RIVISTA numero 7 Dicembre 2011

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in copertina dettaglio di acquerello della serie: “I funambolari” di Simone Caliò

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direttore responsabile Giuseppe Falzea direttore editoriale Marina Arena redazione Elena De Capua Maria Francesca Faro (caporedattore) Melania Muscianisi Maria Gabriella Trovato Clara Stella Vicari Aversa referenti territoriali Luana Biviano Eleonora Cacopardo Vincenzo Catania Bartolo Doria contributors Simone Caliò Francesco Cardullo Michela De Domenico Domenica Michela Giacobbe Giovanni La Fauci Ondina La Bruto Mario Loteta Mariavalentina Marchetta Orazio Micali Giuseppe Ministeri Francesca Moraci Annunziata Maria Oteri Francesco Parisi Francesca Passalacqua Daniele Passaro Michelangelo Savino Egle Staiti Fabio Todesco Orazio A.C. Truglio

editore Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Messina presidente Giuseppe Falzea vicepresidente vicario Giovanni Lazzari vicepresidente Teresa Altamore vicepresidente Antonino Rotella segretario Daniela De Domenico tesoriere Antonino Milone consiglieri Albo sez. A Giuseppe De Domenico Alessia De Francesco Sergio La Spina Giuseppe Marotta Stefano Milioti Michele Palamara Rosario Sardo Sergio Zappia consigliere Albo sez. B Venera Leto

progetto grafico e impaginazione Maria Francesca Faro Maria Gabriella Trovato Orazio A.C. Truglio editing Maria Francesca Faro

Trimestrale dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Messina Editore Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Messina, via Bartolomeo da Neocastro n.4, 98123 Messina tel. 090 364360 www.archme.it | info@archme.it | rivista@archme.it Iscrizione al registro stampa del Tribunale di Messina n.5/1981 Distribuzione gratuita agli architetti iscritti all’Albo di Messina e provincia, ai Consigli degli Ordini Provinciali degli Architetti e degli Ingegneri d’Italia, ai Consigli Nazionali degli Architetti e degli Ingegneri, agli Enti e alle Amministrazioni interessate ISSN 2039-1390 Sta mp a G ra f o E dit o r s .r.l . Numero 0 7 – 2 0 1 1 , f in it o di s t a mpa re ne l d i c e m b r e 2 0 1 1

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ARCHITETTURA TRA URBANISTICA E ARCHISTAR eventi

editoriali Cari colleghi

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La bellezza di un sì

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Archistar contro urbanistica… o no?

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di Giuseppe Falzea

di Marina Arena

architettura tra urbanistica e archistar

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Archisostenibile 2010

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8 LId’a

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La città delle donne. Otto per infinito

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II workshop “Il territorio oltre lo Stretto”

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Cartoline da altri spazi

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Recensioni

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Cronache dal territorio

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Piano strategico Nebrodi città aperta

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di Vincenzo Giusti

di Maria Teresa Lucarelli - Alessandro Villari

di Gaetano Scarcella

di Antonella Sarlo

Attenti a quei due Intervista a Corvaja e Scoglio

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La costruzione del futuro di Messina

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di Marina Arena – Egle Staiti

di Elena De Capua

di Giovanni La Fauci – Mario Loteta

Trasformazioni nello Stretto

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Barcellona (P.G.)/Barcelona (ES) Questioni di omonimia

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di Maria Francesca Faro

di Bartolo Doria

Destreggiarsi con orgoglio fra le archistar Torino: a piccoli passi e senza troppo rumore

di Francesco Messina – Rosario Andrea Cristelli – Antonello Russo

di Vincenzo Catania

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attività dell’ordine

di Clara Stella Vicari Aversa

rubriche

Architetture immaginate

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Architettura e città

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Mutamenti urbani

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Lo spazio dell’innovazione

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Non è mai troppo tardi

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Paesaggi.network

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Aroundesign

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Cons(v)erv(s)azioni

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Recupero/evoluzione del presente

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Leggere l’architettura

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Architetture del ‘900

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La forza del genio. Correva l’anno…

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di Michela De Domenico

di Francesco Cardullo

di Michelangelo Savino

di Francesca Moraci

di Orazio Micali

di Maria Gabriella Trovato – Orazio A.C. Truglio

di Mariavalentina Marchetta – Ondina La Bruto

di Annunziata Maria Oteri – Fabio Todesco

di Melania Muscianisi

di Francesca Passalacqua

di Domenica Michela Giacobbe

di Francesco De Francesco

Iniziative e concorsi

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Abitare il Mediterraneo Premio internazionale di architettura_terza edizione

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Alvaro Siza a Enna Come “curare” un incontro internazionale

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di Daria Caruso

di Santo Eduardo Di Miceli

… e dintorni

architettura

di Roberta Amirante

Intersections 2010

Cinema, città & dintorni

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Fotografia

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Il visionario

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Pittura e città

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di Giuseppe Ministeri

di Francesco Parisi

di Daniele Passaro

di Simone Caliò

copertina d’artista

Simone Caliò Uno, nessuno, centomila di Lucio Barbera

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[EDITORIALI]

Cari Colleghi Giuseppe Falzea

Cari Colleghi, presentiamo la nuova veste grafica della rivista, progettata ed impaginata da una redazione anch’essa nuova, che adesso ringrazio per la grande professionalità e dedizione dimostrata nel lavoro svolto, come tutti voi potrete apprezzare sfogliando le pagine che seguono. La rivista vede la luce in un momento particolarmente delicato per la nostra professione. Delicato perché sembra che il paese non abbia più bisogno degli architetti. Siamo giunti alla fine di un percorso sbagliato, intrapreso quando abbiamo consentito ad una politica volutamente miope di considerare il fare architettura non prestazione intellettuale ma semplice fornitura di servizi. Quindi non più intellettuali, ma parte piccolissima, finanziariamente insignificante, del grande contenitore dei “fornitori” italiani. Talmente piccoli da avere un potere di contrattazione con le istituzioni pari a zero. Abbiamo speso tempo ed energie per tentare di modificare, durante la fase di formazione, le varie norme che negli ultimi anni sono state elaborate per regolamentare gli affidamenti delle attività di progettazione dei lavori pubblici, senza che mai le nostre azioni, le nostre partecipazioni ai tavoli tecnici istituiti presso Ministeri e Assessorati Regionali abbiano sortito alcun effetto. L’errore lo abbiamo commesso a monte, perché non abbiamo lottato, da subito, per tirare fuori dalla legge sugli appalti, oggi codice dei contratti, le progettazioni, direzioni lavori ed altro. Non abbiamo saputo fare comprendere a chi ci governa che la nostra attività, con la fornitura dei servizi, non c’entra proprio nulla. Adesso la nostra azione deve essere volta a sensibilizzare il legislatore affinchè predisponga un testo legislativo sull’architettura, all’interno del quale venga regolamentato il sistema di affidamento delle progettazioni pubbliche. Un testo che sappia dire che l’architettura sono gli architetti a doverla progettare e realizzare: l’ex Ministro Bondi, durante l’ultimo congresso mondiale di architettura che si è tenuto a Torino un paio di anni fa, ebbe a dire “gli architetti hanno rovinato l’Italia”. Che faccia tosta, lui, rappresentante autorevole di una classe politica che con le norme emanate ha permesso all’ingegnere elettrotecnico o chimico o navale di progettare fabbricati. Gli architetti progettano non più del 10% di ciò che si realizza in Italia: siamo noi ad avere rovinato il paese? La nostra nuova rivista dimostra chi siamo e cosa possiamo dare al paese, se il paese ci mette nelle condizioni di fare il nostro mestiere.

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La bellezza di un sì Marina Arena

Un ‘sì’ è un’affermazione dinamica di volontà. In architettura, nella sua espressione più ampia che arriva fino al progetto etico di una comunità, il ‘sì’ diventa la misura della bellezza che la civitas è in grado di esprimere. È questo un momento in cui la nostra città – attraverso il piano strategico ‘Messina 2020’ e la fase d’avvio del nuovo piano regolatore – sta cercando di costruire le proprie visioni per il futuro non rivolgendosi all’urbanistica degli standard e delle zone omogenee ma a quell’arte civica che fa diventare progetto collettivo le azioni del singolo: e se c’è un progetto, a qualsiasi scala, non può non esserci anche il pensiero dell’architetto. Ma architetto o archistar? L’architetto opera nel quotidiano, più nell’ordinario che nello straordinario, nel bene e nel male è parte integrante del luogo e del suo tessuto sociale e dovrebbe possedere i codici espressivi del genius locale. L’archistar per esistere ha bisogno di un pubblico, la sua opera è spettacolo a prescindere dai contenuti e deve essere immagine riconoscibile. Il problema non è l’archistar, è il suo pubblico inteso come spettatore (quindi passivo) in una fase storica in cui, al di là del singolo manufatto, è un’intera città che ha bisogno di dire ‘sì’, ridisegnando sé stessa. Sarebbe un sì privo di contenuti se cittadini e amministratori si mostrassero incapaci di svestire i panni degli spettatori per diventare attori ossia soggetti attivi con ruoli, compiti e responsabilità. L’opera dell’archistar è un’occasione, a volte un pretesto, può diventare il catalizzatore di buoni progetti o soltanto di buone intenzioni… I ‘sì’ che non si possono dire sono quelli che autorizzano il consumo e lo svilimento del paesaggio, inteso anche e soprattutto come paesaggio urbano, e un contributo in questo senso ci viene dalla ‘Carta dello Stretto di Messina’ documento di sintesi del convegno ‘Paesaggio 150’ svolto dal 5 al 7 ottobre presso la facoltà di architettura di Reggio Calabria. La ‘Carta’ sollecita un atteggiamento più consapevole e partecipativo nei confronti del paesaggio, nella sua pervasività ed essenza di valore comune, e investe sull’educazione (coscienza civile: ‘saper vedere’) e sulla formazione (competenza professionale: ‘saper fare’). In questo scenario la nostra rivista guardando allo specifico disciplinare, ma anche al di là degli steccati, prova a superare un certo meccanicismo che ha legato pensiero e prassi ad ambiti scalari rigidamente fissati che non rispecchiano più la complessità delle interrelazioni presenti nel territorio. Riprendiamo dopo una lunga pausa editoriale, mantenendo il vecchio cuore monografico ma con un’apertura maggiore rispetto al territorio provinciale. Due grandi spazi flessibili ospiteranno tematiche e scale differenti: la sezione Architettura con il tema centrale che caratterizzerà l’approfondimento di ciascun numero e darà anche il titolo di copertina, conterrà eventi e cronache, con una particolare ricchezza espressa all’interno delle rubriche curate da esperti; la sezione …e dintorni accoglierà sguardi ed altri saperi che trasversalmente incrociano l’architettura. Un grazie ai ‘sì’ detti da tutta la redazione (in particolare quello di Francesca Faro), dai referenti territoriali, dai tanti contributors di grande qualità, dal precedente consiglio presieduto da Gaetano Montalto, da Pino Falzea e l’attuale consiglio che hanno confermato e rilanciato il nostro progetto editoriale. Al ‘sì’ di Simone Caliò che generosamente ci ha consentito di inaugurare il sodalizio grafico tra Rivista e artisti messinesi. Ringrazio Peppe Fera, direttore che mi ha preceduto e con il quale è iniziata la mia esperienza all’interno della Rivista. Un ultimo pensiero va alle vittime e agli abitanti dei nostri territori colpiti dal dissesto e dalle alluvioni: da Caronia e San Fratello, a Giampilieri e Scaletta, fino a Barcellona e Saponara. Questo numero è dedicato a loro.

architettura tra urbanistica e archistar

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[EDITORIALI]

Archistar contro urbanistica … o no? Rob e rta Am i ra nte *

Se ne è parlato e se ne parla molto. Di archistar e di urbanistica. I primi trionfano, la seconda è in crisi, una crisi profonda e inarrestabile, si dice. Quanto le due questioni siano tra loro connesse è materia di ulteriori discussioni, con prese di posizione radicali, spesso ispirate e talvolta evidentemente viscerali. Che vanno dalla nostalgia per quel tempo in cui gli uffici urbanistici delle grandi città riuscivano a essere fucine di idee, invece che produttori di chilometri di documenti burocratici, all’esaltazione della ritrovata visionarietà individuale, degli architetti/artisti produttori del nuovo e del meraviglioso. In principio fu Bilbao, verrebbe da dire. Ma da più parti si sostiene che Frank O. Gehry non è affatto il primo archistar, se si accetta la definizione delle studiose (Lo Ricco e Micheli) che il termine archistar lo hanno inventato: “architetto la cui attività non è solamente incentrata sulla progettazione di edifici ma anche sulla divulgazione della propria immagine”. Nell’usare spregiudicatamente la propria architettura per alimentare la propria fama, Le Corbusier ha fatto di più e meglio, dicono (e altri, con qualche semplificazione logica, tornano indietro nel tempo fino a Leon Battista Alberti). Ma nella definizione di archistar spicca la parola immagine. E se risaliamo alla interpretazione di Kenneth Frampton, che usa il termine “architetti mediatici”, cogliamo un elemento rilevante che ci aiuta a chiarire qualche differenza: l’archistar può esistere solo all’interno di un sistema mediatico potente e potentemente ancorato al tema di una nuova bellezza universale costruita sull’idea di immagine. È a partire dallo strapotere dell’immagine che “gli architetti mediatici si spartiscono la parte più interessante del mercato”. È a partire dal culto dell’immagine che gli architetti mediatici entrano a far parte di una rete solida, spietatamente strutturata – oramai a livello planetario: una rete che, con logiche esplicitamente elitarie, è capace di sovrapporre le proprie maglie (e di parlare con voce stentorea) al popolo del mondo. Un popolo che può amarli o odiarli, ammirarli o invidiarli: poco importa; conta solo che esista e reagisca, aderendo al nuovo significato che lo star system impone alla parola pubblico. Ed è qui, forse, nello stravolgimento del senso (e del ruolo) di ciò che è pubblico, che il contrasto con l’urbanistica si fa evidente. Ma è difficile cogliere i connotati reali di questo contrasto se non si capisce “di cosa parliamo quando parliamo di urbanistica”. Maria Grazia Tosi ha titolato così un piccolo ma denso volume (Meltemi, Roma 2006) che raccoglieva molte diverse definizioni di questa complessa parola e ha provato a trovare, di queste, il massimo comun divisore: “Nel loro insieme queste definizioni, pur stabilendo differenze importanti, mi sembra condividano due temi non facilmente separabili tra loro: l’urbanistica come insieme complesso e articolato di azioni e di soggetti che le compiono; il fenomeno urbano come campo con cui l’urbanistica lavora, suo principale oggetto di interesse”. Ma possiamo dire, allora, che il prodotto del lavoro degli archistar è fuori dall’urbanistica? Se si dà per buona questa definizione anche il prodotto del lavoro di un’archistar è il prodotto di un modo di fare urbanistica… fondato su procedure estreme, ma pur sempre interne a quelle che lo strumentario urbanistico mette a disposizione di coloro che hanno il compito di governare; e fondato, soprattutto, su un modo diverso, altrettanto estremo anche se non sempre consapevole ed esplicito, di concepire il fenomeno urbano. Un modo che mette in crisi profondamente le strutture elementari, le forme, le dimensioni, il senso della città nella sua interpretazione configuratasi e consolidatasi nel lungo tempo della modernità. Che poi l’archistar abbia anche dei vantaggi personali e che il suo lavoro sia finalizzato soprattutto ad ampliare quei vantaggi è – da questo punto di vista – cosa secondaria.

*Università degli Studi di Napoli Studi Federico II

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Ma visto che stiamo ragionando, di fatto, sulla condizione post-moderna (e che uno dei tratti fondamentali della condizione post-moderna è che le cose successive non cancellano quelle precedenti, ma vi si sovrappongono solo parzialmente, e per un certo tempo… per cui le cose precedenti riemergono e ritrovano un posto e talvolta si sovrappongono a loro volta a quelle successive …) dire che quella fondata sugli archistar è un tipo di urbanistica, non significa dire che sia la più aggiornata, l’unica possibile, la forma vincente dell’urbanistica contemporanea. Anzi. Chiunque legga i giornali (non c’è bisogno, in questo caso, di ricorrere alle riviste specializzate) ha continuamente sotto gli occhi espressioni del tipo “è chiusa la stagione delle archistar”, “le incompiute delle archistar”, “il fallimento delle archistar”, “archistar, ma la gente non le vuole”… Fulvio Irace si è spinto anche a individuare una data che segnerebbe l’inizio della fine, una sorta di “11 settembre della super-architettura”, quel 9 febbraio del 2009 in cui un incendio ha devastato parte di uno dei simboli della Pechino olimpica, il Cctv di Rem Koolhaas. “Crollano le borse, crollano i consumi e neanche le archistar stanno tanto bene”: auto-ironica parola – parafrasi di una celebre battuta di Woody Allen – dell’architetto olandese, simbolo universale del “nuovo che avanza”. Che ha denunciato con forza la crisi dell’Y.E.S. (yen, euro, dollar) regime e, con la consueta disinvoltura, scaricando i suoi colleghi famosi quanto lui, ha ricominciato a parlare di “architettura delle differenze”. Ma al di là delle evoluzioni circensi del pensiero koolhaasiano, basta guardarsi intorno, anche solo nel panorama italiano. La nuova Milano policentrica, fondata sui progetti di Renzo Piano a Sesto San Giovanni e di Norman Foster a Rogoredo viene rappresentata oggi solo dall’apertura del cantiere di Citylife, prodotta da Ligresti con la partecipazione speciale di Libeskind, Hadid e Isozaki. La nuova Salerno del sindaco De Luca, vive con l’infinito cantiere della pur bella cittadella giudiziaria di Chipperfield, mentre la Stazione marittima presenta complessi problemi finanziari e la combattività dei comitati cittadini blocca il Crescent di Riccardo Bofill. Nikolai Ouroussof, critico del “Times”, citato ancora da Irace su “Il Sole 24ore”, ridimensiona la nuova profezia di Koolhaas: per lui la recessione non ucciderà la professione. Anzi, ne testimonierà la necessità, spogliandola delle paillettes che la fanno superficialmente luccicare. La porterà a ridefinire i suoi obiettivi e a riscoprire il suo ruolo sociale. Possiamo dire allora che la crisi dell’urbanistica delle archistar non porterà alla fine dell’urbanistica tout-court, ma invece accompagnerà l’urbanistica a riflettere sui suoi compiti e sulle sue responsabilità? A rinnovare le sue strumentazioni? A ridefinire la sua funzione e il suo valore sociale? A disporsi come una rete “intermedia” capace di competere con quella – a maglie ferree, ma larghe – dei poteri forti che costruiscono lo star-system? Edoardo Persico, critico d’architettura d’anteguerra, inventò una bellissima espressione per parlare dell’architettura. La prendiamo in prestito per poter rispondere con qualche fiducia a quegli interrogativi e dire, in sintesi, cosa vorremmo che l’urbanistica possa essere quando ne parleremo nel prossimo futuro: “sostanza di cose sperate”.

architettura tra urbanistica e archistar

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[ARCHITETTURA]


Clara Stella Vicar i Aver s a

Destreggi ars i co n o rgog l io fra l e a rchi s tar To rin o : a p icco li p assi e s enz a t rop p o ru mo r e

b uo n e p ratic he

Bartolo D or ia

Ba rcello (P.G.)/B a rcel ona ( ES) Que s t i oni d i om o n i mi a

Maria Frances ca Far o

Tra sfo rma z ioni nel l o S t r et t o

Elena D e Cap u a

L a cos truzio ne d el futuro d i Mes s i na

fo c us

Marina Arena - Eg le S taiti

Attenti a q uei d ue In ter v ista a Corvaja e S co gl i o

l’in tervis t a

architettura tra urbanistica e archistar


[ A R CH I T ET TURA : l’ in t e r vi s t a ]

Attenti a quei due

Intervista a Corvaja e Scoglio Marina Arena - Egle Staiti

Giuseppe Corvaja Assessore alle Politiche del territorio del Comune di Messina

Gianfranco Scoglio Assessore ai Lavori pubblici e allo sviluppo economico del Comune di Messina

Come vorrebbe essere presentato ai nostri colleghi architetti? Come chi con l’avvio del nuovo Piano regolatore generale tenta di individuare un percorso nuovo.

Come vorrebbe essere presentato ai nostri colleghi architetti? Come un cittadino di Messina che tenta disperatamente di cambiare le cose in questa città.

E allora Corvaja sarebbe per Messina ‘l’uomo del destino’ dopo Borzì? Chi si avvicina alla politica dovrebbe avere una visione più ampia del singolo cittadino rispetto allo sviluppo di un territorio, quindi ritengo utile pensare al piano come ad una proiezione collettiva, al di là dall’appartenenza politica di chi lo intraprende. Sebbene una legislatura non sia sufficiente per portare a termine un percorso di questo tipo qualcuno lo deve pur fare. Non sarò io a completare l’intero iter del Prg, ma è necessario partire.

Il suo nome è legato alle visioni future della città, da dove nasce questa propensione e perché ci crede? Nasce dalla mia formazione professionale che mi porta a capire le difficoltà dei giovani e dei liberi professionisti in una realtà che non ha sviluppo economico. Appartengo ad una generazione che ha ereditato scelte sbagliate ma che oggi ha l’obbligo di cercare e trovare soluzioni.

L’avvio del nuovo Prg si presenta come un’operazione titanica e necessariamente visionaria. Perché lei e perché adesso? L’operazione non mi pare né titanica né visionaria, anzi, non mi spiego come non ci abbiano pensato prima: se c’è una cosa che non funziona a Messina è il Piano regolatore. Da quale punto di vista? Da tutti i punti di vista. Si è finito per ipotizzare l’esistenza di un sistema di verde che in realtà non ha assolutamente né regolato né indirizzato quello che doveva essere lo sviluppo della città, ma ha fatto l’esatto contrario: ha fotografato la situazione esistente consentendo ai privati con i piani quadro, e all’amministrazione con l’individuazione di zone a macchia di leopardo, la definizione e la crescita della città che invece avrebbe dovuto trovare sintesi nel Prg. A questo punto quale ruolo e quale funzione dovrà assumere il nuovo Piano regolatore? Questo Piano assumerà la funzione di ‘legge finanziaria’ del comune di Messina e dovrebbe avere una durata ventennale. Mi piace pensare che l’acronimo PRG potrebbe intendersi come Patto di Rinascita Generazionale, e non mi riferisco a un fatto anagrafico, altrimenti io stesso ne sarei già fuori, ma ad una nuova forma mentis rivolta ad una filosofia di sviluppo collegata al turismo, al commercio o a piattaforme logistiche (come dice l’amico mio Scoglio).

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In questi anni ha percepito una evoluzione civica? Fra i cittadini e le associazioni si avverte un cambiamento, francamente molto meno nella classe politica, autoreferenziale e conservativa, e ciò indipendentemente dal colore politico. È importante uscire fuori dalla mediocrità, dall’ottica del pubblico impiego che mantiene un’economia stagnante dei servizi di basso costo, come pub, bar, ristoranti, ecc… Non c’è crescita né ricambio e i giovani sono costretti a formarsi e a cercare lavoro fuori. Lei ha investito molto sul Piano strategico ‘Messina 2020’, si può definire l’obiettivo centrale del suo mandato? Sì, è un obiettivo importante, io avevo l’obbligo di farlo, l’ho fatto, e l’ho fatto con la gente. Il Piano strategico rappresenta la sintesi di ciò che ho portato avanti come amministratore per sette anni partecipando a tutta una serie di programmi e di progetti, anche finanziati dal Ministero e dalla Regione, che però erano collegati episodicamente al ‘bando’; forse il primo vero piano strategico della città è stato il Prusst all’interno del quale c’erano già le strategie per la Cittadella. Qual è l’idea forte del Piano strategico per la quale i cittadini possono comprendere, e anche accettare, i sacrifici in virtù di un progetto comune? Quella di fare diventare Messina ‘città dei servizi’ per l’intera provincia e poi proiettarla da un lato nell’area integrata dello Stretto e, dall’altro, come ponte fra Catania e Palermo. Bisogna lavorare su progetti pilota, e il primo è quello di creare un polo per il trasferimento tecnologico e quindi per la formazione post-scolastica e postuniversitaria con le im-


Quale l’iter di approvazione e quali i tempi previsti. Inoltre, nelle more, pensa di ricorrere ad una Variante di salvaguardia? La fase d’avvio può sembrare lenta ma, se correttamente portata avanti, accorcerà quella realizzativa che dovrà essere assolutamente breve. Velocità ed efficienza passano attraverso la chiarezza delle direttive generali, ferme le prerogative normative relative agli studi necessari. Una Variante di salvaguardia potrebbe apparire la soluzione migliore ma potrebbe essere un mezzo per allungare i tempi. Preferisco spingere per la realizzazione del nuovo Piano, perché la Variante ne conterrebbe le indicazioni senza eliminarne le storture; inoltre, uno sforzo di questo genere distoglierebbe dalla realizzazione del Piano stesso. Messina potrebbe essere un esempio virtuoso per la Sicilia, ma quanto incide il gap legislativo della regione, che ha ancora una legge del 1978, sulla possibilità di concepire un piano flessibile ed innovativo, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati alla condivisione ed alla concertazione delle scelte. A mio parere nessuno; chiaramente la possibilità di poter operare con mezzi innovativi sarebbe un aiuto ma è vero che esistono esempi di norme nazionali da prendere a riferimento. L’assenza di una normativa regionale non può essere considerata come un impedimento né è possibile aspettare una nuova legge regionale per redigere il piano. Quali sono i temi ineludibili? Le strategie contenute nel piano sono quelle che nasceranno dalle direttive generali; non ci sono temi ineludibili sono tutti ugualmente importanti: dal sistema viario alla qualità architettonica, alle politiche di risparmio energetico, a quello del rischio. Identikit della città immaginata dal Piano. La città che vogliamo non possiamo immaginarla senza partire dal ‘dove siamo’. Ritengo che alcuni profili, tipo quello turistico, debbano essere incrementati in modo esponenziale; ritengo che vi sia la necessità di non costruire al di là del perimetro urbano già spostato sulle colline. Esistono zone prossime al centro, considerate marginali, dove è possibile realizzare edifici ad uso residenziale ma anche turistico, oltre la più volte discussa zona falcata, su cui si potrebbe fare qualsiasi cosa ma ancora non si è deciso cosa. La politica di dismissione attuata da Rfi potrebbe liberare aree strategiche per la città, così come tutte le zone militari dismesse (ospedale militare in primis); c’è tutta l’area del 24°

prese. Penso ad un grande recupero urbano della città che deve diventare un contenitore culturale, penso a riqualificare il centro storico e a fare le Ztl, a ridare alla città quella zona sottratta fino a Tono in cui si gioca il nostro futuro turistico e direzionale. La parte commerciale della città diventa quella di Tremestieri con la nuova portualità – collegandosi a Gioia Tauro, Catania e Palermo – con una piattaforma distributiva che sia un’opportunità per tutta la provincia sul polo dell’agroalimentare. C’è solo da discutere sulle cose da fare nelle due sostanziali aree di sviluppo disponibili: i 28 binari ferroviari da recuperare, e la zona Mortelle-Tono che, essendo demanio, non ha rendita fondiaria. Per il resto la città va riqualificata e riconvertita. Nei miei progetti non c’è un solo palazzo destinato ad edilizia residenziale privata né pubblica, sono progetti di sviluppo per tematiche: polo tecnologico, parco urbano, ricucitura con le aree dell’autorità portuale, cittadella e piattaforma distributiva attorno al porto. Quindi quali sono le parole chiave e i partners per il Piano strategico? La parola chiave è ‘sistema’. Bisogna creare un sistema città che metta insieme le eccellenze che ha (Cnr, università, buone professionalità, ecc…) lavorando nella stessa direzione per realizzare un progetto di città da sottoporre ai cittadini. Tutto ciò va fatto alla luce del sole. Il turismo è una risorsa primaria in questa fase di sviluppo della città ma la qualità del paesaggio urbano non sembra rispondere con efficacia. Intanto io non sono d’accordo perché la qualità del paesaggio urbano secondo me è ottima. Se voi intervistate chi viene da fuori dirà che Messina è bellissima, dopo di che sostanzialmente non trova servizi. Bisogna accompagnare con un’idea forte un turismo che non sia di massa ma d’elite (cioè un turismo che spende) e per avere ciò bisogna proporre grandi outlet commerciali, e penso a realtà come la Stazione marittima e la Stazione centrale che sono abbandonate ma che potrebbero diventare un incubatore importante; o ancora le aree dei magazzini generali che possono essere destinate a terminal per i prodotti dell’intera provincia, e così via. Un altro problema è quello dei collegamenti, per cui io dico che dovremmo discutere di una linea ferrata Messina-Aeroporto di Catania da percorrere in 20 min.; o, ancora, occorre creare una rete di grandi eventi, non basta l’episodio ma considerando il successo della ‘Notte della cultura’ si può immaginare una ‘Primavera della cultura’ con otto giornate a

architettura tra urbanistica e archistar

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[ A R CH I T ET TURA : l’ in t e r vi s t a ]

Giuseppe Corvaja

Gianfranco Scoglio

Artiglieria che, con un patto forte con il Ministero della difesa, potrebbe essere messa a servizio della città perché ‘zona bianca’ dal punto di vista urbanistico; inoltre, tutte le zone Zir e Zis vicinissime alla città non si giustificano più rispetto al Pr Asi, che dovrebbe decadere per legge dopo dieci anni dalla sua approvazione (ottobre 2012) e non ha più ragione di esistere trattandosi di zone prossime al centro.

partire dal mese di aprile. Una volta stabilito cosa fare io non posso aspettare il Prg che procede con altri tempi certamente più lenti, ma devo partire immediatamente sulle trasformazioni di sviluppo economico, mentre la costruzione di un buon Prg è un importante punto di partenza perché definisce una strategia di città.

Per queste ‘zone bianche’ tra centro e periferia che possono diventare degli snodi strategici, quali sono le funzioni assegnate dal Piano? Possono diventare qualsiasi cosa, perché la filosofia di queste zone deve fare il pari con quella delle altre (fascia tirrenica, zona di Faro, ecc…); la loro destinazione dovrà conciliarsi con la filosofia complessiva del Prg. Quando si capiranno le reali scelte del Piano? Quando verranno messe a sistema tutte le ipotesi di sviluppo, esistenti o presunte tali: quelle del Piano strategico, quelle emerse dalle valutazioni dei questionari compilati dai cittadini, ecc... Le soluzioni terranno conto sia delle volontà emerse dalla città sia dello sviluppo complessivo. Qual è il ruolo di Messina nell’area dello Stretto ed esiste un pensiero strategico in grado di lanciare la nostra città nel panorama euromediterraneo? Bisognerebbe conoscere esattamente le ipotesi di sviluppo che hanno i nostri amici di Reggio Calabria e ciò che si sta sviluppando nei territori a noi vicini, non possiamo immaginare delle strategie che non abbiano un ritorno economico, dobbiamo individuare dei profili di sviluppo con dei tagli che non siano fuori dal mercato, per cui dovremmo mettere a sistema tutti gli interventi. Bisogna tentare di agganciare un altro tipo di mercato che consenta al Prg di diventare anche uno strumento di sviluppo economico. Lei ha suggerito di intitolare questa doppia intervista Attenti a quei due e certamente il futuro della città dipenderà dalle scelte del Prg e del Piano strategico, ma con quali ruoli e con quali equilibri tra Corvaja e Scoglio? La conciliazione del Prg col Ps è facile: il Ps prevede tutto quello che in astratto si potrebbe fare, il Prg ciò che si può fare in concreto. Il Ps è una filosofia relativa all’economia della città, ma anche questa è avulsa dalle economie generali del territorio prossimo della città. Il valore paesistico-ambientale del territorio in che modo verrà inglobato nel Piano e, parallelamente, quale rapporto si è innescato rispetto alle previsioni del Piano paesistico regionale?

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Quale ruolo può assumere la città rispetto all’area dello Stretto e alla sua provincia? Tutti parlano di area integrata dello Stretto, di regione dello Stretto, ecc…, io mi permetto di dire che “sono nato siciliano e morirò siciliano” così come i calabresi “sono nati calabresi e moriranno calabresi”. Piuttosto credo che sia necessario costruire un modello di sviluppo economico di ‘Area dello Stretto’ e non di una ‘Città dello Stretto’ che comporterebbe un’annessione territoriale non percorribile. Messina è porto della Sicilia per Palermo e Catania nei confronti del continente, e per lo Stretto nei confronti del Mediterraneo. Quindi abbiamo questo ruolo che può farci diventare una città direzionale importante, sia nell’ottica dei servizi, sia nella distribuzione delle merci e dei saperi: dovremmo diventare precursori del Polo tecnologico dell’ Area dello Stretto. Negli ultimi anni i progetti hanno avuto il tema dell’affaccio a mare come elemento condiviso di lavoro. Messina non è solo una linea, è mare e collina, ma la dorsale peloritana, parte centrale e rilevante del territorio, è devastata dagli incendi e dall’abbandono. I programmi di sviluppo come investono in questa parte del territorio che sembra sempre quella marginale? Non è assolutamente marginale. Il punto è che noi dobbiamo scorporare i progetti di sviluppo, e le infrastrutture nodali che servono ad avviarli, dal progetto di territorio il quale non può essere determinato dal Piano strategico, perché quest’ultimo individua delle linee strategiche di crescita; mentre il Prg, con i Piani particolareggiati di attuazione che rappresentano il progetto di territorio, sta lavorando su un altro tavolo. L’assessore Corvaja suggerisce di intitolare questa doppia intervista Attenti a quei due ed è inevitabile che le vostre strade si incrocino. Quali ruoli e quali equilibri tra gli strumenti che gestite? Non direi Attenti a quei due perché si corre il rischio di personalizzare le cose che si fanno, mentre noi abbiamo bisogno di condivisione. Il Ps ed il Prg, attraverso la costruzione di un grande laboratorio urbano, hanno dimostrato che anche noi possiamo sperimentare metodi che molte altre città, soprattutto del


Giuseppe Corvaja

Gianfranco Scoglio

Uno degli elementi poco chiari è proprio il Piano paesistico che è stato adottato nel dicembre 2009 ed avrebbe dovuto essere un piano regionale mentre riguarda soltanto una parte del territorio regionale e, relativamente alla provincia di Messina, coinvolge solo una porzione della stessa. Al di là della circostanza non secondaria che il Ppr non è stato accompagnato dalla VAS, lo stesso presenta delle criticità sostanziali relative all’individuazione dei beni da porre a tutela e al tipo di scala cui è stato redatto; mi riferisco soprattutto alla disciplina di quelle zone notevoli che il Piano paesistico ignora e individua come zone bianche (per es. il parco ferroviario non è stato normato perché considerato di pertinenza Rfi). Relativamente alle zone Zir e Zis non prevede alcuna disciplina ma delega l’Asi, fotografa il paesaggio nella sua attuale esistenza e non considera i paesaggi cosiddetti ‘brutti’, mentre esistono anche zone degradate che, restando mummificate, presentano l’impossibilità di essere migliorate (come la zona falcata).

nord, utilizzano nel quotidiano. Penso sia giusto parlare di ‘due’ che non si fermano perché vanno avanti e credono in un’idea. Il Ps ha tempi e step diversi, legati a decisioni e progetti che non possono attendere il Prg. Noi due siamo complementari nel senso che pensiamo che la strategia del Ps sia corretta, e vada testata negli anni, con diversi indirizzi che necessitano di approfondimenti e ciascun assessore deve farlo (oggi e in futuro) aprendo il confronto con la città.

Cosa ne pensa del fatto che sempre più spesso i progetti importanti, cui è affidato il compito di svolta per lo sviluppo economico della città, siano affidati ad archistar con risposte spesso decontestualizzate? Se rimangono sulla carta finiscono col diventare esercitazioni di scuola e non parti di un piano regolatore: una cosa sono le opere d’arte, una cosa è il Prg. Una valutazione sarà possibile solo se questi progetti verranno realizzati e diverranno parte integrante del nuovo Piano. Allora sono sicuro che sarebbero messi a sistema; se ciò non si avverasse resterebbero cose di pregio ma avulse dalla città poiché staccate da una visione generale. Quale contributo si aspetta dagli architetti? Il migliore possibile. Sia nella redazione del Piano che nella sua attuazione; per quest’ultima mi auguro che gli architetti privilegino qualità architettonica e materiali ecocompatibili ponendo grande attenzione al rapporto tra progetto e contesto. La filosofia dovrà essere tale da ridisegnare la città nelle zone che (mi auguro) il nuovo Prg andrà a comprendere (ad es. Parco ferroviario); a migliorare, con le demolizioni e ricostruzioni, ampliandole, le zone destinate a vivibilità esterna (es. portici). Tale filosofia dovrà essere estesa non solo al nucleo centrale della città, ma differenziata ed applicata a ciascuno dei villaggi, in riferimento all’identità storico-culturale di ciascuno di essi. Cosa può dirci sulla presenza ingombrante del Ponte? A questo proposito mi piace citare il pensiero di Sofocle sull’opportunità del matrimonio: “Sia che lo facciate, sia che non lo facciate, avrete di che pentirvi”.

Oggi l’urbanistica sembra abdicare davanti alla firma dell’archistar. Come giudica questa scelta che non migliora la qualità complessiva del territorio e che spesso lascia come unica griffe quella sulla parcella? Il problema non è criticare l’archistar ma investire sulle nuove archistar. Nel pubblico le archistar sono quelle che le società di ingegneria vogliono fare diventare tali, perché si aggiudicano la gara prendendo dei consulenti che mettono il nome e così non c’è modo di preferire i giovani alle archistar. La soluzione migliore sarebbe di innescare un’economia che permetta di diventare archistar ai giovani architetti locali, partecipando alle scelte per la propria città, anche attraverso il Ps e il Prg. Per quanto riguarda Bohigas, l’archistar crea una provocazione e su di essa si discute. Quindi noi abbiamo messo a concorso tali strategie dicendo quello che può essere, ma se ci sono idee alternative le vogliamo valutare. Quale contributo si aspetta dagli architetti? Io mi aspetto partecipazione perché prima di criticare bisogna conoscere. Il palacultura sarà la sede di Urban Lab, all’interno del quale i singoli assessori competenti sui rispettivi temi potranno creare laboratori urbani attrezzati anche per teleconferenze con altre città. Gli ordini professionali dovrebbero essere propositivi per la città, perciò spero che a partecipare siano anche i giovani professionisti e che possano diventare la nuova classe dirigente. Concludiamo col Ponte, ‘convitato d’acciaio’ (e non di pietra) che da quarant’anni incombe sulle scelte della città… Penso che si sbagli a non sfruttare il momento legato al Ponte perché c’è una strategia urbana che ne accompagna il progetto ma che è sostenibile anche se questo non si farà. Se il Ponte verrà realizzato compenserà il sacrificio ambientale per almeno cinquant’anni col turismo costruito sull’opera simbolo, come accadeva a Brooklyn.

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La costruzione del futuro di Messina Elena De Capua

Le caratteristiche emblematiche della città contemporanea quali l’eterogeneità, la frammistione e la dispersione dei suoi elementi sembrano appartenere pienamente alla città di Messina che rientra a pieno titolo nella categoria di città dominate dal caos e dall’imprevedibilità, manifestandosi come discontinua, priva di forme definite ed assumendo una configurazione spaziale sempre meno ospitale1. E per utilizzare le parole di Bernardo Secchi “la città contemporanea appare ai più come un confuso amalgama di frammenti eterogenei, nel quale non è possibile riconoscere alcuna regola d’ordine, alcun principio di razionalità che la renda intelligibile”2 descrizione che appare calzante con la realtà urbana messinese. Questa vaghezza ed indeterminatezza purtroppo sembrano offuscare le peculiarità positive di questo territorio, che per dimensioni e per posizione, al vertice orientale dell’isola, lo rendono uno dei luoghi più suggestivi del Mediterraneo. Di conseguenza, si può notare come diversi e continui siano stati e restino tuttora i tentativi di ridare a Messina quella perduta dignità di città al centro del Mediterraneo, ma si intuisce come tutti gli sforzi fin qui intrapresi permangano ancora esclusivamente e limitatamente come dei meri esperimenti che ancora purtroppo, stentano a prendere realmente corpo. Infatti per quanto Messina, per le caratteristiche del suo territorio, presenti una struttura urbana compatta, lo sviluppo edilizio nel corso degli ultimi anni, rafforzato dalle generose previsioni di densificazione della Variante generale al Prg (2004), ha progressivamente travolto il territorio che per secoli ha fatto da cornice alla città proiettandone pezzi sulle colline erte e spoglie, sulle propaggini rimboschite dei Peloritani e sulle ali costiere. Le istituzioni locali, nel corso di questi ultimi anni, hanno cercato di individuare alcune soluzioni soprattutto per i luoghi “topici” come Capo Peloro o piuttosto la Zona falcata del Porto storico, mentre altri strumenti urbanistici dovrebbero provvedere alla riqualificazione di alcuni tratti della lunga costa messinese senza, però quella visione d’insieme, che risulterebbe determinante per un processo di concreta

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valorizzazione della città. Queste diverse azioni infatti, non sembrerebbero rientrare in una strategia coerente ed univoca, ma piuttosto improntate a cogliere alcune opportunità congiunturali e finanziamenti pubblici episodici, e il fil rouge degli interventi è dato solo dalla concentrazione dei progetti nei luoghi più significativi del territorio, per rimediare al depauperamento delle valenze paesistiche e simboliche che hanno sempre contraddistinto questo sistema, la cui unicità è andata stemperandosi nella banalità della contemporaneità. Pertanto, risulta quanto mai opportuna l’approvazione avvenuta la scorsa estate (il 15 giugno del 2010) da parte della Giunta municipale, del documento d’avvio delle Linee guida per la redazione del nuovo Piano Regolatore della città. Tale provvedimento rappresenta il primo passo per avviare la stesura del PRG e definire nuove regole e principi ordinatori per orientare lo sviluppo territoriale in un nuovo quadro di riferimento urbanistico: “intraprendendo in tempo utile - afferma l’assessore Giuseppe Corvaja - un’attività che coordini le evenienze e i fermenti, convogliandoli organicamente in un nuovo Piano Regolatore Generale mirato ad affrontare le criticità, nonché a definire rigorose e organiche linee di sviluppo, come pure regole precise ed efficaci per il riordino e la riqualificazione della città di Messina e del contesto ambientale”. L’intento è quello di intervenire attraverso un adeguato e moderno quadro di riferimento di pianificazione per attuare finalmente attraverso interventi d'insieme ed unitari delle politiche territoriali e porre fine ad un vecchio ed ormai obsoleto approccio urbanistico e ad una concezione del piano regolatore che non risponde più alle necessità di una città che non si espande più ma cha ha bisogno di essere riqualificata e riorganizzata. A questo si aggiunge un altro elemento determinante: la L.R. n. 15 del 1991 prevede che i Comuni affidino l’incarico per la formazione di un nuovo strumento urbanistico o per la revisione di quello esistente, diciotto mesi prima della decadenza dei termini di efficacia dei vincoli. Quelli del P.R.G. preordinati all’espropriazione sono scaduti e sono già stati reiterati, mentre

Prusst: del Comune di Messina, complessivo di 167 interventi, è stato approvato con dm 111/segr. del 2001, ottenendo un finanziamento complessivo di 1.886.811 di Lit. Il 22 mar. 2002 veniva sottoscritto il protocollo d’intesa tra Ministero, Regione Siciliana e Comune di Messina. Pit «Eolo, Scilla e Cariddi»: Il Pit n.12 «Eolo, Scilla e Cariddi, l’insularità e lo Stretto portale del Mediterraneo», approvato con Decisione C(2000) 2346 dell’8 ago. 2000, ottiene un finanziamento complessivo dalla Regione pari a 27.984.822 €, dei quali quasi la metà destinati ad interventi nel Comune di Messina. E’ stato finanziato dai Fondi strutturali del Por Sicilia 2000-2006 Urban Italia: Il progetto, con interventi per un valore complessivo di € 11.576.847,32, verrà ammesso al finanziamento ministeriale con il decreto del 7 ago. 2003, anche se il Ministero garantirà solo € 5.059.985. Il progetto non prenderà avvio, però, prima della stipula dell’Accordo quadro con il Ministero delle Infrastrutture avvenuto il 28 apr. 2004. P.P. Capo Peloro: Il progetto vincitore del concorso aveva avanzato la proposta di riqualificazione di Capo Peloro attraverso il recupero ed il parziale riuso degli spazi non edificati, interclusi dall’edificato del villaggio di Torre Faro, con giardini e parchi a tema e la creazione di una struttura polivalente destinata a museo e laboratori di ricerca dedicati al mare. L’accesso all’area dovrebbe da un lato sfruttare (attraverso il recupero ed una rivalutazione architettonica) le Torri di contrappesatura di R. Morandi (singolare opera degli anni ’50, prevista per rispondere alle sollecitazioni dei cavi dell’elettrodotto) e creare una diversa accessibilità nell’area, puntando (con la creazione di parcheggi e nuova viabilità e modalità di trasporto pubblico) su una radicale riduzione del traffico veicolare per una maggiore tutela ambientale dell’area. Un albergo ed alcune attrezzature pubbliche completano il complesso in previsione. Il progetto prevede, inoltre, la riqualificazione del tratto costiero compreso tra il grande Pilone, l’edificio del Parco letterario Horcynus Orca ed il Forte degli Inglesi, con la ricostituzione del sistema dunale costiero, il miglioramento delle attrezzature balneari, la realizzazione di un «Acquario sommerso» (una sorta di osservatorio subacqueo della floro-fauna dello Stretto), in breve un complesso di attrezzature socio-culturali che dovrebbero trasfor-


mare l’area in un grande ed innovativo spazio pubblico attrezzato. PRP: L’area interessata dal PRP (presentato già nel marzo del 2005) individuata con D.M. II.TT. (già Ministero dei Trasporti e della Navigazione) del 6 aprile 1994, ha un’estensione di circa 50 ha e va da Punta S. Salvatore (Madonna del Porto) alla foce del Torrente Giostra comprendendo l’intera “falce” della Zona Falcata ed il fronte marino cinto dalle vie Vittorio Emanuele II e Viale della Libertà. Il PRP è stato definitivamente approvato nel 2009 dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici. Il Prp è stato redatto dall’Autorità portuale con la consulenza tecnica delle società Idrotec srl, del gruppo Viola Ingegneria ed Architetti associati, Bonifica spa, con il coordinamento tecnica dell’ing. F. Di Sarcina dell’Autorità portuale di Messina, cfr. http://www.porto. messina.it/. Metroferrovia: il servizio è stato inaugurato solo nella primavera del 2009, nonostante i finanziamenti fossero da tempo garantiti dall’Accordo quadro Stato-Regione Siciliana già nel 2001 Via del mare: La nuova strada già proposta nel 1996 (in un contesto politico e culturale che la reèhndeva, al contrario, assolutamente compatibile con le previsioni di sviluppo del porto e della zona industriale) per la quale la scorsa estate, il Comune ha bandito la gara di progettazione per l’individuazione del tracciato definitivo (il cui costo stimato è di circa 80 milioni di € che dovranno in qualche modo essere recuperati) con molta probabilità in rilevato, per le difficoltà tecniche date dalla morfologia del suolo ed i notevoli problemi idraulici della fascia costiera che impediscono la realizzazione di un percorso in trincea o sotterraneo. PIAU: Messina rientra nel provvedimento ministeriale in seguito all’accordo tra Ministero delle Infrastrutture e trasporti e Conferenza Stato-Regioni del 13 nov. 2003, e risulterà beneficiaria di un finanziamento di 3.050.542 € (che corrisponderà in realtà al solo 8% delle spese previste per la riqualificazione dell’area interessata dal programma). Il 30 giu. 2004 un protocollo di intesa impegna Comune di Messina, Autorità portuale di Messina, Ferrovie dello Stato, Rfi, Regione Siciliana alla redazione di un programma strategico «per la valorizzazione urbanistica, economica, sociale e direzionale della porzione del territorio che si estende dalla Zona falcata allo svincolo autostradale di

Piano Regolatore Portuale di Messina

quelli di inedificabilità assoluta scadranno nel 2012. Il nuovo PRG dovrebbe essere recepito come “processo di cambiamento”, “aperto e flessibile”, in grado di adattarsi alle mutevoli previsioni dei diversi strumenti di pianificazione (Piani Strategici, PRG del Porto, PUM, etc.) e dei programmi di nuova generazione (PIT, PRUSST, STU, etc.), capace di rendersi fautore dello sviluppo economico e sociale del nostro territorio favorendo il miglioramento della qualità e delle condizioni di vita dei cittadini, perché è questo il vero fine che ogni Piano dovrebbe avere. Altro strumento che potrebbe costituire una grande opportunità

per pensare in modo unitario il futuro della città e nel quale l’assessore Gianfranco Scoglio ripone grandi speranze, è il Piano strategico «Messina 2020», che è stato presentato per la prima volta nel luglio 2009, ed appartiene all’ultima generazione e tipologia dei piani strategici promossi nel nostro paese per le città e per le aree metropolitane. L’obiettivo del Piano strategico è quello di organizzare in maniera coerente tutte le iniziative già intraprese e quelle ancora in via di esecuzione a Messina, i vari strumenti urbanistici redatti negli ultimi anni in modo da poter costituire il quadro coerente delle politiche pubbliche urbane, oltre a rappresentare un fat-

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PIAU planimetria e sezione

tore di integrazione con le varie scelte di programmazione nazionale e comunitaria che influiscono sui processi in atto nell’area messinese. L’idea di base del progetto è quella di creare una serie di poli (tecnologico, scientifico-culturale, turistico-commerciale, logistico-produttivo anche in vista della realizzazione di una Zona franca urbana) da dislocare lungo l’intero sistema urbano. Le necessità per la giunta di dotarsi di un nuovo PRG derivano forse anche dalle molte indicazioni di tale strumento strategico, che possono trovare una reale attuazione nel completo ridisegno dell’assetto territoriale della città. Pertanto per delineare brevemente ciò che è avvenuto e sta ancora avvenendo nel territorio messinese si segue un percorso ideale che parte dalla costa tirrenica fino ad arrivare alla costa ionica. Il sistema costiero settentrionale La fascia costiera tirrenica rappresenta una cornice in cui la città sembra aver rallentato il suo processo di urbanizzazione, per quanto sin dagli anni ’70, dapprima in modo disordinato e poi con lottizzazioni più o meno definite, vari nuclei abitati sono andati rafforzandosi. Tutto contribuisce ad un crescente degrado che ha

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spinto l’Amministrazione comunale ad occuparsi di una possibile riqualificazione dell’area, un’opportunità di valorizzazione per farne una potenziale nuova attrazione turistica. La strategia di riorganizzazione della fascia costiera è stata affidata ad uno Studio di fattibilità per la valorizzazione turistica della fascia costiera MortelleTono elaborato da O. Bohigas e dal suo gruppo MBM, convertito poi in Piano Particolareggiato esecutivo. Proseguendo si trova l’area di Capo Peloro che rappresenta il punto più suggestivo e rappresentativo del territorio e sicuramente uno dei più caratteristici e mitici della Sicilia, dove incombe la realizzazione del Ponte sullo Stretto, che dovrebbe ridisegnare completamente l’area assieme alle infrastrutture stradali e ferroviarie di adduzione. L’Amministrazione comunale, dalla metà degli anni ’90, ha concentrato sull’area numerosi interventi di recupero e riqualificazione, che hanno interessato proprio la riserva naturale dei laghi di Ganzirri, il villaggio di Torre Faro ed alcuni edifici lungo l’arenile, prima di avviare l’attuazione del Piano particolareggiato di Capo Peloro. In modo frammentario, certamente, ma con l’idea di fondo di valorizzare l’area settentrionale del comune, l’Amministrazione

Tremestieri», la cui assistenza tecnica alla redazione, il project management, il piano di comunicazione e la Vas sarebbero stati attribuiti attraverso una pubblica gara. Con successivo bando si sarebbe invece individuato il soggetto privato incaricato della redazione del progetto definitivo. Il bando per l’assistenza tecnica è stato pubblicato il 15 dic. 2006, poi per vari motivi sospeso e ribandito nel marzo del 2008; a conclusione dell’iter, l’incarico verrà attribuito alla cordata composta da Rti Apri, ApriAmbiente, Apri Sviluppo, Consorzio Leonardo, Politecnica, U.P. Studio MBM Arquitectes (O. Bohigas con soci e collaboratori, per dirla in breve). La redazione della Vas verrà affidata alla cordata costituita dalle società RTI Ambiente s.c., E.R.I.C.A. Soc. Coop., Teknagri Ass. Professionale. Il 19 gen. 2009 viene siglato dall’Amministrazione comunale con il gruppo FS e l’Autorità portuale un nuovo protocollo d’intesa per confermare gli impegni assunti nel 2004. Dopo la presentazione del Progetto strategico preliminare il 25 mag. 2009, è stata bandita la gara per l’«Affidamento dei servizi per la redazione del progetto preliminare, definitivo, indagini, rilievi e prestazioni specialistiche relativo a: Programma “Porti & Stazioni” – Riqualificazione di aree ferroviarie dismesse e realizzazione di un sistema di mobilità integrato tra Zona falcata e Tremestieri» il 26 ago. 2009. Risulta aggiudicatario provvisoriamente il raggruppamento costituito dalle società 3TI Progetti Ita-


lia, Ingegneria Integrata Spa, Geie Rad, Ad Acta Projects srl, che ha offerto un importo di 272.470 € con un ribasso rispetto alla base d’asta di 1.100.000 €, del 75%: un’offerta considerata anomala che ha spinto la commissione ad una riverifica delle offerte ricevute. La proposta comprende il fronte marittimo meridionale della città, dalla Zona falcata all’approdo di Tremestieri di 7,5 km, con una larghezza media di 450 m, per una superficie complessiva di 359 ha, per il 10% interessato da infrastrutture ferroviarie, una parte è occupata da aree di competenza A.S.I. sottoutilizzate, demanio militare, ed il resto sono insediamenti abitativi a bassa densità caratterizzati da degrado ed abusivismo diffuso. Piano di utilizzo del demanio marittimo: Contenuti ed obiettivi del piano sono indicati dal Decreto Ass. Arta della Regione Siciliana del 25 mag. 2006 «Linee guida per la redazione dei piani di utilizzo del demanio marittimo della Regione siciliana», redatte ai sensi dell’art. 4 della lr 15/2005 «Disposizioni sul rilascio delle concessioni di beni demaniali e sull’esercizio diretto delle funzioni amministrative in materia di demanio». P.P Piano strategico «Messina 2020»: Il piano in seguito all’accesso da parte di molti comuni a fondi pubblici garantiti dalla del. Cipe 20/2004 che ha ripartito le risorse per interventi nelle aree sotto-utilizzate (il cosiddetto

messinese, infatti, ha promosso una serie di opere di riqualificazione e di bonifica, di miglioramento ambientale e recupero, che vengono inseriti sia nel Prusst «Messina per il 2000», sia nel programma Urban Italia, che nel Pit 12 «Eolo, Scilla Cariddi». E’ così che l’Amministrazione comunale ha potuto garantire un flusso costante di finanziamenti pubblici che hanno consentito la realizzazione di interventi diffusi, che dovrebbero trovare il loro fattore di integrazione e sviluppo nell’attuazione del progetto di valorizzazione di Capo Peloro, promosso con il concorso internazionale del 2000 vinto da J.-P. Buffi, P.P. Balbo e De Cola Associati, convertito poi in Piano Particolareggiato. Nell’attesa che il Piano Particolareggiato venisse approvato, il Comune di Messina ha comunque inserito alcuni degli interventi previsti dal piano all’interno del Pit «Eolo, Scilla e Cariddi», in questo modo permettendo – già dalla fine del 2007 – l’avvio dei lavori di riqualificazione del Comparto E, ai piedi del Pilone. E’da rilevare come i diversi programmi complessi abbiano tentato di portare a compimento alcuni dei progetti di riqualificazione urbana e perseguire così negli obiettivi inoltrati dal Comune. Nell’arco di pochi anni, questi interventi, tra cui va

menzionata anche la redazione del Piano Particolareggiato di Faro Superiore, hanno permesso un complessivo miglioramento delle condizioni dell’area anche se, senza alcuna coerenza con gli interventi di riqualificazione avviati, va sottolineato che in attuazione della Variante generale al Prg del 2004, la stessa Amministrazione comunale ha continuato a rilasciare nel corso degli ultimi cinque anni concessioni edilizie che hanno favorito l’aumento delle densità edilizie e l’edificazione lungo la costa, come anche le lottizzazioni nelle aree ancora non edificate tra laguna e mare, rendendo del tutto vani i tentativi di riordino urbanistico avviati. Si può continuare nella descrizione di altri ambiti di intervento soffermandoci nel tratto di waterfront compreso tra il Torrente Papardo e il Torrente Annunziata. Qui, più che altrove, è possibile forse immaginare nuovi progetti di trasformazione urbana che siano capaci di creare un sistema balneare-ricreativo di qualità, che permettano di valorizzare le specificità ambientali dell’area, garantire la balneabilità, ma soprattutto una serie di luoghi attrezzati per l’aggregazione sociale che altrove sembrano mancare, oltre ai necessari parcheggi, infrastrutture minime (servizi igienici, docce, fontane, passerel-

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MBM Arquitects, Studio di fattibilità per la valorizzazione turistica della fascia costiera Mortelle-Tono, Messina

le attrezzate per i disabili) facendone – e non solo per i residenti – una nuova e forte polarità urbana. Per quanto limitato nelle sue potenzialità, a questo potrebbe forse porre rimedio – se debitamente integrato in una soluzione urbanistica di ampio respiro e con qualche prospettiva non solo speculativa – il Piano delle coste o meglio il Piano di utilizzo del demanio marittimo, del quale di recente l’Amministrazione comunale ha proposto la redazione (anche temendo il commissariamento da parte della Regione per il mancato adempimento alla norma regionale). Se inquadrato in un nuovo strumento urbanistico più attento alla qualità del territorio che alle densità edilizie e alle opportunità edificatorie, sarebbe possibile sperare in un coerente progetto per l’intera costa messinese, piuttosto che temerne una gestione improvvisata e contingente. Il Porto storico Così proseguendo verso il centro urbano, troviamo la Zona Falcata in cui in un generale abbandono convivono i resti della Real Cittadella (le cui strutture recuperate e restaurate avrebbero dovuto accogliere il Centro d’arte contemporanea), la Lanterna di G.A. Montorsoli, il forte di San Salvatore di cui si auspica apertura e pubblica fruizione, elementi che potrebbero permettere la realizzazione – una volta risolti i problemi circa l’accesso all’area o piuttosto la presenza dei cantieri navali, infrastrutture portuali ed installazioni e residenze militari – di un grande spazio pubblico, dotato di attrezzature culturali e strategiche per rilanciare Messina quale

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potenziale “città d’arte”. In tale ottica, si possono apprezzare anche i vari interventi sempre del Pit 12, che sono stati finanziati per la «bonifica e ripristino ambientale delle aree pubbliche ricadenti nella Zona falcata – aree destinate alla realizzazione del CDAC», che rappresentano gli interventi più significativi e strategici e che denotano anche la ferma volontà della classe politica cittadina di riuscire a completare gli interventi avviati per la «riacquisizione alla città dopo anni di isolamento, incuria ed abbandono» della Zona falcata. Anche il progetto Urban Italia, comprende interventi che, in particolare, nell’Asse 3 – Misura 3.2 «La Cittadella, recupero ambientale, polo culturale» (poi stralciato) le previsioni di intervento si concentrano sul recupero dei resti della Real Cittadella e la sua trasformazione in polo culturale. Così come la proposta del Prusst «Messina per il 2000» propone anche un finanziamento per il recupero architettonico-monumentale delle fortificazioni spagnole. L’impossibilità poi di migliorare le condizioni dello scalo per il traffico commerciale ed industriale, la dismissione delle attività cantieristiche nella Zona Falcata e una cresciuta sensibilità collettiva per il recupero e la valorizzazione della penisola – da liberare dalle attività incongrue ed incompatibili con le preesistenze storiche e le sue valenze ambientali – hanno portato all’elaborazione del nuovo Piano Regolatore Portuale le cui soluzioni hanno acceso un forte dibattito in città, non solo sull’assetto delle aree portuali, ma innanzitutto sulla necessità di una visione più generale e strategica di riorganizzazione

Fas) per la redazione di strumenti di carattere strategico per le città e per le aree metropolitane. In Sicilia, i finanziamenti sono stati assicurati alla Regione con l’Accordo Programma quadro tra Governo e Regione Siciliana «Riqualificazione urbana e miglioramento della qualità della vita nei comuni siciliani» del 31 marzo 2005, in seguito al quale sono stati pubblicati i bandi che hanno poi permesso di selezionare richieste e città. E specificatamente la circolare per la «Promozione di proposte di riqualificazione urbana e miglioramento della qualità della vita nei comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti della Regione Siciliana, negli agglomerati con popolazione superiore ai 50.000 abitanti e nei centri minori», pubblicata sulla Gazzetta della Regione Siciliana n. 53 del 9 dic. 2005. Nel 2006, all’espletamento delle procedure, il Comune di Messina ha ottenuto un finanziamento di 340.000 € destinati alla realizzazione di «Interventi di pianificazione strategica. Il bando per la redazione del Piano strategico e della relativa Vas viene pubblicato alla fine del 2007, nel febbraio del 2008 l’incarico viene attribuito e nell’ottobre dello stesso anno vengono avviate le procedure pubbliche di consultazione e partecipazione, che prendono l’avvio sulla scia di un documento diagnostico che guida le consultazioni e le riflessioni per lo sviluppo della città. In realtà di stratta di due bandi: il primo destinato all’«Affidamento del servizio di assistenza tecnica e supporto alla redazione del piano strategico» per un importo di 204.000 € ed un secondo per l’«Affidamento di un servizio di consulenza specialistica per l’espletamento della procedura di valutazione ambientale strategica e valutazione ex ante relative al processo di pianificazione strategica della città di Messina con servizi accessori per la comunicazione» per un importo di 130.000 €. Nel gen. 2008 l’incarico è


stato attribuito alla cordata societaria composta da Nomisma (società capofila), Eures Group, Cooprogetti (che ha tra i suoi consulenti anche R. Pavia) e Neostudio. Tra i consulenti coinvolti nel piano risulta anche l’arch. O. Capdevilla del gruppo MBM Arquitectes. Gli assi del piano sono: Asse strategico1 – Le infrastrutture materiali e la trasformazione fisica della città; Asse strategico 2 – La ricerca e l’innovazione: la strategia “alta” dello sviluppo; Asse strategico 3 – I servizi per lo sviluppo locale dei territori: la strategia “diffusa” dello sviluppo; Asse strategico 4 – La qualità della vita: solidarietà, identità, saperi. Tono-Mortelle: Lo studio, avviato nel 2005, è stato presentato nel marzo 2008 e dovrebbe essere convertito in un piano particolareggiato dopo essere stato sottoposto a Vas e Vit (ricadendo nell’area Zps riconosciuta su tutta l’area settentrionale del territorio comunale). La proposta progettuale avanzata dal gruppo di Bohigas ha interessato un tratto costiero di quasi 5 km di costa per complessivi 170 ha e contiene la proposta di ripascimento della costa, di ricostituzione del sistema dunale e, quindi, di creazione di spazi pubblici (lungomare, passeggiata pedonale), di potenziamento delle infrastrutture e di servizi pubblici, ma anche la possibilità di realizzare nuovi impianti balneari, attrezzature per lo sport e la cultura, attività ricettive e commerciali, in grado di attrarre i necessari investimenti privati, che – come si conviene – oltre ai finanziamenti pubblici dovrebbero garantire l’attuazione del progetto (per un importo supposto di 100 milioni di €). Non mancano alcune previsioni per aree residenziali prevalentemente stagionali

della struttura economica che permetterebbe forse alla città di costruire una nuova e differente visione del suo futuro. Le novità di questo strumento riguardano soprattutto l’assetto e l’organizzazione per il futuro sviluppo del porto, che vanno oltre gli aspetti esclusivamente urbanistici, ma puntano a promuovere lo sviluppo economico e sociale della città, oltre che a tentarne una ricollocazione strategica nel Mediterraneo. L’Autorità Portuale, già ai tempi della presentazione del progetto, aveva espressamente dichiarato come non venisse considerata l’eventualità della costruzione del ponte sullo Stretto, ma focalizzava invece la sua attenzione sulla specializzazione funzionale dei tre approdi messinesi di competenza. L’obiettivo è infatti quello di creare una distribuzione territoriale delle funzioni marittime ed ottenere un potenziamento infrastrutturale, per poter in tal modo innescare soluzioni determinanti per rilanciare traffici merci e passeggeri e creare le basi per il recupero e la valorizzazione delle aree, una volta resesi disponibili. Il PRP è stato definitivamente approvato nel 2009 dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, ed ha generato una serie di polemiche in particolare per l’ipotesi di uno sfruttamento edilizio delle aree pregiate della Zona falcata con destinazioni d’uso e tipologie edilizie fortemente in contrasto con i principi di tutela, recupero e valorizzazione della zona portuale.

Il sistema costiero meridionale Infine continuando nella zona sud, dove si estende il waterfront più compromesso della città, grava l’incognita dello spostamento della stazione ferroviaria nell’area di Gazzi, prevista con la realizzazione del ponte; ed è sempre a Gazzi dove è stato ultimato anche il nuovo capolinea del tram. Nel frattempo si è conclusa la realizzazione della Metroferrovia: un collegamento metropolitano tra la stazione di Messina Centrale e la stazione di Giampilieri all’estremo confine meridionale del comune, previsto per creare un veloce collegamento pubblico su ferro alternativo tra il centro città e la periferia meridionale. Il nuovo approdo di Tremestieri (che nei progetti dell’Autorità portuale dovrà in futuro raddoppiare le sue attuali dimensioni) segna la fine della città. La città è sempre più distante e più difficile da raggiungere poiché l’autostrada non ha più uscite che permettano di utilizzarla come alternativa alla statale litoranea. Rientra pertanto nell’ottica di favorire i collegamenti urbani verso la zona Sud della città, la presentazione della proposta di creare un nuovo svincolo ad Alì Terme, di cui è dei mesi scorsi l’approvazione del progetto definitivo da parte della commissione di Valutazione di impatto Ambientale (VIA), così come finalmente dovrebbero essere completati quelli di collegamento nella zona nord di Giostra e dell’Annunziata, oltre quello che forse si potrebbe realiz-

MBM Arquitects, Studio di fattibilità per la valorizzazione turistica della fascia costiera Mortelle-Tono, Messina

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zare a Monforte San Giorgio, sul versante tirrenico della provincia messinese. L’occasione per il rilancio economico della città, che avviene anche attraverso la sua riqualificazione ed il conseguente miglioramento della qualità urbana, viene data dall’inserimento di Messina tra le città destinatarie del finanziamento ministeriale per il Programma Innovativo in Ambito Urbano «Porti & stazioni». In questa occasione vengono definiti con maggiore dettaglio l’area interessata dal programma, il quadro di obiettivi e i primi possibili interventi che sono alla base degli accordi tra l’Amministrazione comunale, Rfi e Ferrovie dello Stato e l’Autorità portuale, ai quali seguiranno poi le diverse procedure che hanno condotto nel maggio del 2009 alla presentazione di un primo programma strategico preliminare. Sicuramente sono le dimensioni, oltre che la complessità del contesto, a rendere le proposte estremamente peculiari che sono volte principalmente ad interventi di carattere infrastrutturale, quali il completamento del collegamento nord-sud con la Metroferrovia; la definizione dell’assetto definitivo della nuova «strada urbana di scorrimento» denominata «via del Mare», un’infrastruttura

in evidente contrasto con il lungomare auspicato per esempio dal Piano urbano della mobilità (in fase di compimento), di certo non destinato al traffico pesante e probabilmente più idoneo a favorire la riconversione delle aree e la loro riqualificazione; il ripensamento del tracciato ferroviario della linea Messina-Catania, ipotizzando un possibile interramento e liberazione del fronte mare (cosa che Rfi escluderà presto per problemi di natura tecnica e di costi); inoltre – come nel caso del Prusst, del programma Urban Italia e del Pit - vengono riproposti anche qui, interventi per la bonifica della Zona Falcata. Risalta comunque il progetto della Marina approntata dal gruppo MBM Arquitectes che dovrebbe estendersi lungo tutto il fronte mare e organizzare la successione delle diverse funzioni. Conclusioni Appare evidente come sembri maturare in questa fase l’occasione per ricomporre in un quadro generale coerente le tante iniziative urbanistiche e i dispersi pezzi di una riqualificazione urbana frammentata avviata con i numerosi Programmi complessi e all’interno del quale ricollocare

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(un «villaggio ecoturistico»), l’insediamento di residenze universitarie e un centro di attività di ricerca, come d’altro canto non potevano mancare le indicazioni per un porticciolo turistico. Risanamento: Gli ambiti interessati da tali Piani di Risanamento, redatti nel 1993 ed approvati nel 1994 dal Consiglio Comunale e nel 2002 dal D.R.U. (L.R. n.4/2002), coinvolgono globalmente una superficie di circa 750 ettari con una popolazione insediata di 115.000 abitanti, prevedendo la realizzazione di 3.300 nuovi alloggi per le famiglie oggi insediate negli insediamenti baraccati. Tali Piani sono complessivamente sette e riguardano l’ambito “A” Annunziata; l’ambito “B” Giostra, Ritiro, Tremonti; l’ambito “C” Camaro, Bisconte; l’ambito “D” Fondo Saccà; l’ambito “E” Gazzi, Fondo Fucile, Via Taormina; l’ambito “F” Santa Lucia, San Filippo; l’ambito “G” Bordonaro, S. Filippo. privati, che – come si conviene – oltre ai finanziamenti pubblici dovrebbero garantire l’attuazione del progetto (per un importo supposto di 100 milioni di euro).


note 1 B. Secchi, Prima lezione di urbanistica, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 148 2 Ibidem

strategicamente anche gli interventi di risanamento avviati in alcuni quartieri degradati dalla città. Con i Piani di Risanamento la città di Messina, ha voluto intraprendere un processo di riqualificazione urbanistica, per cercare di conferire qualità urbana a determinati luoghi che costituiscono periferie emarginate e degradate, e risolvere così anche il perseverante problema di vaste zone baraccate che insistono ancora in determinate aree urbane dai tempi delle ricostruzioni post-terremoto e postbelliche. E’ con l’emanazione della L.R. n.10 del 6 luglio 1990, con la quale si è consentito di completare le opere di sbaraccamento nella città, affidando al Comune l’individuazione delle aree da risanare e la delimitazione degli ambiti dei Piani Particolareggiati, la definizione degli obiettivi e delle strategie gestiona-

li dei programmi e con il conferimento allo I.A.C.P. del compito di eseguire le opere programmate nei Piani esecutivi. Si evince dunque, quanto sia necessario far convogliare tutta questa serie di nuovi progetti per la città in un nuovo Piano Regolatore Generale e nel nuovo Piano Strategico, finalizzati ad intervenire in maniera organica e rigorosa affinché si possano seguire delle precise linee di riassetto urbano e di riqualificazione complessiva, e favorire lo sviluppo armonico anche dal punto di vista socioeconomico. La predisposizione di questi nuovi strumenti urbanistici deve costituire l’occasione per coordinare le evenienze ed i fermenti e per affrontare le criticità come sopra illustrato, nonché a definire delle organiche linee di sviluppo per il riordino e la riqualificazione della città di Messina e del suo contesto ambientale.

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Zaha Hadid, Reghium Waterfront, Reggio Calabria, 2006; Daniel Libeskind, Centro Direzionale, in località Piale (Villa San Giovanni, Reggio Calabria), 2011

Trasformazioni nello Stretto Maria Francesca Faro Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle. (...) E si capisce che sia contenta. Ha belle strade belle piazze in cui passeggiare, ha magnifici abbeveratoi per abbeverarvi le bestie, ha belle case per tornarvi la sera, e ha tutto il resto che ha, ed è bella gente! (...) Tu dici che dev’esser l’aria buona, ma più la città è bella e più la gente è bella come se l’aria vi fosse più buona. Elio Vittorini1

Le città del terzo millennio stanno subendo un’accelerazione radicale dei processi di trasformazione. La velocità delle innovazioni e la forte crescita dell’impulso mediatico incentivano una nuova struttura territoriale definita dalla moltiplicazione di nodi, reti, flussi materiali e immateriali, che operano una modificazione non solo nella configurazione spaziale del territorio, ma anche nella struttura della città stessa. Le città, trasformate in grandi parchi tematici, divengono luoghi di intrattenimento di massa, grandi contenitori di immagini, votati alla ricerca della spettacolarità in cui le opere architettoniche divengono oggetti di marketing firmati. L’architettura dell’immateriale, dell’hitech, prevale, mentre il corpo della città tende a scomparire nella “città diffusa”2. Sebbene la crisi economica abbia in parte frenato questo processo, portando Rem Koolhaas a ripiegare sull’architettura generica, anche Reggio Calabria e Messina, con modalità, intenti e tempi differenti, hanno cercato di inserirsi nel circuito mediatico, pubblicizzandosi attraverso la firma di Zaha Hadid per il “Regium waterfront” una, tentando di rilanciare la propria immagine attraverso le proposte di Oriol Bohigas per la costa tirrenica ed il PIAU l’altra. Progetti articolati, complessi, pretenziosi e discutibili talvolta per un ter-

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ritorio compromesso come il nostro, che però potrebbero innescare una serie di meccanismi in grado di dare impulso ad una economia ormai stagnante, se gestiti con consapevolezza, in caso contrario finiranno ad alimentare la lunga lista di opere che da decenni attendono di vedere la luce. Messina, luogo di riflessioni e dibattiti a scala nazionale nel secolo scorso, oggi vorrebbe basare la sua rinascita sul recupero delle fasce costiere a nord e sud, ma deve districarsi tra l’articolazione di piani e programmi talvolta contraddittori - il PUM del 2005, la via del Mare del 2003, il PIAU, il PRG del Porto, il Piano Strategico Comunale, il PRP - e sovrapposizioni di competenze, Comune - Autorità Portuale - RFI - Regione, un’infinità di proposte di riqualificazione che proprio nella loro complessità trovano i limiti di attuazione. L’effettiva realizzazione del ponte è la prima discriminante, perché ad essa sono legate un insieme di operazioni a scala territoriale e urbana: come la riqualificazione della zona Falcata, il miglioramento del sistema viario e infrastrutturale, il potenziamento o il progressivo depauperamento dei sistemi portuali e il conseguente ruolo della Stazione Marittima. Fugato questo dubbio, devono essere superate le contraddizioni evidenziate dalla so-

Elio Vittorini, Le città del mondo, Meridiani Mondadori, Milano, 1974; p.378. 2 Franco Purini, Dopo la città il paesaggio, 2002, in Padova/Càdiz. 2° Workshop internazionale di architettura Intorno al Vuoto. Il ridisegno di Prato della Valle, Editore Arquitecto de Càdiz, 2003; p.71. 1


MBM arquitectes, progetto preliminare “Via del mare” di Messina, 2009, schema planimetrico

vrapposizione tra il PIAU del gruppo MBM di Oriol Bohigas, i progetti dell’ufficio tecnico di Programmi Complessi per una nuova viabilità, e quello di 3T e Geierad per la via del mare e la pista ciclabile (sistema a scorrimento veloce o fronte a mare permeabile della città?). Messina è una città ferita e abusata, che si accontenta di recuperare il suo affaccio a mare trasformando i vuoti della Palazzata in “piazzette tematiche”, in attesa …; in attesa che operazioni infrastrutturali e architettoniche le conferiscano una nuova misura e un nuovo ordine urbano, dove, invece, ogni intervento edilizio è una mancata occasione di riscatto ed una semplice operazione di speculazione, in attesa di instaurare un dialogo tra città e territorio, in attesa di potersi riscattare attraverso il modello Barcelona. La debolezza del progetto del gruppo MBM risiede proprio nell’immagine di perfezione che ci restituisce in cui è chiaro che il disegnare immensi parchi, proporre isole artificiali, inserire tra dune “ricostruite” architetture a ridosso della linea d’acqua, è il modo per non risolvere le vere criticità del tessuto urbano e del territorio, mostrandosi indifferenti al carattere del luogo e alle dimensioni del tessuto su cui si inserisce l’intervento: la scala minuta dell’edilizia residenziale di Tono-Mortelle

deve confrontarsi con le stecche di alberghi fuori scala, mentre le sequenze dei vuoti attrezzati di un modello di parco metropolitano dovrebbero risarcire la città del mancato rapporto col fronte a mare che continua a restare “qualcosa d’altro” distante dalla città e dai suoi abitanti. Sulla costa opposta Reggio Calabria, sebbene con il progetto per il lungomare di Zaha Hadid sembra volersi proiettare nel mondo della logo-architecture, della architettura-immagine, è riuscita a mantenere, all’interno del processo di trasformazione, la propria identità, comprendendo i limiti che tali modificazioni avrebbero comportato, e la pericolosità che, in un territorio caratterizzato da uno scenario complesso, può comportare la degenerazione dell’architettura a sola “comunicazione”. Affermando il proprio ruolo di città che gravita sullo Stretto, sembra aver preferito adottare una strategia in grado di operare attraverso i propri caratteri locali, per cercare di superare il degrado paesistico delle coste, segnate dall’abusivismo, e delle periferie abbandonate dell’interland. Gli interventi previsti e in parte realizzati attraverso i fondi del Decreto Reggio (L.246/89) e il successivo Progetto Urban operano a scale differenti, nelle zone periferiche più compromesse e nella ridefinizione del centro urbano, tramite progetti

MBM arquitectes, progetto preliminare “Via del mare” di Messina, 2009, profilo

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Zaha Hadid, Reghium Waterfront, Reggio Calabria, 2006

urbani e architettonici che, guidati da un forte realismo critico, tendono a cancellare quell’immagine offuscata che la modernità ha riservato alla Calabria. Ludovico Quaroni, negli anni ’80, utilizzando come specifiche strategie di progetto, la grande scala, i progetti urbani, lo spazio pubblico, la progettazione architettonica, teorizzava una trasformazione urbana di Reggio Calabria in “città-regione dello Stretto”, in accordo con le indicazioni del Piano 803. Il pensiero del Maestro è quanto mai contemporaneo. Le trasformazioni in atto, infatti, sembrano essere guidate da una strategia di intervento che, memore della lezione quaroniana, ricerca una città moderna, nata dalla reinterpretazione delle tracce della città antica, definita da un tessuto continuo fatto di “unicità” e “molteplicità”, una città capace di generare nuovi equilibri territoriali. Gli interventi di riqualificazione proposti suggeriscono la definizione di un’aera urbana che, annullata ogni possibile deriva in città diffusa, dai confini Nord, in prossimità di Villa S. Giovanni, si estende fino alla zona Sud, interessando le zone periferiche dell’interno del Comune. Mentre le indagini alla grande scala propongono una ridefinizione della zona costiera, al fine di incrementare il potenziale sviluppo turistico, economico del territorio in previsione della futura realizzazione dell’attraversamento viario dello Stretto, i progetti a scala urbana intervengono sulla

riqualificazione dei quartieri delle periferie, in un ricercato dialogo tra realtà fisica e sociale. La “Riqualificazione del lungomare di Gallico”, infatti, in continuità con i lavori di recupero del fronte a mare di Catona, la creazione del “Parco urbano dell’area sud”, attraverso il coraggioso atto della demolizione, restituiscono spazi aperti alla città e stabiliscono una nuova relazione tra la linea di costa e i centri urbani, dotando i litorali di servizi e aree verdi. Elemento di unione tra questi sistemi è il lungomare Reghium waterfront di Zaha Hadid, sebbene l’intervento sembrerebbe stridere con questa logica di riqualificazione introducendo due nuovi poli che mettono in discussione le previsioni dimensionali del tessuto urbano su cui si inserisce. L’architettura diviene una forma di riscatto, anche quando crea nuove polarità capaci di riqualificare i sistemi urbani limitrofi. I progetti per la “Nuova Fiera in località Arghillà” di Gregotti, la “Palestra polivalente a Terreti”, il “Centro civico e sociale di Condera”, il “Palazzo di Giustizia” di Nicoletti, come elementi ordinatori di realtà frammentate e compromesse, stabiliscono nuove e dinamiche relazioni tra paesaggio e tessuto urbano. Fondamentali, inoltre, gli interventi ad una scala minore nel centro storico che, ponendo l’attenzione sul dettaglio, piuttosto che sull’elemento d’arredo, consentono di restituire luoghi e spazi alla cittadinanza, come gli interventi

Gregotti Associati, Fiera di Arghillà, Reggio Calabria, planimetria e vista prospettica

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Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno, Piano di coordinamento per gli interventi pubblici nel Mezzogiorno, Roma, 1966

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MBM Arquitectes, progetto preliminare “Via del mare” di Messina, 2009, stralcio della sezione

Achille Bonito Oliva: “C’è chi ha costruito veri gadget, depositati come astronavi in uno spazio urbano molto complesso, senza tener conto del contesto”. Ed è categorico – Archistar addio. Non si risparmia neanche Vittorio Sgarbi, che parla del mito culturale delle archistar e se la prende con le architetture religiose. Basta con le archistar atee e le loro chiese scatole. Le polemiche arrivano anche da un voce fuori dal coro: John Silber, docente di filosofia e diritto.

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di “Riqualificazione della Villa Comunale”, la “Sistemazione esterna di piazza Castello”, il “Tapis Roulant” di via Giudecca. Per Reggio Calabria, si delinea, dunque, una città futura che, seppur ricostruita sul sedime di una città storica non adeguata alle richieste contemporanee e segnata da un territorio abusato, cerca di riscattarsi attraverso un attento ridisegno di quello skyline paesaggistico spesso compromesso. Reggio Calabria e Messina, dunque, per quanto insieme costituiscano la Metropoli futura dello Stretto, vivono le trasformazioni con due velocità differenti. La prima sembra essere abbastanza ricettiva e propositiva, mostrando la presenza di un strategia complessiva di interventi di riqualificazione del territorio - seppure debba confrontarsi con tempi di realizzazione non brevi, e con parti del tessuto fortemente degradate, anche per l’abusivismo - che guardano sia alla costa, che alle zone più interne e ai sistemi delle fiumare. La seconda invece sembra evitarle, anche se in apparenza concorsi e gare di progettazione facciano pensare ad un’attività frenetica, la città versa in una condizione di cieca immobilità, in attesa dell’attuazione di piani e programmi troppo complessi, onerosi e talvolta discordanti l’un l’altro, che palesano la mancanza di un’oculata e coerente programmazione di sviluppo (molto più vicini alla strategia “del cambiare tutto per non cambiare nulla”

che a quella del fare). Le operazioni proposte dalle archistar sui i due fronti dello Stretto sono di natura differente, dovuta anche alla scala dell’intervento. Il primo opera su una zona ben definita attraverso l’introduzione di un elemento che lo condiziona e lo identifica. Il secondo opera attraverso un’insieme di sistemi su un’area vasta. Se cementificazione eccessiva, degrado urbano ed edilizio, abusivismo, erosione delle coste, rischio idrogeologico possono essere risolti operando per parti, attraverso interventi puntuali, anche di demolizione, il ricorso all’architetto di “grido” può essere un plusvalore, se accelera le procedure, se è veramente in grado di riscattare il luogo con un “gesto”, come il museo di Ghery a Bilbao, per restituire un volto ad una città che vive ormai nel ricordo di un’immagine preterremoto che non potrà più recuperare, se consente ad un luogo a forte vocazione turistica di esplicitare questa sua funzione senza speculazioni edilizie. In caso contrario diviene un flop economicamente non sostenibile se incompiuto, vuoto contenitore di spazi inutilizzabili e mera celebrazione di se stesso4. Speriamo che il coraggioso atto di demolizione degli abusi della zona Falcata apra il periodo del recupero e della riconversione per restituire nel più breve tempo possibile questi luoghi alla città e non lasci spazio alla paura dell’horror vacui della tabula rasa…

la zona Falcata di Messina architettura tra urbanistica e archistar

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progetto di riqualificazione di via Roma, planimetrie

Barcellona (P.G.)/Barcelona (ES) Q u e s ti o n i d i o m o n i m ia Bartolo Doria

Il centro urbano di Barcellona P.G. si presenta oggi come un denso agglomerato urbano privo, a parte alcune eccezioni, di qualsiasi ordine riscontrabile sia nel rapporto urbano di pieni e di vuoti, che nel rapporto tipo-morfologico come regola per il disegno della città, priva di quella qualità diffusa tanto auspicata nelle indicazioni preliminari del concorso promosso dall’Amministrazione comunale. L’esperienza concorsuale conclusasi con la pubblicazione degli atti del concorso sembra aver dichiarato, sin dal progetto preliminare redatto dal comune di Barcellona P.G., che la città che ci si apprestava ad immaginare dovesse risultare come un complesso palinsesto di elementi vecchi e nuovi in continua tensione, una città per parti come unica interpretazione storica dei fenomeni urbani che l’hanno generata. Il concorso svolto coinvolgendo diverse generazioni di architetti, tra loro linguisticamente lontani, ha nella impo-

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stazione generale imposto il “progetto” come strumento di trasformazione e di controllo in opposizione al “piano”, avendo abbandonato anche gli amministratori, l’idea di una organicità complessiva per il disegno della città; questa con sempre maggiore convinzione viene considerata quindi come “organismo complesso”, non unitario, in cui le singole aggregazioni urbane sono definite e autonomamente interpretabili. Proprio questa necessità di dotarsi di regole tecniche, figurative e di un quadro di criteri normativi e ordinatori chiari, ha spinto l’Amministrazione Comunale ad adottare uno strumento come quello delle linee guida per la progettazione, che riprendendo le precisazioni riportate nella relazione del gruppo vincitore, intendono costituire l’esito di un preciso lavoro di “prefigurazione progettuale” volto a “sistematizzare una sequenza di atti di riqualificazione urbana ed architettonica nonché uno strumento strate-


gico che regola i diversi interventi che consentono procedure amministrative ed attuative omogenee e coordinate, con il coinvolgimento diretto dei privati chiamati a mantenere il bello e se è possibile, incrementarlo”. Appare chiaro come le risposte progettuali del gruppo ABDR, progetto vincitore del concorso, affermino, forse in modo troppo deterministico, l’incapacità del progetto urbano di poter offrire soluzioni per un più efficace disegno urbano complessivo, destinando alle opere “in superficie” (pavimentazioni, superfici ed arredo urbano), il compito di poter determinare la struttura formale della città, in particolare per la via Roma; in questo caso il gruppo vincitore, oltre ad ammettere l’impossibilità che interventi di arredo urbano possano risolvere il problema dello spazio urbano, sostiene che solo una maggiore consapevolezza della collettività possa sostenere ed incrementare quella “qualità

diffusa” così fortemente ricercata. Simile atteggiamento, seppur definito da logiche aventi differenti presupposti iniziali, è stato mostrato per il quartiere di Pozzo di Gotto, città parallela ed “altra”, una sorta di Barri Gòtic della Barcellona spagnola, destinata ad ospitare funzioni legate al commercio, all’artigianato e ad attività notturne. L’intervento di recupero edilizio è stato oggetto della riqualificazione di Via Longo e dei locali della pescheria in cui è chiaro l’obbiettivo di rifunzionalizzare antiche strutture architettoniche, ad oggi inutilizzate, luoghi adatti a svolgere un ruolo di mediazione socio-culturale in quanto destinate alle strutture civiche della città. Infine sono stati recuperati oggetti architettonici destinati ad altre funzioni come l’edificio della vecchia stazione ferroviaria, intesa come “emergenza urbana” e dichiarato terminale architettonico naturale di via Roma. Gli esiti progettuali sembrano, per un

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progetto di riqualificazione di via Roma: planimetria

caso di omonimia, legare le vicende che interessano il centro urbano siciliano con le esperienze compiute più di un ventennio fa a Barcellona in Spagna, rendendo per certi versi attuale la lezione attuata nel centro catalano. In particolare è possibile rintracciare un forte interesse per la questione della mobilità, ovvero il livello di libertà che la città offre ai suoi abitanti, alla sua “integrazione fisica” al sistema sociale, coprendo la disomogeneneità e gli squilibri di uno spazio urbano che estendendosi oltre i suoi limiti riconosciuti possa recuperare così la propria “identità urbana”. Tutti i progetti sembrano comunque volgere l’attenzione all’articolazione di una struttura viaria estremamente complessa, che è poi oggi il segno più evidente della “contemporaneità” della città, ma soprattutto l’integrazione formale e funzionale con il tessuto circostante; in questo modo le strade sviluppano con la città un disegno che ne asseconda le morfologie esistenti, attraverso percorsi differenziati a più livelli, aree di sosta, arredi urbani, architetture e verde attrezzato. La strada, intesa nel complesso rapporto con

progetto di riqualificazione di via Roma: profilo

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gli edifici che su questa si affacciano e che nel caso in questione si presentano con un disordine altimetrico e tipologico delle quinte stradali, più volte evidenziato nelle relazioni del progetto vincitore, oltre ad una modesta qualità materiale e formale delle partiture architettoniche delle facciate, è stata elevata a luogo in cui è possibile una rappresentazione narrativa e quindi una esperienza sequenziale, caratterizzata da un ritmo e da una coerenza di sviluppo, non diversa da quella di una sequenza filmica, facendo attenzione allo studio degli elementi di “attenzione” oltre a quel senso del movimento che assume un ruolo propositivo nella progettazione, fino ad attribuire a questa esperienza una “forma”. Altro aspetto considerato nella definizione dei diversi spazi progettati è quello di “Arte urbana”, che a differenza dei principi dettati dal “disegno urbano” tende alla trasformazione metaforica, psicologica e fisica dell’architettura e dello spazio urbano, interpretando le contraddizioni della città contemporanea senza far uso di “monumenti”, già decaduti con il post moderno.


progetto di riqualificazione della stazione, pianta piano terra

ABDR, gruppo formato da Maria Laura Arlotti, Michele Beccu, Paolo Desideri, Filippo Raimondo, svolgono attivita’ professionale associata dal 1982. Oggi sono i partner di uno dei maggiori studi di progettazione italiani con circa 35 dipendenti e lavori che vanno dalla nuova stazione Tiburtina alle fermate del prolungamento della metropolitana B, dalla ricostruzione della Serra Piacentini presso il Palazzo delle Esposizioni al piano delle aree verdi dell’Eur a Roma sino ai progetti per Lecce e per la sistemazione delle attrezzature pubbliche nel comune siciliano di Barcellona Pozzo di Gotto. L’attività progettuale è svolta principalmente nei settori pubblici e privati delle grandi opere infrastrutturali e dei grandi complessi immobiliari, progressivamente specializzata nella progettazione integrata e nel controllo dei rapporti tra architettura ed engineering. Hanno partecipato alla XVI Triennale di Milano del 1995 e nel 1997 hanno esposto il loro lavoro nella mostra monografica alla galleria AAc di Milano e nel 2007 nella mostra monografica all’Acadèmie Royale di Bruxelles a cura l’Istituto Italiano di Cultura.

Dalla relazione di progetto è fin troppo chiara l’idea che è possibile conciliare il recupero di luoghi della memoria con la creazione di spazi artificiali di socializzazione, essendo “le ragioni dell’una funzionali a quelle dell’altra ed è nella forma definita dal progetto che le due condizioni trovano risoluzione”; così dicendo si afferma, per dirla con Rem Koolhaas, che la vera ambizione della metropoli è quella

di creare un mondo fabbricato completamente dall’uomo, che abiterà in un “paesaggio consueto, volgare e disprezzato” in cui si potrà costruire “l’ordine complesso e contraddittorio, valido e vitale per un’architettura intesa come un insieme urbanistico” dove il progetto sublimando le esperienze dell’ambiente quotidiano potrà definirsi come “proiezione verso l’immaginario”.

progetto di riqualificazione della stazione, vista prospettica

progetto di riqualificazione della pescheria, viste prospettiche architettura tra urbanistica e archistar

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[A RC HITE T TURA : b uo ne p r a t i c he ]

Torino, l’asse del Po e Piazza Castello (tutte le foto sono di Clara Stella Vicari Aversa)

Destreggiarsi con orgoglio fra le archistar Torino: a piccoli passi e senza troppo rumore Clara Stella Vicari Aversa Il must del momento Mediàtico: aggettivo [der. dell’ingl. media «mezzi (di comunicazione)»]. – Imposto o generato dalla cultura dei mass media: fenomeno m., personaggio o avvenimento reso largamente popolare dall’azione dei media1. Sembra essere, anche nel campo architettonico, l’aggettivo più abusato del momento. Si addice a tutto: da un oggetto di design, a un edificio, un quartiere, fino a un’intera città. Si progetta pensando a come quel prodotto possa essere immesso nei circuiti di comunicazione, magari finire su riviste patinate e sotto i riflettori o le luci delle più prestigiose mostre o esposizioni. Archistar: sostantivo maschile e femminile [composto di archi(tetto) e star ‘personaggio molto noto e popolare’], invariabile. Architetto molto famoso, conscio di essere, come i divi dello spettacolo, al centro dell’attenzione pubblica per la sua capacità di far discutere e di sorprendere con i propri progetti e le proprie opere2. “Mai come adesso l'architettura è di moda. Nelle riviste, nei quotidiani, in televisione le opere delle superstar dell'architettura sono oggetto della curiosità di lettori che prima erano completamente digiuni in materia”, scrive l’antropologo Franco La Cecla nel suo saggio Contro l’architettura3. Ma se qualcosa diventa moda vuol dire che già sta passando, che non è più, che già qualcos’altro che l’ha sorpassata sta arrivando. Non è un bene che l’architettura diventi di moda. Ha altri tempi, non 30

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si consuma, o quantomeno non dovrebbe farlo così velocemente come appunto, per sua natura, una moda. “Le archistar possono fare un edificio seguendo la moda, ma a mio avviso questo tipo di costruzioni sono un fallimento totale”, rincalza anche il matematico e fisico australiano Nikos Salìngaros4. Se le grandi firme dell’architettura sono il must del momento, fra gli edifici simbolo delle archistar primo fra tutti vi è il Museo Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry. A ben vedere, però, al contrario di ciò che spesso si legge, non è affatto un edificio che salva una città; ben pochi si sono seduti a guardare cosa c’è lì intorno e a rendersi conto che in questo caso è stata proprio la città, col suo tortuoso e pieno di storia fiume Nervión, a salvare un edificio. Non è un caso che proprio Bilbao abbia portato Gehry alla popolarità, e se è innegabile anche il contrario lo è perché l’attiva grigia e fumosa Rìa industriale di Bilbao sembra essersi introdotta e insinuata quanto mai nelle rilucenti pieghe di titanio della sua macchinosa architettura. E questa non sembra non aver fatto altro che accomodarsi lungo il corso di un fiume già pronto ad accoglierlo. E se è vero che la logo-architecure per adesso sembra funzionare molto, è altrettanto vero che non tutto ciò che nasce, e soprattutto poi attecchisce e cresce bene, nel mondo va avanti solo così. Che fare allora? Resistere o accogliere le archistar?

www.treccani.it Ibidem 3 Franco La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, 2008. Continua La Cecla: “Eppure mai come adesso l'architettura è lontana dall'interesse pubblico, incide poco e male sul miglioramento della vita della gente. A volte ne peggiora le condizioni dell'abitare. Questo accade perchè l'architettura è diventata un gioco autoreferenziale, tutta incentrata sulla ‘firma’, sulla genialità del singolo architetto, genialità che è quotata nella Borsa della moda al pari di un qualunque brand”. 4 Nikos A. Salìngaros, No alle archistar. Il manifesto contro le avanguardie, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2009. 1 2


i progetti di trasformazione della città di Torino (riproduzione immagine concessa da Urban Center Metropolitano di Torino)

Per chi avesse curiosità su com’è oggi Torino e i torinesi si consiglia il divertente e ironico Giuseppe Culicchia, Torino è casa mia, Editori Laterza, Bari, 2005.

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L’understatement torinese e la trasformazione della città. Proviamo a guardare a una città che da sempre vive, produce, si trasforma, anche profondamente, senza troppo frastuono. Ha accolto le archistar provando a resistere per non divenire mai una sua fashion victim, cercando anzi con tencia e umiltà di farsi realizzare modelli su misura secondo le proprie forme e necessità. Non una metropoli, ma una città non troppo grande, non una capitale -seppur lo è stata-. E poi ancora una città italiana, non straniera, perché si potrebbe a ragione obiettare che da sempre “Noi italiani abbiamo un terribile difetto. Noi siam usi a disprezzare le cose nostre; e abbiamo, invece, un’illimitata opinione della superiorità degli stranieri. E’ una grave sciagura, è un pregiudizio fatale, contro il quale si infrangono gli sforzi dei costruttori” -come affermava più di un secolo fa Giuseppe Colombo, l’autore del celebre Manuale dell’ingegnere, al termine dell’Expo di Milano del 1881-. Infine una città settentrionale ma abitata da tanti, molti, meridionali. Torino offre parecchio su cui riflettere. Torino ha dimostrato, soprattutto negli ultimi anni, come sia possibile non smettere mai di scommettere su un territorio, tirando fuori la grinta per sfruttare al meglio i momenti di difficoltà, ridefinendo di volta in volta il proprio ruolo e convertendo i pe-

riodi di crisi in opportunità. “Torino è una città in grado di stupire il mondo” si legge sul New York Times, eppure il capoluogo piemontese non ama esibizionismi, nè fare scalpore o anche solo rumore, nè far parlare o attirare troppo l’attenzione su di sè. E’ una città che vive e che lavora in diversi campi in modo anche eccellente e brulicante, ma quasi mai lo fa sapere a chi è “fuori”; aspetta che il passo avvenga a suo tempo, in modo graduale. Chi la conosce sa che anche i torinesi sono così: incredibilmente differenti dai vicini, molto più patinati e sempre “più grandi” in tutto, milanesi. E’ una città elegante, sobria e riservata, che vale la pena scoprire e andare a trovare5. L’evoluzione architettonica della città, legata al suo importante processo di trasformazione territoriale, è iniziata soprattutto negli anni Settanta. In particolare sono tre gli avvenimenti che hanno saputo incidere in modo determinante e proficuo nel processo di trasformazione: la dismissione di aree e stabilimenti industriali, l’occasione dei XX Giochi olimpici invernali del 2006, l’alta velocità. A queste circostanze che da sole non avrebbero portato una reale rigenerazione della città, si sono sapute intrecciare sapientemente efficaci strumenti di controllo del territorio. Infatti la maggior parte delle trasformazioni sono riconducibili principalmente a tre tipi di strumenti di architettura tra urbanistica e archistar

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Torino, l’Oval Lingotto, con al fondo il Villaggio Olimpico. Dettaglio Villaggio Olimpico

governo del territorio: il Piano Regolatore Generale del 1995, che ha definito i criteri e le regole per le principali aree industriali dismesse -circa 3.000.000 mq-; il Piano Strategico del 2000, adottato con l’evidente obiettivo di creare contatti e sinergie tra istituzioni, pubblica amministrazione, imprenditoria locale e cittadini; i programmi complessi come strumenti di attuazione del piano, in particolare i Programmi di Riqualificazione Urbana. Così negli ultimi quarant’anni occasioni non disperse e attente capacità gestionali si sono incontrate dando luogo alla, in questo momento abbastanza esemplare, città attuale. Sin alla metà degli anni Settanta, da quando cioè molti stabilimenti industriali hanno chiuso lasciando incerto il futuro di aree decisamente centrali del tessuto urbano, -e il simbolo della tradizione produttiva torinese, lo stabilimento del Lingotto6, definito da Le Corbusier “il più grande spettacolo dell’industria”, si è avviato verso la definitiva chiusura nel 1982-, la città non si è affatto ripiegata su sé stessa. Anzi, è stata l’occasione per ripensarsi e già dieci anni dopo, su progetto di Renzo Piano, si inaugurava la prima fase del recupero per convertirlo in uno dei più grandi centri multifunzionali d’Europa. Oggi la città ha cambiato decisamente il suo volto e in questo, come si accennava, una spinta importante l’ha data l’approvazione, nel 1995, di una base normativa credibile ed efficiente: il Piano Regolatore Generale, elaborato dallo Studio Gregotti -Augusto Cagnardi, Vittorio Gregotti, Pierluigi Cerri, costruito a partire dalla polarità lineare della riqualificazione dell’asse ferroviario, la cosiddetta Spina Centrale, e delle vicine aree industriali dismesse. Se il piano di Gregotti è stato proprio ciò

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che ha avviato l’esemplare trasformazione della città piemontese, i Giochi olimpici invernali del 2006 hanno fornito un impulso notevole e fondamentale alla rigenerazione globale della città. “Sono stati l’occasione per cambiare la percezione, da città industriale a centro propulsivo di arte contemporanea, musica, cinema, fashion e design”, ha scritto Usa Today. Con l’appuntamento olimpico numerose architetture per lo sport sono rinate come opere maestre dell’architettura contemporanea. E’ il caso del Palavela del 1961, reinterpretato da Gae Aulenti e Arnaldo De Bernardi; nuove avanguardistiche architetture sono state realizzate: il Palaolimpico di Arata Isozaki e Pier Paolo Maggiora, che ha ridefinito anche lo spazio urbano antistante; l’Oval Lingotto di Hok Sport e Studio Zoppini Associati; il Villaggio Olimpico progettato da un team coordinato da Benedetto Camerana e Giorgio Rosenthal, nell’area degli ex Mercati generali. Non solo aree ed edifici industriali in disuso di Torino hanno ritrovato nuova vita; anche parti più degradate del centro storico sembrano risvegliate grazie alla parallela iniziativa di gruppi di imprenditori, progettisti, artisti, artigiani. Il c.d. quadrilatero romano, la zona relativa al nucleo urbano centrale da cui hanno origine gli assi della città, che versava in forte stato di degrado e abbandono, è ormai quasi del tutto recuperato e, finalmente, pieno di vita. La riqualificazione e rifunzionalizzazione delle antiche zone industriali dismesse lungo gli assi fluviali della città -dove si posizionarono, lungo la Dora prima e lungo il Po poi, le prime attività produttive nel XIX secolo-, ma anche i numerosi progetti di riconversione di piccoli spazi urbani ed edifici storici del quadrilatero, non sono che esempi

6 Il Lingotto è uno degli edifici industriali più spettacolari che si siano costruiti nel XX secolo. La fabbrica di automobili fu progettata dall’arch. Giacomo Mattè Trucco; i lavori iniziarono nel 1916 per aprire le porte sette anni dopo. Rivoluzionario è stato il modo di intendere l’edificio nella sua interezza, proprio come una grande catena di montaggio in perfetta sintonia con le teorie tayloriane e fordiste del lavoro; i vari pezzi venivano introdotti al piano terra, e poi le automobili si componevano prendendo forma nei vari livelli mano a mano che risalivano dalla spirale posta dall’interno lungo i cinque piani dell’edificio, terminando nella copertura dove un pilota di prova realizzava un giro sulla pista comprovando il corretto funzionamento dell’auto.


Il Palaolimpico, il Museo dell’Automobile Carlo Biscaretti di Ruffia, con relativo ampliamento

di come la città si sia trasformata con costanza, con piccoli e non solo grandi passi, provando sempre a mantenersi in linea con un piano di ampio respiro, capace di richiamare e coinvolgere anche le grandi firme dell’architettura. La Spina Centrale e la trasformazione urbana torinese La Spina Centrale è indubbiamente il principale punto di partenza della trasformazione urbana, un boulevard quasi di haussmaniana memoria, che corre da nord a sud per circa 12 km, una “spina dorsale” che, attraverso l’interramento e la copertura dei binari del Passante Ferroviario di Torino, ha consentito la ricucitura del tessuto urbano di due parti di città da sempre separate fra loro. Il lungo viale, pensato da Gregotti con caratteristiche architettoniche unitarie lungo il suo percorso, è il fulcro dei principali interventi di trasformazione, con nuovi insediamenti produttivi, servizi, spazi culturali e di incontro. La nuova infrastruttura diviene anche importante occasione di incontro tra arte e spazio pubblico, contribuendo anche a consolidare il felice connubio instauratosi negli ultimi anni fra Torino e l’arte contemporanea.7 Lungo il tracciato della Spina centrale, che attraversa le Spine 1, 2, 3 e 4, si susseguono alcuni dei più importanti progetti di trasformazione di Torino: la nuova Stazione Alta Velocità di Porta Susa, del Gruppo Arep con Agostino Magnaghi, che si avvia a divenire principale riferimento per il traffico ferroviario anche per il turismo e l’accoglienza; la Cittadella Politecnica, della Gregotti Associati e dello Studio Valle Progettazioni, su parte delle vecchie Officine Grandi Riparazioni delle Strade

ferrate (una delle più interessanti testimonianze del passato industriale di Torino, oggi recuperata anche come grande spazio espositivo in seguito a gara aggiudicata nel 2009 al raggruppamento guidato da 5+1AA), che sviluppa e potenzia le attività del Politecnico, uno dei partner di primo piano dell’imprenditoria; il Centro Culturale di Mario Bellini, sull’area industriale dismessa delle Officine Nebiolo e Westinghouse, che comprenderà la nuova Biblioteca civica centrale; la Chiesa del Santo Volto di Mario Botta, del 2006, sull’area Fiat Ingest; il Parco commerciale Dora sul vecchio sito del grande stabilimento Michelin del 1906 per la produzione di pneumatici; l’Environment Park -di Emilio Ambatz Associates, Benedetto Camerana con Giovanni Durbiano e Luca Reinerio-, il Parco della Dora -di Peter Latz + Partner con altri- e il Villaggio Media Vitali -di Buffi Associés con altri-, tutti e tre nelle ex Fiat Ferriere; il grattacielo per il nuovo centro direzionale della Banca Intesa SanpaoloIMI su progetto di Renzo Piano; il grattacielo per il Palazzo della Regione Piemonte di Massimiliano Fuksas -autore anche del Mercato coperto a Porta Palazzo nel 20058. Oltre alla Spina vale la pena menzionare altri due assi strutturanti della città: quello storico del Po e quello nuovo in corso di realizzazione di corso Marche. L’asse del Po è quello meno interessato da trasformazioni radicali e dove vi si trovano la maggior parte degli elementi legati alla bellezza paesaggistica della città, quali parchi fluviali e viali alberati, ma anche eccellenze storiche come piazza Vittorio Veneto, la Gran Madre, il Castello del Valentino, le grandiose architetture novecentesche della zona di Italia ’61, i centri uni-

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il Palavela, in occasione del XXIII Congresso Mondiale degli Architetti a Torino nel 2008; le Officine Grandi Riparazioni, in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

versitari e di formazione come l’ex Regia Manifattura Tabacchi pronta ad ospitare la Facoltà di Psicologia e Scienze della Formazione. Lungo l’asse del fiume si trovano anche il progetto di ampliamento e ristrutturazione del Museo dell’Automobile Carlo Biscaretti di Ruffia, radicalmente ristrutturato e riaperto nel marzo 2011, su progetto dell’architetto Cino Zucchi e con gli allestimenti dello scenografo François Confino, il progetto per il Polo Universitario per le Facoltà Umanistiche di Norman Foster+Giugiaro Architettura, nell’area ex Italgas, su oltre 40.000 metri sulle sponde del fiume Dora. L’asse di Corso Marche, su progetto di Augusto Cagnardi, nei suoi 13 km permetterà di congiungere, da nord a sud, la Reggia di Venaria Reale con la Palazzina di Caccia di Stupinigi, interessando un ambito sovracomunale che modificherà radicalmente l'area metropolitana ovest alle porte di Torino, integrando nel suo tratto centrale, su più livelli, la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, un nuovo tratto di tangenziale sotterranea e un nuovo viale urbano di superficie. Potenzialmente non serve a far bella una città. Abituarsi ad una città più bella. Messina: a piccoli passi ma verso la migliore qualità possibile. Torino è nel complesso città dalle tante anime, anche apparentemente contraddittorie fra loro. Qui convivono più città nella città e fra queste quella industriale certamente ha avuto un peso determinante nel nuovo processo di riconversione. Ma se Torino appare una città abbastanza esemplare nella sua recente trasformazione urbana che lezione trarre per Messina? Si tratta di un caso disperato? Vale ancora la pena credere in una sopita e mai spenta vitalità latente, magari si tratta di un’energia solo in fase di accumulo 34

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che, come nel caso dei ben conosciuti terremoti, si sprigionerà inaspettatamente. Ben vengano l’energia del cambiamento e una nuova forza nei progetti! Il primo passo, però, è prendere coscienza della realtà che si presenta davanti agli occhi. Messina è una città, soprattutto dagli anni ’60 in poi, nel complesso tristemente e incomprensibilmente imbruttita; troppo spesso dalla bellezza celata seppur potenzialmente meravigliosa. Potenzialmente è un avverbio che accompagna frequentemente considerazioni e progetti per la città dello Stretto, ma che purtroppo non serve a far bella una città; nè la stessa può continuare a crogiolarsi della sua naturale bellezza che, se non curata, o peggio ancora continuamente sfregiata, sia dagli abitanti che dai progettisti, come è il caso di ammettere, può solo continuare a sfiorire. Certamente occorre molto impegno. Ma sono tanti in questo momento i messinesi davvero disposti a corrispondere e/o impegnare realmente qualcosa per la crescita delle loro città? Crescita significa necessariamente cambiamento e per far questo è opportuno che ci sia sui progetti anche condivisione e non, solo e sempre, contrapposizione. Se mai dialogo e, se è il caso, opportuno ripensamento. Ma con la consapevolezza che ci sarà un momento in cui occorrerà scegliere e, allora, gli scontenti potranno esserci ma non dovranno essere l’alibi per un altro rinvio o per la paralisi. Se per la crescita è necessario un forte impegno, è altrettanto importante che questo, con profondo orgoglio, sia condiviso, sia dai progettisti che dai cittadini. “Non c’è creazione senza condivisione”, non si stanca mai di ripetere il grande artista nonché ex ministro della cultura brasiliano, Gilberto Gil, lo stesso è ciò che ci ha insegnato il costan-

Nel 2002 si inseriscono lungo lo stessa i primi tre Imprevisti sul Passante, l’Igloo di Mario Merz; il giardino Caduti di Cefalonia e Corfù di Giuseppe Penone e l’Opera per Torino di Per Kirkeby, cui seguiranno altrettante installazioni di artisti come Giovanni Anselmo, Janis Kounellis, Gilberto Zorio, Michelangelo Pistoletto, e tanti altri. Già nel 1998 era partita l’iniziativa Luci d’Artista, divenuta punto di riferimento europeo e che accende annualmente nei mesi invernali gli spazi urbani con opere d’arte luminose. Inoltre: nel 2002 apre la sede torinese della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l’arte contemporanea, su progetto di Claudio Silvestrin in un essenziale e rigoroso edificio in pietra bianca sul sito dell’ex fabbrica Fergat -produttrice di cerchioni per automobili-; nello stesso anno si inaugura la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, collocata all’interno dello scrigno realizzato da Renzo Piano sul tetto del Lingotto; nel 2005 nasce la Fondazione Merz, con sede dell’ex centrale termica delle Officine Lancia del 1936, ristrutturata su progetto di Giovanni Fassiano e Cesare Roluti.

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8 Molti di questi progetti, come è normale, sono stati oggetto anche di profonde critiche, soprattutto quelli relativi ai grattacieli, ma ciò non ha portato a un blocco, semmai a un possibile ripensamento se ritenuto utile. “Ascoltiamo la gente” ha affermato un’acclamata archistar come Renzo Piano, disposto a venire incontro alle esigenze della città e a non farlo diventare l’edificio più alto di Torino abbassando l’altezza del grattacielo “al di sotto della quota della Mole Antonelliana”. Riguardo al progetto di Fuksas, ancor più contestato di quello di Piano, pare che il neogovernatore del Piemonte, Roberto Cota voglia verificare la congruità delle parcelle finora pagate all’archistar, che ammonterebbero allo stato attuale a 22,5 milioni di euro. 9 Jaime Lerner, Acupuntura urbana, Editora Record, Rio de Janeiro, 2003. Per migliorare la vita urbana, secondo Lerner, occorrerebbe la delicatezza dell’agopuntura che raggiunge capillarmente i nervi nei singoli problemi e li sorprende con un tocco sicuro e delicato al tempo stesso. “Con un poco di immaginazione e di volontà da parte delle autorità si possono raggiungere effetti superiori a quelli della chirurgia estetica”. Sostiene Lerner che bisognerebbe anche incoraggiare i cittadini a mettere in atto piccoli gesti di reciproca cortesia, capaci di rendere gradevole, umana, calda e solidale la vita della propria città. Forse non cambiano il mondo, ma certamente cambiano in meglio la vita quotidiana.

te impegno profuso nella trasformazione urbana di Torino. Se nel capoluogo piemontese la trasformazione ha coinvolto le infrastrutture, le nuove architetture, i tracciati fluviali del Po e della Dora, i nuovi quartieri sugli assi della Spina centrale, le piazze storiche e persino le antiche residenze sabaude, a Messina sembra che si costruiscano solo edifici per abitazione, oppure strade da riempire di automobili che arrivano fin sui marciapiedi e sulle piazze. Ma come abbiamo visto nel caso di Torino non sono le automobili – eppure lì se ne producono tante! – o le case a fare una città: le città sono anche i luoghi del lavoro, dello svago, dell’incontro, della preghiera, dello scambio, della socialità, della crescita fisica, spirituale e culturale. E la necessità del ripensamento delle infrastrutture può divenire un’occasione per recuperare una dimensione ormai inspiegabilmente persa di decoro dello spazio pubblico e dei luoghi di aggregazione. Messina come Torino potrebbe provare ad agire senza troppe chiusure locali ma al contempo senza eccessive ansie internazionaliste, mantenendosi moderna pur reinterpretando il passato. Il fine non dovrebbe essere il successo, la visibilità, la copertina patinata per la sola presenza di archistar e logo-architecture, ma il raggiungimento anche e forse, soprattutto, a piccoli passi, della migliore qualità possibile per la città in quanto, appunto, luogo pubblico. Jaime Lerner, Presidente dell'Associazione mondiale degli Architetti, nonchè consulente in urbanistica per le Nazioni Unite e sindaco per tre volte della sua città, la brasiliana Curitiba, da lui splendidamente amministrata e trasformata, sostiene la pratica dell’Agopuntura Urbana. La sua frase “Nao fazer nada, com urgencia”

appare esemplare9. Occorrono progetti realizzabili, di ampio respiro, ma si può iniziare anche da interventi quotidiani, di base, minimi, di “agopuntura urbana”, da portare avanti con costanza a poco a poco. Varrebbe la pena, da cittadini e architetti, provare anche in questo modo a invogliare i messinesi a superare ogni diffidenza per credere e sperare che una città più bella possa esistere. Il recupero e le possibilità di riappropriazione di piccoli brani di città piaceranno e ci si comincerà ad abituare ad una città più bella. Anzi a quel punto si vorrà una città più bella. Anche il piccolo intervento può avere un effetto domino su quelli più grandi, e tanti domino, all’interno di una base normativa efficiente, possono ridare vita a una città nuova. Torino, come Bilbao cui si accennava, non è esemplare per la presenza delle archistar; queste sono soltanto il corollario di un’esperienza ben più ampia a varie scale ed in entrambi i casi strutturata su basi normative solide ed efficienti. Sembra una ricetta facile: il problema è che per fare davvero bene una cosa occorrono non solo – e sono fondamentali – professionalità, umiltà, tenacia, passione, continuità, ricerca, pazienza; occorre incrociare tutti questi ingredienti con un profondo senso di appartenenza al luogo e alla sua memoria, derivato da un’attenta cultura letteraria ma anche da una reale vita vissuta; ma poi, su tutto, occorre stemperare e superare il sentimento comune di disaffezione per iniziare, una volta per tutte, a crederci fervidamente e instancabilmente. E noi siamo davvero pronti a crederci?

Piazza Castello: cerimonia di chiusura dei XX Giochi olimpici invernali Torino 2006; La Mole Antonelliana: installazioni luminose di Mario Mertz - ‘Il volo dei numeri’ e Italo Lupi -i tre grandi collier di led quadrati con i colori della bandiera italiana ideati per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia-; Piazza Palazzo di Città: il ‘Tappeto volante’ sospeso di Daniel Buren di fronte al Municipio.

architettura tra urbanistica e archistar

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Maria Gabriella Trovato - Orazio A.C. Truglio

Nuovi scenari di paesaggio: processi partecipativi nei piani paesagistici

paesaggi.network

Orazio Micali

Primo

non è mai troppo tardi

Francesca Moraci

Un nuovo piano regolatore basta per cambiare la cultura e il volto della cità?

lo sp az io del l ’i nnov a z io n e

Michelangelo Savino

Verso la città contemporanea

mutamenti urbani

Francesco Cardullo

Tr a e e d i l i z i a e a r c h i t e t t u r a . Tr a s c o n f o r t o e s p e r a n z a

architettura e città

Michela De Domenico

Grammatiche della fantasia

architetture immaginate

[ARCHITETTURA]


i n

mo str a

Francesco De Francesco

Correva l’anno...

la forza del genio

Domenica Michela Giacobbe

Riviera nord: le tipologie della residenza

architetture del ‘900

Francesca Passalacqua

Giuseppe Samonà: archistar a Messina

leggere l’architettura

Melania Muscianisi

Piani di recupero delle città antiche, per Milazzo elemento propulsore

recu pero /ev ol u zi one d e l p re s e n te

Annunziata Maria Oteri - Fabio Todesco

Conservare, perchè? Conservazione come governo della trasformazione

cons(V)erv(S)azioni

Mariavalentina Marchetta - Ondina La Bruto

De s i gn

ar o u nd e si g n

rubriche


[A R CHITE T TURA : r u b r i c h e ]

architetture immaginate

Michela De Domenico

Grammatiche della fantasia

Tirone: Modificando un’immagine reale, aggiungendo, togliendo, allungando, stringendo, realizziamo una deformazione della realtà e dell’oggetto, che ci porta nell’ambito dell’utopia e della destrutturazione. Una casa piatta, un edificio su pilastri lunghi e ondulati.

Spesso guardiamo all’oggetto di architettura come a un elemento finito, tralasciando quel processo d’idee, cause, circostanze, ripensamenti ed errori, dal quale esso è scaturito, che risulta invece fondamentale per la sua comprensione. Tra tutti gli elementi che concorrono alla genesi dell’architettura, il ruolo della fantasia appare primario, poiché all’origine dell’organizzazione di quei processi scientifici e artistici propri della materia che, attraverso un susseguirsi di scelte e soluzioni, portano alla realizzazione architettonica. La fantasia

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è, infatti, la proprietà creatrice dell’immaginazione, il meccanismo invisibile attraverso cui riorganizzare la realtà in nuove forme e regole. Essa manda il mondo in pezzi, lo decompone e ricompone1 attraverso regole combinatorie che sfuggono alla logica di uso comune, per entrare nel campo della percezione e della sperimentazione. Il processo fantastico dell’architettura, tuttavia, deve relazionarsi ad altri saperi per non rimanere puro ambito immaginativo. La comprensione dell’atto dell’inventare, attraverso l’analisi delle regole linguistiche e gramma-

ticali, rimane così un’eventualità complessa ma affascinante, su cui, in altri ambiti, si sono soffermati gli studi di surrealisti2, letterati e psicologi. Nei Frammenti, ad esempio, Novalis scrive: “Se possedessimo anche una fantastica come possediamo una logica, l’arte dell’invenzione… sarebbe inventata…”3. In seguito nel suo Grammatica della fantasia4 Gianni Rodari si chiede: “è lecito usare una struttura logica per un’invenzione della fantasia?” Riflettendo sulla fantastica come atto creativo della composizione narrativa, egli afferma, non solo che ciò è ammissibile, ma


che attraverso la conoscenza delle funzioni dell’immaginazione, le tecniche per stimolarla e quelle per comunicarla, è possibile rappresentare la realtà in forme nuove. Le tecniche inventive individuate da Gianni Rodari, tra quelle in uso dai surrealisti e riprese

sette tecniche inventive incentrate sull’atto compositivo dell’architettura e la sua genesi: associazione concettuale tra elementi diversi; riduzione all’archetipo; semplificazione e schematizzazione dei sistemi di appoggio sul terreno; operazioni sulla geometria sem-

tendere a una struttura dell’inventare che, basandosi principalmente sulla sperimentazione, re-interpreta il mondo, cambiando le norme di senso comune, opponendo concetti tra loro estranei, deformando o destrutturando la realtà per poi ricombinarla in maniera nuova, utilizzando anche l’errore come espediente creativo. Queste riflessioni, che avranno un seguito nei prossimi numeri, sono parte di una ricerca più ampia che, seguendo itinerari paralleli, prova a comprendere e, in seguito comunicare, il linguaggio della fantasia attraverso la contaminazione tra il piano del sogno e quello della realtà. Facendo riferimento anche noi agli elementi grammaticali delineati nel libro di Rodari, proveremo a riflettere, guidati da una certa indeterminatezza propria della materia, su alcune delle regole che concorrono all’invenzione delle architetture fantastiche e sugli archetipi dell’immaginario8, dalle quali queste derivano, nel tentativo di ricomporre le trame inventive che scaturiscono dalle libere associazioni che ogni immagine provoca nella mente, tramite analogie, memorie, sogni e archetipi. Quello che secondo Frances Yates9 costituisce, nello spazio virtuale della nostra mente, un’architettura iconica dalle strane forme fantastiche che prende il nome di teatro della memoria. Gli strumenti di questa esplorazione si basano sull’analisi delle architetture immaginarie, come quelle dei fumetti e sulla sintesi attraverso la realizzazione di disegni che, pur rimanendo in ambiti urbani reali, come quello di Messina, ricompongono gli elementi della città e del territorio in chiave puramente fantastica, alla ricerca di nuovi stimoli e visioni.

Tirone: esempio di deformazione della realtà

poco dopo da Bruno Munari5, prescindono l’ambito del racconto e possono considerarsi applicabili a qualsiasi linguaggio creativo, compresa l’architettura. In tal senso, gli scritti di Bruno Zevi6 e Franco Purini7, attinenti la comprensione dell’architettura e la sua composizione, provano ad applicare in maniera scientifica queste regole alla realtà e al progetto, attraverso l’individuazione di una sintassi grammaticale. Il primo individua, infatti, delle invarianti dell’architettura estrapolandole dalla lettura dell’esistente, il secondo (rifacendosi peraltro a Rodari) propone

plice dei volumi puri e dei tralicci elementari; manipolazione di elementi usuali; straniamento; disarticolazione. Ma l’ambito in cui l’invenzione fantastica in architettura trova terreno fertile è quello delle architetture visionarie e delle utopie, che non devono rappresentare spazi reali e non hanno l’obbligo di reggersi, ma che, per tale libertà sono in grado di introdurre elementi innovativi, o di prefigurare futuri urbani possibili. Nelle architetture immaginarie, infatti, nulla è prestabilito, tutto può essere rimesso in discussione, nondimeno è possibile sot-

note e riferimenti bibliografici [1] PIANA Giovanni, Le regole dell’immaginazione, Università degli Studi di Milano, Filosofia Teoretica I, edizione digitale, 2004. [2] I surrealisti mettono a punto tecniche creative innovative. BRETON Andrè, Manifesto del Surrealismo, 1924. [3] Framm. n. 1092 in NOVALIS, Frammenti, 7° ed. Traduzione di Ervinio Pocar. Milano: BUR, 2008. 448 p. Titolo originale, Fragmente. [4] RODARI Gianni, La grammatica della fantasia, San Dorlingo della Valle (Trieste): Memorandum EL, 1997. [5] MUNARI Bruno, Fantasia, 21° ed. Bari: Edizioni Laterza, 2009. [6] ZEVI Bruno, Il linguaggio moderno dell’architettura. Guida al codice anticlassico, 1973. Torino: Einaudi. [7] PURINI Franco, La composizione architettonica nel suo rapporto con alcune “Tecniche dell’invenzione” in L’architettura didattica, Reggio Calabria: Casa del Libro Editrice, 1980. [8] Gli archetipi dell’immaginario è il titolo della ricerca che sto svolgendo all’interno del XXIV ciclo di Dottorato in Ingegneria Edile: progetto del recupero, presso il DiSIA dell’Università degli Studi di Messina. [9] YATES Frances, L’arte della memoria. Traduzione di BIONDI Albano.Torino: Einaudi, 1972. Titolo originale, The Art of Memory.

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architettura e città Francesco Cardullo

Tr a e d i l i z ia e arc h itettu ra: tr a sconf ort o e spe ranza Banalizzando e semplificando, come avviene ogniqualvolta si vuole adoperare un linguaggio facile, si fa appartenere alla categoria del costruito “edilizia” tutto ciò che assolve ad un bisogno, o presunto bisogno, nel soddisfacimento di criteri economici. Viceversa si fa appartenere alla categoria del costruito “architettura” tutto ciò che assolve ad un bisogno, al soddisfacimento di criteri economici, a cui si aggiunge una aspirazione di ricerca della bellezza, del senso, del significato. A edilizia si fa associare tutto quello che assolve alla funzione residenziale, mentre architettura appartiene alla sfera dell’eccezione: le chiese, i teatri, il municipio, la scuola, eccetera. Quasi a voler dire che le case possono esser brutte, trascurate, insignificanti. In realtà tutto il costruito, tutto l’artificiale deve avere intenzioni nobili, aspirazioni alte. Ciò non toglie, chiaramente, che ci possono essere capolavori di architettura che nascono da intenzioni “edili”, e mostruosità edili che nascono da ambizioni “architettoniche”.

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Un possibile campo di valutazione, di massa, generalizzato, del livello del costruito della città di Messina e della Provincia, non ci sono differenze da segnalare, è quanto è pubblicato nel nostro quotidiano principale: nelle pagine dedicate alla pubblicità, ed in quelle numerose relative agli articoli di cronaca della città e della provincia. Per capire qual è il livello di qualità che esprime la città è illuminante sfogliare quello che rappresenta l’antenna, la trasmissione e comunicazione di un pensare e di un sentire. Certo è bastevole camminare per le strade della città e vedere. Mi fermo, questa volta alle intenzioni, alle offerte pubblicitarie, alle immagini che ci dovrebbero ammiccare, far desiderare, invogliare a comprare o a vedere realizzare. Non è necessario fare una selezione particolare, tutto è assolutamente uguale, come cercherò di dimostrare e non ha nessuna importanza se invece di queste tre immagini, che riproduco, ce ne fossero altre. Tutto è assolutamente uniformato, come una sorta di unica marmellata. L’immagine n°1 è relativa a un intervento residenziale sulla litoranea nord di Messina, tra ville unifamiliari degli anni cinquanta/ sessanta, nel paesaggio costiero del versante del mar tirreno.

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Si guarda questa immagine e si resta piuttosto turbati: a uno sguardo approssimativo i quattro edifici non sembrano delle “ville”, come la tipologia urbana del litorale vorrebbe; non sembrano delle case che hanno di fronte un paesaggio di mare, ma, piuttosto, alludono alla presenza di colline, a montagne, a presenza di neve (non a casa si citano mansarde), a parti interne del territorio di Messina. Oppure ancora sembrano edilizia di espansione, in zona “C”, di una qualsiasi parte della periferia della città. Quale differenza tra questi edifici e una palazzina a Camaro o Bisconte o San Filippo? Quale differenza tra questa tipologia di case duplex, con scala centrale, ed una casa economica e popolare di Messina, o Patti, o Milazzo? Perché in una fascia caratterizzata dalla presenza di ville unifamiliari, con giardino, terrazze, torri-belvedere, affacci, si dovrebbe insediare un complesso di palazzine del genere? Approfondiamo un aspetto di questa immagine, trascurando il tetto a falde e la densità edilizia da quartiere intensivo: guardiamo le scale, le scale tonde, le scale tonde in facciata. Allora: ci troviamo di fronte al mare e alla spiaggia, s’intravede la costa della Calabria, lontana da una parte e quella siciliana dall’altra; e come soluzione distributiva cosa facciamo? Offriamo quasi

un terzo del fronte sul mare, di ognuna delle quattro palazzine, alla scala condominiale? Sacrifichiamo cioè la possibilità di far affacciare soggiorno, o camere da letto, o cucina, o qualsiasi interno dell’appartamento, verso il paesaggio del mare, per preferire l’elemento distributivo in comune della scala?! Sono le scale, con la trovata “originalissima” dell’elemento cilindrico, a essere vetrate ed a godere di una splendida vista?! Non faccio discorsi di tutela, che ritengo spesso ottusa, del paesaggio, del verde, degli alberi, delle piante. Non faccio discorsi stracarichi di luoghi comuni giornalistici o da spiaggia, attinenti al concetto di “cementificazione”. Qualsiasi costruzione artificiale dell’uomo, dalla sua origine sulla terra, in pietra, o in marmo, o in ferro, o in cemento, è costituita da un materiale. Dovremmo parlare di pietrificazione, pensando al medioevo; o di legnificazione, pensando alla preistoria? Il problema non è il cemento, o il ferro, o il vetro! Il problema è se una costruzione è brutta, virata verso l’orrendo; o decente, virata verso il bello. Se il PRG di Messina, grazie alla nostra messinese classe di governo, consente di costruire una certa quantità di cubatura in un lotto di terreno alberato a ulivi, di fronte al litorale tirreno, il problema non è che si costruisce, ma che si progetta


male, che la soluzione è brutta, indecente, indecorosa, non adatta al luogo, incredibilmente banale. Edilizia di pessima fattura. Ciò che deve essere rilevato non è la questione che si costruisce, se ci sono tutti i permessi di legge è ovvio; ma che si progettano e realizzano dell’edilizia o dell’architettura brutta. Se l’architettura è bella il luogo è “non” mortificato, bensì valorizzato; se il progetto è intelligente il luogo migliora, si scopre, si rivela. La seconda immagine mostra un comples-

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so residenziale all’interno della città, nelle zone di espansione, lungo quelle strade che hanno sostituito corsi d’acqua, o vie di penetrazione verso le colline. In questa immagine si preferiscono le terrazze, i volumi sono assolutamente elementari, scatole, parallelepipedi. Il rapporto urbano inesistente: siamo in città, ci dovrebbe essere una relazione con la strada, con il tessuto delle vie urbane, con il tessuto edilizio esistente, ciò non appare. Il suolo, la sistemazione del terreno, dovrebbe richiamare una condizione urbana. Al contrario, il modo di adagiarsi sul terreno appare sorprendentemente uguale a quello delle quattro case dell’immagine uno che affacciano sul mare. Anzi, in senso generale, le due immagini appaiono molto simili, assimilabili, con la stessa mancanza di principi tipologici e morfologici: città e periferia, collina o lungomare, prima casa o seconda casa, casa in città o casa al mare, tutto uguale. La terza immagine si riferisce al progetto di una palestra in un grosso centro della provincia di Messina. Una palestra significa un’attrezzatura sportiva pubblica dove si svolgono attività motorie. Ma cosa fa capire che quei tre volumi, accostati e di altezza leggermente diversa, alludono ad una attività sportiva? Perché dentro non potrebbe

ospitare una chiesa, o un teatro, o un deposito, o una fabbrica. Che cosa caratterizza questo edificio, tipologicamente, da rilevare di essere una palestra? Se poi prestiamo attenzione al trattamento delle superfici osserviamo delle vetrate a tutta altezza, da pavimento al cornicione, alcune chiuse con arco a tutto sesto, altre dritte (?). Tralasciando il motivo di questa necessità di comunicazione tra spazio interno e spazio esterno in una palestra, che sembra collocata in un normale lotto urbano ci si chiede quale stra-

cittadini, che lo usano se è un servizio pubblico, o che comprano gli appartamenti se sono delle case. In un quartiere di Parigi di epoca liberty era in uso mettere una piastrella di ceramica con il nome del progettista accanto al portone d’ingresso. Tutta la città dovrebbe sapere chi è stato l’autore di un’opera che, se non arriva un cataclisma, dura un’eternità. È mai successo, a Messina o in provincia, che un acquirente di una casa dica, al costruttore o all’immobiliarista: no questa casa non la

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ordinaria bellezza ci possa essere nel guardare dall’interno, con grande visibilità, un parcheggio, delle macchine in sosta? Tralasciamo il cornicione modanato, tralasciamo le vetrate sinusoidali, tralasciamo l’assenza di unità linguistica, tralasciamo le relazioni irrisolte tra i tre corpi, ma com’è possibile pensare a una palestra guardando questa brutta scatola? Non sto pensando, descrivendo i significati o la mancanza di significati di queste tre immagini, alla necessità dell’archistar (termine infelice nella forma e nel contenuto), dell’intervento del progettista “straniero”, o della grande firma, come soluzione possibile. Penso semplicemente che il buon senso deve guidare qualsiasi progetto, e che questo evita almeno gli errori più marchiani; poi occorre una buona cultura del progetto, attraverso lo studio e l’aggiornamento permanente di quello che si costruisce nel mondo. Mi scoraggia pensare e sapere che ciò non è il peggio, perché questo oltre ad essere un problema di chi ha progettato è un problema di chi ha fatto i calcoli, gli impianti, le relazioni di tutti i tipi e di tutti i generi, di chi ha approvato in tutte le sedi questo progetto, del committente che lo ha accettato, dell’impresa che lo costruisce, del giornalista che lo pubblica con entusiasmo, ed infine dei

compro perché è brutta, non perché è cara? La qualità dell’architettura, la qualità del costruito. Sono i cittadini che fanno belle le città, tutti i cittadini: quelli che comprano e usano la città e quelli che la progettano, la controllano e la governano. Se Messina ha case e servizi brutti, e quindi, al centro o in periferia, è brutta, è perché i suoi abitanti sono così e questa è la loro cultura, i loro gusti. Naturalmente generalizzando e schematizzando, ma la sostanza è evidente a tutti. Cosa fare? Certo gli ordini professionali dovrebbero fare la loro parte. Dobbiamo parlare degli ordini professionali al plurale perché sono sia gli ingegneri sia gli architetti di Messina e provincia i maggiori responsabili di quelle tre immagini, o di centinaia di altre immagini divenute realtà. Forse gli ordini dovrebbero trovare il modo di promuovere la qualità del costruito, dell’architettura? Forse gli ordini dovrebbero educare i committenti pubblici e privati al senso della qualità della città? Forse gli ordini dovrebbero suggerire, in tutti gli uffici tecnici di tutti gli organi di controllo della qualità dell’architettura, professionisti adeguati? Forse chi decide i permessi di realizzazione di un’architettura (o edilizia) dovrebbe essere un architetto o un ingegnere che sa progettare?

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mutamenti urbani Michelangelo Savino

Ve r so l a città c o n temp o ran ea Non me ne vogliano i colleghi se uso termini che possono sembrare retorici quanto scontati, per introdurre quello che sarà il tema delle riflessioni che verranno condotte su queste pagine. Ma alcuni termini al momento risultano efficaci come slogan e diventano presto familiari quanto un eufonico acronimo. Così è per la “città contemporanea”, che ancor prima di diventare un baldanzoso cavallo di battaglia nella professione come nell’accademia per alcuni di noi, è locuzione ormai capace di restituire una serie di questioni e di idee che aleggiano sulla città; un modo efficace per intendere i processi che sono in atto nella nostra società; un grido di battaglia che accompagna i mutamenti nella nostra riflessione critica e progettuale, per sottendere l’approccio “alternativo” che dovrebbe guidare l’azione di intervento in un contesto sempre più complesso e cangiante.

È il modo più semplice con il quale indicare, ad esempio, la fine di una fase di crescita della città e di trasformazione del territorio, caratterizzata da processi con tempi mediolunghi e con aspetti in parte prevedibili nelle sue conseguenze; uno sviluppo sostenuto dall’industrializzazione e successivamente dalla terziarizzazione, da una crescita demografica costante anche se progressivamente meno dinamica, da un’organizzazione urbana “razionalmente” pilotata dalle prescrizioni del piano, da un’univoca logica di zonizzazione e dalla fiduciosa parametrizzazione dei criteri compositivi edilizi. Erano intellegibili le forze del mercato che contrastavano quegli stessi principi producendo un sistema urbano “ibrido” caratterizzato da un’urbanizzazione in espansione nella campagna che ancora poteva definirsi tale e che andava spopolandosi e perdendo la sua capacità di integrazione con la città. La nuova locuzione così indica la fine della fase “moderna” della recente evoluzione urbana e cerca di rappresentare in modo rapido anche se approssimativo l’incertezza dei processi di trasformazione della città, l’intreccio fra inerzia dei processi del passato prossimo (lo sviluppo edilizio a singhiozzo ed un’urbanizzazione spesso superflua ma a costante consumo di suolo) e l’inintelligibilità dei nuovi fenomeni in atto (le nuove forme di crescita demografica tra debole natalità,

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nuove mobilità territoriali, immigrazione rilevata o meno; la riorganizzazione della struttura economica senza che ci sia più alcun settore trainante e senza che sia chiaro verso quale assetto occupazionale si vada). La trasformazione urbana che procede per episodi urbanistici ed architettonici isolati, sporadici e non di rado contraddittori nei suoi risultati; l’ondivaga scelta tra il mantenimento dei vecchi processi di produzione industriale ad elevato impatto ambientale e a sempre meno certa occupazione, le innovative attività delle piccole e medie imprese che la crisi economica globale travolge, la ricerca di nuovi “sentieri di sviluppo” che si fa fatica “a tracciare” tra rivalutazione delle coltivazioni agricole e sviluppo del settore turistico soggetto a così repentine e sinusoidali fluttuazioni; il conflitto aperto tra tutela e conservazione (del patrimonio storico ed architettonico, del paesaggio naturale ed antropizzato) con le istanze dello sviluppo economico e sociale che ancora oggi per il suo procedere – nonostante la grande promessa tecnologica del passato – ha bisogno d consumare e trasformare le risorse naturali con imprevedibili impatti ambientali; gli esiti dei processi di urbanizzazione che creano vuoti urbani, aree dismesse e non più utilizzate; nuovi tessuti urbani meno densi, tessuti rurali non più coltivati e pronti alla trasformazione per i quali bisogna di volta in

volta individuare nuove definizioni e nuove tassonomie. Ma quello che soprattutto descrive il nuovo termine di “città contemporanea” è il mutamento che la società urbana ha subito nel corso degli ultimi anni, destrutturandosi e al tempo stesso ricomponendosi in nuove forme e gruppi; divenendo sempre più complessa ed opaca ma soprattutto differenziandosi al suo interno in popolazioni di diversa connotazione, che manifestano comportamenti sempre differenti e che soprattutto mutano il loro rapporto con la città, i modi di uso dello spazio, i modi di leggere, interpretare o dare significato allo spazio, che sia pubblico o privato, che sia aperto e non edificato, che sia costruito e circoscritto. E per molti di noi, la nuova condizione significa soprattutto la caduta di alcune certezze ideologiche o di alcuni principi che hanno a loro volta guidato il nostro operare, accettandoli incondizionatamente (come è stato per tutti gli assunti teorici del Movimento moderno che hanno guidato la grande trasformazione urbana degli anni ’50 e ’60), in alcuni casi seguendoli criticamente, in altri casi ancora opponendosi, ma avendoli sempre quali punti saldi di riferimento. Così per molti di noi la nuova condizione “contemporanea” indica tout court la fine del piano come strumento di organizzazione e riordino dell’organizzazione urbana, la rinuncia al controllo dei


processi di trasformazione e l’ammissione di non poter dominare i meccanismi del mutamento come di poterne definire a priori e a fortiori forme e tratti: uno stato di impotenza che paradossalmente suggerisce uno sforzo creativo nuovo per individuare strumenti o dirette azioni che permettano in qualche modo di affrontare gli effetti del nuovo corso sociale ed economico, le ineguaglianze, gli squilibri, gli effetti perversi che comunque produce; che ci guida ad interrogarci sulle nuove domande che la società ha ma non più esprime o manifesta; che ci stimola ad ipotizzare gli scenari tendenziali del futuro, per il quale operare (in qualche modo). Non è un caso che oggi, in un orizzonte che

giore attenzione del passato i modi in cui la popolazione usa, trasforma, consuma lo spazio oggi, i modi con cui si muove in questo spazio che da queste nuove forme di uso acquisisce un diverso senso ed un diverso significato sociale che siamo chiamati a cogliere ed interpretare e rispetto al quale la nostra azione di progettazione deve essere reimpostata, reinventata, rimodulata: nulla può essere dato per acquisito e scontato. Quale paradosso di questo principio di terzo millennio, nel momento in cui siamo coinvolti nella più severa riflessione ed autocritica sui fallimenti che la città attuale ed il deturpato territorio manifestano, veniamo chiamati a lavorare con maggior lena per definire nuovi

urbanizzazione di territori ancora agricoli e la più tradizionale formazione di rendita; un contesto nel quale la dotazione infrastrutturale viene ancora intesa come la soluzione tecnica più appropriata per rendere la mobilità veicolare privata più fluida, la riqualificazione urbana come una serie di piccole opere pubbliche di arredo urbano; una realtà politica e tecnocratica che assume la dimensione metropolitana solo come possibile alibi per grandi opere che non avranno mai i finanziamenti necessari per essere completate piuttosto che una complessa strategia di rilancio territoriale del capoluogo che faccia da volano ad una provincia che va scollandosi dalla sua città attratta da realtà

foto di Michelangelo Savino

appare sempre più ravvicinato ma avvolto in una nebbia di timori non di rado funesti (l’esaurimento delle risorse se non la fine del pianeta, la paura per la disintegrazione della nostra civiltà occidentale che spinge alla paura verso lo straniero, ecc.), la sostenibilità o l’equità o l’“alterità” (termine indubbiamente osceno per indicare il riconoscimento di identità differenti ma anche il principio di accettazione/integrazione che nella città dovrebbe compiersi, come affermerebbe Sennett) vengano individuati come i nuovi principi ai quali affidarsi nella nostra azione di intervento. Si, perché è innata nella nostra professione e nella nostra cultura progettuale, la propensione a progettare, comunque anche in condizioni di assoluta incertezza e con un bagaglio relativamente ridotto di dati e di informazioni, ad elaborare forme e processi che accompagnino il progressivo prodursi del presente, dove l’ indeterminatezza non assume il carattere di impedimento, ma piuttosto di sfida e di nuovo impegno etico. La nuova condizione allora diventa il pungolo che ci porta ad immaginare quale potrebbe essere la città del futuro, quali le possibili direzioni verso le quali indirizzare le politiche pubbliche, quali le praticabili strategie per indirizzare le poche risorse a diposizione in questo diverso e ravvicinato orizzonte; ci invita ad osservare con mag-

obiettivi, nuove strategie e nuovi strumenti con i quali operare per “costruire la realtà contemporanea”. Vorremmo, dunque, riflettere in queste pagine proprio sulla nuova condizione e sulla risposta che l’azione urbanistica deve essere in grado di costruire attraverso strumenti completamente rinnovati attraverso un diverso quadro di obiettivi, ma soprattutto attraverso un diverso approccio con il quale guardare alla città e al territorio che riporti al centro della riflessione la società che quel territorio occupa ed usa; una società della quale dobbiamo capire le esigenze espresse e non espresse e per le quali non solo l’innovazione tecnologica ma anche una più matura e consapevole capacità progettuale deve essere messa a disposizione, senza ricadere nel pensiero assoluto o nella miope ideologia progettuale del passato. Ma viviamo anche qui sulle sponde dello Stretto una condizione contemporanea? È forse il primo dubbio che ci assale, vedendo la città ed il suo territorio “intrappolati” nell’inerzia dei processi del passato che ad esempio portano ancora a concepire la città come un fattore di valorizzazione economica di terreni ed immobili per cui l’urbanistica è intesa solo come lo strumento in grado di sostenere un settore edilizio tradizionale e poco innovativo ma in grado di tutelare le rendite acquisite, favorire edificabilità ed

territoriali più dinamiche (pure in un contesto così difficile come quello siciliano!). Eppure nelle reti di un sistema così inerziale emergono alcune istanze: la necessità di riqualificare un tessuto profondamente degradato; una debole ma crescente richiesta di una nuova e diversa mobilità urbana che possa fare affidamento su un efficiente e funzionante sistema di trasporto pubblico; l’urgenza di una dotazione di servizi ed attrezzature efficienti ed adeguate ai bisogni elementari della popolazione; una crescente sensibilità per un ambiente naturale migliore, fruibile ma anche difeso dall’aggressione vandalica dell’edificazione; una qualità maggiore degli spazi pubblici ed un diverso modo di concepire l’azione pubblica di trasformazione della città per una qualità della vita migliore; una maggiore sicurezza del suo territorio oggi ostaggio delle mareggiate e di temporali violenti quanto inclementi. Nel drammatico intreccio tra vecchie problematiche e nuove emergenze, tra una domanda insoluta che dal passato ritorna e le nuove istanze di una società in mutamento, Messina sembra al guado della contemporaneità, un frangente che impone dunque un nuovo e diverso impegno per provare a dare una risposta innovativa ed alternativa per la costruzione di una nuova realtà urbana. Saremo all’altezza di questo compito?

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l o sp azi o d e ll’ in n o v a z io ne Francesca Moraci

Un nuovo piano regolatore basta per cambiare la cultura e il volto della città? Indipendentemente dalla condivisione delle questioni poste alla base del documento della Giunta Comunale (alcune di ordine politico, altre che implicano una legislazione regionale diversa e una capacità di gestione che – prescindendo dalla redazione di una variante generale – usi gli strumenti in essere, altre invece necessarie, altre ancora di “tendenza”), non credo che sia produttivo ripercorrere in termini storico-urbanistici la storia dei piani, né gli “errori”, a volte interpretazioni strumentali, in essi contenuti, attribuibili alla responsabilità e alla capacità di amministrare l’urbanistica, quando in tale ricostruzione (obbligata?) vengono spesso omesse le motivazioni reali e le azioni politiche che hanno “rivisitato” i piani (lo stravolgimento prodotto dagli emendamenti all’attuale PRG vigente, l’attuazione della variante parziale Urbani che ha portato all’espansione collinare non attribuibile all’attuale PRG, il silenzio sulle motivazioni alla base delle due “bocciature totali” del PRG Urbani, le motivazioni tecnico-politiche che hanno incardinato l’attuale PRG vigente ad un impalcato tecnico procedurale sconosciuto a molti), o nelle modalità

con cui il piano Tekne, varianti urbanistiche e PRG vigente, sono stati attuati (piani di risanamento, attuazione del PRG vigente Capo Peloro, Tono, Ortoliuzzo, PIAU, via del Mare...), dimenticando il “buono del piano” o quello che di “buono”c’era – regola e legalità – per giustificare l’esigenza del “nuovo”. Una motivazione debole (dover giustificare) a fronte della necessità, volontà e anche legittimità di dotarsi di uno strumento più “attuale” che guardi in termini diversi alla città e al contesto. Credo invece che debba essere azzerata la demagogia letteraria di tipo urbanistico come alibi alla decisione politica di una nuova variante generale perché questa spesso soffoca l’onestà intellettuale di incidere veramente sulla domanda reale di trasformazione del territorio. Mi limiterò ad indicare un percorso minimal ed i nodi da gestire per affrontare il Piano per la Città in termini nuovi e al contempo indicare Messina come un laboratorio di idee e progetti. Osare e coinvolgere. Pochi concetti che racchiudo in brevi frasi e non trappole concettualmente facili da condividere ma impossibili da realizzare. La città pensa in termini di relazioni territoriali. I piani spesso hanno rappresentato la redistribuzione e conservazione dell’elite culturale locale fino a quando il neocolonialismo delle idee (politiche, programmazione,

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finanziamenti) che vengono dall’Europa hanno messo in discussione questo equilibrio importando forme operative nuove nella cultura della trasformazione della città. Il nuovo equilibrio culturale ancora non è pienamente maturo da sostituire l’elite locale conservatrice ed in più la crisi della finanza e le politiche UE impongono la necessità di cambiare. Cambiare come? Qui si aprono i conflitti tra i modi di pensare, agire e “fare” i piani, non essendo supportati dagli strumenti tecnicooperativi come l’assetto delle regole comportamentali nella contrattazione ex ante per la costruzione della domanda pubblica del piano, le esigenze collettive, le risorse, la qualità e compatibilità nelle scelte, i meccanismi di tutela della concorrenza nei partenariati. A tutto ciò si somma il rapporto tra pianificazioni prevalenti (quella paesaggistica) e interessi prevalenti attraverso la rilettura del diritto del “testo” urbano a fronte della domanda di trasformazione della città e della società e l’obbligatorietà di “riflettere” sulla città esistente (vero problema in termini di messa in sicurezza e qualità urbana e di servizi e viabilità di piano non realizzati a fronte di nuovo edificato). Ritornando alla nostra Messina, i primi passaggi di costruzione e validazione del piano e della politica che ne supportino scientificamente e tecnicamente la “progettazione” del

nuovo, devono contenere a mio avviso, tre passaggi fondamentali di ordine metodologico mirato: 1. Il punto di partenza su cui costruire la politica urbana alla base del piano. A questa deve concorrere il Piano Strategico, strumento volontario ma rigorosamente aspaziale, come strumento di governance per la AC e agenda dei desiderata ivi inclusi i partenariati per realizzare gli obiettivi che il PRG assorbirà. Inoltre, gli indirizzi dell’Amministrazione e delle rappresentanze cittadine ai fini del processo di costruzione del consenso non istituzionalizzato dalla LUR, ma di opportunità politica. 2. Il perché è necessario pensare ad una variante generale con le stesse regole della legge 71/78 e perché le procedure non contemplate nella stessa, ma in uso in Italia da decenni sono date per scontate? Quali invece sarebbero gli effetti di una trasformazione urbana con l’uso di strumenti di partenariato vigenti atti a trasformare e riqualificare la città all’interno del vigente PRG (programmi complessi di ultima generazione, adeguamento alla VAS del PRG vigente e studio sui servizi di standard non realizzati a fronte del carico edilizio realizzato)? È un problema di “forma di piano” o di “forma” di gestione del piano? Mi spiego meglio: avendo da decenni


gli strumenti per trasformare la città perché vogliamo un nuovo piano, ovvero un disegno complessivo di città? Tutta l’urbanistica nazionale sta divenendo urbanistica di gestione, lo stesso sdoppiamento del piano comunale in 2 fasi (piano strutturale–non conformativo dei diritti di costruzione, strategico/programmatico atemporale e piano operativo–piano del sindaco, conformativo dei diritti) è presente in quasi tutte le leggi

ficazione (espansione) e dell’esistente (riletto con la sismicità e altri vincoli ambientali) ben oltre la compatibilità geomorfologica e la necessità dell’adeguamento ai servizi di standard oltre che territoriali totalmente inadeguati o non realizzati. Ma questo è un limite del piano vigente o della sua attuazione? Alcuni di questi semplici obiettivi possono assumere ruolo strategico nella fase di progettazione urbanistica del piano e disegno

della perequazione tanto evocata in assenza di copertura giuridica regionale e nazionale Essa va attuata con regole definite a priori per tutto il territorio comunale avendo individuato un plafond massimo e i tempi con cui trasferire i diritti di costruzione, divenendo l’amministrazione banca dei diritti e dovendo calmierare il mercato e programmare le attuazioni (inflazione in termini immobiliari e di volumi virtuali).

...il locale verso il globale ed a declinare il globale verso il locale, affinché questo lo internealizzi senza che ne sia estromesso... disegni di Gaetano Ginex tratti da: F. Karrer, F. Moraci, Sito, Spazio e Luogo, Iiriti Editore, Reggio Calabria, 2011

urbanistiche regionali. Ma non è il caso nostro. Cosa ci aspettiamo quindi dal Piano di zoning? Verificate le prime due fasi e dato per certo che si proceda con la logica di progettazione urbanistica, va evidenziato che la città con il suo territorio deve rispondere simultaneamente a tre logiche: alle esigenze proprie (sistema ed effetto città), al proprio ruolo (esistente o da costruire) rispetto all’area vasta su due fronti paralleli – rispetto alla provincia (area metropolitana provinciale) e rispetto all’Area dello Stretto (dimensione interregionale e di agreement con Villa San Giovanni e Reggio Calabria), rispetto al ruolo di gateway nell’ambito dei flussi (TEN-T). In tal senso le invarianti infrastrutturali (viabilità, mobilità e servizi di scala) hanno una dimensione interscalare sul territorio. Ivi compresa la questione attraversamento stabile da sempre prevista nei PRG di Messina. 3. Definizione degli obiettivi strategici . Tra gli obiettivi “scontati” (riqualificazione dell’esistente, messa in sicurezza del territorio e compatibilità ambientale) va verificata l’inadempienza/compatibilità tra lo stato di attuazione del PRG vigente con la normativa recente in termini di adeguamento geologico e idrogeologico attraverso una carta della fattibilità geologica delle scelte di piani-

di città come caratterizzanti la qualità urbana (progetto dello spazio pubblico), la qualità della vita e salute del cittadino (obiettivi ambientali del piano, obiettivi economici del piano); l’effetto città in termini di marketing territoriale e attrazione all’investimento esterno per i processi di riqualificazione e fattori di metropolizzazione. Tutti obiettivi di pianificazione da individuare, progettare e valutare in termini strategici. Tra le questioni strategiche bisogna affrontare e mirare anche alla risoluzione dei conflitti tra i “domini delle pianificazioni” concomitanti (visto ormai il ruolo degli enti locali come equiordinati). Due richiami in merito alle conflittualità in atto tra l’attuazione del PRG, operata in assenza della VAS e il rapporto tra PRG e il piano di gestione della ZPS. La VAS dell’attuale piano avrebbe validato o meno la sostenibilità ambientale, economica e sociale e aggiungerei tecnico-amministrativa delle scelte? La ZPS, perimetrata in modo anomalo, ha prodotto tutela, qualità? Essa include quasi tutto il territorio comunale compresa la parte urbanizzata (area protetta?) attraverso lo strumento di gestione che si sovrappone in termini grossolani. È coerente tutto ciò con le logiche espresse nel documento di indirizzi? O possono diventare ineffettuali e operare un aggravio di tipo procedurale? Altra considerazione è sull’uso

Se non si sgombra il campo da questi “nodi” che determinano gli asset – operativi, tecnici e amministrativi – della città di Messina indipendentemente dalle indicazioni degli indirizzi comunali, e non si definisce un livello sperimentale a livello di copianificazione gerarchica, è abbastanza irrilevante discutere sui fatti minuti che possono interessare il centro Borzì o il lungomare, tutti brani di città riqualificabili e trasformabili con gli attuali strumenti ordinari, senza dover ricorrere a nuovo piano. A poco serve recriminare sull’identità urbana affidandole un ruolo statico quanto romantico nei processi di riqualificazione delle aree urbane, poiché la genìa spezzata dal sisma non ha saputo compiere il miracolo di sentirsi civitas. Credo sia tempo di agire. Carta di attuazione del PRG, consumo di suolo, messa in sicurezza, realizzazione dei servizi a fronte del carico edilizio, infrastrutture e mobilità, accessibilità, coerenza ambientale e paesaggistica: questi i punti da cui partire per definire il ruolo della città di Messina e rilanciare politiche di sviluppo e competizione urbana. Essere Città nella logica dell’I2C – Innovazione, Complessità, Competitività – e costruire la propria Intelligenza Territoriale. Ecco il compito del Piano.

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non è mai troppo tardi Orazio Micali

Primo Donde partire per parlare di paesaggio? Dal passato, dal presente, dal futuro prossimo o da un altro ipotetico di là da venire? Potremmo partire dalla Natura che ha ospitato i primi abitanti, accogliendoli e svezzandoli, che ha fornito loro gli strumenti e le risorse per vivere e crescere, che ha indotto i primi dubbi esistenziali, stimolato i primi vagiti culturali, che ha generato il primo pensatore produttore inconsapevole di paesaggio, il primo di quelli che si susseguiranno senza soluzione di continuità fino a generare la babele dei paesaggi o forse il paesaggio babele, quello che accompagna il nostro quotidiano. L’espressione spaura e consiglia di limitarci a parlare di un paesaggio tipo, che conosciamo meglio o più di altri, in modo da avere la possibilità di individuare maggiori e più dettagliate informazioni, ordinando e catalogando le conoscenze su basi elementari, interpretabili in maniera più o meno semplice, magari per trasformarle in strumenti operativi, utili per Programmi o Piani per il controllo e la gestione del Paesaggio. I paesaggi che conosciamo meglio sono, talvolta, quelli che conosciamo meno, ai quali siamo troppo abituati, dei quali rischiamo di non vedere le pieghe. Perché siamo cresciuti con loro, dentro di loro, siamo parte del tessuto connettivo.

Nostro o altrui, ogni paesaggio deve essere letto e capito, ragionato e interpretato, decifrato e catalogato, offerto alla lettura per essere rimesso in discussione, e poi nuovamente letto e capito, e così via tante volte quante sono i valori che vi abitano più uno, quello che si sta formando nel mentre che ne parliamo. Un dinamismo inarrestabile, che non risponde ad alcuna regola preventiva, come le società, come gli individui. Perché la maggior parte dei valori risponde a percezioni, sentimenti, sensazioni, culture delle popolazioni che abitano quel paesaggio. Sommatoria indistinta di individui, valori soggettivi e identitari, diversi e affatto sovrapponibili. Ma di quale paesaggio stiamo parlando? Italiano, di casa nostra. Ma di che genere? Alpino, marittimo, di pianura, costiero, vallivo, insulare, urbano, metropolitano, periurbano, dei centri minori, medievale, rinascimentale, archeologico, agricolo, industriale, autostradale, ferroviario? La somma di questi paesaggi rappresenta il territorio nazionale? No, sappiamo che non lo rappresenta, che ogni paesaggio, qualora l’elenco fosse esaustivo e non lo è, ha tanti modi di essere percepito quanti sono gli osservatori. Significa che ciascuno ha un proprio paesaggio? Si e no. Il paesaggio è il medesimo ma ognuno ne ha

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una percezione soggettiva (guai se così non fosse) in base alla capacità culturale, alla sensibilità, alla pertinenza delle conoscenze, all’appartenenza territoriale, spesse volte sociale, qualche volta tribale. Il paesaggio appartiene a tutti quanto a nessuno, affatto privato e assolutamente pubblico, valore immateriale costituito da materialità naturali e antropologiche. Dunque siamo tornati al punto di partenza di questo discorso, al prodotto dell’incontro tra natura e cultura, il paesaggio come reciprocità di fattori naturali e umani tenuto conto della predominanza dei primi sui secondi. Ma è ancora così? I fattori naturali rivestono ancora un’importanza primaria o il fattore umano, dopo millenni, ha invertito le regole, trasformato il contenuto in contenente e viceversa. Le aree urbane possono ancora essere considerate una porzione limitata della superficie naturale al netto dei rilievi? Per dirla con Settis, che cita i dati Istat, «tra il 1990 e il 2005 la superficie agricola utilizzata in Italia si è ridotta di 3 milioni e 663 mila ettari, un’area più vasta della somma di Lazio e Abruzzo» e ancora «Nel periodo 1995-2006 i Comuni italiani hanno rilasciato in media permessi di costruire per 3,1 miliardi di metri cubi, pari a oltre 261 milioni di metri cubi l’anno, di

cui poco più dell’80% per la realizzazione di nuovi fabbricati e il rimanente per l’ampliamento di fabbricati esistenti». In poche parole negli ultimi decenni abbiamo urbanizzato (consumato) nuovo territorio come mai nella nostra vita. Un vero e proprio assalto alla diligenza, e la diligenza si chiama Paesaggio. Dovunque crescite urbanistiche disordinate, estranee agli insediamenti preesistenti o, in assenza, alle caratteristiche dominanti dell’ambiente, quando non abusive o ideate ai limiti di legge. Dovunque qualità dell’edilizia ordinaria, insufficiente o scarsa, a tratti infantile, raramente meritevole di attenzione e men che mai di ammirazione. I centri storici, ma non solo, patiscono sostituzioni edilizie avventurose e senza qualità, ma per lo più proliferano di opere provvisorie, realizzate con improbabili mix di legno, vetro, alluminio, acciaio, laterizio e calcestruzzo (tutto insieme), e appiccicate al patrimonio edilizio esistente così come viene. La stessa attenzione per i centri del turismo balneare, sciistico o rurale, per le aree archeologiche, per le aree costiere, i parchi, i boschi, le riserve naturali. Il progetto è trattato come una esercitazione fine a sé stessa, dove lo studio del rapporto con l’intorno sembra essere una pura perdita di tempo,


un’astrazione tra calcoli di cubatura, sezioni strutturali, profondità di logge, rapporti illuminotecnici e scarichi fognari. Tutta roba che non può non esserci ma che del progetto rappresenta quote secondarie che oggi sono diventate le principali fonti ispiratrici di un progetto. L’assenza di qualità ha generato un paesaggio insensibile e anonimo, sostanzialmente dominato dalla casualità. Serve un cambio di rotta. È necessario incre-

Poi la legge Bottai (L. 28/06/1939 n.1497) che per sessanta anni è rimasta il testo di riferimento fino alla serie di decreti legislativi di riordino della disciplina dei Beni Culturali e del Paesaggio confluiti nel n.42/2004, T.U. vigente dove il Paesaggio trova la sua identità nella parte terza e dove la Pianificazione Paesaggistica ha il suo fulcro nei Piani Territoriali estesi all’intero territorio nazionale, regione per regione, Sicilia compresa.

dei cui meccanismi ciascuno era riuscito a trovare forme di equilibrio professionale. L’accusa di un’entrata scorretta, una sorta di tackle scivolato quando il terreno di gioco è fradicio d’acqua e i giocatori sono più impegnati a mantenersi in piedi che a fare la partita. Il Piano Territoriale Paesaggistico sarebbe arrivato tardi. Tardi perché ormai è tutto costruito, perché per le nostre riviere non c’è

foto di Orazio Micali

mentare la componente paesaggistica della progettazione sulla base di linguaggi comuni ed elementari. Per farlo servono strumenti, strumenti di misura che traducano visioni semplici, colte, ottimiste, pessimiste, ecologiche, postindustriali, estetiche, funzionali, laiche, religiose, contemporanee, anche vetuste in linguaggio istintivo e condivisibile. Visioni tutte parziali ma tutte valide, nessuna assoluta ma tutte portatrici di ragioni, verità soggettive, parti di un insieme la cui somma non comporrà mai l’unità ma potrà tendere ad essa. Ma il paesaggio non è mai stata una priorità del Belpaese. In Italia la prima Legge Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico fu presentata nel 1922 da Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione. La legge intende «difendere e mettere in valore, nella più larga misura possibile, le maggiori bellezze d’Italia, quelle naturali e quelle artistiche». Esigenza di tutela ed esigenze di economia si incontrano come sistema operativo. Scrive Croce: «il Paesaggio altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, (…) quali si sono formati e pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli».

Dopo le linee guida del Piano Territoriale Paesaggistico regionale (D.A.BB.CC.AA. n.6080/1999) la regione siciliana ha avviato la progettazione dei diciassette piani d’ambito previsti dal PTPR a copertura del territorio regionale. La provincia di Messina è interessata dai piani d’ambito n.8, il cui iter costitutivo è in fase conclusiva, e n.9 che è stato adottato con decreto dell’assessore dei beni culturali ed ambientali n.8470 del 4 dicembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n.20 del 21/ 05/2010, p. II/III. Sebbene siano passati quasi due anni dall’adozione non è affatto raro ascoltare dal pubblico che affolla i corridoi della Soprintendenza, per lo più composto da tecnici, lunghe, articolate e talvolta animose discussioni sul fatto che il territorio di città e provincia non aveva e non ha bisogno di alcun piano paesaggistico. Qualche volta ho l’impressione che ci sia un pensiero condiviso tra colleghi. L’idea che il PTP sia intervenuto in maniera scorretta o, per dirla meglio, fuori tempo massimo, su territori ormai compromessi e, per qualche motivo, refrattari a qualsiasi dinamica evolutiva. Fuori tempo massimo anche rispetto ai meccanismi di attuazione degli strumenti urbanistici vigenti nei vari comuni all’interno

più niente da fare, non c’è più verde, con o senza incendi, l’abusivismo è tanto, troppo diffuso, le costruzioni non seguono alcuna regola, i centri storici hanno cambiato aspetto perdendo qualità e identità, dovunque il provvisorio regna sovrano. Quindi a cosa serve un Piano visto e considerato che non serve? Le bellezze naturali sembrano essere ancora lì e tanto basta a tranquillizzare i nostri animi e caricare le nostre molle. E se, per ipotesi, le cose non stessero proprio così? E se, sempre per ipotesi, il futuro fosse possibile, anzi fosse un dovere di questa generazione? Se fosse ancora possibile un se? Allora mi chiedo quale logica dell’“ormai è troppo tardi” legittimi il diritto/dovere di continuare sulla stessa strada fino alle estreme conseguenze, l’accanimento ulteriormente su coste e riviere che “sono ormai deturpate”, il continuare a operare secondo il solo principio del “ognuno è padrone in casa sua”. È davvero così? il PTP è arrivato quando non c’era più nulla da fare? Siamo dunque paesaggisticamente morti? Non c’è più un futuro per le nostre città, per i centri minori, per le coste, i fiumi, i laghi, i boschi, le ferrovie, le autostrade, i porti? No, non siamo morti, abbiamo un futuro e abbiamo il dovere di volerlo e il diritto di pretenderlo.

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p a e s a g g i . n e t w o r k Maria Gabriella Trovato - Orazio A.C. Truglio

GIS Navigator Con questo numero della rivista si apre la rubrica dedicata al paesaggio. Paesaggi.NetWork si pone l’obiettivo di occuparsi di quegli aspetti del quotidiano che costruiscono giorno dopo giorno il paesaggio che abbiamo sotto i nostri occhi e che inventiamo man mano che lo attraversiamo e lo abitiamo. Il paesaggio “ordinario”, della quotidianità il cui valore è stato riconosciuto dalla Convenzione Europea del Paesaggio al pari del paesaggi eccezionali considerati unici testimoni di qualità in quanto emergenze di un territorio. Questo interesse verso questi paesaggi parte dalla constatazione che come dice M. Crawford “lo spazio di ogni giorno è come la vita di ogni giorno, schermo sul quale la società proietta le sue luci e le sue ombre, i suoi buchi e le sue superfici, il suo potere e la sua debolezza”. Come tali sono, quindi, rivelatori dell’identità di un luogo e di chi lo abita. Lo scopo è proprio quello di evidenziare il ruolo ed il contributo della popolazione nella costruzione dei propri paesaggi in cui si afferma ed elabora una cultura del luogo espressione della memoria collettiva. Prima tappa di questa rubrica è il ruolo della partecipazione nel processo di definizione dei Piani Paesaggistici.

NOTICE - BOARD Nuovi scenari di paesaggio: processi partecipativi nei Piani Paesaggistici Sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia del 22 ottobre scorso è stato pubblicato il decreto del 17 settembre dell’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, che reca le disposizioni per l’attuazione della pianificazione paesaggistica della nostra regione. In particolare in questo decreto si dà l’avvio alle attività di concertazione per i vari ambiti provinciali con scadenze articolate temporalmente da novembre 2010 a settembre 2011. Per il “Piano paesaggistico ambito 9” della provincia di Messina era previsto che le attività di partecipazione si concludessero entro il mese di febbraio 2011. L’iter del piano dell’ambito 9 è stato scandito da polemiche più o meno accentuate accompagnate da Osservazioni presentate da diversi enti e associazioni operanti sul territorio. Coscienti delle difficoltà che si incontrano nel creare canali di comunicazione tra gli esperti e la comunità, “esperta dei propri bisogni e dei propri luoghi”, viene però spontaneo chiedersi qual è il fine di questa concertazione stabilita dal decreto su menzionato e soprattutto quale sarà il peso e il valore che gli esiti di tale partecipazione avranno sul processo finale del Piano stesso.

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La partecipazione, infatti, va vista non solo come un obbligo per adempiere ad obiettivi legislativi e come mezzo per raggiungere un più ampio consenso e per mostrare i risultati finali di un processo pianificatorio di tutela e vincolo del territorio. Al contrario, il coinvolgimento degli attori locali e della popolazione deve puntare ad un ampliamento di una cultura condivisa del paesaggio. La partecipazione deve servire a comprendere i bisogni e le aspirazioni delle popolazioni nei riguardi dei territori che abitano per individuare obiettivi e strumenti in grado di promuovere una qualità diffusa del paesaggio. Deve portare ad una migliore conoscenza dei paesaggi locali, ad aumentare il legame con il territorio e la riappropriazione culturale del paesaggio locale in vista di una gestione sostenibile delle risorse patrimoniali1. Rappresenta quindi una strada obbligata per determinare le condizioni di consenso e di realizzabilità degli obiettivi del Piano, gli scenari condivisi di tutela e di intervento2. In tutta Europa negli ultimi anni sono state sviluppate soluzioni diversificate di partecipazione e in particolare sono stati stabiliti livelli differenti di coinvolgimento delle co-

munità locali che partendo dai forum di discussione arrivano ai workshop su questioni di interesse locale, passando per conferenze e mostre. Strumenti che servono a stimolare una riflessione sugli scenari di trasformazione e sulle potenzialità di sviluppo di attività basate sulla tutela attiva e sulla valorizzazione del territorio, ma anche a costruire un nuovo immaginario paesaggistico a partire dalle peculiarità, identità e qualità esistenti proiettandole verso un futuro condiviso di obiettivi e valori prioritari. Ma soprattutto sistemi strettamente correlati e dipendenti dallo scopo e dalla finalità attribuita alla partecipazione in relazione alla Politica di Paesaggio adottata. Forse proprio questa politica non è chiara e soprattutto non è stata sino ad oggi espressione di una visione condivisa di paesaggio inteso come nostro testimone storico. Il paesaggio è un’intenzione che rappresenta il modo della collettività di organizzare la propria relazione con la terra. In quanto luogo di sedimentazione delle tracce del nostro passato, ed elemento attraverso cui si esprime l’identità di un luogo e di chi lo abita è una risorsa potenziale per uno sviluppo durevole


del territorio. L’evidenziare gli aspetti materiali ed immateriali del paesaggio, quindi le sue caratteristiche spaziali, ambientali, insediative, economiche, così come i ritmi, gli umori, le consuetudini, le tradizioni, gli usi e le appropriazioni è un ingrediente primario del processo di sviluppo. Se come sostiene la CEP il paesaggio è quella parte del territorio così come è perce-

pita dalle popolazioni, il cui carattere risulta dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni3, la definizione di idea di paesaggio non spetta più e solo ad una ristretta schiera di tecnici e specialisti. È in questa logica che a nostro parere va inquadrato il processo partecipativo.

1 M. Sartori, C. Pirovano, Paesaggi e biodiversità: percorsi di partecipazione, in a cura di C.Teofili e R. Clarino, Riconquistare Il Paesaggio. La Convenzione Europea del Paesaggio e la Conservazione della Biodiversità in Italia, WWF Italia ONG ONLUS, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Roma, 2008 2 E. Zanchini, Paesaggi e partecipazione, in A. Clementi, Interpretazioni di paesaggio, Meltemi editore, Roma, 2004 3 Convenzione Europea del Paesaggio, art.1 comma a, Firenze, 2000

LINKS http:// bca.regione.sicilia.it/ptpr http:// www.provincia.messina.sitr.it/progetti.html http:// www.regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/bca/ptpr/ptpr.html

foto di Maria Gabriella Trovato - Orazio A.C. Truglio

DOWNLOAD I giardini costituiscono e commemorano le identità – identità di una cultura, di un gruppo socio economico e politico o identità di un individuo. Se è vero che il giardino è un luogo di memoria è in parte perché la concezione del giardino è in se stessa un atto atavico, una zona deliberatamente marcata che ravviva per la sua essenza le nostre nostalgie. John Dixon Hunt, “ I giardini come teatri della memoria “ “…. Esistono due tipi di paesaggio: un paesaggio appartenente, a chi, giorno dopo giorno, abita l’ambiente quotidiano, contraddistinto da un’organizzazione spaziale mutevole, definita senza troppe cure, e un paesaggio appartenente ai poteri politici o amministrativi, definito da strutture prevalentemente stabili, vincolate ad una geometria precisa …… le grandi distese di griglie delle coltivazioni che plottano sul terreno disegni che sono la conseguenza di leggi e regole governative”. J.B.Jackson, “Discovering the vernacular landscape”

Halloween, Montreal

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aroundesign Mariavalentina Marchetta – Ondina La Bruto

D E S I G N i n mo s tra A distanza di un anno, ancora DESIGN, ARTE, COMUNICAZIONE a Messina! Il “viaggio immaginario” nel mondo del Design che qualche mese fa ci ha fatto vagare attraverso un percorso realizzato con delle scenografie, vere e proprie installazioni create come isole singole a tema, che esponevano una serie di arredi e complementi di diverse forme e di diversi materiali, elementi di Design selezionati, dalle qualità molto particolari, sia per il percorso storico di ogni singolo elemento prescelto, sia per la natura dei materiali di produzione. Aroundesign, viaggio tra i sensi delle forme, ha voluto e vuole evidenziare attraverso una contrapposizione di elementi di arredo moderni con altri del passato, l’evoluzione nel corso dei secoli, delle forme degli oggetti, dei materiali, delle tecniche e dei colori utilizzati, una miscela di “creatività” divertente, effervescente, che analizza il mondo del Design che pervade la nostra quotidianità.

Ed è da qui che si deve partire, il Design è in ogni oggetto che riempie le nostre case. D’altra parte è questo il motivo per cui una mostra come quella di Aroundesign ha avuto un tale successo anche nella nostra città, perché ognuno di noi – naturalmente e soprattutto, verrebbe da dire – è un esperto di design, anche senza saperlo. Il design è infatti ciò che ci circonda, quando andiamo a fare la spesa e, senza accorgercene, ci serviamo da uno scaffale che ha una precisa storia estetica; ma anche quando prepariamo il caffè e soppesiamo quell’oggetto – la caffettiera – che è stato disegnato – mi piacerebbe dire ri-creato, re-inventato – da un creativo… Gli esempi di questo tipo potrebbero continuare ad infinitum.

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Il Design, dunque non è distante da noi, è quel pensiero rivolto a rendere più bella oltre che più confortevole la vita di tutti i giorni, entrando direttamente nelle nostre case e cambiandone non solo la funzionalità, ma anche e soprattutto l’aspetto. Il Design è innovazione perché utilizza sempre nuovi materiali, è attività di continua ricerca di nuove geometrie dinamiche, di ideazione di un qualunque prodotto, è progettazione, è produzione. Un’innovazione che si auto rinnova da sé con costanza, basti pensare a quel Design che ha ispirato certi miti, le cui realizzazioni sono oggi sempre attuali, sia da un punto di vista estetico, di forma, di materiale, che di funzionalità. Sarebbe, dunque giusto guardare al pas-

sato per interpretare il presente, per intuire il futuro. Del resto, se nella prima metà del secolo scorso è vero che tutta l’architettura s’è ispirata al modello codificato da Adolf Loos nel suo semplice, anzi semplicissimo, comandamento-base: “Il significato è l’uso”. Oggi, questa pietra miliare del racconto architettonico moderno, forse non può più bastare. L’uso, insomma, non è più sufficiente. Ci sono gli occhi, le mani, il cuore stesso che – attraverso la fruizione di un’opera – hanno bisogno di capire, di sentire, di ri-appropriarsi di qualcosa che, forse, ha sempre fatto parte della loro stessa primigenia natura: la bellezza.


foto di Valerio Vella

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cons(V)erv(S)azioni conversazioni sulla conservazione Annunziata Maria Oteri - Fabio Todesco Il gioco di parole, per la verità un po’ ardito, inaugura una rubrica dedicata al controverso tema della conservazione, termine che, francamente, ci stimola maggiormente del più fortunato e abusato ‘restauro’. L’obiettivo, in primo luogo, è quello di tentare di sgombrare il campo da alcuni equivoci che, sin dalle prime definizioni ottocentesche, si sono legati alla conservazione come azione alternativa e opposta al restauro. “Conservare, perché?” è dunque il primo dei quattro temi attorno ai quali si muoveranno le nostre riflessioni. Un chiarimento sul perché si conserva (il quesito, in apparenza banale, è in realtà insidioso e le risposte per nulla scontate) significa anche individuare i limiti degli strumenti che attualmente governano il “come”, la pratica del conservare (normativa, carte, raccomandazioni, ecc.) e i continui conflitti con l’inevitabilità di un’azione solo apparentemente opposta, quella del trasformare. Il cantiere è il luogo per eccellenza dove gli equivoci, i nodi vengono al pettine, per cui si ritiene indispensabile fornire alcuni esempi che esemplificano le contraddizioni attuali. Tuttavia, la rubrica non vuole svolgere un ruolo di denuncia ma, al contrario, si vuol porre, rispetto ad una questione aperta e per certi versi irrisolvibile (il rapporto conservazione/trasformazione e l’inadeguatezza degli strumenti che lo governano), in chiave propositiva. Quale fututo per la conservazione? una volta definito il “perché” e analizzati i limiti attuali del “come” da cosa è necessario ripartire se non da un nuovo, rivoluzionario modo di intendere il progetto?

foto di: Fabio Todesco, Antonio Ximenes Torrecillas, Xavier Font

Conservare, perché? Conservazione come governo della trasformazione Si conserva per trasmettere al futuro l’eredità del passato. Il concetto, fin troppo abusato, è solo in apparenza innocente, poiché introduce un’idea di permanenza (conservare l’eredità del passato) in un contesto in continuo mutamento (che genericamente definiamo la società del futuro) e che impone in ogni caso, pena la sicura rovina, l’uso di questa eredità. Il fine della conservazione, dunque, è prima di tutto culturale. Le cose si complicano non poco se al termine conservare sostituiamo quello più usuale (anche più popolare) di restaurare o altri ben più equivoci che, tuttavia, nella gestione quotidiana del costruito hanno avuto miglior fortuna, come ristrutturare o recuperare. Si pensi, tanto per fare un esempio tangibile, alle ben note categorie della legge 457 del 1978 che definiscono l’intervento sul costruito attraverso criteri quali il restauro conservativo (di per sé un ossimoro) che può prevedere persino la demolizione di un immobile e la sua ricostruzione à l’identique. Difficile associare tali pratiche ad esigenze di tipo culturale (più automatica invece l’associazione a prioritarie esigenze economico speculative o utilitaristiche). Peraltro, oltre ogni ovvia considerazione sul tradimento dell’autenticità dell’oggetto, queste pratiche negano il

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diritto tanto all’edificio quanto al progettista di relazionarsi con il presente. Negano, in sostanza, qualunque relazione con il progetto. Conservare, sin dalla nascita della disciplina del restauro, si è intesa come azione opposta al restaurare, ponendo sin dall’inizio un dato di fatto incontrovertibile: l’atteggiamento nei confronti di “ciò che resta” non è in alcun caso univoco. Con buona pace di chi – teorici della disciplina, tecnicifunzionari preposti alla tutela, architetti, ma anche politici, opinione pubblica, media – ha inteso e intende tuttora l’intervento sugli edifici del passato esclusivamente come un’azione rivolta, a prescindere dai metodi e dalle tecniche impiegate, a restituirne “l’antico splendore”. Un’azione, questa, guidata prima di tutto da un personale (e mutevole) giudizio estetico, che presuppone che l’oggetto del nostro intervento così com’è non va bene. Da qui l’impopolarità della conservazione che, al contrario, da John Ruskin in poi, è una modalità di intervento sul costruito che pone a fondamento del suo agire l’oggetto così come lo abbiamo ereditato. “Conservazione – scrive Amedeo Bellini – […] si contrappone a restauro rifiutando la selezione basata su parametri di natura storiografica o estetica, dai quali non si ritiene di trarre

giudizi operativi”. A differenza di quanto il termine possa indurre a pensare, rifiutando qualunque forma di ricostruzione di quanto perduto (il ritorno all’antico splendore), qualunque falsificazione del dato materiale e quindi dell’autentico messaggio di cui esso si fa portavoce, conservare significa accettare gli inevitabili processi di trasformazione. In quest’ottica non si può dar più credito a chi ritiene l’azione del conservare come sinonimo di “imbalsamare” o “congelare” il passato nello stato in cui è pervenuto. Se dunque torniamo alla frase iniziale, perché si conserva?, la riposta è per trasmettere al futuro ciò che inevitabilmente è soggetto a trasformazione. Conservare è, per dirla ancora con le parole di Bellini, “un modo di comportamento che assunta la relatività di ogni giudizio tende a regolare la trasformazione del costruito ai fini dell’uso vitale massimizzando la permanenza dei dati”. In quest’ottica, dunque, le ragioni della conservazione, oltre che risolversi in un dovere (spesso gravoso) nei confronti della società del futuro, nascondono anche una sfida straordinaria per la cultura architettonica contemporanea.


recupero/evoluzione del presente Melania Muscianisi

P i a n i d i R ec u p ero d elle c ittà ant iche , pe r Milazzo e le me nt o propulsor e Finalità primaria dei piani di recupero dei centri antichi è quello di determinare i modi idonei a garantire la conservazione e valorizzazione dei valori identificati nell’ambiente, nell’architettura e nelle testimonianze storiche, in vista della loro trasmissione alle future generazioni, assicurando i rapporti sociali ed il benessere della comunità. Considerato che la Città di Milazzo figura fra quelle di più antica origine e presenta significative testimonianze storiche, archeologiche ed architettoniche, sarebbe augurabile che per tale centro si perseguisse, con specifiche normative d’uso, un’attenta politica di salvaguardia dell’equilibrio esistente tra centro storico ed aree di nuova espansione, mediante una equa funzionalizzazione che sovraintenda alla conservazione della stratificazione storica ed alla valorizzazione dei resti e delle tracce che vivificano il passato della città. Una città come Milazzo, la cui valenza architettonica, paesaggistica ed ambientale è di notevole interesse pubblico, deve intendere tutto ciò come elemento propulsore della vita economica e sociale dell’intero territorio, e curata con coerenza ed equilibrio, ed affidata a previsioni progettuali programmatiche che siano rapportate agli sviluppi contemporanei, sarebbe d’arricchimento di un’ampia realtà sociale. In tale direzione è stata determinante la petizione popolare del 1997, per salvare il “Borgo” e la sua realtà paesaggistica ed etno-antropologica, e per aver aperto un acceso dibattito ancora oggi in atto nel quadro della redazione del piano particolareggiato del centro storico, approvato ed

foto di Marco Crupi

adottato nel 2005. Espressione questa, di un interesse generale rivolto alle dinamiche dei processi evolutivi che, soprattutto nell’attuale interesse verso la ripresa ed il rilancio del progetto di revisione del P.R.G., potrebbe, come si auspica, supportare e condurre la Città di Milazzo alla adozione di uno strumento di pianificazione atto al recupero unitario del territorio e delle sue aree dismesse, che ne soddisfi le aspettative e le esigenze, nel rispetto e nella completa coerenza con i concetti di tutela integrata, di restauro urbano e di salvaguardia ambientale.

Milazzo insediamento medioevale

note ai grafici: - Milazzo all’inizio del medioevo si presenta, comunemente a molte città siciliane, con una rete d’insediamento risalente alla colonizzazione greca. L’acropoli, sita sul primordiale insediamento d’età preistorica, avutosi su un rilievo alto, scosceso e di difficile accesso, con predisposizione naturale all’avvistamento e alla difesa, accresce con il “castrum” romano-bizantino sino a giungere sostanzialmente intatta in età musulmana. Dal dominio Saraceno 1060-90, alla conquista normanna, la città antica e l’insediamento fortificato continua a svolgere, per tutto il Medio Evo, il suo ruolo di gangli vitali dell’insediamento e dell’organizzazione territoriale.

Milazzo barocca ed illuministica (Savoiardi-Tedeschi-Borboni)

- Milazzo, passata dal governo savoiardo agli Spagnoli e quindi ai Tedeschi, sconvolta dall’assedio del 1718, riesce a darsi un volto moderno con l’apertura ed il rifacimento di strade e larghi, con il restauro di chiese ed edifici rovinati dai vari eventi. E’ iniziata la costruzione del molo (1748) ed ampliata la strada sul porto, la città si riorganizza urbanisticamente.

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l e gg ere l’a r c h it e t t u r a Francesca Passalacqua

G i u se p p e S amo n à: arc h is tar a Me ssina Leggere l’architettura è una rubrica dedicata alla “lettura” dell’architettura, tra passato e presente, attraverso gli occhi di chi vuol guardare “dentro” lo spazio urbano. Guardare alla città, alle architetture, alle infinite variabili del contesto urbano, cercando di leggere le identità dei luoghi, attraverso la storia. La rubrica si articolerà attraverso una maglia flessibile di argomenti che possano coinvolgere aspetti diversi della storia dell’architettura del nostro territorio. Il Milizia scrisse: «una città è come una foresta […] un quadro variato da infiniti accidenti; un grande ordine nei dettagli; confusione, fracasso e tumulto nell’insieme». Sono i dettagli, la reiterata proposizione delle medesime forme, che definiscono l’identità di una città, diversamente dal contesto generale, che, invece, ne traccia un quadro di confusione e disordine. Ma quale architettura leggere? È dunque, attraverso la lettura dei dettagli che possono cogliersi le più significative tracce di un’architettura da leggere. Tra i “dettagli” più significativi, per la storia dell’architettura recente della nostra città, va senz’altro ricompresa l’opera di Giuseppe Samonà.

Gaetano Palazzolo, L’architettura di Giuseppe Samonà a Messina. Dal Concorso per la Nuova Palazzata al Palazzo Littorio, Grafill Palermo, 2010 Giuseppe Samonà: “archistar” a Messina è la recensione in un volume di un giovane studioso sull’operato dell’architetto palermitano a Messina nella ricostruzione del XX secolo, che ancora merita di essere riletto alla luce del suo operato nella città dello Stretto. Il palazzo Littorio di Messina è il fulcro di uno studio sull’architetto Giuseppe Samonà (1898-1983) nel periodo del Ventennio. Gaetano Palazzolo ha concentrato i suoi interessi sulla storia della città peloritana individuando, negli anni compresi tra il 1908 e la seconda guerra mondiale, l’operato di Giuseppe Samonà e la realizzazione del Palazzo Littorio quale edificio emblematico della sua produzione architettonica. L’autore procede indagando innanzitutto il contesto storico da cui sono scaturite le nuove dinamiche urbanistiche a Messina dopo il terremoto del 1908. In un clima politico e culturale legato al centralismo romano, egli fa riferimento preciso alla figura di Ludovico Fulci, autore della prima legge organica di ricostruzione della città e capo della potente Massoneria siciliana, e pertanto esponente del fenomeno definito «fulcismo», caratteristico di quel populismo della piccola borghesia urbana siciliana dei primi del Novecento e propugnatore di una promozione delle attività commerciali della

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nostra città. L’autore si sofferma poi sulle sperimentazioni urbanistico-architettoniche messe in atto a Messina nel periodo della ricostruzione, citando l’interesse da parte di molti studiosi verso una ricostruzione che potesse riappropriarsi del tessuto storico per riplasmarlo secondo “i moderni ritrovati della scienza costruttiva”. Avviato il piano Borzì, sulla base di criteri prettamente tecnici e igienici, non mancano però momenti propulsori maggiormente innovativi per un nuovo sviluppo edilizio, e l’autore ricorda come l’architetto Giuseppe Torres propone una città ideale fatta di strutture cilindriche antisismiche mentre Le Corbusier vorrebbe sperimentare l’efficienza della sua Maison Domino da adattare come nuovo modello urbano. Si avvia così il proficuo periodo dei concorsi di idee che attirerà architetti da ogni parte d’Italia per una politica di trasformazione della città, distrutta nel suo antico assetto, e da riedificarsi nel rispetto dei singoli comparti urbani standardizzati dal piano novecentesco. L’autore fa riferimento ad alcuni dei cantieri di edilizia pubblica che avvieranno la lunga stagione della ricostruzioni, come il Municipio progettato da Antonio Zanca, il Tribunale di Marcello Piacentini e, tra gli enti privati e gli Istituti di credito, il progetto della Cassa

Centrale di Risparmio di Ernesto Basile, che fonde i motivi di una tradizione prettamente locali con gli esiti del modernismo europeo. Palazzolo procede indagando la figura di Giuseppe Samonà nella doppia veste di progettista e teorico di storia ed estetica architettonica del Novecento. Nel 1927, dopo l’autorevole apprendistato alla scuola di Basile e Caronia Roberti, si trasferisce e opera a Messina, dove approfondirà i temi dell’architettura medievale e rinascimentale, concentrando le sue ricerche sul prospettivismo architettonico e sulle implicazioni estetiche dell’opera d’arte sulla mente umana. Notevole rilievo è data alla sensibilità dell’artista di porsi nelle sue opere nel ruolo di mediatore tra la posizione tradizionalista e quella più radicale del razionalismo, mettendo in atto gli insegnamenti della Scuola basiliana del “modernismo nella tradizione”. Sin dai primi progetti egli opera con un programma di classificazione degli apparati decorativi delle architetture arabo-normanne siciliane, senza rompere con la tradizione, ma tendendo alla modernità con una rielaborazione della geometria astratta. Negli anni trenta vincerà i concorsi più importanti per la storia dell’architettura siciliana, e in particolare a Messina il Concorso per la Nuova Palazzata a mare e per le chiese della


Diocesi, affermando la predilezione per il dominio della forma sull’arte e sull’architettura. Palazzolo, definendo chiaramente i termini della questione, evidenzia nel progetto vincitore del concorso per la Nuova Palazzata di Messina la volontà di riaffermare l’idea della storica Palazzata in chiave moderna come simbolo della renovatio urbana. Il progetto, opera di Samonà insieme a Camillo Autore,

menti distinti tra la terminazione sulla piazza e l’edificio collegato. Come affermato da Ettore Sessa, nel Palazzo Littorio di Messina emerge la maturazione di Samonà quale progettista intellettuale: “un progettista sensibile indagatore delle valenze storiche del contesto oltre che problematicamente orientato verso i progressi internazionali della cultura funzionalista del

progetto, pur se pienamente partecipe dell’ideologia estetica novecentista con la capacità di relazionare e dosare i segni formali in chiave soggettivista”.

foto di Francesca Passalacqua

Raffaele Leone e Guido Viola, dal motto «Post Fata Resulgo», rielabora il continuum edilizio dell’edificio seicentesco riprendendo il ritmo delduchiano del Teatro Marittimo, definito dallo stesso autore «metafora della struttura della città». Il tema dell’organismo architettonico della fabbrica del Palazzo Littorio è approfondito dall’autore, che, partendo dagli studi più recenti, rielabora tutti i carteggi documentari per giungere alla comprensione della poetica architettonica samoniana. Fallita la realizzazione della nuova Palazzata (escluso il Banco di Sicilia), prenderà corpo la volontà di edificare la Casa Littoria sull’isolato VII della cortina del porto, individuando nell’area della piazza Municipio il luogo adeguato alla sua edificazione. Palazzolo, con grande perizia, indaga sull’iter progettuale, sul dimensionamento del progetto, sui caratteri costruttivi e sul linguaggio architettonico legato alla necessità di conferire all’opera un carattere monumentale. Il contesto urbano è poi l’ambito essenziale in cui si muove la concezione architettonica del progetto di Samonà, che vede nel varco verso la città della piazza del Municipio un punto urbano fortemente ricco di significati ed in cui i segni del progetto, dalla torre al corpo degli uffici, si caratterizzano come eleimmagini tratte da Gaetano Palazzolo, L’architettura di Giuseppe Samonà a Messina. Dal Concorso per la Nuova Palazzata al Palazzo Littorio, Grafill Palermo, 2010

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architetture del ‘900 Domenica Michela Giacobbe

R i v i e r a n ord : le tip o lo g ie d e lla re side nza Lungo la riviera nord della città di Messina, dall’Annunziata fino al confine del territorio comunale sul fiume Gallo, è possibile osservare una lunga serie di ville e villini quasi tutti di epoca posteriore al terremoto del 1908. Un vero ciclo di ville lungo una strada panoramica, come le ville lungo il Ring viennese, i villini di Rimini o tornando indietro nel tempo i cicli di ville venete, palermitane, lucchesi. Troppo spesso, nello studiare gli edifici della ricostruzione a Messina si è sottovalutata l’importanza di questa cosiddetta edilizia minore, volutamente ignorandone persino l’esplicito valore culturale come espressione di precisi fattori sociali, negando persino la loro innegabile bellezza d’insieme. Costruzioni, anzi architetture, accomunate non solo dalla posizione topografica, ma anche da precisi caratteri compositivi e dall’uso strutturale del calcestruzzo armato.

Architetture nate in un preciso momento storico, dalla grande speranza della città risorta e dalla grande angoscia dell’irripetibilità del passato. Il progetto di questo lavoro è nato dalla constatazione dell’attuale degrado di importanti parti della nostra città. Ciò che più avanti verrà esposto è il risultato di una accurata analisi sulla serie di costruzioni, poste lungo la costa, per le quali ultimamente si è risvegliato un certo interesse, anche se si ha la tendenza a considerare l’elemento architettonico come facente parte del paesaggio, e dunque degno solo di qualche foto alle parti più pittoresche. L’intento è stato invece di creare uno studio storico e tipologico che evidenziasse non tanto la grazia delle facciate quanto la matrice storico architettonica, i caratteri comuni e i riferimenti culturali; ciò consente di inquadrare queste costruzioni in un più vasto panorama culturale. Introduzione Il terremoto del 1908 distrugge completamente la città e, a differenza del terremoto del 1783, porta alla costruzione di una città completamente diversa dalla precedente, ad opera del Piano Borzì. Il principio informatore del piano precedente, cioè l’ampliamento lungo l’asse Nord-Sud, viene rispettato dal piano Borzì, che prevede appunto verso sud la zona di ampliamento per l’edilizia economica e popolare ed un’area industriale e,

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verso nord, lungo la riviera del Ringo ed oltre, una zona a villini. Sebbene gli elaborati grafici si fermino al torrente Annunziata, le norme allegate al Piano Regolatore, prevedono una zona a villini per tutta la costa del comune, che poi verrà però in parte utilizzata anche per l’edilizia ultrapopolare. Lungo la costa nord, negli anni della ricostruzione, le ville signorili devastate dal terremoto vengono in parte ricostruite, le masserie si trasformano in dimore borghesi, e i fondi rustici ospitano nuove costruzioni in stile. Ecco nascere dunque un vero ciclo di ville. Eclettismo ed Art Noveau La matrice culturale delle ville della riviera Nord di Messina va ricercata nel periodo che in architettura con l’Eclettismo e poi con l’Art Noveau precede i grandi cambiamenti dell’architettura moderna razionalista. L’eclettismo nel periodo in cui inizia la ricostruzione di Messina è ancora, soprattutto nelle periferie culturali, molto in voga, così versatile ed adattabile ad ogni situazione o gusto. Con la diffusione dei manuali, veri e propri cataloghi su cui poter scegliere lo stile desiderato, l’eclettismo rimarrà a lungo il modo di fare architettura più diffuso, e a poco servirà anche l’indignazione del giovane Le Corbusier di Vers une Architecture. L’Art Noveau, l’arte nuova, nata in questo periodo, è la cultura d’avanguardia che si stacca dichiaratamente dall’eclettismo di

cui però è figlia: il Liberty, termine inglese che sostanzialmente equivale al francese Art Noveau, viene spesso associato a stili ed elementi architettonici del passato. Per molto tempo comunque, soprattutto nell’edilizia privata, le due tendenze eclettica ed innovativa continueranno a coesistere. A Messina il Liberty arriva prima del terremoto e testimonianza ne sono i monumenti nel Gran camposanto ed in altri cimiteri comunali; nell’edilizia residenziale un esempio è la cancellata di Villa Garnier1. Dopo il 1908 sarà lo stile preferito delle classi culturalmente più evolute. Il tentativo di recuperare i monumenti perduti nel sisma porterà ad una tendenza al revival, dunque allo stile eclettico. A Messina si tornerà a costruire architettura eclettica fino quasi alle soglie del secondo conflitto mondiale nel tentativo quasi di ridare forma a un passato perduto per sempre nella sciagura. Nell’edilizia residenziale si cerca di riproporre architetture costruite prima del terremoto, simboli della villa borghese e aristocratica, sviluppatesi sul modello rinascimentale (come ad esempio le ville settecentesche lungo la costa andate distrutte dal terremoto). L’architettura messinese del dopo terremoto, viene influenzata anche dalle costruzioni temporanee approntate nell’emergenza, nello specifico dal cosiddetto "villino svizzero" che, nella versione in muratura ben si associa alla decorazione liberty.


L’architettura di quel tempo è insomma come il messinese di allora, angosciato tra il ricordo di un solenne passato e la voglia disperata di superarlo e di credere l’enorme disgrazia del sisma una sorta di inevitabile passaggio verso il mondo moderno. Classificazione tipologica e manuali La lettura del Manuale dell’Architetto dell’ing. arch. Daniele Donghi, pubblicato a Torino nel 19162, è di grande utilità per chi voglia

comprendere i caratteri compositivi e tipologici delle ville oggetto del nostro viaggio. Infatti, sebbene alla data della pubblicazione alcune delle nostre ville erano già state progettate o addirittura costruite, questo manuale è stato fondamentale nel lavoro di classificazione, essendo la pubblicazione molto conosciuta tra i progettisti dell’epoca. Dall’analisi comparata delle planimetrie, alzati e volumetrie delle 40 ville che dall’Annunziata fino a Ganzirri seguono la Consolare Pompea – e riferendosi al manuale di Donghi oltre che ad altri manuali dell’epoca3 – si è giunti a una precisa classificazione tipologica e compositiva degli edifici studiati. La fondamentale divisione in quattro tipi è basata sullo studio della superficie, delle dipendenze, del tipo di spazio aperto di pertinenza e della sua estensione; ai quattro tipi fondamentali corrispondono quasi sempre univocamente quattro diversi modi di vivere e dunque di intendere "la macchina per abitare" e la sua funzione sociale. I quattro tipi Palazzina La palazzina è una casa costruita per una sola famiglia della medio borghesia, il suolo occupato varia dai mq 90 ai 250. Il piano terra è in genere occupato da stanze adibite al commercio, utilizzate dalla famiglia stessa o date in affitto. Nelle palazzine sopravvissute

in parte al terremoto ma anche in altre è in uso il mezzanino, mezzopiano sulla bottega tipico dell’architettura messinese. Talvolta il piano terra è adibito a garage. Al primo piano vi è spesso una terrazza prospiciente la strada, mentre sul lato opposto, al piano terreno, si trova l’orto. La palazzina è un residuo di tipologia urbana e non a caso infatti questo tipo si ripete solo negli agglomerati urbani (Annunziata, Pace, Sant’Agata).

l’agricoltura, cappella. Sono abitazioni estive costruite per la buona borghesia con una certa disponibilità economica: la quasi costante presenza di un garage, che lascia presupporre la proprietà di una macchina, cosa decisamente rara per i primi decenni di questo secolo, ci informa sulle possibilità economiche dei committenti originari. L’accesso, in genere, alla villa è mediato da un avancorpo ospitante il garage e da monu-

Cottage Il cottage è un villino con una superficie variabile da mq 50 a mq 140, sprovvisto di un vero giardino ma con una ampia terrazza lungo il prospetto principale sul mare e sempre privo di dependance. L’accesso, quando la costruzione sorge lungo il ciglio della strada, avviene attraverso una scala posta sotto la terrazza, o tramite scale che dall’avancorpo conducono ad altre scale scoperte che portano alla residenza. Quando la residenza è più lontana o è addirittura tra la spiaggia e la strada, come nel caso dei villini di Sant’Agata, il percorso è vario, ma comunque termina sempre in una terrazza di media ampiezza. In sintesi cottage è una piccola abitazione per una media borghesia colta e raffinata, benestante ma non ricca.

mentali scalinate. Altre volte il rapporto con la strada è più complesso, a causa della posizione orografica: una strada privata attraversa il giardino e conduce alla residenza principale

Villa Sulla tipologia della Villa, intesa come residenza estiva, sull’origine semantica della parola, sui suoi significati socioeconomici, storici e studiosi hanno lungamente trattato; dalla Villa Adriana alle ville del Palladio il cammino non è breve, e qui, semplicemente, per villa si intende una residenza principale di media grandezza, di superficie coperta da mq 150 a mq 500, inserita in un giardino di media estensione corredata di dipendenze accessorie alla residenza come garage, appartamento per lo chauffeur, magazzini per

Villa con parco La differenza fra questo tipo e il precedente non sta nella superficie della casa padronale ma nella aggregazione con altre costruzioni che non sono dipendenze accessorie (che comunque non mancano) ma costruzioni coordinate alla principale. È l’idea rinascimentale della villa signorile, della casa di delizia di cui parla Francesco Milizia4: "Una casa di delizia può essere abbellita da molti edifici staccati e sparsi per la villa. Oltre le scuderie e le abitazioni per i familiari vi possono essere dei casini per i forestieri".

note 1. Cfr. Rizzo E., Sirchia M. C., Sicilia liberty, Roma, 1986. 2. Donghi D., Manuale dell’architetto, Torino, 1916, p. 31. 3. Levi C., Fabbricati civili di abitazione, Milano, 1836; Magrini E., Le abitazioni popolari(case operaie), Milano, 1906; Sacchi A., Architettura pratica, le abitazioni, Milano, 1874; Andreani I., Il progettista, trattato tecnico-pratico di costruzioni architettoniche e relative alle decorazioni, Torino, 1905. 4. Milizia F., Le vite dei celebri architetti d’ogni nazione e d’ogni tempo, Roma, 1678.

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la forza del genio C o rre v a l ’an n o … Francesco De Francesco

Correva l’anno 1956 ed io, conclusi gli studi classici liceali, dovevo intraprendere un corso di studi universitari. Una grande ambascia si impadronì di me e di mio padre poiché a quel punto si doveva decidere il mio destino, indipendentemente dalle mie attitudini. All’ultimo giorno, 31 dicembre 1956, sfondai con molte perplessità una porta introducendomi in una stanza sconosciuta e poi non amata, quella della facoltà di Giurisprudenza all’Università di Catania. Passò il primo anno di quegli studi che sentivo viepiù estranei alla mia sensibilità e vocazione, pur tuttavia feci onore all’impegno scolastico. Ma un tarlo rodeva i miei giorni nel momento stesso che andavo scoprendo in me altre attitudini e vocazioni. Il tormento diventò grande e tragico poiché mi accorgevo sempre di più di non amare quel tipo di studi. Non so per quale strana coincidenza cominciai ad interessarmi di arte, forse l’avevo nel DNA. Il disegno sin da bambino mi piaceva e anche le bellezze della natura e quelle create dall’uomo mi affascinavano. Mi ricordo che nei sogni notturni fanciulleschi ricorrevano visioni di costruzioni straordinarie. Ma gli studi classici frenarono quella attitudine al disegno anche se erano studi votati all’intelletto e alla poesia. Affioravano, ma di punto in bianco, quei sogni e quelle attitudini che avevo sepolto non per mia volontà ma per destino negativo. Cercai quindi in me e trovai un tesoro di aspettative e di aspirazioni al mondo dell’arte. Cominciai a tralasciare gli studi giurisprudenziali e, anche nella disperazione di non potermi votare agli studi delle cose dell’arte, cominciai a comprare libri di architettura. Mi rifornii subito di una collana di monografie che trattavano dei mastri dell’architettura contemporanea (la collana del Saggiatore), fra cui Mies van der Rohe, Alvar Aalto, Pier Luigi Nervi, Antoni Gaudì, Le Corbusier, Frank Lloyd Wright, Walter Gropius, Erich Mendelsohn, Oscar Niemeyer, Louis Henry Sullivan e Richard Neutra. Furono questi i miei vangeli di quegli anni e giorni pieni di ansie e paure ma anche di grandi scoperte. A distanza di diversi anni, circa cinque (avevo perso la speranza) finalmente mi iscrissi alla facoltà di Architettura di Palermo, lasciando definitivamente gli studi legali e la famiglia. Perché, mi verrebbe chiesto, tanti anni per arrivare ad una meta tanto desiata? Primo per questioni economiche, poiché mio padre era un insegnante elementare in pensione, anche se grande maestro di vita. Secondo perché io ero cresciuto nell’amore più esclusivo e profondo in una famiglia unita e preziosa. Terzo perché mia madre era la mia vita, e al pensiero di lasciarla, soffrivamo tutt’e due terribilmente. Altre motivazioni si potrebbero aggiungere a questa storia, di un momento difficilissimo della mia vita. Pur tuttavia in quegli anni di dubbio e di sofferenza l’unica luce che illuminava il mio cammino era la speranza di poter accedere agli studi che intimamente e per attitudine innata amavo: gli studi dell’arte e specificatamente dell’arte architettonica. Mi passarono diversi anni fino a quando, nell’anno 1961, finalmente ruppi con tutto e mi portai a Palermo alla Facoltà di architettura. Cominciai a frequentare con molto interesse quella disciplina, fin quando un giorno venne in Facoltà un grande architetto americano, Richard Neutra.

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Ricordo bene, era il 26 novembre 1961. C’era in Facoltà una febbrile attesa per la visita di quel grande genio dell’architettura proto razionalista. In quel pomeriggio indimenticabile e agitato nella Facoltà un po’ imprigionata nell’accademia, compare il grande architetto già famoso assieme alla Sua donna. Ricordo, mi trovavo anch’io nel corridoio di quella sede in via Catania e di punto in bianco comparve Richard Neutra con in mano un taccuino di carta increspata piena di disegni fatti a mano con pastelli a cera. Il primo studente in cui si imbatté quel bellissimo uomo (era bello veramente) fui io che, per l’emozione di essere stato avvicinato, provai un senso quasi di mancamento e di eccitazione, tanto che mi si appannarono i cristalli degli occhiali per il grande calore che il corpo produsse al cospetto del genio. Subito dopo ci siamo portati nell’aula magna dove il grande maestro ci proiettò le diapositive di bellissime opere create e costruite da lui negli anni ’30. Opere straordinarie immerse nella natura californiana, risolte con strutture in ferro e vetro e materiali innovativi. È stata una serata indimenticabile e piena di emozioni e di scoperte. Abbiamo familiarizzato con il Grande al quale si accompagnava come una devota regina e suddita la sua cara Dyonne. Che bella immagine di donna innamorata dopo tanti anni del suo Richard che in quei giorni compiva 69 anni! In quella stessa sera alcuni di noi studenti ci siamo dati appuntamento con il grande architetto per andare a Segesta e ad Agrigento. Eravamo 8 studenti e un assistente, l’architetto Collura, e siamo partiti in compagnia di Neutra e Dyonne alla volta della Sicilia archeologica. Arrivati a Segesta del tempio famoso si scorgeva soltanto la punta del timpano. La scoperta di tutto l’organismo architettonico poteva avvenire solo inerpicandosi per un viottolo che accedeva al celebre monumento. E qui avvenne qualcosa di inaspettato e di sorprendente. Il grande pregò uno di noi, il più robusto, a sostenerlo per la irta salita. Non era un sostegno del vecchio uomo ma era da parte sua il voler scoprire il monumento in assenza di corpo poiché l’anima e l’intelligenza erano votati in quel momento a scoprire l’opera d’arte. Era vero, era bellissimo poiché diversi di noi a vicenda ci siamo spinti dal basso verso l’alto copiando il comportamento di Neutra. Che giornata felice e indimenticabile, che non finì a Segesta poiché all’imbrunire ci siamo poi portati ala volta di Agrigento dove il grande maestro ha richiesto ai proprietari delle auto di illuminare con i fari delle auto il tempio della Concordia su cui lui, con le mani, proponeva emozioni e misure, quasi accarezzando con amore quelle pietre famose. Era l’architetto che amava la storia e proponeva modernità mentre nostro malgrado e con dispiacere avevamo notato che il Preside della Facoltà prof. Caronia senior non accompagnò Neutra fino alla porta della Facoltà. Ci accorgemmo allora che in quella evenienza due mondi si contrapponevano, quello dell’accademia e della resistenza ai canoni dell’architettura classica e quello della modernità organica e razionalista. Il grande genio ci portò la luce del nuovo pensiero che veniva dall’America assieme al grande Wright, genio universale ed eterno.

foto di Francesco De Francesco

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di Venera Leto

Uccio d i Sa rcin a , L a s t anza d el l ’i s o l a

di Daniela Colafranceschi

Fabi o Ma nfredi , P ae sag gi, pr o ge tt i d ’au t ore . Cal ab ri a e S i ci l i a

rec en sioni

Giovanni La Fauci - Mario Loteta

cartoline da altri spazi

Francesco Messina - Rosario Andrea Cristelli - Antonello Russo

II wo rks hop “I l t erritorio ol tre l o Stretto”

Antonella Sarlo

La ci t tà d elle donne. Otto p er i nfi ni to

Gaetano Scarcella

8 LI d ’a

Maria Teresa Lucarelli - Alessandro Villari

Archisostenib ile 2 0 1 0

Vincenzo Giusti

Intersecti ons

wo rk s hop

[ARCHITETTURA]


Vincenzo Catania

Pia no st rat egi co Ne b rod i c i t t à a per t a

Elena De Capua

m es s i na

Vincenzo Catania - Ada Bartolo

n eb rod i

Luana Biviano

isole eoli e

Bartolo Doria

ti rreno

Eleonora Cacopardo

i oni o

cron ache d al territ orio

di Giuseppe Fera

Frances co C ardull o, Ar chitet tu r e e c i t t à: s c ri t t i s u Mes s i n a

di Elena La Spada

Mich elangelo Sa vi no, Wat erfr o nt d ’Italia - Piani , P ol i t i c he , P r o get t i

di Francesco Finocchiaro

Ur uk, an overv iew on a rchi tecture

eventi


[A R CHITE T TURA : e v e nt i ]

intersections 2010 From METRO towards METROPOLIS Vincenzo Giusti 1

In seno alla Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Catania è stato istituito un Laboratorio Permanente sul Territorio che è stato chiamato “Catania Urbs Clarissima” riprendendo l’appellativo dato alla città in una famosa stampa prospettica cinquecentesca. Il Laboratorio è teso alla promozione e diffusione dei valori della qualità dell’architettura e del patrimonio del contemporaneo e mira a costruire una piattaforma di saperi e professionalità utili allo sviluppo di un progetto di alto profilo sulla città che sia patrimonio pubblico e condiviso tra istituzioni e cittadini, imprenditori e progettisti. Catania Urbs Clarissima ha avviato la propria attività di studio con l’organizzazione di un workshop annuale di progettazione su un tema o un’area di particolare interesse per la città. Per l’anno 2010, e cioè per la prima edizione dell’iniziativa, il workshop ha trattato il tema delle intersezioni tra la rete delle infrastrutture della mobilità metropolitana ed il tessuto urbano quali luoghi notevoli della trasformazione della città colta nella doppia dimensione del tempo lungo – la pianificazione – e del breve termine – le occasioni di progetto urbano. Si è osservato che ricucendo relazioni precedentemente interrotte, la linea Metropolitana collega tre mondi diversi – la città storica, la città diffusa e la metropoli etnea – e può essere l’interfaccia attraverso cui queste tre città si integrano. La Metropolitana oggi appare, infatti, capace di (ri)organizzare e strutturare i diversi “pezzi” di città e si configura come luogo di interscambio veloce, dove gli spostamenti dall’area extra-urbana sono convogliati verso la città e viceversa.

quadro riassuntivo degli interventi proposti

“Intersections”, questo il nome scelto per il workshop 2010, si è svolto a Palazzo Platamone dal 5 all’11 settembre ed è stato organizzato dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Catania in collaborazione della FCE - Metropolitana Catania. Oggetto di studio sono state le aree urbane che gravitano attorno a sette stazioni della tratta nord dell’infrastruttura; il workshop ha visto impegnati sette gruppi di progettazione, guidati da due progettisti di fama nazionale e internazionale e composti ciascuno da un tutor e da dieci studenti di architettura o ingegneria. Nel dettaglio i progettisti invitati sono stati: per la stazione Borgo Antonio Tejedor Cabrera e Bruno Messina, per la stazione Milo Uwe Schröder, Marco Mannino e Carlo Moccia, per la stazione di Cibali Roberto Collovà e Gaetano Licata, per San Nullo Kengo Kuma e Marco Scarpinato, per la stazione di Nesima Jesus Maria Aparicio Guisado e Francesco Finocchiaro, per la stazione Fontana Henri Bava e Alessandro Villari e infine per la stazione Monte Po Manuel Aires Mateus e Francesco Cacciatore. Il workshop si è svolto secondo un programma articolato che ha compreso, oltre all’attività di laboratorio progettuale, una giornata di studio sullo sviluppo della città in relazione alle infrastrutture di comu-

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nicazione, degli incontri con dei progettisti che operano nel territorio siciliano come l’arch. Lorenzo Carmassi, l’arch. Giuseppina Grasso Cannizzo e l’arch. Emanuele Fidone e le conferenze di personalità di fama internazionale quali gli architetti Antonio Monestiroli e Kengo Kuma. La manifestazione si è conclusa con la presentazione dei progetti a cui ha partecipato l’Arch. Angelo Torricelli, preside della Facoltà di Architettura Civile di Milano. I progetti elaborati durante il workshop hanno evidenziato un dato significativo e cioè che l’avvento di un’infrastruttura di così grande importanza nel territorio come la metropolitana, offre una storica occasione per rilanciare la città secondo dei nuovi modelli di sviluppo, improntati sulla mobilità pubblica e sulla diffusione di spazi e strutture che favoriscono la crescita sociale, la qualità ambientale, l’attività economica. Si è dimostrato, infatti, che con la dismissione del tracciato in superficie della Circumetnea, si possono connettere ampie aree libere e dotarle di nuovi servizi per la comunità e spazi verdi; ciascuna delle 7 stazioni della metropolitana in corso di costruzione dal Borgo fino a Monte Po può divenire il fulcro di un processo di integrazione tra il centro storico e i quartieri suburbani. Ogni area di intervento, per la sua localizza-

zione e per le sue caratteristiche dimensionali e morfologiche, ha imposto problematiche diverse e ciò ha consentito la formazione di un parco progetti articolato e che risponde a diverse esigenze; in alcuni casi la relativa vicinanza tra le stazioni ha comportato anche un sovrapporsi delle ipotesi di intervento e pertanto diverse modalità di interpretazione dell’area di progetto. Procedendo da est verso ovest sono così descritti i progetti per le sette aree che fanno riferimento alle nuove stazioni della tratta della metropolitana in costruzione: BORGO Antonio Tejedor Cabrera - Siviglia Bruno Messina - Catania Il gruppo ha affrontato un tema tipicamente urbano, essendo la stazione ubicata in una zona posta ai margini del centro storico: si è constatato che, con la realizzazione della stazione sotterranea in corrispondenza della vecchia stazione della Circumetnea, si libera un’area di grande dimensione che, connessa ad altre limitrofe, avrebbe una dimensione di circa tre ettari; uno spazio di notevole valenza che il gruppo ha trasformato in un grande basamento che in superficie è destinato a verde pubblico con percorsi pedonali e nelle sue cavità interne con parcheggi e


[workshop] servizi per il quartiere; sul basamento si ergono delle grandi torri che svettano sullo skyline urbano e che si propongono come nuovo centro direzionale e residenziale. MILO Uwe Schröder - Bonn Marco Mannino, Carlo Moccia - Messina Anche per la stazione Milo, posta in prossimità di viale Fleming, il team guidato dagli architetti Schroeder, Mannino e Moccia, propone un intervento di grande respiro che coinvolge un’area di ben 65 ettari; il gruppo, infatti, evidenzia la possibilità di realizzare un parco urbano che, eliminando funzioni non più sostenibili in centro città come lo stadio e la caserma Sommaruga, si estende dalla via Etnea alta fino al quartiere Cibali. All’interno del nuovo parco si propone la costruzione

di un grande asse residenziale con corti allineate e un “castello” di torri destinate al terziario, due potenti segni che ricercano nella grande dimensione una relazione con le antiche emergenze architettoniche. CIBALI Roberto Collovà - Palermo Gaetano Licata - Palermo L’arch. Collovà coadiuvato dall’arch. Licata di Palermo ha trattato la città che si sviluppa attorno alla stazione Cibali e ha centrato il proprio intervento nel tentativo di connettere il fitto tessuto dell’antico borgo con le grandi aree verdi poste a sud e a est, compresa quella dello stadio che viene sostituito da un sistema di strutture che formano un parco con attrezzature sportive. Altri interventi più minuti di ricucitura degli isolati e di sostituzione puntuale di fabbricati fatiscenti contribuiscono alla riqualificazione del quartiere. SAN NULLO Kengo Kuma - Tokio Marco Scarpinato - Palermo Il progetto elaborato per l’area di San Nullo parte dall’esigenza di creare una nuova centralità urbana a partire dalla nuova stazione metropolitana. La dimensione panoramica dell’area e la sua orografia rappresentano gli elementi fondanti del masterplan che pro-

pone di realizzare una infrastruttura abitata nel terrapieno della circonvallazione. Sotto il livello della strada si pongono delle funzioni urbane all’interno della grande piazza ricavata in corrispondenza del dislivello esistente realizzando un intervento capace di integrare città e paesaggio mettendo a sistema tutte le porzioni di verde pre-esistente disegnando così un nuovo parco urbano. All’interno della nuova piazza si dispongono la nuova stazione, l’edificio per uffici, commercio e terziario, la torre landmark che guarda alla città e alla sua “montagna”, il corpo dei servizi di quartiere (biblioteca, asilo, centro culturale e palestra) e le residenze per studenti costituendo una nuova centralità urbana che ha l’ambizione di raccogliere molteplici flussi e attrarre una diversificata tipologia di utenti: gli abitanti di San Nullo, i pendolari prove-

dal sovrapporsi di diverse colate laviche su un paleosuolo prevalentemente argilloso. Il progetto, che interessa tutto il margine occidentale della città e i quartieri che su di esso si appoggiano, è quello di un grande parco suburbano che comprende le aree attorno al centro sportivo di Nesima, la grande sciara a nord della circonvallazione, la zona attorno all’Ospedale Garibaldi e la collina di Monte Po. Sebbene il progetto sia così ampio, prevede degli interventi a basso impatto ambientale connessi da una viabilità pedonale e ciclabile che ricuce i margini del parco e ne permette la fruizione; il perno del progetto è una grande piazza che s’incunea sotto la circonvallazione e riconnette il parco delle sciare con le aree libere attorno all’Ospedale Garibaldi. Dall’asse pedonale irregolare, che attraversando il parco ne costituisce la

nienti dai comuni alle pendici dell’Etna e gli utenti connessi ai nuovi servizi proposti.

spina dorsale, si irradiano dei percorsi che giungono ai belvedere di Monte Po creando anche una rete svincolata dalle vie carrabili; le peculiarità idrogeologiche dell’area sono valorizzate dalla creazione di corsi d’acqua che convogliano le acque (che discendono dalla collina e del torrente Acquicella) formando un laghetto artificiale, nuova risorsa ambientale con aree attrezzate e bacino di compensazione per le piene stagionali.

NESIMA Jesus Maria Aparicio Guisado - Madrid Francesco Finocchiaro - Catania Il progetto degli architetti Aparicio Guisado e Finocchiaro è basato sulla volontà di riconnettere le aree residenziali attualmente divise dalla circonvallazione e rivitalizzare la zona con nuovi servizi e aree a verde pubblico. Si prevede pertanto l’interramento di un tratto di circa 300 m. della circonvallazione, la realizzazione di un grande volume orizzontale che si propone come nuovo centro civico sospeso su grandi piloni collegati alla stazione sotterranea, la stesura di una leggera viabilità pedonale che unisce i vari brani del quartiere e la destinazione a nuovo parco attrezzato delle aree sciarose a sud. FONTANA Henri Bava - Parigi Alessandro Villari - Catania Le valenze paesaggistiche già presenti nell’area di Nesima sono esaltate nel progetto della stazione Fontana, redatto dai Landscape Designers Henri Bava e Alessandro Villari; la stazione infatti si trova in una zona della città in cui è ancora evidente la natura geologica del territorio catanese, generato

MONTE PO Manuel Aires Mateus - Lisbona Francesco Cacciatore - Siracusa Una grande “faglia” si apre sotto la circonvallazione inglobando una cava di pietra lavica e creando il nuovo centro della città occidentale, alla confluenza dei quartieri di Lineri, Monte Po e della dismessa area commerciale di Misterbianco. In particolare si lavora sulla quota del mezzanino della stazione ipogea trasformandolo da angusto spazio di servizio interrato in una grande piazza pubblica stretta e lunga, a cielo aperto e a misura di pedone, che si trova ad una quota intermedia tra la città e il tunnel della metropolitana. La maglia ortogonale di Lineri diventa modello per un intervento di espansione che si spinge verso la nuova faglia composto da unità abitative a bassa densità con tipologia a patio.

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Maria Teresa Lucarelli – Alessandro Villari Nell’ambito delle attività previste per il triennio 2008-2010 la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria ha organizzato tra il 27 Settembre ed il 4 Ottobre c.a., la IIIa Edizione del Workshop Nazionale di Progettazione “Archisostenibile. Idee e Progetti per la Riqualificazione Energetico-Ambientale nella Città di Reggio Calabria”. “Archisostenibile” nasce nel 2008 all’interno della Commissione Progetto per la Qualità e la Sostenibilità (CPQS) – presieduta da Maria Teresa Lucarelli, Vicepreside della Facoltà di Architettura, e composta da Stefano Aragona, Martino Milardi, Antonella Sarlo, Alessandro Villari, ricercatori della stessa Facoltà – con l’intento di promuovere una politica condivisa per la qualità e la sostenibilità sia all’interno della stessa Facoltà sia con il territorio. L’iniziativa – che ha già al suo attivo, e con successo, due edizioni nel 2008 e nel 2009 – da sempre ha voluto connotarsi per il forte carattere formativo/informativo sulle tematiche relative al rapporto tra risorse energetico/ambientali, spazi, forme e funzioni; un’esperienza di formazione concreta ed operativa tra l’approccio metodologico e ipotesi di soluzioni progettuali.

L’intento, in particolare di quest’ultima edizione, è stato quello di offrire ai partecipanti l’opportunità di confrontarsi con le basi teoriche e le strategie d’azione poste dall’attuale dibattito nazionale ed internazionale sul tema della sostenibilità urbana, in linea con gli indirizzi ed i requisiti individuati dalla Carta di Lipsia e ripresi nella dichiarazione di Toledo del giugno 2010 nell’ottica di una rigenerazione urbana integrata. Si è così voluto estendere l’interesse progettuale alla Città di Reggio Calabria, prendendo come area di intervento una porzione di territorio situato nella periferia Sud ed individuato dal tessuto urbano che si sviluppa nell’immediato intorno dell’asse viario del Viale Calabria, limitato a Nord dalla testata del Calopinace e a Sud dalla testata del Sant’Agata. Volendo ambiziosamente allargare la prospettiva, si è ampliata la scala d’intervento da quella edilizia, che aveva caratterizzato le precedenti edizioni, a quella urbanistica e di paesaggio urbano, avendo come specifico riferimento quanto contenuto nella già citata Carta di Lipsia. Ponendo, quindi, una attenzione speciale ai quartieri degradati o comunque con evidenti criticità, l’obbiettivo primario del workshop era proporre idee e progetti atti a creare ed assicurare spazi pubblici di alta qualità, attrattivi ed orientati verso i fruitori; riqualificare, o comunque modernizzare,

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le reti infrastrutturali; favorire un sistema di trasporto urbano sostenibile, accessibile ed efficiente, realizzando modalità integrate basate su piste ciclabili e reti di aree pedonali; migliorare la qualità ambientale, attraverso azioni di controllo della qualità dell’aria e il contenimento delle emissioni inquinanti, con azioni innovative di mitigazione; definire strategie generali di efficienza energetica degli edifici sia esistenti, sia nuovi ed interventi basati su un uso equilibrato delle risorse naturali ivi compresa l’acqua; individuare, infine, strategie per migliorare l’ambiente fisico nel suo complesso. In questa direzione si è aperto un interessante scambio con il Comune di Reggio Calabria, dimostratosi particolarmente attento ai temi della “sostenibilità urbana” e con l’Azienda Trasporti per l’Area Metropolitana (ATAM) fortemente interessata a sviluppare le tematiche della “mobilità” che rappresenta una delle strategie di azione della Carta di Lipsia per la promozione di un trasporto urbano efficiente ed accessibile. Il Workshop – a cui si sono iscritti 54 tra studenti, dottori di ricerca e giovani laureati, sia della Mediterranea che di altri Atenei – ha previsto l’assegnazione, oltre a due menzioni d’onore, di cinque premi in denaro, di cui uno “speciale” offerto dall’ATAM, attribuiti da una giuria presieduta dal Prof. Pino Imbesi e dal Prof. Sandro Anselmi, che ha valutato

gli elaborati finali tra i quali quelli da presentare, in una apposita sezione, alla Biennale di Venezia dove la Facoltà di Architettura ha partecipato con un suo specifico contributo. I progetti in generale hanno dato una interessante risposta alle istanze del documento di indirizzo, consegnato all’inizio lavori ai partecipanti, proponendo idee progettuali apprezzate per le intuizioni e le soluzioni prospettate. I vincitori, in particolare, hanno saputo individuare e risolvere efficacemente anche alcuni nodi critici tenendo comunque ben presente il progetto nel suo insieme. Ancora una volta “Archisostenibile” si è dimostrata una manifestazione di grande appeal – e non solo per i partecipanti – aprendosi, pur nei limiti ridotti di una esperienza breve, a contesti che presentano le problematiche tipiche della città moderna e su cui individuare possibili strategie d’intervento, stabilendo così un reale legame/scambio con città. La manifestazione si è aperta ufficialmente il 28 Settembre presso la sede ATAM di Largo Botteghelle per concludersi con la premiazione dei cinque migliori progetti Mercoledì 6 Ottobre presso il foyer del Teatro Cilea, messo a disposizione dell’Amministrazione Comunale nell’intento di far conoscere alla Città i risultati, le idee e le possibili proposte mirate ad una riqualificazione urbana “sostenibile”.


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VINCITORI ARCHISOSTENIBILE - Gruppo primo classificato - Francone Giuseppe, Mirabella Vincenzo, Scrofani Davide Motto: ONDA SU ONDA Il gruppo vincitore del concorso ha risposto con coerenza a buona parte gli obiettivi posti dal bando. Il progetto prende forma da un segno unico di grande impatto fisico e visivo che, conformando una nuova topografia del suolo, diventa l’elemento in grado di rifor-

qualità architettonica e con una visone innovativa del paesaggio urbano. - Gruppo secondo classificato + premio speciale ATAM - Caruso Anna, Di Blasi Mariaconcetta, Oteri Maria Lynn - Motto: STRALCI URBANI Chiarezza di obiettivi e linearità del progetto hanno valso al gruppo il secondo premio e il premio speciale ATAM. La proposta si fissa

terno quartiere, il rapporto percentuale tra aree minerali e asfaltate e aree verdi al fine di garantire un alto livello di qualità urbana. Il progetto si pone tre obiettivi generali: realizzare spazi di alta qualità, introdurre un sistema di mobilità lenta e sostenibile e massimizzare l’efficienza energetica dello spazio pubblico. Nella proposta si afferma un principio chiaro cioè quello della possibile coe-

mulare una nuova immagine del paesaggio urbano e allo stesso tempo di accogliere, al suo interno, un nuovo sistema di infrastrutture di trasporto pubblico. Il movimento del suolo invade e deforma il piano del Viale Calabria, configurando una complessa e articolata modellazione che è l’occasione per realizzare un grande parterre vegetale che si incunea fino all’interno del quartiere e che contiene interrata l’attuale carreggiata. Così, liberata l’area dagli attraversamenti viari, la nuova conformazione a collina realizza un grande parco di qualità per il quartiere. Dopo una attenta analisi delle esigenze e delle criticità del quartiere, il progetto si articola in un complesso sistema di interventi sia di carattere infrastrutturale, che interessano l’intera città di Reggio Calabria, sia di dettaglio con esplicito riferimento alle peculiarità del quartiere. Alla scala della città il progetto propone una nuova linea di tram, in parte interrata, che risolve il difficile collegamento tra l’aeroporto e il porto. Per il quartiere sono previsti una serie di interventi puntuali e a sistema: un’articolazione di nuovi spazi pubblici collegati da una percorso ciclo-pedonale e un parcheggio interrato multipiano. Il progetto è inoltre attento ai temi della sostenibilità (ambientale, energetica e sociale), con una serie di interventi di interessante

su due obiettivi generali: il primo che tende ad una riorganizzazione funzionale dell’asse viario e il secondo a risaldare parti del quartiere attualmente separate dalla consistente dimensione del Viale Calabria. Il progetto si realizza attraverso l’interramento parziale di alcuni tratti della carreggiata stradale, al fine di liberare la massima quantità di spazio in superficie e realizzare delle aree verdi. Un progetto a due velocità: quella interrata per le automobili per un attraversamento veloce del viale e quella di superficie destinata al trasporto pubblico urbano, su controviali dedicati, e alla mobilità sostenibile sia pedonale che ciclabile. La riappropriazione di tutte le aree residue libere è l’occasione per disporre una moltitudine di presidi di verde pubblico urbano in continuità con il sistema lineare di parchi. Largo Botteghelle, liberato dalle recinzioni, si presenta come un parco pubblico a vocazione sportiva. - Gruppo terzo classificato - Maugeri Grazia, Mazzei Giusy, Soria Caterina, Risadelli Valerio Motto: GREEN CARPET Un insieme di profumati giardini mediterranei di varie dimensioni, disposti liberamente come tappeti verdi urbani, contraddistingue il progetto terzo classificato. L’idea che guida tutto il progetto, senza modificare l’attuale asse stradale, è quella di riformulare, all’in-

sistenza di una grande infrastruttura stradale urbana e la presenza di spazi pubblici di alta qualità. Questo principio ha permesso, ai progettisti, di realizzare un mosaico urbano di tappeti vegetali che restituiscono una nuova immagine al quartiere. - Gruppo quarto classificato - Crisalli Francesco, Sercia Francesca, Polimeni Vincenzo Motto: AREA SANA CITTA’ METROPOLITANA Il progetto si è distinto per la capacità critica di analisi dello stato di fatto del quartiere e per la visione strategica generale ben evidenziata nel master-plan generale. Una analisi attenta dei contesti sensibili è stata la premessa per un progetto molto dettagliato e coerente rispetto agli obiettivi generali posti dal bando del concorso. Il progetto risponde in maniera puntuale a molte delle necessità dell’area, senza però restituire una visione generale e unitaria del luogo. Particolare attenzione è stata assegnata al trasposto pubblico urbano proponendo di realizzare, in una parte dedicata della carreggiata, una linea di Personal Rapid Transport (PRT) su bande magnetiche di collegamento tra l’aeroporto e il centro città. Sul tema del risparmio energetico e della sostenibilità il progetto propone un abaco dettagliato di soluzioni di arredo urbano e di materiali innovativi.

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Gaetano Scarcella

Si è svolta a Reggio Calabria dal 25 settembre al 9 ottobre 2010 l’ottava edizione del LId’a - Laboratorio Internazionale d’Architettura - promosso dal Dottorato in Progettazione Architettonica e Urbana “Il Progetto dell’Esistente e la Città Meridionale” dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, dipartimento DASTEC. Il LId’a, fondato nel 2002 da Laura Thermes, nasce col proposito di generare una proficua contaminazione tra i temi di ricerca del Dottorato in Progettazione di Sede e le istanze provenienti dal territorio. Comune denominatore di questa pluriennale esperienza è l’interesse volto a immettere la multiforme, complessa e contraddittoria realtà della cosiddetta Città Meridionale all’interno del dibattito contemporaneo. Per questa ragione nelle diverse edizioni assieme agli architetti si sono alternati fotografi, geografi, filosofi, scrittori, attori, giornalisti, poeti e sociologi che hanno dato vita a cicli di incontri e conferenze che si sono dimostrati intense narrazioni.

Aldo Aymonino, Le aree di sosta a nord del Ponte. Problemi di riconfigurazione infrastrutturale, funzionale e paesaggistica dei luoghi, planivolumetrico di progetto; Gianluca Peluffo_5+1 AA., Villa San Giovanni, il sistema di accesso da Reggio Calabria e la nuova stazione marittima, il giardino di Villa; Carlo Terpolilli_Ipostudio, Il Waterfront tra Punta Pezzo e la stazione marittima e ferrovia. Dismissioni e nuove centralità, rigenerare e riconfigurare la città, vista aerea dell’intervento.

La formula prevede che progettisti di fama internazionale affiancati da tutors si confrontino su temi specifici alla scala urbana e paesaggistica in gruppi formati da studenti, laureandi e giovani laureati in Architettura e Ingegneria Edile provenienti da tutta Italia. Il tema di questa edizione si pone in continuità col LId’a 7 che ha avuto sede nelle città di Messina e Reggio Calabra e si è occupato di immaginare gli assetti futuri dell’Area dello Stretto. Nell’ottava edizione il Laboratorio si è concentrato su un’area cruciale del versante calabro guardando alle opere connesse alla realizzazione del ponte sullo Stretto e alle cosiddette opere compensative come opportunità per disporre in tempi relativamente brevi una radicale opera di riqualificazione urbana e paesaggistica per Villa San Giovanni e il suo territorio. Sono stati attivati sette laboratori ognuno dei quali ha indagato tematiche diverse istruite dal comitato scientifico del LId’a formato da Laura Thermes, Gianfranco Neri e Ottavio Amaro e dal coordinamento organizzativo

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composto da Marina Tornatora e Antonello Russo.

nucleo residenziale di Piale, dotato di ampi spazi verdi e servizi.

Aldo Aymonino con Roberta Bartolone, Daria Caruso, Francesco Fragale e Antonio Minutella si è occupato sia delle aree di sosta a nord del ponte, che sono state pensate come giardini panoramici collegati mediante percorsi attrezzati ai forti ottocenteschi disposti ad una quota più elevata, sia degli imbocchi alle gallerie, progettando portali frangisole che risolvono il passaggio repentino dalla luce all’ombra.

Laura Thermes con Fabrizio Ciappina, Antonello Russo e Gaetano Scarcella ha immaginato un parco urbano terrazzato per l’area che va dalla base dei piloni del ponte al centro direzionale. Alla base dei piloni è stato disposto un recinto di forma ellittica che, oltre alle opere per la manutenzione del ponte, contiene un acquario mentre l’area in cui sorge il centro direzionale, che ospita anche un centro commerciale, un albergo, un museo e un sistema di parcheggi sotterranei, analogamente ai fortini ottocenteschi, è stata pensata come luogo in cui vedere senza essere visti.

Ottavio Amaro con Marina Tornatora ha affrontato il tema delle abitazioni per le maestranze prevedendo insediamenti composti da case temporanee e, in un caso, da abitazioni stanziali. Le prime sono caratterizzate dalla presenza di un recinto verde che servirà, una volta ultimati i lavori del ponte e smontate le abitazioni, a configurare spazi per il tempo libero a servizio della città, le seconde configurano un nuovo quartiere, contiguo al piccolo

Gianluca Peluffo_5+1 con Domenico Conaci e Francesca Schepis ha progettato i sistemi di arrivo e partenza per l’attraversamento via mare dello Stretto proponendo due piastre infrastrutturali e urbane concepite come terrazze verdi una – il parco di Villa – posizionata in prossimità dello svincolo


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autostradale a servizio dei mezzi pesanti, l’altra – il giardino di Villa – posta in prossimità dell’attuale piazzale per gli imbarchi delle auto. Parco e giardino sono collegati tra loro mediante un vero e proprio lungomare posto al di sopra del parco ferroviario. Carlo Terpolilli_Ipostudio con Anna Bartolaccio, Maria Giulia Bennicelli Pasqualis e Francesco Messina si è occupato del Waterfront tra Punta Pezzo e la stazione marittima e ferrovia elaborando una suggestiva proposta in cui la città colonizza nuovi spazi

sull’acqua attraverso la realizzazione di volumi plastici contenenti residenze e servizi collegati alla terra ferma mediante un sistema di grandi rampe urbane che consentono il superamento del limite ferroviario. Vincenzo Melluso con Giusi Farina e Laura Marino ha predisposto una soluzione per il waterfront tra Punta Pezzo e Santa Trada che consiste nell’introdurre nel paesaggio un museo delle Metamorfosi concepito come grande promenade capace di collegare le alture, il borgo marinaro e il fondo marino.

Gianfranco Neri con Ilario Greco ha lavorato sul tema “La rappresentazione come progetto. Comunicare l’architettura dopo la pittura di paesaggio”. L’esperimento progettuale non si limita ad affermare la necessità dell’introduzione del ponte all’interno di un racconto iconografico contemporaneo ma, in maniera provocatoria, lo immagina, attraverso la predisposizione di disegni e acquarelli, come già facente parte dell’iconografia classica desunta dai viaggiatori del grand tour.

Vincenzo Melluso, Il Waterfront da Punta Pezzo a Santa Trada. Tra il mare e le alture: questioni di rigenerazione urbana, plastico dell’intervento con fotomontaggio; Gianfranco Neri, La rappresentazione come progetto. Comunicare l’architettura dopo la pittura di paesaggio, veduta del ponte da Scilla - acquarello.

Laura Thermes. Sotto il ponte. Dall’area dei tiranti al centro direzionale, planivolumetrico dell’area del Centro direzionale; Ottavio Amaro, Gli insediamenti logistici, le abitazioni per le maestranze e il sistema dei servizi ; Planivolumetrico e vista dell’intervento.

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O t t o

p e r

i n f i n i t o

o tto pro getti per i nfi n i t i s c e n ar i I biennale delle artiste del Mediterraneo_sez. architettura

Alì Terme, Forza d’Agrò, Gallodoro, Giardini Naxos, Letojanni, Mongiuffi Melia, Roccalumera, Sant’Alessio Siculo, Savoca

Antonella Sarlo Il workshop “Otto per infinito” si è svolto all’interno della I Biennale delle artiste del Mediterraneo – ideata e organizzata da Eleonora Cacopardo per ArteAlta e Fulvia Toscano per Le officine di Hermes – con l’obiettivo di promuovere interculturalità e cooperazione nel Mediterraneo privilegiando il punto di vista femminile nella sua dimensione estetico-creativa. La biennale dedicata in questa sua prima edizione al mondo dell’architettura si è inserita nell’evento “La città delle donne 2011”. Prendendo spunto dalle celebrazioni della festa della donna, l’otto è diventato il leitmotiv attorno a cui si è incentrato l’intero evento: otto luoghi, otto gruppi di progettazione, otto giornaliste, otto paesi stranieri ospiti, etc. L’8 ruotato diventa il simbolo dell’infinito. Il workshop “Otto progetti per infiniti scenari”, coordinato da Marina Arena ed Eleonora Cacopardo, si è svolto con il fondamentale supporto dei sindaci dei comuni coinvolti che hanno messo a disposizione le proprie sedi istituzionali per ospitare studenti e giovani architetti guidati da capigruppo esperte del settore e tutors; un team di supervisori ha consentito ai gruppi di interfacciarsi pur lavorando in postazioni separate.

L’idea è stata quella di innescare una collaborazione tra amministratori e progettisti nell’individuazione di nuovi scenari di sviluppo. Paesaggio, sostenibilità e bioarchitettura come obiettivi di qualità territoriale a cui tendere, sono stati il riferimento trasversale per tutti i gruppi sotto la guida degli esperti dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura – sez. di Messina, guidati da Anna Carulli. A conclusione dei lavori, al Palazzo dei congressi di Letojanni, i progettisti hanno presentato le loro proposte alla presenza di rappresentanti del mondo politico, istituzionale e professionale, raccontando le diverse anime dei piccoli centri jonici tra realtà e scenari futuri. Parallelamente all’impegno progettuale dei gruppi dislocati negli otto centri prescelti, nei cinque giorni dell’evento si è svolto un programma di incontri – tra Giardini, Sant’Alessio, Roccalumera e Letojanni – che ha consentito un confronto di ampio respiro tra architettura, letteratura, giornalismo e fotografia con ospiti come Vittoria Alliata, Lola Fernandez, Alessia Guarnaccia, Orazio Micali, Luigi Nifosì, Ylenia Olivo, Katia Pastura, Salvatore Presti, Alberto Samonà, Dario Tomasello. Tre le tavole rotonde: “La città delle donne: esperienze a confronto” coordinata da Francesca Moraci con esperte del mondo della progettazione architettonica (E. Arcidiacono, M. G. Grasso Cannizzo, P. Pennisi e R. Simone); “Otto donne per infinite culture” coordinata da Francesca Fatta con le donne archi-

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tetto del Mediterraneo (R. Amirante - Italia, R. Khairallah - Libano, L. Belmouaz - Marocco, C. Moreno Alvarez - Spagna, N. Boubaker e A. Jouini - Tunisia); e “Otto cronache per infinite letture” coordinata da Fulvia Toscano con le otto giornaliste protagoniste all’interno dei gruppi di progettazione (G. Cirino, E. Di Dio, V. Femminino, E. Iannelli, D. La Torre, P. Nicita, E. Raffa, G. Sgarlata). In chiusura Roberta Amirante ha dialogato in videoconferenza con Benedetta Tagliabue alla quale è stato consegnato il premio “Otto x infinito” da Carlotta Reitano (presid. Fondazione Ordine Architetti P.P.C. di Catania), Luigi Longhitano (presid. Ordine Architetti P.P.C. di Catania) e Giuseppe Falzea (presid. Ordine Architetti P.P.C. di Messina).

otto progetti per infiniti scenari Supervisori: Marina A. Arena, Marinella Arena, Najet Boubaker, Eleonora Cacopardo, Francesco Finocchiaro, Domenica M. Giacobbe, Maria Maccarrone, Antonella Sarlo, Michelangelo Savino, Rita Simone, Maurizio Spina, Orazio Truglio, Alessandro Villari Per il tema trasversale Bioarchitettura: Anna Carulli, Cesare Oliva (supervisori); Roberta Ballo, Alberto Bartolomeo, Filippo Bertino, Carmela Gentile, Antonio Lo Re, Cettina Staiti, Egle Staiti, Italo Strani (tutors)

Alì Terme PAESAGGI TERMALI Nuovi scenari urbani per la costruzione di una città parco Capigruppo: Elena De Capua – Stefania Marletta Luisa De Francesco, Daniele Di Natale, Francesco Gregorio, Tatiana Minutola. Giornalista: Elisabetta Raffa La strategia di progetto è rappresentata dalla visione del Comune di Alì Terme come un sistema integrato di funzioni ricettive termali, del benessere, del tempo libero e dello sport. Un organismo reticolare che si articola tra il waterfront ed il countryfront. Una città con un sistema di ricettività turistica diffusa che sostiene le attività termali, il fronte mare, il fiume, il patrimonio edilizio, gli orti, le terme e la risorsa naturalistica. L’individuazione di questo complesso e variegato sistema rappresenta in sintesi l’obiettivo del progetto. Forza d’Agrò FORZA 8 Intervenire per parti Capigruppo: Francesca Faro – Abla Jouini Alba Guerrera Giornalista: Danila La Torre Intervenire per parti, inserendo quegli enzimi capaci di innescare future rigenerazioni. Creare un percorso culturale interattivo nel quale si riconosca la popolazione prima di


[workshop] tutto ma in grado anche di coinvolgere il turista. Far sì che gli abitanti si riapproprino dei luoghi dimenticati. Questi gli obiettivi del progetto. Un belvedere trasformato in un laboratorio teatrale all’aperto, e una scalinata che connette i differenti blocchi di un antico palazzo trasformato in laboratorio/albergo per artisti, ma anche in museo interattivo e centro termale. Questi gli elementi del progetto. Gallodoro INTERNI URBANI Contributi per una strategia di recupero Capogruppo: Adriana Galbo Giovanni D’Amico, Giuseppe Messina, Antonella Bartolotta, Gabriella Carpita. Giornalista: Eleonora Iannelli

L’intervento opera sul centro storico di Gallodoro, oggi in gran parte abbandonato, riconoscendo nella complessità dei rapporti spaziali che lo informano, una qualità ineludibile sulla quale è necessario intervenire attraverso strategie di recupero/trasformazione. L’esistenza di un percorso da trekking che da Forza d’Agrò conduce fino a Taormina, diventa il pretesto per ripensare all’attraversamento del borgo come sequenza di ambiti di connessione/trasformazione/ sottrazione, in cui alla residenza si aggiungono microspazi pubblici utilizzabili per eventi temporanei. Giardini Naxos Il PARCO TEATRO I teatri che si guardano Capogruppo: Elena Arcidiacono Odette Rigano, Maria Cirrincione, Silvia Firrito. Giornalista: Gioia Sgarlata Un ‘nuovo teatro’ che cambia la prospettiva di quello esistente e ridisegna un parte importante della storia e della geografia del luogo. La prospettiva ruota. La nuova agorà di Giardini traguarda visivamente il teatro di Taormina inventando un nuovo abbraccio. Il teatro diventa agorà: giardino e piazza da vivere nel quotidiano con il verde che si protende fino a perdersi nel mare e che crea terrazze di legno sull’acqua. Spazio di relazione dove i giovani possono incontrarsi,

rappresentarsi, creare, e vivere. Le gradinate sono blocchi sfalsati: come gli scavi archeologici alle spalle, come le rocce laviche nel mare. Nuove dinamiche, nuove centralità prevalgono su periferia e isolamento. Letojanni PREVISIONI DI CITTÀ Capogruppo: Loredana Saccullo Matteo Vinciguerra, Sabrina Tosto, Eleonora Bonanno. Giornalista: Veronica Femminino Mongiuffi Melia RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE E MOBILITÀ INNOVATIVA Capigruppo: Daniela Finocchiaro – Sonia Grasso

Stefania Cannizzaro, Carlo Speranza, Stefania Spinali. Giornalista: Giovanna Cirino Tre gli obiettivi principali che individuano opportune strategie per la mobilità innovativa, per il recupero del centro storico e per la valorizzazione delle risorse paesistiche ed ambientali presenti; l’idea progettuale è rappresentata dal ‘sistema di relazioni’ (materiali ed immateriali) esistenti e potenziali sul territorio. Si propone un progetto di mobilità sostenibile che integri il sistema della funivia con quello della greenway, realizzando inoltre nel centro storico un albergo diffuso che ne consenta il recupero ed il riuso. Con questo ‘sistema territoriale’ è possibile valorizzare le risorse presenti promuovendo una fruizione ecologica e culturale. Sant’Alessio Siculo VERSO LA FOCE Capigruppo: Chiara Rizzica – Eva Grillo Giorgia Amato, Eva Berndt, Lucia Coniglione, Ada Mangano. Giornalista: Elena Di Dio ‘Verso la foce’ è un progetto di racconto e descrizione di luoghi. Raccoglie le foto, le parole, i disegni e le idee prodotte, tutte insieme, durante una lunga camminata lungo la fiumara dell’Agrò. È quel che resta di un viaggio breve che ha la dimensione di un taccuino collettivo e la misura di una visione

simultanea. Nomina sei azioni sul paesaggio – oltrepassare, ritornare, congiungere, mutare, distribuire, sospendere – che di questo provano a restituire la visione come forma del reale mediata dall’occhio dell’architetto e dalla parola dello scrittore. L’esito è la successione di sei coppie di immagini, scelte, trasformate e ordinate secondo la regola di una sequenza di sei stralci di testo, strappati alle ‘librerie’ dei progettisti. Savoca SAVOCA EVOCA Capigruppo: Laila Belmouaz – Maria Gabriella Trovato Teresa Cammara, Vittorio Catania, Lara Riguccio, Maria Cristina Rinaldo, Caterina Romanello, Domenico Tosto. Giornalista: Paola Nicita

Nell’ipotesi progettuale il Museo diffuso viene concepito come un itinerario culturale in cui i nuovi sistemi di fruibilità del patrimonio paesaggistico architettonico e urbano sono la maglia di una rete capace di relazionare le risorse del sistema locale e di innescare processi di conoscenza e di riappropriazione del luogo da parte di chi lo abita e lo trasforma, o di chi lo visita. Gli itinerari, organizzano le memorie documentali, le emergenze architettoniche, le presenze vegetazionali, le vedute, il tessuto edilizio ecc., e strutturano un progetto che vuole ridare significato ai luoghi evidenziando tappe e momenti diversi ma coerenti di una comune temperie storica e culturale. L’evento si è svolto con il contributo dei comuni di Alì Terme, Forza d’Agrò, Gallodoro, Giardini Naxos, Letojanni, Mongiuffi Melia, Pagliara, Roccalumera, S. Alessio Siculo, Savoca; ha coinvolto autorevoli partners del mondo scientifico e professionale tra cui le facoltà di architettura delle Università di Reggio Calabria e di Palermo; il Dipartimento di architettura e urbanistica (DAU) della facoltà di ingegneria dell’Università di Catania; l’Associazione Nazionale Giovani Architetti - ANGIA; gli Ordini degli Architetti PPC delle province di Catania, Messina, Ragusa e Reggio Calabria; la Fondazione degli Architetti di Catania; l’Istituto Nazionale di Bioarchitettura (INBAR); l’International Academy of Architecture; partners mediatici come 4Amagazine, AArchitettura, Rivista - Ordine Architetti PPC di Messina, Uruk. In maniera complementare al workshop, gli studenti del corso di Rilievo Architettonico e urbano (III anno CdL Architettura - Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria) si sono esercitati in un lavoro di rilievo a vista nel centro urbano di Savoca sotto la guida della prof.ssa Marinella Arena. La donna che solleva il mondo, logo del workshop, è stata estratta da ‘I funambolieri’ di Simone Caliò.

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II Workshop “Il territorio oltre lo Stretto” Pensare un unico paesaggio, progettare un unico territorio Comune di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) Il territorio oltre lo Stretto Francesco Messina Il workshop di architettura “Il territorio oltre lo Stretto”, svoltosi per la seconda edizione tra il 30 aprile ed il 7 maggio a Barcellona Pozzo di Gotto, si propone come occasione d’indagine sui luoghi prossimi all’area dello Stretto di Messina che vengono esclusi dal suo ambito d’interesse, rimanendo esterni alle dinamiche che lo riguardano. L’evento nasce da una sinergia tra l’associazione GRAFITE di Messina, che ha coordinato l’iniziativa, il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto e l’Ordine degli Architetti di Messina, affiancati dall’ANGIA Catanzaro e da AsMArchitecture (Mendrisio), entrambe associazioni culturali che svolgono attività di promozione nel campo dell’architettura. Come per la prima edizione, sono stati attivati sei laboratori coordinati da rappresentanti di studi di giovani architetti europei che stanno emergendo, o si sono già affermati, nel panorama dell’architettura contemporanea, coadiuvati da altrettanti tutor individuati all’interno dei corsi di Dottorato delle Facoltà di Architettura italiane.

Quest’anno gli studi invitati a coordinare i sei seminari sono stati lo studio Iotti+Pavarani (Reggio Emilia) con Paola Albanese, Formab (Reggio Calabria) con Giovanna Falzone, Bodàr Bottega d’architettura (Messina) con Mariagiulia Bennicelli Pasqualis e Luca Belatti, Nàbito (Barcelona) con Teo Valli, Olaf Gisper (Amsterdam) con Simona Puglisi ed Eugenio Mangi, Lina Malfona (Roma) con Alessandro Mauro. I laboratori, che hanno accolto anche in questa edizione un cospicuo numero di studenti, si sono cimentati nella risoluzione delle problematiche urbane della città riguardanti alcune aree concordate tra i promotori dell’iniziativa e l’amministrazione Comunale. Le sei aree di progetto assegnate per questa edizione sono state suddivise in due macro temi: sistemi territoriali e tessuti consolidati. Della prima area tematica fanno parte il tracciato ferroviario dismesso (Iotti+Pavarani), l’area artigianale industriale (Nàbito) e gli attraversamenti del torrente Longano (Olaf Gipser Architects). La seconda area tematica invece include il borgo arabo dell’Acquaficara (Forma-b), il quartiere Nasari (Bodàr) e il quartiere Sant’Antonio (Malfona). All’interno del workshop hanno trovato spazio poi due mostre dal titolo Città Autografica e Laboratorio Città, la prima riguardante alcuni disegni autografi sull’evoluzione dell’organismo urbano, la seconda relativa agli esiti della prima edizione del workshop ed alle trasformazioni in atto nella città di Barcellona. Tra le attività si sono volte

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anche conferenze di illustri esponenti dell’architettura italiana quali Mauro Galantino, Vincenzo Melluso e Carlo Terpolilli (Ipostudio), i quali hanno alimentato dibattiti significativi su questioni fondamentali dell’architettura attraverso l’esposizione di progetti e lecture teoriche. Gli esiti del workshop sono stati infine giudicati da un Grand Jury composto da Laura Thermes, Carlo Terpolilli, Dario Costi, Bruno Messina, Vincenzo Melluso e Alessandra Fassio che hanno commentato e fatto osservazioni puntuali sui lavori dei singoli gruppi, apprezzando l’opportunità delle risposte e l’articolazione tematica delle stesse, ma soprattutto sottolineando l’importanza di riflessioni sulla città attraverso il progetto. L’obiettivo di questo workshop, non certo originale rispetto agli ormai numerosi presenti sul territorio nazionale, è proprio quello di trovare nel progetto architettonico e urbano le risorse per il riconoscimento delle precipuità e degli aspetti che definiscono e caratterizzano la valenza estetico-geografica del territorio. Ciò che forse lo rende specifico, rispetto a tanti altri seminari o laboratori, è il fatto che questa riflessione venga fatta da una generazione che tenta di rispondere, con energia e coraggio, ad un declino vertiginoso della qualità urbana e paesaggistica delle nostre aree geografiche, dovuta con buona probabilità ad uno scollamento tra mondo professionale, mondo istituzionale, mondo accademico e mondo imprenditoriale. È auspicabile, ed anche questo è uno de-

gli obiettivi del workshop, che queste occasioni diventino l’inizio di una concertazione tra i diversi attori delle trasformazioni urbane, finalizzata alla strutturazione delle priorità e delle strategie di rilancio, che possano risarcire il “territorio oltre lo stretto” dalle violenze subite e limitare le potenziali minacce.

Laboratorio Città Rosario Andrea Cristelli Il Ministero dei Beni Culturali, ente patrocinante dell’evento, rappresentato per l’occasione dall’Arch. Alessandra Fassio, membro del Grand Giury finale, accompagnata dalla Dott. Alessandra Pivetti, ha ricordato che “la prima iniziativa del Workshop – Il Territorio oltre lo Stretto – avendo partecipato al Premio del paesaggio del Consiglio d’Europa, rappresenta un importante attività di promozione dell’architettura di qualità e del paesaggio in Sicilia, per cui merita di essere considerata iniziativa lodevole, degna di plauso e rappresenta una importante azione sul territorio nazionale, in attuazione della Convenzione Europea sul Paesaggio”. La mostra “Laboratorio Città” è un degli eventi della seconda edizione del Workshop “Il Territorio oltre Lo Stretto”, maturato dopo il largo consenso ottenuto dalla prima edi-


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zione del 2009. L’esposizione denominata “Laboratorio Città” è stata concepita come “riflessione grafica” e “fotografica” sull’attualità urbana della città di Barcellona Pozzo di Gotto. Un’occasione per comunicare e promuovere il percorso programmatico di largo respiro che sta interessando la Città, attuato dall’Amministrazione Comunale in questi ultimi anni, sia dal punto di vista programmatico, sia progettuale che operativo, con gli esiti delle realizzazioni, già riconsegnate alla cittadinanza. La città, infatti, metaforicamente, appare oggi come un “Laboratorio urbano”, non solo di “idee nuove” che tentano di concretizzare ragionamenti legati alla più alta formazione e ricerca architettonica e urbana, attraverso gli autorevoli ospiti ed i contenuti dei programmi dei Workshop di architettura in oggetto, ma anche attraverso i cantieri di

una visione fotografica personale, è stata demandata allo STUDIO LUCE di Santino Trifilò. La mostra oltre a contenere anche la rassegna stampa dell’edizione precedente, anticipava le l’indicazioni programmatiche delle nuove aree di intervento; oltre ai pannelli dedicati allo studio grafico sulla morfologia del “territorio oltre lo stretto” e sugli insediamenti locali oggetto d’intervento. L’evento “Laboratrorio Città” rappresenta una “opera aperta”, infatti, con la soddisfazione piena degli Enti Organizzatori e sostenitori, degli iscritti e dei partecipanti, la mostra si arricchisce del nuovo capitolo rappresentato dagli elaborati dell’edizione 2011. La speranza è di vedere presto parte di questi progetti, tra le immagini delle opere realizzate, in una ipotetica mostra dal titolo “Laboratorio Città_tra progetto e realtà”.

luogo del pensiero progettuale con, al centro, la posizione della generazione oggetto di indagine. Nella giornata di apertura alla presentazione della iniziativa di Antonello Russo, presidente di Grafite, sono seguiti gli interventi critici di Ettore Rocca (ricercatore di Estetica presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria) che ha fornito una lettura circostanziata dei singoli elaborati formulando un giudizio sulla corrispondenza tra testo e immagine prodotti dagli studi in esposizione, di Ottavio Amaro (professore associato di composizione architettonica e urbana presso la facoltà di architettura di Reggio Calabria) che ha compiuto una ricognizione teorica sul contributo del disegno e della rappresentazione alle tematiche contemporanee del progetto di architettura e in conclusione di Gianfranco

Barcellona Pozzo di Gotto. Attualmente sono “in atto”, una serie di trasformazioni urbane che puntano al risanamento dell’”esistente”, attraverso la riconversione, anche funzionale, di spazi e di luoghi simbolici, che erano stati in passato notevoli riferimenti urbani per la città che necessitavano oggi una revisione totale. La mostra racconta sia la visione retrospettiva sugli esiti del primo laboratorio di progettazione “per” la città di Barcellona, “nella” città di Barcellona, sia un percorso fotografico sulle opere in cantiere e di nuova realizzazione. Nella rassegna grafica sono stati esposti anche i progetti redatti dagli iscritti alla prima edizione del workshop, guidati dai giovani responsabili dei laboratori che si sono cimentati a guidare le operazioni progettuali di rinnovamento urbano nella Città del Longano. Una mole di architetti “under 40” valorosi, membri di Studi di progettazione che hanno già sviluppato, nella loro specificità aderente ai temi progettuali loro assegnati, una riconoscibilità sia per meriti che appartenenza a scuole di architettura, tra loro differenti, garantendo un confronto disciplinare di alto profilo e grande qualità. Hanno aderito con lo spirito dovuto e la professionalità indiscussa: Scape di Roma, MDU di Prato, Nencini e Menegatti di Roma, Barra e Rombolà di Locarno, ModuloquattroArchitetti Associati di Messina, NEOSTUDIO di Genova. Una sintetica narrazione delle trasformazioni urbane attualmente in atto nella città, con

Città Autografica

Neri (professore ordinario di composizione architettonica e urbana presso la facoltà di architettura di Reggio Calabria) che ha articolato un intervento sui valori dell’immagine come dato identitario dell’epoca contemporanea. In chiusura un dibattito tra i vari progettisti presenti alla inaugurazione della esposizione ha ripercorso le scelte proposte dagli studi invitati alla luce delle considerazioni teoriche promosse dagli interventi critici programmati. L’importante successo di critica e di pubblico della esposizione ha suggerito ai coordinatori il proseguimento delle tappe espositive della iniziativa per la redazione di un calendario di appuntamenti che vedrà la mostra coinvolta in un percorso itinerante in grado di toccare nei prossimi mesi più sedi del territorio nazionale.

Disegno e progetto per un dialogo tra generazioni Antonello Russo In occasione della seconda edizione del workshop di architettura “Il territorio oltre lo Stretto”, l’associazione culturale Grafite, coordinatrice della iniziativa, ha proposto l’esposizione di opere originali realizzate da studi considerati esponenti emergenti dell’architettura italiana riunite nella mostra “Città Autografica. Disegno e progetto per un dialogo tra generazioni.” Tema della iniziativa è stata una riflessione sulla città e sulla evoluzione della sua immagine nella condizione contemporanea. La mostra, inaugurata nei locali del Palacultura Bartolo Cattafi di Barcellona Pozzo di Gotto il 30 aprile, si è protratta fino al 07 maggio, data di chiusura dei lavori del workshop. Agli studi selezionati è stato richiesto un contributo sulla evoluzione dell’organismo urbano attraverso la redazione di un elaborato originale autografo accompagnato da un breve testo critico in grado di sintetizzare un personale punto di vista sulle tematiche contemporanee. La lettura, indagata con gli strumenti propri del progetto di architettura, ha sollecitato una riflessione sulla evoluzione dell’organismo città ponendo le premesse per un dibattito sulle tematiche connesse al disegno e alla rappresentazione come

La mostra ha esposto gli elaborati originali di: AtelierMap_Siracusa, BodàrBottega d’Architettura_Messina, B2A_Cosenza, c.a.c.p.studio / cecilia anselmicarloprati_Roma, For(m)a-b_Reggio Calabria, Olaf Gipser Architects_Amsterdam, Iotti+Pavarani_Reggio Emilia, Raffaella Laezza_Trieste, Lina Malfona_Roma, MDU Architetti_Prato, MedirArchitetti_Roma, Menegatti/ Nencini_Roma, ModuloquattroArchitetti Associati_Messina, Monestiroli/Ferrari_Milano, NàbitoArquitectura_Barcelona, Neostudio_Genova, Scape_Roma.

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Cartoline da altri spazi Giovanni La Fauci — Mario Loteta

I luoghi, abitati o abbandonati, rappresentano sempre, per un architetto, il punto di partenza per elaborare delle immagini alternative, soprattutto quando queste si cristallizzano nella consuetudine dell’abitare. Un abitare che spesso è oggetto di coercizione da parte della cattiva gestione del territorio. Coercizione che a sua volta diviene incapacità di vedere, assuefazione, mala abitudine e indolenza, in un circolo vizioso che culmina sempre nell’inerzia collettiva. Il progetto Cartoline da altri spazi1, curato da Giovanni La Fauci e Mario Loteta, e promosso dal Consiglio dell’Ordine degli Architetti P.P.C. della Provincia di Messina, si propone di realizzare, nell’ambito della nuova rivista dell’Ordine, un grande viaggio visionario che attraversi il più ampio patrimonio urbano e paesaggistico della Provincia di Messina. 1

il nome scelto per la rubrica: “Cartoline da altri spazi” è stato suggerito dagli architetti Adele D’Andrea e Carmen Colao.

Itinerari visionari per l’architettura - Provincia di Messina Tema cardine del progetto è l’utopia. Tutti gli architetti che operano nel territorio provinciale, e che intendano aderire al progetto, sono invitati a interpretare il territorio attraverso uno sguardo visionario su ambiti urbani ed extraurbani che, per le loro forti criticità o la loro valenza simbolica, suggeriscono un’immagine alternativa del patrimonio urbano esistenti. In linea con i temi monografici della Rivista dell’Ordine, le visioni devono ispirarsi ad una delle seguenti linee guida: 1. 2. 3. 4. 5.

ARCHISTAR E FENOMENO URBANO SPAZIO PUBBLICO FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE GENERAZIONI DI ARCHITETTI A CONFRONTO DETTAGLI DI ARCHITETTURA OBSOLESCENZA

La rubrica rappresenta, dunque, un momento di riflessione sul valore culturale della nostra professione, oltre che uno strumento di misura del ruolo che l’architetto possiede oggi nei confronti del tessuto culturale in cui opera. Ciò che viene chiesto all’architetto non è una prestazione tecnica, ma un messaggio culturale che ambisce a divenire icona. Ciò che viene richiesto, attraverso la produzione di immagini, è un repertorio di stimolazioni dell’immaginario collettivo che, a primo acchito, non hanno nulla a che vedere con la realtà. Così come legata all’immaginario è la dimensione del mito, un elemento sempre vivo e profondamente connotante la memoria siciliana, ma che sembra smarrirsi in un presente intrappolato dall’odierna e deterministica regola tecnica. Sono leciti esiti di vario tipo: da megastrutture simboliche a interventi puntuali, da nuove icone urbane a interventi di profonda trasformazione dell’esistente, sino alla proposta di monumenti onirici o infrastrutture surreali. Moltissimi, fra i giovani architetti siciliani, così come i meno giovani che hanno maturato importanti riflessioni sulla dimensione urbana, hanno così l’opportunità (e magari anche la responsabilità) di offrire delle testimonianze culturali, di ridisegnare i luoghi delle proprie consuetudini con occhi nuovi, deformando, alterando ciò che ci appare per dato. Com’è accaduto per altre comunità urbane, siamo certi che questa sarà un’opportunità di crescita non solo per gli autori delle future visioni, ma anche - e soprattutto - per coloro che avranno dinanzi agli occhi uno scenario alternativo. L’obiettivo del progetto non è quello di risolvere i problemi della città contemporanea, piuttosto quello di innescare un vivo e giocoso dibattito culturale su ciò che oggi chiamiamo ancora città, su ciò che oggi chiamiamo ancora architettura. Partiremo da qui per compiere una serena indagine filosofica, e ancor più sociologica, sulla relazione fra civitas e urbs, poiché, nonostante tutto, l’utopia rimane ancora l’esercizio intellettuale più utile per evolvere verso altri traguardi. E quella dell’architetto, a nostro parere, è ancora una professione che può vantare un traguardo intellettuale. A conclusione dell’edizione annuale della Rivista, verrà organizzato un convegno a cura dell’Ordine degli Architetti sui temi trattati, in occasione del quale verrà realizzata un’esposizione dei lavori prodotti da tutti i professionisti partecipanti. Allo scopo di fare maggior chiarezza sugli esiti progettuali, si rimanda l’attenzione a dei casi studio, realizzati nella città di Messina, estratti dalla rubrica “Bagaglio a Mano – Itinerari Visionari”, pubblicata in “Mag Magazine” a cura di Lo.La. architetti – Agosto 2009 / Agosto 2010 http://www. magmagazine.it

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c o n c o r s o

Ciò che si richiede a tutti i colleghi interessati, operanti nella Provincia di Messina, è la produzione di immagini pertinenti il territorio provinciale, nelle seguenti forme: • schizzi a mano libera • fotomontaggi • disegni con tecnica libera • simulazioni virtuali • collages purché siano inviate, in formato digitale bitmap (JPG, PDF, TIFF, GIFF, PNG) all’indirizzo di posta elettronica: rivista@archme.it e, per conoscenza, c/o lola.architetti@gmail.com riportando nell’oggetto della mail la dicitura “CARTOLINE + nome dell’autore”. Il contenuto della mail deve riportare in allegato i seguenti files: • fotografia del reale stato di fatto (formato bitmap, risoluzione min. 300dpi, peso max 4Mb) • elaborazione visionaria (formato bitmap, risoluzione min. 300dpi, peso max 10Mb) • dati identificativi dell’autore e breve descrizione dell’opera (formato .DOC / .TXT) Le opere originali rimarranno di esclusiva proprietà dell’autore. Tutto il materiale raccolto verrà valutato e archiviato dalla redazione, e successivamente pubblicato sui numeri in uscita previsti dalla Rivista dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Messina.

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r e c e n s i o n i Fabio Manfredi, Paesaggi, progetti d’autore. Calabria e Sicilia Alinea Editrice, Firenze, 2010 di Daniela Colafranceschi

Il libro analizza il progetto di paesaggio attraverso una interessante ed originale ricognizione di spazi pubblici realizzati negli ultimi 20 anni nelle regioni di Calabria e Sicilia. Lo studio, che potremmo paragonare ad un viaggio e al ‘racconto’ di un viaggio, si inserisce nel più ampio dibattito sul ruolo del progetto del ‘vuoto’ e sulla riqualificazione urbana attraverso lo spazio pubblico, colmando così la mancanza di un repertorio specifico relativo a questo tema, prodotto in epoca recente nell’area geografica di riferimento.

Confluiscono in questa ricerca le informazioni che il contesto, il progetto e gli autori d’eccezione – anche non necessariamente vincolati all’architettura come campo disciplinare – suggeriscono e propongono per questo territorio. Ci si muove dunque attraverso dimensioni differenti – opere, autori, paesaggi, paesaggi in cerca di un autore – indagando attitudini, comportamenti, intuizioni legate al progetto. È una ricerca critica che tenta di individuare – anche attraverso strumenti di lettura altri e a volte estranei al paesaggismo – idee e valori assunti dall’idea del progetto e interpretati dall’opera dei loro autori. “L’esito” si legge nelle note introduttive “è un viaggio nel progetto d’autore in primo luogo, ma anche un viaggio nel paesaggio in cerca di un autore, in attesa di essere letto, scoperto, interpretato, progettato.” Un odierno “Gran Tour”, lo definisce Gianpiero Donin nell’Epilogo, attraverso “il progetto degli esterni per terre assolate, mediterranee, sotto cieli perennemente azzurri, un progetto come tanti architetti ma anche, registi, fotografi, geografi, giornalisti e gente comune, lo percepiscono, lo immaginano e lo vivono”. Di progetto e paesaggio, infatti, ‘parlano’ nel libro gli architetti Franco Zagari, Vincenzo Latina, Aurelio Cantone, gli studiosi Joan Nogué e Pere Sala; in forma indiretta, gli scrittori Roberto Alaymo e Pedrag Matvejević, i registi Emanule Crialese, Marco Tullio Giordana, Roberta Torre, sulla difficol-

tà dell’architetto di parlare al pubblico, sul ruolo pedagogico dell’esperto di paesaggio, sull’apparente incapacità dell’architettura a diventare parte effettiva della città. Sul tema specifico del progetto contemporaneo di paesaggio la ricerca ‘scopre’ una preziosa eterogeneità di linguaggi e di soluzioni ma anche un repertorio ancora esiguo di opere che rende evidente la poca fortuna a cui il progetto spesso è andato incontro nonostante la sua qualità. “Hanno avuto successo questi spazi come spazi della socialità? Hanno contribuito a generare nuove relazioni sociali? Hanno tra loro qualcosa in comune al di là dello spazio e del tempo in cui si circoscrivono?” si chiede il direttore dell’Osservatorio del Paesaggio della Catalogna Joan Nogué nel suo testo introduttivo. I progetti non hanno assolto sempre al loro compito ma “Il problema – scrive Franco Zagari – non è di linguaggio ma di approccio.” Il libro, lucidamente, non fornisce risposte a queste problematiche, suggerisce in fondo un metodo di lettura, di analisi, un approccio specifico al tema del progetto dello spazio pubblico in questa realtà geografica così poco avvezza ai cambiamenti e alla contemporaneità. Un libro rilevante “per essere capace di applicare ad uno stesso paesaggio sguardi ‘inter’ e ‘trans’ disciplinari, per la mediterraneità della prospettiva che offre” (Joan Nogué) e perché “cerca, in fondo, le ragioni dell’arte nella scena pubblica del nostro tempo, a qualsiasi costo” (Franco Zagari).

foto di Fabio Manfredi

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Uccio Di Sarcina, La stanza dell’isola, a cura di D.Tomasello

Aracne, Roma, 2010 di Venera Leto

“Non importa quanti screzi o crucci ti riserva la giornata, se la sera torni a casa e la tua storia è lì che ti aspetta”. Questo è l’entusiasmo con cui Uccio di Sarcina si è dedicato alla scrittura di questo libro... e la sua storia è diventata la nostra “aspettando” chi ancora non l’ha letto. La stanza dell’isola è un romanzo travolgente che catapulta in un viaggio non solo la mente, ma grazie alla meticolosa cura dei dettagli, tutti i sensi, immergendo completamente il lettore nei luoghi descritti; a volte sembra addirittura di poterne percepire l’odore. L’isola è uno scenario che racchiude tutta la sicilianità dei nostri paesaggi entro cui si muovono personaggi da cui traspare l’isolitudine tipica degli isolani. Le vicende sono tessute con un’ingegnosità tale che pur senza abbandonare la quotidianità non risultano mai banali ma incuriosiscono, creano suspance, incollano alle pagine. Le vicende del protagonista divengono un pretesto per intraprendere un viaggio esistenziale che non si limita all’autobiografia, più o meno celata: il romanzo interagisce direttamente con il lettore che viene indotto a riflettere ed interrogare se stesso. Il linguaggio è un sapiente mixage tra poesia e ironia che rappresenta la caratteristica preponderante del romanzo. Tutti i temi, anche quelli più malinconici, vengono raccontati in maniera divertente strappando sempre un sorriso dalle labbra e rendendo estremamente piacevole la lettura. Se il filo conduttore del romanzo è l’introspezione divertita la trama è molto vivace ed avvincente: l’isola racchiude dei segreti che in parte si sveleranno al protagonista e lo indurranno ad una scelta. La verità completa verrà scoperta tuttavia, molti anni dopo grazie ad un misteriosa lettera di un notaio...

URUK |an overview on architecture di Francesco Finocchiaro URUK | an overview on architecture è una rivista trimestrale dedicata all’architettura contemporanea sviluppata in Sicilia da AutonomeForme in collaborazione con il Di.S.P.A. della Facoltà di Architettura di Palermo. Il direttore della rivista è Giuseppe Guerrera ed il vicedirettore è Marco Scarpinato. URUK ha diversi corrispondenti tra Palermo e Catania oltre ad una rete di inviati da tutto il mondo. URUK prende il nome dalla prima città della storia, fondata in Mesopotamia, ed esamina la città contemporanea cercando di capire se oggi sia possibile istituire un nuovo patto sociale che metta insieme le forze di tutti gli abitanti della terra per esistere in maniera consapevole e sostenibile. URUK si pone come obiettivo quello di mantenere uno sguardo attivo sull’architettura, una “overview” con una prospettiva allargata che non perda di vista ciò che sta alle fondamenta della pratica: il patto sociale, la funzione primaria delcostruire, la sua ragione d’essere. Questo comporta una responsabilità e per questo, piuttosto che stilare dogmi formali, URUK si propone di analizzare il concreto e la località, come condizioni che non si possono ignorare senza tradire l’accordo che l’architetto stipula con la società intera nel momento in cui svolge la sua professione. Si tratta di una rivista distribuita gratuitamente in Italia e in alcune librerie specializzate europee. Il progetto editoriale è completato da un blog e dalla pagina facebook in costante aggiornamento. Ulteriori informazioni e la versione digitale della rivista sono reperibili all’indirizzo web: www.urukmag.it <http://www.urukmag.it/> componenti della redazione: Giuseppe Guerrera, Marco Scarpinato, Lucia Pierro, Carmelo Vitrano, Tania Culotta, Orazio La Monaca, Maria Grazia Leonardi, Stefania Marletta, Francesco Finocchiaro

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Michelangelo Savino (a cura di), Waterfront d’Italia – Piani, Politiche, Progetti FrancoAngeli, Milano, 2010

con scritti di: M.A Arena, L. Barbarossa, R. Bruttomesso, D. Caiulo, A. Casu, M. Carta, E. De Capua, I. Fasolino, F. Gastaldi, R. Gerundo, O. Giovinazzi, M. R. Lamacchia, A. Marin, N. Martinelli, M. Moretti, R. Pavia, M. Russo, M. Savino, A. Vergano, D. Virgilio

di Elena La Spada

Il volume curato da Michelangelo Savino affronta con i waterfront uno dei temi fondamentali delle città d’acqua, luogo prioritario nelle politiche di sviluppo e riqualificazione, come del resto dimostrano i casi documentati nei vari saggi. Ma anche, come scrive il curatore in apertura, ancora denso di nodi da sciogliere per correggere politiche e metodi di intervento. L’obiettivo del libro è quello di osservare criticamente i diversi aspetti offerti dai casi italiani, “un’antologia critica che possa fungere

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d’aiuto all’interno di un dibattito culturale intenso” per poter indagare la complessità del problema in tutti i suoi aspetti. Il volume si articola in tre parti: le questioni generali dei waterfront; una rassegna di casi italiani, una breve rassegna di casi europei e mediterranei. Un modo questo per analizzare a tutto tondo il problema e far divenire questo volume, che contiene una vasta bibliografia di riferimento, uno strumento utile non solo per i ricercatori e gli studiosi, ma per tutti coloro che si confrontano a vari livelli con questo importante tema. Tra le questioni generali, Rosario Pavia analizza i motivi del ritardo nell’attuazione di politiche per un nuovo ruolo dei waterfront, il conflitto ancora irrisolto sulla competenza istituzionale e degli strumenti relativi (Comune, Autorità portuale, Demanio, etc.), ma anche i problemi legati al conflitto territoriale ancora esistente tra città e porto; Rinio Bruttomesso e Marta Moretti conducono un’analisi approfondita sulla strategia dei waterfront che si chiude con i 10 principi elaborati dal Centro Città d’acqua; Maurizio Carta estende la sua riflessione al valore ampio delle città-porto, gateway cities in grado di immettere in un territorio vasto nuove funzioni e opportunità, e di incidere profondamente sulla riqualificazione urbana; Michelangelo Savino pone cinque questioni alla base della difficoltà che le città italiane, in ritardo rispetto al panorama europeo, hanno nell’attuare la riqualificazione dei waterfront: il difficile rapporto tra porto ed economia urbana; la scala territoriale del watefront; la scarsa inte-

grazione fra gli strumenti progettuali; le soluzioni legate al progetto urbano; la mancanza di visione territoriale. Una riflessione ulteriore è posta su come in Italia sussista una forte sperequazione tra progetti e realizzazioni. Ne consegue la necessità di “correggere il tiro”, sia rispetto alla pianificazione e alle politiche territoriali, sia rispetto all’attivazione di risorse pubbliche e private. I casi trattati dai diversi autori, appartenenti a regioni diverse e con diversi statuti normativi, sono tutti per vari aspetti stimolanti: alcune fra queste esperienze consentono di tracciare bilanci, come nel caso di Genova (Francesco Gastaldi), dove il recupero del porto storico diviene motore di una più complessa riqualificazione urbana e territoriale, e di un nuovo rapporto città-mare. Dalle celebrazioni colombiane del 1992, attraverso momenti e interventi diversi Genova approda all’ultima proposta di Renzo Piano (Affresco 2006) per l’intero arco costiero; o per la coerenza programmatica del caso Trieste (Alessandra Marin) con il lungo iter di progetti, piani generali e di settore per la riappropriazione del porto storico e del fronte mare; e negli altri casi come La Spezia (Daniele Virgilio e Andrea Vergano) che trova nella correlazione tra strumenti territoriali e locali gli elementi fondanti del waterfront, nuova centralità urbana e territoriale. In tutti gli esempi è possibile leggere, attraverso la documentata cronologia dei progetti e degli interventi l’approccio di ogni singola realtà, dalle politiche locali ai riferimenti regionali e nazionali.


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In ritardo rispetto al centro-nord, sembra affermarsi nelle città centro-meridionali la portata territoriale e il superamento di quel rapporto città-porto al cui recupero puntano le prime esperienze progettuali in Italia. Ne sono esempio, il complesso irrisolto sistema portuale di Napoli e le opportunità di recupero ambientale (Bagnoli) di ampi territori costieri (Michelangelo Russo), ancora inattuate; il caso Salerno, (Roberto Gerundo e Isidoro Fasolino) che dopo aver promosso sin dal 1994 progetti d’autore (Bohigas, Bofill, Zaha Hadid, Chipperfield, Nouvel, Rùisanchez) e il progetto urbano come soluzione ai problemi della città e del waterfront, più recentemente avvia con gli strumenti urbanistici e la pianificazione d’area vasta per l’intera costa salernitana le strategie di sviluppo territoriale e di recupero sociale, urbanistico, economico; il caso di Bari (Nicola Martinelli e Maria Raffaella La Macchia), individuata come gateway city dello spazio europeo, che come altre città d’acqua, vive un difficile rapporto con il mare e con il porto; Brindisi (Donato Caiulo), Porta d’Oriente dell’Impero romano, importante porto militare, esemplifica il conflitto di competenze che rallenta il recupero del waterfront avviato negli anni ’80 per la dismissione di aree militari, mentre dagli anni ’90 si avviano una serie di azioni che superano le competenze settoriali e approdano al protocollo d’intesa per il PIAU, ai nuovi strumenti della lr 21/2008 e alla candidatura Brindisi capitale europea della cultura 2019, un’importante occasione per porre all’attenzione internazionale la cit-

tà, Piattaforma strategica del Quadro Strategico Nazionale. Più vicine a noi, le città dello Stretto, Reggio e Messina. A Reggio (Marina Adriana Arena) il waterfront rappresenta oggi l’immagine stessa della città, ma anche elemento di rilancio dell’economia e della centralità culturale del Mediterraneo: si progetta un waterfront esteso all’intera costa (25 km) da Pellaro a Gallico, concluso dal concorso internazionale Regium Waterfront aggiudicato a Zaha Hadid. Questo waterfront dello Stretto potrebbe proseguire nel tratto settentrionale (Villa S. Giovanni), come riportato recentemente dalla stampa, affidato all’architetto Libeskind all’interno delle opere connesse al Ponte. Il caso di Messina è affrontato in due saggi rispettivamente di Elena De Capua e Michelangelo Savino. Nel primo si pone l’accento sulle frammentarie e contraddittorie politiche di riqualificazione del lungo e differenziato arco costiero in assenza di una visione complessiva; nel secondo, Michelangelo Savino pone come prioritaria la definizione del “senso” che le azioni sul waterfront dovrebbero acquisire per divenire effettivo motore di riqualificazione e sviluppo per la città, in un quadro organico di interventi che è assente negli strumenti dell’ultimo decennio (URBAN, PIT, PIAU, PRP), nella Variante al PRG 2004, ma anche nelle proposte per la costa tirrenica, o per l’affaccio sud. Nel caso di Palermo (Maurizio Carta), ritroviamo il PIAU come uno degli strumenti per avviare progetti di riqualificazione del waterfront all’interno del Piano strategico per Palermo Capitale, ma qui l’integrazione

tra Piano del Porto e Masterplan di indirizzo del Piano strategico, l’eccezionale sinergia tra Autorità Portuale e Comune porta ad interessanti proposte per la città, il porto e la fascia costiera; Siracusa (Luca Barbarossa) deve al Piano Gabrielli (2004) l’attenzione alle aree portuali e il recupero del rapporto della città con il mare, in una visione strategica di sviluppo, ma al contempo, progetti e concorsi per le aree costiere recentemente avviati, propongono soluzioni puntuali lontani da una visione complessiva di recupero del waterfront. In Sardegna (Alessandra Casu) con la lr8/2004 i waterfront si interfacciano nelle previsioni di area vasta e in rapporto alla pianificazione comunale. Gli esempi analizzati, però, riconducono a progetti puntuali, matrici già sperimentate e a firme famose (Zaha Hadid, Koolhaas, De Eccher, Busquets, Mendes da Rocha) ma soprattutto a scelte molto spesso non partecipate, avulse dai contesti e dagli effettivi bisogni. Lo sguardo sulle città europee (Oriana Giovinazzi) mette a confronto Rotterdam, Liverpool, Amsterdam, Bilbao, Glasgow e i casi legati ai grandi eventi come Valencia, Genova, Saragozza, mentre Elena De Capua sceglie per il Mediterraneo città simbolo all’interno del bacino, come Barcellona, Valencia, Marsiglia, Atene, Alessandria d’Egitto. Complessivamente una rassegna importante su strumenti, programmi e progetti in gran parte attuati, di grande qualità, ma anche esempi di best practices nella gestione delle diverse risorse messe in campo.

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Francesco Cardullo, Architettura e città: scritti su Messina officina edizioni, Roma, 2010 di Giuseppe Fera Il titolo del libro non deve trarre in inganno, l’ultimo lavoro pubblicato da Franco Cardullo non è in senso stretto un libro su Messina; o meglio, non è solo la disamina organica e sistematica di temi e questioni legati all’assetto urbano della città e alla sua storia urbanistica ed architettonica. Certo di scritti su Messina in massima parte si tratta, ma la città diventa l’occasione che l’autore utilizza per parlarci di altro. Di molto altro; perché le riflessioni proposte, prendendo spunto da cronache o storie messinesi, spaziano in tante e diverse direzioni: emergono riflessioni sul ruolo e le condizioni del Mezzogiorno, sullo sviluppo sociale ed economico, ma anche su cosa significhino impegno civile, etica e comportamenti. Insomma il libro offre spunti che vanno oltre la mera riflessione su architettura e urbanistica a Messina, non ha carattere “locale”, anche se Cardullo, fedele ai suoi convincimenti, ci anticipa chiaramente che il sano provincialismo non lo inquieta e che la marginalità non lo spaventa. Insomma, c’è un altro e forse più importante protagonista di questo libro, oltre ovviamente alla città di Messina, ed è lo stesso autore, Cardullo in persona che, entrato in una fase della propria vita in cui si sente il bisogno di trarre “bilanci” e di volgere lo sguardo all’indietro, nel consegnarci una serie di scritti che si snodano in un arco di oltre 30 anni dal 1976 al 2009, ripercorre in sostanza la sua storia di architetto e di docente universitario attraverso le vicende della sua città, del territorio e del contesto in cui si trova ad agire. Un tema questo non secondario ma che anzi permea di sé l’intero libro; il ruolo dell’intellettuale nel rapporto col il contesto sociale e territoriale in cui opera, nel promuovere lo sviluppo soprattutto civile e culturale della sua terra, una visione che richiama molto il ruolo dell’intellettuale nel pensiero di Gramsci. È evidente che per l’autore svolgere sino in fondo e positivamente il mestiere di architetto significa farsi carico di questo ruolo di «altissimo valore sociale e collettivo», farsi interprete e riflettere i valori culturali diffusi nella società, ma anche avere la capacità di essere una sorta di avanguardia culturale, un educatore oltre che interprete. Se questo è vero in generale lo è ancora di più in quei contesti come il Mezzogiorno d’Italia, e Messina in particolare, che soffrono per un mancato sviluppo che, prima ancora che essere economico, è culturale e sociale. E proprio nel venir meno di questo ruolo etico e culturale degli intellettuali che Cardullo individua

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una delle cause dei mali e delle occasioni mancate della nostra città. Certo la categoria degli architetti non si sottrae a questa critica, ché anzi la scarsa qualità e la bassa vivibilità della Messina contemporanea è anche, in parte, responsabilità della categoria professionale, nel non aver compreso che progettare una Architettura che incontri i bisogni e le aspirazioni della gente, che sia bella (perché la bellezza è il fine che dobbiamo perseguire), non è un problema estetico né tecnico, ma di ordine culturale, etico e civile. E al facile vezzo degli architetti di scaricare le responsabilità sulla politica corrotta e sui cittadini insensibili ai problemi dell’architettura e dello spazio urbano, l’autore ribatte, parafrasando la celebre frase di J.F. Kennedy, invitando tutti noi, architetti e non, a domandarci non cosa ha fatto Messina per noi ma cosa noi abbiamo fatto o possiamo fare per la nostra città. E così, articolo dopo articolo, assieme alla storia recente dell’urbanistica e dell’architettura della nostra città, emerge anche la figura dell’autore, docente, architetto e soprattutto cittadino messinese, che ci invita a riflettere, per esempio, su cosa significhi esercitare il mestiere di architetto, o ancora insegnare architettura all’università, o ancora ragionando più in generale su temi “etici” e “politici”. Del resto tutto ciò lo si può ben comprendere sin dalle prime righe del libro, quando l’autore affida a Le Corbusier il ruolo di chiarire senza equivoci quali sono i valori sostanziali che hanno ispirato ed ispirano il suo lavoro di architetto ed insegnante: modestia, continuità e perseveranza, valori che Franco Cardullo ha certamente onorato come può ben testimoniare chi lo conosce. È come se l’autore, a scanso di equivoci e per rimediare all’ambiguità di ogni linguaggio, volesse fornire a chi legge una chiave interpretativa delle sue riflessioni. Nella odierna fiera dei cervelli anabolizzati, in un periodo in cui trionfa la corsa all’esaltazione delle proprie (limitate) capacità, in cui la superficialità la fa spesso da padrona, in cui l’effimero e le mode passeggere sono il pane quotidiano di tanti guru di una cultura sempre più povera, in cui il pensiero si è fatto sempre più debole fino quasi ad essere assente, Cardullo dimostra un bel coraggio e parlarci di modestia, costanza, impegno, perseveranza, in questo manifestando una qualità oggi poco diffusa, che è il non preoccuparsi di andare contro corrente. E, a conferma di quanto detto, in un momento in cui si insegnano alle nuove generazioni le strade televisive di facili gua-


[recensioni]

dagni e grandi successi, Cardullo ha l’ardire di parlare di impegno, ci dice che studiare e progettare costano fatica e sudore (Studiare è fatica, progettare è fatica). Messina, con i suoi problemi, le sue tragedie annunciate, le sua strade e piazze trasformate in un tappeto di auto da cui i pedoni sono esclusi, il suo paesaggio aggredito e deturpato, rappresenta comunque il tema centrale del libro. Il libro in questo senso ripercorre oltre tre decenni di impegno civile durante i quali l’autore non ha smesso di denunciare quelli che a suo avviso erano errori, malefatte (nel senso proprio di cose fatte male), occasioni mancate che nel corso degli anni hanno concorso a definire l’attuale non certo pregevole assetto architettonico ed urbano della città. Cardullo torna spesso sul tema del confronto fra la città del post terremoto e la Messina attuale, sottolineando come alla elevata qualità architettonica ed urbana della pri-

ma non corrisponda una altrettanta elevata qualità nella seconda. La prima «aveva delle regole, aveva un ordine ben definito, aveva un disegno chiaro e leggibile, aveva una grande dotazione di servizi, aveva strade per la gente, giardini e piazze dove poter stare ed incontrarsi». La Messina contemporanea è “brutta” ed invivibile perché non solo non ha saputo costruire un suo modello di spazio pubblico di relazione, non ha creato più giardini e piazze, ma sta operando per distruggere quella qualità urbana che la città post terremoto progettata dal Borzì, pur con tutti i suoi limiti, aveva. La qualità dello spazio pubblico rappresenta secondo Cardullo (e in questo non possiamo che condividerlo) il principale criterio di giudizio per valutare la qualità urbana complessiva e la vivibilità di una città; lo spazio pubblico è luogo della identità collettiva dell’incontro e dello scambio fra cittadini e, fatto non secondario, non può che essere fruito a piedi: una città senza

spazi pedonali non è una città. Cosa dire allora di una Messina che ha consegnato alle auto il suo spazio pubblico? La critica dell’autore nei confronti della città è spesso impietosa; ma è la critica che nasce da chi nutre un profondo amore per il luogo. Anni fa, ci racconta l’autore, giurai a me stesso che non sarei rimasto a Messina e che non avrei messo più piede in un’Università, ed oggi eccolo a Messina e docente universitario per giunta. La vita, come ci raccontava un film di qualche anno fa, Sliding doors, è spesso legata al caso, ad una porta che si chiude una frazione di secondo prima o dopo. Non ci è dato di sapere esattamente perché Franco Cardullo abbia fatto l’esatto contrario di quello che pensava; noi pensiamo che sia stato un grande atto di amore verso Messina, e di questo il libro ne è testimone. In ogni caso siamo contenti che abbia deciso così.

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[A R CHITE T TURA : e v e nt i ]

cronache dal territorio El eo n o r a Ca cop a rd o

ionio

17 aprile 2010 Letojanni Riapertura Palazzo della Cultura e Museo Durante

24 luglio 2010 Letojanni Inaugurazione parcheggio

2010-2011 Forza d’Agrò Set cinematografico

2-8 gennaio 2011 Savoca Savoca città della musica-winter campus masterclass internazionali

23 settembre 2011 Letojanni Consegna del premio “8 per infinito” a Benedetta Tagliabue

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È stato riaperto al pubblico dopo un attento recupero il Palazzo della Cultura e l’annesso Museo dedicato a Francesco Durante insigne scienziato e medico chirurgo della città. Erano presenti, oltre al sindaco Giovanni Mauro, autorità civili, religiose e militari.

Traguardo importante per il comune, inaugurato il parcheggio di via Fiumara: ospita 20 pullman e 120 auto.

Dopo ‘Il Padrino’ il cinema americano ritorna a Forza d’Agrò con il sequel del film d’animazione Cars della Walt Disney Pictures. La Cattedrale della SS. Annunziata e scorci del centro storico appaiono in Cars 2, modificati solo in pochi dettagli sono presenti in diverse scene del film e nelle locandine.

In seno alla manifestazione “Città degli Artisti” a Savoca (ME), si è tenuto l’evento musicale “Città della Musica” con il Winter Campus, organizzato in collaborazione con il Conservatorio di Nocera Terinese (CZ). Obiettivo primo del Campus è stato quello di portare a Savoca un’esperienza musicale con diversi tipi di manifestazioni strutturate appositamente per offrire ai partecipanti un pacchetto di risorse e conoscenze vario, completo e poliedrico. Attività fondamentali del Campus sono state: le Masterclass, i Concerti e le Conferenze.

È stato consegnato a Benedetta Tagliabue nella sala consiliare del Comune di Letojanni il premio “8 per infinito” assegnatole nell’ambito della I edizione della “Biennale del Mediterraneo sez. Architettura”. Architetto di fama internazionale, si è distinta in Italia e nel mondo come donna, architetto, imprenditrice. Presenti i sindaci di Letojanni e degli otto comuni della riviera jonica coinvolti, insieme ai presidenti dell’ordine di Messina, Pino Falzea e di Catania, Gigi Longhitano, il presidente della Fondazione dell’ordine degli architetti di catania Carlotta Reitano, gli organizzatori, fra cui Eleonora Cacopardo, e buona parte dei protagonisti dell’evento dedicato all’architettura dal tema “Donne e architettura:otto per infinito” rivolto all’elaborazione di progetti di sviluppo del territorio, con il contributo di architetti dei paesi del Mediterraneo


[cronache]

9-17 aprile 2011 Area jonica XIII Settimana della Cultura

Intensa l’attività organizzata dalla Sede comprensoriale ‘Archeoclub - area jonica’ in occasione della XIII Settimana della Cultura: Casalvecchio Siculo Presso l’Abbazia normanna dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò, a Casalvecchio Siculo, è stato avviato dall’Osservatorio ai Beni Culturali dell’Unione dei comuni delle Valli joniche dei Peloritani un progetto per la promozione della candidatura Unesco. Si è svolto il ciclo “Laureando il territorio” con visita guidata, dibattito ed inaugurazione della Mostra sula tesi di laurea “Design e comunicazione del territorio. un progetto d’identità visiva per la Valle d’Agrò”, curato da Chiara Vinci. Santa Teresa di Riva Al Palazzo della Cultura si è svolta la presentazione della tesi “Educazione sostenibile. Patrimonio culturale e paesaggistico” di Graziella Ascensione cui è seguita una tavola rotonda su “La rete museale del comprensorio jonico”. Roccalumera All’Antica filanda si è svolta la tavola rotonda su “La seta nel territorio messinese, dalla materia prima al manufatto artistico” ha visto gli interventi della dott.ssa Grazia Musolino: “Tutela e fruizione del patrimonio tessile” e la dott.ssa Stefania Lanuzza: “La produzione tessile siciliana tra XVI e XVIII” (rispettivamente: dirigente sezione per i Beni storico-artistici e iconografici e funzionario direttivo storico dell’arte della Soprintendenza dei BB.CC.AA di Messina). Inoltre, sono state presentate le tesi: “Un progetto di rete per il PIT 13: la via della seta” a cura di Agnese Sturiale e “L’allevamento del baco da seta” di Giovanni Cannata. Forza d’Agrò Una visita guidata si è svolta presso gli scavi archeologici del periodo romano siti nella frazione Scifì, a cura dalla dott.ssa Gabriella Tigano (dirigente sezione Beni archeologici della Soprintendenza dei BB.CC.AA. di Messina) e della prof.ssa Grazia Spagnolo del Dipartimento di scienze delle antichità dell’università degli studi di Messina. Santa Teresa di Riva Si è svolta la conferenza dal titolo “Piazza, isole, montagna: musiche e tradizioni orali in Sicilia”, curata da Grazia Magazzù, Cosimo Triolo, Nada Gitto e Antonio Scarpignato arricchita dalla mostra fotografica: “Aerofoni pastorali dell’Italia meridionale”. Limina Chiusura della XIII Settimana della Cultura con il “Viaggio del Gusto” ed un concerto presentato dall’Orchestra da camera dell’Orchestra Filarmonica di Palermo.

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cronache dal territorio B ar t o l o D ori a

tirreno

19 luglio 2011 Spadafora Personale di pittura “Della Terra ed altri Mondi”

31 luglio 2011 San Piero Patti Estemporanea di pittura “Immaginando il Borgo”

19 settembre 2011 Roccavaldina Lavori di completamento

22 settembre 2011 Furnari Lavori di completamento del Teatro Comunale

27 ottobre 2011 Patti Interventi di adeguamento degli impianti elettrici

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Personale di pittura “Della Terra ed altri Mondi” dell’artista Mariella Marini. La mostra, ospitata nel Castello di Spadafora, curata dalla dott.ssa Cristina Lopresti, mira a ripercorrere l’evoluzione artistica di Mariella Marini dalla prima fase della sua produzione, costituita dalle Crom-Azioni, fino alla serie della Terra-di-Mezzo, presentata nel 2010 alla Galleria Fortuna Arte di Messina.

Nell’ambito del concorso internazionale di Pittura denominato premio “ArtErosa”, l’Associazione Vento del Sud e il Museo del Fango di Messina organizzano l’estemporanea di pittura “Immaginando il Borgo”.

Affidamento a trattativa ai sensi dell’art. 31 e 34 L.R. n. 7/2002 della progettazione cantierabile dei lavori di completamento del consolidamento e sistemazione idraulica del versante a ridosso della Frazione SS. Salvatore.

Approvazione amministrativa del “Progetto esecutivo relativo ai lavori di completamento del Teatro Comunale con adeguamento dell’impianto elettrico etc.”

Interventi di adeguamento degli impianti elettrici degli Edifici Comunali e realizzazione misure antincendio nonché adeguamento sismico degli Edifici Scolastici - Stralcio Esecutivo - Scuola Elementare Cap. F. Zuccarello (Marco Polo)


[cronache]

08 novembre 2011 S. Filippo del Mela Lavori Parco dell’Immacolata

17 novembre 2011 Monforte S. Giorgio Bando di Gara

19 Novembre 2011 Barcellona P.G. (ME) Inaugurazione ex Centrale del latte

24 novembre 2011 Furnari Ristrutturazione e restauro

Terme Vigliatore Intervento di riparazione scuola elementare Vigliatore

Lavori per la sistemazione e la riqualificazione del Parco dell’Immacolata sito nella frazione di Olivarella Via Salvo D’Acquisto – Approvazione progetto – Individuazione delle somme – Assegnazione obiettivo.

Lavori di recupero e riqualificazione dei locali annessi alla Chiesa ex Conventuale Santuario Maria SS. di Crispino, da destinarsi all’assistenza di anziani, disabili ed altre categorie assistite.

Il progetto di riqualificazione (arch. Francesco Messina - Bodàr, arch. Giuseppe Grasso, ing. Domenico Crinò), ha mantenuto le strutture esistenti, e utilizzando un sobrio ed elegante linguaggio architettonico moderno, ha restituito una struttura da adibire a centro polifunzionale al servizio dell’intera città.

Ristrutturazione e restauro di un edificio da adibire a Caserma dei Vigili Urbani, Ufficio Ragioneria, Ufficio Urbanistica e Biblioteca Comunale, sito in Furnari, via Degli Uffici, denominato Palazzo Marziani.

Incarico progettazione esecutiva, direzione lavori e progettazione della sicurezza per “Intervento di riparazione scuola elementare Vigliatore”.

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cronache dal territorio L u an a B i vi a no

isole eolie

18 Agosto 2010 Filicudi Biennale d’Arte

1 settembre 2010 Lipari Parco Archeologico

1 Ottobre 2010 Lipari Realizzazione di un nuovo dissalatore alimentato da fonti rinnovabili

23 Novembre 2010 Lipari Piano Regolatore Generale

04 Febbraio 2011 Leni (Salina ) Consolidamento del frontone roccioso e grotte antistanti la spiaggia di Rinella

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Ottava edizione della Biennale d’Arte più piccola del mondo. Dal 1996 la casa atelier Basler accoglie le opere di artisti, scultori, architetti, fotografi, poeti, scrittori che attraverso le loro opere raccontano il legame profondo con l’isola. Di straordinaria suggestione la location: una tipica casa eoliana che per una notte diventa Museo prestando i suoi spazi all’Arte.

Con riferimento alla L.R. 20 del 2000 e con riforma dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana è stato istituito il Parco Archeologico delle Isole Eolie e delle aree archeologiche di Milazzo, Patti e dei comuni limitrofi con finalità di tutela dei beni archeologici, ambientali e paesaggistici. L’incarico di Direttore del Parco è stato conferito al Dott. Umberto Spigo.

Conferenza di servizi indetta dal Commissario delegato per l’emergenza Luigi Pelaggi alla Prefettura di Palermo. Valutazione sull’impianto fotovoltaico, sito in località Monte S. Angelo, che alimenterà il nuovo dissalatore, sito in località Canneto, grazie al quale si triplicherà la produzione di acqua rispetto all’esistente dissalatore. L’appalto è stato affidato alla ditta SLED SPA di Napoli.

Giunge a conclusione l’iter del Piano regolatore generale delle Isole Eolie, dopo un’audizione del sindaco da parte del CRU in data 16 Settembre, per scadenza dei termini di istuttoria. Il piano da adottato diventa vigente e sarà reso esecutivo con successivo decreto dell’Assessorato Territorio e Ambiente (29 luglio 2011).

Sono conclusi i lavori di consolidamento del frontone roccioso e delle grotte antistanti la spiaggia di Rinella, progetto redatto dall’ing. Sutera, per conto del comune di Leni. L’intervento mira a preservare un sito, pregevole e unico dal punto di vista paesaggistico e ambientale, dal rilevante rischio idrogeologico.


[cronache]

Le I so l e E o lie ,

dichiarate patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, sono un arcipelago ricco di cultura e storia dove la componente naturalistica è parte integrante del paesaggio. Gli argomenti trattati nei seguenti articoli mettono in evidenza le peculiarità del sito e la vocazione del territorio, analizzato da diversi punti di vista. Il Parco delle Eolie, centro del dibattito locale e nazionale, il punto di vista privileggiato degli artisti, la realizzazione di opere di recupero e nuova progettazione, l’archeologia, gli strumenti urbanistici, tutti elementi che contribuiscono alla trasformazione dei nostri luoghi.

13 luglio 2011 Lipari Incontri Mediterranei Giornata internazionale delle Arti “D’acqua e di storia”

16 luglio 2011 Lipari Valentia. Todo Cambia Mostra Fotografica di Architettura

30 luglio 2011 Lipari Archè Futura

8 Ottobre 2011 Lipari Immaginare l’abitare sostenibile: modelli, programmi, strategie

12 Ottobre 2011 Lipari Riqualificazione di Piazza Mazzini

Dopo quasi trent’anni di inattività, hanno riaperto al pubblico le storiche Terme di San Calogero di Lipari grazie alla convenzione stipulata tra la coop. soc. FSC Group Service ed il Comune di Lipari per la valorizzazione dello stabilimento termale. Sono state così utilizzate, per la prima volta, come sede espositiva con la mostra “D’acqua e di storia” curata da Martina Corgnati, responsabile per le arti visive della Fondazione Horcynus Orca. Un’occasione per valorizzare dei luoghi di grande interesse storico.

Mostra fotografica del photoreporter Letterio Pomara. Ottanta foto in bianco e nero che ritraggono una citta in continuo divenire. Dalle architetture contemporanee di Santiago Calatrava alle bellezze storiche, all’architettura gotico-catalana tutto convive in armonia. L’artista pone l’accento, attraverso l’immagine accattivante, sui contrasti, eccezioni, dissonanze che vivono in splendida armonia. Tutto appare come se la mutazione avvenisse secondo regole auree ben definite.

Evento patrocinato dall’Assessorato regionale al turismo, dal comune di Lipari e dall’Unione Europea con la partecipazione dell’associazione culturale ArteAlta. Artisti contemporanei di fama internazionale si interrogano sullo scorrere del tempo e sulle quelle tracce indelebili che diventano un ponte tra passato e presente permettendo la costruzione di un’identità. Molteplici forme espressive parlano attraverso un linguaggio contemporaneo in un contesto intriso di storia.

Seminario tecnico organizzato dall’Istituto Nazionale di Bioarchitettura sezione di Messina con la collaborazione del comune di Lipari, dell’associazione Dotteolie e patrocinato dall’Ordine Architetti PPC di Messina. Presentazione del progetto vincitore del concorso “L’energia solare per le isole minori italiane” a cura dei soci Inbar sez. Livorno. L’idea, sviluppata per l’isola Capraia, è quella di soddisfare completamente il fabbisogno energetico dell’isola attraverso l’uso di fonti rinnovabili.

Iniziano i lavori di di riqualificazione di Piazza Mazzini redatto dagli ingg. Rugolo, Cavallaro e De Grazia, per conto del comune di Lipari. L’intervento prevede una riorganizzazione spaziale atta a migliorare ed esaltare la fruibilità delle bellezze storico architettoniche e naturali presenti e la realizzazione di un parcheggio temporaneo a raso da trasformare successivamente in parcheggio sotterraneo.

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cronache dal territorio V i n c e n zo Ca t a ni a – G. Ad a B ar to lo

nebrodi

17 marzo 2011 Alcara li Fusi Unità e Memoria

18 marzo - 9 aprile 2011 Sant’Agata di Militello Antartide e i segreti del clima

2 aprile - 31 agosto 2011 Ficarra Ficarra. Identità urbana e architettonica. Ricerche e materiali per la valorizzazione e il restauro

Sant’Agata di Militello Insediata la consulta viabilità e trasporti

Capo d’Orlando Concorso per il polo sportivo Pissi

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dicembre 2011

Promossa dall’Associazione Arca, una mostra che ripercorre le tappe fondamentali della storia italiana post unitaria, con particolare attenzione ai fatti che condussero alla sanguinosa rivolta della cittadina nebroidea nel 1860 e che ebbero un ruolo riconosciuto nel processo di unificazione Italiana. Per conoscere storie, fatti e personaggi che hanno portato l’Italia alla ribalta nel mondo.

Promossa dal Rotary Club Distretto 2110 Sicilia Malta Sant’Agata di Militello e dal comune di Sant’Agata di Militello. Alla scoperta di un continente misterioso e ostile ma affascinante, in un viaggio estremo alla scoperta delle ricerche scientifiche più attuali e importanti per la salvaguardia del pianeta, nelle quali l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano. Nella maestosa cornice del Castello Gallego.

Promossa e realizzata dal Dipartimento di Costruzioni e Restauro dell’Università degli Studi di Firenze e dal comune di Ficarra, una mostra che mette in luce il rilievo di una piccola ma straordinaria realtà locale nella scena del restauro internazionale. Chiesa delle Logge, Palazzo Busacca, Palazzo Milio.

È stata insediata dall’assessore Scurria e sotto la guida dell’architetto Vincenzo Catania, la consulta che dovrà regolare e potenziare la viabilità della cittadina tirrenica. Lo scopo è certamente quello di assicurare, attraverso lo sforzo congiunto di tutti gli organi locali, la messa in atto di correttivi per l’attuale situazione, e di pianificare ordinatamente il futuro assetto delle vie di comunicazione.

È stato finanziato dall’Assessorato regionale ai Beni Culturali, il concorso di idee «Riqualificazione urbana per la realizzazione di un polo sportivo nella contrada Pissi». Con grande soddisfazione, l’amministrazione comunale di Capo d’Orlando, si appresta dunque a predisporre il bando, attraverso il quale poter attingere ai fondi comunitari per il miglioramento di uno dei centri sportivi più all’avanguardia dell’impiantistica sportiva siciliana.


[cronache]

Dalle vette più privilegiate di Sicilia, quelle dei Monti Nebrodi, si riesce ad ammirare un territorio mozzafiato che stupisce per bellezza e biodiversità: il mare e i boschi, rocce e verdi vallate, fiori, ulivi e alberi da frutto. Una ricchezza paesaggistica e ambientale che si rispecchia nella ordinata diversità del territorio, delle culture e dei centri abitati, diventando spunto per la ricerca di una pianificazione integrata che faccia di questa stessa diversità un elemento di eccellenza.

Sant’Agata di Militello Bando di concorso tra artisti per l’ideazione e la collocazione di opere artistiche per l’aula della nuova chiesa di San Francesco e per la sistemazione delle aree esterne di pertinenza.

Capo d’Orlando Stazione Sismica ad Amola

Sant’Agata di Militello Progetto Casa Nebrodi

2 giugno 2011 San Marco d’Alunzio Palio Medioevale

24 giugno 2011 Alcara li Fusi Convegno sul tema «Il Muzzuni»

Concorso bandito, dall’amministrazione comunale di Sant’Agata, nell’ambito dei lavori finali di realizzazione della nuova chiesa di San Francesco. Il bando è scaricabile al sito http://www.comune.santagatadimilitello.me.it

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia installerà nel territorio del

comune orlandino una stazione per estendere il servizio di sorveglianza e monitoraggio sismico e vulcanico nella nostra Regione. La struttura, che sorgerà su un’area di circa 200 mq, messa gratuitamente a disposizione dall’ amministrazione comunale, avrà anche scopi di Protezione Civile.

Il Piano Strategico dei Nebrodi in partnership con la Vitruvio s.a.s. propone il progetto Casa Nebrodi. Lo scopo è quello di rendere fruibile in patrimonio edilizio esitente, opportunamente vagliato e catalogato, al fine di immetterlo in un circuito che lo renda disponibile al pubblico, dando così slancio al settore turistico, alle economie locali e all’occupazione nel territorio nebroideo.

Rivive anche quest’anno il tradizionale Palio. Per tutta la giornata le vie del borgo saranno animate da arcieri, giocolieri, acrobati, buttafuoco e strummulari mentre mercatini medievali, operatori economici in costumi d’epoca, degustazione di prodotti tipici, antichi mestieri e giochi ormai in disuso organizzati per i bambini, creeranno un’atmosfera di altri tempi. Per concludere, danze e cortei in costume nel tardo pomeriggio.

Tradizionale appuntamento con una delle feste più antiche e misteriose d’Italia, il Muzzuni, tra origini pagane e implicazione religiose cristiane. Nella consueta data del solstizio d’estate, un convegno per far il punto su una tradizione che si rinnova ogni anno fin dall’epoca della dominazione greca dell’area nebroidea.

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cronache dal territorio Elena De Capua

messina

31 ottobre 2010 – 7 novembre 2010 Solo un Goccio... rigenera – Bottiglie d’Artista Ecolab

22 dicembre 2010 – 12 febbraio 2011 Angeli di carta Palacultura Antonello da Messina

22 dicembre 2010 – 12 febbraio 2011 Angeli senza tempo Monte di Pietà

28 dicembre 2010 – 20 febbraio 2011 Il Postimpressionismo astratto di Togo Atrio del Rettorato dell’Ateneo

12 febbraio 2011 I doppi Caravaggio: il mistero svelato dei due S. Francesco in meditazione Palacultura Antonello da Messina

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Organizzata da Linda Schipani con il contributo di Antonietta Campilongo e la presentazione del critico d’arte Gigi Giacobbe. Nasce così una mostra collettiva di arte del riciclo “Bottiglie d’artista”, bottiglie trasformate in sculture da 33 artisti provenienti da tutta Italia.

Un’esposizione bibliografica di testi dal XVI al XIX secolo, promossa dal comune di Messina in collaborazione con l’Arcidiocesi di Messina Lipari S. Lucia del Mela. Curata dalla dott.ssa Melina Prestipino ed allestita da Nunzio Laganà con le foto di Elisabetta Saija. Oltre alla Soprintendenza, vi hanno partecipato il Museo Interdisciplinare Maria Accascina, il Gabinetto di Lettura, la Biblioteca Painiana, la Biblioteca Provinciale dei Frati Minori dei Cappuccini, la Biblioteca P. M. Allegra dei Frati Minori del Convento S. Maria degli Angeli, da cui provenivano molti dei testi esposti.

Mostra inaugurata all’interno del progetto “Il Natale degli Angeli”, si tratta di 34 opere provenienti dalle diverse chiese della provincia di Messina. La mostra, che nasce dalla sinergia tra le diverse istituzioni cittadine: Provincia regionale di Messina, Assessorato, Dipartimento e Soprintendenza dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, è stata progettata dalla responsabile dell’unità operativa dei Beni storico-artistici ed iconografici della Soprintendenza di Messina Grazia Musolino con la collaborazione di Enrico Vita, per il progetto espositivo e il sostegno di Virginia Buda e Stefania Lanuzza.

La personale di Enzo Migneco (in arte Togo), organizzata dall’associazione ArteAlta nell’ambito del cartellone invernale del Circuito del Mito, insieme all’Università degli Studi di Messina.

Inaugurazione della mostra in occasione della terza edizione della Notte della cultura.


[cronache]

04 febbraio 2011 Un Ponte verso il Ponte: un modello di sviluppo per Messina Palazzo Zanca

16 marzo 2011 Fata Morgana o la Città Riflessa Circolo Pickwick

30 aprile 2011 “qui ed ora…” Teatro Vittorio Emanuele

5-7 ottobre 2011 Convegno Nazionale “Paesaggio 150. Sguardi sul paesaggio italiano tra conservazione, trasformazione e progetto in 150 anni di storia”. Facoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria 21 ottobre 2011 – 15 gennaio 2012 “Santi, medici e taumaturghi” Monte di Pietà

16 – 30 novembre 2011 Il ritorno di Don Giovanni d’Austria dalla Battaglia di Lepanto – Il ricovero dei feriti nel Grande Ospedale di Messina Teatro Vittorio Emanuele

Convegno che ha riunito tutte le realtà a vario titolo coinvolte nella realizzazione dell’opera per avere un compendio di valutazioni tecniche delle realtà di Messina e Reggio Calabria, da affidare alla Commissione consiliare del Comune che stilerà successivamente un documento da inviare al CIPE in vista della definizione della progettazione dell’attraversamento stabile dello Stretto.

Il libro,“Fata Morgana o la Città Riflessa” di Marcello Sèstito, edito dalla Rubbettino, è stato presentato oltre che dall’autore da interventi di Renato Nicolini, Massimo Lo Curzio, Mario Manganaro, Nino Marino, Gianfranco Neri e Franz Riccobono.

Mostra di Simone Caliò dal 30 aprile al 15 maggio nel foyer del Teatro Vittorio Emanuele. La personale di pittura “qui ed ora…” ripercorre i primi 15 anni di attività dell’artista, attraverso un percorso espositivo che proporrà i quadri più significativi della carriera. La mostra è realizzata con il patrocinio del Comune di Messina e della Provincia Regionale di Messina e con il contributo di enti ed altri partners privati.

L’iniziativa ha inteso favorire il confronto tra studiosi di tutte le discipline, operatori pubblici e professionisti che si occupano del progetto, tutela e restauro del paesaggio all’interno del panorama nazionale, con l’intento di fare il punto sullo stato attuale del paesaggio italiano tra storia, desideri e impegno per il prossimo futuro. Contemporaneamente è stata inaugurata la mostra omonima, formata dai contributi dei poster.

Per la ricorrenza dei 50 anni della casa di cura “Villa Salus” è stata organizzata, in collaborazione con la Provincia Regionale di Messina e con la Soprintendenza per i BB.CC.AA, la mostra intitolata “Santi, medici e taumaturghi”. L’evento, ideato da Saverio Pugliatti, permette di constatare come la devozione nei confronti dei Santi guaritori abbia attraversato i secoli dal Cinquecento all’Ottocento.

Si è svolta la mostra intitolata “Il ritorno di Don Giovanni d’Austria dalla Battaglia di Lepanto – Il ricovero dei feriti nel Grande Ospedale di Messina”, organizzata dall’Associazione Culturale “Aurora” in sinergia con l’Ente Teatro, la Biblioteca Regionale “Giacomo Longo”, la Marina Militare Italiana e l’Arsenale Militare. Nove le sezioni predisposte curate dalla dott.ssa Francesca Cannavò.

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Piano strategico Nebrodi città aperta Vincenzo Catania

L’ isola di San Giorgio Maggiore, straordinaria cornice dell’URBAN PROMO, uno degli eventi più esclusivi nell’ambito del marketing urbano e territoriale, ha visto per l’edizione 2010 il successo del “Piano Strategico Nebrodi Città Aperta - Piano Integrato di Sviluppo Territoriale”, promosso dall’amministrazione comunale di Sant’Agata di Militello e l’Ente Parco dei Nebrodi. Il progetto, premiato come miglior lavoro esposto nella sezione “Equilibrio degli interessi”, ha visto il plauso della giuria dopo aver soddisfatto con efficacia e funzionalità ciascuno dei criteri di valutazione proposti dal direttore della rivista Urbanistica, il prof. Paolo Avarello. Un successo incisivo a livello nazionale per una piccola ma dinamica realtà come quella della provincia messinese, che dimostra la profonda attenzione che le amministrazioni locali del comprensorio nebroideo rivolgono al loro territorio, in un momento in cui l’attenzione per l’ambiente, costruito e non, è di fondamentale importanza per lo sviluppo economico e sociale, nel quadro di una armonia degli interessi e della sostenibilità degli investimenti. “Equilibrio degli interessi”, appunto, che fanno del progetto nebroideo, il fiore all’occhiello della governance territoriale italiana.

Commissionato dall’Amministrazione comunale di Sant’Agata di Militello e dall’Ente Parco dei Nebrodi, e sviluppato dallo Studio FC and RR Associati di Messina e il Cresme Ricerche Spa di Roma, il Piano strategico interessa 42 comuni, dislocati tra le provincie di Messina ed Enna, e coinvolge una popolazione di oltre 164.000 persone. Il cuore del piano, come ci anticipa l’ing. Giuseppe Contiguglia, direttore dell’Ufficio di Piano, è la realizzazione di un’area nebroidea omogenea, negl’interessi, nelle linee di sviluppo, nelle politiche ambientali, sociali, fiscali, energetiche ed occupazionali, che possa pianificare coerentemente il proprio sviluppo, alla stessa stregua di una città, che per definizione è una realtà istituzionale, sociale ed economica unitaria e consolidata, identificabile per peculiarità ed organizzazione. Un territorio riconoscibile, dunque, una città aperta, non più frammentato in parti disomogene e realtà frammentate. Stesso territorio equivale a dire stesse risorse e dunque stessi obbiettivi. La scommessa principale del piano si attesta, in quest’ottica, principalmente nella possibilità di creare una forma di sviluppo condiviso e sostenibile, attraverso un monitoraggio dinamico delle realtà sociali ed ambientali, dal quale estrapolare gli obiettivi da

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inserire in un programma di attuazione preciso e funzionale, condiviso dagli enti locali e inserito nell’ambito dell’armonizzazione delle risorse economiche disponibili. Il Piano rivolge inoltre particolare attenzione all’informazione e al consenso, ad entrambi i livelli, quello sociale, della popolazione attiva coinvolta, e quello amministrativo, cioè degli enti, i quali sono chiamati a ratificare una convenzione, la Rete dei comuni Nebrodi Città Aperta, allo scopo di attivare il perseguimento comune degli obiettivi del piano. Un ruolo importante è affidato al PIST, cioè al Piano Integrato di Sviluppo Territoriale, che rientra, invece, tra i progetti in concorso all’ Urban Promo edizione 2010. Il PIST coinvolge 38 enti della provincia di Messina, comprende iniziative pubbliche e private per le quali verrà investito un capitale di € 108.417.903,00 su 82 operazioni, da attuarsi con finanziamenti pubblici (all’interno dell’Asse VI “Sviluppo Urbano Sostenibile” del PO FESR Sicilia 2007-2013) e attraverso investimenti privati sotto la forma del project financing. La pianificazione di questa esemplare forma di governance territoriale, si esplica attraverso 8 azioni fondamentali dalle quali far scaturire naturalmente le azioni successive;

tra queste azioni cardine, notevole rilievo assumono la creazione di un luogo “fisico” di governo, individuato presso l’ex Colonia di Iria, che si presterà ad accogliere gli uffici strategici del Piano, la creazione di un canale di “ospitalità diffusa”, attraverso la realizzazione di posti letto, anche nelle aree collinare e montuose, anche allo scopo di eliminare la disparità tra mare e monti, l’istituzione del Distretto Nebrodi Energia, il Deneb, mirato al rafforzamento del sistema territoriale. Esistono, poi, programmi mirati allo sviluppo delle capacità dell’ offerta turistica, intesa come strategia operativa primaria, in considerazione della diversità delle condizioni ambientali e naturalistiche dell’area nebroidea, anche nella prospettiva di un vero e proprio “lancio” sul mercato turistico internazionale del territorio nebroideo. In quest’ottica si inseriscono il potenziamento delle strutture strategiche esistenti ed in itinere, come la Fiumara d’Arte, i campi da golf internazionali, il Nebrodi camp ed il sistema portuale. Anche l’infrastruttura gestionale del piano ha contribuito al suo successo presso la manifestazione Urban Promo, essendo strutturata in funzione di coordinamento, controllo, analisi, condivisione e trasmissione delle


[CRONACHE]

informazioni. Gli elementi di tale infrastruttura sono identificati in: • •

una Cabina Tecnica di Regia, con funzioni di controllo e coordinamento; un Comitato Tecnico Scientifico, per controllare e valutare il raggiungimento degli obbiettivi e verificarne il mantenimento nel tempo. Questo comitato sarà costituito da esperti nelle tematiche riguardanti il piano; una Conferenza di Indirizzo, composta dai rappresentanti dei 42 comuni coin-

• •

volti e presieduta dal Sindaco del comune di Sant’Agata di Militello; un Ufficio di Piano, con funzioni di coordinamento, raccolta e smistamento delle informazioni; Gruppi di Lavoro, costituiti da soggetti del partenariato attivi, supportati da esperti, avente una concreta funzione propositiva; un Forum permanente strategico, allo scopo di promuovere la massima diffusione degli interventi e delle azioni previste dal piano.

in alto: i sindaci dei comuni del PIST a sinistra: i rappresentanti degli enti coinvolti nel “Piano Strategico Nebrodi Città Aperta” durante la premiazione: l’arch. Benedetto La Macchia, il dott. Carlo Giuffrè, l’ing. Giuseppe Contiguglia, il sindaco di Sant’Agata di Militello dott. Bruno Mancuso, l’ing. Franco Cavallaro e il prof. Paolo Avarello.

Alla luce di queste strategie e nella considerazione delle risorse impiegate e della qualità della sua strutturazione il Piano Strategico Nebrodi Città Aperta, si porta così alla ribalta della pianificazione urbanistica territoriale, ambientale e sociale nazionale, come esempio della capacità di mettere in gioco elementi frammentati, trasformandoli in un insieme unico ed insostituibile, allo scopo di potenziare le peculiarità di un territorio unico, dal punto di vista sociale, paesaggistico e strategico. Un piano, quindi, che mira alla sviluppo del territorio, sviluppo inteso come soluzione

alle problematiche che attualmente affliggono il territorio stesso, e che riesce a far propria una politica territoriale di importazione anglosassone, come quella del regional foresight, che ha permesso di ottenere successi attraverso l’integrazione di operatività immediata e la pianificazione di strategie a medio e lungo periodo. A San Giorgio Maggiore, a rappresentare la capacità pianificativa del comprensorio nebroideo e in qualità di enti coinvolti nella realizzazione del piano stesso sono presenti: il Sindaco del comune di Sant’Agata di Militello dott. Bruno Mancuso, l’ing. Giuseppe Contiguglia, direttore dell’Ufficio di Piano, l’arch. Benedetto La Macchia coordinatore di Processo del Piano e l’ing. Franco Cavallaro, rappresentante Ati. Una scommessa sulla quale l’Amministrazione comunale di Sant’Agata di Militello e l’Ente Parco dei Nebrodi hanno creduto dimostrando, anche con un riconoscimento come quello ottenuto all’Urban Promo, che è possibile trasformare il territorio nebroideo in una realtà, ordinata e vitale.

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[ARCHITETTURA]


Santo Eduardo Di Miceli

Alvaro Siza a Enna Come “curare” un incontro internazionale

Daria Caruso

Ab ita re il Med ite rraneo Prem io in te r nazio n ale di ar c hi t et t ura_t erz a edi zi o n e

Riqualificazione e rifunzionalizzazione del circolo canottieri “Thalatta” Concorso di idee

C onco rso fot ogra fi co L a s t anz a d el l ’i s o l a

I l prim o al m anacco d egl i a rchiteti d i M es s i na

Maurizio Rom an o

Esa mi di Stato

Archi notte

i niziat ive e c o n c ors i

attività d e ll’ordine


[A RC HITE T TURA : a t t i vi t à d e l l ’ o r d i n e ]

iniziative e concorsi ARCHINOTTE 12.02.2010 – via Romagnosi 5 Dal cortile dell’Ordine a San Tommaso il Vecchio Architettura e Musica in Strada

Archinotte

ANTEPRIMA_proiezioni VILLARD 2010 – SUGGESTIONI URBANE a cura di Rita Simone

ARCHIVIDEO. FILMATI DI ARCHITETTURA a cura di Daniela De Domenico

FIACCOLE DI ARCHITETTURA_ore 20.30 INSTANT BOOK INTERATTIVO. I PASSANTI RACCONTANO L’ARCHITETTURA a cura di Renato Arrigo

ARCHIVISTA_ore 21.30 LA NUOVA RIVISTA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI. PANNELLI IN MOSTRA a cura di Marina Arena

ARCHIFUORI. INCONTRI DI ARCHITETTURA Architettura U.F.O._ore 22.00 VINZI MELLUSO_ore 22.30 ORAZIO LA MONACA_ ore 23.00 a cura di Pino Falzea

Urbanisticarchitettura_ore 23.30 FRANCESCA MORACI ANTONIO LIGA a cura di Pino Falzea

CARTOLINE DA ALTRI SPAZI_proiezioni ITINEARI VISIONARI. PROIEZIONI URBANE a cura di LO.LA. Architetti

ARCHIFRAME_proiezioni 10 ARCHITETTI MESSINESI SI RACCONTANO a cura di Massimo De Francesco

ARCHIGIOVANI_proiezioni GIOVANI ARCHITETTI SI PRESENTANO. CINQUE MINUTI PER GLI ISCRITTI DAL 2009 a cura di Venera Leto

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Esami di Stato Incontri all’Ordine

Il primo almanacco degli architetti di Messina

Concorso fotografico La Stanza dell’Isola

Sta nascendo il primo “Almanacco degli Architetti di Messina” a cura di Renato Arrigo. Si tratta di un’iniziativa editoriale gratuita dell’Associazione Nazionale Architettura e Critica, presieduta da Luigi Prestinenza Puglisi e patrocinata dal nostro Ordine e dall’InArch Sicilia, che prevede la realizzazione di un “Almanacco degli Architetti di Messina” di colleghi che hanno realizzato o semplicemente progettato un intervento edilizio rappresentativo della loro personalità professionale. A Messina, in Italia o all’estero, non importa, purché sia un’opera, non necessariamente realizzata, di architetti messinesi o iscritti all’Albo di Messina. L’iniziativa, che ha già raccolto l’adesione entusiastica di circa 50 colleghi, divulgherà in modo paritetico uno spaccato professionale messinese con la produzione di uno specifico volume. La presentazione avverrà in una mostra che si terrà a marzo dentro il parco archeologico di Selinunte (TP) a latere di in un contesto più ampio che coinvolgerà la partecipazione di prestigiosi studi di architettura provenienti dalla Sicilia e dall’Italia alla presenza della stampa e della critica. È possibile ancora aderire all’iniziativa trasmettendo al più presto semplicemente tre immagini o disegni dell’intervento progettuale che si ritiene pubblicare con una scheda descrittiva, una breve nota biografica e la foto del progettista. Referente dell’iniziativa per l’ordine è Renato Arrigo 090693312. Per l’inoltro della documentazione: info@renatoarrigo.com

Il 5 dicembre alle ore 18 presso la sede di via da Neocastro, si è concluso il concorso fotografico organizzato dall’Ordine degli Architetti PPC di Messina, dedicato all’amico e collega Uccio Di Sarcina. Il premio è stato assegnato a Fabio Rizzo e parallelamente all’evento è stata allestita la mostra delle fotografie candidate e ispirate all’ultima opera letteraria di Uccio, La stanza dell’isola, che dà nome al concorso.

Maurizio Romano Tra le iniziative dell’ordine rivolte ai giovani iscritti nell’intento di favorire l’accesso alla professione, si è deciso di instituire alcuni servizi dedicati ai laureati in procinto di sostenere gli esami di stato. Già da diverso tempo si organizzano due corsi l’anno per la preparazione agli esami di abilitazione che hanno avuto un buon riscontro di partecipazione tra i neo laureati della provincia di Messina e di Reggio Calabria. Per questo motivo aderendo alle richieste di molti giovani colleghi, l’Ordine degli Architetti di Messina ha deciso di farsi promotore presso gli studi tecnici dell’intera provincia affinché possano inserire uno o più giovani laureati per un periodo di tirocinio (da tre a sei mesi) garantendo nel contempo che i professionisti più anziani dedichino una parte del tempo ad attività didattica verso gli stessi. Questa iniziativa contribuirà ad accrescere la preparazione ai fini del superamento degli esami di stato e, soprattutto, ad inserire i neo professionisti nel mondo del lavoro mettendoli di fronte, giornalmente, a problemi reali. Pertanto i giovani iscritti ed i neo laureati in attesa di abilitazione, sono invitati a trasmettere un curriculum vitae dal quale si possa evincere, tra l’altro, il livello di conoscenza scolastica e di utilizzo di software tecnici. Nel quadro del dibattito sulle liberalizzazioni con particolare riguardo all’accesso alle professioni, questo Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Messina si augura che tali iniziative diano una risposta concreta al problema ed un valido ed immediato aiuto alla crescita delle nuove leve professionali.

foto vincitrice del concorso

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c o n c o r s o

[A RC HITE T TURA : a t t i vi t à d e l l ’ o r d i n e ]

Riqualificazione e rifunzionalizzazione del circolo canottieri “Thalatta” Concorso di idee L’Ordine degli Architetti di Messina ed il Circolo Canottieri Thalatta di Messina indicono un Concorso di idee per la riqualificazione e rifunzionalizzazione dei locali del Circolo Canottieri “Thalatta” di Messina. Il concorso è finalizzato alla riqualificazione e rifunzionalizzazione degli immobili del Circolo Canottieri Thalatta, siti nella via Vittorio Emanuele II del Comune di Messina. Con l’intervento proposto il Circolo si prefigge di restituire funzionalità agli edifici che lo compongono, nel rispetto della loro organicità architettonica, favorendo un riuso razionale dei medesimi, nel rispetto delle vocazioni e delle caratteristiche degli stessi ed in ragione delle attività sociali perseguite dal sodalizio. Criteri per la selezione dei partecipanti I partecipanti dovranno essere in possesso dei requisiti di partecipazione precisati nel disciplinare e non dovranno trovarsi in alcuna delle cause di esclusione dalla partecipazione alla gara espressamente previste dal medesimo disciplinare. La partecipazione è riservata ad architetti che siano iscritti all’Albo degli Architetti P.P.C. della Provincia di Messina da non oltre cinque anni alla data del 31 dicembre 2011 e che non siano dipendenti di Pubbliche Amministrazioni, Società e/o Aziende private. La partecipazione, che potrà avvenire anche in forma di gruppo di lavoro. Criteri da applicare alla Valutazione dei Progetti Sono indicati nel disciplinare di concorso. Istanza di partecipazione e documentazione Le domande di partecipazione devono essere presentate, entro le ore 12,00 del giorno 12/1/2012, presso la Segreteria dell’Ordine degli Architetti, sito in Messina via, Neocastro n.4, e/o inviata, entro la medesima data ed orario, mediante posta elettronica certificata. Ai concorrenti ammessi verrà data comunicazione via e-mail. La documentazione tecnica e amministrativa relativa alla progettazione può essere ritirata presso la Segreteria dell’Ordine degli Architetti nei giorni 18, 19, 20, 23, 24, 25, 26, gennaio 2012 dalle ore 9.30 alle ore 12.30. Modalità di redazione delle proposte e termine per il ricevimento Le modalità di redazione degli elaborati pro-

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gettuali sono indicate nel disciplinare. Gli elaborati progettuali dovranno essere presentati entro il 29/2/2012, ore 12.00, presso la Segreteria dell’Ordine degli Architetti di Messina. Premi e commissione giudicatrice Al vincitore del concorso verrà corrisposto un premio di € 4.000 (euro quattromila), al secondo classificato verrà corrisposto un premio di € 2.000 (euro duemila), al terzo classificato un premio di € 1.000 (euro mille). Un ulteriore premio di € 1.000 (euro mille) verrà corrisposto dall’INARSIND – Sindacato Nazionale Ingeneri ed Architetti Liberi Professionisti – Sezione Provinciale di Messina al redattore dell’elaborato che si distinguerà per l’originalità delle soluzioni progettuali. La Commissione giudicatrice si riserva la possibilità di segnalare eventuali altri progetti distintisi per la significatività delle proposte avanzate. Alle proposte segnalate potranno, inoltre, essere assegnati riconoscimenti offerti da eventuali sponsor che aderiranno alla presente iniziativa. La Commissione giudicatrice ha la facoltà di suddividere il premio tra eventuali vincitori “ex-aequo” oltre ad indicare le proposte meritevoli di segnalazione. Il vincitore avrà diritto ad essere iscritto quale “Socio” al Circolo Canottieri Thalatta, con esonero dal versamento della quota sociale per anni due. Con il pagamento del premio, il Circolo Canottieri “Thalatta” acquista la proprietà degli elaborati concorsuali presentati. Il Circolo Canottieri Thalatta si riserva la facoltà di affidare al vincitore l’incarico di progettazione e di direzione lavori, anche congiuntamente ad altri professionisti, nonché il diritto di apportare le modifiche progettuali che si renderanno necessarie in sede esecutiva. In tal caso il Circolo formalizzerà la propria intenzione al vincitore tramite lettera raccomandata, invitandolo a formulare la propria proposta economica. L’incarico sarà affidato solo qualora il Circolo concordi ed accetti formalmente la proposta economica formulata dal vincitore. La decisione della commissione giudicatrice è vincolante per il Circolo. La nomina dei membri della Giuria e la sua costituzione avverranno dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle domande di partecipazione e la relativa composizione sarà comunicata il giorno successivo alla scadenza del suddetto termine.

N.B. chi desiderasse ricevere le planimetrie in dwg è pregato di rivolgersi in segreteria inviando una mail all’indirizzo info@archme.it, sergiozappia@tiscali.it


Casa/Studio di Elisa Valero Ramos, Spagna; Due case di Raimondo Guidacci, Orsara; Ex Centrale del Latte di Domenico Crinò, Giuseppe Grasso, Bodar_bottega d’architettura, Barcellona Pozzo di Gotto,

Abitare il Mediterraneo Premio internazionale di architettura_terza edizione Daria Caruso Il Premio “Abitare il Mediterraneo”, patrocinato dalla Consulta Regionale degli Architetti della Sicilia in collaborazione con l’UMAR (Unione Mediterranea degli Architetti) nasce dalla volontà di conferire premi e riconoscimenti ad opere architettoniche realizzate che, visti i caratteri di cui si fanno portavoce, possono collocarsi nel solco di una identità mediterranea ispirata a principi plastico – murari; la solidità delle forme e la semplicità dei volumi massivi sotto la luce, stabili e continui accomunano, infatti, tutte le architetture cosi dette mediterranee. L’architettura del Mediterraneo dunque, che pone a confronto i criteri di semplicità con quelli di più avanzata tecnologia, le radici della tradizione con questioni più sperimentali, si pone alla base dell’istituzione di questo Premio il cui scopo penso essere anche quello di favorire, attraverso il confronto su un comune tema architettonico, il dialogo tra popoli che pur facendo parte dell’area del mediterraneo appaiono essere profondamente differenti tra loro. In particolare il tema prescelto nell’edizione 2011 del Premio invita ad una riflessione sull’architettura come strumento centrale nei processi di trasformazione urbana. Tale argomento ampiamente dibattuto nell’ambito della cultura architettonica dal momento che, sia che si collochi in contesti urbani consolidati a completamento di un tessuto preesi-

stente, sia che intervenga in aree periferiche e degradate, sia che venga costruita ex novo o che si manifesti sotto forma di restauro di edifici preesistenti, l’architettura innesca modificazioni incontrovertibili sul contesto in cui si inserisce, generando anche una diversa percezione e fruizione da parte di chi abita la città, la percorre, la vive. La terza edizione del Premio ha selezionato tra i partecipanti tre progetti che affrontano, se pur in maniera profondamente differente, il tema oggetto della riflessione. Le opere prescelte sono: la Casa/Studio di Elisa Valero Ramos, in Spagna, inserita nel cuore della città, in calle Belén, che rappresenta un frammento contemporaneo posizionato a completamento del tessuto consolidato; il progetto realizzato per due case ad Orsara di Raimondo Guidacci che si colloca in uno spazio interstiziale, un lotto urbano tra edifici alti due, massimo tre elevazioni, in cui vengono inserite le due abitazioni che ricostruiscono il fronte urbano delle strade su cui prospettano, mantenendo uno spazio interno comune ad entrambe; ed infine il progetto di restauro e riconversione funzionale della ex Centrale del Latte di Barcellona Pozzo di Gotto, progettisti Domenico Crinò, Giuseppe Grasso e lo studio Bodar_bottega d’architettura, formato da Daria Caruso, Rosario Andrea Cristelli, Francesco Fragale, Francesco Messina e Giuseppe Messina che differisce

dai progetti precedentemente descritti poiché non riflette sul tema dell’abitare e quindi sulla dimensione privata quanto piuttosto sul tema dell’edificio pubblico polifunzionale; si inserisce nell’ambito di un contesto periferico in cui il tessuto urbano comincia a sfrangiarsi e soprattutto riguarda l’intervento su un edificio preesistente, da ri-significare sul piano funzionale, dell’uso e della fruizione da parte della comunità. Il progetto di ristrutturazione dell’ex Centrale del Latte, infatti, prevede il riadattamento del manufatto in centro per attività ricreative e sociali. Il riuso dell’edificio appartenente alla memoria storica della città rappresenta un importante passaggio per l’integrazione del patrimonio urbano dismesso all’interno delle dinamiche contemporanee. L’ex centrale del latte costituisce una presenza consolidata nel quartiere da oltre mezzo secolo. Assegnarle un nuovo ruolo urbano lancia un importante segno di renovatio, grazie alla ri-significazione dei valori posseduti ed alla modificazione dei nodi critici in plusvalori urbani, estetici e spaziali. L’apparato linguistico si pone in linea con i principi dell’architettura mediterranea poichè è stato depurato al fine di consentire la lettura dell’edificio per elementi primari, trasformando le irrisolutezze in momenti di astrazione figurativa.

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[A RC HITE T TURA : a t t i vi t à d e l l ’ o r d i n e ]

Alvaro Siza ad Enna

Come “curare” un incontro internazionale Santo Eduardo Di Miceli

Settembre 2009 Al Museo della Fotografia di Porto, Giovanni Chiaramonte presenta la sua mostra. La introduce con una conferenza, che inizia con una conversazione con Alvaro Siza. Decido di andare. Qualche mese prima, con alcuni collaboratori del corso di progettazione architettonica del Professore Panzarella, cercavamo un modo per organizzare delle mostre e delle conferenze sul futuro della città di Palermo. Avevamo un progetto, volevamo immaginare la città trasformata. Pensavamo a una Palermo con tutti i progetti urbani commissionati a vari architetti già realizzati nell’arco di vent’anni come accade in una qualsiasi altra città europea. Nel tentativo di fare un elenco delle occasioni mancate individuammo alcuni progetti: dal progetto di Mario Botta, a quello di Alvaro Siza, dall’ipotesi di progetto di Jean Nouvel, al progetto redatto da Dominique Perrault. A questo punto si presenta la possibilità di incontrare Alvaro Siza a Porto. Con l’architetto Luigi Pintacuda decidiamo di andare e il maestro ci riceve, illustriamo la nostra idea, ci fa delle domande, ascolta con interesse e ci assicura che potrebbe venire a Palermo nel 2010. Noi che pensavamo di trovare i disegni del progetto a Porto, scopriamo invece che sono a Palermo, allo studio del professore Roberto Collovà. Il maestro mi chiede in che rapporti sono con il professore, rispondo che non sono eccellenti, allora lui si alza dalla sedia prende un foglio a4 e disegna una colomba, me lo porge e dice: “lo porti al professore Collovà da parte mia”. Di ritorno a Palermo, con il disegno del maestro, andiamo dal professore Collovà. Parliamo del progetto ma mi rendo conto dopo un paio d’incontri che la nostra ipotesi diventa improbabile da realizzare. Non mi arrendo, chiedo al professore Panzarella, se la facoltà di architettura, può contribuire a realizzare l’evento. Scopro che la facoltà non può per mancanza di fondi. Lo stesso scenario accade con il presidente dell’ordine degli architetti di Palermo. A questo punto il progetto sfuma. Giugno 2010. Ottengo un incarico per andare a fotografare delle opere di architettura a Braga in Portogallo. Prima di partire prendo appuntamento con il professore Oddo, presidente del corso di laurea in architettura dell’università Kore di Enna. Il professore manifesta il suo interesse perché io faccia un corso di fotografia. Per me va bene, ne approfitto per chiedere se si possono trovare dei fondi per fare una mostra e portare il maestro portoghese in Sicilia. Settembre 2010. Parto per il Portogallo vado a Braga. Incontro Siza a Porto per la seconda volta il 6 ottobre. Mi accompagna Antonio Jorge Fontes. Gli chiedo se possiamo pensare di organizzare una cosa nuova e variare il nostro vecchio progetto. Questa volta l’iniziativa si dovrebbe fare a Enna e non a Palermo. Così fissiamo delle date possibili per aprile 2011, e mi mette in comunicazione con Carlos Castanheira che si occupa dell’organizzazione delle mostre per lo studio. Torno a Braga. Fisso un appuntamento allo studio Castanheira e vado a Vila Nova de Gaia. Mi presento e discutiamo dei dettagli. Gli chiedo se può prepararmi un preventivo spese per l’ipotesi di una mostra antologica del maestro, e fissiamo una data per un nuovo incontro in Portogallo. Novembre 2010. Il 10 parto con il professore Oddo e il suo assistente. L’indomani il maestro ci riceve con una delegazione composita: io, il professore Oddo e il suo assistente, i professori Antao e Fontes. Il maestro ci stupisce, apre lui stesso la porta e ci invita ad accomodarci. Gli presento il professore Oddo e discutiamo delle scadenze per il suo arrivo in Sicilia. Oddo gli chiede se può avere un disegno sulla sua moleskine. Alvaro Siza disegna un cavallo senza staccare mai la penna dal foglio. Oddo torna in Sicilia, mentre io resto in Portogallo e vado di nuovo allo studio Castanheira per prendere il preventivo. Rientro in Sicilia, dovrei recarmi a febbraio nuovamente in Portogallo per completare il lavoro per i Fontes, e incontrarmi di nuovo con Carlos Castanheira. Gennaio 2011 Ricevo una mail dallo studio Castanheira, in cui mi chiedono la conferma per le date di aprile 2011, e il disegno dello spazio dove si terrà la mostra. Noi, ancora, pur essendo già a gennaio non abbiamo idea del dove si allestirà la mostra. Intanto, a Enna, incontro l’architetto Andrea Caporali dello studio Omphalos che mi propone di organizzare una mia mostra di fotografie a Palazzo Militello. L’idea mi piace, il posto è bello e penso che potrebbe essere la giusta sede per la mostra del maestro Siza. Fisso, rapidamente un appuntamento con Oddo, discutiamo dei dettagli dell’organizzazione. Sembra che tutto stia andando per il verso giusto. Invece, a febbraio non vado in Portogallo. A marzo, il corso di fotografia che si doveva fare alla facoltà di Enna salta, nel frattempo ricevo una mail dallo studio Castanheira che ingenuamente “inoltro” al professore Oddo. Il quale prende il contatto, dello studio Castanheira, risponde e scrivendo “che io leggo in copia” stabilisce che da quel momento in poi il responsabile dell’iniziativa è lui, senza che io sia stato informato. La mostra per le date di aprile salta e da quel momento in poi vengo sostituito completamente nell’organizzazione dell’evento dal professore Oddo. Luglio 2011 Alvaro Siza arriva a Enna. Qualche giorno prima mi viene conferito l’incarico delle riprese fotografiche dell’evento come premio per il mio precedente impegno. Riesco in un momento di pausa, prima dell’inaugurazione della mostra, a fare una video-intervista al maestro, che terminerò al suo studio a Porto. Penso, che l’università non possa organizzare degli eventi culturali di così alto livello a partire da occasioni fornite da incarichi privati. L’università non può ottenere il massimo rendimento usando la passione e la buona volontà di singoli individui che appaiono sconosciuti all’università stessa, ed è vergognoso che in Italia lo sfruttamento delle università verso i suoi collaboratori esterni sia approdato a questo livello di confusione dei ruoli istituzionali. Come scrive Spinosa non si può confondere la “potenza” con il “potere”: “(…) La potenza è la capacità di fare una cosa, anche se le circostanze non favoriscono il realizzarsi della stessa. Gli uomini necessariamente sono soggetti alle passioni: essi sono più portati alla vendetta che alla misericordia. Inoltre ciascuno pretende che tutti vivano a modo suo, in tal modo accade che, poiché tutti parimenti desiderano essere primi, entrano in conflitto e fanno tutto quanto è possibile loro per opprimersi a vicenda; e quello che risulta vincitore si gloria di più per il danno arrecato all’altro che per il vantaggio conquistato per sé. Laddove gli uomini hanno diritti comuni è certo che ognuno di loro ha tanto meno diritto quanto gli altri insieme sono più potenti di lui. Questo diritto, che è definito dalla potenza della moltitudine, suole essere chiamato potere. E lo detiene colui che per consenso comune ha il governo dello stato.” Dicembre 2011. Vado in Portogallo per completare il lavoro a Braga. Passerò dal maestro per arricchire e concludere la video-intervista che abbiamo iniziato a Enna. La mia avventura continua…

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Alvaro Siza ci incontra nel suo studio nel 2009 e nel 2010. Enna, luglio 2011, lectio magistralis, tavola rotonda all’università Kore di Enna. Inaugurazione della mostra a Palazzo Militello. Siza a Enna, a cura di Maurizio Oddo. Allestimento della mostra, Studio Omphalos, Fotografie, Santo Eduardo Di Miceli con Massimo Torcivia

dedica e schizzo di Alvaro Siza Vieira agli Architetti PPC dell’odine di Messina, rilasciata in occasione dell’inaugurazione della mostra ad Enna architettura tra urbanistica e archistar

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[...E DINTORNI]


Simone Caliò

Doppio sguardo. Quant’è bella questa bruttezza

pittura e città

Daniele Pas s ar o

Dal nido di Icaro

Il visionario

Francesco Par is i

Eugéne At get. Qu ando fot ogra fa re ed ifici non fa cev a tendenz a

fotografia

Marco Car r occio

Q ua lche “Dolce Ind ulgenza ” ri pa ra l a v irtù ind ig nata

Giuseppe Min is ter i

La stazione del Mazzoni a Messina

cinema, città & dintorni


[... E DINTORNI]

cin e ma, ci t t à & din t o r n i Giuseppe Ministeri

La stazione del Mazzoni a Messina Tra architettura e cinema nessuno potrà negare che i rapporti sono stati intensi e continui, probabilmente fin dai primi albori che hanno visto affermarsi la nuova tecnica di riproduzione delle immagini in movimento. Il grande scalpore che suscitò all’inizio certamente non poteva far prevedere sviluppi talmente straordinari, da collocare l’arte cinematografica al ruolo di decima musa. Certamente più delle altre nove la musa cinematografica si avvale di una forte ispirazione che attinge dall’ambiente architettonico. È questa la ragione per la quale si è sviluppata una notevole produzione critica su questo argomento e non sono pochi gli studi che hanno per oggetto grandi maestri della cinematografia sotto lo specifico profilo del loro rapporto con il contesto architettonico in cui si sviluppano le trame filmiche. Avrò occasione di parlare nel corso dei prossimi interventi ma in questo primo incontro con i lettori preferisco rivolgere la mia attenzione ad un episodio vicino a noi e che in qualche modo ha anche interessato le cronache cittadine. Essendone stato in qualche modo coinvolto posso anche renderne una testimonianza più diretta dalla quale emerge l’interesse particolare che la produzione di una fiction televisiva attribuisce agli spazi urbani da utilizzare. Non sarà un caso che la Scicli di Montalbano e la Gubbio di Don Matteo siano diventati luoghi che costituiscono meta di flussi turistici, avendo acquisito una loro autonoma rilevanza che va aldilà della popolarità degli stessi protagonisti delle fiction. Non so se ciò potrà

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verificarsi, ma sicuramente su scala assai più ridotta, in conseguenza del film per la tv che nell’Agosto 2010 è stato girato tra l’altro anche a Messina, utilizzando come una sorta di suggestivo fondale le stazioni marittima e centrale della nostra città. La scelta non è stata ovviamente casuale e avrà certamente tenuto conto della straordinaria qualità dell’architettura di Angiolo Mazzoni. Servirà questo episodio a risvegliare l’attenzione dei nostri concittadini nei confronti di un organismo architettonico di notevolissime proporzioni e che rappresenta uno dei maggiori esempi dello stile razionalista del nostro Novecento? Se sarà così bisognerà ringraziare un attore assai amato quale è Raoul Bova, oltreché l’intera equipe che è stata interessata alla produzione del film. Avendo seguito il prima, il durante e il dopo delle riprese cinematografiche mi ha fatto particolare piacere che le scelte registiche abbiano dato risalto a squarci dell’edificio mazzoniano che sembrano relegati alla più generale indifferenza. Mi riferisco in particolare al forte segno rappresentato dalla scalinata che costituisce quasi un elemento di cerniera tra le due stazioni. Sarà interessante verificare l’effetto che l’architettura ha prodotto in questo specifico frammento della vicenda narrata, anche se sin da ora possiamo prevedere che il contesto urbano non rappresenta mai (o quasi) un fattore di neutralità e che anzi acquista una valenza figurativa di importanza primaria nella complessiva valutazione di un prodotto cinematografico.


Qualche “Dolce Indulgenza” ripara la virtù indignata Marco Carroccio Di solito la notte la passo a dormire accanto a me che sto sveglio, perché intorno tutti mi disturbano ballando e facendo rumore. È soprattutto Fellini, travolgente geniale immaginifico, che, tra gli altri, danza, danza e fa rumore. Pasolini lo sapeva, Wells lo ripeteva convincente ne “La ricotta”.

Adamo ed Eva furono puniti per aver visto quello che non avrebbero dovuto. Il loro peccato? aver aperto gli occhi innanzi a uno specchio: ciò che ne fu riflesso suscitò turbamento, seduzione. Il male, rivoltante, disgustoso, immondo. La scoperta della nudità aprì il ciclo infernale della persecuzione puritana. Morale: vedere troppo è troppo! Il sapere è un monopolio. “Il dizionario della censura nel cinema” (Mimesis Cinema), di Jean-Luc Douin, come semplice lettura o strumento di consultazione, ridisegna l’evoluzione della censura, attraverso l’esperienza di attori, cineasti, film e nazioni, mostrando molteplici aspetti di un fenomeno che taglia, sequestra, brucia, tiranneggia e uccide il sapere. “Alcune pagine fanno sorridere, altre fanno venire i brividi” (L’ Express). Il primo testo censurato, sotto l’Ancien Régime, fu la Bibbia. Il clero voleva esserne l’unico interprete. La censura regna anche nel XX secolo, insidiosa al punto che Phillippe Sollers la rinomina “Nuova inquisizione analfabeta dei disinformati incolti”. Cineasti, scrittori, artisti combattono, come sempre, la morale puritana e attaccabrighe dei “padri” del pudore, “dei” detentori di sapienza. La censura odierna è qualcosa di molto sofisticato, di abilmente mascherato, aggira gli ostacoli fingendosi “democrazia culturale”. Nel cinema come nell’editoria riconosciamo che, tra le poche regole, ce n’è una ferrea: la legge del mercato (democratico!). “Bisogna

che si venda”. Praticamente, bisogna fare in modo che i prodotti, entrino sul mercato equivalendosi. Far graduatorie, per così dire, sarebbe una limitazione al diritto di libera e indipendente scelta del lettore. I pettegolezzi di una domestica valgono quanto “L’inferno” di Dante. Democratico. Saranno gusti guasti del pubblico comune e la pubblicità a orientare il mercato verso accomodanti, vuote, visioni e letture. Buon intrattenimento a tutti! Non è un caso se George Altman, giornalista francese, morto nel ’60 a Parigi, dichiarava: “Aprendosi la strada, il Cinema non deve soltanto affrontare i suoi nemici quotidiani, il commercio, la mediocrità, ma anche l’ostacolo, ora subdolo, ora brutale, di una censura attuale e coinvolgente. Essa lascia passare ogni giorno le peggiori insulsaggini, bassamente pornografiche e castra i film ove si mostrano passioni reali sotto la luce più vera”. Tra i titoli rintracciabili nel “Dizionario della Censura”, non sorprende vi sia anche “La Dolce Vita”. In occasione dei 50 anni dalla sua realizzazione, quando il mondo intero celebra l’opera e il suo creatore, ne tracciamo le vicissitudini, le alterne vicende . “Osceno! Indecente! Immorale!”. Una condanna unanime accolse la prima de “La Dolce Vita”. Un David di Donatello, una Palma d’oro a Cannes, un Oscar e tre Nastri d’Argento, ma al Cinema Capitol di Milano, il 5 febbraio 1960, l’Italia si trovò davanti un ritratto spietato, un affresco della società decadente degli anni 50. Federico Fellini e Marcello Mastroianni si presero parecchi fischi e insulti, e sputi anche, rischiando seriamente il linciaggio. Oggi il film è considerato un capolavoro, eppure, alla sua uscita, fu etichettato come “blasfemo” dal Vaticano, “un pasticcio” dalla critica, “un insulto” dalla società bene. Eppoi! si disse perfino che il film fosse orribile e che delle sequenze scelte per il montaggio finale, molte non fossero che “pellicola scarabocchiata”, tutto

o quasi, insomma, da buttare. Oggi in tanti si professano figli di Fellini: loffi divi, rifatte starlette, giornalisti mezzi paparazzi tossici come iprite, artisti all’occasione disinteressati alla politica, politici convertiti sulla via Appia al sacro fuoco della settima arte. Fellini intellettuale raffinato d’animo e di mente, da buon seminatore di scompiglio, aveva fatto un film che gli piaceva molto, sbugiardando il sogno della realtà, lui, “massimo sognatore di sogni”, non rendendo un gran servizio a sé stesso, direbbero i cattolici, che fino a quel momento l’avevano avuto molto in simpatia e addirittura sostenuto. La nobiltà pontificia e l’Osservatore Romano, ribattezzarono il film “La schifosa vita”. La Chiesa proibì ai cattolici italiani la visione della pellicola, anzi chiese che questa venisse bruciata e che a Fellini, accusato di aver fatto di Roma, capitale della cristianità, la città simbolo della perdizione, fosse ritirato addirittura il passaporto. Fellini, da bambino che si deve, “rompe oggetti, sventra bambole, tortura qualche animale. Ha orologi squarciati sulla coscienza, mosche martoriate, qualche vaso fracassato”. Ma vuoi mettere il gusto di raccontare il via vai di gente che sfila lungo via Veneto!: l’odor di cedrina, le tribù erranti in un mondo vastissimo, tutto da scoprire, che passano dai deserti al contatto con civiltà molto evolute, idolatre, dedite a strani riti in onore di stranissimi dei, angeli in continuo viaggio tra cielo e terra, tra gli uomini e il Sommo… Ci sono film “prima della Dolce Vita” e “dopo la Dolce Vita”. Fellini ha rotto con audacia tutte le regole della narrazione. Negli anni 50 e 60 ci sono stati prodotti epici, come “Ben Hur” e “Spartacus”, ma nessuno aveva mai espresso la maturità e l’intensità morale de “La Dolce Vita”. In fondo, i censori vanno e vengono. L’arte resta. L’arte che rifiuta di essere obbligata, obbligata a fare o a non fare, a volere o a non volere, a lasciarsi convincere, a farsi torturare, a farsi fregare.

foto di Maria Clara Spartà

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[... E DINTORNI]

f o t o g r a f i a Francesco Parisi

Eugéne Atget. Quando fotografare edifici non faceva tendenza Spesso la storia della fotografia ha il pregio di riscoprire circostanze, fatti e persone la cui memoria sarebbe stata altrimenti affidata all’interpretazione storica dei fenomeni “maggiori” dell’arte. Non è una novità, del resto. Giocattolo ibrido al confine tra scienza e arte, macchinario in grado di produrre oggetti percettivamente simili alle opere d’arte, la fotografia era considerata dagli artisti tuttalpiù come un valido supporto tecnico e dai pittori in cerca di nuove forme di creazione come un dispositivo indipendente, ma tristemente ottuso rispetto alla più vivace pittura. Diciamoci la verità, la questione era mal posta e probabilmente il male della fotografia lo causarono coloro i quali provarono a usarla come se dovesse, a tutti i costi, legittimarsi agli occhi della pittura: soggetti allegorici e allestimenti di scena costituivano di fatto l’unico modo di “fare fotografia” che potesse in qualche misura assurgere al rango di arte. Ad ogni modo, non è questa la sede per affrontare questo problema, però questa breve introduzione ci serve per introdurre la figura di un grande fotografo di fine Ottocento che scelse, per istintiva vocazione intellettuale e contro ogni corrente contemporanea, di restare fuori dai circuiti ufficiali dell’arte per fare delle fotografie che proponessero un altro stile estetico, tutto integralmente basato sulla pura oggettività referenziale del

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soggetto. Stiamo parlando di Eugéne Atget. Le sue biografie ci raccontano che era una persona umile e la sua adesione a (anzi, la sua creazione di) uno stile fotografico basato sull’autenticità del soggetto raffigurato, non proveniva da un atteggiamento aspro o controculturale, ma semplicemente da una costatazione ontologica elementare: il dispositivo fotografico serve a documentare la realtà. Nient’altro. Illuminante a tal proposito ciò che disse a Man Ray quando fu invitato a pubblicare alcune delle sue fotografie sulla rivista Révolution surrèaliste: “Non menzionate il mio nome. Questi sono dei semplici documenti che ho fatto.” Dalla semplice intuizione che la fotografia mostra ciò che “è stato”, per usare i termini di Roland Barthes, derivano una serie di conseguenze psicologiche sul tipo di rapporto che ingaggiamo generalmente con le immagini fotografiche, ossia che, prima di ogni altra considerazione prettamente estetologica, le immagini fotografiche garantiscono un accesso privilegiato a oggetti di memoria; nel fruirle ci aspettiamo che documentino realtà esistite da qualche parte, in qualche luogo. E qui veniamo al punto che più ci interessa da vicino. Intorno al 1890, agli inizi della sua carriera di fotografo, Atget, da completo autodidatta, approda alla fotografia con lo scopo esclusivo di produrre immagini utili per gli

artisti: paesaggi, fiori, alberi e oggetti vari. Nella serie intitolata Le vieux Paris, prodotta tra 1898 e il 1900, Atget consegna alla storia la più completa e raffinata raccolta fotografica degli edifici architettonici della capitale francese. Non li fotografa con l’occhio dell’artista, non cerca di arrangiarne la messa in scena in modo tale da farli apparire meglio o peggio di quello che sono. La sua unica preoccupazione, che si riflette perfettamente sulla tecnica che usa per fotografare, è testimoniare la presenza di un edificio, sottrarlo al tempo con il puro scopo di conservarne la memoria. Osservando le innumerevoli fotografie non si apprezza soltanto la qualità e l’ampiezza del corpus fotografico – moltissimi scatti di tutti e 20 gli Arrondissements della capitale francese – ma anche la cifra stilistica di Atget, il quale utilizzava una camera 18 x 24 con una focale molto corta e preferiva lavorare alle prime ore del mattino quando le strade erano deserte, in modo da conferire assoluta presenza all’oggetto architettonico. Gli edifici mostrati da Atget parlano di loro stessi come oggetti. Non sono mostrati allo scopo di individuarne lo stile architettonico, sono intenzionalmente trattati come entità da conservare, nella loro più pura oggettualità statica. La vera considerazione paradossale che la storia della fotografia fa emergere su questo


straordinario personaggio è il fatto che – proprio attraverso la sua pacata e silenziosa attitudine a scartare soggetti fotografici “artistici” o ritenuti tali dagli agenti sociali suoi contemporanei – Atget segna un solco evidente tra la fotografia artistica ottocentesca e la fotografia moderna. È nel suo radicale rifiuto verso l’estetizzazione dell’immagine, che si trovano i semi di quella fotografia novecentesca che unirà immagine e immaginario. Il suo sguardo diretto e franco ha tracciato la linea per un nuovo atteggiamento del fotografico e le sue fotografie di architettura, prima ancora della grande parentesi artistico-culturale del Bauhaus, che segnerà un punto di svolta soprattutto estetico e procedurale sul come trattare il triangolo espressivo architettura-luce-fotografia, costituiscono probabilmente il primo vero tentativo di trattazione sistematica dello spazio, attraverso l’uso di un dispositivo autonomo ed esteticamente autosufficiente.

riferimenti bibliografici L. Beaumont-Maillet, Atget, Gingko Press Gmbh, Paris, 2007 R. Valtorta, Il pensiero dei fotografi, Mondadori, Milano, 2008

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[... E DINTORNI]

il vi si onari o Daniele Passaro

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dal nido di icaro

foto di Daniele Passaro

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[... E DINTORNI]

pittura e città Simone Caliò

Doppio sguardo QUANT’È BELLA QUESTA BRUTTEZZA VIVIAMO IN UN PAESE CHE DI CERTO NON INCENTIVA L’ARTE E IL BELLO. NEL MAGNIFICO FILM CHE PENSO MOLTI CONOSCIATE “I CENTO PASSI”, E CHE NARRA LA BREVE VITA DI PEPPINO IMPASTATO, C’È UN DIALOGO CHE CREDO DI GRANDE ATTUALITÀ: “…IN FONDO, TUTTE LE COSE, ANCHE LE PEGGIORI, UNA VOLTA FATTE, POI SI TROVANO UNA RAGIONE, UNA LOGICA SOLO PER IL FATTO DI ESISTERE: FANNO ‘STE CASE SCHIFOSE CON LE FINESTRE IN ALLUMINIO, I MURI DI MATTONI VIVI… LA GENTE CI VA AD ABITARE E CI METTE LE TENDINE, I GERANI, LA TELEVISONE, DOPO UN PO’ TUTTO FA PARTE DEL PAESAGGIO, C’È, ESISTE, NESSUNO SI RICORDA PIÙ COM’ ERA PRIMA, NON CI VUOLE NIENTE A DISTRUGGERE LA BELLEZZA. BISOGNEREBBE RICORDARE ALLA GENTE CHE COS’È LA BELLEZZA AIUTARLA A RICONOSCERLA A DIFENDERLA. È IMPORTANTE LA BELLEZZA, DA QUELLO DISCENDE TUTTO IL RESTO.” ECCO, IN UN PAESE CHE ORMAI NON INVESTE PIÙ IN CULTURA E IN BELLEZZA DA DECENNI E CHE ANZI STA DISTRUGGENDO CIÒ CHE PER MILLENNI C’È STATO TRAMANDATO, NELLA NOSTRA CARA ITALIA CHE NEI SECOLI PASSATI E’ STATA IL CENTRO DELL’ARTE NEL MONDO, OGGI SI INVESTE SOLO IN BRUTTEZZA: LA BRUTTEZZA PAGA, CI FA SENTIRE PIÙ SICURI NELLE NOSTRE POLTRONE, CHIUSI DAVANTI AL FANTASTICO TELEVISORE DI OTTAVA GENERAZIONE PENSANDO CHE TANTO FUORI È TUTTO BRUTTO.

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LA BRUTTEZZA FA SÌ CHE : “AMMIA CHI MINNI FUTTI SE TOLGO LE PERSIANE IN LEGNO E METTO IL BELLISSIMO ALLUMINIO ANODIZZATO, TANTO ‘STA CASA LA DEVO AFFITTARE” LA BRUTTEZZA FA SÌ CHE: “MA TUTTI STI ALBERI!... SI VABBÈ IL GIARDINIERE CHI LO PAGA, CEMENTIFICHIAMO O METTIAMO UNA BELLA POMPA DI BENZINA”. LA BRUTTEZZA FA SÌ CHE: “MA PERCHÈ DOBBIAMO COMPRARE LE PIANTE CHE POI APPASSISCONO… METTIAMO UN BEL CINQUE METRI DI FOGLIE FINTE NEI BALCONI TANTO CHI SE NE ACCORGE?” LA BRUTTEZZA FA SÌ CHE: “MA CHE SCHIFO ‘STO PROGETTO DI CASE… SÌ MA CON PIÙ APPARTAMENTI GUADAGNAMO DI PIÙ…” LA BRUTTEZZA FA SÌ: “E CHI SE NE FREGA TANTO MESSINA È GIÀ BRUTTA, UNA SOPRAELEVAZIONE IN PIÙ CHE CAMBIA?” LA BRUTTEZZA FA SÌ CHE: “POI QUANDO HAI LE FERIE MICA STAI A MESSINA, RICORDATI CHE SE NON LO FIRMI TU IL PROGETTO LO FIRMERÀ QUALCUN ALTRO”. ED IL BRUTTO DILAGA E CHIAMA ALTRO “BRUTTO”. E INTANTO IL MINISTERO DELL’ISTRUZIONE TAGLIA LE ORE DI STORIA DELL’ARTE NELLA SCUOLA, COME SE NON FOSSERO GIÀ POCHE. ED ECCO COSÌ CHE OGNI GIORNO CHE PASSA LA NOSTRA CITTÀ MUORE NELL’INDIFFERENZA DI CHI È ABITUATO AL BRUTTO E ALL’INCURIA, IMMOBILE NEL PENSIERO CHE TANTO IN QUESTA TERRA NON CAMBIERÀ MAI NIENTE, MA TUTTO POTRÀ SOLO PEGGIORARE, E RASSICURATO POI, NELLE SUE STANZE CALDE, DAI CARI BRUTTI MINISTRI IN TV CHE AFFERMANO: CON LA CULTURA NON SI MANGIA . CARO E GRANDE PEPPINO IMPASTATO: DALLA BRUTTEZZA, NON DALLA BELLEZZA, ORMAI DISCENDE TUTTO. MA CHIUDO GLI OCCHI E VOLO FINO A BILBAO E PENSO QUANTA BELLEZZA HA CREATO FRANK O. GEHRY .


Simone Caliò, Vicino alle case, olio su tela, 2004

foto della mostra realizzate da Ninni Guarnera architettura tra urbanistica e archistar

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copertina d’artista S i m o n e C aliò U n o , n es s u n o , c en to mila

di Lucio Barbera*

Tratto da: “Penultima mostra”, in Lucio Barbera, Simone Caliò. Qui ed ora... Teatro Vittorio Emanuele Messina, 30 aprile-15 maggio 2011

Veniamo subito al punto. La caratteristica di Simone Caliò che, (…) può essere un pregio o un difetto, è data dalla sua apolidia, dalla sua inconoscibilità, e da un deliberato rifiuto della identità. Per chi è un difetto? Per i soliti storici dell’arte che con la mente negli scaffali tentano di inseguire il presente. Ma perché non si occupano solo di storia dell’arte? Per questi la pittura di Simone Caliò, proprio perché sfugge alle consolanti e rassicuranti categorie, è l’esempio più negativo del peggiore eclettismo, termine alla fin fine elegante per indicare e sparargli a vista la totale mancanza di un’idea portante.(…) Sullo striscione ci sarà scritto Simone Caliò. Ma quale Simone Caliò? Uno, nessuno, centomila avrebbe detto qualcuno. Caliò che conosco da quando ragazzino aveva uno studio bohemienne in via Cicala, sembra proprio giocare a spiazzare. All’inizio furono quadri dove su un fondo magmatico dai colori intensi di cadenze fauve, l’artista ragazzino scriveva frasi di canzoni famose o brevi testi poetici, appuntandoli sul dipinto come si fa con remember gialli sul frigorifero. Comincia allora il suo viaggio erratico che poi ha conosciuto la chiave ironica e neopop delle Vespe e Cinquecento gialle romanticamente in riva al mare; la lunga e acuminata serie di disegni dedicati all’infanzia; i quadri chiaramente figurativi, dove pure un cortile per via di un andamento geometrizzante diventa uno spaccato d’interno; la prorompente gestualità in cui non è la mano a stendere il colore ma il colore, in grande tensione, ad inseguirne un altro; gli esperimenti sulle mappe e carte geografiche che ricordano alcune storiche esperienze di Alighiero Boetti; o certi piccoli quadri nei quali Caliò riesce a dipingere l’esultante vitalità di una singola pennellata. Chi è Simone Caliò? Hanno ragione a dire che è un eclettico per non dire altro. Ma fuori dalle categorie dove l’aria della vita circola più liberamente, da tutto questo si ricava il preciso identikit di un giovane che manifestando un già maturo possesso di diversi strumenti linguistici (ci sono anche aspetti scenografici, e mi sorprende di non aver trovato prove video) si è vocato totalmente all’espressione artistica. C’è la precisa mappa di chi sa esattamente cosa vuole. Al di là di una pur trasparente vena ironica che gioca a spiazzare e a trarre in inganno, c’è la riaffermazione della totale libertà. E cosa c’è di più libero dell’espressione artistica? Ecco perché, nonostante le apparenze, quella di Caliò è con tutte le incertezze della gioventù, con tutti i possibili affinamenti da conseguire, ma anche con la fierezza che connota la sua opera, la prova di cosa può essere oggi fare aderire l’arte alla vita. Una vita sempre più smarrita, precaria, messa in crisi da nuove incertezze che hanno cancellato vecchie sicurezze. Una vita ancora che, essa sì, è priva di identità. Di questa vita così sconciata, Caliò si fa interprete. Diceva Picasso: “Il dramma non è copiare gli altri, ma sé stessi”, un pericolo che Caliò non corre. Se dovessi scommettere direi che i categorici cadono nella rete, abboccano all’amo dell’artista fino al punto di smarrire anche la vista (…). *IN RICORDO DI LUCIO di Sergio Zappia Ho incontrato l’ultima volta Lucio Barbera al Circolo della Borsa di Messina, dopo poco tempo, entrambi annoiati per il vernissage poco interessante, ci siamo appartati in un salottino, e dandoci, come sempre, rigorosamente del lei, abbiamo incominciato a discutere sulla personalità e le opere di un giovane pittore Messinese, “figlioccio” di entrambi. A poco a poco portai il discorso su altri argomenti, mi piaceva chiacchierare con lui, parlavo con un uomo di cultura, che quella sera mi offri la saggezza e l’umanità di chi sa già di avere un appuntamento ineluttabile. Arrivederci Professore, Messina ha perso un suo grande figlio. Ciao Lucio

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foto di Ninni Guarnera

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acquerello della serie:

“I funambolari” di Simone Caliò




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