Cristiana Niero Grafica editoriale prof. A. Lecaldano I째 biennio specialistico a.a. 2009/10
PROVERBI NE ZIA NI I fatti storici si insinuano nella lingua comune.
“…Si vuole in tal modo porgere una più ricca raccolta di aforismi, proverbi e motti veneziani […] non limitandosi ad una semplice elencazione, ma facendo seguire ogni detto da una breve nota, idonea tanto a intender formalmente il testo per chi non abbia buona conoscenza della lingua veneziana, quanto a richiamare le circostanze storiche o le ragioni di costume che restarono fissate, attraverso il tempo, in una fortunata locazione. Questo libretto, in umiltà, vuol ricordare anche quanto la lingua veneziana sia bella e sapida…” nota dell’editore in Motti e detti veneziani, Edizioni Helvetia, Venezia, 1977
1848
Venezia partecipa attivamente ai moti rivoluzionari e diventa, sebbene per poco, indipendente con l’istituzione della Repubblica di San Marco.
1861
Il 17 marzo viene proclamata l’Unità d’Italia.
1866
La Republica Serenissima di Venezia viene annessa al regno d’Italia con il plebiscito del 21 ottobre.
Dagli avvenimenti degli ultimi 150 anni, dai moti rivoluzionari contro l’invasore poco prima dell’unità d’Italia fino ad oggi, sono nati molti modi di dire, alcuni ancora in uso oggi, altri ormai dimenticati. È interessante vedere quali sono le circostanze storiche o di costume che ne hanno dato origine. Con il loro seppur modesto apporto, questi proverbi raccontano un periodo storic così come è stato vissuto dalla gente comune.
cappello nero a cilindro, paragonato dal popolo veneziano a «mozzicata canna di camino a vapore», portato dagli occupanti.
ABASSO LA
CANA abbasso gli austriaci
«Abasso la cana!» diventa il primo grido della sorda lotta tra veneziani e austriaci e, più tardi, tra proletariato e borghesia. Si ricorda che il 22 marzo 1848, per reazione a quel copricapo, si videro comparire in Piazza San Marco molti cappelli ‘all’Ernani’ e ‘alla Calabrese’, tipici degli alpini.
Un motto che è andato ormai in disuso, lo si vuole uscito dalla bocca dei gondolieri al tempo della sommossa contro l’austriaco invasore. La polenta (gialla) e le seppie (nere) ricordavano, infatti, i colori della bandiera asburgica. Da qui l’associazione «No volemo più poenta e sepe», non vogliamo più gli austriaci a casa nostra.
polenta e seppie.
NO VOLEMO PIÙ
POENTA E SEPE non vogliamo più gli austriaci in casa nostra
mulino del cavalier Giovanni Stucky, edificio costruito in stile neogotico nel 1895.
PARER EL MULIN
DE STUCHI pianto o chiacchiericcio
incessante, acuto e persistente
Nel 1895 il cavalier Stucky trasferì a Venezia i suoi mulini, sull’isola della Giudecca. Il molino era dotato di una sirena famosa per potenza e intensità, che avvertiva l’orario di inizio e di chiusura dei lavori, nonché le pause intermedie. Quel suono si spandeva per tutta Venezia, tanto che finì in proverbio, adattandosi a ogni suono o voce umana che fosse altrettanto invadente e insistente. Nel 1954 il Molino Stucky cessò la sua attività, e ora è un albergo di lusso.
Fino agli anni ’60 il bucato veniva di soito fatto una volta al mese insieme ad altre famiglie. Richiedeva spesso due giorni di lavoro e la collaborazione di parecchie donne. Si metteva la biancheria in un recipiente e nel ‘parol’ si faceva bollire l’acqua con la cenere, che poi bollente si versava sulla biancheria, filtrandola con un ‘tamiso’. Dopo il tempo necessario, si toglieva la biancheria e si andava alla fontana a ‘resentar’ (risciacquare) con acqua pulita.
lisciva, il bucato dellla nonna fatto con la cenere e sapone.
LISSIA E ’L S AON gettare via inutilmente PERDER LA
la fatica e la spesa.
nascosto, deriva dal termine bosco.
EL XE
IMBOSCĂ€ si nasconde (per evitare un preciso dovere)
Voce dispregiativa entrata nel dialetto dopo la guerra del 1915-18, rivolta a chi, con astuzia, prestava servizio militare nelle retrovie. Usatissimo ancora oggi per indicare colui che non vuole farsi trovare, per evitare di fare qualcosa controvoglia.
Dopo il 1911 il grido cominciò a risuonare nei cantieri all’aperto dove, per la costruzione di edifici o strade, si radunavano operai e muratori. Nei cantieri c’era soltanto una baracca per il pranzo e non c’erano servizi igienici, quindi ogni tanto qualcuno si assentava alla ricerca di un albero di un cespuglio. Se in quel momento l’operaio veniva cercato dal capocantiere, i colleghi ironicamente rispondevano: “disperso in Libia!” per segnalarne l’assenza.
ESSER
DISPERSO IN LIBIA
non essere reperibile sul posto di lavoro
Frase scherzosamente detta dal popolino a qualcuno che abbia acquistato oggetti preziosi, riferendosi a dei venditori di ninnoli fasulli mescolati alla segatura in un vassoio, e offerti ai passanti sul Ponte di Rialto negli anni precedenti e appena seguenti la Seconda Guerra Mondiale. Si dice anche «Xelo passà per la calle dei stagneri?», quando ci sono fondati dubbi sull’autenticità di un oggetto d’argento. La calle degli stagneri è una via di Venezia che deve il suo nome alle varie officine di stagnai che vi si trovavano. segatura.
COMPRAI IN MEZO A LA
SEGAÙRA sono oggetti falsi
osterie, originariamente luogo di mescita del vino, dove si possono assaggiare anche degli spuntini.
ANDAR PAR
BÀCARI (
)
O ANDAR PAR OMBRE andare per osterie, andare a bere un bichiere
Voce diffusasi a Venezia dopo l’importazione da Trani del vino meridionale, avvenuta nel 1869. È evidente il rimando a Bacco, ma è pure attendibile l’ipotesi che «bàcaro» sia stato battezzato così da un intenditore, un gondoliere, che, degustato il primo bicchiere di quel vino generoso, avrebbe pronunciato la frase: «Bon…bon! Questo xe propio un vin de bàcaro!», cioè un vino di bacche, acini d’uva.
Persona a cui non ne va bene una, per quanto si impegni per migliorare la propria situazione. Il colore nero della pece, con cui si lavorava il legno delle barche per renderlo impermeabile all’acqua del mare, evoca l’idea della tristezza, quindi sfortuna; per di più si tratta di una materia grassa e appiccicosa che una volta spalmata su qualcosa vi aderisce per sempre. La sfortuna è paragonata alla pece, per la sua capacità di perpetrarsi nella vita di un individuo, portandolo spesso verso la disperazione. pece.
AVER
PEGOLA essere sfortunato
giù le mani.
ZÒ LE MAN
DA CUBA giù le mani di Cuba
Il motto ha, in realtà, un significato molto meno esaltante della passione politica e va inteso come l’ordine di togliere le mani dal sedere o da un’altra parte del corpo femminile che ispiri idee di conquista a qualche uomo. Il proverbio nasce in seguito al conflitto tra Stati Uniti e Cuba tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Molto probabilmente all’inizio aveva un significato politico, poi mutato in altro genere.
Bibliografia • Mario Poppi, L’anno, i mesi e i giorni nella cultura popolare del veneziano, Corbo e Fiore Editori, Venezia 2004 • Espedita Grandesso, Prima de parlar, tasi. Proverbi, parole e parolacce da non dimenticare, Edizioni Helvetia, Venezia 2002 • Gianni Ghirardini, Motti e detti veneziani, Edizioni Helvetia, Venezia 1977 • Luigi G. Rossi, Curiosità del linguaggio veneto, Edizioni Helvetia, Venezia 1981
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