un artista di provincia che gli chiedeva consigli.²¹

Sia Montal sia Armellino furono convinti assertori del temperamento equabile e della necessità di stabilire un unico diapason su basi scienti che. In particolare Montal fu in contatto con Charles Cagniard de Latour, inventore della sirena di Cagniard de Latour, che consentiva di poter stabilire il numero di vibrazioni di un determinato suono. L’accordatore Giorgio Armellino ovviamente conosceva sia i pianoforti Érard, sia quelli Pleyel, prodotti dalle due principali ditte francesi: infatti, in modo paradigmatico, quando nel suo manuale inserisce la ra gurazione di due pianoforti tavolino, rappresenta un “Érard 1790”, come esempio di pianoforte antico e un “Playel 1843” (sic, recte Pleyel 1843), come esempio di pianoforte moderno.

Figura 8: Erard 1790 (Giorgio Armellino, Manuel simpli é de l’accordeur. […], cit., Parigi, 1855).

²¹ Armellino, Manuel simpli é (1855) cit., pp. 7-8.

Figura 9: Pleyel 1843 (Giorgio Armellino, Manuel simpli é de l’accordeur. […], cit., Parigi, 1855).

Quasi certamente a Parigi, dove il maestro pesarese trascorse molti anni della sua vita, Giorgio Armellino conobbe Gioachino Rossini e, sfruttando le sue origini italiane (nella sua prima opera a noi nota si rma “Giorgio di Roma”), seppe ottenere quel consenso per la dedica che certamente favorì le vendite e il successo del suo libro:

²² Ivi, p. 5 AL SIGNOR MAESTRO ROSSINI Monsieur, En acceptant la dédicace du Manuel de l’Accordeur, vous avez comblé le plus fervent de mes voeux; permettez que je vous en témoigne ma vive reconnaissance. Votre tout dévoué serviteur, Giorgio ARMELLINO.²²

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