Un viaggio intorno al senso dell'abitare in álvaro siza

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Povoa de Varzim

Matosinhos

Lisbona

Cosimo Aleo

Un viaggio intorno al senso dell’abitare in à lvaro Siza

Siviglia Huelva



“Non sono mai stato capace di costruire una casa, una autentica casa. Non mi riferisco al progettare e costruire case, cosa minore che ancora riesco a fare, non so se correttamenteâ€? Ă lvaro Siza Vieira Porto, marzo 1994



Università degli studi di Catania

SDS di Architettura

Cosimo Aleo

Un viaggio intorno al senso dell’abitare in Álvaro Siza Vieira

Relatore

Prof. Arch. Emanuele Fidone Tesi di Laurea in

Composizione Architettonica Anno Accademico

2016/2017


Ringraziamenti. Lo studio qui pubblicato è frutto di un intenso lavoro di ricerca all’interno del senso dell’abitare in Álvaro Siza, attraverso un viaggio effettuato fra Settembre e Ottobre 2016. Il presente lavoro tende a fornire le basi necessarie per l’avvio di uno studio più approfondito riguardo l’opera di Álvaro Siza che possa culminare un giorno in una pubblicazione.

Desidero inoltre ringraziare: La mia famiglia che mi ha dato la grande opportunità e gli insegnamenti necessari per affrontare questa lunga avventura. Il professore Emanuele Fidone per gli insegnamenti durante il percorso di studi, per il continuo scambio di idee, per il lavoro di revisione e discussione svolto all’interno di questa ricerca. Ana Silva dello studio Siza Vieira di Porto, Chiara Ternullo e Pedro Teixeira de Melo dello studio Ternullomelo di Lisbona per il supporto tecnico e metodologico. Catarina Teles, Angelo Condemonteiro, Clara Costa e Antonio Da Costa Lança per il grande aiuto lungo il viaggio. Fernando Ferraz, Maria João Neto e Sergio Fernandez per avermi accompagnato nelle visite Belén García Guerra per il decisivo sostegno e la convinzione con cui ha incoraggiato questo lavoro, nonché per essere la mia grande compagna di viaggio. I miei nonni senza i quali non sarei stato all’altezza. Mio zio Alfio affinché le parole possano servire sempre da insegnamento. I miei colleghi Ernesto Stancanelli, Enrico Gambadoro, Alessandro Bontà, Simone Napolitano, Benedetto D’Antoni, Giorgio Russo, Manfredi Cannata, Giovanni Spina, Federica Bonaccorsi, Federica Musarra, Marta Palazzo, Serena Pappalardo, Giulia Doria, Giulia Sorbello, Flavia Coppola, Giulia Viscuso senza i quali questo percorso non sarebbe stato lo stesso (e Constructo non sarebbe mai esistito). Giuseppe Cristaldi, Gianluca Musumeci, Umberto Mirabella e Marco Aiello per il sostegno e la grande amicizia dimostrata. L’SDS di Architettura di Siracusa per i grandi insegnamenti di questi anni. La FAT di Timisoara per avermi dato l’opportunità di vivere un’esperienza unica. La ETSAG di Granada per l’importante supporto riguardo questo lavoro.


A mio padre, per la sua tenacia e la sua incredibile forza di volontĂ



INDICE

11 Premessa 15 Introduzione 19 Capitolo 1 Il viaggio per conoscere. Dal nomadismo al Grand Tour 25 Capitolo 2 Gli strumenti del viaggio 31 Capitolo 3 Siza sul viaggio 37 Capitolo 4 Intorno al senso dell’abitare 43 Capitolo 5 Diario di viaggio. Raccolta degli schizzi 61 Capitolo 6 Casa Alemão 62 6.1 Il contesto 66 6.2 Il progetto 84 6.3 I materiali 108 6.4 Dispositivi dell’abitare 130 6.5 Sulla conversazione con Fernando Ferraz 133 Capitolo 7 Casa Neto 134 7.1 Il contesto 138 7.2 Il progetto 168 7.3 I materiali 175 7.4 Dispositivi dell’abitare 182 7.5 Sulla conversazione con Maria João Neto 185 Capitolo 8 Casa Alves Costa 186 8.1 Il contesto 190 8.2 Il progetto 234 8.3 I materiali 240 8.4 Dispositivi dell’abitare 250 8.5 Sulla conversazione con Sergio Fernandez 253 Capitolo 9 Il senso dell’abitare 254 9.1 Álvaro Siza: vivere una casa 256 9.2 Il senso dell’abitare in Álvaro Siza 259 Bibliografia

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PREMESSA


La maniera in cui mi sono avvicinato all’architettura di Álvaro Siza Vieira risale al dicembre 2014, in occasione di un viaggio in Portogallo. Visitai principalmente le città di Évora e Lisbona soffermandomi con molta attenzione sulla particolare dedizione all’architettura di matrice post-moderna e contemporanea di queste due città. Quando in una frase si inseriscono i vocaboli “Portogallo” e “architettura” è quasi scontato ricadere in discorsi riguardanti Álvaro Siza Vieira. Era impressionante vedere come tutti in Portogallo conoscessero Siza e di come ne parlassero con note di stima e ammirazione. Se si vuole fare un parallelismo con l’Italia, questo non succede quando si cita Renzo Piano o Brunelleschi. A Évora visitai chiaramente la Malagueira, un quartiere residenziale che Siza progettò verso la fine degli anni ’70 e rimasi impressionato da quell’opera che assume un carattere, oltre che una scala, di tipo urbano. La Malagueira chiude la città di Évora e la apre a quelli che, come me, vengono in auto da Lisbona. Passeggiando fra le varie strade del quartiere si percepisce una sensazione di equilibrio e di una buona e sana progettazione. Tutto sta al proprio posto e deve stare esattamente dove si trova. Questa percezione della perfezione architettonica è sicuramente uno dei principali caratteri che ha spinto il mio lavoro. Ma la bellezza e la genuinità dell’architettura, la meraviglia, l’ho scoperta a Lisbona. Sul mio taccuino scrivevo: «l’architettura è per commuovere. Penso che queste semplici ma profonde parole bastino per descrivere la perfezione e l’equilibrio di un’opera senza tempo come questa. Ho provato una sensazione di appagamento e soddisfazione solamente alla vista del Padiglione. L’intorno è un caos a cielo aperto, un cantiere dell’architettura contemporanea. La struttura sembra essere stata pensata per mantenere uno stato di sacralità, come se fosse intoccabile, intangibile. Il contesto comporterebbe grossi danni all’architettura di Siza, ma all’interno del padiglione è impossibile non sentirsi a casa». Lisbona, 14/12/14

Da una parte la ricerca della perfezione, della purezza dell’architettura e dall’altra l’intimità del sentirsi protetto e “a casa” anche in un luogo palesemente pubblico, uniti alla voglia di scoprire, di conoscere derivanti dal viaggio hanno in un certo senso avviato e motivato la mia ricerca.Il primo testo di Álvaro Siza l’avevo letto nel 2013, Immaginare l’Evidenza, dove il discorso centrale è focalizzato sulla relazione fra natura e architettura. Siza dedica un capitolo alla questione casa dove precisa l’importanza della continuità del dialogo all’interno dei progetti di abitazioni private. Egli giudica questa una componente importantissima poiché rende i progetti più partecipati e umani rispetto alle opere istituzionali, dove domina una gestione burocratica.

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L’immersione e la scoperta dell’architettura di Siza avviene anche grazie al supporto di una monogra fia di Kenneth Frampton, letta nel 2014 e riletta (in inglese) nel 2015. All’interno della monografia è presente un testo fondamentale riguardo la casa scritto da Siza1, dove oltre a carpire la notevole dedizione dell’architetto nei confronti di questi progetti minori, si trovano le basi delle sue grandi opere. Dopo la lettura della monografia l’interesse nei confronti del pensiero del Maestro cresce. Il testo Scritti di Architettura2, rappresenta una chiave per estrapolare i meccanismi che regolano il procedimento all’interno della progettazione di Siza. Vengono affrontati temi fondamentali come il disegno, la pedagogia, il tempo. All’interno dell’opera sono presenti numerosi appunti tecnici e teorici riguardo le proprie opere utilissimi ai fini della mia ricerca. Muratore di opera grave3, libro che ho letto a gennaio del 2016, rappresenta un momento di passaggio fondamentale che permette di avvicinarmi definitivamente al tema casa. Qui si parla del mestiere dell’architetto, delle problematiche della burocrazia moderna e ancora una volta si sottolinea l’importanza e l’affezione di Siza nei confronti delle opere umili, quelle intime, le case appunto. La raccolta Álvaro Siza - Case 1954-2004 cataloga tutte le case di Siza, escludendo le ultime costruite fra il 2007 e il 2010, e ha rappresentato per me un punto di riferimento. Quest’opera si occupa di descrivere le case attraverso i gli schizzi e gli elaborati di Siza, fornendo un commento derivante dalla visita delle opere stesse. Il tema case in Siza è stato trattato sempre in maniera minuziosa e poco esaustiva, poiché la maggior parte dei testi e degli articoli disponibili si occupano della produzione monumentale del Maestro portoghese. L’intuizione di un’intimità nascosta, di una ricerca continua del domestico, la possibilità di capire i dispositivi che hanno generato ogni singola soluzione, le quali rimangono solo in uno stato di pura intuizione e di scarsa approssimazione dovuti principalmente alla scarsezza di materiale reperibile, sia dal punto di vista progettuale che fotografico, unite alla mia voglia di scoprire e di conoscere hanno indirizzato il mio viaggio e l’idea di intraprenderlo.

1 Álvaro Siza, Vivere una casa, in Domus n°771, 1995 2 Antonio Angelico (a cura di), Álvaro Siza - Scritti di Architettura, Milano, Skira, 1997 3 Giuseppe Todaro, Muratore di opera grave - Conversazione con Álvaro Siza Vieira, Siracusa, LetteraVentidue, 2013

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INTRODUZIONE


Intraprendere un viaggio vuol dire prima di tutto uscire fuori dalla propria dimensione domestica, figurata o virtuale che sia. Con l’arrivo di internet nelle nostre case prima e nelle nostre tasche poi, fino ad arrivare ai moderni smart-watch, che hanno portato il mezzo di informazione e comunicazione più potente al mondo proprio sui nostri polsi, le distanze si sono ridotte fino a quasi annullarsi. Dico quasi perché oggi è facile coprire distanze chilometriche in pochi click o touch. Riusciamo a visitare virtualmente i luoghi con immensa facilità al punto che anche la Luna, meta prediletta e motivo di grande dibattito degli anni ’60, è ormai vicina grazie al software Earth di Google. Il nostro mondo e i nostri spazi si sono ampliati e con essi gli strumenti utili alla conoscenza. Le dimensioni si sono ridotte tanto da essere contenute tutte sul palmo di una mano in rettangoli o meglio dire schermi da circa 6x12 cm. Abbiamo iniziato a leggere sempre più libri, monografie, riviste, che a sua volta contenevano sempre più immagini in bianco e nero prima e a colori poi. Poi è arrivato internet con i suoi siti web e i suoi blog, i social network, le parole chiave o meglio dire hashtag che in un solo touch riescono a fornirci milioni di informazioni riguardo ogni singolo argomento. Durante il percorso che ha portato all’elaborazione di questo lavoro, mi sono servito anch’io di tutti gli strumenti sopracitati, con una differenza e anche un pò di diffidenza: ho preferito toccarle con mano tutte le cose che ho prima visionato sui libri letti in biblioteca e durante le pause di studio, lavorative o estive; ho preferito constatare se i colori delle foto del mio monitor erano uguali ai muri con l’intonaco sbiadito che ho avuto la fortuna di vedere; ho voluto vedere con i miei occhi come la luce penetra all’interno delle architettura di Álvaro Siza perché le foto ricche di filtri su Instagram non erano abbastanza veritiere ed esaustive per capire temi così profondi; ho scelto di farmi raccontare dalla gente come si vive in ogni singolo luogo, descritto in differenti maniere dai diversi autori; ho scelto di ridisegnare ogni singolo aspetto a mia maniera piuttosto che visionare e rielaborare i disegni di altri che, come me, hanno preferito mettersi lo zaino in spalla e il taccuino in tasca e partire alla scoperta dell’architettura. «È ben difficile, in geografia come in morale, capire il mondo senza uscire di casa propria»

Voltaire

Associo quindi all’idea di viaggio una dimensione eccezionale, diversa da quella quotidiana, accessibile solo tramite l’esperienza, il disorientamento, il sentirmi straniero, il toccare con mano; una dimensione raggiungibile attraverso la perdita e la volontà di aprirsi alla novità e al senso di smarrimento o di meraviglia provocato dai differenti luoghi. Il viaggio è quindi una possibilità di vivere in modo personale un’esperienza, esponendosi all’imprevisto, accettando l’inconveniente, costruendo il

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proprio significato. Il viaggio quindi non rappresenta il raggiungimento di un’esperienza ma dell’esperienza. Viaggiare indica un atteggiamento da seguire per andare verso un’esperienza che sia unica in quanto personale, che soddisfi interiormente e che non sia solamente uno sguardo al diverso o motivo di vanto al momento del ritorno. Il viaggio serve per completare e capire le problematiche e i sistemi che regolano persone, cose e luoghi estranei al nostro vivere quotidiano. Ricordare, appuntare, trascrivere, registrare, fotografare sono delle azioni fondamentali che alla fine del viaggio risulteranno utili per rivivere l’esperienza e scoprire ancora una volta qualcosa di nuovo. Il lavoro svolto si soffermerà prima sull’evoluzione del tema del viaggio relazionato alla conoscenza, partendo dal nomadismo fino ad arrivare al Grand Tour. Successivamente verrà affrontato il tema del viaggio relazionato alla carriera e alla formazione di Álvaro Siza. Infine verranno analizzati gli strumenti del viaggio i quali apriranno al discorso riguardante il viaggio intorno al senso dell’abitare in Álvaro Siza.

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Capitolo 1

IL VIAGGIO PER CONOSCERE Dal nomadismo al Grand Tour


«A differenza di oggi, epoca in cui ci si sposta facilmente, gli uomini del passato conducevano una vita molto più sedentaria. O meglio, ci si muoveva per ragioni ben determinate: interessi commerciali, spedizioni militari, motivi religiosi. I viaggi duravano anni e durante il tragitto si incontravano altri uomini. Spesso si imparava un’altra lingua e si comunicava direttamente; comunque si aveva il tempo di parlare a lungo, di conoscere a fondo gli usi e i costumi dei popoli che si incontravano nel corso del cammino1».

Il viaggio rappresenta una forza centrale e non periferica nelle trasformazioni storiche, la nascita dei territori, cioè della creazione di un luogo, mappatura di uno spazio, disegno di una città,

avviene grazie allo spostamento. I centri religiosi economici e culturali della civiltà nascono dagli spostamenti di gruppi umani che si radicano sul territorio2. La condizione nomadica è la prima conosciuta dall’uomo, essa era legata alla pastorizia, alla caccia e al raccolto. Tutti i gruppi umani conobbero questa situazione fino al neolitico, epoca di diffusione delle tecniche agricole e della conseguente sedentarizzazione. La povertà del nomade veniva lodata anche come ascetismo e tentativo di purificazione, idea che accompagna tuttora il concetto di viaggio. Durante il periodo dei flussi migratori dell’Ottocento la chiesa cristiana fu ostile a questo ambiente in cui uomini e donne si spostavano fra i vari insediamenti e che praticavano culti pagani (termine che, originariamente, indica “l’abitante del pagus”, cioè del villaggio fuori dall’urbe) e riti che vennero in seguito associati al demonio ma che in realtà erano parte di una cultura antica strettamente legata alla celebrazione della natura e della fertilità. Ovviamente il nomadismo era dettato da ragioni differenti infatti è facile incontrare individui dapprima stanziali, sedentari che, al fine di recuperare un’identità autentica, profonda, o per motivi sociali (carestie, fame) si spostano o meglio, fuggono verso l’ignoto. Fuggire, in questo caso, diventa un tentativo di liberazione. Attraverso lo spostamento fisico e il distacco dal quotidiano, si consolida la propria identità grazie all’esperienza della diversità offerta dal viaggio. Le origini di molti pellegrinaggi risiedono nelle pratiche del nomadismo. Molte mete di pellegrinaggi resi poi sacri dalle religioni fossero già in precedenza delle mete usuali per i popoli nomadi. In particolare nel caso di Gerusalemme, della Mecca ed anche per quanto riguarda il Cammino di Santiago, è stato verificato che questi luoghi ed i percorsi per giungervi, erano utilizzati nelle stagioni di abbon-

1 Michela Zucca, Antropologia pratica e applicata. La punizione di Dio: lo scandalo delle differenze, Napoli, Esselibri, 2001, p. 11. 2 Stefano Corbetta, Il viaggio a piedi: dal pellegrinaggio al turismo contemporaneo, Tesi di laurea, Università degli studi di Bergamo, Facoltà di Lingue e Letterature straniere, 2004/2005.

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danza per celebrarvi banchetti comuni tra diversi gruppi nomadi. Questa aggregazione sporadica era dettata dalla disponibilità di risorse alimentari. I pellegrinaggi cristiani conobbero la loro epoca d’oro nel Medioevo, periodo in cui si avvertiva fortemente il rapporto con il soprannaturale ed il mondo terreno era considerato il riflesso di quello spirituale. Umberto Eco sostiene che l’uomo medioevale viveva in un mondo pieno di significati, rimandi e manifestazioni di Dio nelle cose. Intraprendere tale viaggio rappresentava chiaramente un modo per avvicinarsi alla divinità, caricando di senso la propria esistenza e raggiungendo la salvezza dello spirito3. Oltre all’elemento religioso, un aspetto più mondano del camminare, che era anche una grande possibilità di socializzazione rispetto alla situazione di stasi perenne caratterizzante la società del villaggio. Le strade erano percorse da una moltitudine di genti con intenti diversi. La conoscenza, oltre alla purificazione o al semplice diletto, era un grande motivo di mobilità. Il potere che stava nelle mani dei maestri era riconosciuto tanto quanto il potere militare nel risolvere i conflitti, in quanto l’azione pubblica veniva legittimata grazie ai testi, che erano fonte di autorità. Viaggiare senza alcun tipo di restrizioni era una necessità che venne riconosciuta ai dotti che si definivano “pellegrini per amore dello studio”. Con l’istituzione dell’Habita, il Barbarossa garantì la protezione degli studiosi che viaggiavano al di fuori della propria giurisdizione. Le università erano istituzioni mobili e il potere che aveva la conoscenza permetteva agli studiosi di essere difesi e sostenuti da comunità, re e papi. Il corpo mobile della conoscenza, essenziale per il diffondersi di altre università era rappresentato dai Maestri e dagli studenti. Con l’arrivo dell’umanesimo però l’istituzione universitaria cominciò a essere stabile e le autorità ecclesiastiche condannarono questi tipi di viaggio, spesso intesi come vagabondaggio. Attorno al XIV secolo il pellegrinaggio passò dall’essere considerato una vera e propria istituzione al rappresentare un fenomeno sgradito e da tenere a freno. Il Protestantesimo criticò fortemente questa pratica ritenendola responsabile della compravendita delle indulgenze. Occorreva ridimensionare il pellegrinaggio in quanto incompatibile con le nuove strutture della società che stavano nascendo. Le conquiste compiute; il suo dominio sulla natura; la rivoluzione delle tecnologie; il tempo dedicato al lavoro e una fiducia maggiore nella ragione poco si adattavano ai lunghi viaggi e alla credenza che le reliquie avessero un effetto taumaturgico. I pellegrini del Cinquecento mostrarono interessi diversi oltre a quelli religiosi, prestando maggiore attenzione a quello che la strada gli offriva e al paesaggio circostante. Molti diari del tempo mostrano una nuova attrazione verso le città, i monumenti, gli stili architettonici, i costumi e gli usi delle popo-

3 Stefano Corbetta, Il viaggio a piedi: dal pellegrinaggio al turismo contemporaneo, Tesi di laurea, Università degli studi di Bergamo, Facoltà di Lingue e Letterature straniere, 2004/2005.

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lazioni, come è osservabile nel diario di Jost Von Meggen Pellegrinaggio a Gerusalemme. Il viaggio comincia a trasformarsi da pellegrinaggio a piacere per la conoscenza e amore per la cultura. Con la nascita dell’Umanesimo prima e del Rinascimento poi, cambia la concezione che l’uomo ha di sé, modificando le mete e i fini del viaggio. L’esigenza di nuovi spazi e di nuove vie commerciali portano alla conquista delle Americhe e a sfatare i tabù ecclesiastici. Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Vasco da Gama, oltre a essere i primi navigatori conosciuti a effettuare significative scoperte oltreoceano, rappresentano i primi baluardi dell’annullamento delle distanze contemporaneo. L’uomo occidentale acquista grande fiducia nei suoi mezzi e nella sua capacità di modificare il mondo e l’incontro con il nuovo, l’estraneo, e con il selvaggio rafforza le sue convinzioni di civilizzatore, depredandone i nuovi territori delle loro ricchezze e assoggettandone le popolazioni.

A partire dal Cinquecento il viaggio in Europa divenne sinonimo di Grand Tour, fenomeno inizialmente legato all’aristocrazia ed estesosi poi alla borghesia, agli scrittori ed agli artisti. La maggior parte di tali viaggiatori era di origine inglese, perlomeno nel periodo iniziale di questo fenomeno che divenne, con il tempo, usanza europea. L’Italia era la meta principale di questi viaggi, i giovani rampolli venivano scortati da un maestro che faceva loro anche da guida, indirizzandoli verso uno studio ed un’osservazione attenta della realtà in cui si inserivano. La cultura inglese vedeva nell’esperienza diretta uno strumento efficace di formazione. Era importante pianificare il viaggio in tutti i suoi aspetti: durata, strumenti, conoscenza della lingua, i luoghi dove sostare. Inoltre un fattore molto diffuso era una buona conoscenza della lingua del paese ospitante, l’utilizzo di guide cartacee e un buon tutore. Era tipico anche non sostare nella stessa dimora pur restando a lungo nella stessa città per abituarsi al cambiamento e a una condizione che fonda le sue basi nel nomadismo. Un vero e proprio studio si sviluppò riguardo quale fosse il miglior metodo di raccolta dei dati e delle impressioni: elementi che, una volta tornati alla nazione di origine, avrebbero potuto contribuire all’ampliamento delle conoscenze di un paese e che non servissero da motivo di vanto o mera conoscenza finalizzata al viaggiatore stesso. Il Grand Tour e il viaggio a scopo scientifico si sovrappongono. Con il passare del tempo e con il proseguire delle polemiche riguardo l’efficacia che un viaggio simile potesse avere, le mete, i soggetti e la durata del Grand Tour cominciarono a mutare. Nel corso dell’Ottocento non sono più i giovani a compiere lunghi periodi all’estero, ma i trenta-quarantenni che compivano viaggi al massimo di quattro mesi; il viaggio in Europa passò di moda, gli aristocratici

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inglesi cominciarono a visitare le loro colonie. L’India, in particolare, divenne il luogo che poteva offrire un esotismo maggiore rispetto alle ormai troppo consuete mete europee. I disagi che caratterizzavano i pionieri del Grand Tour vennero lentamente cancellati alla ricerca di una comodità sempre maggiore. Le carrozze che inizialmente non possedevano alcun tipo di sospensione vennero innovate e resero il viaggio più piacevole. Il viaggio nel comfort rappresenta il pensiero borghese di poter viaggiare senza compromettere la propria identità, indica la volontà di beneficiare degli aspetti terapeutici del viaggio senza però modificare le proprie abitudini. Il Grand Tour perde il suo significato di formazione e si trasforma prima in viaggio terapeutico, consigliato dai medici per risolvere varie patologie, e successivamente in momento di piacere. Questi ultimi aspetti, uniti al progresso, e quindi alla realizzazione di treni sempre più veloci, navi sempre più grandi e veloci, fino alla messa in servizio di aerei per il trasporto di persone hanno generato il moderno turismo sul quale non ha senso soffermarsi poiché si distacca completamente dall’idea di viaggio alla quale si associa questo lavoro. Il Grand Tour, il Milione di Marco Polo sulle Vie della Seta, il Viaggio in Sicilia di Schinkel, i viaggi in Italia e in Oriente di Le Corbusier e gli Esquissos de viagem di Álvaro Siza rappresentano una base solida e dei modelli di riferimento per questo lavoro, il quale intende servirsi del viaggio come strumento di apprendimento dell’architettura.

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Capitolo 2

GLI STRUMENTI DEL VIAGGIO


Parlare degli strumenti utilizzati nel viaggio è un pò come parlare degli strumenti dell’architetto. Il taccuino è stato lo strumento principale del percorso intorno al senso dell’abitare. Il taccuino si è fatto calendario, archivio, conforto, diario. Alla partenza il taccuino si presenta bianco, vuoto, incapace di comunicare niente di più che la sua funzione futura, ovvero di contenitore di esperienza. Ho deciso di partire senza nessuna pretesa, prendendomi ciò che la strada, intesa come cammino, mi avrebbe offerto. Il fine ultimo sarebbe stato quello di visitare le case progettate da Álvaro Siza, ma non ho mancato di descrivere luoghi, persone, modalità degli spostamenti, cibi, eventi. Fedele compagna di viaggio la mia Canon Eos 1200 D, fotocamera reflex da principiante, quale mi reputo di essere. Durante questo breve ma intenso viaggio ho appreso molto anche riguardo la fotografia, utilizzata in maniera scientifica e analitica. Difatti alla fine del viaggio mi sono reso conto che mancava qualche foto d’insieme o generale, ma ciò su cui mi sono concentrato sono stati sicuramente i dettagli, i quali mi sono serviti molto ai fini della stesura finale. L’atto del disegno e la mia dedizione nei confronti del ridisegno dal vero delle architetture spiegano molto la situazione e il mutamento all’interno del viaggio. Schizzi veloci e quasi incomprensibili ai più durante quei momenti in cui il tempo sembrava sfuggire e la luce andava via, schizzi più o meno precisi e appassionati in quelle pause piacevoli finalizzate alla conoscenza e all’apprendimento in un determinato momento. Un’altro strumento sebben non presente all’interno del viaggio ma che è servito a riordinare tutto il materiale deriva dagli album da viaggio dell’artista dada Marcel Duchamp. Il Boite-ên-valise ovvero “scatola in una valigia”, è un’opera del 1941 che consiste in una valigia di pelle contenente copie in miniatura, riproduzioni a colori e una fotografia delle opere dell’artista con aggiunte a matita, acquerello e inchiostro. Gli esemplari furono prodotti fra il 1935 e il 1941 e ognuno di essi conteneva circa sessanta riproduzioni tra le quali una sola opera era, anche se in piccolo, un’originale. Un’idea di arte da viaggio che condensa i temi del “portabile”, “trasportabile”, “nomadismo” tipici di Duchamp. I concetti di trasportabile, indifferenza, infrasottile, portatile sono ricorrenti all’interno della produzione dell’artista dada, infatti il Pieghevole da viaggio (1916), la Scultura da viaggio (1918), Air de Paris (1919), sono tutte opere antecedenti il Boite-ên-valise che però richiamano già al tema del viaggio. Tutti questi strumenti connessi a una grande voglia di scoprire e apprendere hanno caratterizzato il percorso finalizzato a entrare dentro il senso dell’abitare di Álvaro Siza più che girarci semplicemente “intorno”.

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Scatola in una valigia, 1941 Marcel Duchamp

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Scatola da viaggio: TrasportabilitĂ Spostamento Ricordo Memoria Movimento Portabile Esperienza

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1. Approfondimento, Materiali, Dispositivi dell’abitare | 2. Taccuino | 3. Foto | 4. Plastico

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Capitolo 3

SIZA SUL VIAGGIO


«Per un architetto, viaggiare, con gli occhi e l’udito aperti, è il miglior alimento per la sua attrezzatura imprescindibile: la cultura che coscientemente o incoscientemente anima i suoi disegni, e che ha radici e che possiede i lunghissimi bracci dei rami1» Álvaro Siza, Bogotà

Il tema del viaggio, corredato dal disegno da viaggio, in Álvaro Siza è ricorrente e presente sin dal principio. Siza stesso non ha esitato a concedere una pubblicazione di un testo denominato appunto Esquissos de viagem nel 1988. Ma nel viaggio stesso stanno le radici della scelta di intraprendere la carriera da architetto seppur in principio fosse indirizzato maggiormente verso la scultura. «Poco mi interessava l’architettura; ma quella sembrava scultura, o pittura o così era. Nella prima notte - arrivammo tardi - andai con mio fratello a vedere la Sagrada Familia. Era buio e avevamo paura. Nessuno per le strade. Ma nelle ramblas c’era animazione e l’abituale sfilata di gente, come in tutte le città e i paesi della Spagna. Compresi, il giorno dopo, che quelle strane sculture erano fatte di quello che esiste ovunque: finestre, porte, zoccoli, ferramenta, rivestimenti, di ceramica o di pietra, tegole, gronde e doccioni; tutto ben funzionale, appropriato alle mani e ai piedi e ai cinque sensi. Dentro la Casa Milà mi sentii a casa: niente era speciale, se non una magica qualità. Non molto differente dalle altre case degli isolati ben allineati, nelle strade ventilate dove era piacevole passeggiare, incrociando tutto il giorno, uno dopo l’altro, gli angoli tagliati a quarantacinque gradi, gli angoli di spazi profondi che Federico Correa più tardi avrebbe fatto conoscere. Ebbi il primo presentimento che forse l’architettura mi interessava più di qualsiasi altra cosa; che era alla mia portata; bastava mettere in ballo finestre, porte, zoccoli, ferramenta, rivestimenti in ceramica o in pietra, tegole, gronde e doccioni2» Álvaro Siza, Porto, settembre 1978

È evidente la cura con la quale Siza ci permette di catapultarci nella Barcellona degli anni ’50. Fu proprio in questo viaggio con la famiglia che il Maestro portoghese, vedendo e visitando le opere di Gaudì, percepì la sua dedizione nei confronti dell’architettura. È il viaggio, lo spostamento, il sentirsi estraneo in un nuovo luogo che accende l’interesse di Siza nei confronti dell’architettura. Il viaggio, il cambiamento assume un carattere centrale all’interno della formazione del Maestro tanto da pronunciare le seguenti parole in un’intervista rilasciata il 13 gennaio 2013 a Giuseppe Todaro

1 Álvaro Siza, Discorso introduttivo a una presentazione dei propri progetti presso l’Associazione degli architetti di Bogotà, data ignota, Bogotà (Colombia), in Antonio Angelico (a cura di), Álvaro Siza - Scritti di Architettura, Milano, Skira, 1997 2 Álvaro Siza, pubblicato in “Quaderns d’Arquitectura i Urbanisme” n. 175, ott.,nov.,dic. 1978

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presso il suo studio di Porto: «Oggi gli studenti grazie all’Erasmus, che è l’unica cosa buona che ha fatto l’Unione Europea, possono viaggiare e studiare in un altro paese molto più facilmente, e questo è fondamentale»

Non è un caso che alla Biennale di Venezia del 2012 sia stato dedicato un’evento collaterale ad Álvaro Siza intitolato Viagem sem programa. La mostra, organizzata dall’associazione culturale MedicinaMentis, in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia, nasce dai numerosi incontri che i due curatori, Greta Ruffino e Raul Betti, hanno avuto con l’architetto lusitano, presso il suo studio a Porto e racconta, attraverso l’esposizione di 53 opere, tratte dai suoi quaderni di appunti e personalmente selezionate dallo stesso autore, non solo l’attività dell’architetto ma soprattutto quella dell’uomo. In mostra saranno esposti infatti anche dei suoi disegni (in prevalenza ritratti) realizzati durante gli anni della giovinezza, con una sezione dedicata alla famiglia, i numerosi viaggi compiuti all’estero, le più recenti cene con gli amici, ricordi, sensazioni, note ironiche e visioni del tutto realistiche. «La mostra, addentrandosi nella natura umana e nella cultura progettuale, intende mettere in risalto il legame inscindibile tra queste due componenti, svelando attraverso un percorso emotivo, l’aspetto più intimo e privato di Álvaro Siza che si manifesta in una profonda e intensa capacità di osservare e successivamente tradurre in segno i frammenti della realtà3»

Inoltre in occasione della quindicesima Biennale di Architettura del 2016, il padiglione del Portogallo “Neighbourhood, where Alvaro meets Aldo”, curato dagli architetti Roberto Cremascoli e Nuno Grande, è stato dedicato ad Álvaro Siza nel campo del social housing in Europa. In una serie di viaggi tra Porto, Berlino, L’Aia e la Giudecca, il maestro ha incontrato gli abitanti di alcune sue architetture realizzate in passato e si è confrontato con loro riguardo a come si vive al loro interno. Durante i viaggi, Niccolò Galeazzi si è occupato di documentare visivamente, tramite fotografie e video, gli incontri del maestro. Sono molte le famiglie che hanno accolto Alvaro Siza e tutta l’equipe coinvolta nel progetto mettendo a disposizione, non solo il loro tempo, ma anche le loro case. Secondo Galeazzi “nonostante la forza di alcune immagini, non sempre la fotografia e i video bastino a rendere fino in fondo la ricchezza di una simile esperienza”. Il progetto è stato chiamato Fragmentos da viagem e attraverso foto, immagini e aneddoti, ha descritto la storia che si cela dietro

3 Greta Ruffino e Raul Betti, Domusweb, 8 agosto 2012

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alle fasi preparatorie del padiglione portoghese raccontando i retroscena, gli incontri e i momenti di questo viaggio itinerante per l’Europa in compagnia del maestro Álvaro Siza. Il viaggio risulta essere quindi un tema centrale e ricorrente all’interno del lavoro di Siza. Un tema intimo e delicato come quello delle abitazioni unifamiliari può essere compreso a scala più ampia solo attraverso l’atto della visita e del dialogo con coloro i quali hanno avuto a che fare con tutte le fasi dell’opera, dal progetto alla realizzazione, ovvero gli abitanti stessi.

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Barcellona, schizzo di Siza, 1952

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Capitolo 4

INTORNO AL SENSO DELL’ABITARE


«Non sono mai stato capace di costruire una casa, un’autentica casa. Ma non parlo di progettare e costruire case. impegno minore che ancora riesco ad affrontare, non so se correttamente». Vivere una casa - Porto, marzo 1994

Le grandi opere hanno segnato la carriera di Siza e allo stesso tempo hanno consegnato alla storia dell’Architettura molteplici insegnamenti. La questione dell’abitare, del vivere quotidiano, della casa è stata più volte messa in secondo piano come se fosse un margine, una cornice alla produzione monumentale. L’architetto portoghese però afferma di sentire una necessità forte nel continuare a progettare case unifamiliari sostenendo che “non è un caso che l’evoluzione dell’Architettura sia marcata dalla presenza di un certo numero di case famose, dove si permise ai rispettivi autori-architetti di proseguire la ricerca sulla casa: in moltissimi casi grazie anche alla passione stessa del cliente. Per questo non penso di smettere di fare case. È un programma più leggero, non c’è il peso burocratico presente in altri progetti, sebbene per altri aspetti sia estremamente faticoso”. Per comprendere al meglio la lezione di Siza è utile partire dall’approccio che egli ha nei confronti del progetto. Facendo un paragone con la scrittura, egli sostiene che l’architettura, come un testo letterario, debba essere necessaria altrimenti non significherà molto. L’Architettura non permette e non accetta l’improvvisazione, l’idea immediata e direttamente trasposta. L’Architettura è rivelazione del desiderio collettivo nebulosamente latente. Questo non si può insegnare, ma è possibile imparare a desiderarlo1.

Il primo passo fondamentale da compiere è quello di “osservare il sito”, facendo un disegno prima ancora di calcolare i metri quadrati di area da costruire. Dal primo confronto dell’uno e dell’altro gesto, ha inizio il processo di progettazione2. Per Siza il disegno rappresenta una forma di comunicazione con l’io e con gli altri. Per l’architetto, è anche, tra i tanti, uno strumento di lavoro, una forma di apprendere, comprendere, comunicare, trasformare: una forma di progetto3. Siza nel corso della sua carriera si è soffermato più volte a parlare delle modalità di progetto,

1 Álvaro Siza, Sulla Pedagogia, Porto, ottobre 1995 in Antonio Angelico (a cura di), Álvaro Siza - Scritti di Architettura, Milano, Skira, 1997 2 Álvaro Siza, Discorso alla Biennale di Venezia del 1978 3 Álvaro Siza, Porto, giugno 1987 in Antonio Angelico (a cura di), Álvaro Siza - Scritti di Architettura, Milano, Skira, 1997

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dei sistemi burocratici e della pratica del progetto in se. Egli pensa che, nella società in cui viviamo, il problema di costruire una casa non è più isolabile. Ogni unità di progetto, per la sua accertata moltiplicazione, costituisce mediazione tra interessi generali e individuali reali o simulati; esige relazioni tra piano e progetto, ognuno contenente l’altro, senza limitarlo o frammentarlo, o gerarchizzare, diminuendo senso nell’uno e nell’altro. Nella società in cui viviamo è impensabile il progetto senza dialogo, senza conflitto e incontro, senza dubbio e convinzione, alternativamente, nella conquista di simultaneità e libertà. L’architetto pensa che costruire una casa sia diventata un’avventura poiché necessita pazienza, coraggio ed entusiasmo. Naturalmente il progetto di una casa nasce in modi diversi e tutto dipende dalla possibilità e dalla capacità di trovare stimoli. Avendo dato per scontato che il procedimento iniziale e tutto il processo progettuale sia simile per ogni caso, il progetto di una casa è quasi uguale a quello di qualsiasi altra: pareti, finestre, porte, tetto. Eppure è unico. Ogni elemento si va trasformando, nel relazionarsi. A questo proposito Siza afferma che “in certi momenti, il progetto prende vita propria. Si trasforma allora in un animale volubile, dalle zampe inquiete e dagli occhi insicuri. Se le sue metamorfosi non sono comprese, o dei suoi bisogni è soddisfatto più dell’essenziale, diventa un mostro. Se tutto quanto in esso appare evidente e bello si fissa, diventa ridicolo. Se è troppo costretto, non respira più e muore. Il progetto sta all’architetto come il personaggio di un romanzo sta all’autore: lo supera costantemente. È necessario non perderlo. Il disagio lo incalza. Ma il progetto o è un personaggio con molti autori, e si fa intelligente solo quando è assunto così, altrimenti è ossessivo e impertinente. Il disegno è il desiderio di intelligenza4”. Le case di Siza ci offrono una lezione esemplare di grandezza intellettuale dovuta soprattutto all’accanimento rigoroso e amorevole e all’infaticabile e paziente ricerca, quasi a voler creare un sistema tipico di progetto della vita quotidiana. Le soluzioni possiedono una credibilità data dall’autenticità del presupposti e degli intenti: ogni problema contingente - creare un’apertura in un muro, risolvere un accesso, disegnare un serramento oppure un mobile - è risolto con estrema sensibilità e sapienza, senza scappatoie. La risposta e le questioni si fanno universali: ogni soluzione si aggiunge come un tassello a un modus operandi generale che va oltre la relazione a un luogo e a una necessità, affrontando la questione dell’abitare,

4 Álvaro Siza, Daidalos n. 5, Settembre 1982

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dell’occupare un luogo, del compiere atti quotidiani in uno spazio, producendo soluzioni che sfidano e risolvono quell’orror vacui tanto temuto dagli architetti. Il legame continuo con l’uomo, identificato nella persona del cliente, quindi mutevole di caso in caso, di casa in casa, ci fornisce un’insegnamento esemplare, ottenuto attraverso una ricerca filantropica che si estende in una carriera lunga più di cinquant’anni. Uno degli obiettivi fondamentali è quello di fornire a ogni casa l’intimità necessaria, la riservatezza, il programma fortemente voluti dal cliente, subordinati a sua volta alla grande esperienza e alla ricercatezza della soluzione migliore dettate dal Maestro. La qualità e la poeticità di queste piccole architetture è essenzialmente vincolata alla vita e di questa ne rivela certamente una concezione assai profonda5. Le case prese in esame all’interno del viaggio sono progettate e realizzate in un arco di tempo che va dalle quattro case a Matosinhos (1954-57) alla Casa Alemão a Sintra del 2008. Una tale quantità di case costituisce per un solo autore un autentico campo di ricerca in cui la continuità permette una riflessione specifica e al contempo generale sul tema stesso e sull’architettura.

5 Alessandra Cianchetta, Enrico Molteni, Álvaro Siza Case 1954-2004, Milano, Skira 2004

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Capitolo 5

DIARIO DI VIAGGIO Raccolta degli schizzi


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Catania 14.09.2016

Roma

14/15.09.2016

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Siviglia

15/16.09.2016

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Huelva

16/17/18.09.2016


Siviglia

16/17/18.09.2016

Padiglione portoghese Expo ‘98, Lisbona 20.09.2016

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Sintra

21.09.2016

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Casa do Pego, Colares 21.09.2016


Lisbona 22.09.2016

Porto

23.09.2016

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Piscina das Mareas, Leça de Palmeria 24.09.2016

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Casa de Chà, Leça de Palmeria 24.09.2016


Quattro case a Matosinhos 25.09.2016

Casa Neto, Matosinhos 26.09.2016

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Casa da Arquitectura, Matosinhos 26.09.2016

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Casa Ferreira da Costa, Matosinhos 26.09.2016


Casa A. Passos Porto 26.09.2016

Serralves, Porto 26.09.2016

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Casa Carneiro de Melo, Porto 27.09.2016

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Casa Manuel MagalhĂŁes, Porto 27.09.2016


Casa Beires, Povoa de Varzim 28.09.2016

Casa Alves Santos, Povoa de Varzim 28.09.2016

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FAUP, Porto 29.09.2016

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Casa Alcino Cardoso, Caminha 30.09.2016


Casa Alves Costa, Moledo do Minho 1.10.2016

Madrid 5.10.2016

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Di tutte le abitazioni visitate si è scelto di approfondirne solamente tre individuando altrettanti metodi compositivi e periodi in Siza. Casa Alemão (o do Pego) del 2007 che mostra l’architettura domestica contemporanea di Siza, più vicina alle grandi opere piuttosto che alle umili dimore. Casa Neto degli anni ‘50, la prima casa costruita da Siza quando ancora era uno studente. Elementi accademici e tradizione vernacolare portoghese si fondono in quest’opera che appartiene alle famose “Quattro case a Matosinhos”. Casa Alves Costa ultimata nel 1968, prodotto di un’evidente periodo di maturazione e che segna una vera e propria linea di demarcazione fra le prime architetture di Siza e le opere successive. Verranno riportati nelle pagine a seguire oltre a uno studio singolare per ogni caso le testimonianze degli abitanti delle case o di chi mi ha accompagnato durante le visite.

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Caminha Povoa de Varzim

Matosinhos Porto

Lisbona

Siviglia

Roma Catania

Sintra

Lisbona

Roma

Siviglia Huelva



Capitolo 6

CASA ALEMÃO Anno: 2002-2007 Località: Colares, Sintra, Portogallo Cliente: Carlos Alemão Collaboratore: António Madureira


6.1 Il contesto Sintra è una pittoresca cittadina portoghese situata sulle colline di pini della Serra de Sintra, a nord di Lisbona. Questo clima leggermente più fresco attirò la nobiltà e l’élite del Portogallo, che qui ha costruito splendidi palazzi, stravaganti residenze e giardini decorativi. La varietà di affascinanti edifici storici e il bellissimo scenario della serra che declina sull’oceano hanno reso Sintra un’apprezzatissima meta turistica. Il luogo, patrocinato dall’UNESCO, offre oltre ai palazzi già citati, numerose quintas e spiagge di sabbia dorata. Sintra, luogo che ha ispirato il mito di Atlantide, è stato definito dal poeta danese Hans Christian Anderson “il posto più bello el mondo”. Lord Byron, poeta del secondo romanticismo inglese, ha definito Sintra, nel suo Childe Harold’s Pilgrimage, un “glorious Eden”. Casa do Pego (o Alemão) è situata a Colares, località alla quale si arriva dopo aver percorso una strada che abbraccia una delle valli lussureggianti che cingono la città. Il sito della casa è ampio circa 20.000 mq, collocato sopra un declivio che si affaccia a ovest su Praia Grande e a nord a Praia das Maçãs, avvolto sui restanti fronti dalle varie quintas do Rodizio.

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Colares Sintra

Sintra Lisboa

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Praia das Maçãs

Praia grande

Quintas do Rodizio

Viste dal sito

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Soleggiamento

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6.2 Il progetto Nel 1993, durante un viaggio in visita alle case di Luigi Snozzi nel Canton Ticino, Siza racconta che “la casa perfetta nasce da un raro momento di sintonia fra il proprietario e l’architetto” e non vi è dubbio che questa speciale armonia abbia alimentato l’intero percorso progettuale della casa di Sintra, giunto a un risultato così eloquente di una raffinata maturazione poetica1. La costruzione di una casa non può prescindere dai gesti dell’esistere che inducono l’architetto a stringere con il cliente un rapporto intenso al fine di comprendere le ragioni profonde del suo modo di abitare, di conseguenza anche la relazione con il luogo è in questo caso ancor più radicata. Pur stabilendo una serie di vincoli abbastanza precisi, le richieste del committente vengono risolte con una grande cura e maestria da parte dell’architetto. Si intuisce sin dai primi schizzi che tutti gli ambienti della casa, seppur distribuiti su un unico piano, debbano essere il più indipendenti possibile. Lo studio dei movimenti del sole coadiuvato alle viste generano il posizionamento dei volumi i quali avranno la funzione di ospitare degli ambienti semi-indipendenti. Così la cucina, la sala da pranzo, il soggiorno e lo studio, posizionati a occidente e le cinque camere disposte sul versante orientale trovano un punto di contatto solo in un camminamento interno, capace di collegare i vari spazi, a partire dall’ingresso fino alle stanze già lontane dell’abitazione. Il disegno del corridoio, o galleria oppure, come lo ha definito Ricardo Caetano de Freitas, promenade architecturale2, inizialmente assiale, si fa irregolare nel suo procedere poiché si adegua alla disposizione degli ambienti a cui conduce.

Sezionando il volume della casa lungo l’asse della galleria è possibile rendersi conto di come il disegno dell’architettura non sia imposto dall’architetto, che invece sceglie di ovviare per un percorso discendente, seguendo l’andamento del terreno. Il punto più basso del percorso tocca quota -2,10 m rispetto al punto di partenza della promenade. Il sistema di adattamento in sezione del corpo ricorda in qualche modo il mondo animale, con particolare riferimento ai rettili, i quali riescono ad adattarsi alle forme e agli spazi che la natura offre. Osservando il disegno della pianta invece possiamo notare come ogni funzione sia destinata a un volume indipendente che si connette all’asse distributivo come se quest’ultimo fosse lo stelo di un fiore o un ramo di foglie, sistemandosi con orientamenti diversi sapientemente

1 Carlotta Tonon, Una sola moltitudine, in Casabella n° 766, p. 69 2 Ricardo Caetano de Freitas, Verdade ou consequência? Uma Análise Interpretativa / Formal - Casa do Pego, Sintra - Álvaro Siza Vieira. Revista Arquitectura Lusíada, N. 6 2.o semestre 2014: p. 59-65.

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calibrati. I piccoli volumi, intersecandosi fra loro, determinano un sistema di circolazione fluido e configurano le forme degli spazi interni ed esterni. L’incastro, apparentemente casuale, costruisce i cosiddetti volumi in negativo, che in architettura riguardano degli spazi aperti sapientemente progettati che nel caso di Casa do Pego generano cortili semi privati. I patii così ottenuti, ciascuno distinto dall’altro, incorniciano inedite viste sul paesaggio, alle quali partecipano anche gli scorci delle pareti oblique della casa; all’infinitezza dei confini che una veduta d’insieme sulla natura porta con sé, è preferito un preciso punto di osservazione su di essa con la conseguente ricerca di un’intimità continua. La casa si apre al paesaggio su tutti i lati ma si erge allo stesso tempo ben protetta da tutto ciò che la circonda. L’architetto sceglie le viste, le afferra e in favore della loro funzione e fruizione dispone i suoi volumi. L’architetto riesce a inserire nel progetto una serie di “fermo immagine” di quei momenti dell’abitare a cui l’architettura da luogo. L’assemblaggio delle forme desta meraviglia per le infinite variazioni che lo sguardo può avere sul paesaggio. Una successione di istanti di cui l’architetto si impadronisce per poi tradurli in spazi capaci di rappresentare, anche formalmente, il movimento dei percorsi. È singolare infatti la modalità con cui la galleria si apre verso l’esterno, attraverso finestre che segnano delle pause all’interno del percorso e delle corti, ben curate e nascoste, all’esterno. Il disegno è completato da una piattaforma in legno che precede una piscina, poste sul versante occidentale della casa, quello che ospita la zona giorno, e un’autorimessa in prossimità dell’entrata.

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1

3

2

4

1,2,3. Studio della composizione dei volumi 4. Studio delle aperture verso l’esterno


5. Studio sul posizionamento dell’autorimessa 6. Studio dell’involucro 7. Studio delle quote 8. Schizzo dell’insieme volumetrico

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Lo studio della forma

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Zona giorno

Zona notte

Individuazione delle aree

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Pianta del sito Scala di origine 1.1000

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3 -2.10

4 6 5 2 7

1 8 9

-1.20 -1.20

-1.65

11

10

-0.90

0

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Pianta piano terra Scala di origine 1.200

Legenda: 1. Studio | 2. Cucina | 3. Pranzo | 4. Living | 5,10. Servizi | 6,7,8,9,11. Camera | 12. Garage

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-1.65

-1.20

-1.65

0 -0.90 -1.65

-2.10

-2.20

+1.25

+2.45

0

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Dall’alto verso il basso Sezione A-A’ Sezione B-B’ Sezione C-C’ Prospetto N-O Pianta coperture Scala di origine 1.200


Assi, orientamento e rotazioni

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Galleria fotografica Archivio personale

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6.3 I materiali I materiali utilizzati dall’architetto nella parte esterna risultano essere molto atipici se si guarda all’architettura di Álvaro Siza. Il tipico intonaco marmoreo bianco qui Siza opta per un rivestimento opaco, il legno teak trattato. In alcuni schizzi si riesce a percepire che l’idea di “avvolgere” l’edificio sia stata presente sin dall’inizio. La fitta texture verticale di doghe in legno riveste come una pelle quasi interamente i volumi, poiché l’attacco a terra è costituito da un basamento in blocchi di pietra locale grigia, disposti perpendicolarmente rispetto alla madeira. Il tetto ha una copertura verde. La vegetazione, prodotto della natura, diventa quindi un materiale di progetto che completa il parallelismo con l’ambiente circostante. Una pineta. Il legno dei volumi che richiamano ai tronchi degli alberi e le fronde dei pini sono presenti nel tetto giardino. Il basamento in pietra si rifà ulteriormente al paesaggio portoghese, roccioso e verde allo stesso tempo, e fornisce al progetto una componente scultorea che è tipica in Siza. Gli interstiziali generati dai vari incastri provocano giochi di luce e ombra che rendono partecipi la materia architettonica con la luce e la natura circostante, generando un solenne dialogo materico. Gli interni sono prettamente siziani, intonaci bianchi e pavimenti in lastre di pietra locale con colori che spaziano dal rosa all’avorio. Siza si serve dei materiali per individuare i percorsi e gli ambienti. Studiando attentamente uno schizzo riguardante la soluzione dell’ingresso si percepisce la volontà dell’architetto di trattare il materiale come elemento compositivo. All’interno della galleria la pietra lucida genera un contrasto molto forte con l’opacità dell’intonaco bianco. Il sistema orizzontale della pietra si piega sulla parete formando i vari battiscopa che segnano i percorsi e anticipano il materiale di cui sarà rivestito l’ambiente verso il quale si procede. I cambi di piano sono segnati sempre dalla pietra che si piega producendo soluzioni nuove nelle scale: infatti è tipico trovare all’interno dei progetti di Siza il primo gradino con l’alzata coincidente col piano della pedata, soluzione insolita e anticonformista. La pietra quindi non riveste semplicemente le superfici, ma si piega e si conforma ai vari ambienti, segnalandoci i percorsi da prendere, invitandoci a salire o scendere, spiegando chiaramente i cambi di piano e di scala. Un battiscopa in legno chiaro proveniente dagli ambienti pavimentati in parquet invece contrasta con la pietra lucida. La galleria diventa quindi un luogo di incontro, l’unico vero luogo comune e partecipato della casa, dove le persone, la natura circostante attraverso le pause già citate, la luce e i materiali stessi dialogano fra di loro.

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Legno teak (doghe)

Pietra locale (blocchi)

Legno scuro

Vegetazione

Intonaco bianco

Pietra locale (lastre)

Legno chiaro

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© Fernando Guerra

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Quaderno di cantiere Com’era dov’era

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6.4 I dispositivi dell’abitare Osservando e studiando i disegni dell’architetto risulta centrale il tema dell’isolamento e dell’indipendenza dei volumi. Un segmento centrale sul quale convergono in maniera apparentemente disordinata tutti i volumi. Un sistema simile, che comporta un’ingente impiego o spreco dei materiali dal punto di vista dell’economia che dell’utilità, può sembrare estraneo alla dimensione domestica. La promenade architecturale può essere schematizzata in due segmenti, il primo dove si inseriscono dei punti lungo la propria traccia e il secondo che finisce in un unico punto di convergenza di numerosi altri punti. I punti rappresentano i volumi e i due segmenti la galleria. Un sistema del genere può essere associato a organismi che hanno una scala maggiore, organismi che funzionano meglio a scala urbana. I punti che si intersecano lungo una traccia possono trovare il proprio modello nel sistema urbano lineare, una strada (segmento), degli edifici (punti). Il sistema dei punti convergenti, e quindi delle forme “raggruppate” trova il suo modello urbano nella piazza. Questo modello “urbano” può trovare le origini nelle geometrie e nelle disposizioni dell’agglomerato urbano dell’antica città di Pergamo, nell’Asia minore del II secolo a.C. L’esponente del Bauhaus Paul Klee già nel 1928, con il suo Meccanica di un quartiere urbano rappresenta un modello di aggregazione e relazione urbana, configurando il tutto in un sistema di quadrilateri che si intersecano. La similitudine con questi sistemi è evidente però bisogna distinguere gli elementi dell’abitare da quelli dell’urbano. A questo proposito interviene Heidegger in Costruire, Abitare, Pensare1: «Un ponte e l’edificio che ospita un aeroporto; uno stadio e una centrale energetica; una stazione e un’autostrada; il muro di contenimento di una diga e un mercato, sono costruzioni non case»

Il sistema dei volumi indipendenti, basato sul rapporto fra il quadrilatero e il percorso principale, ha generato dei dispositivi che permettono di “afferrare le viste”. Fatta eccezione per la porta di ingresso, le aperture sono tutte uguali secondo i parametri di dimensione, forma e composizione. È la maniera in cui si manifestano che è regolamentata da leggi ben precise. La zona giorno che comprende studio, cucina, sala da pranzo e soggiorno è dotata di aperture che si aprono sull’oceano e interagiscono fra di loro generando delle corti significativamente aperte. I quartos, ovvero le camere risultano essere dei quadrilateri doppiamente indipendenti: sono

1 Heidegger, M., Costruire, abitare, pensare, in Conferenze e articoli p. 107.

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separate dalla zona giorno e non dialogano fra di loro. Le aperture verso l’esterno delle camere sono verso la parte più intima del lotto, quella nascosta. Le aperture che danno su un’altra camera trovano di fronte una parete cieca generando nuove corti ancora più intime, raggiungibili solo dalle camere, dal luogo di riposo. Le camere attraverso le aperture diventano degli spazi utili alla disconnessione totale dal mondo e dal resto del nucleo familiare. Gli spazi di risulta fra le camere generano le aperture all’interno della galleria che all’esterno diventano quei vuoti progettati già citati, delle vere e proprie pause-corte. Il doppio infisso rifinito nella parte esterna con la stessa pelle che avvolge i volumi permette a Siza di adoperare dei concetti tipici della sua produzione, quelli di chiusura, estraniazione, intimità. La casa può aprirsi completamente e permettere di relazionarsi con la natura, concedersi in parte destinando parzialmente uno scambio fra uomo e paesaggio, oppure chiudersi totalmente. Quest’ultimo fenomeno genera un rapporto fra la verticalità del materiale ligneo e la forte orizzontalità del basamento in pietra, elevando l’architettura a un elemento scultoreo o addirittura a prodotto stesso della natura.

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Spazi indipendenti

Forme raggruppate e lineari

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Studio sui volumi indipendenti

Sistema dei percorsi

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Distribuzione puntuale degli ambienti

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Sistema puntuale


Sistema delle forme

Sistema urbano

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Pianta dell’antica città di Pergamo Asia Minore, II sec a.C.

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Meccanica di un quartiere urbano Paul Klee, 1928

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Il quadrilatero

Studio sulla composizione con un accenno alle aperture degli ambienti

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Il sistema dei quadrilateri


Quadrilatero vuoto

Un’apertura

Quadrilatero pieno

Tre aperture

Adiacente con tre aperture

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Quadrilatero contenitore

Un’apertura

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Un’apertura

Due aperture


Vuoto

Pieno

Contenitore

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Le aperture

Sistema totale delle aperture

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Aperture degli ambienti


Zona giorno

Zona notte

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© Fernando Guerra

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Aperture del corridoio-galleria

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Pause/corte


© Fernando Guerra

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© Fernando Guerra

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6.5 Sulla conversazione con Fernando Ferraz Fernando, che ora è il manutentore della casa, si mostra molto entusiasta di accompagnare la visita e spiegare tutto. Esordisce dicendo che la costruzione ha impiegato due anni e hanno lavorato circa 15 persone e che durante i lavori venivano a visitare il cantiere numerosi gruppi di studenti. Il problema fondamentale per Fernando era inizialmente il rapporto con Siza. Egli, non avendo mai lavorato per l’architetto portoghese, credeva di trovarsi di fronte una persona autoritaria e non curante dei lavoratori umili come lui. L’incontro e il lavoro con l’architetto però hanno cambiato la sua opinione. Siza viene descritto da Fernando come una persona disponibile, dall’animo nobile e soprattutto semplice. Siza era solito visitare il cantiere una volta al mese, tesi confermata anche da Ana Silva sua collaboratrice, mentre Antonio Madureira che ha collaborato alla realizzazione del progetto monitorava il cantiere settimanalmente. Siza era solito spiegare tutto. Fernando racconta: «Una volta non capivo un dettaglio e chiesi a Siza, il quale a sua volta mi chiese una sedia, una matita e un foglio di carta. Prese le misure a occhio, rapportando il tutto con la matita (come solo lui sa fare) e mi diede uno schizzo. Non avevo più bisogno dell’esecutivo. Siza è geniale!»

Fernando reputa il processo di costruzione abbastanza semplice perché disegnato fino ai minimi dettagli da Siza, anche se non può fare a meno di citare la difficoltà rilevata durante le finiture dei numerosi angoli acuti. L’encarregado general non ha smesso di assicurare la meticolosità dei processi costruttivi in modo da realizzare un opera interamente inerente al progetto fornito da Siza. In pratica fra progetto e architettura realizzata non c’è alcuna differenza, il prodotto finale segue esattamente le linee e gli schemi dettati da Siza in fase progettuale. Fernando si mostra molto legato al progetto e ricorda ogni fase del cantiere, concentrandosi molto sui dettagli, cosa che fa capire quanto questi elementi siano importanti nell’architettura di Siza. Un’ultimo aneddoto della conversazione con Fernando riguarda un oggetto presente all’interno: un televisore Algol Brionvenga disegnatp da Sapper e Zanuso nel 1964. Alla domanda “funziona?”, Fernando sorridendo risponde “Si, in questa casa funziona tutto!”1

1 Appunti di viaggio, 21 settembre 2016

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Fernando Ferraz

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Capitolo 7

CASA NETO Anno: 1954-1957 Località: Matosinhoa, Porto, Portogallo Cliente: Fernando Neto Con: Fernando Távora


7.1 Il contesto Matosinhos si trova a nord-ovest di Porto e oggi, assieme a Leça de Palmeira, rappresenta l’estensione massima della città nella parte settentrionale. Matosinhos è oggi una delle zone più dinamiche del paese, con un’invidiabile energia socio-culturale, con un dinamismo associativo difficile da uguagliare e con una capacità unica di creare, fare, organizzare. Sulla costa della città si trova il porto di Leixões, costruito nel tardo XIX secolo, il più grande porto artificiale del Portogallo e porto principale nell’area metropolitana di Porto. Matosinhos è fortemente influenzata dalla città di Porto, essendo di recente fondazione per gli standard portoghesi. Raccoglie in sé le tradizioni di pesca della costa settentrionale, in particolare delle comunità di pescatori di Póvoa de Varzim e Vila do Conde, le più forti della zona, ma anche le tradizioni rurali del territorio di Maia. È anche in questa città, ma principalmente nella frazione di Leça da Palmeira, che si trova l’Exponor, il più grande centro industriale del Paese. Matosinhos ospita oggi bel 167.026 abitanti, anche se in passato riuscì a essere la seconda città del Portogallo con circa 300.000 abitanti. Il centro storico si mostra molto curato e finemente restaurato, dove l’architettura vernacolare e quella tradizionale si fondono con numerosi esempi contemporanei. Casa Neto è una delle Quattro case a Matosinhos, progettate da Siza prima ancora di finire gli studi. Il lotto è posizionato nell’intersezione fra Rua Dr. Filipe Coelho e l’Avenida dom Alfonso Henrique, che dal mare penetra fino all’interno della città. Lungo quest’asse troviamo un esempio di barocco italiano applicato all’architettura portoghese la Igreja do Bom Jesus de Matosinhos dell’architetto toscano Niccoló Nassoni. Le quattro case vengono quindi inserite all’interno di un contesto consolidato all’epoca della costruzione, fattore ben visibile anche grazie ad alcuni fotogrammi dell’epoca che mostrano il progetto come parte integrante di un sistema urbano già affermato.

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Matosinhos Porto Matosinhos

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Matosinhos Scala di origine 1.1000

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Avenida D. Afonso Henriques

Rua Dr. Filipe Coelho

Viste dal sito

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7.2 Il progetto

«Le quattro case a Matosinhos (due isolate e due accoppiate) furono costruite nel 1957. Ciò che ricordo meglio è l’emozione e l’entusiasmo di testimoniare per la prima volta la costruzione di un mio progetto. Il contatto diretto con eccellenti artigiani, imparando tecniche e questioni pratiche, trasformando e migliorando il sapere acquisito alla Scuola di Porto […] I riferimenti per il progetto furono molto contestuali, le attività principali erano la pesca e l’industria delle conserve alimentari1».

Casa Neto è stata progettata nello spazio derivante dall’intersezione fra le due strade su cui è posizionato il lotto e il muro perimetrale che ne divide le proprietà. Non esistono dei parametri utili a scegliere le “viste” o ad aprire o chiudere in un determinato modo la casa nei confronti del contesto. Il disegno della pianta e la disposizione interna degli ambienti (zona giorno al piano terra, zona notte al piano superiore) rimandano a un programma di tipo accademico molto legato alla tradizione e alla formazione stessa dell’architetto. Il disegno della pianta deriva da una serie di traslazioni degli assi principali che delimitano il lotto: strade e muri perimetrali. Le scelte progettuali vanno ricercate quindi all’interno della formazione che si rifà principalmente alla cosiddetta Scuola di Porto (termine che Siza non ama utilizzare in quanto afferma che ci sia una sorta di euforia sulla Scuola di Porto, usata anche politicamente, che egli stesso si sente obbligato a combattere perché finta, frutto di pura ipocrisia). La reperibilità delle informazioni negli anni ’50 non trova nessun termine di paragone con quella attuale e anche strumenti come libri erano molto rari. Non è un caso che L’Architecture d’Aujourd’hui, dedicato monograficamente ad Alvar Aalto, è il primo testo che Siza legge da studente2. Seguono Storia dell’architettura Moderna dove Bruno Zevi fa conoscere al mondo il lavoro di Frank Lloyd Wright, il quale viene trattato anche da Henry-Russel Hitchcock nel suo In the Nature of Materials 1887-1941, The Buildings of Frank Lloyd Wright. Questi testi rappresentano dei momenti fondamentali all’interno della formazione di Siza che coin-

1 Álvaro Siza, in A+U Architecture and Urbanism. Beginning with the House / May 2016 Special Issue, Nobuyuki Yoshida, A+U Publishing Co., Ltd, Tokyo, 2016, p. 5 2 Jose Salgado, Álvaro Siza em Matosinhos, Câmara Municipal de Matosinhos, 2005

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volgeranno tutti i progetti della sua prima fase. A questo proposito è Siza stesso a spiegare quali fossere le correnti predominanti dell’epoca: «La conoscenza, sebbene non diretta, della recente evoluzione dell’architettura Europea generata consequenzialmente alla rivoluzione e alla ricostruzione postbellica - in Francia, Italia, Germania, Inghilterra - fu un altro grande riferimento. La Scuola di Porto era rivolta al neorealismo italiano. Il personaggio principlae della Scuola di Porto era comunque Le Corbusier. Il dibattito interno però, promosso principalmente dal professor Fernando Távora, articolava modernità e le radici della cultura portoghese. Ronchamp fu pubblicata in quell’epoca, fu un’affascinante rivelazione per me3». «La cultura neorealista è stata una componente molto forte del pensiero sull’architettura di quel periodo. E hanno avuto un grande impatto gli scritti di Zevi che ha rivisitato F. L. Wright, Aalto, i lavori che si facevano in Italia4». «Il lavoro e il pensiero di Aalto diventano quindi - inevitabilmente - un punto di riferimento e una fonte di meditazione5».

Le Corbusier, Aalto, Wright, Távora e il neorealismo italiano risultano quindi i temi centrali nella formazione di Álvaro Siza studente, perché è importante ricordare che il progetto sia stato realizzato durante la fase degli studi. Un richiamo esplicito all’architettura di Le Corbusier si trova nella facciata di una delle quattro case, ovvero quella che si trova nell’intersezione fra Rua Dr. Filipe Coelho e Rua Dr. Forbes Bessa dove la soluzione adottata e il colore richiamano a Ronchamp, finita due anni prima (1955) del progetto di Siza. La lezione di Aalto si trova all’interno, nella sala, dove il legno lavorato grazie alla maestria dei carpentieri navali, viene impiegato in maniera esemplare producendo una scala e una balaustra dal valore scultoreo, chiaro insegnamento ottenuto dallo studio di Villa Mairea del 1937. In questo progetto infatti l’impiego del legno non risulta essere solo una scelta dal punto di vista del materiale in modo tale da mantenere un legame con la tradizione portoghese, ma la volontà di sperimentare il materiale e di applicarlo all’abitare. Un’esempio è sicuramente la scala, progettata e

3 Álvaro Siza, in A+U Architecture and Urbanism. Beginning with the House / May 2016 Special Issue, Nobuyuki Yoshida, A+U Publishing Co., Ltd, Tokyo, 2016, p. 5 4 Paolo Vagheggi, Álvaro Siza, l’architetto non abbia fretta, intervista ad Álvaro Siza, La Reppublica, 8 novembre 1999 5 Jose Salgado, Álvaro Siza em Matosinhos, Câmara Municipal de Matosinhos, 2005

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costruita con sapienza, senza l’impiego di elementi di giunzione metallici, attraverso un sistema di incastri perfetti. L’insegnamento principale sta sicuramente nell’opera e nella ricerca di Fernando Távora. A questo proposito Siza stesso afferma che: «È stato il primo a interessarsi del mio lavoro. Mi invitò a collaborare con il suo studio quando ero all’ultimo anno di architettura: fu come frequentare una seconda scuola. Távora viaggiava molto e al ritorno ascoltavo i suoi racconti su ciò che stava accadendo nel mondo dell’architettura. A questi interessi internazionali si sovrappose un lavoro molto importante per il mio paese, una Ricerca sull’architettura vernacolare portoghese: fu un modo per demistificare l’idea superficiale dello stile nazionale, uno stile imposto e inventato6».

Le risposte a questo progetto e a quelli che seguirono, fra tutti la Casa de Chá da Boa Nova, trovano le proprie basi nella ricerca sull’architettura vernacolare portoghese. Távora fu l’esponente principale di questa corrente, la quale guardava principalmente alle costruzioni dell’antica regione del Minho, che comprendeva tutta la parte settentrionale dell’odierno Portogallo e una parte della Galizia. La figura di Fernado Tàvora costituisce il centro attorno al quale ruota la coscienza collettiva del gruppo di architetti appartenenti alla cosiddetta Scuola di Porto, la scintilla generatrice di questo “movimento” si puo’ ricondurre all’Inquerito, la ricerca condotta sull’architettura popolare portoghese, sull’architettura senza architetti, nell’intenzione di trovare nei segni e nelle forme depositati sul territorio, una risposta alla crisi della modernità7. In questo primo periodo il parallelismo con Távora è abbastanza singolare. Le scelte formali e stilistiche condivise sono ricorrenti sia dal punto di vista architettonico che dell’impiego dei materiali. Entrando nella strada che ospita le case è come se si entrasse in un altro mondo, con un’evidente differenza di scala, segnata dalle alte silhouette degli edifici circostanti. Il conjunto delle quattro abitazioni accompagna il percorso nella strada armoniosamente, con i sui tetti di tegole portoghesi pendenti in tutte le direzioni e le sue facciate quasi pittoresche. Il brutalismo di Le Corbusier e gli insegnamenti di Távora sono espliciti all’attento osservatore. Anche se molto diverse sia all’interno che nella volumetria esterna, le case plasticamente formano un complesso unitario, diventando

6 Jose Salgado, Álvaro Siza em Matosinhos, Câmara Municipal de Matosinhos, 2005 7 Giuliano Zerillo, La (Anti)Scuola di Oporto, Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Architettura, Dottorato di ricerca in Composizione Architettonica

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indifferenti al contesto, elevandosi ancora una volta a elementi scultorei piuttosto che architettonici. In un contesto morfologicamente disparato e frammentato, queste case assumono una varietà di vocabolario e soluzioni sperimentali, “permesse” dalla costrizione dall’esterno, poco definito, e la poca conoscenza della vita dei futuri residenti. Siza stesso dichiara di aver tentato, più che di applicare un linguaggio basato su un programma di compromesso fra quello che egli stesso pensava e quello che i clienti volevano8. Il programma di Casa Neto permette di percepire una sorta di realismo limitato e ingenuo dove è presente una semi-rigida distribuzione per zone, defindendo una soluzione “da dentro verso fuori”, che risulta essere il risultato inevitabile di una serie di scelte. L’ingresso principale sta su rua Dr. Filipe Coelho e un ingresso secondario con annessa autorimessa si affaccia su Avenida Afonso Henriques. La disposizione interna è ben definita affinché ambienti e fruitori entrino in contatto solo se necessario. Siza definisce i proprietari “capitani di pescherecci in cammino verso il nuovo ricchismo, ma non ancora nuovi ricchi9”. Nella classe media del tempo era fondamentale avere un servizio di inservienti in casa e destinare una camera per quest’ultimi. Siza riesce a convogliare tutte gli ambienti destinati a questi fruitori (camera inservienti, cucina, lavanderia, dispensa, servizi, ingresso secondario), estranei al nucleo familiare, in un unico sistema lineare che si affaccia su Avenida Alfonso Henriques. Così facendo genera un disegno in pianta che separa l’area della famiglia (pubblica) dall’area destinata ai domestici (privata). In una partizione abbastanza rigida, si riscontra una certa fluidità in quella che è la zona soggiorno che si relaziona con l’esterno e con il piano delle camere. In un solo vano si creano due aree, sala da pranzo e soggiorno, su diversi livelli, in cui la più alta si apre completamente al patio esterno. Una scala in legno permette il collegamento con il piano di distribuzione delle camere che ha una funzione di patio più che di corridoio. L’apertura totale del vano a doppia altezza verso l’esterno e un taglio verticale a tutta altezza sulla parete che da sul giardino privato permettono alla luce di penetrare in questo spazio, che risulta essere il più grande e affascinante dell’intera opera. La forma del progetto, derivando dalla già citata traslazione degli assi principali comporterebbe una distorsione nell’incontro dei due volumi principali che compongono la casa. Siza riesce a ovviare a questo problema inserendo un volume cilindrico che contiene un vano scala, il quale oltre a segnare l’ingresso principale, rende possible l’accesso ai quartos senza entrare in contatto con la sala a doppia altezza.

8 Álvaro Siza, lettera a Nuno Portas, Porto, 26 gennaio 1967 in Antonio Angelico (a cura di), Álvaro Siza - Scritti di Architettura, Milano, Skira, 1997 9 Álvaro Siza, lettera a Nuno Portas...

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Le camere e le zone di servizio cercano di tenere una certa intimità, chiudendosi verso l’esterno e aprendosi in maniera minima con diversi tipi di aperture e luminosità. Le camere che danno su Avenida Alfonso Henrique hanno una maggiore relazione con l’esterno, grazie a una varanda continua, rivestita in legno opaco, generando così un prospetto/manifesto di un’architettura che trova le sue radici nel vernacolare lusitano. Il rapporto con l’esterno privato, all’interno dei lotti, mostra ancora una volta una ricerca continua dell’intimità, dovuto all’esiguo numero di aperture. L’unico punto in cui c’è un vero e proprio contatto fra interno ed esterno, sia dal punto di vista della continuità spaziale che dal punto di vista meramente architettonico della quota, si trova nel grande volume a doppia altezza della zona giorno. Un’intimità voluta e quasi schematizzata, che ha generato un programma rigido e poco compromissibile. La casa apparentemente statica, trova un ambiente inaspettatamente dinamico nella sala, dove natura, materiali e forme si fondono provocando quel gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi sotto la luce che è l’architettura (L.C.).

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Pianta delle “Quattro case” Scala di origine 1.500

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Derivazione della forma

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+1

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Dall’alto verso il basso Pianta piano terra Pianta piano primo Scala di origine 1.200

Legenda: 1. Ingresso | 2. Studio | 3. Sala | 4. Servizi | 5. Dispenza | 6. Cucina | 7. Lavanderia | 8. Camera inserviente | 9. Zona Living | 10. Camere | 11. Garage

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Dall’alto verso il basso Prospetto N-E Prospetto S-O Sezione A-A’ Scala di origine 1.200


Dall’alto verso il basso Prospetto S Prospetto N Sezione B-B’ Scala di origine 1.200

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Esploso dei corpi

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Assi, orientamento e rotazioni

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Galleria fotografica Archivio personale

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La lezione del maestro

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Ritratto di Fernando Tรกvora

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Pavilhão de Ténis, Matosinhos 1956-60 Fernando Távora

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Prospetto N-E

Sezione B-B’

scala 1:200

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7.3 I materiali In questa prima casa Siza adopera una grossa varietà di materiali. Quello che salta all’occhio è l’attento e meticoloso disegno che si evince da ogni singolo particolare che porta l’osservatore a capire la grande collaborazione e il continuo scambio di idee fra l’architetto e i vari artigiani. I materiali utilizzati per la costruzione della muratura rappresentano un ibrido fra il tipico sistema portante in pietra sbozzata e delle moderne travi in calcestruzzo armato. «Era il desiderio dei giovani architetti di quel tempo costruire con il calcestruzzo, più caro e non molto accettato da promotori e costruttori. La muratura tradizionale era quasi obbligatoria per la classe media, molto conservativa, riguardo le singole case familiari1».

Le pareti esterne sono rivestite di intonaco bianco grezzo e i sulle falde dei tetti è presente la tipica texture della tegola portoghese. I pluviali e i canali di gronda che delimitano le falde dei tetti, sono dipinte in verde scuro; lo stesso trattamento viene adoperato per gli elementi in ferro, come corrimano, cancelli e balaustre perimetrali. Il muro perimetrale esterno, alto poco più di un metro, è realizzato in conci di granito disposti in maniera continua su tutta la superficie, anche nei punti in cui il tracciato esterno incontra la costruzione. Questi uniti al legno, scuro e opaco, degli infissi e della balaustra al piano delle camere, rappresentano l’insieme dei materiali e della policromia che rivestono l’esterno della casa. Gli interni rappresentano invece un motivo di sperimentazione per il giovane Siza, che per la prima volta si misura con quel rapporto, mai tormentato, fra scultura e architettura, tipico della sua formazione. Il blocco lineare al piano terra destinato agli inservienti, ad eccezione della camera è interamente rivestita con un mosaico vitreo giallo/arancio molto acceso. La finitura vitrea permette alla luce, che proviene da una finestra a nastro continua su tutta la parete che da su Avenida Alfonso Henrique, di propagarsi facilmente all’interno. In questo ambiente Siza adopera un pavimento in gres dalla tonalità verde scura. Le porte e gli infissi di tutta la casa sono in legno scuro e sono il risultato di un’attento disegno. La pavimentazione del resto della casa è in legno chiaro posato in opera secondo il metodo a mosaico (o quadrato). Le travi in calcestruzzo, con toni avorio e verde, derivanti dai materiali adoperati per la realizzazione

1 Álvaro Siza, in A+U Architecture and Urbanism. Beginning with the House / May 2016 Special Issue, Nobuyuki Yoshida, A+U Publishing Co., Ltd, Tokyo, 2016, p. 5

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del conglomerato, sono lasciate a vista in tutta la casa e contrastano perfettamente con l’intonaco bianco che riveste il resto della casa. La scala e il patio di distribuzione al piano superiore che danno sulla scala, rappresentano un unico elemento scultoreo in legno scuro, derivante dalla tradizione finlandese. La struttura della copertura è in legno con un isolante in sughero lasciato a vista, scelta apertamente adoperata anche da Fernando Távora. È sempre all’interno della sala che i materiali convivono e si relazionano fra di loro. Il bianco dell’intonaco genera un ambiente caldo e accogliente, il rapporto con l’esterno e il conseguente ingresso della luce e del calore del sole indica il luogo dove fermarsi e rilassarsi. Le travi in calcestruzzo lasciate a vista, dettano i cambi di piano e dialogano perfettamente in un trittico che trova le sue radici sempre nella lezione di Fernando Távora, che nel Pavilhão de Ténis, ultimato nel 1960, riesce a far coesistere questi tre elementi in maniera altrettanto armoniosa e simbolica.

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Intonaco bianco grezzo (esterno)

Intonaco bianco (interni)

Granito (conci)

Mosaico vitreo

Calcestruzzo a vista

Sughero

Pietrisco (pavimento veranda)

Legno scuro

Gres verde

Legno chiaro (parquet)

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7.4 I dispositivi dell’abitare Trovare dei veri e propri dispositivi in un sistema talmente semplice e rigido risulta un’azione molto complicata da intraprendere. Si possono riscontrare numerose sperimentazioni, con ottime riuscite, dal punto di vista plastico e materico all’interno del progetto, ma riuscire a percepire quegli strumenti che garantiscono una certa modalità dell’abitare dal punto di vista compositivo è davvero una sfida. La questione principale, che richiama a uno dei temi essenziali in Siza, riguarda il patio e consequenzialmente le modalità con le quali vengono trattati i volumi che lo delimitano. In una casa così compatta un vero e proprio patio non esiste, fatta eccezione per alcune corti private disposte con precisione all’interno dell’area del giardino. È importante quindi considerare la casa nella sua compattezza e unitarietà, reinterpretandone gli spazi. Per comprendere meglio questo meccanismo è fondamentale notare come l’architetto disponga tutti gli ambienti della casa attorno al volume a doppia altezza, unico spazio tralaltro che dialoga con l’esterno. Lo spazio del soggiorno e della sala diventa quindi uno spazio estraneo alla casa e allo stesso tempo compreso e compresso da un muro che diventa volume. Un volume contenitore di tutte le funzioni della casa, dotate di muri e porte che permettono di scegliere se essere partecipi o no del grande patio, coperto e semiaperto della sala. Il muro inoltre assume la funzione di segno, tracciato o limite. All’interno della casa, come abbiamo già detto, due nuclei estranei fra di loro, convivevano la famiglia e i domestici. Il muro che separa la il sistema lineare destinato alla fruizione dei domestici, rappresenta una vera e propria linea di demarcazione, fra pubblico e privato, fra familiare ed estraneo, fra domestico e domestici. È ancora una volta il muro e ancora una volta Távora a dettare una soluzione abbastanza singolare. Le camere, lo studio e la dispensa sono dotate di una parete polisuperficie che, piegandosi su entrambi gli ambienti, permette un’evidente incremento del volume del setto divisorio. Più che un incremento, si viene a creare un volume in un elemento bidimensionale trattato in maniera tridimensionale. Nelle tre azioni di avvolgere, dividere, piegare risiedono le basi dei concetti di proteggere, rendere intimo e nascondere, tipici dell’architettura di Álvaro Siza.

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Il muro-volume

Volume a “L� contenitore di: - Ingresso - Cucina - Lavanderia - Camera inserviente - Studio - Camere - Servizi - Vano scala

Spazio-corte semi aperto: - Pranzo - Sala

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Il muro-traccia

4

Spazio di pertinenza dei domestici: 1. Ingresso secondario 2. Cucina 3. Lavanderia 4. Camera inserviente 5. Dispensa 6. Servizi

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2 6 1

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5


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Il muro-polisuperficie

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Casa Ofir 1956-58 Fernando Tรกvora

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7.5 Sulla conversazione con Maria João Neto Maria João Neto è la figlia del proprietario Fernando Neto, ormai ultranovantenne. Maria si mostra molto entusiasta nell’accogliere visitatori all’interno di quella che è stata anche casa sua per circa trent’anni della sua esistenza, e inaspettatamente abbastanza preparata riguardo concetti puramente architettonici. Fiera di vivere in una casa progettata da Siza e altrettanto fiera del fatto che l’architettura non abbia subito modifiche nel corso degli anni, Maria non perde l’occasione di puntualizzare come le tre case adiacenti siano state modificate e che quindi abbiano perso il valore dell’autenticità. Precisa che tutto è stato progettato da Siza, dai mobili della cucina alle finiture, fino alle lampade ancora presenti e particolarmente in ottimo stato. Racconta di una vicenda riguardo la bellissima scala in legno del soggiorno. Per ovviare al primo cambio di quota, quello che dalla sala da pranzo porta al soggiorno, Siza aveva optato per una scala interamente in pietra, soluzione che però non piacque alla madre di Maria, la quale concesse un solo gradino in pietra all’architetto e tutto il resto in legno, forma in cui si presenta attualmente la suddetta scala. Rimanendo sempre al piano terra, Maria ci mostra il vecchio escritorio, oggi adibito a una piccola saletta. Sulle pareti di questa stanza si racconta la storia della casa. Atto di compravendita, foto dei modelli e disegni originali sono ben incorniciati e degni di una mostra. Sui disegni si nota una firma piuttosto recente che dice: «Assino com 55 anos de atraso, porque não altura não pude assinar, porque ainda não era arquitecto» Álvaro Siza Vieira

Dopo aver visto le camere è la volta del giardino. Indicando una struttura in muratura destinata agli attrezzi da giardinaggio di recente costruzione, assicura dicendo che Siza ha approvato la modifica durante la sua ultima visita! L’ultimo aneddoto di Maria riguarda la nascita di sua figlia. Nelle famiglie portoghesi del passato, come in quelle siciliane del dopoguerra, quando ci si sposava si sera soliti vivere nella casa di famiglia per il primo periodo o in alcuni casi per tutta la vita. La figlia di Maria è nata proprio in questa casa e durante una recente mostra, ha incontrato Siza facendosi firmare un catalogo dell’esposizione: «Para a neta da minha primera vitima1»

1 Appunti di viaggio, 26 settembre 2016

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Maria JoĂŁo Neto

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Capitolo 8

CASA ALVES COSTA Anno: 1964-1968 Località: Moledo do Minho, Caminha, Portogallo Cliente: Henrique Fernando Alves Costa Collaboratori: António Madureira, Francisco Guedes de Carvalho, Alexandre Alves Costa


8.1 Il contesto Moledo si trova a circa un’ora d’auto da Porto verso il nord e si affaccia sul fiume Minho che separa il Portogallo dalla Spagna, o meglio dalla Galizia. Moledo do Minho appartiene alla municipalità di Caminha ed è una delle località balneari storiche del Portogallo. Una pineta su un promontorio sul mare, la Mata do Camarido, chiude il modesto centro abitato, ed è proprio alle pendici di essa che si inserisce Casa Alves Costa. La casa fu ultimata nel 1968 e rappresenta una delle nuove abitazioni previste dal Piano di Urbanizzazione di Moledo do Minho, in un contesto che hai tempi era davvero suggestivo. Una casa immersa in una pineta che degradava lievemente verso l’oceano. Siza stesso ci fornisce delle informazioni riguardo al posizionamento della casa: «La collocazione proprosta non è esattamente quella indicata nella planimetria del Piano di Urbanizzazione di Moledo do Minho. Con ciò, essendo il risultato dell’attento studio del terreno, non è comunque in disaccordo con lo spirito del Piano, il quale prevede in sostanza variazioni alle volumetrie indicate, purché giustificate1».

Il luogo e l’aspetto topografico, anche questa volta rappresentano le fondamenta su cui si basa il progetto.

1 Álvaro Siza, Porto, 15 febbraio 1965 in Alessandra Cianchetta, Enrico Molteni, Álvaro Siza Case 1954-2004, Milano, Skira 2004, p. 44

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Caminha Caminha Moledo do Minho

Viana do Castelo

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Praia do Moledo

Mata do Camarido

Viste dal sito

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Soleggiamento

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8.2 Il progetto Nel periodo antecedente alla rivoluzione dei Garofani, che pose fine al regime di Caetano (succeduto a Salazar nel 1968) e che portò al ripristino della democrazia, la normativa urbanistica era molto labile e poco dettagliata. Bastava forinire un progetto di massima, il quale dopo essere stato approvato, poteva comportare delle modifiche in fase di cantiere, cosa che generava una sorta di dualismo partecipato fra architetto e cantiere. Un caso emblematico, che verrà spiegato successivamente grazie a delle comparazioni fra i disegni e lo stato di fatto, riguarda le differenze fra progetto originario e progetto realizzato presenti in Casa Alves Costa. «La casa si sviluppa su di un unico piano e a forma di conchiglia, in relazione alla topografia del terreno, in modo che le zone abitate siano rvolte verso l’interno. Risulta da questo principio uno spazio esternom come prolungamento della casa, delimitato dal volume della costruzione e dal rilievo del terreno, spazio di sufficiente intimità e al riparo dai venti dominanti che compensa la riduzione al minimo necessario della superficie coperta1».

La casa fu commissionata dal critico cinematografica Henrique Fernando Alves Costa il quale aveva instaurato con Siza un ottimo rapporto di amicizia, tanto che il figlio, Alexander, architetto, partecipò al progetto dell’opera. L’abitazione, come tutte le altre nel quartiere, ospita una casa vacanze fornita di cucina, ampio soggiorno, tre camere più una per i domestici. Il rapporto di stima e amicizia fra Siza e la famiglia, unito al rispetto reciproco fra progettista e artigiano, in questo caso un sapietne e raffinato falegname di barche di lusso, hanno generato un’opera molto fortunata, una costruzione molto fruttuosa e buona. Casa Alves Costa può essere inserita in una fase di passaggio fondamentale, dove il compromesso fra aperto e intimo viene risolto in maniera esemplare dall’architetto. La casa volta le spalle al mare e dalla strada è possibile vedere un volume bianco continuo, interrotto solo in due punti contigui tramite l’inserimento di finestre molto differenti rispetto al progetto originario. Il mare si sente, il vento è quello tipico dell’oceano e la sabbia è sulle tegole, invade il patio e si adagia sulle fronde dei pini. Alexander Alves Costa fa un’appunto riguardo questo atteggiamento di Siza che porta a generare uno spazio protetto dall’ambiente circostante: «Con i miei genitori c’era una relazione meravigliosa. Siza passava li qualche giorno di vacanza e reava

1 Álvaro Siza, Porto, 15 febbraio 1965 in Alessandra Cianchetta, Enrico Molteni, Álvaro Siza Case 1954-2004, Milano, Skira 2004, p. 44

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con i clienti una relazione di una certa intimità. Mio padre diceva che tutti quelli che vogliono costruire una casa sulla spiaggia vogliono vedere il mare, questo è normale. Ma Siza spiegava che era anche orribile vedere il mare tutto il giorno, mattina e sera: voleva creare un mondo diverso. Ora noi diciamo, “benedetta l’ora in cui abbiamo deciso di togliere la vista”… e alla fine non c’è nulla di sorprendente: la casa è interiore perché rappresenta un mondo a parte, effettivamente è una casa privata e funziona molto bene. Siza cercava in quel periodo una sorta di protezione dal mondo esterno, un’intimità per l’appunto molto domestica, privata2».

I proprietari della casa erano persone molto aperte, ai quali piaceva avere sempre gente in casa quindi era necessario conciliare questo senso di comunità allargata, dove ognuno poteva trovare il suo spazio. Per ovviare a questo problema l’architetto opta per una grande sala che divida e allo stesso tempo colleghi le due parti della casa. Il blocco delle camere e la zona destinata alla cucina con annessa camera per i domestici, convogliano nella complessa sala in maniera quasi ortogonale. La sala si presenta come uno spazio piuttosto aperto, dove si vede tutto, con angoli isolati, più raccolti come la finestra che apre sul patio d’ingresso, o il soggiorno marcato da un abbassamento del solaio. La casa che ha rispettato la topografia del luogo volta le spalle alla strada, all’oceano, al mondo esterno, generando un grande patio comune, delimitato proprio dal mutamento del terreno che tende a elevarsi in quota, dove si affacciano tutti gli ambienti della casa, fatta eccezione per la camera dei domestici. Ancora una volta la casa tende a fornire dei segnali rilevanti su quelli che sono i membri del nucleo familiare, gli estranei, i luoghi su cui si convogliano le funzioni e i fruitori, in maniera ben precisa. Un fattore che colpisce molto il visitatore riguarda la scala del progetto. La casa è stata progettata per gli Alves Costa e per i loro ospiti, i quali in occasione delle feste e degli eventi organizzati dalla famiglia riescono a trovare il loro spazio nella grande sala e nella corte privata interna. È singolare infatti riscontrare una misura, soprattutto in altezza, minima negli ambienti, dovuta proprio alla statura dei fruitori. L’altezza media in Portogallo negli anni ’60 era inferiore a 1,70 m. Le parole di Alexander Alves Costa possono essere utili a capire questo concetto: «Sembra una casa in certi punti molto piccola, soprattutto durante la costruzione la casa sembrava molto piccola. Mio padre andava in cantiere e si buttava giù per terra per vedere bene come era lo spazio, e poi si discuteva molto: ricordo mio padre dire: “io qui non posso dormire”. Ho una foto molto bella: ci sono tutti e due, Siza e mio padre per terra, per vedere che in quella che sarebbe stata una stanza da letto potevano

2 Alexander Alves Costa, Porto, 3 ottobre 1999 in Alessandra Cianchetta, Enrico Molteni, Álvaro Siza Case 1954-2004, Milano, Skira 2004, p. 47

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dormire due persone. Siza misurava tutto con il corpo… allora, ora no, ora già sa tutto. Ma effettivamente è così. Perlomeno nelle prime opere. Prima di fare questo progetto per esempio abbiamo fatto un viaggio a Santillana del Mar vicino Santander. C’è un’architettura molto bella, vernacolare, che a Siza piaceva molto e che amava misurare. Effettivamente la casa ha delle dimensioni minime, il minimo per poterci entrare. A Siza piaceva molto anche una moschea di Fez, che ha un’entrata molto bassa, credo che ci si passi, però dava la sensazione di non passarci. Un mese fa sono venuti degli americani e quesi non c’entravano, non passavano. Il soffitto si abbassa nelle stanze da letto e nei punti di passaggio, per uscire, dove si ha la sensazione di doversi abbassare, anche se ci si passa, effettivamente. Anche gli americani, alla fine, ci passavano3».

Volendo infine descrivere la casa si può dire che ha una configurazione a “L”, con una doppia lieve rotazione, a un solo piano: si presenta ermetica e bassa, molto integrata tra i pini, con copertura a falde inclinate in tegole portoghesi, uniformemente verso l’interno, solo in parte verso strada. La superficie coperta è distribuita in tre zone: da un lato la zona con 3 camere e 2 bagni, nel mezzo la sala e l’ingresso, dall’altro lato la zona di servizio con cucina, camera e bagno di servizio, autorimessa e lavanderia. La cucina presenta una finestra continua “a nastro” girata verso l’ingresso, che a sua volta è girato rispetto all’accesso carrabile esterno. Questo spazio esterno è delimitato da un podio in cemento armato dal quale è possibile accedere al patio interno seguendo un percorso labirintico attraverso l’autorimessa, la lavanderia e la corte privata della camera dei domestici.

3 Alexander Alves Costa, Porto, 3 ottobre 1999 in Alessandra Cianchetta, Enrico Molteni, Álvaro Siza Case 1954-2004, Milano, Skira 2004, p. 47

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1,2. Studio del patio interno

1

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Oceano Atlantico

Pianta del sito scala di origine 1.2000

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Zona giorno

Zona notte

Individuazione delle aree

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8 +0.64

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3 +0.82 +1 +0.82

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Legenda: 1. Ingresso | 2. Sala | 3. Cucina | 4. Camera inserviente | 5. Studio | 6. Camere | 7. Servizi | 8. Lavanderia | 9. Garage

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Pianta piano terra scala di origine 1.200


Pianta coperture scala di origine 1.200

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+0.64 0

+1.60 +0.82 0

+2.40 +1.60 +0.64

+0.82

Dall’alto verso il basso Prospetto N Sezione A-A’ Sezione B-B’ Sezione C-C’ scala di origine 1.200

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Esploso dei corpi

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Studio della forma

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Assi, orientamento e rotazioni

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Galleria fotografica Archivio personale

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Dal disegnare lo spazio all’abitare lo spazio Le modifiche in corso d’opera

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Progetto originale

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Progetto realizzato

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Prosepetto N-O

Disegno originale

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Progetto realizzato

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Prosepetto N-O originario

Prosepetto N-O realizzato

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Prosepetto S-O

Disegno originale

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Progetto realizzato

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Schizzo dove si percepisce già l’idea di una nuova apertura sul prospetto S-O

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Ingresso

Disegno originale

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Progetto realizzato

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Studio del paravento di ingresso

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Dettaglio del paravento di ingresso

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Cucina e camera inservienti

Disegno originale

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Progetto realizzato

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Patio interno

Disegno originale

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Progetto realizzato

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8.3 I materiali I materiali adoperati rispecchiano la condizione di economia utilizzata in tutto il progetto, data anche dall’assenza di rilevanti mobili di design. La costruzione è in muri portanti in pietra o mattoni, intonacati e imbiancati a calce sui quali poggia la struttura del tetto in legno. I serramenti sono di legno verniciato bianco e il pavimento in ceramica color sabbia. Gli interni sono in parte rivestiti di pannelli di legno verniciati avorio. La luce penetrando all’interno genera un ambiente molto caldo e accogliente dovuto dal color sabbia del pavimento e dall’avorio del legno, tanto da annullare il bianco dell’intonaco dei muri lasciati spogli. Tutte le finestre sono dotate di tende avvolgibili in cannette di bambù, materiale che suggerisce la vita della spiaggia. All’esterno le corti sono tutte segnate da un unico materiale, il conglomerato cementizio che contrasta con i bianco acceso della casa. Nell’insieme all’interno e all’esterno della casa riecheggia il tema del mare e della spiaggia dai quali Siza pur proteggendosi, non può fare a meno di attingere, confermando di preferire un’architettura topologica e topografica rispetto a una ricerca di tipo tipologica.

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Intonaco bianco (esterno)

Intonaco bianco (interni)

Legno dipinto bianco

Legno mutistrato dipinto avorio (pannelli)

Piastrella in cotto

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8.4 I dispositivi dell’abitare Per comprendere i dispositivi di una casa così introversa bisogna concentrarsi negli spazi in cui il volume continuo perde la sua opacità permettendo alla luce di entrare, ovvero le corti. Le numerose corti che presenti nel progetto possono essere reinterpretate come dei vuoti progettati. Non sono mai degli spazi di risulta ma fortemente voluti, quindi a loro volta si può attuare un procedimento inverso considerando pieni questi spazi vuoti come pieni e il volume della casa un vuoto con cui dialogare e aprirsi. Il patio interno si apre come un ventaglio permettendo al volume di luce di cui è composto di penetrare all’interno di tutti gli ambienti della casa. Il podio in calcestruzzo ha un’importanza così elevata tanto da spingere Siza a ritagliare ancora una volta il muro per permettere all’interno di dialogare con uno spazio che, seppur coincidente con il percorso carrario, risulta sapientemente chiuso dal volume contenente l’ingresso. L’intima corte dell’ormai ex camera dei domestici è ancora una volta un inno alla domesticità che protegge la camera e ne permette la apertura e il dialogo con la natura. Le mura che rivestono un albero già presente nel lotto, subito dietro le camere, rappresentano l’idillio della corte la quale si eleva come unica parte di natura progettata. La corte quindi rappresenta lo strumento attraverso il quale aprire i volumi e permettere all’uomo di dialogare con la natura, alla natura di coesistere con l’architettura, alla luce di entrare e propagarsi all’interno dell’architettura.

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Il volume della corte

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La corte comune

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La corte privata

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La corte d’ingresso

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La corte di natura

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8.5 Sulla conversazione con Sergio Fernandez Sergio Fernandez è stato professore di Teoria e Progetto dell’architettura alla facoltà di Porto, e oggi è collaboratore e amico di Alexander. Sergio mostra ogni singolo dettaglio della casa, raccontando le vicende collegate a ogni ambiente. Il primo aneddoto riguarda la camera destinata agli inservienti, anch’essa posizionata, come a Matosinhos, in modo da non influire con la vita dei proprietari. La camera si affaccia su un intimo patio che da le spalle all’autorimessa. “Troppo bello e intimo per essere destinato agli inservienti”, racconta Sergio. Difatti la camera mantenne la sua funzione originaria solo per un anno, dopodiché la famiglia se ne “riappropriò”. Sergio, soffermandosi su ogni aspetto che è stato modificato in cantiere ci tiene a raccontare una vicenda singolare riguardo la finestra che dal corridoio delle camere da sulla strada. L’apertura originaria del progetto, viene definita “troppo grande” da Siza il quale opta per la riduzione, con conseguenti polemiche da parte della proprietaria. Siza lascia un segno all’interno del corridoio attraverso una tavola in legno e un bullone i quali segnano la dimensione originaria dell’apertura. La finestra che è stata inserita misura circa la metà in termini di lunghezza. Sergio definisce il patio interno come “il cuore del progetto”. La casa si apre verso l’interno in una corte completamente circondata da pini. Qui si riversavano le attività della famiglia in estate, si conviveva, ci si rilassava e a volte, grazie a una tale intimità e riservatezza, c’era persino silenzio1.

1 Appunti di viaggio, 1 ottobre 2016

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Sergio Fernandez

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Capitolo 9

IL SENSO DELL’ABITARE


9.1 Álvaro Siza: Vivere una casa Non sono mai stato capace di costruire una casa, una autentica casa. Non mi riferisco al progettare e costruire case, cosa minore che ancora riesco a fare, non so se correttamente. L’idea che ho di una casa è di una macchina complicata, nella quale ogni giorno si guasta qualche cosa: lamapada, rubinetto, scarico, serratura, cerniera, presa della luce, ed inoltre scaldabagno, fornello, frigorifero, televisione o video: e la lavatrice, o i fusibili, i ganci delle tende o la chiusura di sicruezza. I cassetti s’incastrano, i tappeti si rompono, e così le stoffe del divano del soggiorno. Tutte le camicie, calzini, lenzuola, fazzoletti, tovaglioli e tovaglie da tavolo, panni da cucina giacciono rotti vicino all’asse da stiro, il cui panno di protezione offre un aspetto penoso. E ancora: vi sono gocce d’acqua che cadono dal soffitto (si guastano i tubi del vicino, o si rompe una tegola, o si scolla la guaina). E le gronde sono piene di foglie grigie, secche o marce. Se c’è un giardino l’erba cresce paurosamente, qualsiasi tempo libero è insufficiente per dominare la rabbia della natura: petali caduti e legioni di formiche invadono le soglie delle porte, ci sono sempre cadaveri di passeri e di topi e di gatti. Il cloro della piscina finisce, si guasta il robot: nessun aspiratore restituisce la trasparenza dell’acqua o succhia le zampe degli insetti, sottili come un capello. Il granito delle lastre o del pavimento si ricopre di pericolosissimo limo, la vernice si sbiadisce, pellicole di vernice si distaccano e mettono allo scoperto i nodi di un legno ridotto a facciata. Qualsiasi dito di vecchia può forare gli infissi, i vetri sono rotti, è caduto il catrame, il silicone si è staccato dalle superfici, c’è muffa negli armadi e nei cassetti, gli scarafaggi resistono agli insetticidi. È sempre finito il grasso quando troviamo la lattina di cui avevamo bisogno, i giunti del legno si scollano, si staccano le piastrelle, prima una, poi la parete intera. E fosse solo questo? Vivere una casa, una casa autentica, è occupazione a tempo pieno. Il padrone di casa è contemporaneamente pompiere di servizio (le case bruciano continuamente, o si inondano, o il gas esce silenziosamente, in generale esplode); è un infermiere (avete già visto le schegge di legno del corrimano ficcarsi profondamente sotto le unghie?); è un nuotatore-salvato, padroneggia tutte le arti e professioni, è specialista in fisica, in chimica, è avoccato - e non sopravvive. È centralinista di servizio, è ricezionista, telefona in ogni momento, cercando idraulici, carpentieri, muratori, elettricisti, e poi apre loro la porta d’ingresso, o di servizio, accompagnandoli con sottomissione: poiché da loro dipende, sebbene nulla eviti la necessità di un’officina completa, la quale anch’essa si degraderà. E allora è necessario affilare le lame, comprare accessori, oliare, riordinare, deumidificare: all’improvviso si guasta il deumidificatore, e subito dopo l’ariia condizionata, le pompe di calore.

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Nonostante ciò nulla supera la tortura dei libri che si muovono misteriosamente ed autonomamente, disordinandosi di proposito, attirando polvere con i loro dorsi e il loro spessore magnetico. La polvere penetra nel bordo superiore delle pagine, piccolissimi animali se le mangiano con un rumore indescrivibile: le pagine si sbriciolano, il cuoio si macchia, gocce d’acqua uscite dai vasi con fiori vicini a morire scorrono sulle incisioni, attraverso le tele in un furioso processo di dissoluzione. La stuoia della porta di ingresso si disfà e c’è un solco profondo nel legno, i peli delle scope si disperdono, si rompono oggetti preziosi, le assi del tavolo e dei mobili si aprono con scricchiolii terrificanti, non funziona lo sciacquone, il caminetto si riempie di fuliggine - un giorno o l’altro si incendia - nella cristalliera si rompono i bicchieri della bisnonna, scoppiano le bottiglie di Vino Verde a cui un nonnulla di zucchero dà vita, saltano i tappi, o marciscono, si perde proprio l’annata più apprezzata. Quando per la prima volta non viene subito sostituita una lampadina fulminata tutta la casa resta senza luce, ciò che invariabilmente succede il sabato, allo stesso tempo in cui si buca una gomma dell’unica macchina disponibile. Perciò considero eroico possedere, mantenere e rinnovare una casa. Secondo la mia opinione dovrebbe esistere un Ordine dei Curatori di Case e tutti gli anni essere attribuita una rispettiva onorificenza e un elevato premio pecuniario. Ma quando questo sforzo di manutenzione e non è apparente, quando il salutare odore di cera di una casa, peraltro ben ventilata, si mischia con il profumo dei fiori del giardino, e quando in essa noi - visitatori irresponsabilmente poco attenti ai momenti di felicità - ci sentiamo felici, dimenticando le nostre angustie di nomadi barbari, allora l’unica medaglia possibile è quella della gratitudine, del silensiosa applauso: un momento di pausa, guardandoci attorno, immergendoci nell’atmosfera dorata di un interno d’autunno, alla fine del giorno. Porto, marzo 1994

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9.2 Il senso dell’abitare in Álvaro Siza La casa rappresenta una delle figure dell’ospitalità, sicuramente la più potente, quella in cui si configurano le più ferme certezze relazionate con l’accogliere, il ricevere l’altro, il dare riparo, il mantenere in sicurezza, il proteggere. Entrare in possesso di una casa significa entrare in possesso di un mondo carico di memoria, di politica, di pensieri, di simboli, di rimandi. La casa rappresenta in se uno spazio di affermazione della proprietà. La casa è casa mia, casa tua, casa nostra. Il pronome possessivo sempre accompagna e si avvicina a casa, porta e introduce in casa. Il pronome possessivo conduce a casa e la casa conduce al pronome possessivo. Una simile relazione con il senso di possesso e l’atto di appropriarsi dimostra che la casa, a differenza delle altre costruzioni, affronta direttamente la questione dell’abitare, dato che in essa si nidificano quotidianamente gli atti che generano e gestiscono una certa idea di permanenza, un certo dimorare che è proprio dell’abitazione. Il testo precedente rappresenta un caposaldo dell’atto del vivere una casa, che si rifà all’idea di partenza di questo lavoro sul senso dell’abitare. Cosa intende Siza quando dice di non essere mai stato capace di costruire una casa, “una autentica casa”? Authentikós che vuol dire “autore”, “che opera da se” e che significava in senso lato “avere autoritа su se stessi, è il primordiale, quello che detiene un potere assoluto e incorruttibile, un’autorità che non può essere sottratta. La “casa autentica” che Siza non ha mai potuto costruire sarebbe una casa a prova di falsificazioni con porte, barriere e schermature. Il progetto della casa autentica deve stare (l’imperativo è un’esigenza dell’authentikós) protetto e sorvegliato, ben conservato, con un diritto legale di proprietà e la proibizione espressa di copia e riproduzione. La protezione dell’origine e dell’originale, il richiamo a un’intimità originaria e indenne, sarà quello che cercherà una casa autentica1. Praticamente una casa che concentra l’essere e l’universo che circonda l’uomo, que lo ripara e difende dalle intemperie e dagli altri pericoli che possono minacciarlo. Una casa concentrata, centrata nella propria essenza, allineata in un asse cosmico, assemblata in un’immagine pura, di riferimento, antica, atemporale e poderosa: la casa, la capanna, il rifugio. La casa autentica che Siza non ha mai potuto costruire sarebbe quindi una casa vissuta, una stanza ubicata oltre lo spazio geografico, che condivide le energie fisiche e morali dei suoi abitanti. Una casa dove l’uomo possa trovare un vero rifugio anche solo al pensiero della silhouette dell’abitazione

1 Nuno Higinio Pereira Teixeira da Cunha, Los dibujos de Álvaro Siza: Anotaciones al margen, Universidad Complutense de Madrid, Facultad de Filosofia, Madrid, 2007, p. 395

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stessa. Una casa perfetta, incorruttibile, dove tutti i fenomeni e gli imprevisti citati da Siza nel resto del testo non potrebbero mai accadere. Ma il vero senso dell’abitare, applicato alla realtà, va ricercato nella parte conclusiva del brano: «Ma quando questo sforzo di manutenzione e non è apparente, quando il salutare odore di cera di una casa, peraltro ben ventilata, si mischia con il profumo dei fiori del giardino, e quando in essa noi - visitatori irresponsabilmente poco attenti ai momenti di felicità - ci sentiamo felici, dimenticando le nostre angustie di nomadi barbari, allora l’unica medaglia possibile è quella della gratitudine, del silensiosa applauso: un momento di pausa, guardandoci attorno, immergendoci nell’atmosfera dorata di un interno d’autunno, alla fine del giorno».

È a questo punto che entra in gioco l’architetto il quale compito, senza entrare nelle sfere di influenza appartenenti alla filosofia, è quello di intercedere fra il committente, le richieste del committente, le necessità, il progetto. L’architetto dovrà essere in grado, servendosi dei mezzi dell’architettura, di produrre un’opera, dove i proprietari, i quali erano committenti e sono diventati residenti, si sentano partecipi di un luogo destinato all’accoglienza di persone. Un luogo dove semplici azioni quotidiane, quali riposare, fermarsi, stendersi, sedersi, parlare, mangiare, interagire, camminare provochino quel senso di appagatezza, anch’esso incorruttibile, che è tipico del sentirsi a casa.

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BIBLIOGRAFIA


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- Stefano Corbetta Il viaggio a piedi: dal pellegrinaggio al turismo contemporaneo, Tesi di laurea, UniversitĂ degli studi di Bergamo, FacoltĂ di Lingue e Letterature straniere, 2004/2005. Tutte le foto presenti e il materiale grafico sono di mia produzione.

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