Varie ed Eventuali

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Ai miei nipoti Gemma e Pietro


Cornelio Prezioso Varie ed eventuali Campobasso, AxA - Palladino Company 13 - 30 gennaio 2012

Si ringraziano


cornelio prezioso

varie ed eventuali


Testi Daniele Ferrara Simonetta Tassinari Referenze fotografiche Vito Epifani, pp. Mauro Presutti, pp.

Progetto grafico e impaginazione Palladino Company Stampa Tipolitografia Fotolampo srl Via Colle delle Api, 170 – Campobasso dicembre 2011 1041-11

© 2012 Palladino Editore Via Colle delle Api, 170 86100 Campobasso Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione in qualsiasi forma, senza l’autorizzazione dell’Editore.

ISBN 978-88-8460-259-6


Prezioso, vario ed eventuale

Varie, eventuali e ... impreviste

cenni biografici


Daniele Ferrara


Cornelio Prezioso ha scelto il titolo “Varie ed eventuali” per questa mostra delle sue opere, che intende appunto abbracciare i diversi temi che hanno ispirato la sua lunga attività artistica. Una diversità di soggetti che si muove all’interno di due costanti. Una è la fedeltà alla classicità del mestiere: Prezioso non ha mai abbandonato pennello, tavolozza, tela e cavalletto e sembra rivendicarne la dignità e la nobile tradizione nel suo triplo autoritratto “italiano”. L’altra è il riferimento costante alla realtà, entro cui predilige in modo particolare l’ambiente della strada – gli interni sono rarissimi. Vengono intercettati un attore girovago, un motociclista, una stazione di servizio... La sua visione è fatta di spazi ampi; di lunghe linee orizzontali che guidano la composizione. Gli oggetti, i luoghi, le figure sono pienamente riconoscibili e famigliari. Essi però sono come straniati perché emergono da uno spazio indefinito e misterioso. Rappresentazioni e ambientazioni che sembrano porsi fra Metafisica, Hopper e la Pop Art. È una realtà inquietante quella in cui Prezioso si rispecchia, propo-

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nendosi/ci tuttavia di trasfigurarla attraverso il colore: la forza e la vivacità delle cromie, le pennellate dal valore costruttivo dell’immagine, che non scivola ma si impone allo sguardo, rinviano alla tradizione macchiaiola, alla pittura di Cezanne e a quella degli Espressionisti. Allievo di Ugo Attardi, che nel secondo dopoguerra passò dall’astrattismo alla riscoperta dell’espressionismo, Prezioso ha ereditato la tendenza all’impegno della pittura: varia, appunto, è la realtà, fatta di elementi e uomini non in comunicazione fra loro, isolati; risiede comunque in noi l’eventualità di un riscatto. 9


Simonetta Tassinari


Niente di nuovo, tutto di nuovo: l’attuale mostra di Prezioso è piena di nerbo, di ripensamenti, di fermenti che ri-orientano l’Artista, dandogli l’opportunità di una ignota direzione di marcia, e, contemporaneamente, lo costringono a iterare, sotto innovativa forma, le premesse concettuali all’origine delle sue precedenti realizzazioni. Il rischio di una mostra senza un unico tema o filo conduttore, e addirittura senza perlomeno alcuni temi basilari (come generalmente accadeva in passato, quando, pressoché all’istante, ci si accorgeva della pluralità, sebbene armonica, delle intenzioni), è quello di una variabilità confusa e non ben amalgamata: rischio del tutto e felicemente eluso in “Varie ed eventuali”, raccolta di opere che sopra e sotto le immagini, sopra e sotto le anatomie dello spazio o dell’anima mantengono una coerenza interna e il soffio di un’ispirazione unitaria, forte, duttile, indagatrice. Prezioso continua a praticare la pittura come gli è congeniale, puntando molto sui colori, sugli sfondi, sugli alti e sui bassi, le diacronie e le sincronie rese cromaticamente o con rapidi tocchi di pennello.

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Nella sua produzione gli stati d’animo si evincono non da un indugiare sullo sguardo o sull’espressione del viso – peraltro, nelle sue svelte silhuettes difficilmente si scorgono i lineamenti – piuttosto attraverso la rigidità o la morbidezza di certi gesti, la torsione delle spalle o del collo, un panneggio, una caratteristica dell’abito. Egli dipinge ciò che vede, ciò che sperimenta (un luogo, un assembramento di folla, un monumento, una macchina, un viaggio, un ricordo incarnati in immagini), e che anche agli occhi altrui si mostra in tale fatta, pur nella sua netta preferenza per un’adesione non fotograficamente fedele alle nuances del reale. Nel frattempo, sempre giovandosi di un personalissimo uso del colore – che, va notato, in questa mostra è più compatto, meno miscelato – suggerisce ciò che risulta invisibile, nel senso di impossibile a rendere per mezzo di un “segno”, cercando e trovando le corde giuste per esprimere l’attrazione, il divertimento, la gioia, perfino la compassione attraverso una iconografia pressoché identica, ma con dettagli tutt’altro che insignificanti che ne precisano la natura, per così dire, “metafisica” (uno sfondo vuoto, uno sfondo cupo, una solitaria figura, la neve a terra, un fiume che assomiglia al mare). La sua è dunque una voce matura che passando di soggetto in soggetto, appoggiandosi al disegno e alla linea oppure quasi ignorandoli, comunica, emoziona, evoca, una voce che può osare, e osa: un vero Show, don’t tell, come confermerebbero gli Americani (“mostralo, non dirlo”).


“Maturità” e indubbia abilità non comportano fissismo o ripetizione, bensì un equilibrio instabile, in una contemporaneità vigile che si nutre di effigi introiettate, di sensazioni, di una nomenclatura di forme e ritmi conosciuti, di nodi tematici tuttora presenti, sebbene ancorati a modelli cangianti. Se ne evince un’arte che ha ancora molto da dire, che ancora può grandemente sorprendere: come se, giunta a un incrocio, continuasse ad avanzare nella sua autonoma concezione del “progresso”, fatto non soltanto di un continuo procedere oltre senza fratture o interruzioni, piuttosto di un arrestarsi e di un riprendere vorticoso all’unisono con la storia. Non un voler fare il punto, quanto una sosta a un incrocio tra realismo, iperrealismo, surrealismo, figurativismo, astrattismo. Vale a dire che Prezioso, che ha subito l’influsso del décollage e del Postimpressionismo, ne mantiene almeno una molecola nel momento in cui li supera e, superandoli, li vivifica e se ne appropria definitivamente. Più domande che risposte, di conseguenza, nella presente esposizione, in un pulsare frenetico: una esposizione “nervosa” non solo nell’affrontare temi apparentemente slegati, bensì anche nella stessa scelta dei soggetti che si direbbero eletti “a caso”, e che eppure, tutti insieme, rivelano un impianto preciso, nient’affatto aleatorio e, per l’appunto, “casuale”. Il ritmo è talora più disteso, talora più intenso. La vivacità, lo sguardo indomito, la padronanza dei

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mezzi e la ricchezza delle sfumature – di cui si diceva – risaltano specialmente in alcune tele “esemplari” di questo ri-ordinamento che gira vorticoso e inarrestabile su se stesso, ex multibus unus, e danza sul piede del momentaneo e fulminante estro cogliendo l’universalità e la perennità dell’arte. Come non iniziare dalla la libertà creativa, dal gusto ludico e quasi illusionistico che nutrono il “Trittico tricolore”? Prezioso si è scherzosamente identificato (e perciò ritratto), nei panni di un Padre della Patria, e nei toni adatti a un busto marmoreo o a un chiaroscuro ottocentesco. Perdipiù si triplica e ci si offre pensoso, sorridente, riflessivo e quasi profetico nelle diverse inquadrature, per non parlare di quella direttamente “cavouriana” (quasi quasi, si vorrebbe metterli a confronto, l’originale e il divertissement d’autore, originalissimo omaggio visivo ai Centocinquant’anni). Naturalmente, gli autoritratti vivono contemporaneamente una propria autonoma realtà e rappresentano “fatti” artistici, di rilevanza anche psicologica e introspettiva, che si insinuano nella ricorrenza e proclamano una precisa scelta estetica. Nei “Personaggi” si evince l’eco di una visita museale, che si trasforma, in una maestria e sicurezza sempre maggiori, in un cimentarsi in generi finora inesplorati, come la ritrattistica in costume. Sdegnosi e fieri, dai caratteri ben suggeriti dai colori intensi e un po’ cupi delle vesti, i due nobiluomini, circondati dal nulla, ovvero da


una eterea, celestina nebbia, spiccano il volo dal loro secolo e irrompono tra noi come se li scorgessimo d’un tratto in uno specchio magico. Essi ci appaiono distaccati e curiosi, nell’atto di domandarsi chi siano coloro che li hanno richiamati dall’oblio, e si prova la curiosa sensazione che, a conti fatti, gli intrusi siamo proprio noi. Quanto alla “Piramide”, al primo colpo d’occhio essa sembra di cristallo, una moderna riproposizione della forma presa a modello dagli Egizi per simboleggiare l’eternità e la maestosità delle montagne, e anzi la più celebre di tali riproposizioni: la Pyramide del Louvre. L’azzurrino di cui è intessuta vien preso per un gioco di riflessi, forse un rimando alle vesti dei visitatori in movimento. Ma poi il piano di calpestio, il chiarore del sole nella medesima tonalità della sabbia e, soprattutto, l’ombra di un’altra piramide sullo sfondo, dai contorni sfumati, rimandano alla reale geografia della rocciosa depressione di Giza. In tale prospettiva ci si accorge che proprio il sole fagocita la scena, contiene la piramide e la folla dei turisti. La calura, il bollore del deserto egiziano richiedono che il giallo venga profuso a piene mani e si disputi il primo posto con l’azzurrino /turchese del punto focale. Louvre o Giza, dunque? Resta la possibilità che la “Piramide” di Prezioso, deprivata di un’identità precisa, le raffiguri entrambe, abbracciate in uno sguardo che ne sintetizza la potenza e il significato, attraverso un linguaggio artistico in bilico tra il realismo e la rivisitazione.

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Non è agevole comprendere la diretta ispirazione della tela intitolata “Charleston”. Storica, metastorica, metaforica? Il “Charleston” rimanda agli Anni Ruggenti, eppure il musicista da strada, con il suo recipiente per raccogliere le monete e l’aria dimessa, piuttosto ci suggerisce il Big Crash, la Grande Depressione. O non si tratterà di un’attualità elegantemente interpretata? I colori sono il marrone brunito, il giallo chiaro, l’arancione sfumato, la smilza figuretta del suonatore è ridotta all’essenziale, quasi stilizzata. “Fiori” è una natura morta con tratti impressionistici, dove il colore prevale decisamente sul disegno. L’idea iniziale non è che uno spunto, dagli esiti imprevisti. Vi si nota un naturalismo fantastico ben al di là del rosa, del giallo e del verde di gambi e boccioli, che difatti non evocano pretese di oggettività. I contorni non sono netti, il grigio-celeste del fondale un po’ ambiguo, i tratti non sono decisi, l’impatto emotivo è tutto affidato a quella specie di contorsione che caratterizza la struttura centrale del mazzo. E chi è questa sorta di sacerdotessa dai capelli infuocati, che sfidano la legge di gravità, della “Danza propiziatoria”, la quale si dimena dinanzi a un pubblico in saio turchese, con in mano lance ( o bastoni che siano?)? Gli astanti sono caratterizzati da una indeterminatezza di atteggiamento che non ne palesa la volontà né l’umore nei confronti della vestale inginocchiata sul selciato. Sono accoliti


o nemici? E come mai alcuni possiedono un volto e altri no? Si tratta di uno spettacolo di “normale” follia metropolitana, quando, spesso nell’indifferenza generale, il malessere e la solitudine, la povertà e l’emarginazione esplodono in comportamenti illogici, se non violenti o comunque perturbatori? Oppure assistiamo, ancora una volta, al rilancio delle domande sottese a tutta la mostra, esistenziali in senso lato, sul senso della nostra presenza nel mondo innanzi tutto nei microcosmi delle città, ambienti che più di ogni altro testimoniano le contraddizioni del nostro vivere, benché velato da una sottile e benevolente ironia? E che dire dei “Manifestanti”, di nuovo rigorosamente in bluette, che sventolano bandiere bi-tricromatiche, visti quasi tutti di spalle, con fisionomie sfuggenti, i quali marciano su una superficie giallastra simile a una landa stepposa? O del “Gruppo”, in cui in primo piano si stagliano, ugualmente di spalle, individui avvolti in ampi mantelli nei toni del blu/ rosso/violetto, mentre in secondo piano non si scorgono che veli bianchi o trasparenti, “burqa” sulla soglia della fedeltà storica e l’infedeltà pittorica, i quali svelano una disomogeneità di rapporti tra i presenti, nonché le insidie di una tale differenza? I “Battelli” dalle chiglie appena abbozzate in nero o blu, digradanti in acque chiare ma ribollenti, si trovano all’ancora in una Senna sulla quale incombono cieli rossastri, quasi sanguigni, acidi, tinte ben diverse dal quadro – fratello che porta il nome de “Lungo la Senna”.

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In quest’ultimo ritorna il giallo che invade la “Piramide”, il quale pervade di sé, ai confini con l’arancione, anche le sagome delle costruzioni al bordo del fiume. Notevolissima la serie di opere dedicate ad Altilia (1, 2 e 3). Il freddo della neve a terra, l’abbandono delle antiche architetture, la fuga prospettica dello sguardo oltre le colonne, un cielo inquietante acceso, per contrasto, di zafferano e di amaranto , caratterizzano l’Altilia romana, quella dei ruderi solitari (Altilia 1). I diversi livelli del teatro suggeriscono la lontananza dei tempi in cui tutto questo fu vita, fu calore, fu carne e sangue; nel “3” è invece la durezza delle linee geometriche, quasi delle rasoiate verso l’alto, a inferire il vuoto. Al contrario, nell’Altilia moderna (2) la volta celeste è plumbea, marcatamente e realisticamente invernale. Ciò nonostante le linee più morbide del suolo, in maggior misura ancora rispetto ai tetti ben curati, le mura erette e le finestre con i battenti, parlano di una temporalità che segue il suo corso, legata al vivere quotidiano, nel quieto fluire dei giorni. I quali, attenzione – è lo stesso trittico, se prendiamo i quadri nel loro insieme, a proclamarlo a chiare lettere – diverranno, anch’essi, dopo un intervallo temporale che ci sfugge, ma che immancabilmente si presenterà, dei gusci vuoti, tracce di giorni che furono, nell’ineludibile e inesorabile superamento di ogni opera umana. “Tronco mostruoso” e “Macchina infernale” ci rimandano a una pit-


tura pressoché visionaria, con il dilagare del giallo – assai testimoniato nella raccolta – e del rosso, entrambe opere di grande efficacia e spontaneità creativa, con le punte del primo che fendono l’aria, gli ingranaggi bluastri del secondo che infrangono la piattezza del resto della scena. Niente di nuovo, in “Varie ed eventuali”: gli stessi occhi acuti, la stessa mano sicura, l’attingere alle predilette tinte. Tutto di nuovo: l’esperienza visiva, l’effetto che la mescolanza di temi e delle tecniche suscita in noi, l’evoluzione dell’artista che ci offre un repertorio sempre più ricco, mosso e significativo. 19



opere


Charleston, 2009 acrilico, 30 x 40 cm



Mendici, 2009 acrilico, 30 x 40 cm

> Suocera, genero e figlia, 2009 acrilico, 40 x 30 cm



Poeta pazzo parigino, 2009 acrilico, 30 x 40 cm

> Uomo nero, 2010 acrilico, 29,5 x 33,5 cm




Calcetto estivo, 2011 acrilico, 20,5 x 45,5 cm



< Danza propiziatoria, 2010 acrilico, 25,5 x 25,5 cm

Gruppo 2011 acrilico, 32 x 45 cm



Manifestanti, 2011 acrilico, 27 x 46 cm


Profughi, 2011 acrilico, 50 x 60 cm

> Nel tram, 2011 acrilico, 40 x 30 cm



La Piramide, 2010 acrilico, 30 x 40 cm

> Personaggi, 2011 acrilico, 25,5 x 40 cm




Trittico tricolore, 2011 acrilico, 40 x 90 cm



< Solfatara, 2011 acrilico, 40 x 32,5 cm

Fiumaroli, 2011 acrilico, 46 x 20,5 cm


Lungo la Senna, 2010 acrilico, 30 x 36,5 cm


Battelli, 2010 acrilico, 30 x 36,5 cm


Senna, 2010 acrilico, 24,5 x 39 cm


Attrezzi, 2011 acrilico, 20,5 x 40 cm



Altipiano delle balle, 2011 acrilico, 15 x 45 cm



Balle, 2011 acrilico, 18,5 x 48,5 cm


Tronco mostruoso, 2011 acrilico, 20,5 x 40 cm

> Fiori, 2010 acrilico, 12,5 x 22,5 cm




< Macchina infernale, 2011 acrilico, 50 x 40 cm

Trattore, 2010 acrilico, 20 x 29 cm



Altilia, 2011 acrilico, 27 x 46,5cm



Altilia, 2011 acrilico, 20,5 x 40 cm



Altilia, 2011 acrilico, 30 x 40 cm



Cornelio Prezioso nasce a Rotello (Cb) il 28 febbraio 1952. Vive e lavora a Campobasso. Hanno scritto e si sono interessati alla sua arte: U. Attardi, M.A. Baitello, C. Carano, G. d’Henry, A. Dragone, D. Ferrara, G. Fidelibus, G. Franceschetti, R. Frattolillo, P. Levi, A. Masi, C. Mastrantuono, A. Picariello, E. Saquella, E. Spensieri, L. Strozzieri, G. Tampieri, S. Tassinari, L. Teberino, F. Valente, R. Zani.

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Cornelio Prezioso Via D’Amato, 13/F 86100 Campobasso, Italy www.cornelioprezioso.com


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