Aspettando il futuro - Controvento Racconti di Incontri

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I giovani e la mancata proiezione di sè

ASPETTANDO IL FUTURO Se

chiedete a un giovane qualunque: “Cosa fai nella vita?â€? o, “Di cosa ti occupi?â€? o, al novello neolaureato “E adesso?â€? (domande, per inciso, da non fare perchĂŠ generatrici di attacchi di panico multipli), la risposta sarĂ la medesima: “Bah, sto cercando, aspetto risposte, non so su cosa concentrarmi...â€? pronunciata vaga e balbettante in tono discendente che diventa sfumato sul letterario finale aperto, con qualche variante di colore dovuta alla tendenza caratteriale del suddetto giovane. C’è quello arrabbiato che si fa portatore di una rabbia generazionale, quello ottimista e speranzoso in un aiuto astrale (il caro e saggio “adda passĂ â€?), il depresso laconico e il multitasking campione nella sperimentazione e rivendita di sĂŠ in tutti i settori del “fattibileâ€? umano. La vecchia battuta morettiana “giro, vedo gente, faccio coseâ€? pare, insomma, arricchitasi di un carico d’ansia considerevole che nessuna posizione yoga o ďŹ ore di Bach può lenire, e si è declinata in forme di sopravvivenza che variano dallo stage rigorosamente non retribuito (o che fornisce un ridicolo rimborso spese pari a somme come 150 euro mensili), al continuo investimento sulla formazione personale passando con agilitĂ di gamba e leggerezza di portafoglio da un master all’altro. Nuove discipline olimpiche si proďŹ lano all’orizzonte: il salto col master e lo stage di resistenza. Una cosa accomuna gli appartenenti alla categoria sempre piĂš ampia e frastagliata dei giovani: la borsetta di mammĂ e l’attesa. Per quanto la dipendenza economica sia fastidiosa e vissuta come senso di colpa nei confronti di chi mantiene qualcuno, è senza dubbio l’attesa il disagio maggiore che attanaglia i giovani oggi. Attesa vissuta come periodo di cui si conosce la data d’inizio, che coincide con

la conclusione degli studi o la scadenza e mancato rinnovo di un contratto lavorativo, ma di cui si ignora la ďŹ ne. Attesa vissuta come momento di ricerca occupazionale che coincide e a volte stride e collima con quella personale, improntata alla considerazione e rivalutazione delle proprie aspettative, capacitĂ e competenze. Il disagio maggiore causato dall’attesa non è tanto la disposizione d’animo con la quale la si vive, che senza dubbio incide parecchio, quanto la mancata visione e proiezione di se stessi nel futuro. In una societĂ e in un momento storico come quello attuale, caratterizzato da estrema difficoltĂ e chiusura del mercato del lavoro, il bombardante messaggio che arriva continuamente ai giovani è quello di non avere un futuro certo, di essere giovani senza futuro. Chi percepisce questo messaggio, di conseguenza, si sente privato non soltanto della possibilitĂ di costruire il proprio futuro ma, addirittura, della proiezione di sĂŠ in avanti: non si è piĂš capaci di vedersi in un domani neanche prossimo, non si riesce a capire che percorso intraprendere poichĂŠ tutto sembra vano e non condurre a nulla, non si riesce a visualizzarsi nel futuro con dinamismo e propositivitĂ , insomma. Anni di discussione hanno permesso di constatare che il pensiero del futuro inuenza fortemente il pensiero presente, o, come ha detto Lacan “è il futuro che inuenza il presente piĂš di quanto il presente non inuenzi il futuroâ€?. Da qui si potrebbe provocatoriamente affermare che la storia non è per nulla assoluta maestra della vita e che l’estetica, intesa come speranza e promessa futura, domina le percezioni e i comportamenti umani.

Il pensiero estetico diventa, dunque, la base di quello etico. Soluzioni univoche o ricette facili per riappropriarsi della proiezione di sĂŠ nel futuro non ci sono, o meglio, occorre che ognuno trovi la propria. Per superare questo momento di disagio e vivere con relativa tranquillitĂ l’attesa che attanaglia, si potrebbe guardare alla realtĂ e a se stessi con occhio critico e depurato da qualsiasi lettura che abbatta l’autostima e scoraggi l’attivitĂ . Si potrebbe, inoltre, riettere attorno al tema della resilienza, la capacitĂ , cioè, di far fronte in maniera positiva all’indecifrabilitĂ e complessitĂ della realtĂ in cui viviamo oggi. La realtà è per sua natura impermanente, non è immobile ma in continuo divenire, evolve e muta di continuo, occorre perciò familiarizzare con questa sua natura e disporre la mente in relazione al cambiamento, prendendone atto come un fenomeno assolutamente normale e naturale con cui relazionarsi. Nell’attesa attiva del proprio futuro, si dovrebbe nutrire ed arricchire di continuo il proprio wishfull thinking, il pensiero desiderante, che, se non in grado di creare in toto la realtĂ , contribuisce senz’altro a costruirla e riempirla di sfumature. Ognuno trovi dunque la sua personale risposta alla riappropriazione della proiezione futura di sĂŠ e non si scoraggi troppo perchĂŠ, per dirla con Ennio Flaiano “Viviamo in un’epoca di transizione: come sempre del resto.â€? Ilaria Mariotti

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