Il nuovo Codice Antimafia: novitĂ , sfide e rischi Convegno svoltosi il 21 novembre 2017, presso Unipol Banca sala auditorium, piazza della Costituzione 2, Bologna.
ATTI DEI RELATORI: Prof. Avv. Vittorio Manes Ordinario di Diritto Penale, UniversitĂ di Bologna Dott. Nello Rossi Avvocato generale presso la Corte di Cassazione Componente del Direttivo della Scuola Superiore di Magistratura
Prof. Avv. Vittorio Manes Ordinario di Diritto Penale, Università di Bologna 1. Considerazioni sulla riforma del Codice antimafia Uno dei punti che ha fatto maggiormente discutere della riforma del codice antimafia operata dalla l. n. 161 del 2017 è sicuramente l’estensione delle misure di prevenzione anche a reati diversi da quelli riferibili al fenomeno “mafioso”, o forme di criminalità tradizionalmente ritenute indice di particolare pericolosità sociale: l’estensione, in particolare, ai reati contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione, ma non solo), salutata con favore - nonostante le diffuse critiche - anche sulla base di argomentazioni e di ragioni politco-criminali piuttosto discutibili. Sul tema dell’antimafia in generale, e della riforma del c.d. codice antimafia, ci sono parecchi fraintendimenti, e soprattutto non si è colto quanto questa normativa - che non è affatto settoriale, né periferica - interessi chiunque eserciti l’impresa e più in generale chiunque abbia a cuore i confini dello Stato di diritto. Come si sa, il c.d. codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011) contempla tutta una serie di misure preventive che, sulla base di alcuni indici non di prova, ma di mero sospetto, possono essere attivate, richieste ed ottenute su iniziativa della magistratura, ma anche di organi amministrativi come la prefettura. Con la recente riforma si propone a pieno titolo un regime che non è più eccezionale, ma diventa la regola: l’estensione delle misure di prevenzione anche all’universo della criminalità dei colletti bianchi (white collar crimes) significa che ormai si è in qualche modo abbandonato l’universo dei marginali (gli “oziosi e i vagabondi”) o dei fenomeni di emergenza (terrorismo e mafia) per estendere questo “sotto-sistema penale di polizia” alla criminalità comune.
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2. L’origine delle misure di prevenzione e la loro evoluzione Le misure di prevenzione hanno una storia risalente. In estrema sintesi, prendono piede nell’Ottocento come misure contro fenomeni di devianza sociale come il brigantaggio, poi vengono reiterate durante l’esperienza del fascismo contro determinate categorie di persone ritenute socialmente scomode, come gli oziosi, i vagabondi, ma anche gli oppositori politici; poi vengono per la prima volta estese all’universo del crimine organizzato intorno agli anni 60, e di lì vengono trapiantate nel sistema, come strumento di contrasto eccezionale a fenomeni emergenziali. L’esperienza degli anni di piombo e del terrorismo in qualche modo le elegge a strumento principale di contrasto di questi fenomeni poiché si radicano nel sistema e il sistema stesso non riesce più a farne a meno, ed è un radicamento che in qualche modo registra una progressiva espansione. In sostanza, le misure di prevenzione storicamente sono strumenti che intervengono dove non possono essere applicate meccanismi sanzionatori propriamente penali, cioè dove mancano i presupposti applicativi per una fattispecie di reato, perché non se ne raggiunge la prova, non a caso si parla di misure ante o praeter delictum, e sarebbe meglio dire praeter probationem delicti, cioè senza che sia raggiunta “al di là di ogni ragionevole dubbio” - la prova di un crimine. Dove non si raggiungono questi standard garantistici interviene la prevenzione, questa sorta di strumentario di polizia che oggi è ospitato nel codice antimafia. Ma vi è di più. Nell’ulteriore ipotesi in cui non si raggiungano i presupposti applicativi di una misura di prevenzione (nel caso in cui questa sia stata proposta e non convalidata dal Giudice) possono essere comunque applicate, in via suppletiva e sussidiaria misure come l’amministrazione giudiziaria o la “famigerata” misura della c.d. interdittiva antimafia, che non a caso, non è agganciata ad una sentenza di condanna o ad una misura di prevenzione, ma può essere semplicemente collegata ad un mero rinvio a giudizio per un determinato reato considerato “reato-spia” dell’infiltrazione mafiosa o ad un’informativa di Polizia emessa da un’autorità amministrativa come il Prefetto, quindi persino senza le 4
garanzie di giurisdizionalità tipiche del settore penale. Questa disciplina ha due ricadute fondamentali: la prima è che essendo agganciata a dei presupposti particolarmente vaghi ed indeterminati crea un profondo disorientamento nel mondo delle imprese che risponde, generalmente, attivando forme di compliance difensive, cioè una compliance spesso solo di facciata che viene utilizzata perlomeno per dimostrare che qualcosa si è fatto; ma la seconda ricaduta è ancora più grave perché ognuna di queste normative così vaghe, generiche e dalla portata applicativa “incalcolabile”, potendo avere una applicabilità ubiquitaria, crea un rischio di compressione o di vero e proprio “congelamento” - il c.d. chilling effect - dei diritti sottostanti, nel caso di specie anzitutto il libero esercizio dell’impresa . Questi diritti vengono congelati e bloccati perché si è sempre sotto una specie di controllo extra ordinem, o una spada di Damocle di un possibile intervento giudiziario o amministrativo, e basta un solo “sospetto” per entrare sotto il raggio di incidenza della prevenzione. 3. L’estensione dei presupposti applicativi delle misure interdittive
La nuova lettera I bis dell’articolo 4 d.lgs. n. 159 del 2011 - uno dei punti salienti della recente riforma del c.d. codice antimafia - come accennato estende le misure di prevenzione ai reati contro la pubblica amministrazione, in modo tale che due universi che non dovrebbero avere nulla a che fare vengono assimilati e di fatto equiparati nella disciplina normativa: quello della criminalità “nera”, del crimine organizzato di stampo mafioso, che è contrassegnato da note di pericolosità specifica (tali da giustificare eccezionalmente, secondo la nostra Corte costituzionale, misure preventive compressive dei diritti fondamentali) e quello della criminalità “bianca” (la c.d. criminalità white collar) che però non presenta analoghi indici di pericolosità specifica, e che non è assistita da una presunzione di pericolosità empiricamente fondata. E quindi, visto che oggi la semplice sottoposizione ad indagine per un reato tra quelli previsti dagli articoli 314 e 322 del codice penale (quindi tutte le fattispecie principali dei reati contro la pubblica am5
ministrazione), può determinare gravosissime conseguenze sulla sola base del fatto che sia contestata anche la figura associativa, l’associazione per delinquere (art. 416 c.p.) che, come noto, è una contestazione che molto spesso accompagna l’inizio di un procedimento e che poi fatalmente cade, ma con la conseguenza che se oggi quella contestazione iniziale cade lo stesso Pubblico Ministero, che si è visto crollare il suo castello accusatorio in punto di associazione per delinquere, potrà poi chiedere magari una misura di prevenzione. Breve: dove non è arrivato il diritto penale può arrivare il sottosistema di pulizia della prevenzione. Se poi ci misuriamo con l’universo che più ci interessa, cioè quello delle interdittive antimafia, le preoccupazioni diventano persino ulteriori, perché i reati spia a cui sono agganciate le misure cosiddette interdittiva antimafia generica sono reati spia particolarmente blandi. Basti pensare che anche i reati di turbativa d’asta (art. 353-353 bis c.p.) sono considerati significativi indicatori di un’infiltrazione mafiosa, quindi basta anche il rinvio a giudizio per un reato di turbativa d’asta per rendere applicabile l’articolo 84 comma 4, del codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011), facendo scattare una segnalazione che comporta l’estromissione dalla white list. E se si analizzano i presupposti oggi di quei reati che innescano questo meccanismo di congelamento, sono ancor più generici di quelli che determinano le misure di prevenzione. I reati di turbativa d’asta sono dei reati sostanzialmente “ubiquitari”, e l’impressione al cospetto di questi reati è che si tocchi il minimo livello di tipizzazione e di sforzo di determinatezza presente nel codice penale. Ad esempio, la condotta di collusione, che è una delle condotte tipiche a cui fa riferimento l’articolo 353 c.p., talvolta viene ravvisata anche sulla base o in presenza di un mero collegamento formale tra imprese, o persino in presenza di un collegamento sostanziale tra imprese: in altri termini, se un’impresa partecipa ad una gara avendo già partecipato ad un precedente progetto imprenditoriale (ad esempio, un project financing) con un’altra impresa concorrente, che poi partecipa autonomamente alla seconda gara, quel collegamento formale o anche solo sostanziale può essere travisato come indice di collusione. 6
L’impressione, insomma, è che questo sia un presupposto del tutto indeterminato, che però può far scattare delle conseguenze particolarmente gravi per il mondo delle imprese. Se è così, che significato assume l’approvazione delle modifiche al codice antimafia, che non è solo restyling, perché contiene modifiche molto sostanziali? Segna la reviviscenza di un modello, quello della prevenzione penale, che si pensava di aver dimenticato o nascosto sotto il tappeto delle critiche: un modello che è stato un idolo polemico per molti penalisti di tradizione liberale negli anni ’70, che hanno condotto una battaglia molto forte sul fronte costituzionale, e che oggi riprende massimo fulgore, anzi raggiunge il proprio apogeo. Mi limito a sottolineare che questa scelta di campo dell’ordinamento penale segna però anche il limite attuale dei confini dello Stato di diritto, perché lo Stato di diritto e i confini delle libertà costituzionali non si misurano sul massimo delle garanzie previste dal sistema, ma si misurano sui presupposti minimi che consentono - per riprendere l’immagine del giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo Pinto de Albuquerque - di “entrare sotto il radar della giustizia penale”. E oggi questi presupposti sono talmente vacui, vani, evanescenti, diafani, da essere sostanzialmente affidati ad una discrezionalità giudiziaria amplissima. Al riguardo, già la nostra Corte costituzionale, in una sentenza luminosa del 1980 (n. 177), ma purtroppo rimasta isolata, aveva data un chiaro “avviso ai naviganti”, dichiarando l’illegittimità costituzionale della misura di prevenzione del c.d. proclive a delinquere, in ragione del fatto che tale misura - non essendovi una fattispecie legale predefinita - conferiva al giudice una sorta di “delega in bianco”; più di recente, la Corte europea dei diritti dell’uomo, in un caso riguardante proprio l’Italia, la sentenza De Tommaso contro Italia (Corte EDU, GC, 23 febbraio 2017) ha letteralmente suonato l’allarme, affermando che il sistema della prevenzione personale e patrimoniale italiano non rispetta i requisiti qualitativi della legalità - e di prevedibilità - imposti dalla Convenzione europea dei diritti e da un sistema basato sulla prééminence du droit. Ora, tanto l’avviso della Corte costituzionale quanto il monito 7
della Corte europea - che a molti è sembrato particolarmente chiaro e vibrante - è stato evidentemente inascoltato dalla riforma del codice antimafia, e il legislatore ha varato una disciplina ancora più estensiva di prima, con una sorta di perseverare diabolicum. 4. Considerazioni finali Ora, che strumenti ha il giurista di fronte ad una simile normativa? Il giurista che abbia a cuore i principi costituzionali e convenzionali può imboccare due strade, la prima è quella di tentare di interpretare la normativa attuale in una chiave per quanto possibile conforme a Costituzione, cioè tentare di rileggerla in una dimensione tipizzante, tassativizzante, proprio come hanno fatto, di recente, le Sezioni Unite nella sentenza Paternò, appunto reinterpretando una disposizione del codice antimafia in una dimensione costituzionalmente compatibile; o come ha fatto recentemente il Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia (Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, 12 aprile 2017, n. 00964/2016 Reg. Ric.), di fronte ad un’interdittiva antimafia, rileggendo in chiave costituzionale i presupposti per cui la semplice parentela con un mafioso (o il rapporto di mera cointeressenza economica) non poteva essere considerato un indice di “mafiosità in sé”. La seconda strada - ove sia impercorribile un adeguamento interpretativo - è quella di invocare l’intervento della Corte costituzionale: come ha fatto la Corte d’Appello di Napoli - dunque in un contesto geografico dove le misure di prevenzione sono ben conosciute ed applicate -, che ha appunto sollecitato l’intervento del giudice delle leggi ritenendo che - dopo la citata decisione della Corte EDU, De Tommaso contro Italia - l’intero sistema della prevenzione fosse da ritenere convenzionalmente discutibile, e dunque costituzionalmente illegittimo. La strada da percorrere si limita a questo dilemma: tertium non datur. Infatti, la terza via significherebbe accettare supinamente e acriticamente il sistema normativo attuale: un sistema che può aprirsi 8
ad interpretazioni talmente illiberali ed esasperate da ricordare molto da vicino - come ha evidenziato il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana appena citata - “il sistema su cui, in un non recente passato, si fondava l’inquisizione medievale (che, com’è noto, fu un meccanismo di distruzione di soggetti scomodi e non di soggetti delinquenti”: Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, 12 aprile 2017, cit.., § 1.4.1.6).
Avv. Nello Rossi Avvocato generale Corte di cassazione Componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura 1. Un’iniziativa tempestiva ed ambiziosa L’iniziativa di questo incontro è estremamente tempestiva perché ci invita a discutere la legge n. 161 del 17 ottobre 2017, entrata in vigore il 19 novembre 2017, cioè solo due giorni fa. Al tempo stesso è una occasione di riflessione ambiziosa, perché riguarda l’intero codice antimafia. Codice che esce profondamente trasformato dalla recentissima legge n. 161 che, con la tecnica della novellazione, è intervenuta su molteplici aspetti della legislazione antimafia ed ha inoltre introdotto modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale, conferendo anche una delega al governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate. In sostanza la nuova legge tocca, innovando, quasi tutti gli ambiti della legislazione antimafia: a. la disciplina delle misure di prevenzione personali e patrimoniali ed i loro destinatari; b. il procedimento di applicazione di tali misure e le garanzie procedimentali dei soggetti proposti per la loro applicazione; c. il regime delle impugnazioni dei provvedimenti adottati; d. l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati; 9
e. le misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca (la cauzione, l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche, il controllo giudiziario delle aziende); f. sistema di tutela dei terzi coinvolti nei procedimenti di applicazione dei sequestri e delle confische perché titolari di diritti sui beni sequestrati o confiscati. Un “vasto programma”, dunque. Un complesso di norme di diritto sostanziale e procedurale che, riguardate nel loro insieme, accentuano una tendenza già in atto nel nostro ordinamento: le misure di prevenzione non sono più un capitolo minore, collaterale, del sistema penale ma costituiscono un corposo e complesso sottosistema o sistema parallelo, con le sue regole, le sue procedure, la sua giurisprudenza, i suoi giudici specializzati ed i suoi specialisti. Non c’è dubbio che una legge così complessa e così discussa e contrastata richiederà un lungo lavoro di studio e di ricerca delle più corrette ed adeguate interpretazioni ad opera dei giudici. Ed è altrettanto facile prevedere che, in più di un caso, potrà essere chiamata ad intervenire, all’esito dei giudizi in sede nazionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo che più volte è stata chiamata ad occuparsi della disciplina italiana delle misure di prevenzione. 2. L’ambito del mio intervento: alcuni aspetti della nuova disciplina che hanno un più diretto ed immediato interesse per gli operatori economici Per parte mia dico subito che affronterò, solo per brevi flash, due specifici aspetti della nuova normativa che possono avere un più diretto interesse per una platea di operatori economici. In primo luogo l’allargamento, ad opera della nuova legge, dell’area dei destinatari delle misure di prevenzione patrimoniale, che ha sollevato polemiche non solo in sede politica ma anche tra i giuristi e suscita preoccupazioni e inquietudini nel mondo economico. Inoltre, la disciplina delle particolari misure riguardanti la vita e l’attività delle imprese ed in particolare gli istituti del10
la “amministrazione giudiziaria” e del “controllo giudiziario” delle aziende a vario titolo implicate nelle procedure di prevenzione. 3. Interrogativi di fondo sul sistema delle misure di prevenzione Prima di esaminare questi aspetti specifici permettetemi, però, una breve considerazione di ordine generale sul sistema delle misure di prevenzione personali e patrimoniali e sul suo possibile futuro. Tutte le volte che si affrontano questioni riguardanti tali misure - anche le questioni più minute e marginali o quelle nelle quali le tecnicalità sembrano predominanti - sullo sfondo aleggiano sempre alcuni interrogativi di fondo. Queste misure rappresentano un arcaismo, una sopravvivenza del nostro ordinamento o sono una peculiarità, del nostro sistema che ha un futuro ed è in grado di svolgere una funzione utile e addirittura preziosa nel contrasto di specifiche realtà criminali? In altri termini, siamo di fronte al retaggio di un passato lungo e duro a morire, frutto di una storia risalente dipanatasi attraverso le profonde modificazioni subite dalle misure di prevenzione nei passaggi dallo Stato borghese classico allo Stato fascista fino allo Stato democratico? Oppure è realistico perseguire l’obiettivo di una interpretazione “moderna” di questi strumenti giuridici che ne garantisca la perdurante efficacia rendendoli compatibili con i principi della Costituzione e della Carta europea dei diritti dell’uomo e più in generale con l’assetto dello Stato democratico di diritto? Una duplice verifica, dunque, di efficacia e di coerenza con i principi. Sono questi i due poli ai quali ancorare e su cui concentrare la discussione pubblica ed il confronto tecnico. Sapendo che gli interrogativi sulla sorte e sul futuro possibile delle misure di prevenzione interpellano “tutti” gli attori della scena istituzionale. Il legislatore, naturalmente, ma anche i giudici specializzati e le Corti supreme, nel loro serrato dialogo e nelle loro interazioni, oltre agli organi dell’esecutivo investiti del compito di promuoverne l’attuazione e di verificarne l’osservanza. Ed operando con la consapevolezza che “efficacia” e “rispondenza ai 11
principi” sono due facce della stessa medaglia. Non si può difendere, nel lungo periodo, l’efficacia di misure che appaiano in contrasto con i principi fondanti del nostro assetto democratico e del nostro sistema giudiziario. Esiste in questo campo una “efficacia” sostenibile che è l’unica a garantire il futuro dei mezzi di contrasto della criminalità. Ora, la mia opinione è che - nel tentare di dare risposte alle domande poste e nell’effettuare la duplice verifica di “efficacia” e di “compatibilità con i principi” - occorre esercitare l’arte della distinzione. In particolare tra misure di prevenzione personali e patrimoniali. Nella prospettiva che le prime - le misure personali - sembrano destinate ad un più o meno rapido decadimento, mentre le seconde - le misure patrimoniali - se gestite con oculatezza possono ancora esercitare una funzione significativa nel contrasto della criminalità mafiosa e della grande criminalità economica dei colletti bianchi. Anche in questa prospettiva “differenziata” il legislatore, come tenterò di argomentare, deve però muoversi con estrema cautela, non trasformando il procedimento di prevenzione in una sorta di improprio surrogato di un processo penale ridotto alla impotenza e sapendo che la certezza dei property rights resta una componente essenziale di un sistema economico dinamico e capace di crescita. 4. L’allargamento dell’area dei destinatari delle misure di prevenzione al di là dell’area della criminalità mafiosa A mio avviso non vi è stata adeguata cautela nell’allargamento dell’area dei destinatari delle misure di prevenzione al di là della sfera della criminalità mafiosa per così dire “classica”. Come è noto la nuova legge amplia il novero dei soggetti che possono essere colpiti dalle misure di prevenzione ben oltre il confine storico e giuridico segnato dalla criminalità di stampo mafioso. Tra i destinatari delle misure di prevenzione rientrano ora – tra gli altri – accanto ai sospettati di attività connesse a mafia e terrorismo anche gli “indiziati” di associazione a delinquere per il compimento di reati contro la pubblica amministrazione, gli “indiziati” del reato di truffa per il 12
conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis cod.pen.), gli “indiziati” del reato di cui all’art. 418 cod. pen. (assistenza ai membri di associazioni a delinquere) e del reato di stalking (art. 612 bis cod.pen.). Su questa estensione della “prevenzione” alla sfera dei reati amministrativi vi sono state, come è noto, molte polemiche. Dubbi, perplessità, dissensi sono stati espressi sulla stampa quotidiana da politici, giuristi ed operatori del diritto – Canzio, Cassese, Cantone, Manes, Nordio, e molti altri, tra cui chi vi parla - non sospettabili di simpatie o di indulgenza nei confronti dei responsabili di reati contro la pubblica amministrazione o degli autori degli altri reati ricompresi nell’elenco di cui ho detto. Il punto centrale è che le nuove norme consentono l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale estremamente incisive – sequestri e confische di prevenzione – a soggetti che sono solo “indiziati” della commissione dei reati ricompresi nell’elencazione legislativa. Lo standard probatorio è dunque notevolmente inferiore a quello proprio del processo penale e della condanna in tale processo che può essere adottata solo quando la responsabilità penale sia accertata al di là di ogni ragionevole dubbio. Di più. A differenza di quanto avviene nell’ambito della criminalità di stampo mafioso nel quale l’esistenza e la struttura delle varie associazioni criminali – Cosa Nostra, Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita - sono un dato certo, comprovato da una lunga serie di processi (così che ciò che viene accertato sulla base di indizi è solo la partecipazione di un soggetto a queste organizzazioni criminali) nel nuovo contesto sarà “indiziario” anche l’accertamento dell’associazione criminosa finalizzata alla corruzione o al compimento di altri reati contro la pubblica amministrazione. Duplice valutazione indiziaria, dunque. Sulla esistenza della associazione e sulla partecipazione ad essa. E noi sappiamo per esperienza che nel nostro paese non sono mancati i casi nei quali la contestazione del reato associativo nella fase delle indagini preliminari è avvenuta in maniera discutibile e approssimativa. Misure straordinariamente incisive - e talora distruttive - di beni o di attività imprenditoriali come i sequestri di prevenzione potranno essere applicate, prima e senza un processo penale, mentre nel processo penale 13
il nostro ordinamento reclama uno standard probatorio estremamente elevato anche per la condanna dei responsabili di reati di modesta entità. 5. Impunità per i colletti bianchi? Nel sollevare queste perplessità sulle nuove norme ci si iscrive necessariamente al partito della sostanziale impunità per i criminali in guanti bianchi o di coloro che mettono la tutela della proprietà al primo posto rispetto ad altri valori di rango superiore nella gerarchia costituzionale? Non lo credo affatto. L’immunità da misure di prevenzione per i criminali in colletto bianco era già esclusa dal regime delle misure di prevenzione patrimoniali anteriore alla recente modifica. L’art. 4 del d.lgs. n. 159 del 2011 consentiva - e consente - l’adozione delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti delle persone dedite a traffici delittuosi che vivono abitualmente, anche in parte, col provento di attività delittuose, cioè di coloro che hanno fatto del crimine, anche economico o amministrativo, la fonte principale dei loro guadagni illeciti. Si tratta di una norma inapplicata? Niente affatto. Un solo esempio. La Procura di Roma ha chiesto ed ottenuto l’applicazione delle misure di prevenzione nei confronti di protagonisti di condotte corruttive saliti alla ribalta delle cronache giudiziarie per una impressionante serie di fatti corruttivi alcuni (minori) già oggetto di condanna ed altri (i più gravi) ancora in attesa di definizione processuale o prescritti. In questi casi è stata possibile la ricostruzione di un intero percorso criminale ed è stata dimostrata l’abitualità della dedizione a traffici illeciti. Ma proprio questa dimostrazione ampia e complessa ha messo a mio avviso al riparo da procedimenti affrettati o discutibili e dalle insidie di un procedimento di prevenzione di carattere indiziario. Si è trattato infatti di casi per così dire “autoevidenti” e indiscutibili, nei quali i dubbi sul carattere indiziario degli accertamenti sono stati vinti dalla dimostrazione della sistematicità delle condotte, alcune delle quali accertate sulla base di indizi. 14
Con la nuova normativa, invece, la dimensione dell’abitualità non è più necessaria, con la conseguenza che lo standard degli accertamenti si abbassa notevolmente e si entra in una terra dai confini labili ed incerti. 6. Riflessioni della politica Nel dibattito che ha accompagnato e seguito l’approvazione delle nuove norme, la Presidente della Commissione antimafia, on.le. Rosy Bindi, ha rivendicato il garantismo del nuovo codice antimafia. Ed il Ministro della Giustizia, on.le Orlando, ha lamentato l’esistenza di sensibilità troppo acute quando viene in gioco il diritto di proprietà. Ora è vero che le garanzie procedurali relative all’applicazione ed al controllo di legittimità delle misure di prevenzione sono accresciute dalla nuova legge. Ma ciò avviene nell’ambito di un procedimento in cui il metro di valutazione resta indiziario. Allo stesso tempo è indiscutibile che la proprietà privata possa essere incisa e limitata dal legislatore come previsto dalla Costituzione Ma essa non può né deve essere soggetta a limitazioni incerte, indeterminate, imprevedibili e non contrastabili in maniera adeguata ed efficace perché questo può avere effetti paralizzanti sul sistema economico nel suo complesso. In un libro recente, intitolato “Why Nations Fail?”, gli autori hanno messo in luce come tra le condizioni dei sistemi economici “inclusivi”, che nella storia umana hanno avuto successo, si iscrivano di pieno diritto la stabilità politica che deriva da organizzazioni statuali forti e legittimate, una politica attenta a distribuire equamente tra i cittadini i frutti della crescita economica e ad incentivare la loro libertà di scelta dell’impiego, ma anche solide e certe garanzie dei property rights, siano essi i diritti di proprietà tradizionali o i diritti sulle opere dell’ingegno. In sintesi, mettendo da parte i toni delle polemiche più accese e rimanendo sul terreno di una valutazione strettamente giuridica, si può dire che di questa estensione non vi era bisogno e che essa è stata realizzata in forme suscettibili di creare incertezza, inquietudini e preoccupazione. Ed è promessa a dir poco sconcertante anche l’impegno - manifestato in sede di discussione parlamentare dai sostenitori dell’allargamento 15
della sfera di applicazione delle misure di prevenzione - di “monitorare” gli effetti della legge in vista di un successivo revirement. Il monitoraggio degli effetti di una legge è di regola una pratica saggia ed avveduta in molti campi, primo tra tutti quello delle innovazioni organizzative nell’amministrazione pubblica. Ma nella materia di cui discutiamo non ci si può affidare fiduciosi alla “sperimentazione” se si considera che già dalla prima applicazione delle nuove norme potranno essere posti in essere sequestri di beni e di imprese dotati di effetti spesso irreversibili e distruttivi soprattutto quando ad essere colpito è un organismo vivente come l’impresa. 7. Le ragioni profonde delle scelte compiute dal legislatore A questo punto è sensato chiedersi perché al codice antimafia viene oggi attribuita questa vis espansiva e perché molti hanno acconsentito alla tendenza dell’ampliamento della sua sfera di applicazione. A mio avviso le ragioni profonde di scelte che personalmente continuo a ritenere discutibili vanno ricercate nello stato del nostro processo penale. Facendo ricorso ad una metafora dal sapore macabro si può dire che il processo penale vigente è oggi paragonabile ad un organismo colpito da un ictus. Le funzioni ordinarie, fisiologiche risultano gravemente danneggiate, paralizzate, interrotte e, per sopravvivere, l’organismo cerca faticosamente di creare nuovi circuiti, nuove funzionalità, nuovi canali. Ma si tratta spesso di surrogati impropri, di alternative imperfette, di percorsi obliqui e tortuosi. Poiché il nostro processo penale è in condizioni di grave e permanente difficoltà e stenta a produrre “esiti” di giustizia, cioè tempestive pronunce di assoluzione o di condanna, e poiché non è alle viste un suo organico ripensamento, il legislatore si illude di realizzare per altra via ciò che il processo penale non garantisce più: rapide ed efficaci forme di contrasto della penetrazione di gravi forme di criminalità nel nostro sistema economico. E lo fa mutuando e trasferendo nel campo della criminalità economicoamministrativa schemi collaudati nel contrasto della criminalità di stam16
po mafioso. Una deviazione dalla via maestra per imboccare una scorciatoia che, per molte ragioni di ordine giuridico ed istituzionale, non sembra destinata a portare lontano. Anche perché le misure di prevenzione sono un “unicum” del nostro ordinamento nel contesto europeo ed internazionale nel quale siamo immersi e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha sino ad ora ritenuto legittime le “nostre” misure di prevenzione in ragione della peculiare emergenza vissuta da aree del paese investite dal fenomeno della criminalità organizzata. Così che non si può dare per scontato che l’ampliamento delle misure di prevenzione al di là dei confini della criminalità organizzata di stampo mafioso possa uscire indenne dal vaglio della CEDU. 8. Amministrazione giudiziaria di attività economiche o aziende e controllo giudiziario Solo pochi cenni su di un altro aspetto delle nuove norme: le modifiche dell’amministrazione giudiziaria di imprese e beni e l’introduzione, in termini innovativi, dell’istituto del controllo giudiziario. Le norme di riferimento sono gli artt. 10 e 11 della nuova legge che modificano l’art. 34 del codice antimafia sull’amministrazione giudiziaria e introducono l’art. 34 bis del codice antimafia che regola l’istituto del controllo giudiziario. Le norme disciplinano interventi diretti: a. sottoporre ad “amministrazione giudiziaria” imprese e beni nei casi in cui sussistano sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle a carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di assoggettamento o condizionamento mafioso o possa agevolare l’attività di persone nei cui confronti è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale; b. ad assoggettare a “controllo giudiziario” (in luogo della amministrazione giudiziaria) nei casi in cui l’agevolazione dell’attività 17
delle persone proposte o soggette a misure di prevenzione conseguente all’esercizio di attività aziendale risulti “occasionale” e sussistano circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose. Nel primo caso vi sarà lo spossessamento dell’impresa, nel secondo un intervento di vigilanza prescrittiva da parte di un commissario giudiziario nominato dal tribunale con il compito di monitorare dall’interno della azienda l’adempimento delle prescrizioni della autorità giudiziaria. La finalità di questi interventi è quella di salvaguardare il patrimonio di mezzi ed uomini dell’impresa, garantendo nel contempo che le imprese ed i beni non servano di appoggio e di sostegno o come schermo dell’imprenditoria criminale. Anche su questo versante si profila necessario un impegno di verifica tanto dei casi di concreta applicazione degli istituti (ancora una volta su base indiziaria) quanto del funzionamento degli istituti sotto il profilo economico e conservativo del valore delle imprese e dei beni. 9. Considerazioni finali Qualche considerazione finale a conclusione di questo breve intervento. Il nuovo codice antimafia prevede una strumentazione potenzialmente molto invasiva. In particolare esso attribuisce alla magistratura poteri ampi che dovrà sapere esercitare con cautela tanto sul versante delle misure di prevenzione personali quanto sul versante delle misure che incidono sul patrimonio. E ciò al fine di evitare non solo singoli interventi improvvidi (cui spesso sarebbe difficile o impossibile porre rimedio) ma anche un clima di incertezza sulla tutela dei diritti di proprietà, di impresa e di credito, che risulterebbe non meno dannoso per lo sviluppo delle attività economiche. Occorreranno standard di accertamento indiziario elevati e scrupolosi ed interventi limitati a casi in cui vi siano chiare evidenze. Una prudenza necessaria a tutela dei cittadini e del corretto svolgimento delle dinamiche economiche ma anche a tutela della stessa magistratura che deve essere consapevole delle reazioni negative che possono derivare da iniziative poco meditate. 18
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