Organo ufficiale di Alleanza Cattolica
Per una società a misura di uomo e secondo il piano di Dio
in questo numero:
Caritas in veritate. La dottrina sociale della Chiesa contro la tecnocrazia Il Popolo della Libertà: un nuovo partito al di fuori e contro le ideologie Davvero le religioni sono un ostacolo alla pace? Il viaggio di Papa Benedetto XVI in Terra Santa, 8-15 maggio 2009 La persona prima di tutto
rivista trimestrale - anno XXXVII – n. 353
luglio-settembre 2009 – € 5,00
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Caritas in veritate. La dottrina sociale della Chiesa contro la tecnocrazia Massimo Introvigne Caritas in veritate1, la carità nella verità, è espressione che per Papa Benedetto XVI è sinonimo di dottrina sociale della Chiesa, di cui il Pontefice, utilizzando la crisi economica internazionale come «occasione di discernimento e di nuova progettualità» (n. 21) intende riaffermare la natura di parte integrante della concezione cristiana dell’uomo e della società, e di antidoto ai mali del nostro tempo. L’enciclica è dedicata principalmente — anche se non esclusivamente — alla problematica socio-economica, pur chiarendo che la dottrina sociale della Chiesa non si occupa solo di economia ma ha anche una dimensione socio-politica e una socio-culturale. Il testo affronta quattro grandi temi: la natura e il fondamento della dottrina sociale della Chiesa; il ricordo dell’enciclica di Papa Paolo VI (19631978) Populorum progressio2, che Papa Benedetto XVI considera particolarmente importante come compendio della dottrina socio-economica del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965); una descrizione di quanto profondamente è cambiata l’economia negli oltre quarant’anni che ci separano da quel testo di Paolo VI; e infine una presentazione dei principali temi della dottrina socio-economica della Chiesa nel contesto di tali profondi mutamenti e della crisi economica in atto. Due elementi fondamentali tornano spesso nell’enciclica. Il primo è la nozione di «sviluppo integrale»3 della Populorum progressio come obiettivo che la dottrina sociale della Chiesa indica all’economia. Il secondo è la minaccia costituita dalla tecnocrazia, nuovo stile di pensiero e di azione anticristiano che dopo la fine delle ideologie, sfruttando la globalizzazione, cerca di sostituirle.
1. La carità nella verità fondamento della dottrina sociale nella Chiesa San Paolo invita a fare «la verità nella carità» (Ef. 4, 15), a temperare il rigore della presentazione della dottrina con la dolcezza dell’amore. Senza dimenticare l’ammonimento di San Paolo oggi — afferma Papa Benedetto XVI —, è necessario pensare anche, simmetricamente, a praticare «la carità nella verità» (n. 1). Di qui il titolo della sua enciclica, Caritas in veritate. Infatti, occorre essere consapevoli «[...] degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è 1
Benedetto XVI, Enciclica «Caritas in veritate» sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità , del 29-6-2009. I rimandi al documento sono fra parentesi nel testo, indicati con il numero di paragrafo. I corsivi nelle citazioni dell’enciclica sono del Papa. 2 Cfr. Paolo VI, Enciclica «Populorum Progressio» sullo sviluppo dei popoli, del 26-3-1967. 3 Cfr. ibid., n. 5, Prima parte e n. 43.
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andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla» (n. 2). Vi è un buonismo per cui «l‟amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell‟amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta fino a significare il contrario» (n. 3). La colpa è del relativismo, del «contesto sociale e culturale che relativizza la verità» (n. 2): ma, «senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo» (n. 3). Al contrario, solo «la verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale» (ibidem). Solo «la verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose» (n. 4). Mentre «un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali» (ibidem). La questione è essenziale per la Chiesa e per la sua dottrina sociale. La carità, infatti, è «la principale forza propulsiva per lo sviluppo di ogni persona e dell‟umanità» (n. 1) ed è «la via maestra della dottrina sociale della Chiesa» (n. 2), che può essere definita come «caritas in veritate in re sociali» (n. 5). Ne consegue, anzitutto, che l’annuncio della verità, non meno del servizio caritativo ai poveri e ai bisognosi, è forma eminente di carità: «difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità» (n. 1). «Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora nemmeno i significati — con cui giudicarla e orientarla» (n. 9). Attingendo alla fede e alla ragione la dottrina sociale della Chiesa, carità nella verità in ambito sociale, propone «criteri orientativi dell‟azione morale» (n. 6) fra cui due sono sottolineati da Papa Benedetto XVI: la giustizia — infatti «la carità eccede la giustizia [...] ma non è mai senza la giustizia» (ibidem) — e il bene comune, il bene della pólis, così che politica è propriamente «[...] prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall‟altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale che in tal modo prende forma di pólis, di città» (n. 7). Il dovere politico è per tutti: «ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d‟incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale — possiamo anche dire politica — della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis» (ibidem). L’orizzonte di quest’attività politica doverosa per il cristiano — e che, ovviamente, non si riduce all’azione dei partiti — è insieme altissimo ed entusiasmante: si tratta, infatti, di una vera «[...] testimonianza della carità divina 2
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che, operando nel tempo, prepara l‟eterno. L‟azione dell‟uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all‟edificazione di quella universale città di Dio [...], così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio» (ibidem).
2. Paolo VI e l’enciclica Populorum progressio È noto che la Caritas in veritate avrebbe dovuto originariamente essere pubblicata per celebrare il quarantesimo anniversario dell’enciclica Populorum progressio di Papa Paolo VI, del 1967, così come il servo di Dio Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) ne aveva celebrato il ventennale, nel 1987, con l’enciclica Sollicitudo rei socialis4. La crisi economica, di cui si è voluto tenere conto, ha poi ritardato la definitiva stesura e la pubblicazione dell’enciclica di Papa Benedetto XVI. Quest’ultima propone sia una riflessione articolata sulla Populorum progressio, «la Rerum novarum dell‟epoca contemporanea» (n. 8), sia un inventario delle principali modifiche sopravvenute, principalmente in campo socioeconomico, negli oltre quarant’anni che ci separano dalla sua pubblicazione. Quanto al primo aspetto, il Pontefice ricorda il suo reiterato insegnamento sull’interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, per cui «il corretto punto di vista, dunque, è quello della Tradizione della fede apostolica» (ibid., n. 10). Questo criterio va applicato anche ai documenti di dottrina sociale, che vanno sempre letti «dentro la tradizione della dottrina sociale della Chiesa» (ibidem), «[...] patrimonio antico e nuovo, fuori del quale la Populorum progressio sarebbe un documento senza radici» (ibidem), una mera collezione di «dati sociologici» (ibidem). Certamente, la Populorum progressio è stata pubblicata subito dopo la conclusione del Concilio e le questioni della corretta ermeneutica di questa enciclica e del Vaticano II sono strettamente collegate. «Il legame tra la Populorum progressio e il Concilio Vaticano II non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Papa Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa. In questo senso, non contribuiscono a fare chiarezza certe astratte suddivisioni della dottrina sociale della Chiesa che applicano all‟insegnamento sociale pontificio categorie ad esso estranee. Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo. È giusto rilevare le peculiarità dell‟una o dell‟altra Enciclica, dell‟insegnamento dell‟uno o dell‟altro Pontefice, mai però perdendo di vista la coerenza dell‟intero 4
Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica «Sollicitudo rei socialis» nel ventesimo anniversario della «Populorum progressio», del 30-12-1987
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corpus dottrinale» (n. 12) della dottrina sociale. Questa — fra l’altro — non inizia nell’epoca contemporanea: «la dottrina sociale è costruita sopra il fondamento trasmesso dagli Apostoli ai Padri della Chiesa e poi accolto e approfondito dai grandi Dottori cristiani» (ibidem). Parallelamente, la Populorum progressio — secondo Papa Benedetto XVI — va obbligatoriamente letta nel contesto del corpus di documenti di Papa Paolo VI: «[...] è strettamente connessa con il magistero complessivo di Paolo VI» (n. 13). Papa Montini, infatti, «[...] affrontò con fermezza importanti questioni etiche, senza cedere alle debolezze culturali del suo tempo» (ibidem). Così, non si può leggere la Populorum progressio senza tenere conto della lettera apostolica Octogesima adveniens5, del 1971, e della sua messa in guardia contro le ideologie del XX secolo; dell’enciclica Humanae vitae6, del 1968, che condanna l’uso dei mezzi artificiali di contraccezione — una questione che non si limita, secondo Papa Benedetto XVI, alla «morale meramente individuale» (n. 15), posti «i forti legami esistenti fra etica della vita ed etica sociale» (ibidem), a proposito dei quali la Humanae vitae inaugura tutta una tradizione di «tematica magisteriale» (ibidem) —; o ancora dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi7, del 1975, dove il pontefice spiega che sempre «la dottrina sociale della Chiesa è annuncio e testimonianza di fede» (ibidem) e non si riduce a una mera offerta di soluzioni tecniche. Al centro della Populorum progressio sta la nozione di sviluppo, che non è però a sua volta un semplice concetto economico. Al sostantivo «sviluppo» Papa Paolo VI unisce quasi sempre l’aggettivo «integrale», per sottolineare che «l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione» (n. 11), compresa la dimensione teologica e trascendente. «Senza la prospettiva di una vita eterna» (ibidem) lo sviluppo «rimane privo di respiro» (ibidem). «Chiuso dentro la storia, esso è esposto al rischio di ridursi al solo incremento dell‟avere» (ibidem). Così come non è garantito dalla sola economia, così lo sviluppo integrale non può essere assicurato dalla sola politica: «[...] le istituzioni da sole non bastano, perché lo sviluppo umano integrale è anzitutto vocazione [...]. Un tale sviluppo richiede, inoltre, una visione trascendente della persona, ha bisogno di Dio: senza di Lui lo sviluppo o viene negato o viene affidato unicamente alle mani dell‟uomo, che cade nella presunzione dell‟auto-salvezza e 5
Cfr. Paolo VI, Lettera Apostolica «Octogesima adveniens» nell‟80° anniversario della enciclica «Rerum novarum», del 14-5-1971, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. IX, 1971, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1972, pp. 1169-1202. 6 Cfr. Idem, Enciclica Humanae vitae sulla retta regolazione della natalità, del 25-71968. 7 Cfr. Idem, Esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» circa l‟evangelizzazione nel mondo contemporaneo, dell’8-12-1975, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. XIII, 1975, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1976, pp. 1380-1438, trad, it., ibid., pp. 1439-1490.
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finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato» (ibidem). «Fu viva in Paolo VI la percezione dell‟importanza delle strutture economiche e delle istituzioni, ma altrettanto chiara fu in lui la percezione della loro natura di strumenti della libertà umana» (n. 17). Per Papa Paolo VI, lo sviluppo è essenzialmente una vocazione: e «dire che lo sviluppo è vocazione equivale a riconoscere, da una parte, che esso nasce da un appello trascendente e, dall‟altra, che è incapace di darsi da sé il proprio significato ultimo» (n. 16). Qui, propriamente, sta per Papa Benedetto XVI «il cuore della Populorum progressio» (ibidem): contro le ideologie del suo tempo, Paolo VI sottolinea che «la verità dello sviluppo consiste nella sua integralità» (n. 18), la quale «[...] riguarda dunque sia il piano naturale sia quello soprannaturale» (ibidem). «Quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l‟ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire» (ibidem).
3. Quarant’anni dopo. Com’è cambiata l’economia dopo la Populorum progressio Che cosa è cambiato dalla Populorum progressio a oggi? Lo sviluppo, da un certo punto di vista, «[...] c‟è stato e continua a essere un fattore positivo che ha tolto dalla miseria miliardi di persone» (n. 21). Ma è stato pure «gravato da distorsioni e drammatici problemi» (ibidem), alcuni dei quali «nuovi rispetto a quelli affrontati dal Papa Paolo VI» (ibidem). Alcune speranze alquanto ottimistiche di Paolo VI, rileva Benedetto XVI, purtroppo non hanno trovato conferma nella storia: «è questo il caso della valutazione del processo di decolonizzazione» (n. 33), che non ha portato la libertà e la pace in cui sperava Papa Montini ma spesso nuove forme di oppressione e di corruzione, non solo per colpa dei Paesi ex-coloniali ma anche «per gravi irresponsabilità interne agli stessi Paesi resisi indipendenti» (ibidem). La nozione di sottosviluppo — l’avversario che Papa Paolo VI si trovava davanti — è profondamente cambiata a causa della globalizzazione. Un fenomeno che Benedetto XVI invita a non demonizzare: «opporvisi ciecamente sarebbe un atteggiamento sbagliato, preconcetto, che finirebbe per ignorare un processo caratterizzato anche da aspetti positivi» (n. 42). La globalizzazione «[...] è stato il principale motore per l‟uscita dal sottosviluppo di intere regioni e rappresenta di per sé una grande opportunità. Tuttavia, senza la guida della carità nella verità, questa spinta planetaria può concorrere a creare rischi di danni sconosciuti finora e di nuove divisioni nella famiglia umana» (n. 33). «La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno» (n. 42). «Talvolta nei riguardi della globalizzazione si notano atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana» (ibidem). Ma «se si legge deterministicamente 5
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la globalizzazione si perdono i criteri per valutarla ed orientarla» (ibidem). Il problema non è inveire contro la globalizzazione, ma «[...] correggerne le disfunzioni, anche gravi» (ibidem) e orientarla alla luce della morale, da cui comunque non è indipendente. Nel contesto della globalizzazione da un parte il sottosviluppo economico-sociale ha assunto nuove dimensioni; dall’altra i Paesi ricchi hanno talora esportato in quelli poveri un «sottosviluppo morale» (n. 29). Quanto al sottosviluppo economico-sociale, «la linea di demarcazione tra Paesi ricchi e poveri non è più così netta» (n. 22): nei Paesi cosiddetti ricchi «[...] nuove categorie sociali si impoveriscono» (ibidem) e in quelli cosiddetti poveri la corruzione crea per alcune classi dirigenti disoneste «una sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico» (ibidem). Anche la possibilità per lo Stato d’intervenire per indirizzare l’economia, cui «[...] la Populorum progressio assegnava ancora un compito centrale, anche se non esclusivo» (n. 24), oggi appare da qualche punto di vista poco «realistica» (ibidem), dal momento che «nella nostra epoca, lo Stato si trova nella situazione di dover far fronte alle limitazioni che alla sua sovranità frappone il nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale, contraddistinto anche da una crescente mobilità dei capitali finanziari e dei mezzi di produzione materiali ed immateriali» (ibidem). D’altro canto è forse prudente «[...] non proclamare troppo affrettatamente la fine dello Stato» (n. 41). Forse provvisoriamente, a causa della crisi economica, oggi anzi «[...] il suo ruolo sembra destinato a crescere» (ibidem), anche se — a differenza che all’epoca di Papa Paolo VI — siamo più consapevoli del fatto che la nozione di «[...] “autorità politica” ha un significato plurivalente» (ibidem) e complesso, anche per l’emergere di «altri soggetti politici di natura culturale, sociale, territoriale o religiosa, accanto allo Stato» (ibidem). La Populorum progressio confidava pure nei «sistemi di protezione e previdenza» (n. 25) e nel ruolo di vigilanza dei sindacati, che oggi però sono profondamente mutati, a fronte della «mobilità lavorativa», della delocalizzazione e della flessibilità (ibidem), «un fenomeno importante, non privo di aspetti positivi perché capace di stimolare la produzione di nuova ricchezza» (ibidem). «Non c‟è nemmeno motivo di negare che la delocalizzazione, quando comporta investimenti e formazione, possa fare del bene» (n. 40), quanto meno «alle popolazioni del Paese che la ospita» (ibidem). «Non è però lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento» (ibidem). Flessibilità e delocalizzazione rischiano anche di creare forme nuove di disoccupazione, e di conseguenza «forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell‟esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio» (n. 25). Combattere questi mali fa bene non solo alla giustizia ma anche all’economia. È la stessa «[...] scienza economica a dirci che una strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane, in quanto il lavoratore tende ad adattarsi passivamente ai meccanismi 6
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automatici, anziché liberare creatività. Anche su questo punto c‟è una convergenza tra scienza economica e valutazione morale. I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani» (n. 32). Papa Benedetto XVI sottolinea anche il mutato ruolo delle organizzazioni sindacali, spesso «prevalentemente chiuse nella difesa degli interessi dei propri iscritti» (n. 64) ovvero tentate di esercitare un ruolo strettamente politico che non è loro proprio, mentre auspica che «[...] volgano lo sguardo anche verso i non iscritti» (ibidem), in particolare i disoccupati e coloro che la delocalizzazione lascia indietro. Anche gli enti previdenziali potrebbero tenere conto dei grandi mutamenti che sono sopravvenuti, non opponendosi a «sistemi di previdenza sociale maggiormente integrati, con la partecipazione attiva dei soggetti privati e della società civile» (n. 60). Questi enti potrebbero così eliminare «sprechi e rendite abusive» (ibidem), destinando eventualmente quanto risparmiato «alla solidarietà internazionale» (ibidem). Quanto al «sottosviluppo morale», il rischio è che i Paesi ricchi esportino nei Paesi poveri dove delocalizzano le loro produzioni «un eclettismo culturale assunto spesso acriticamente» (n. 26), in cui all’insegna del relativismo le culture sono «considerate come sostanzialmente equivalenti e tra loro interscambiabili» (ibidem), mentre per altro verso si genera pure il «[...] pericolo opposto, che è costituito dall‟appiattimento culturale e dall‟omologazione dei comportamenti e degli stili di vita» (ibidem). Vi è anche di peggio: i Paesi più sviluppati cercano di esportare nei Paesi poveri «mentalità antinatalista» (n. 28), leggi sull’aborto — cui talora condizionano gli aiuti allo sviluppo — e diffusione massiccia di anticoncezionali. L’esportazione del sottosviluppo morale avviene anche attraverso un accostamento alla scuola e all’educazione che ignora i valori religiosi e morali e diffonde a piene mani il «relativismo» (n. 61). E perfino attraverso il turismo, che — anche volendo prescindere dai casi «perversi» (ibidem) del turismo sessuale — non di rado esporta nei Paesi poveri uno stile di vita «edonistico» (ibidem) e un vero e proprio «degrado morale» (ibidem). Qualche volta i Paesi ricchi esportano anche un’autentica «promozione programmata dell‟indifferenza religiosa o dell‟ateismo» (n. 29), magari invocando la «lotta al terrorismo a sfondo fondamentalista» (ibidem) come pretesto per politiche ostili alla religione in genere. Fondamentalismo e laicismo, in quanto compromettono un rapporto equilibrato fra fede e ragione, sono entrambi ostacoli allo sviluppo integrale. Tornando su temi cruciali e tipici del suo magistero, Benedetto XVI ribadisce che lo sviluppo integrale è possibile «[...] solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica. La dottrina sociale della Chiesa è nata per rivendicare 7
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questo “statuto di cittadinanza” della religione cristiana. La negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione e ad operare perché le verità della fede informino di sé anche la vita pubblica comporta conseguenze negative sul vero sviluppo» (n. 56). «Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell‟umanità» (ibidem). A coloro che cercano di diffondere l’ateismo nei Paesi più poveri Benedetto XVI ricorda che «se l‟uomo fosse solo frutto o del caso o della necessità, oppure se dovesse ridurre le sue aspirazioni all‟orizzonte ristretto delle situazioni in cui vive, se tutto fosse solo storia e cultura, e l‟uomo non avesse una natura destinata a trascendersi in una vita soprannaturale, si potrebbe parlare di incremento o di evoluzione, ma non di sviluppo. Quando lo Stato promuove, insegna, o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale» (n. 29).
4. La dottrina socio-economica della Chiesa oggi a. La radice del problema: il peccato originale Affrontare il problema dello sviluppo significa per Benedetto XVI andare alla radice dei problemi più volte richiamata nel suo magistero: il peccato originale. «La sapienza della Chiesa ha sempre proposto di tenere presente il peccato originale anche nell‟interpretazione dei fatti sociali e nella costruzione della società» (n. 34). Il peccato si manifesta oggi in una «pesante contraddizione» (n. 43) che la cultura dominante cerca d’imporre in tema di diritti. «Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l‟altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati» (ibidem). Dilaga «la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio» (ibidem); «[...] i diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri. L‟esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri» (ibidem). Ma, senza i doveri, i diritti «si trasformano in arbitrio» (ibidem). Il problema rimanda ultimamente alla questione del diritto naturale, che fonda diritti e doveri a prescindere sia dalle diverse culture — perché la «legge morale universale» (n. 59) vale per tutte le culture — sia dal loro riconoscimento da 8
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parte del voto di un Parlamento. «Se, invece, i diritti dell‟uomo trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un‟assemblea di cittadini, essi possono essere cambiati in ogni momento e, quindi, il dovere di rispettarli e perseguirli si allenta nella coscienza comune» (n. 43). Il peccato si manifesta oggi come orgoglio dell’autodeterminazione assoluta. Si dimentica che «nessuno plasma la propria coscienza arbitrariamente, ma tutti costruiscono il proprio “io” sulla base di un “sé” che ci è stato dato. Non solo le altre persone sono indisponibili, ma anche noi lo siamo a noi stessi. Lo sviluppo della persona si degrada, se essa pretende di essere l’unica produttrice di se stessa. Analogamente, lo sviluppo dei popoli degenera se l‟umanità ritiene di potersi ricreare avvalendosi dei “prodigi” della tecnologia. Così come lo sviluppo economico si rivela fittizio e dannoso se si affida ai “prodigi” della finanza per sostenere crescite innaturali e consumistiche. Davanti a questa pretesa prometeica, dobbiamo irrobustire l‟amore per una libertà non arbitraria, ma resa veramente umana dal riconoscimento del bene che la precede. Occorre, a tal fine, che l‟uomo rientri in se stesso per riconoscere le fondamentali norme della legge morale naturale che Dio ha inscritto nel suo cuore» (n. 68). b. La tecnocrazia La pretesa di autosufficienza dell’uomo si accompagna all’analoga pretesa di autosufficienza della tecnica che utilizza il «processo di globalizzazione» (n. 70) per «[...] sostituire le ideologie» (ibidem) e svolgere lo stesso ruolo negativo e si fa a sua volta «ideologia tecnocratica» (n. 14). Dalle ideologie si passa così alla tecnocrazia, l’«orizzonte culturale tecnocratico» (n. 70): «[...] la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l‟umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l‟essere e la verità» (ibidem). «L‟assolutismo della tecnica tende a produrre un‟incapacità di percepire ciò che non si spiega con la semplice materia» (n. 77) e finisce per atrofizzare una parte essenziale dell’umana capacità di conoscenza. La tecnocrazia promette anche la pace, presentata a sua volta come «un prodotto tecnico» (n. 72) che dovrebbe prescindere dai valori e si rivela quindi un’illusione e un inganno. Strumento dell’inganno della tecnocrazia sono spesso i mezzi di comunicazione sociale. «Sembra davvero assurda la posizione di coloro che ne sostengono la neutralità, rivendicandone di conseguenza l‟autonomia rispetto alla morale che tocca le persone. Spesso simili prospettive, che enfatizzano la natura strettamente tecnica dei media, favoriscono di fatto la loro subordinazione al calcolo economico, al proposito di dominare i mercati e, non ultimo, al desiderio di imporre parametri culturali funzionali a progetti di potere ideologico e politico» (n. 73). La libertà che protegge dalla tecnocrazia, invece, «[...] non consiste nell‟ebbrezza di una totale autonomia, ma nella risposta all‟appello dell‟essere, a cominciare dall‟essere che siamo noi stessi» (n. 70). 9
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c. La bioetica, campo primario di scontro fra libertà e tecnocrazia Potrebbe sembrare che un’enciclica sulla dottrina sociale non sia il luogo tipico dove ribadire l’insegnamento della Chiesa sulla bioetica. Ma in realtà — come, rileva Papa Benedetto XVI, Papa Paolo VI aveva profeticamente intuito con l’Humanae vitae — la bioetica è precisamente il campo dove la tecnocrazia rivela il suo volto minaccioso e disumano. «Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l‟assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell‟uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. Si tratta di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale: se l‟uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio. Le scoperte scientifiche in questo campo e le possibilità di intervento tecnico sembrano talmente avanzate da imporre la scelta tra le due razionalità: quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell‟immanenza. Si è di fronte a un aut aut decisivo. La razionalità del fare tecnico centrato su se stesso si dimostra però irrazionale, perché comporta un rifiuto deciso del senso e del valore. […] Attratta dal puro fare tecnico, la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza» (n. 74). «Oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell‟uomo. La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell‟ibridazione umana nascono e sono promosse nell‟attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perché si è ormai arrivati alla radice della vita. Qui l‟assolutismo della tecnica trova la sua massima espressione. In tale tipo di cultura la coscienza è solo chiamata a prendere atto di una mera possibilità tecnica. Non si possono tuttavia minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell‟uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha a disposizione. Alla diffusa, tragica, piaga dell‟aborto si potrebbe aggiungere in futuro, ma è già surrettiziamente in nuce, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite. Sul versante opposto, va facendosi strada una mens eutanasica, manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta. Dietro questi scenari stanno posizioni culturali negatrici della dignità umana. Queste pratiche, a loro volta, sono destinate ad alimentare una concezione materiale e meccanicistica della vita umana. Chi potrà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità sullo sviluppo? Come ci si potrà stupire dell‟indifferenza per le situazioni umane di degrado, se l‟indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è? Stupisce la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come degno di rispetto. Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie 10
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inaudite» (n. 75). «La legge naturale, nella quale risplende la Ragione creatrice, indica la grandezza dell’uomo, ma anche la sua miseria quando egli disconosce il richiamo della verità morale» (ibidem). Il peccato si manifesta pure nella mentalità antinatalista, che — anche tramite un’impostazione gravemente erronea dell’educazione sessuale dei giovani — nega «i valori irrinunciabili della vita e della famiglia» (n. 44), e ha perfino indotto molti, benché la scienza economica lo neghi, a «considerare l‟aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo» (ibidem). È piuttosto il contrario. «L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica. Grandi Nazioni hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, Nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere. La diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto “indice di sostituzione”, mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l‟accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei “cervelli” a cui attingere per le necessità della Nazione. Inoltre, le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà. Sono situazioni che presentano sintomi di scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale. Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona» (ibidem). d. Mercato e finanza, fra luci e ombre «All‟elenco dei campi in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato, si è aggiunto ormai da molto tempo anche quello dell‟economia. Ne abbiamo una prova evidente anche in questi periodi. La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l‟uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale. La convinzione poi della esigenza di autonomia dell‟economia, che non deve accettare “influenze” di carattere morale, ha spinto l‟uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo» (n. 34). Ne sono nati sia i «[...] sistemi economici, sociali e politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che, proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che promettevano»
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(ibidem) — il Papa cita la sua enciclica Spe salvi8, dove analizza in profondità il comunismo — sia l’attuale crisi economica. Tuttavia il peccato non compromette l’economia in sé, né il mercato. «La Chiesa ritiene da sempre che l‟agire economico non sia da considerare antisociale. [...] La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest‟ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani. È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché sia questa la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso. Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro. Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano. Infatti, l‟economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici. Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell‟uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso. Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l‟uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale» (n. 36). La finanza è di per sé uno strumento a sua volta legittimo, «finalizzato alla miglior produzione di ricchezza ed allo sviluppo» (n. 65). «Dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l‟economia reale» (ibidem), la finanza deve tornare a operare «al sostegno di un vero sviluppo» (ibidem). «Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività per non abusare di quegli strumenti sofisticati che possono servire per tradire i risparmiatori. Retta intenzione, trasparenza e ricerca dei buoni risultati sono compatibili e non devono mai essere disgiunti» (ibidem). Dunque il mercato e anche la finanza sono «strumenti di per sé buoni» che le conseguenze del peccato originale trasformano in «strumenti dannosi». Come rimontare rispetto a queste conseguenze del peccato? Come tornare alla prospettiva dello sviluppo integrale? Il mercato, per funzionare, non ha bisogno soltanto di regolari scambi di beni, ma di fiducia. «Il mercato, lasciato al solo principio dell‟equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave» (n. 35). e. Una soluzione: dare spazio alla «logica del dono» La domanda, quindi si sposta: come ristabilire la fiducia? La prospettiva assistenzialista che propone di «[...] correggere delle disfunzioni mediante l‟assistenza» (ibidem) non è sufficiente. Tradizionalmente la morale cattolica 8
Cfr. Benedetto XVI, Enciclica «Spe salvi» sulla speranza cristiana, del 30-11-2007.
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distingue la giustizia in commutativa — che «[...] regola appunto i rapporti del dare e ricevere tra soggetti paritetici» — (ibidem), distributiva e sociale. Una visione tradizionale vedeva queste forme di giustizia come operanti in fasi diverse di una sequenza cronologica: «forse un tempo era pensabile affidare dapprima all‟economia la produzione di ricchezza per affidare poi alla politica il compito di distribuirla» (n. 37). Di fronte all’enorme complessità dell’economia dei nostri giorni questo schema non può più funzionare. «I canoni della giustizia devono essere rispettati sin dall‟inizio, mentre si svolge il processo economico, e non già dopo o lateralmente» (ibidem). Anche l’enciclica Centesimus annus9 di Papa Giovanni Paolo II, secondo Papa Benedetto XVI si riferisce in parte a un’economia che dopo vent’anni è cambiata. Papa Giovanni Paolo II distingueva tre soggetti dell’economia — il mercato, lo Stato e la società civile — e vedeva nella società civile «l‟ambito più proprio di un‟economia della gratuità» (n. 38), mentre la solidarietà era in buona parte «delegata allo Stato» (ibidem). Premesso che in campo economico a rigore «la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire» (n. 9) e affida l’applicazione dei principi alla creatività e alla competenza dei laici cattolici, Papa Benedetto XVI prospetta una soluzione originale: la riscoperta della categoria del dono. «La logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone ad essa in un secondo momento dall‟esterno» (n. 34). Quello che il Pontefice prospetta è un sistema dove «soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore economico» (n. 37) — spesso mossi da motivazioni religiose — non si sostituiscano alle imprese che operano a fini di lucro, di cui l’enciclica non auspica in nessun modo la sparizione, né allo Stato, che mantiene il suo ruolo di dettare regole e leggi, ma portino lo «spirito del dono» (ibidem) in tutte le fasi del processo economico. In verità, la crisi economica sembra insegnare che «mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia. Serve, pertanto, un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pari opportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all‟impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. È dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d‟impresa e dunque un‟attenzione sensibile alla civilizzazione dell’economia. Carità nella verità, in questo caso, significa che bisogna dare forma e organizzazione a quelle iniziative economiche che, pur senza negare il profitto, 9
Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica «Centesimus annus» nel centenario della Rerum novarum, del 1°-5-1991.
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intendono andare oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso» (n. 38). Il rischio, nota Papa Benedetto XVI, è che Stato e «logica mercantile» (n. 36) — cioè quella logica del mercato che è restia ad aprirsi all’etica — quasi si mettano d’accordo fra loro per escludere questo terzo tipo di attore dall’avventura dell’economia contemporanea. «Quando la logica del mercato e quella dello Stato si accordano tra loro per continuare nel monopolio dei rispettivi ambiti di influenza, alla lunga vengono meno la solidarietà nelle relazioni tra i cittadini, la partecipazione e l‟adesione, l‟agire gratuito, che sono altra cosa rispetto al “dare per avere”, proprio della logica dello scambio, e al “dare per dovere”, proprio della logica dei comportamenti pubblici, imposti per legge dallo Stato» (n. 39). Certo, «il mercato della gratuità non esiste e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti. Eppure sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco» (ibidem) e hanno il dovere almeno di non ostacolarle. Anche il fisco potrebbe fare la sua parte con l’«[...] applicazione efficace della cosiddetta sussidiarietà fiscale, che permetterebbe ai cittadini di decidere sulla destinazione di quote delle loro imposte versate allo Stato. Evitando degenerazioni particolaristiche, ciò può essere di aiuto per incentivare forme di solidarietà sociale dal basso, con ovvi benefici anche sul versante della solidarietà per lo sviluppo» (n. 60). In questa originale prospettiva delineata da Papa Benedetto XVI la distinzione fra impresa profit e non profit non è rigida, anzi può darsi che oggi «[...] non sia più in grado di dar conto completo della realtà» (n. 46). Possono esserci casi d’imprese miste — che, per esempio, operano in una logica di profitto ma ne destinano quote importanti a fini sociali —, o di fondazioni o gruppi d’imprese disposte a «[...] concepire il profitto come uno strumento per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e della società» (ibidem). E sarebbe un fatto positivo «lo scambio e la formazione reciproca tra le diverse tipologie di imprenditorialità, con travaso di competenze dal mondo non profit a quello profit e viceversa, da quello pubblico a quello proprio della società civile, da quello delle economie avanzate a quello dei Paesi in via di sviluppo» (n. 41). f. Etica dell‟impresa, etica per l‟impresa Naturalmente, non è solo dai soggetti totalmente o parzialmente non profit che può attendersi un serio orientamento dell’economia allo sviluppo integrale e un’uscita dalla crisi. Dalla disciplina accademica in notevole sviluppo della business ethics Benedetto XVI riprende — pur senza usare questa terminologia — la distinzione nell’impresa a fini di lucro fra shareholder, «azionista», e stakeholder, soggetto che pur non essendo azionista è portatore di un interesse (stake) rispetto all’attività dell’impresa: «portatori di interessi quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l‟ambiente naturale e la più ampia società circostante» (n. 14
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40). «Negli ultimi anni si è notata la crescita di una classe cosmopolita di manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi» (ibidem). Il principio morale, però — del resto rispettato da molti manager capaci di una «analisi lungimirante» (ibidem), che il Papa valorizza con il richiamo a suoi precedenti interventi che invitano l’economia a privilegiare la programmazione a lungo termine rispetto alla smania di profitto a breve termine, così che sarebbe ingiusto generalizzare —, è che «[...] la gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento» (ibidem). Mandare alla rovina i fornitori pagandoli con ritardi tali da farli fallire per accrescere i guadagni degli azionisti, per esempio, non è accettabile dal punto di vista etico. Peraltro, le conclusioni della moderna business ethics «[...] non sono tutte accettabili secondo la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa» (ibidem). Anzi, «si nota un certo abuso dell‟aggettivo “etico” che, adoperato in modo generico, si presta a designare contenuti anche molto diversi, al punto da far passare sotto la sua copertura decisioni e scelte contrarie alla giustizia e al vero bene dell‟uomo. Molto, infatti, dipende dal sistema morale di riferimento» (n. 45). Spesso sono presentati come prodotti «etici» quelli di aziende o organismi che fanno qualche offerta per la fame nel mondo ma poi propagandano la contraccezione o l’aborto. L’etichettatura di certi prodotti come «etici» è talora a sua volta ingannevole, e ben poco etica. «Bisogna, poi, non ricorrere alla parola “etica” in modo ideologicamente discriminatorio, lasciando intendere che non sarebbero etiche le iniziative che non si fregiassero formalmente di questa qualifica. Occorre adoperarsi — l‟osservazione è qui essenziale! — non solamente perché nascano settori o segmenti “etici” dell‟economia o della finanza, ma perché l‟intera economia e l‟intera finanza siano etiche e lo siano non per un‟etichettatura dall‟esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura» (ibidem). Simili ambiguità si annidano nelle associazioni dei consumatori, «[...] fenomeno da approfondire, che contiene elementi positivi da incentivare e anche eccessi da evitare» (n. 66). Può capitare infatti che i consumatori «[...] vengano manipolati essi stessi da associazioni non veramente rappresentative» (ibidem). g. Aiuti ai Paesi poveri e politica dell‟emigrazione Aiutare i Paesi poveri è, del resto, una questione complessa, dove abbondano inganni ed equivoci. Dovrebbe sempre essere applicato anche in questo campo il principio di sussidiarietà, «l‟antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista» (n. 57), principio che dovrebbe presiedere anche al 15
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governo della globalizzazione e alle attività di una auspicata «autorità di politica mondiale» economica e finanziaria (n. 67). Nei Paesi poveri come in quelli cosiddetti ricchi «[...] la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell‟assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno» (n. 58). E occorre un «monitoraggio dei risultati» (n. 47), che denunci con coraggio anche gli sprechi e le inefficienze. «Da questo punto di vista, gli stessi Organismi internazionali dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso troppo costosi. Capita talvolta che chi è destinatario degli aiuti diventi funzionale a chi lo aiuta e che i poveri servano a mantenere in vita dispendiose organizzazioni burocratiche che riservano per la propria conservazione percentuali troppo elevate di quelle risorse che invece dovrebbero essere destinate allo sviluppo» (ibidem). Forme alternative come il microcredito e la microfinanza possono talora funzionare meglio. E alla generosità delle imprese dei Paesi ricchi il Papa fa appello perché prendano in considerazione la possibilità di rinunciare a «un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario» (n. 22): il riferimento è alle proposte che mirano a concedere gratuitamente in uso alcune categorie di brevetti, particolarmente farmaceutici, ad aziende dei Paesi più poveri, o anche a rinunciare del tutto in alcuni specifici Paesi alla protezione garantita da tali brevetti. Si aiutano i Paesi poveri anche accogliendo i migranti? La questione, rileva Papa Benedetto XVI, è «di gestione complessa» (n. 62) e comporta «sfide drammatiche» (ibidem) che non consentono soluzioni sbrigative. «Siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati. Nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo» (ibidem). I «diritti fondamentali inalienabili» (ibidem) della persona migrante debbono essere rispettati, così come le esigenze della «società di approdo». «L‟interesse principale» (n. 47) è «[...] il miglioramento delle situazioni di vita delle persone concrete di una certa regione, affinché possano assolvere a quei doveri che attualmente l‟indigenza non consente loro di onorare» (ibidem) nel loro Paese di origine, senza essere costretti o indotti all’emigrazione. h. Ecologia dell‟ambiente e «ecologia umana» Si sarà notato che fra gli stakeholder il Pontefice menziona «l‟ambiente naturale» (n. 40). Il tema è da tempo parte delle riflessioni di Benedetto XVI. L’ambiente è definito come «[...] il meraviglioso risultato dell‟intervento creativo 16
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di Dio, che l‟uomo può responsabilmente utilizzare per soddisfare i suoi legittimi bisogni — materiali e immateriali — nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso» (n. 48). L’accento è posto sulla natura — e sull’uomo — come creazione di Dio, non semplice «frutto del caso o del determinismo evolutivo» (ibidem). «Se tale visione viene meno, l‟uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne. Ambedue questi atteggiamenti non sono conformi alla visione cristiana della natura, frutto della creazione di Dio» (ibidem). Sono dunque condannati sia gli «atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo» (ibidem) di un certo ecologismo, sia la «completa tecnicizzazione» (ibidem) dell’ambiente che lo considera «solo materia di cui disporre a nostro piacimento» (ibidem), mentre si tratta di un’«[...] opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario» (ibidem). La natura, in ogni caso, è per l’uomo e a chi parla di ecologia va ricordato che vi è anche, e anzitutto, una «ecologia dell’uomo» (n. 51). «Quando l‟“ecologia umana” è rispettata dentro la società, anche l‟ecologia ambientale ne trae beneficio» (ibidem). L’ambiente ha la sua importanza, «[...] ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell‟uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell‟ambiente naturale, quando l‟educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell‟ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l‟ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l‟ambiente e danneggia la società» (ibidem). i. Senza Dio, l‟uomo è solo; senza Dio, il vero sviluppo è impossibile Una «ecologia dell‟uomo» dovrebbe intervenire anche sul più grave problema che egli oggi sperimenta: «la solitudine» (n. 53). Il problema delle relazioni dell’uomo contemporaneo, che soffre di solitudine anche quando è in mezzo alle più chiassose compagnie, non può essere affrontato «[...] dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l‟apporto di saperi come la metafisica e la teologia» (ibidem). L’uomo, infatti, è solo se ha perso anzitutto la capacità di percepire la compagnia di Dio. 17
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Paradossalmente, può darsi che l’abbia persa anche quando si affida ad «[...] alcune culture a sfondo religioso, che non impegnano l‟uomo alla comunione, ma lo isolano nella ricerca del benessere individuale, limitandosi a gratificarne le attese psicologiche. Anche una certa proliferazione di percorsi religiosi di piccoli gruppi o addirittura di singole persone, e il sincretismo religioso possono essere fattori di dispersione e di disimpegno. Un possibile effetto negativo del processo di globalizzazione è la tendenza a favorire tale sincretismo, alimentando forme di “religione” che estraniano le persone le une dalle altre anziché farle incontrare e le allontanano dalla realtà. Contemporaneamente, permangono talora retaggi culturali e religiosi che ingessano la società in caste sociali statiche, in credenze magiche irrispettose della dignità della persona, in atteggiamenti di soggezione a forze occulte» (n. 55). Si tratta non solo di una denuncia di forme di religione che non costruiscono vere relazioni con Dio e con gli altri, ma di una forte critica del relativismo secondo cui non esisterebbe un «discernimento» (ibidem) che permetta di affermare che una religione è più vera di un’altra. «La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali» (ibidem). Né può essere accettata la prospettiva relativista per cui religione e ateismo hanno lo stesso valore, e potrebbero ugualmente fondare lo sviluppo integrale. Altra è la disponibilità della Chiesa a collaborare anche con i non credenti per la difesa di valori e diritti naturali, altro è il giudizio e il discernimento. Quest’ultimo non può omettere di denunciare la «[...] propensione a considerare i problemi e i moti legati alla vita interiore soltanto da un punto di vista psicologico, fino al riduzionismo neurologico. L‟interiorità dell‟uomo viene così svuotata e la consapevolezza della consistenza ontologica dell‟anima umana, con le profondità che i Santi hanno saputo scandagliare, progressivamente si perde» (n. 76). «La chiusura ideologica a Dio e l‟ateismo dell‟indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano» (n. 78). La spiritualità, quando è tollerata, lo è oggi perché è ridotta a un puro stato psicologico: «[...] il nostro io viene spesso ridotto alla psiche e la salute dell‟anima è confusa con il benessere emotivo. Queste riduzioni hanno alla loro base una profonda incomprensione della vita spirituale e portano a disconoscere che lo sviluppo dell‟uomo e dei popoli, invece, dipende anche dalla soluzione di problemi di carattere spirituale» (n. 76). Se si esclude la dimensione spirituale, non si uscirà dalla crisi e non si opererà veramente per lo sviluppo integrale. «Lontano da Dio, l‟uomo è inquieto e malato. L‟alienazione sociale e psicologica e le tante nevrosi che caratterizzano le società opulente rimandano anche a cause di ordine spirituale. Una società del benessere, materialmente sviluppata, ma opprimente per l‟anima, non è di per sé orientata all‟autentico sviluppo. Le nuove forme di schiavitù della droga e la disperazione in cui cadono tante persone trovano una 18
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spiegazione non solo sociologica e psicologica, ma essenzialmente spirituale. Il vuoto in cui l‟anima si sente abbandonata, pur in presenza di tante terapie per il corpo e per la psiche, produce sofferenza» (ibidem). No: le ideologie, la tecnocrazie, le terapie, le nuove religioni e magie che fungono da oggetto di consumo non sono la soluzione. «Senza Dio l‟uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia» (n. 78). «Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l‟amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l‟autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato» (n. 79). Al termine dell’Anno Paolino il Papa invita a volgere lo sguardo al grande cantore della carità nella verità, San Paolo, e alla Vergine Maria, «Speculum iustitiae e Regina pacis» (ibidem). È guardando verso l’alto, verso il Cielo e verso Dio, che sapremo guardare anche avanti: verso uno sviluppo davvero integrale, «[...] un “oltre” che la tecnica non può dare […] che ha il suo centro orientatore nella forza propulsiva della carità nella verità» (n. 77).
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Il Popolo della Libertà: un nuovo partito al di fuori e contro le ideologie Marco Invernizzi Il 27-28 marzo 2009 è nato il Popolo della Libertà (PdL), un nuovo partito politico. Esso sorge nell’epoca «post-ideologica» apertasi con la rimozione del Muro di Berlino nel 1989 e con la fine dell’Unione Sovietica, nel 1991, dopo la Terza Guerra Mondiale, la cosiddetta Guerra Fredda (1946-1991), che ha contrapposto l’Occidente al sistema comunista insediatosi in Russia dal 1917 e nell’Europa Orientale dopo la fine del secondo conflitto mondiale (19391945)1. Non essendo ideologico, come dichiara esplicitamente, il PdL non è dunque un partito destinato a incidere nella vita della società italiana nella maniera invasiva tipica dei «partiti di massa»2 del secolo XX, anzi di questo suo essere un partito di moderati contrari alle ideologie e, in particolare, alle loro creature, ovvero ai totalitarismi del secolo XX, si fa un punto di onore e questa caratteristica ha conquistato a esso molti consensi. Addirittura si potrebbe sostenere che voglia essere una sorta di «cintura protettiva» dalle ideologie per l’Italia che sta oggi governando, un movimento-partito che privilegia la «cultura del fare» rispetto al «politichese», al linguaggio ipertecnico e criptico della politica moderna, come ha ribadito il suo leader, on. Silvio Berlusconi, durante il congresso costitutivo. La sua nascita costituisce un fatto molto importante, anche in ragione del consenso che il partito riesce a raccogliere in quanto fusione del primo partito italiano — Forza Italia (FI) — e del terzo — Alleanza Nazionale (AN). 1
Cfr. un’analisi dei mutamenti dei partiti italiani in Luciano Bardi, Piero Ignazi e Oreste Massari (a cura di), I partiti italiani. Iscritti, dirigenti, eletti, EGEA, Milano 2007. Cfr. pure una cronaca-testimonianza della «discesa in campo» dell’on. Silvio Berlusconi in Maria Latella, Come si conquista un paese. I sei mesi in cui Berlusconi ha cambiato l‟Italia, Rizzoli, Milano 2009; e una cronaca della nascita del PdL in Laura Della Pasqua, La svolta del predellino. Svolta, segreti e retroscena della nascita del Popolo della Libertà, con una Prefazione di Gianni Baget Bozzo (1925-2009), Bietti, BresciaMilano 2009. 2 Cfr. Paolo Mazzeranghi, Il partito politico moderno, in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale, Voci per un «Dizionario del Pensiero Forte», a cura e con Un «Dizionario del Pensiero Forte» di Giovanni Cantoni e con Presentazione di Gennaro Malgieri, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 185-190.
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Le origini prossime Le origini del PdL si possono far risalire al 1993, quando Silvio Berlusconi, imprenditore di successo nel settore immobiliare e delle televisioni non statali, decide di scendere in campo, fondando — il 18 gennaio 1994 — Forza Italia, che si definisce un movimento politico piuttosto che un partito. La formazione, infatti, non assomiglia né al partito di notabili che precede i partiti ideologici di massa nati in seguito alla Grande Guerra (1914-1918), né, naturalmente, a questi ultimi, in qualche modo allargamento alle masse del modello «giacobino» di partito, che ha origine negli anni della Rivoluzione del 17893. Forza Italia nasce dopo l’abbattimento del Muro di Berlino, nel 1989, e dopo «Tangentopoli» — l’inchiesta della magistratura milanese contro la corruzione dei partiti svoltasi agli inizi degli anni 1990 —, avvenimenti strettamente legati fra loro, che portarono al disfacimento delle forze politiche protagoniste della Prima Repubblica: il Partito Socialista Italiano (PSI) e la Democrazia Cristiana (DC). Forza Italia ha origine dall’intuizione di un «nonpolitico» anticomunista, convinto che per impedire la vittoria elettorale della «gioiosa macchina da guerra»4 del segretario del Partito Democratico della Sinistra, on. Achille Occhetto, nel vuoto di rappresentanza creato dai due fenomeni menzionati, bisognasse «inventare» qualcosa di nuovo. Occhetto infatti guidava un partito nuovo, sorto dalle ceneri del Partito Comunista Italiano (PCI) dopo la fine dell’Unione Sovietica, un partito di sinistra, postcomunista ma che continuava a fruire del formidabile apparato creato dall’on. Palmiro Togliatti (1893-1964) negli anni della Guerra Civile (1943-1945) e del Comitato di Liberazione Nazionale, il CLN, fra il 1943 e il 1947. Una forza, dunque, che non poteva garantire tranquillità agl’imprenditori e, in particolare, un futuro nella libertà politica ed economica a chi aveva introdotto in Italia la televisione commerciale contro quella monopolistica dello Stato e che aveva sempre professato una profonda avversione per il comunismo. Berlusconi non aveva mai nascosto — e continua a non nascondere — la sua amicizia con il segretario socialista on. Benedetto «Bettino» Craxi (19342000), morto durante il suo esilio, volontariamente scelto per sfuggire alle condanne inflittegli dalla magistratura di Milano, e spera, nel 1994, che sia il 3
Cfr. Paolo Pombeni, Partiti e sistemi politici nella storia contemporanea (1830-1968), il Mulino, Bologna 1994; e Luigi Compagna, L‟idea dei partiti da Hobbes a Burke, Città Nuova, Roma 2008. 4 Cit. in Francesco Verderami, Parte la «gioiosa macchina da guerra», in Corriere della Sera, Milano 2-2-1994; cfr. in proposito il mio «Dal PCI al PDS»: le tappe e i contenuti di una metamorfosi rivoluzionaria, in Cristianità, anno XXII, n. 225-226, Piacenza gennaio-febbraio 1994, pp. 5-9.
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politico già democristiano on. Mario Segni — promotore del referendum che modificava il sistema elettorale in senso parzialmente maggioritario — a guidare una coalizione moderata che si opponga alle sinistre. Ma Segni rifiuta questo ruolo e sceglie di presentarsi come «terza forza» politica di centro, insieme al Partito Popolare nato dalla frantumazione e dalla scomparsa della DC, che aveva cessato di esistere nello stesso giorno in cui nasceva Forza Italia. Il partito berlusconiano si forma utilizzando i quadri di un’azienda del fondatore, la Fininvest, e affronta il nuovo sistema elettorale alleandosi al Nord con la Lega del sen. Umberto Bossi e al Sud con il Movimento Sociale Italiano (MSI) dell’on. Gianfranco Fini, oltre che con il Centro Cristiano Democratico (CCD) dell’on. Pierferdinando Casini, un altro «spezzone» della DC. La reale e profonda novità di FI stava anche nel fatto che per la prima volta metteva alcune forze partitiche, fino ad allora escluse, in condizione di «contare» politicamente. E con esse i milioni di elettori che il sistema politico della Prima Repubblica, il cosiddetto «arco costituzionale», modellato sull’unità antifascista del CLN, aveva sempre ghettizzato, a volte anche fisicamente. Ma tutto in quei giorni tendeva alla novità: l’intero mondo occidentale era in continua trasformazione per adeguare le proprie strutture politiche al mutamento epocale di scenario seguito al 19895. Berlusconi vince inaspettatamente le elezioni politiche del 27 e 28 marzo 1994 e produce un cataclisma politico, che si può leggere come una vera e propria insorgenza popolare contro il rinnovato pericolo che il Paese venisse conquistato dalla sinistra, anche se essa non era più presente nello scenario politico sotto la sigla del PCI. Berlusconi, «il Cavaliere» della Repubblica, l’uomo venuto dalla gavetta, l’imprenditore di successo, il presidente della più vincente delle squadre di calcio dell’epoca, il Milan, colui che aveva sfidato e vinto il monopolio dello Stato sull’informazione televisiva e che prometteva una rivoluzione liberista che avrebbe affrancato la società civile dalle lungaggini burocratiche e dalla corruzione statalista «romana», diventa Presidente del Consiglio. Qualunque sia il giudizio che se ne abbia, bisogna prestare attenzione a questo autentico evento politico e di costume perché segnerà la storia almeno dei successivi vent’anni. La vittoria non è merito del solo Berlusconi, ma anche del radicamento localistico della Lega Nord, espressione di una parte non irrilevante del Paese reale: quello delle valli alpine, dei piccoli comuni della Pianura Padana, del 5
Cfr. G. Cantoni, Fra crisi e «ristrutturazione»: ipotesi sul futuro dell‟impero socialcomunista, in Cristianità, anno XVIII, n. 187-188, novembre-dicembre 1990, pp. 13-19, e Idem, Il «problema politico italiano» e il «problema politico dei cattolici italiani»: no al «fronte popolare» versione anni 1990, ibid., anno XXI, n. 223, Piacenza novembre 1993, pp. 3-6.
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«ventre» del Veneto. Gli italiani, che avevano già trovato nell’autonomismo dei leghisti una possibilità di partecipare alla gestione del potere locale contro i partiti, tutti in qualche modo dipendenti da Roma e perciò ritenuti estranei agli interessi locali, grazie alla Lega e poi al governo presieduto da Berlusconi, nel 1994 consolidano la loro forza locale e contemporaneamente si ritrovano al governo di tutto il Paese. Con il neofederalismo di Bossi torna altresì di attualità il problema politico lasciato aperto dall’unificazione nazionale, perché nel 1861 si volle creare uno Stato centralizzato, copiando il modello francese e imponendolo a tutta l’Italia, dal Sud al Veneto e alla Lombardia. Se l’alleanza con la Lega al Nord porta buoni risultati, altrettanto bene va al Centro e al Sud l’intesa con il MSI, che Berlusconi aveva indicato quale possibile futuro alleato politico già in occasione delle elezioni comunali di Roma, nel novembre 1993. In quella circostanza, infatti, il Cavaliere aveva pubblicamente dichiarato che, se avesse dovuto votare, avrebbe scelto il segretario del Movimento Sociale Italiano, on. Gianfranco Fini — candidato contro l’on. Francesco Rutelli —, che stava allora trasformando un partito nato neofascista in una formazione conservatrice, Alleanza Nazionale, che rompeva con l’eredità ideologica del Ventennio (1922-1943). Anche l’elettorato di destra, che aveva come riferimento obbligato il MSI — un voto conservatore che poco o nulla aveva a che fare con il fascismo-regime e con il neofascismo, ma che non si fidava di una DC che si spostava costantemente verso sinistra —, rappresentava una parte del Paese «reale». Si trattava di un elettorato che non aveva mai avuto in Italia una rappresentanza politica autenticamente di destra, a causa dell’identificazione forzata fra destra e fascismo operata strumentalmente dai partiti di governo del dopoguerra, in particolare dal PCI, soprattutto a partire dalla caduta del governo dell’on. Fernando Tambroni (1901-1963) dopo i «fatti di Genova» dell’estate del 19606, e dal successivo avvio dei governi di centrosinistra. Grazie alla scelta di Berlusconi milioni d’italiani tornavano così a essere protagonisti, sia come elettori sia come attori della vita politica. Pure l’alleanza con il CCD ha un buon esito. Ed è questo un avvenimento molto rilevante perché, anche qui, per la prima volta nella storia repubblicana, un settore significativo della DC si stacca dal tronco principale «da destra», spostandosi verso la parte conservatrice dell’elettorato, mentre fino ad allora si era sempre assistito a un progressivo scivolamento del partito d’ispirazione cristiana verso sinistra, prima attraverso l’ostilità della classe dirigente democristiana verso i Comitati Civici di Luigi Gedda (1902-2000), poi con l’abbandono di Tambroni nel mezzo della crisi del suo governo, nel 1960, per 6
Cfr. il significato di quanto accaduto nel luglio del 1960 a Genova, in Marco Invernizzi e Paolo Martinucci (a cura di), Dal «centrismo» al Sessantotto, Ares, Milano 2007.
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favorire l’«apertura» ai partiti di centro-sinistra; poi, infine, con i governi neociellenisti detti di «solidarietà nazionale», aperti al PCI, susseguitisi fra il 1976 e il 1979.
Il precedente della «maggioranza silenziosa» In effetti, andando a ritroso nella storia italiana, il primo fenomeno politico simile a quello che oggi rappresenta il Popolo della Libertà è la cosiddetta «maggioranza silenziosa»7 — espressione coniata dal presidente americano Richard Nixon (1913-1994) in un discorso del 1969 —, ossia quel movimento di reazione a base popolare contro la Rivoluzione culturale del Sessantotto e i suoi strascichi violenti8, che porta in piazza a Milano il 13 marzo 1971 decine di migliaia di persone in una grandiosa manifestazione, svoltasi nonostante il clima da guerra civile instaurato dagli extraparlamentari comunisti e tollerato dalle autorità cittadine — addirittura gli attivisti rossi filmavano il corteo allo scopo d’individuare e poi d’intimidire i partecipanti. Una maggioranza di uomini e di donne comuni, di orientamento conservatore o moderato, esasperati dalla violenza che infuriava nelle scuole e nelle fabbriche per iniziativa del movimento studentesco e dei molteplici gruppi rivoluzionari della sinistra estremista. La «maggioranza silenziosa», come accadrà a Forza Italia e come era accaduto ai Comitati Civici nel 1948, nasce nello spazio di poco tempo — qualche mese — come risposta a un’oggettiva emergenza e riesce a unire forze politiche e culturali molto eterogenee fra loro. L’estendersi della violenza rossa degli anni 1970 e la probabile vittoria elettorale degli ex comunisti nel 1994 furono due pericoli analoghi, che produrranno reazioni analoghe. Queste tre forme reattive non oppongono al socialcomunismo un’ideologia, ma solo quel «senso comune» che rifiuta il sovvertimento dei valori tradizionali, e che, soprattutto, si oppone alla penetrazione dell’ideologia marxista nelle strutture della Repubblica e nella vita quotidiana della nazione. Come farà specie allora, in quel sabato pomeriggio del 1971, osservare la presenza non di rivoluzionari muniti di caschi e di bastoni, ma di signore «normali» sfilare — magari un po’ imbarazzate — per le vie di Milano, così, allo stesso modo, verranno guardati con stupore i dipendenti, gli avvocati o gli amici di Silvio Berlusconi che
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Richard Nixon, Address to the Nation on the War in Vietnam, del 3-11-1969, in Public Papers of the Presidents of the United States. Richard Nixon. Containing the Public Messages, Speeches, and Statements of the President. 1969, United States Governmente Printing Office, Washington 1971, pp. 901-909 (p. 909). 8 Cfr. Enzo Peserico (1959-2008), Gli anni del desiderio e del piombo. Dal Sessantotto al terrorismo, Sugarco, Milano 2008.
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«scendevano in piazza» con il Cavaliere, anch’essi non privi di un imbarazzo che traspariva dal loro modo di affrontare la scena politica. Naturalmente fra queste realtà vi sono anche non poche differenze. Anzitutto il fenomeno «maggioranza silenziosa» dura pochissimo come espressione organizzata perché viene travolta dalle provocazioni di diverse forze istituzionali e politiche e dalle sue divisioni interne. Il fallimento è conseguenza della violenza dell’epoca ma, soprattutto, della mancanza di un forte punto di riferimento organizzativo e politico, che invece vi sarà sempre chiaramente in Forza Italia e poi nel Polo delle Libertà e nella successiva Casa delle Libertà, con l’indiscussa leadership di Berlusconi. La «maggioranza silenziosa» fu un fenomeno prettamente milanese, che avrebbe peraltro potuto estendersi nel resto d’Italia con una certa facilità, almeno nel Nord, dove vi erano condizioni culturali e politiche simili. Il comitato promotore era composto da esponenti delle diverse «destre»: quella missina, quella liberale e quella monarchica, ma coinvolse parte della DC — per esempio il consigliere comunale on. Massimo De Carolis — e soprattutto tanti giovani anticomunisti che nelle scuole e nelle università si battevano, come potevano, contro la violenza rossa. Essa non aveva altro progetto che quello di difendere la libertà di espressione e di agibilità politica sempre più minacciate. I partiti avrebbero beneficiato elettoralmente di questo movimento, se avessero aspettato le elezioni. Invece non ebbero l’intelligenza politica di starne il più lontano possibile e le loro divisioni si ripercossero anche dentro la «maggioranza silenziosa». Ovviamente furono anche e soprattutto altri i motivi dell’insuccesso del movimento, a cominciare dall’atteggiamento delle istituzioni, anche se la maggioranza silenziosa difendeva la polizia e i carabinieri e, in senso lato l’autorità dello Stato. Già la seconda manifestazione di piazza, il 17 aprile, venne proibita, con grave ritardo — la mattina stessa del giorno in cui era stata convocata e precedentemente autorizzata —, in modo che la gente non poté essere avvertita in tempo. Vi furono scontri fra manifestanti e polizia, con feriti, ma soprattutto quel giorno molti benpensanti che erano andati in piazza per difendere lo Stato e la libertà cominciarono a credere che nelle istituzioni qualcosa non andava, o meglio, che nelle istituzioni la simpatia per la sinistra e soprattutto l’astio per chi era esplicitamente anticomunista era assai elevato. Si viveva male nell’Italia di allora, avvelenata dal diffondersi d’ideologie che rifiutavano il senso comune e si schieravano contro le radici del Paese, e, in particolare, dalla violenza fisica e morale quasi quotidiana, nelle scuole e nelle università, nelle fabbriche e nelle strade, ma soprattutto nel modo di affrontare i problemi, non soltanto quelli politici, un modo quasi sempre segnato dall’uso polemico della dialettica, dall’odio per l’avversario, dal bisogno del nemico di classe o di qualcosa d’altro. 26
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Così lo storico Giuseppe Mammarella descrive quel clima, e certamente si tratta di una descrizione che non esprime tutta la drammaticità di quei giorni: «Nella valutazione storica di quegli avvenimenti non si può prescindere dall‟atmosfera e dal clima di quel periodo. Lo stillicidio di manifestazioni e di contromanifestazioni che nelle grandi città impegnava le forze dell‟ordine quasi quotidianamente, atti di terrorismo politico, aggressioni e sequestri, il dissenso ideologico che, partito dalle università, si estese a tutti gli ambienti della vita associata fino a investire la chiesa e la famiglia, sconvolgendo convinzioni e valori profondamente radicati, sono gli elementi di una condizione drammatica che sembra non avere sbocco. […] Questo il quadro che caratterizzò gli anni dal 1969 al 1972. Essi sembrarono tra i più drammatici della storia della repubblica e tali da giustificare i timori di una crisi di regime. In realtà era solo il preludio degli “anni di piombo”»9. Tuttavia, come espressione popolare, la «maggioranza silenziosa» sopravvivrà al fallimento organizzativo e, per esempio, influirà in maniera determinante sulla forte avanzata del Movimento Sociale Italiano — denominatosi nel frangente anche Destra Nazionale (DN) — nelle elezioni politiche del 1972 e, soprattutto, caratterizzerà la resistenza degli anni 1970 sia contro il «compromesso storico» fra DC e PCI 10, sia contro il terrorismo comunista. Questi italiani continueranno a votare senza alcun entusiasmo per la DC, la «grande diga» contro il possibile avvento di un regime comunista in Italia, a volte premiando il più deciso anticomunismo del MSI-DN.
Un altro precedente: il 18 aprile 1948 Ma, tornando ancora più indietro nel tempo, si può trovare un altro antecedente delle due realtà evocate: le elezioni politiche del 18 aprile 1948 11. Anche in questo caso la decisione di costituire lo strumento che farà la differenza durante la campagna elettorale, cioè i Comitati Civici, viene presa solo tre mesi prima del 18 aprile per iniziativa di Papa Pio XII (1939-1958), che chiede al presidente degli Uomini di Azione Cattolica Italiani, Luigi Gedda, di 9
Giuseppe Mammarella, L‟Italia contemporanea (1943-2007), il Mulino, Bologna 2008, pp. 330-331. 10 Cfr. G. Cantoni, La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulla soglia dell‟Italia rossa, con in appendice l’Atto di consacrazione dell‟Italia al Cuore Immacolato di Maria, Cristianità, Piacenza 1980. 11 Cfr., a mia cura, Il 18 aprile 1948. L‟«anomalia italiana», Ares, Milano 2007; Luigi Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell‟artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Mondadori, Milano 1998; e il mio 18 aprile 1948. Memorie inedite dell‟artefice della sconfitta del Fronte Popolare, in Cristianità, anno XXVI, n. 281, Piacenza settembre 1998, pp. 13-16.
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predisporre uno strumento operativo per porre rimedio alla debolezza organizzativa della DC. Ovviamente, la più evidente delle differenze fra allora e oggi sta nella diversa condizione del corpo sociale italiano, allora molto più omogeneo quanto ai valori di riferimento. Se oggi i cattolici praticanti sono intorno al trenta per cento, a quel tempo erano molti di più e questo contribuisce a spiegare il ruolo determinante dei Comitati Civici e della Chiesa nel positivo esito elettorale. Ma anche allora si trattò di mettere insieme forze cattoliche e non cattoliche, anche se, per diversi motivi, esse pure profondamente anticomuniste, ossia i socialdemocratici, i liberali e i repubblicani. Oggi la società è molto più frastagliata, quasi «coriandolizzata»12, e in Forza Italia, come negli altri partiti del centro-destra, la difesa dei «[...] princìpi che non sono negoziabili»13 viene fuori soprattutto nelle emergenze, com’è avvenuto con il «caso» di Eluana Englaro (1970-2009) nei primi mesi del 2009. Sarebbe ovviamente ridicolo paragonare Berlusconi a Gedda, e anche ad Alcide De Gasperi (1881-1954), per le troppe differenze personali e culturali fra i tre personaggi. Ma gli episodi di cui furono protagonisti si assomigliano, nella genesi e nel risultato, oltre che nel significato culturale e politico. Se i personaggi sono molto diversi, altrettanto però non si può dire della parte di popolo protagonista dei due episodi.
L’«insorgenza» come categoria politica permanente Come accennato, si può dire che nel 1994, duecento anni dopo, si manifesti una specie di nuova insorgenza popolare — sul modello remoto di quelle contro Napoleone Bonaparte (1769-1821) — nei confronti di quei poteri e di quelle forze progressiste di natura ideologica pronte a plaudire alla «inevitabile» vittoria elettorale degli ex comunisti. Infatti, intellettuali e giornalisti — con rare eccezioni —, grande industria e burocrazia, dirigenti e dipendenti pubblici — il Paese «legale» —, stavano allora dalla parte della sinistra, oppure del centro di Mario Segni e del nuovo Partito Popolare. Anche 12
Cfr. la «coriandolizzazione» della società, in CENSIS. Centro Studi Investimenti Sociali, 41° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese 2007. Considerazioni generali, Franco Angeli, Milano 2007, p. 7: «[...] la frammentazione progressiva di tutte le forme di coesione e appartenenza collettiva ha creato una molecolarità che [...] sta creando dei “coriandoli”». 13 Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dal Partito Popolare Europeo, del 30-3-2006, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. II, 1, 2006 (GennaioGiugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 382-384 (p. 384), trad. it. in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 31-3-2006.
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molte curie episcopali non nascondevano la loro preferenza, né lesinavano il loro impegno per il centro o per la sinistra, in un trend durato almeno fino alla Nota dottrinale sull’impegno dei cattolici in politica pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2002 14, che stabilisce criteri oggettivi e ragionevoli per il comportamento elettorale — eletti ed elettori — dei cattolici. Il termine «insorgenza» non è casuale, ma significa qualcosa di concettualmente e di storicamente preciso. Come scrive Giovanni Cantoni, «Insorgenza» è un fenomeno storico e anche una categoria politica — per cui è lecito scriverla con l’iniziale maiuscola, come, per esempio, Resistenza —, con cui si può denominare la reazione di parti consistenti del corpo sociale di fronte al disagio indotto dal modo in cui si viene articolando il mondo moderno dopo il 1789. Una sorta di malessere «dentro» la modernità, originato in particolare dal tentativo dello Stato moderno di costruire ideologicamente una società nuova e radicalmente difforme da quella pre-moderna. «Mi pare lecito ipotizzare — scrive Cantoni — l‟esistenza di una “legge” storica — meglio, di un “ritmo” storico — per cui la società, cioè ogni società storica, dopo aver resistito all‟inverosimile, reagisce all‟imposizione di un abito organizzativo e istituzionale inadeguato e/o al tentativo di snaturarla per renderla docile a tale imposizione. Come pure ipotizzare, quindi, che l‟Insorgenza sia l‟espressione incarnata, socio-politica, quasi motus primo primus, “moto primo primo”, del corpo sociale, dell‟―eterno ritorno del diritto naturale‖[15], un ―eterno ritorno‖ da intendersi non come periodica ripresentazione ciclica, ma come potenziale, permanente reattività di un ―diritto naturale‖, che non può essere trascurato, compresso oltre un determinato limite»16. La nozione d’insorgenza si ricollega storicamente alle numerose insurrezioni antirivoluzionarie e antinapoleoniche avvenute in Italia e in numerosi Paesi europei nel periodo 1796-1799 — il cosiddetto Triennio 14
Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l‟impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, del 24-112002, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, trascritto con lo stesso titolo in Cristianità, anno XXXI, n. 315, Piacenza gennaio-febbraio 2003, pp. 8-14; cfr. ibid., G. Cantoni, Le radici dell‟ordine morale e il loro riconoscimento nella vita politica grazie all‟impegno e al comportamento dei cattolici, pp. 3-7; card. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, Cultura cattolica per un vero umanesimo, pp. 15-17; e card. Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, La missione politica del laicato cattolico: per la regalità di Cristo nella postmodernità, pp. 17-19. 15 Cfr. Heinrich Albert Rommen (1897-1967), L‟eterno ritorno del diritto naturale, trad. it., con Prefazione di Giovanni Ambrosetti (1915-1985), Studium, Roma 1965. 16 G. Cantoni, L‟Insorgenza come categoria storico-politica, in Cristianità, anno XXXIV, n. 337-338, Piacenza settembre-dicembre 2006, pp. 15-28 (p. 28).
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Giacobino — e nel periodo imperiale, fino alla sconfitta definitiva di Napoleone. Di esse la storiografia italiana non si è occupata e, quando lo ha fatto, lo ha fatto perché costretta, liquidandole come episodio antimoderno, come disperato e anacronistico tentativo di riportare indietro la storia di un Paese proiettato nella modernità17. Ora, non vi è nulla di più moderno dei due esempi che ho portato: sia i Comitati Civici, sia Berlusconi e il partito nato dalla sua vicenda politica si sono sempre autorappresentati come soluzione moderna ai problemi posti dalla modernità. In effetti, lo stile propagandistico, le parole e i mezzi utilizzati, in entrambi i casi sono stati profondamente innovativi. Ma questo uso dei mezzi moderni è messo in gran parte, non sempre tematicamente, al servizio di quel diritto naturale di cui scrive Cantoni, ossia di quei princìpi che anche nell’epoca moderna sono rimasti, magari assopiti o contraffatti, nel cuore di una parte del popolo italiano e sono stati a lungo in cerca di qualcuno che avesse le capacità e l’opportunità di dare loro visibilità e forza organizzata. Si tratta di princìpi che non sono né vecchi né moderni, ma semplicemente perenni, ovvero presenti nella natura umana creata a immagine e somiglianza di Dio e non completamente sradicati dal peccato di origine. Essi si ritrovano anche nel comune sentire dei popoli occidentali, residui presenti e vivi, pur se allo stato latente, magari in modo parziale e a volte confuso, a dispetto dell’inondazione ideologica che si apre nel 1789 e dura per due secoli fino al 1989, in parti significative della società. Nel tempo di quella forma dominante di modernità, caratterizzata dall’egemonia culturale della sinistra, sono sentimenti di cui è rimasto custode e promotore il magistero della Chiesa e, per alcuni aspetti, hanno trovato spazio anche in quella che è stata definita «cultura di destra». La destra autentica, nella storia dell’Italia moderna, a livello politico non avrà mai la possibilità di essere veramente e genuinamente rappresentata: tuttavia i suoi valori di riferimento non scompariranno. Scrive il politologo Roberto Chiarini: «La destra in buona sostanza si trova ad operare nell‟Italia repubblicana come un fiume carsico»18; e ancora: «[...] ad occhio nudo un os-
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Cfr. una sintesi, in Oscar Sanguinetti, La Chiesa e le insorgenze popolari controrivoluzionarie, in Franco Cardini (a cura di), Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1994, pp. 373-407; fra le opere di carattere generale, Giacomo Lumbroso (1897-1944), I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII (1796-1800), a cura e con Premessa alla seconda edizione e Bibliografia di O. Sanguinetti, Minchella, Milano 1997, e O. Sanguinetti (a cura di), Insorgenze antigiacobine in Italia (1796- 1799). Saggi per un bicentenario, Istituto per la Storia delle Insorgenze, Milano 2001. 18 Roberto Chiarini, Destra italiana dall‟Unità d‟Italia ad Alleanza Nazionale, Marsilio, Venezia 1995, pp. 76-77.
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servatore può pensare che non esista, se non fosse per le sparute schiere dei nostalgici. Ma nelle pieghe della società civile essa è presente»19. E così è avvenuto. Le insorgenze popolari antinapoleoniche, i Comitati Civici di Luigi Gedda, la «maggioranza silenziosa» e, infine, la discesa in campo — e la sua permanenza alla ribalta da quindici anni — di Silvio Berlusconi sono cose diversissime fra loro, ma esprimono tutte un idem sentire popolare, che si esprime in forma rudimentale nel rifiuto, che nasce dentro il Paese profondo, di ogni tentativo d’imposizione, da parte dello Stato o di un’autorità superiore, di un modo di concepire la vita pubblica ideologico e radicalmente ostile alle radici storiche del Bel Paese. Sempre Chiarini ha messo bene in luce questo tratto, che accompagna tutta la storia dell’Italia contemporanea: «Il fatto è che questa impronta giacobina, lungi dal rientrare una volta cessata l‟emergenza della rivoluzione risorgimentale, dura nel tempo e si consolida fino a divenire uno stabile tratto caratterizzante della cultura e dello stile politico dei gruppi dirigenti partitici italiani, con una produzione a cascata di conseguenze nel lungo periodo. La più rilevante sul fronte della dinamica politica intercorrente tra istituzioni e cittadini è la presunzione, che sarà pressoché di tutti i partiti futuri, di essere portatori di una “verità”, ideologica o morale, da far calare sulla società civile ritenuta assiomaticamente immatura per governarsi da sola. La seconda è l‟investitura degli intellettuali di una funzione politica privilegiata quanto strategica: quella di essere “costruttori di valori”. La terza è la torsione progressista che resta impressa in Italia alla politica, costretta solo a guardare avanti e a considerare destituita del benché minimo fondamento storico, oltre che morale, qualsiasi idea che attinga o si richiami in qualche misura a patrimoni morali, valoriali o politici premoderni in quanto intrinsecamente regressivi»20.
I problemi del nuovo partito È difficile dare una valutazione anche soltanto approssimativa di una realtà appena nata come il Popolo della Libertà. Ho cercato di descriverne il caratteristico anti-ideologismo perché — insieme all’altra proprietà di essere l’aggregato di forze culturali e sociali disomogenee — mi è sembrato uno dei suoi aspetti principali. Indubbiamente il PdL è un partito che opera nell’epoca successiva alle ideologie e assume i connotati, sia positivi sia negativi, di quest’epoca. Tuttavia è necessario capire che cosa significhi essere un partito postmoderno e postideologico. Per molti, politologi e storici di sinistra soprattutto, l’epoca nella quale stiamo vivendo si potrebbe intitolare il 19 20
Ibidem. Ibid., p. 25.
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«ventennio di Berlusconi» (1993-2013) e qualcuno — lo storico Nicola Tranfaglia — ha espressamente titolato così un suo libro, che inizia con Tangentopoli e con la fine della Prima Repubblica e si conclude nel 2013, con la fine della legislatura che ha visto la terza vittoria elettorale di Berlusconi 21. Un ventennio che richiama quello fascista perché caratterizzato da un regime populista, che prescinde dai partiti come appunto quello del Ventennio, anche se per altri aspetti è molto diverso dal regime di Benito Mussolini (1883-1945). Un periodo che ha visto la sconfitta delle sinistre, addirittura la loro estinzione secondo Tranfaglia. In qualche modo gl’intellettuali progressisti come Tranfaglia rimpiangono il periodo precedente la rimozione del Muro di Berlino, perché allora la rivoluzione era in moto, in Italia soprattutto, ed era così possibile costruire una «nuova sinistra» postcomunista che coniugasse i «diritti civili» — divorzio, aborto, identità di genere, ingegneria genetica — con un socialismo ripulito dalle scorie dell’impresentabile comunismo sovietico. Una delle accuse rivolte a Berlusconi è di essere populista, cioè di disprezzare in diversi modi le regole della democrazia parlamentare nata dalla Costituzione del 1948, e di essere, come poi effettivamente appare, un uomo spesso sopra le righe, incapace di contenere il suo «privato» anche nelle circostanze ufficiali. Il populismo di Berlusconi sarebbe simile a quello, paradigmatico, del militare e uomo politico argentino Juan Domingo Perón (1895-1974) ed esprimerebbe una concezione della politica carismatica che prevede un rapporto diretto fra il leader e il popolo. Sarebbe, per di più, consumista, cioè ostenterebbe la sua ricchezza personale e inviterebbe implicitamente tutti a imitare la sua parabola individuale, che lo ha portato a diventare ricco e famoso attraverso la «cultura del fare», il lavoro costante e metodico. Sul populismo può essere utile qualche considerazione. Certamente il popolo non è la fonte del vero e del bene: questa polemica oppose la Chiesa all’ideologia ugualitaria nata dalla Rivoluzione del 1789 che appunto attribuiva al popolo, inteso come maggioranza, la sovranità anche su quei princìpi che oggi il Magistero definisce «non negoziabili». Ma la dottrina sociale della Chiesa ha sempre valorizzato la partecipazione del popolo alla gestione del potere. In sintesi, se una maggioranza non trasforma in bene un male e non fa diventare vero un errore, ciò non significa che non sia un bene che abbia la massima possibile voce in capitolo nelle decisioni inerenti al bene della comunità. E questa forma di partecipazione politica può esprimersi attraverso i partiti, come avviene nelle società democratiche occidentali caratterizzate dal pluralismo ideologico, che la Chiesa ha sempre difeso contro il totalitarismo 21
Cfr. Nicola Tranfaglia, Vent‟anni con Berlusconi (1993-2013). L‟estinzione della sinistra, con la collaborazione di Teresa De Palma, Garzanti, Milano 2009.
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degli Stati comunisti, ma può prevedere anche altre forme di partecipazione politica. Quanto sta accadendo dopo il 1989 in Occidente, con la trasformazione dei partiti e la loro sempre minore influenza a vantaggio di altre forme organizzative sorte all’interno della società, va in questa direzione. Invece, esistono forze ideologiche che amano definirsi democratiche ma disprezzano quel popolo che «non capisce» di dover accettare l’ideologia del progresso di cui si ritengono in qualche modo depositarie: così il popolo che si ribella all’imposizione dei regimi giacobini negli anni di Napoleone è ottuso e manovrato da preti e monarchi, così come quello che sconfigge le sinistre nel 1948 o che dà vita alla «maggioranza silenziosa» è clericale e reazionario. La stessa sorte è capitata a coloro che, democraticamente, hanno affidato il governo dell’Italia al centro-destra nel 1994, nel 2001 e nel 2008. Sarebbe un popolo «populista», simile al sottoproletariato che Karl Marx (1818-1883) disprezzava perché non aveva una coscienza di classe: «[...] se l‟elettorato non vota per le forze di centrosinistra, l‟espressione politica del popolo perde la qualificazione di “consenso democratico” e viene quasi automaticamente stigmatizzata come populismo»22. Indubbiamente la capacità mediatica di Berlusconi, il suo ottimismo e i suoi successi personali costituiscono in gran parte quella immagine vincente che gli ha permesso di superare le due sconfitte elettorali, e le evidenti pressioni — o persecuzioni — giudiziarie e mediatiche. Nella «civiltà dell’immagine» apparire è assolutamente importante. Ma non è tutto e forse non è stata neppure la componente decisiva delle vittorie di Berlusconi. Esse sono venute perché hanno dato risposta a un reale disagio ideologico, culturale, politico ed economico. Tuttavia, proprio mentre l’avversario politico veniva sconfitto sono cominciati i problemi di Berlusconi e del Popolo della Libertà. Perché, se è vero che quest’ultimo non è il partito «di plastica» di cui si è molto scritto negli anni passati a proposito di Forza Italia, non è neppure un partito, e neanche un movimento politico profondamente radicato nella cultura del popolo italiano. Da questo punto di vista è solo uno dei partiti dell’epoca del «pensiero debole». Un po’ perché è così geneticamente, un po’ perché è costretto dal sistema elettorale a cercare il massimo dei consensi in quasi tutte le direzioni: il PdL raccoglie molto, ma potrebbe anche facilmente e velocemente perdere il suo cospicuo raccolto. Esso è qualcosa di più di un partito liberale, seppure di massa. Così non può essere definito semplicemente il partito dei moderati, né, tanto meno, dei conservatori. Molti cattolici lo hanno votato anche perché Berlusconi, con tutto il governo, si è schierato a favore della vita di Eluana Englaro, 22
G. Cantoni, Il popolo fra consenso, democrazia e populismo, in Cristianità, anno XXVIII, n. 299, Piacenza maggio-giugno 2000, pp. 3-4 e 30.
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minacciando uno scontro istituzionale con il Quirinale, così come non è uscito di casa per andare a votare durante il referendum sulla legge 40 del giugno 2005, quando la Chiesa italiana aveva scelto di far fallire il referendum23 — peggiorativo di quella legge già in sé poco chiara — invitando gli italiani a non andare a votare, perché non si raggiungesse il quorum. Tuttavia, pur manifestando grande attenzione verso la Santa Sede, non ha mai lasciato neppure intendere di voler essere un leader cattolico, sia per il fatto che non lo è, sia perché questo gli nuocerebbe all’interno del partito; al contrario si è espresso tempo fa, con una frase certamente infelice per la sensibilità dei cattolici, dicendo di guidare un partito anarchico quanto ai valori24. Ciò, sebbene la Carta dei Valori del nuovo partito reciti testualmente: «Le radici giudaico-cristiane dell‟Europa e la sua comune eredità culturale classica ed umanistica, insieme con la parte migliore dell‟illuminismo, sono le fondamenta della nostra visione della società»25. Il PdL è forse un partito conservatore sui generis, anche se questo termine non viene utilizzato ordinariamente dagli uomini politici che ne fanno parte, con l’eccezione del sottosegretario di Stato all’Interno, on. Alfredo Mantovano, che rivendica la pertinenza e anche l’opportunità dell’uso del termine26. O forse un analogo del Partito Repubblicano statunitense, contenitore di svariati gruppi e correnti culturali.
Un progetto per unire gl’italiani? Nella debolezza del PdL s’incunea il progetto dell’on. Gianfranco Fini, un disegno sempre più ideologico, di cui è strumento soprattutto la sua Fondazione Farefuturo. Almeno dal 2005 l’ex presidente di AN e ora presidente della Camera dei Deputati non perde occasione per distinguere, anche poemicamente, la sua posizione culturale e politica da quella del presidente del Consiglio e della maggioranza del PdL, soprattutto, ma non esclusivamente, quando sono in questione temi di natura etica. Così è accaduto in occasione del referendum sulla legge 40, così quando l’on. Fini ha accusato il disegno di legge sul fine-vita approvato dal Senato nella primavera del 2009 di essere proprio di uno «Stato etico», che cioè imporrebbe una propria visione del mondo, religiosa, al corpo sociale. Ma l’on. Fini si è smarcato anche in tema d’immigrazione, questa 23
Cfr. Idem, «Referendum» sulla Procreazione Medicalmente Assistita e ubbidienza all‟autorità ecclesiastica, ibid., anno XXXIII, n. 328, marzo-aprile 2005, pp. 17-18. 24 Cfr. Ugo Magri, Berlusconi: io, un monarca ma sull‟etica siamo anarchici, in La Stampa, Torino 28-2-2008. 25 Testo in <www.ilpopolodellaliberta.it/speciali/carta_valori_pdl.pdf> (consultato il 39-2009). 26 Cfr. Alfredo Mantovano, Ritorno all‟Occidente. Bloc notes di un conservatore, Spirali, Milano 2004.
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volta sembrando sposare le tesi della componente più di sinistra del mondo cattolico, naturalmente incontrando così il plauso delle diverse posizioni di sinistra, sia culturali sia politiche. Gianfranco Fini non è mai stato un intellettuale ed è esperienza comune che le sue posizioni culturali preludano sempre, legittimamente, a un suo diverso percorso politico. Per decenni ha costruito la sua carriera politica esaltando la difesa dei valori e dell’identità nazionale e cristiana del partito che dirigeva, pur non essendo personalmente un credente e tantomeno un praticante. Poi si è verificato in lui un cambiamento repentino, insistito, ripetuto, a volte contro i suoi stessi interessi politici a breve termine, quasi per voler dimostrare a qualcuno la veridicità del suo cambiamento. Non vuol essere questa una insinuazione, ma la semplice constatazione che non c’è stato tema, dopo il 2005, che non abbia visto l’on. Fini sostenere pubblicamente posizioni laiciste, dalla fecondazione assistita, alla questione omosessuale e al fine-vita. Che cosa abbia spinto l’on. Fini a mutare così radicalmente le proprie posizioni non mi è dato di sapere, né mi pare che alcuno glielo abbia mai chiesto, almeno pubblicamente27. Ricordo una drammatica assemblea nazionale di AN trasmessa in diretta da Radio Radicale nel luglio successivo al referendum sulla legge 40, nel 2005, quando il presidente Fini si trovò in palese difficoltà a sostenere la posizione filo-referendaria, da lui assunta nel mese precedente, di fronte alla quasi totalità del partito schierato invece, e con convinzione, contro ogni peggioramento — dal punto di vista del diritto naturale — della legge 40. Ma l’assemblea non seppe o non volle approfittare di quel frangente di debolezza e non presentò un ordine del giorno che avrebbe ufficialmente sconfessato la politica del presidente, che se la cavò con qualche scalfittura. Certamente il suo cambiamento ha molto nuociuto a chi ha continuato a sostenere posizioni culturali simili a quelle da lui indossate in precedenza. Si è avuta infatti l’impressione, forse esagerata ma così è stata percepita, che le posizioni fedeli al diritto naturale non possano arrivare ai vertici delle istituzioni europee, troppo intrise d’ideologia laicista, come è accaduto con l’on. Rocco Buttiglione, costretto a rinunciare alla nomina nella Commissione Europea nel 2004, o più recentemente all’on. Mario Mauro, che nel 2009 sembrava il candidato italiano «scontato» per la Presidenza del Parlamento Europeo, ma è stato escluso all’ultimo momento a favore del polacco Jerzy Buzek. Tuttavia, la mia impressione è che le posizioni assunte dall’on. Fini negli ultimi anni non mirino soltanto a ritagliarsi una posizione autonoma da Berlusconi, per esempio, cercando consensi anche al di fuori del suo partito, il 27
L’unica eccezione sembra essere l’intervista rilasciata da Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra, a Maurizio Giannattasio, Storace: l‟ex leader di An si vergogna del passato, in Corriere della Sera, Milano 28-8-2009.
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che potrebbe un domani permettergli di essere eletto da un nuovo Parlamento alla massima carica dello Stato, o addirittura immaginando una nuova realtà politica trasversale, fatta di spezzoni dei due maggiori partiti, quando lo stesso Berlusconi dovesse lasciare la scena. Pur essendo un discorso al quale tutti pensano, anche se non ne parlano, questo approccio al futuro politico rischia di diventare di poca importanza se non si cerca invece di riflettere su scenari di maggiore durata e profondità. Intervenendo al congresso di fondazione del PdL, del resto, l’on. Fini non ha fatto mistero di questo aspetto, evocando la necessità di dare un’anima al partito e soprattutto di trovare il modo di stringere un patto che faccia diventare l’Italia una comunità che si riconosca nello stesso sistema di valori. Intenzione importante e tuttavia bisognosa di diverse considerazioni. La prima è che non si costruisce nulla prescindendo dalle radici, le quali, in Italia, sono profondamente intrise di cristianesimo, qualunque rapporto personale si abbia con esso. Da questo punto di vista, è inutile evocare un grande patto sui valori o richiamare il patriottismo costituzionale, perché i primi non s’inventano — salvo ricadere nel processo che ha portato alla tragedia delle ideologie —, mentre il secondo può servire per stabilire regole condivise e non certo per fornire i motivi «alti» che fondano una comunità civile. Gl’italiani non sono abituati a riconoscersi in alcun progetto ideale semplicemente perché non esiste alcun evento autenticamente fondativo nella storia moderna del Paese: qualcosa che assomigli ai grandi episodi dell’epica greca e che hanno un indubbio rilievo culturale in Occidente. Singolare, da questo punto di vista, è quanto si è potuto leggere sui giornali del 22 luglio 2009 a proposito della mancanza di fondi e/o di progetti per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia nel 2011: l’impressione è che non importi quasi a nessuno di questo anniversario, ma non direi per mancanza di spirito patriottico o di fondi. I problemi relativi al modo con cui è stata fatta l’unità italiana ormai sono stati messi a fuoco da una serie di libri recenti di diversa portata scientifica. Questi studi non mettono in discussione l’unità politica del Paese, ma mostrano comunque che sia la questione meridionale, sia quella settentrionale hanno la loro origine, quantomeno problematica, l’una nella guerra civile del decennio successivo al 1860, il cosiddetto brigantaggio 28, l’altra nel mancato federalismo. Il successo di consensi della Lega Nord è in ragione della sua proposta di una soluzione federalista ai problemi dello Stato, quello Stato unitario che nel 1861 impose a tutta la Penisola il centralismo stata28
Cfr. Francesco Pappalardo, Perché «briganti». La guerriglia legittimista e il brigantaggio nel Mezzogiorno d‟Italia dopo l‟Unità (1860-1870), Tekna, Potenza 2000, e Il brigantaggio postunitario. Il Mezzogiorno fra resistenza e reazione, D’Ettoris Editori, Crotone 2004.
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lista sulla base del modello francese. In pratica, l’Italia nasce attraverso una guerra civile al Sud e con l’imposizione di uno Stato centralista a popolazioni diverse: due ferite alle quali, nel 1870, si aggiunge l’occupazione militare dello Stato pontificio da parte dell’esercito italiano. Ora, nessuno vuole ritornare alla situazione precedente il Risorgimento, tanto meno la stessa Chiesa, ma è evidente che non c’è nulla di epico da celebrare con clamore, bensì solo ferite da medicare e problemi su cui riflettere.
Risorgimento e Resistenza miti inservibili? Il politologo Gian Enrico Rusconi, autore certamente non revisionista, ha datto alle stampe recentemente un libro sul 1915, l’anno in cui l’Italia decise il suo ingresso nella Grande Guerra (1914-1918), la quale rimane uno dei miti più diffusi del nostro sentimento nazionale29. L’opera, scritta anche alla luce di nuovi documenti, penetra in profondità in questo episodio e ne mette in luce l’inservibilità ai fini di un’apologetica nazionale. Come possiamo fondare la nostra italianità sul fatto così evidentemente intriso di profonda ingiustizia di un governo, quello italiano, che nel giro di soli dodici mesi rinnega l’alleanza con gl’Imperi Centrali, Germania e Austria-Ungheria, e dopo meno di un anno di neutralità si scaglia contro gli ex alleati con il proprio esercito? Per le terre irredente ci è stato ripetuto, ma forse non erano irredente anche Nizza e la Savoia? E perché bisognava fare la guerra a tutti i costi quando il Trentino sarebbe potuto diventare italiano senza spargimento di sangue? E chi ha deciso per la guerra, e in quel modo, contro la maggioranza del Parlamento e degl’italiani, chiamati a morire in oltre cinquecentomila, per un territorio nel quale vi era una città, Bolzano, dove si parlava esclusivamente tedesco? E ancora: era nel giusto l’Italia che per trent’anni è stata alleata di Austria e Germania oppure quella che in pochi mesi è passata con la coalizione che faceva la guerra ai suoi alleati? Non erano certamente soltanto gl’italiani a ragionare con il metro del nazionalismo, che anzi aveva ormai avvelenato tutta l’Europa: quello che voglio mostrare è l’inservibilità morale, epica, della Grande Guerra come coronamento di un Risorgimento già di per sé assai problematico. L’altro grande tema evocato per unire gl’italiani è la Resistenza contro il fascismo e i tedeschi, avvenuta nel 1943-1945 ma continuata ben dopo la fine della guerra e diventata una sorta di alternativa, fatta abortire, per un diverso possibile sviluppo del Paese. Infatti, la Resistenza vide l’alleanza fra i tre partiti ideologici di massa, il PCI, il PSI e la DC. Secondo alcuni, anche cattolici come don Giuseppe Dossetti (1913-1996), quest’alleanza era il simbolo di un’Italia che si doveva costruire in discontinuità con la vecchia Italia liberale pre29
Cfr. Gian Enrico Rusconi, L‟azzardo del 1915. Come l‟Italia decide la sua guerra, il Mulino, Bologna 2009.
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fascista. E quando questa alleanza finì, nel 1947, e l’Italia si dispose allo scontro elettorale e di civiltà del 18 aprile 1948, grande fu l’amarezza che s’impadronì di Dossetti, perché sembrava andare in frantumi il progetto di un’Italia nuova, nata dall’abbraccio fra le due grandi ideologie progressiste, la cattolica e la comunista, che si temevano ed erano assai diverse fra loro, ma avrebbero potuto costruire insieme, in concorrenza però unite contro il conservatorismo occidentalista, una società nuova e diversa da quella liberale pre-fascista. La Resistenza aveva diviso gl’italiani nel Nord, ma era anche profondamente divisa al suo interno. Essa diverrà l’evento vessillare per chi vorrà fare la Rivoluzione in Italia, come le Brigate Rosse, oppure per chi vorrà portare i socialcomunisti al governo. La sua mitizzazione fu ripresa dopo il 1960 dalle forze di sinistra, ma nel clima post-ideologico successivo al 1989 verrà meno la sua capacità di assurgere a mito politico e, come tale, diventerà sempre meno utilizzabile. Che la Resistenza fosse divisa, lo hanno dimostrato fra l’altro le opere di due giornalisti provenienti dalla stessa sinistra filosocialista, Ugo Finetti30 e Giampaolo Pansa31.
Il patriottismo costituzionale Rimane la Costituzione. Anch’essa espressione della collaborazione fra i tre partiti di massa, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, è diventata il simbolo ideale di tutti i «post»: comunisti, azionisti e democristiani. La Costituzione è un po’ come il vestito di un Paese, confezionato dallo Stato attraverso i suoi organi costituenti, nel caso italiano l’Assemblea Costituente eletta nel 1946. Essa è certamente importante perché indica i modelli di riferimento dello Stato e dell’azione dei governi e le modalità con cui si articolerà la vita pubblica, sociale e politica. Tuttavia, bisogna anche ricordare le osservazioni dell’uomo politico e pensatore savoiardo Joseph de Maistre (1753-1821) sulla debolezza delle costituzioni scritte quando è venuto meno il consenso su quella costituzione non scritta che però esprime il generale consenso degli abitanti di un territorio su alcuni valori fondamentali32. Perduti questi 30
Cfr. Ugo Finetti, La Resistenza cancellata, Ares, Milano 2003. Le opere di Pansa sulla Resistenza sono numerose: accanto ai romanzi I tre inverni della paura, Rizzoli, Milano 2008, e Il revisionista, Rizzoli, Milano 2009, lo scrittore ha compiuto un lungo percorso all’interno della Resistenza, storico ma in un certo senso anche personale, scrivendo numerosi saggi che hanno contribuito in modo importante a smitizzarla; cfr. per esempio Idem, Il sangue dei vinti. Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile, Sperling & Kupfer, Milano 2003; La grande bugia, Sperling & Kupfer, Milano 2006; e I gendarmi della memoria, Sperling & Kupfer, Milano 2007. 32 Cfr. Joseph de Maistre, Saggio su il principio generatore delle costituzioni politiche. Studio sulla sovranità, con una Presentazione di don Luigi Negri e un’Introduzione di F. Cardini, Cantagalli, Siena 2000. 31
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ultimi, i cittadini hanno cominciato a dividersi su temi sempre più rilevanti mettendo così in discussione la possibilità stessa della convivenza. Come dire che quando due o più persone cominciano a rivolgersi all’avvocato per mettere per iscritto le loro rispettive posizioni significa che un rapporto fiduciario si è interrotto o non c’è mai stato. Ma una Costituzione non detta soltanto le regole, come fa la seconda parte della Costituzione italiana, ma esprime anche i princìpi di fondo a cui s’ispirano gli attori politici che appunto stipulano il cosiddetto patto costituente, quello sancito nella prima parte della nostra Carta. Ora gli attori italiani che hanno dato vita al patto costituzionale nel secondo dopoguerra non ci sono più. Rimangono alcuni singoli partecipanti all’Assemblea Costituente, come i senatori a vita Giulio Andreotti e Oscar Luigi Scalfaro, ma i partiti dell’epoca costituente si sono estinti. Questo significa molto per una Repubblica parlamentare nella quale i partiti hanno un ruolo essenziale. Basti pensare che il partito più antico fra quelli oggi rappresentati in Parlamento è la Lega Nord, ossia quello che presenta maggiori riserve circa le caratteristiche giuridiche e politiche dello Stato italiano. Suscita così forti perplessità la diffusa affermazione da parte delle forze politiche e degl’intellettuali, generalmente di centro-sinistra, circa l’inviolabilità della Costituzione, soprattutto della sua prima parte, quella nata da un compromesso fra forze politiche che avevano un ruolo importante nell’epoca precedente la fine del Muro di Berlino, ma che oggi non esistono più. Dopo il 1989, oltretutto, non sono cambiati soltanto i soggetti politici rappresentati in Parlamento, ma si è conclusa a livello internazionale quella fase di contrapposizione fra ideologie così centrale nel secondo dopoguerra. Per esempio, che la Repubblica sia fondata sul lavoro, e non sulla persona o sulla famiglia, appare un’evidente concessione all’ideologia marxista che considera l’uomo esclusivamente come produttore, non come persona, indipendentemente dal fatto che lavori o no. Suscita maggiori perplessità il richiamo al patriottismo costituzionale che unisce figure pubbliche così lontane come don Dossetti e il presidente della Camera Fini, il primo per difendere un mito all’origine del suo antico impegno culturale e politico, mentre il secondo forse — come detto — per portare a termine un percorso politico conquistando il consenso di componenti significative della sinistra. Comunque sia non può sfuggire, e non sfugge neppure a sinistra, se non si vogliono chiudere gli occhi e se non si vuole cadere nel ridicolo, l’anacronismo di simili posizioni politiche. Ma allora perché tanta enfasi su una Costituzione che palesemente, al di là di ogni contrapposizione ideologica, non rappresenta più il comune sentire del Paese?
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Il ruolo di Dossetti Un libro recente, scritto a due mani da Pier Paolo Saleri e, ultima fatica della quale non ha potuto vedere l’esito cartaceo, da don Gianni Baget Bozzo, attribuisce a don Dossetti e all’influenza che ebbe durante i lavori dell’Assemblea Costituente e anche dopo, soprattutto all’interno della DC e del mondo cattolico, il fatto che il testo della Carta sia diventato molto di più che il «vestito» della nazione, addirittura un mito e un compito, un progetto da costruire nei decenni successivi alla sua entrata in vigore33. Secondo quest’opera, la Costituzione è diventata una sorta d’ideologia politica fondata sulla collaborazione fra cattolici democratici e comunisti, mirante a costruire una nuova società appunto frutto di questo incontro ideologico: una società radicalmente diversa dall’Italia liberale pre-fascista e ostile a una collocazione italiana all’interno dell’alleanza occidentale guidata dagli Stati Uniti. Per descrivere come si sia radicata in Italia questa cultura, nel libro viene ricostruita la biografia culturale e politica di Dossetti. Ma in realtà bisogna cominciare da più lontano, cioè dalla rottura che avviene all’interno del movimento cattolico nelle giornate del 1898, quando il generale Fiorenzo Bava Beccaris (1831-1924) dà ordine alle truppe dell’esercito di sparare sulla folla milanese scesa in piazza per protestare contro il rincaro del prezzo del pane. L’esito del conflitto è drammatico per i morti che provoca e per l’odio che scatena, un odio che provocherà fra l’altro la morte del re Umberto I di Savoia (1844-1900), assassinato due anni dopo a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci (1869-1901) proprio per vendicare i «fatti del 1898». Queste vicende spingono cattolici e liberali a riflettere sulla situazione politica del Paese e a prendere alcune decisioni che avranno conseguenze importanti. Mentre fra i liberali al governo matura la convinzione, che sarà specialmente di Giovanni Giolitti (1842-1928), di non poter governare da soli il Paese, i cattolici intransigenti si convincono della necessità di difendere le istituzioni minacciate dall’avanzata dei socialisti e dunque di allearsi con i liberali moderati per difendere lo Stato unitario a condizione che quest’ultimo rinunci ai suoi propositi anticattolici — non solo anticlericali — in tema di famiglia e di libertà scolastica. Nascono gli accordi clerico-moderati e prende corpo quell’Italia moderata o conservatrice «ufficiosa» che si coagulerà spesso nei decenni successivi ogni qual volta un pericolo sembra minacciare l’equilibrio del Paese. L’enciclica Il fermo
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Cfr. G. Baget Bozzo e Pier Paolo Saleri, Giuseppe Dossetti. La Costituzione come ideologia politica, Ares, Milano 2009; cfr. anche il mio Nota su Dossetti e sul dossettismo, in Cristianità, anno XXV, n. 263, Piacenza maggio 1997, pp. 3-6.
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proposito34 del 1905, del nuovo Pontefice san Pio X (1903-1914), assume formalmente questa posizione. Ma nasce anche all’interno del movimento cattolico un’altra posizione, irriducibile a ogni concessione verso lo Stato liberale, che non legge la Rivoluzione come un processo ma vede positivamente la reazione antiliberale dei socialisti. Il giornalista don Davide Albertario (1846-1902) è il campione di questo antiliberalismo irriducibile che darà vita alla prima democrazia cristiana. Nonostante il pensiero di don Giuseppe Dossetti non sembri essere maturato all’interno di una riflessione sui problemi inerenti alla storia del movimento cattolico, credo si possa affermare che la sua collocazione sia in un certo senso ascrivibile a questa posizione irriducibilmente contraria al liberalismo, che non vede come questa dottrina sia una delle componenti culturali attive all’interno del processo rivoluzionario. Secondo tale concezione, lo Stato, nella costruzione della società, svolge una funzione non soltanto sussidiaria: ed è una prospettiva che si ritrova anche all’interno dell’esperienza fascista, quella durante la quale avviene la formazione intellettuale di Dossetti. Con i «professorini» Amintore Fanfani (1908-1999) e Giuseppe Lazzati (1909-1986) respira questa cultura antiliberale nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, attraverso il rettore Agostino Gemelli O.F.M. (1878-1959)35. Essa sopravvivrà alla caduta del fascismo e si ritroverà nella sinistra della DC, la corrente guidata nel dopoguerra da Dossetti, che si raduna intorno alla rivista Cronache sociali36. Il libro di Baget Bozzo e di Saleri descrive le caratteristiche ideologiche dello scontro di questa corrente con De Gasperi e con gli altri ex popolari che guidavano la DC, ma anche con i Comitati Civici di Luigi Gedda, che di fatto esprimevano la posizione di Papa Pio XII. Le riflessioni degli autori meriterebbero un’analisi più approfondita, però favoriscono una riflessione e comunque aiutano a mettere a fuoco alcuni dei principali problemi e mali della storia dei cattolici in Italia. Dossetti criticava radicalmente la società liberale nata dalla Rivoluzione Francese e giudicava positivamente la reazione antiliberale dei socialisti e dei comunisti. Così, anziché allearsi con chi impersonava la malattia che affliggeva il corpo sociale ma a uno stadio meno avanzato, egli nel secondo dopoguerra 34
Cfr. san Pio X, Enciclica «Il fermo proposito» circa l‟istituzione e lo sviluppo dell‟Azione cattolica, dell’11-6-1905, in Enchiridion delle Encicliche, vol. IV, Pio X. Benedetto XV. (1903-1922), ed. bilingue, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1998, pp. 131-145. 35 Cfr. Maria Bocci, Oltre lo Stato liberale. Ipotesi su politica e società nel dibattito cattolico tra fascismo e democrazia, Bulzoni, Roma 1999, e Idem, Agostino Gemelli rettore e francescano. Chiesa, regime, democrazia, Morcelliana, Brescia 2003. 36 Cfr. Paolo Pombeni, Le «Cronache sociali» di Dossetti. Geografia di un movimento di opinione 1947-1951, Vallecchi, Firenze 1976.
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ritenne utile un’alleanza con le forze più radicali. Quest’alleanza si realizzò nella Resistenza prima e prese corpo poi nell’Assemblea Costituente, che produsse finalmente il «testo della speranza», la Carta costituzionale. Quest’ultima ha assunto così un significato metapolitico o ideologico, come recita il titolo del libro di don Baget Bozzo e di Saleri. Tuttavia la maggioranza del popolo non stava con la sinistra democristiana e non voleva alcun accordo con i socialcomunisti. Così almeno si espresse la maggioranza degl’italiani con le elezioni del 18 aprile 1948, che videro la vittoria della posizione di Gedda e di De Gasperi. Questi ultimi erano gli uomini più significativi del tempo, entrambi uomini d’azione ben radicati in una formazione cattolica. La loro elaborazione culturale non risaliva alle radici della crisi, ma si preoccupava di dare soluzione ai maggiori problemi del tempo, pur avendo posizioni diverse fra loro. Entrambi furono attaccati da Dossetti e dagli uomini della sua corrente ed è sintomatico notare come tutti i principali personaggi politici democristiani dell’epoca confermino nelle rispettive memorie l’avversità presente nel partito verso i Comitati Civici, che di fatto esercitavano un controllo sul partito stesso nell’interesse dell’elettorato cattolico. Tuttavia l’effetto del 18 aprile finì presto, anzi forse non cominciò neppure. Già nel 1953 De Gasperi venne sconfitto elettoralmente non riuscendo a raggiungere per pochi voti l’obiettivo del premio di maggioranza alla lista vittoriosa nelle elezioni politiche — la cosiddetta «legge truffa» — e l’anno successivo morì, mentre i Comitati Civici vennero «silenziati», anche se resistettero come presenza e come attività ancora per decenni, nel tentativo di formare una classe dirigente capace d’intervenire nel campo civile, politico, per difendere e promuovere i princìpi della dottrina sociale della Chiesa. Intanto Dossetti, nel 1951, aveva abbandonato la DC e la politica attiva — fece solo una breve ricomparsa nel 1956 per concorrere, senza successo, alla carica di sindaco di Bologna —, perché riteneva che non si potesse cambiare nulla senza un mutamento culturale e religioso. Fondò così a Bologna, negli anni successivi, l’Istituto di Scienze Religiose37 e poi partecipò ai lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) come perito al seguito del card. Giacomo Lercaro (1891-1976), arcivescovo di Bologna, diocesi della quale divenne anche vicario generale, essendo stato ordinato sacerdote nel 1959, dopo avere fondato — tre anni prima — la comunità monastica della Piccola Famiglia dell’Annunziata.
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Cfr. Giuseppe Alberigo (1926-2007) (a cura di), L‟«officina bolognese» 1953-2003, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2004.
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Ma non abbandonò mai l’interesse e l’attenzione per la politica, mentre la sua corrente, affidata all’on. Mariano Rumor (1915-1990)38, prese il nome di Iniziativa Democratica e divenne quella principale nel partito, che sarà allora guidato da un altro uomo politico cresciuto accanto a Dossetti, l’on. Fanfani. Ecco perché la sua influenza sul partito rimase forte, mentre cresceva quella culturale e religiosa all’interno del mondo cattolico. La DC conosceva un dossettismo senza Dossetti, come ricorda Saleri, e si trasformava sotto l’impulso di Fanfani, «occupando» lo Stato e svincolandosi dal mondo cattolico attraverso la costruzione di un partito d’iscritti e di militanti, di sezioni e di massa, che aveva sempre meno bisogno dell’Azione Cattolica e delle strutture parrocchiali, e che chiese invano alla gerarchia ecclesiastica lo scioglimento dei Comitati Civici. Nacquero così i presupposti di una crisi morale che sfocerà prima nella secolarizzazione sempre più marcata del partito e poi nella crisi finale di Tangentopoli. Quest’ultimo episodio, che segnerà la fine della Prima Repubblica e che i nostri autori definiranno un autentico colpo di Stato legale promosso dalla magistratura, poté avvenire soltanto dopo il 1989, in seguito allo smantellamento del Muro di Berlino e alla disintegrazione dell’Unione Sovietica. Ma la fine della DC non spiacque a Dossetti e al suo ambiente, i quali la ritenevano ormai troppo corrotta. Così, paradossalmente, mentre il comunismo finiva, i suoi adepti in Italia avevano la possibilità di andare finalmente al governo con i cattolici democratici, realizzando l’antico sogno di Dossetti. Ma ciò non avvenne anche e soprattutto per l’iniziativa di Silvio Berlusconi, che dal 1994 divenne il principale ostacolo al progetto dossettiano. Ecco perché il monaco Dossetti uscì allora dalla sua comunità, ruppe il silenzio e fondò nel 1994 i Comitati per la Difesa della Costituzione e tenne a battesimo l’Ulivo, l’alleanza politica fondata principalmente sui cattolici democratici e sugli ex comunisti, dopo le diverse scissioni nella DC e nel PCI. L’Ulivo, sotto la guida del suo discepolo Romano Prodi, avrebbe vinto le elezioni nel 1996 — e lo farà ancora dieci anni dopo pur con il nome di Unione — lasciando credere che il sogno di Dossetti si stesse veramente realizzando, magari prendendo un corpo definitivo nel Partito Democratico, nato dall’esperienza dell’Ulivo, con le elezioni primarie del 2007.
I problemi di un nuovo partito dopo le ideologie Attraverso un lungo e tortuoso percorso sono ritornato al punto di partenza delle mie considerazioni. La tortuosità è soltanto apparente perché in realtà vi è un filo conduttore, nella modernità, che in qualche modo unisce la storia della resistenza popolare di molti italiani attraverso gli episodi accennati, cioè le insorgenze antinapoleoniche, il 18 aprile 1948, la «maggioranza silenziosa» e infine 38
Cfr. Mariano Rumor, Memorie 1943-1970, a cura di Ermenegildo Reato e Francesco Malgeri, introduzione di Gabriele De Rosa, Neri Pozza, Vicenza 1991.
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la discesa in campo di Berlusconi nel 1994, mentre contemporaneamente esiste un tentativo di altri italiani d’imporre al Paese un progetto ideologico mirante a far uscire l’Italia dalla presunta arretratezza culturale che ha origine nella mancata Riforma e nello spirito controriformistico o tridentino che avrebbe egemonizzato la penisola. A partire dal modernismo, all’inizio del secolo XX, il tentativo di sradicare il Paese dalle proprie radici penetra anche nel mondo cattolico e arriva fino ai nostri giorni. Le posizioni di Piero Gobetti (1901-1926) e del Partito d’Azione, fondato nel secondo dopoguerra, esprimono la stessa volontà di riformare il Paese, facendolo uscire dall’arretratezza culturale: nasce così la contrapposizione fra l’Italia delusa per la mancata Riforma e in totale sintonia con l’Illuminismo razionalista e deista dei secoli XVIII e XIX, e quella cattolica, legata al Concilio di Trento (15451563), mistica e missionaria, che difende le radici cristiane dell’Europa e porta la fede nelle Americhe e che esprime un numero impressionante di santi canonizzati. Questa contrapposizione prosegue nei secoli successivi, come già visto, davanti all’invasione napoleonica, in occasione delle prime elezioni a suffragio universale maschile nel 1913, con il cosiddetto Patto Gentiloni39 — così chiamato dal nome del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni (1865-1916) —, e poi ancora nel 1915 di fronte all’ingresso nella Grande Guerra, così come il 18 aprile 1948 e di fronte alla contestazione nel 1968. Per arrivare al 1994 e ai nostri giorni. Naturalmente la semplice resistenza all’imposizione di un progetto ideologico non basta, soprattutto oggi. Se vogliamo cogliere una verità nel pensiero di don Dossetti, la troviamo nella sua considerazione relativa alla fine della cristianità occidentale. Da questa constatazione nasceva il suo progetto astratto, che univa il desiderio di porre fine alla secolarizzazione in atto — Dossetti non ebbe parte ai progetti ideologici nati sulla scia del Sessantotto — attraverso un’alleanza con le forze politiche che avevano egemonizzato il movimento operaio, cioè socialisti e comunisti. Il fallimento di questa prospettiva, in Italia, con la profonda sconfitta politica del Partito Democratico nelle elezioni del 2008, non deve tuttavia far credere che il processo di scristianizzazione si sia fermato. Esso conosce una situazione politica in cui è più facile tentare una resistenza, così come si è potuto verificare con l’atteggiamento tenuto dal governo di Berlusconi a favore del diritto alla vita di Eluana Englaro nei primi mesi del 2009, ma andare oltre questa resistenza non è compito dei partiti politici. La nuova evangelizzazione ha bisogno di altri attori.
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Cfr. il mio L‟Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici. Con un‟appendice documentaria, Cristianità, Piacenza 1993.
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Davvero le religioni sono un ostacolo alla pace? Il viaggio di Papa Benedetto XVI in Terra Santa, 8-15 maggio 2009 Massimo Introvigne 1. Il Papa in pellegrinaggio Preoccupati di esaminare al microscopio ogni dichiarazione relativa ai rapporti fra Chiesa Cattolica ed ebraismo, o fra israeliani e palestinesi, molti mass media internazionali sono — per così dire — passati accanto al messaggio fondamentale del viaggio di Papa Benedetto XVI in Palestina, che si è svolto dall’8 al 15 maggio 2009, senza fermarsi a cercare di comprenderlo. Questo viaggio è stato, come il Pontefice ha ripetutamente spiegato, un «pellegrinaggio». «Il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni. Lo è anche dell‟islam, della religione ebraica, del cristianesimo. È anche l‟immagine della nostra esistenza, che è un camminare in avanti, verso Dio»1. Per chi crede nel peccato originale la vita stessa è un pellegrinaggio dalle tenebre alla luce, dal male al bene: «[...] ognuno di noi è un pellegrino»2, e tutta l’umana esistenza è un «dinamico movimento dalla morte alla novità della vita, dalle tenebre alla luce, dalla disperazione alla speranza»3. Il pellegrinaggio in Terra Santa, peraltro, non è uguale a ogni altro pellegrinaggio: offre la possibilità «[...] di vedere, toccare e gustare in preghiera e in contemplazione, i luoghi benedetti dalla presenza fisica del nostro Salvatore, della sua Madre benedetta, degli Apostoli e dei primi discepoli che lo videro risorto dai morti»4. «La storia del Vangelo, contemplata nel suo ambiente storico e geografico, diviene viva e ricca di colore, e si ottiene una compren-
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Benedetto XVI, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo di ritorno dalla Terra Santa, del 15-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 17-5-2009. 2 Idem, Visita al Centro Regina Pacis di Amman, dell’8-5-2009, ibid. 9-5-2009. 3 Idem, Celebrazione dei vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali nella cattedrale greco-melkita di San Giorgio di Amman, del 9-52009, ibid. 11-5-2009. 4 Idem, Visita all‟antica Basilica del Memoriale di Mosè sul Monte Nebo, del 9-5-2009, ibid. 10-5-2009.
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sione più chiara del significato delle parole e dei gesti del Signore»5. Il pellegrinaggio di Papa Benedetto XVI in Terra Santa ha anche avuto lo scopo di ravvivare la fede delle Chiese cristiane presenti in quei Paesi, che si trovano in una situazione molto difficile. «L‟antico tesoro vivente delle tradizioni delle Chiese Orientali arricchisce la Chiesa universale e non deve mai essere inteso templicemente come oggetto da custodire passivamente»6. Le comunità cattoliche della Terra Santa «[...] sono come delle candele accese che illuminano i luoghi santi»7 e «un segno delle molteplici forme di interazione fra il Vangelo e le diverse culture»8, ma il Papa ha voluto incontrare anche gli Ortodossi, rilevando con gioia che «questa terra è davvero un terreno fertile per l‟ecumenismo»9. La tentazione per i cristiani di Terra Santa, di fronte alle difficoltà, è quella di emigrare: ma «[...] questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento spirituale e culturale»10. Il Papa vuole «[...] soprattutto incoraggiare i cristiani in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente a rimanere»11, non limitandosi alla pura esortazione ma offrendo forme di aiuto «molto concrete»12. In un certo senso, tutti i viaggi del Pontefice sono pellegrinaggi. Ma ogni viaggio di Papa Benedetto XVI ha anche un tema. Quello in Terra Santa ha al centro le critiche — un autentico processo — che il relativismo rivolge alla religione, accusata di essere nemica della pace, e una risposta che mostra come il vero nemico della pace non sia la religione ma lo stesso relativismo.
2. Processo alla religione: l’accusa Dall’ex docente di filosofia francese — in un istituto tecnico — Michel Onfray13 al divulgatore scientifico — questo il titolo, «divulgazione scientifica», 5
Idem, Preghiera del Regina Cæli con gli ordinari di Terra Santa nel Cenacolo di Gerusalemme, del 12-5-2009, ibid. 13-5-2009. 6 Idem, Celebrazione dei vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali nella cattedrale greco-melkita di San Giorgio di Amman, cit. 7 Idem, Preghiera del Regina Cæli con gli ordinari di Terra Santa nel Cenacolo di Gerusalemme, cit. 8 Ibidem. 9 Idem, Cerimonia di congedo all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, del 15-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 16-5-2009. 10 Idem, Omelia durante la Messa nella Valle di Giosafat, del 12-5-2009, ibid. 14-52009. 11 Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, dell’8-5-2009, ibid. 10-5-2009. 12 Ibidem. 13 Cfr. Michel Onfray, Trattato di ateologia. Fisica della metafisica, trad. it., Fazi, Roma 2005.
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del corso universitario da lui tenuto in passato a Oxford — britannico, nato in Kenya, Richard Dawkins 14 e al giornalista inglese, oggi residente negli Stati Uniti d’America, Christopher Hitchens 15 — per tacere degli epigoni più o meno rozzi in Italia —, gli ultimi anni hanno visto tutta una serie di autori scagliarsi contro la religione e promuovere aggressivamente l’ateismo con libri trasformati da una sapiente opera di promozione da parte di numerosi mass media in best seller internazionali. Pur senza indulgere a «teorie del complotto», è difficile non vedere in questo attacco da più parti alla religione un’operazione culturale promossa da chi è infastidito da un imprevisto «ritorno» qualitativo e quantitativo delle religioni sulla scena mondiale16, e ancor più dall’impegno di molte istituzioni religiose — Chiesa Cattolica in testa — contro l’aborto, l’eutanasia e il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, cause tutte sostenute da lobby transnazionali e potenti. Se si esaminano con attenzione le campagne contro la religione, ci si avvede che al cuore della loro accusa sta l’argomento secondo cui le religioni creano identità forti che fomentano l’aggressività, l’odio e la guerra. La Terra Santa offrirebbe l’esempio più evidente di questa tesi. Solo un’identità debole, fondata sull’ateismo e sul relativismo, permetterebbe di sfuggire alla violenza e di costruire la pace. Papa Benedetto XVI ha dedicato una parte importante del suo viaggio a discutere quest’accusa, di cui del resto si è più volte occupato nel corso del suo pontificato. Il Pontefice la riassume in termini che colpiscono per la concisione e il rigore nel suo incontro di fronte alla moschea di Re Hussein ad Amman, in Giordania, con i capi religiosi musulmani, del 9 maggio 2009: «Non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un‟espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una
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Cfr. Richard Dawkins, L‟illusione di Dio. Le ragioni per non credere, trad. it., Mondadori, Milano 2007. 15 Cfr. Christopher Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, trad. it., Einaudi, Torino 2007. 16 Cfr. un’inchiesta giornalistica singolarmente bene informata, i cui autori hanno peraltro sui temi morali posizioni lontane da quelle di Papa Benedetto XVI: John Micklethwait e Adrian Wooldridge, God Is Back. How the Global Rise of Faith Is Changing the World, Penguin, Londra 2009; cfr. un accostamento sociologico, in Rodney Stark e Massimo Introvigne, Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2003.
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causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è» 17.
3. L’accusatore In questo processo alla religione chi è l’accusatore? Quali sono i suoi scopi? È credibile? Occorre riconoscere, risponde Papa Benedetto XVI, che esistono «[...] forze del male che sono all‟opera per creare oscurità nel nostro mondo»18. «Gli oppositori della religione cercano non semplicemente di tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro»19, la voce del relativismo e dell’ideologia. Sono forze insieme antiche e nuove. Antiche, perché rimandano al mondo oscuro che — con la felice eccezione del popolo ebraico, che aveva ricevuto l’Antico Testamento — invecchiava apparentemente senza speranza nel vizio, nella schiavitù e nella decadenza prima della venuta di Gesù Cristo. A Betlemme il Papa ricorda che qui «[...] Dio ha scelto di divenire uomo, per concludere il lungo regno del peccato e della morte e per portare vita nuova ed abbondante ad un mondo che era divenuto vecchio, affaticato, oppresso dalla disperazione»20. E al Santo Sepolcro «[...] la storia dell‟umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell‟obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo»21. Ma le oscure forze del male sono nello stesso tempo molto antiche e molto moderne, perché oggi — oltre ai consueti «incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove» 22 — dispongono di nuovi mezzi di corruzione e di morte, «[...] compresi gli elementi distruttivi dell‟industria del divertimento che
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Benedetto XVI, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all‟esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, del 9-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 10-5-2009. 18 Idem, Celebrazione dei vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali nella cattedrale greco-melkita di San Giorgio di Amman, cit. 19 Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all‟esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit. 20 Idem, Omelia durante la Messa nella piazza della mangiatoia di Betlemme, del 13-52009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 14-5-2009. 21 Idem, Visita alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, del 13-5-2009, ibid. 16-5-2009. 22 Idem, Benedizione della prima pietra dell‟Università del Patriarcato Latino a Madaba, del 9-5-2009, ibid. 10-5-2009.
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con tanta insensibilità sfruttano l‟innocenza e la fragilità della persona vulnerabile e del giovane»23. Queste forze diffondono «modi di pensare che giustificano lo “stroncare” vite innocenti»24. Si situa qui anche la riflessione del Papa sull’Olocausto e il suo modo di «onorare la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah»25. A chi avrebbe voluto accenni a fatti di cronaca o polemiche recenti, il Pontefice ha risposto come gli è consueto volando molto più in alto e denunciando, nella sua visita al museo-memoriale dell’Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme e nella cerimonia di congedo da Israele all’aeroporto internazionale Ben Gurion, gli orrori di un’ideologia che ha cercato di portare via alle vittime non solo la vita e l’onore, ma persino il nome. Queste visite, ha ricordato Papa Benedetto XVI, si situano in continuità con quella del 2006 del Pontefice ad Auschwitz, «[...] dove così tanti ebrei — madri, padri, mariti, mogli, fratelli, sorelle, amici — furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che diffondeva un‟ideologia di antisemitismo e di odio. Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato»26; una condanna senza appello, dunque, del cosiddetto «negazionismo». E tuttavia da un certo punto di vista l’ideologia ha fallito: i morti dell’Olocausto «[...] persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia sopravvissuti e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l‟umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente. Uno può derubare il vicino dei suoi possedimenti, delle occasioni favorevoli o della libertà. Si può intessere una insidiosa rete di bugie per convincere altri che certi gruppi non meritano rispetto. E tuttavia, per quanto ci si sforzi, non si può mai portar via il nome di un altro essere umano»27. Un «regime senza Dio», non la religione, perpetrò l’Olocausto. E anche oggi, se «[...] l‟antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in
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Idem, Celebrazione dei vespri con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i movimenti ecclesiali nella cattedrale greco-melkita di San Giorgio di Amman, cit. 24 Idem, Omelia durante la Messa nell‟International Stadium di Amman, del 10-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 11/12-5-2009. 25 Idem, Cerimonia di benvenuto all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, dell’11-5-2009, ibidem. 26 Idem, Cerimonia di congedo all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit. 27 Idem, Visita al Memoriale di Yad Vashem di Gerusalemme, dell’11-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 13-52009.
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molte parti del mondo»28, la principale responsabilità non è della religione — certamente, non del cristianesimo — ma delle ideologie. Non sono consentiti equivoci riguardo all’identità dell’accusatore. Siamo di fronte al «[...] relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana»29. Questo accusatore mira a creare un vuoto in cui diventi impossibile per l’uomo avvertire la voce di Dio. «La voce di Dio viene udita oggi meno chiaramente, e la ragione stessa in così numerose situazioni è divenuta sorda al divino. E, però, quel “vuoto” non è vuoto di silenzio. Al contrario, è il chiasso di pretese egoistiche, di vuote promesse e di false speranze, che così spesso invadono lo spazio stesso nel quale Dio ci cerca» 30. Ma dove manca la voce di Dio più nessuno si leva a difendere persuasivamente l’uomo. «Quando la dimensione religiosa della persona umana viene negata o posta ai margini, viene messo in pericolo il fondamento stesso di una corretta comprensione dei diritti umani inalienabili»31.
4. La parola alla difesa Prendendo idealmente la parola per la difesa nel processo che il relativismo intenta alla religione, accusata di essere nemica della pace, dopo avere messo in luce con un argomento ad hominem i vizi dell’accusatore, Papa Benedetto XVI comincia con l’ammettere che, come talora avviene, l’accusa indica anche problemi reali che le religioni devono affrontare. Ciascuna religione — anche quelle che hanno radici comuni, come l’ebraismo e il cristianesimo — vive in «un “cosmo semantico” molto diverso»32 rispetto alle altre, così che «[...] non c‟è da meravigliarsi che ci siano malintesi»33. «Ovviamente la religione, come la scienza e la tecnologia, come la filosofia ed ogni espressione della nostra ricerca della verità, possono corrompersi. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l‟ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l‟abuso. Qui non vediamo soltanto la perversione della religione, ma anche la corruzione della 28
Idem, Cerimonia di benvenuto all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit. 29 Idem, Visita di cortesia ai due gran rabbini di Gerusalemme nel Centro Hechal Shlomo di Gerusalemme, del 12-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 13-5-2009. 30 Idem, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, dell’11-5-2009, ibidem. 31 Idem, Cerimonia di benvenuto all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit. 32 Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit. 33 Ibidem.
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libertà umana, il restringersi e l‟obnubilarsi della mente»34. Ma «evidentemente, un simile risultato non è inevitabile»35. «Si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società»36. Dunque la religione — che coinvolge uomini segnati dal peccato originale — può corrompersi. E di fatto si corrompe, tanto più quando è aggredita da tentativi esterni di manipolazione ideologica. Tuttavia in questo caso la radice della corruzione non sta nella religione — per quanto alcune religioni si rivelino più permeabili di altre allo sforzo corruttore —, ma nell’ideologia. La religione, se riesce a resistere alle manipolazioni di chi intende sfigurarla, si rivela il più saldo presidio dei diritti fondamentali della persona e della pace. La religione, infatti, è anche la sola forza oggi capace di «[...] parlare alla ragione»37. Entriamo qui nel cuore del messaggio del Pontefice in Terra Santa.
5. L’argomento centrale della difesa: il rapporto costitutivo fra religione e ragione L’argomento centrale che Papa Benedetto XVI usa nel suo ruolo di avvocato della religione contro l’attacco del relativismo si riferisce, in particolare, alle tre religioni che rivendicano una discendenza da Abramo: cristianesimo, ebraismo e islam. Queste religioni, in modo diverso, durante la loro storia hanno diffuso e custodito anche elementi fondamentali dell’eredità greca: la tesi secondo cui esiste la verità e la ragione è in grado di conoscerla. «La fede religiosa presuppone la verità»38: se la verità non esiste, o se essa è del tutto inconoscibile, neppure proposizioni che costituiscono il presupposto delle religioni dette rivelate — «Dio esiste», «Dio si è rivelato» — possono essere dichiarate e vissute come vere. Di qui il rapporto costitutivo fra le religioni e la verità: «Colui che crede è colui che cerca la verità e vive in base ad essa. Benché il mezzo attraverso il quale noi comprendiamo la scoperta e la comunicazione della verità differisca in parte da religione a religione, non dobbiamo essere scoraggiati nei nostri 34
Idem, Benedizione della prima pietra dell‟Università del Patriarcato Latino a Madaba, cit. 35 Ibidem. 36 Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all‟esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit. 37 Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit. 38 Idem, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, cit.
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sforzi di rendere testimonianza al potere della verità»39. Emerge qui la falsità dell’accusa rivolta alle religioni di voler limitare l’umana ricerca della conoscenza: «in realtà, la fede in Dio non sopprime la ricerca della verità: essa l‟incoraggia»40. La fede, mentre incoraggia l’uso della ragione, esercita su di essa una funzione di controllo: non, come insinua l’accusatore relativista, nel senso che le vieti degli ambiti di ricerca ma nel senso che le indica i suoi limiti. «In realtà, quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti. In tal modo, la ragione umana viene rinvigorita nell‟impegno di perseguire il suo nobile scopo di servire l‟umanità, dando espressione alle nostre comuni aspirazioni più intime, ampliando, piuttosto che manipolarlo o restringerlo, il pubblico dibattito. Pertanto l‟adesione genuina alla religione — lungi dal restringere le nostre menti — amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l‟infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello»41. Quando la ragione e lo stesso soggetto umano non riconoscono i loro limiti nascono le ideologie, con le tragiche conseguenze che il comportamento dell’accusatore nella storia dimostra. La scienza stessa — il cui ruolo la ragione e la fede riconoscono come positivo — rischia di diventare ideologia se non riconosce di avere dei limiti. «La scienza e la tecnologia offrono benefici straordinari alla società ed hanno migliorato grandemente la qualità della vita di molti esseri umani. [...] Allo stesso tempo, le scienze hanno i loro limiti. Non possono dare risposta a tutte le questioni riguardanti l‟uomo e la sua esistenza. In realtà, la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell‟universo non può essere contenuto all‟interno dei confini della scienza. [...] L‟uso della conoscenza scientifica abbisogna della luce orientatrice della sapienza etica»42. Certo — e il Papa torna qui, implicitamente, sul suo discorso del 2006 a Ratisbona43, del resto oggetto di un dialogo cui hanno partecipato membri della 39
Ibidem. Idem, Benedizione della prima pietra dell‟Università del Patriarcato Latino a Madaba, cit. 41 Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all‟esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit. 42 Idem, Benedizione della prima pietra dell‟Università del Patriarcato Latino a Madaba, cit. 43 Cfr. Idem, Discorso ai rappresentanti del mondo scientifico nell‟Aula Magna dell‟Università di Regensburg, del 12-9-2006, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. II, 2, 2006 (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, pp. 40
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famiglia reale della Giordania che lo ha accolto ad Amman — il fondamento del rapporto fra fede, ragione e verità non è lo stesso nel cristianesimo, nell’ebraismo e nell’islam. L’islam, in particolare, ha intrattenuto con l’eredità greca un rapporto che è stato intenso, ma si è interrotto quando una reazione fideista si è ritratta di fronte al rischio che l’uso della filosofia greca portasse verso il razionalismo e l’ateismo. Così, almeno secondo le linee oggi maggioritarie, le due visioni, cristiana — cui assomiglia, pur non essendo identica, quella prevalente nell’ebraismo — e islamica non sono identiche: «I Cristiani in effetti descrivono Dio, fra gli altri modi, come Ragione creatrice, che ordina e guida il mondo. E Dio ci dota della capacità di partecipare alla sua Ragione e così di agire in accordo con ciò che è bene. I Musulmani adorano Dio, Creatore del Cielo e della Terra, che ha parlato all‟umanità»44. Papa Benedetto XVI lo ha detto più volte, e lo ribadisce in Giordania: c’è, afferma, «un compito che ho indicato in diverse occasioni e che credo fermamente Cristiani e Musulmani possano assumersi [...]. Tale compito costituisce la sfida a coltivare per il bene, nel contesto della fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana»45. È questa quella che molti commentatori hanno definito come la svolta di Benedetto XVI nella concezione del dialogo interreligioso. Se ciascuno argomenta dalla sua fede e dal suo libro sacro ne nascono confronti certamente interessanti per i congressi internazionali, ma è difficile che si pervenga a un consenso. Se invece si argomenta dalla «ragione umana [che peraltro] è in se stessa dono di Dio»46 allora il consenso è possibile, dal momento che la ragione umana è comune a tutti e di per sé non è né cristiana né musulmana, né ebrea né atea. La frattura indicata a Ratisbona che si è determinata nella storia dell’islam — per cui i musulmani, pur adorando un unico Dio creatore, non lo descrivono normalmente come Ragione creatrice, né pensano che l’uomo abbia la capacità di partecipare alla Ragione di Dio — obbliga a un paziente lavoro di esercizio della ragione il quale, prescindendo appunto dai rispettivi libri sacri, giunga a identificare alcune verità come evidenti per tutti. Anzitutto, si potrà convenire sul fatto che «la creazione ha una ragione ed uno scopo. Lungi
257-267; cfr. pure don Pietro Cantoni, Il discorso di Ratisbona, in Cristianità, anno XXXV, n. 339, Piacenza gennaio-febbraio 2007, pp. 9-12. 44 Benedetto XVI, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all‟esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit. 45 Ibidem. 46 Ibidem.
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dall‟essere il risultato di un fato cieco, il mondo è stato voluto da Dio e rivela il suo splendore glorioso»47. Papa Benedetto XVI insiste nel corso del viaggio in Terra Santa su un elemento che ai cattolici è stato ribadito solennemente dal Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) e oggi è ripetuto al n. 36 del Catechismo della Chiesa Cattolica, che cita appunto tale Concilio: «La santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create»48. Che esista un Dio creatore è dunque cosa che può essere conosciuta con certezza dalla ragione. Sulla base della ragione, prima ancora del riferimento ai rispettivi libri sacri, «insieme possiamo proclamare che Dio esiste e che può essere conosciuto, che la terra è sua creazione, che noi siamo sue creature e che Egli chiama ogni uomo e donna ad uno stile di vita che rispetti il suo disegno per il mondo»49. La ragione, come può dimostrare che vi è una verità universale valida per tutti e che esiste Dio, così può portare uomini di diverse fedi religiose a convenire sull’esistenza di leggi morali iscritte nella natura del mondo e ugualmente universali. «Non possiamo fare con il mondo tutto quello che ci piace; anzi, siamo chiamati a conformare le nostre scelte alle complesse e tuttavia percettibili leggi scritte dal Creatore nell‟universo»50. C’è una «legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell‟uomo»51. «Coloro che onorano l‟Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni. I Cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità. La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l‟altro e a servirlo nella carità»52. «La verità deve essere offerta a tutti; essa serve a tutti i membri della società.
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Idem, Saluto ai capi religiosi della Galilea nell‟auditorium del Santuario dell‟Annunciazione di Nazareth, del 14-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 16-5-2009. 48 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 36. 49 Benedetto XVI, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, cit. 50 Idem, Saluto ai capi religiosi della Galilea nell‟auditorium del Santuario dell‟Annunciazione di Nazareth, cit. 51 Idem, Visita di cortesia al Gran Mufti sulla spianata delle moschee di Gerusalemme, del 12-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 13-5-2009. 52 Ibidem.
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Essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell‟etica, e permea la ragione»53. Dunque la religione — e in particolare le tre religioni presenti nella Terra Santa — possono e devono custodire, come legato prezioso ed elemento che smonta l’argomento dell’accusatore relativista, un rapporto costitutivo con la verità e con la ragione. Questo rapporto non rimane teorico. Una volta che la ragione è riconosciuta come universale, la stessa universalità coinvolge le verità di ragione dell’esistenza di un Dio creatore e di leggi — non solo naturali, ma anche morali — che il Creatore ha iscritto nell’universo, che la ragione può conoscere e che s’impongono a tutti.
6. Un’obiezione: il relativismo culturale Papa Benedetto XVI affronta in modo approfondito una delle più insidiose obiezioni che provengono dall’accusatore relativista: la tesi secondo cui non esistono verità universali, ma ogni affermazione è vera solo all’interno della sua cultura di riferimento. Quello che è vero per gli europei potrebbe non essere vero per gli arabi, e viceversa. L’obiezione è rivolta in particolare a quelle che per l’accusatore sono le presunte verità religiose. Esse sarebbero sempre figlie di una cultura, e non potrebbero dunque mai essere universali e valide per tutte le culture. Certo, ammette Papa Benedetto XVI, «la fede è sempre vissuta in una cultura. La storia della religione mostra che una comunità di credenti procede per gradi di fedeltà piena a Dio, prendendo dalla cultura che incontra e plasmandola»54. Peraltro, il rapporto fra fede e cultura è più complicato di quanto pretenda la rappresentazione più corrente. Sarebbe per esempio sbagliato, spiega il Pontefice, riferire la fede dell’Antico Testamento alla sola cultura del popolo d’Israele. In realtà questa fede «[...] fu plasmata, non nell‟isolamento, ma attraverso l‟incontro con la cultura Egiziana, Hittita, Sumerica, Babilonese, Persiana e Greca»55. «Oggi, circa quattro mila anni dopo Abramo, l‟incontro di religioni con la cultura si realizza non semplicemente su un piano geografico»56 e le cose si prestano ancora meno alla templificazione. «Certi aspetti della globalizzazione ed in particolare il mondo dell‟internet hanno creato una vasta cultura virtuale il cui valore è tanto vario quanto le sue innumerevoli manifestazioni. Indubbiamente molto è stato realizzato per creare un senso di vicinanza e di unità all‟interno dell‟universale 53
Idem, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, cit. 54 Ibidem. 55 Ibidem. 56 Ibidem.
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famiglia umana. Tuttavia, allo stesso tempo, l‟uso illimitato di portali, attraverso i quali le persone hanno facile accesso a indiscriminate fonti di informazioni, può divenire facilmente uno strumento di crescente frammentazione: l‟unità della conoscenza viene frantumata e le complesse abilità di critica, discernimento e discriminazione apprese dalle tradizioni accademiche ed etiche sono a volte aggirate o trascurate»57. Che però si tratti del complesso intreccio di cultura ebraica, egizia, greca e persiana nella storia dell’antico Israele o dei mondi virtuali aperti da Internet, la domanda è sempre la stessa: la religione è un prodotto — si potrebbe dire, non esportabile — di una determinata cultura o ha un valore universale che, senza negare quella cultura, la trascende? «[...] ogni cultura — risponde Papa Benedetto XVI — con la sua specifica capacità di dare e ricevere dà espressione all‟unica natura umana»58. La natura umana è sempre la stessa, ma ciascuna cultura la esprime in modo diverso. «Tuttavia, ciò che è proprio dell‟individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là. Da questa prospettiva, cari Amici, noi vediamo la possibilità di un‟unità che non dipende dall‟uniformità»59. Perché ci sia unità, cioè rivendicazione di verità e valori universali, non è necessaria l’uniformità, cioè la negazione di quanto è specifico alle varie culture. Possiamo infatti distinguere le culture, al plurale, ciascuna con le sue caratteristiche specifiche, dalla cultura, al singolare, un insieme di verità e di valori che — pure espressi in mille modi diversi — non mutano: «una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo»60, la cui «[...] verità può essere scoperta all‟interno dell‟universalità della ragione»61. La risposta al relativismo culturale di Papa Benedetto XVI è dunque che la verità è una perché — come la ragione — è universale, anche se i suoi modi di espressione sono diversi e collegati alle diverse culture. Questa ricchezza delle differenti culture è un fatto positivo, purché si sappiano pure trascendere le diversità in una costante ricerca dell’unità, cioè delle verità e dei valori che vivono concretamente nelle culture ma nello stesso tempo, in quanto universali, sono al di là di ogni singola cultura.
7. Il relativismo, non la religione, è contro la pace In Terra Santa Papa Benedetto XVI riprende pure un altro tema che gli è caro, sviluppato in particolare nel discorso che avrebbe voluto pronunciare — 57
Ibidem. Ibidem. 59 Ibidem. 60 Ibidem. 61 Ibidem. 58
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ma che, come è noto, per l’assurda e intollerante contestazione di una minoranza del corpo accademico non pronunciò — all’Università La Sapienza di Roma il 17 gennaio 2008 62. In quel discorso il Pontefice affermava che secondo una vulgata corrente chi crede fermamente che esistano verità universali è intollerante e prepara il conflitto e la violenza. Al contrario, la pace sarebbe garantita dal relativismo che, non avendo verità da difendere, sarebbe mite e pacifico. Questa vulgata, affermava il Pontefice, è tanto diffusa quanto falsa. Infatti gli uomini sono fatalmente portatori d’interessi diversi. O questi uomini convengono sul fatto che esistono verità universali e comuni che non dipendono dai loro interessi e che possono fungere da regole del gioco valide per tutti, e allora sarà possibile una loro pacifica convivenza. Oppure, se non si crede che esistano verità che s’impongono a tutti, «la sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi»63, e facilmente si arriva alla violenza e alla guerra. Quanto il Papa avrebbe voluto pacatamente argomentare in una sede accademica acquista un’urgenza tutta particolare nel clima drammatico della Terra Santa in stato perenne di guerra. Ma il Pontefice ribadisce la stessa argomentazione: «Lungi dal minacciare la tolleranza delle differenze o della pluralità culturale, la verità rende il consenso possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito»64. Nel dialogo con i musulmani, e con le autorità dello Stato d’Israele, Papa Benedetto XVI ripete — come aveva fatto in Turchia, e in altre occasioni — quali sono in concreto le prime regole del gioco comuni su cui, argomentando dalla ragione, persone di fede religiosa diversa possono e devono convenire. Anzitutto, il ripudio della violenza e del terrorismo: per quanto ci si trovi in situazioni disperate, occorre sempre e comunque «[...] resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza e di terrorismo»65. In secondo luogo, il riconoscimento dei diritti umani fondamentali per tutti, in particolare per le donne e per chi appartiene a minoranze religiose: la ragione
62
Cfr. Idem, Il testo su papato e Università che Benedetto XVI avrebbe letto all‟Università «La Sapienza» di Roma, del 17-1-2008, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. IV, 1, 2008 (gennaio-giugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 78-86. 63 Ibidem. 64 Idem, Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso al centro di Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme, cit. 65 Idem, Cerimonia di benvenuto nel piazzale antistante il palazzo presidenziale di Betlemme, del 13-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 14-5-2009.
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esige che sia riconosciuta «la dignità di ogni uomo e di ogni donna»66; e «[...] proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono ugualmente per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengono» 67. «La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale»68: «[...] il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto — specie per le minoranze — di equo accesso al mercato dell‟impiego e alle altre sfere della vita civile»69. Fra i valori non negoziabili, infine, il Pontefice non dimentica mai la libertà di educazione, e anche in questo viaggio ricorda «il ruolo dello Stato chiamato a sostenere le famiglie nella loro missione educatrice, a proteggere l‟istituto della famiglia e i suoi diritti nativi»70. Ma soprattutto Papa Benedetto XVI affronta con chiarezza il tema della pace. «La pace è prima di tutto un dono divino. La pace infatti è la promessa dell‟Onnipotente all‟umanità e custodisce l‟unità»71. Atteso al varco da chi era pronto a strumentalizzare ogni sua dichiarazione per fini politici di parte, il Papa anche in questo caso è salito più in alto, mostrando che esiste un unico fondamento reale per la pace: l’idea dell’unità fra tutte le persone umane che è radicata nella nozione di un unico Dio, una nozione — come si è visto — cui la ragione può pervenire indipendentemente dalla rivelazione, e che quindi s’impone a tutti. Se non c’è Dio, i tentativi di fondare filosoficamente l’unità fra le persone riposano su fondamenti molto precari. Se ci sono molti dèi, il dio etnico di un popolo si volgerà contro il dio etnico del popolo vicino. Invece «di fatto, il fondamento ultimo dell‟unità tra le persone sta nella perfetta unicità e universalità di Dio»72. «La fedeltà all‟Unico Dio, il Creatore, l‟Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l‟uno all‟altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte
66
Idem, Cerimonia di benvenuto all‟aeroporto internazionale Queen Alia di Amman, dell’8-5-2009, ibid. 9-5-2009. 67 Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all‟esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit. 68 Idem, Cerimonia di benvenuto all‟aeroporto internazionale Queen Alia di Amman, cit. 69 Idem, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane all‟esterno della moschea al-Hussein bin-Talal di Amman, cit. 70 Idem, Omelia durante la Messa sul Monte del Precipizio di Nazareth, del 14-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 15-5-2009. 71 Idem, Visita di cortesia al Presidente dello Stato di Israele nel palazzo presidenziale di Gerusalemme, dell’11-5-2009, ibid. 13-5-2009. 72 Ibidem.
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e sono indirizzati verso una meta comune» 73. Il discorso vale per tutti ma in Terra Santa si rivolge con un tono particolare ai musulmani: «[...] prego affinché essi possano esplorare come l‟Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all‟unità della famiglia umana»74. Intervenendo in Israele sul dibattito, particolarmente vivace in quel Paese, sulla nozione di sicurezza, Papa Benedetto XVI ne mostra i fondamenti ultimi e il collegamento necessario con la pace. «La Sacra Scrittura ci offre anche una sua comprensione della sicurezza. Secondo il linguaggio ebraico, sicurezza — batah — deriva da fiducia e non si riferisce soltanto all‟assenza di minaccia ma anche al sentimento di calma e di confidenza. […] Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili. Lungi dall‟essere semplicemente il prodotto dello sforzo umano, esse sono valori che promanano dalla relazione fondamentale di Dio con l‟uomo, e risiedono come patrimonio comune nel cuore di ogni individuo»75. Il Pontefice non ha certamente voluto sottrarsi all’invito a dire quello che pensa sul conflitto israelo-palestinese. Non è un mistero che la diplomazia della Santa Sede predilige «la “two-state solution” (la soluzione di due Stati)»76: «Ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all‟interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti»77. Al presidente palestinese Abu Mazen Papa Benedetto XVI dichiara: «La Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana Patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti»78. Congedandosi da Israele, il Papa afferma: «Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo Palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente»79. Nello stesso tempo, con profondo realismo, il Papa si chiede se nello stato attuale della diplomazia e della politica non vi sia il rischio che la two-state solution «[...] rimanga un
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Idem, Visita di cortesia al Gran Mufti sulla spianata delle moschee di Gerusalemme, cit. 74 Ibidem. 75 Idem, Visita di cortesia al Presidente dello Stato di Israele nel palazzo presidenziale di Gerusalemme, cit. 76 Idem, Cerimonia di congedo all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit. 77 Idem, Cerimonia di benvenuto all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit. 78 Idem, Cerimonia di benvenuto nel piazzale antistante il palazzo presidenziale di Betlemme, cit. 79 Idem, Cerimonia di congedo all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit.
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sogno»80. Il Pontefice non offre soluzioni immediate, che del resto non esistono, ma invita al confronto onesto e sincero in nome dell’universalità della ragione. Fra le poche battute di Papa Benedetto XVI in Terra Santa che la stampa internazionale ha riportato ci sono quelle relative al «muro», cioè alla barriera di circa settecento chilometri costruita da Israele nel 2003 al confine con la Cisgiordania allo scopo d’impedire fisicamente l’ingresso di terroristi sul proprio territorio nazionale. Dal momento che la questione del «muro» è fra le più controverse, non è irrilevante esaminare che cosa ne ha veramente detto il Pontefice. Ecco dunque tutti i riferimenti. Per Papa Benedetto XVI «[...] è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri»81: «benché i muri si possano costruire con facilità, noi tutti sappiamo che essi non durano per sempre. Possono essere abbattuti. Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo»82. «[...] preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l‟erezione di questo muro!» 83. «Una delle visioni più tristi per me durante la visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi reciprocamente e fidandosi l‟uno dell‟altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione»84. Si vede qui come — evidentemente — a Benedetto XVI, come alle Chiese cristiane della Terra Santa, il «muro» non piaccia. Non solo crea difficoltà, insieme ai terroristi, a persone che hanno famiglie o luoghi di lavoro dall’altra parte della barriera. Simbolicamente, un «muro» rappresenta l’esatto contrario di quella fondamentale e primaria unità fra popoli e culture diverse che discende dall’unicità di Dio e che dovrebbe favorire un confronto pacifico. Tuttavia, in un contesto delicatissimo dove si può supporre che ogni singola parola sia stata pesata, il Papa non auspica che il «muro» sia abbattuto qui e ora, «senza se e senza ma», ma che cessino «le ostilità che hanno causato l‟erezione di questo muro» — dunque il «muro» nasce dalle «ostilità», per definizione bilaterali, non dalla semplice crudeltà unilaterale di una parte — e che vi sia un futuro «senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione» — dunque, in attesa di tale «futuro», si vive in un presente dove una certa «necessità» esiste. 80
Ibidem. Idem, Visita all‟Aida Refugee Camp di Betlemme, del 13-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 15-5-2009. 82 Idem, Cerimonia di congedo nel cortile del palazzo presidenziale di Betlemme, del 13-5-2009, ibidem. 83 Idem, Visita all‟Aida Refugee Camp di Betlemme, cit. 84 Idem, Cerimonia di congedo all‟aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, cit. 81
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8. Dopo il processo: la road map del Papa Dal punto di vista del vigore logico, l’argomento dell’accusatore nel processo contro la religione si rivela molto debole. L’accusatore non è credibile, l’argomento è capzioso. Tuttavia, smontare dal punto di vista speculativo le tesi dell’accusatore non significa che la grancassa mediatica non continui a farle risuonare in tutto il mondo. Né una solida fondazione teorica delle ragioni ultime della pace fa di per sé avanzare un processo di pace in Terra Santa. A che cosa è servito, allora, il viaggio del Papa? E che cosa fare dopo avere confutato l’accusatore? Contrariamente alla tesi marxista — che è penetrata così a fondo nella cultura da aver influenzato anche molti che dal marxismo si dichiarano lontani — secondo cui sono i fatti a generare le idee, in realtà nella storia le idee vengono prima dei fatti 85. La proclamazione d’idee è dunque decisiva perché sorgano i fatti, anche se il tempo necessario perché le idee si trasformino in fatti non può essere esattamente determinato a priori, sia dipende dallo zelo e dall’energia profusi perché questa trasformazione si realizzi e siano superati molteplici ostacoli. In una regione dove per fare avanzare processi di pace più o meno illusori sono state proposte tante road map, «tabelle di marcia», anche Papa Benedetto XVI ha voluto lasciare una sua mappa delle cose da fare, un po’ diversa da quella dei politici. Questa road map è stata enunciata, in tre punti, già durante il volo papale verso la Terra Santa, ed è stata poi ripetutamente illustrata durante il viaggio. Il «primo livello»86 è quello della preghiera. Il Pontefice, naturalmente, non ha difficoltà a immaginare le alzate di spalle di molti: a che cosa mai può servire raccogliersi in preghiera mentre fuori infuria la guerra? Eppure «[...] da credenti, siamo convinti che la preghiera sia una vera forza: apre il mondo a Dio. Siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella storia. Penso che se milioni di persone, di credenti, pregano, è realmente una forza che influisce»87. La preghiera, che testimonia l’unicità del Dio creatore, è un atto di fede che però contiene in sé anche la ragione: «La preghiera è speranza in azione. E di fatto la vera ragione è contenuta nella preghiera: noi entriamo in contatto 85
Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione vent‟anni dopo in prima edizione mondiale, con lettere di encomio di mons. Romolo Carboni (1911-1999), nunzio apostolico in Perù-oggi nunzio apostolico in Italia, e con un Saggio Introduttivo di Giovanni Cantoni, L‟Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 81-82. 86 Benedetto XVI, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit. 87 Ibidem.
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amoroso con l‟unico Dio, il Creatore universale, e nel fare così giungiamo a renderci conto della futilità delle divisioni umane e dei pregiudizi e avvertiamo le meravigliose possibilità che si aprono davanti a noi quando i nostri cuori sono convertiti alla verità di Dio, al suo progetto per ognuno di noi e per il nostro mondo»88. E la preghiera funziona, perché «[...] anche i cuori induriti dal cinismo o dall‟ingiustizia o dalla riluttanza a perdonare non sono mai al di là del raggio d‟azione di Dio»89. Il «secondo livello»90 è quello della «formazione delle coscienze»91. Oggi «ma io seguo la mia coscienza» è diventato uno slogan per non seguire il diritto naturale o il Magistero della Chiesa, dimenticando che la coscienza dev’essere formata. Talora si presenta come voce della coscienza la semplice voce degl’interessi soggettivi. Invece «la coscienza è la capacità dell‟uomo di percepire la verità, ma questa capacità è spesso ostacolata da interessi particolari. E liberare da questi interessi, aprire maggiormente alla verità, ai veri valori è un impegno grande: è un compito della Chiesa aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e a liberarci da interessi particolari»92. La coscienza, ha ricordato Papa Benedetto XVI esaltando in Terra Santa «le solide famiglie cristiane di queste terre [che] sono una grande eredità tramandata dalle precedenti generazioni»93 e concludendo solennemente l’Anno della Famiglia indetto dai vescovi cattolici della regione, si forma anzitutto nella famiglia, dove gli stessi «[...] bambini hanno un ruolo speciale nel far crescere i loro genitori nella santità»94 e nella vita morale. Il «terzo livello»95 è la formazione della ragione. La Chiesa vi si dedica, come sempre ha fatto nella sua storia, sia incontrando tutti — anche i non cristiani e i non credenti —, e a tutti indicando l’universalità della ragione, sia creando istituzioni educative non riservate ai soli cattolici. Da questo punto di vista il Papa è tornato ripetutamente sull’importanza di un gesto compiuto durante il suo viaggio: la benedizione della prima pietra dell’Università di Madaba, la prima università cattolica in Giordania. Formare la ragione significa
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Idem, Visita al Centro Regina Pacis di Amman, cit. Ibidem. 90 Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit. 91 Ibidem. 92 Ibidem. 93 Idem, Omelia durante la Messa nell‟International Stadium di Amman, cit. 94 Idem, Omelia durante la Messa sul Monte del Precipizio di Nazareth, cit. 95 Idem, Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, cit. 89
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insegnare «[...] ad aprire la nostra intelligenza alle illimitate possibilità del potere trasformante di Dio»96. Ne nascerà un rapporto fra fede e ragione non solo saldamente fondato dal punto di vista teologico e filosofico, ma anche esteticamente bello e gratificante. A Nazareth Papa Benedetto XVI — seguendo le Rivelazioni della mistica inglese beata Giuliana da Norwich (1342 ca.-1416 ca.) — rileva come «il racconto dell‟Annunciazione illustra la straordinaria gentilezza di Dio (cfr Madre Julian di Norwich, Rivelazioni, 77-79). Egli non impone se stesso, non predetermina semplicemente la parte che Maria avrà nel suo piano per la nostra salvezza, egli cerca innanzitutto il suo assenso. Nella Creazione iniziale ovviamente non era questione che Dio chiedesse il consenso delle sue creature, ma in questa nuova Creazione egli lo chiede. Maria sta al posto di tutta l‟umanità. Lei parla per tutti noi quando risponde all‟invito dell‟angelo. San Bernardo [di Chiaravalle (1090-1153)] descrive come l‟intera corte celeste stesse aspettando con ansiosa impazienza la sua parola di consenso grazie alla quale si compì l‟unione nuziale tra Dio e l‟umanità. L‟attenzione di tutti i cori degli angeli s‟era concentrata su questo momento, nel quale ebbe luogo un dialogo che avrebbe dato avvio ad un nuovo e definitivo capitolo della storia del mondo. Maria disse: “Avvenga di me secondo la tua parola”. E la Parola di Dio divenne carne. Il riflettere su questo gioioso mistero ci dà speranza, la sicura speranza che Dio continuerà a condurre la nostra storia, ad agire con potere creativo per realizzare gli obiettivi che al calcolo umano sembrano impossibili»97. Che la road map del Papa dia risultati concreti nella tormentata storia della Terra Santa può sembrare impossibile agli uomini. Ma nulla è impossibile a Dio.
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Idem, Celebrazione dei vespri con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i movimenti ecclesiali e gli operatori pastorali della Galilea nella basilica superiore dell‟Annunciazione di Nazareth, del 14-5-2009, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 16-5-2009. 97 Ibidem; cfr. della santa inglese Giuliana di Norwich, Libro delle rivelazioni, con Introduzione e a cura di Domenico Pezzini, Àncora, Milano 2003.
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Il resto
della Verità
La verità non è mai tutta
(proverbio)
La persona prima di tutto Alfredo Mantovano* Ci sono passaggi della vita di ciascuno di noi che, benché risalenti nel tempo, restano impressi nella memoria, come se fossero accaduti da pochi giorni. Sono trascorsi circa venticinque anni, ma ricordo come se fosse ieri il giorno in cui per la prima volta ho visto mia figlia; l’ho vista prima che nascesse, al terzo o al quarto mese di gravidanza, grazie all’ecografo. È stato un momento straordinario, perché a fianco all’emozione vi era anche molta razionalità: non avevo bisogno della fede per constatare che quella «cosa» che faceva le capriole, che si succhiava il dito, che tirava i calci, non era una «cosa». Era vita, era un essere umano, era — è — una persona. Lo attestavano non la Sacra Scrittura, ma i miei occhi: la vedevo. Lo attestava l’udito: ascoltavo il battito del suo cuore. E non avevo bisogno della teologia morale per ricavare da quella toccante osservazione dei dati normativi elementari: dati che potrebbero definirsi di «diritto naturale». Quella vita, in quanto con tutta evidenza vita di un essere umano, andava rispettata, andava aiutata a crescere, certamente non andava soppressa. Quando si richiamano elementi di realtà per cogliere l’identità della persona, ci s’imbatte in una serie di luoghi comuni. Se scorriamo i capi di accusa che ci vengono rivolti in quanto sostenitori del diritto naturale, troviamo imputazioni di questo tipo: siete dei confessionali; avete la pretesa totalitaria di elaborare regole a tavolino e d’imporle agli altri; avete nostalgia dello «Stato etico»; ponete a rischio la libertà dell’individuo. Negli ultimi giorni si è aggiunta una variante, non originale, per la verità: chi respinge come illiberale ogni prospettiva di diritto naturale si mostra contestualmente animato da una singolare ansia moralistica. Da un lato bolla come oppressivo il lavoro teso ad agganciare l’azione politica a parametri etici oggettivi, dall’altro pretende di valutare l’azione politica sulla base dei comportamenti privati degli uomini politici — e anche delle donne politiche: e si erge a giudice inappellabile della loro moralità. Non è soltanto un paradosso: è un fatto intollerabile per chiunque abbia un minimo di buon senso. Questi luoghi comuni partono da un presupposto altrettanto comune: quello d’intendere la libertà come scissa dalla verità, fino a renderla oggetto di una sorta di venerazione religiosa. Tutto ciò si fonda sulla mentalità — *
A Roma, nell’Auditorium Parco della Musica, il 3 luglio 2009, si è tenuto un convegno sul tema La persona prima di tutto. I valori della persona nella regolazione sulla vita e nell‟economia sociale di mercato, organizzato dalla Fondazione Nuova Italia e dalla Fondazione Craxi. Nell’occasione ha parlato anche l’on. Alfredo Mantovano, sottosegretario di Stato all’Interno, di cui riportiamo l’intervento.
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correttamente definibile come «gnostica»1 —, secondo la quale il mondo così com’è nella sua oggettività, cioè com’è stato fatto, non va, perciò occorre cambiarlo. In questa prospettiva, però, non tutti sono in grado di fornire un contributo sostanziale in tal senso, bensì soltanto una ristretta cerchia di persone, le quali, valendosi di particolari tecniche, riescono a sanare la situazione, operando perché si giunga a un mondo redento dai limiti dai quali ora è afflitto. Si tratta di avanguardie illuminate: i giacobini negli anni successivi al 1789, i dirigenti del Partito Comunista in Russia nel 1917, i Collettivi nel 1968, e così via... E tuttavia, la considerazione degli esiti prodotti da queste esperienze storiche fa constatare come a ogni rivendicazione di libertà intesa come mito, svincolata dalla verità dell’essere, corrispondono danni e ferite per la nostra civiltà. I fatti danno ragione a una espressione tanto sintetica quanto saggia di Papa Giovanni Paolo II (1978-2005): «La libertà [...] ha bisogno di essere liberata»2. L’opera di «liberazione» deve ricominciare dalla persona, come opportunamente suggerisce il titolo del nostro convegno. E ogni persona reca in sé un insieme di dati, dei quali mostra di avere una percezione sostanzialmente sicura: tutti sono convinti che le persone abbiano caratteristiche comuni; tutti sentono e avvertono, anche implicitamente, come vero, buono e giusto un determinato corpus di princìpi, anche se non tutti sono in grado di enuclearlo formalmente per intero. Si tratta di una condizione innata, che si pone come base per ogni crescita in termini di conoscenza e di cultura; è un sistema di giudizi che è avvertito da tutto il genere umano, come una sorta di senso comune. Nella cultura occidentale una robusta corrente di pensiero considera non chiaramente conoscibile la legge morale naturale. Negando tale fondamento, ne cerca e ne individua uno alternativo nella «libertà». La libertà individuale — secondo tale orientamento — dovrebbe essere limitata solo dalla libertà degli altri. Nella misura in cui rispetta tale condizione, la libertà sarebbe «giusta». Questo mosaico di libertà, disancorato dalla legge naturale, dovrebbe essere il frutto del consenso espresso nella migliore delle ipotesi da una maggioranza, comunque da chi nella sostanza è il più forte: per esempio, dai giudici. Per uscire dalle secche, basta soffermarsi sul vincolo che lega la legge naturale alla libertà della persona. Cominciando con il dire che tale legge è chiamata «naturale» perché la «retta ragione» che la coglie è propria della natura della persona umana. Essa esprime e prescrive le finalità, i doveri e i diritti che si 1
Cfr. Eric Voegelin (1901-1985), Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, trad. it., con una Introduzione di Francesco Alberoni, Rusconi, Milano 1990. 2 Giovanni Paolo II, Enciclica «Veritatis splendor» circa alcune questioni fondamentali dell‟insegnamento morale della Chiesa, del 6-8-1993, n. 86.
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fondano sulla natura corporale e spirituale dell’uomo. Non è espressione di una normatività puramente biologica; costituisce l’ordine razionale in virtù del quale l’uomo è chiamato a regolare la propria vita. Essendo conforme alla ragione umana, essa accomuna ogni uomo, perciò ha carattere di universalità; è, come si usa dire oggi, «trasversale» alle diverse culture. Permane come un immutabile sostrato sotto il mutamento delle idee e dei costumi. La si può negare, ma riemerge nella vita di individui, gruppi e società. La legge naturale pone il fondamento necessario per edificare rettamente la comunità umana; il legislatore è chiamato a trarre dai suoi princìpi le conseguenze in ordine all’elaborazione di normative rispettose della dignità della persona umana. È vero che i suoi precetti non sono percepiti da tutti con chiarezza: ma questa incertezza non è da attribuire — come spesso viene fatto indebitamente — ai contenuti oggettivi della legge naturale. È da attribuire alla difficoltà che l’uomo ha di comprenderla senza errori, unita alle difficoltà ancora maggiori che egli, dopo averla compresa, incontra nel rispettarla. Affermare questo significa rendersi alfieri dello «Stato etico»? Non si deve confondere lo «Stato etico» con lo «Stato che riconosce l’esistenza dell’etica». Le due nozioni non sono uguali. Lo Stato tradizionale, conforme a diritto naturale, non è assoluto, cioè solutus ab, sciolto da princìpi e da leggi morali superiori. Lo Stato ha un limite in alto costituito dalla legge naturale, che la ragione può riconoscere e che dunque s’impone a tutti, credenti e non credenti; non potrà mai, per esempio, con una propria legge ledere la vita della persona senza superare quel limite. Proprio perché lo Stato riconosce un limite in alto — un diritto che si chiama naturale perché esiste prima dello Stato, non è una creazione dello Stato e lo Stato non può cambiare — esiste anche un limite in basso: i diritti delle persone, delle comunità e dei corpi intermedi, la cui fonte è lo stesso diritto naturale. Con la nascita della modernità gli Stati cercano di sbarazzarsi di questi limiti; cercano di diventare monarchi assoluti, «sciolti» dal limite in alto e quindi anche dal limite in basso. I consiglieri dei Principi inventano così lo «Stato etico» che non è «lo Stato che rispetta l’etica», ma è «lo Stato che si proclama unica fonte dell’etica». La seconda nozione è il contrario della prima, e lo Stato etico è il contrario dello Stato tradizionale. L’espressione «Stato etico» è di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) — la riprende a modo suo Giovanni Gentile (1875-1944) per il fascismo —, ma il concetto risale a Niccolò Machiavelli (1469-1527) e soprattutto a Thomas Hobbes (1588-1679). Mentre fra i successori di Hegel ci sono sia il marxismo, in una traspozione materialistica dell’hegelismo, sia il nazional-socialismo, in una trasposizione vitalistica. Uno Stato che, fondandosi sul potere dei giudici, pretende di uccidere Eluana Englaro (1970-2009) è uno «Stato etico»: considera sé stesso e le sue 69
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leggi fonti di eticità e non riconosce l’esistenza di un diritto naturale che né il legislatore né il giudice possono violare. Se vale il principio secondo cui «lo dice la Corte di Cassazione, e quindi è morale», ciò vuol dire che un potere dello Stato diventa la fonte dell’etica. Chi invece ha sostenuto che non si poteva uccidere Eluana non perché lo diceva la Conferenza Episcopale Italiana o il quotidiano d’ispirazione cattolica Avvenire, ma perché così facendo si violava un principio di una legge che viene prima dello Stato e che lo Stato non può né cambiare né violare, si è schierato contro lo Stato etico: in nome del principio secondo cui «anche se lo dice la Cassazione resta immorale». Sulle colonne di un quotidiano laicissimo, La Stampa, si è svolto un interessante dibattito fra due saggisti poco inclini a suggestioni confessionali, Barbara Spinelli e Sergio Romano3. La Spinelli commentava l’inerzia dell’Occidente e in particolare dell’Europa, di fronte ai massacri in Bosnia, e sosteneva che la figura di riferimento dell’Unione Europea dovesse essere Ponzio Pilato: la bacinella nella quale il procuratore romano si lavò le mani poteva sostituire le dodici stelle nella bandiera dell’Unione. Sergio Romano le rispose dicendo che Pilato ben avrebbe potuto rappresentare il modello per i governanti contemporanei, a patto di non essere valutato in modo così negativo: il gesto di lavarsi le mani era in fondo una difesa della pace sociale, sia pure a scapito del riconoscimento del diritto alla vita di quella Persona che a Pilato era stato chiesto di giudicare. Chi è Pilato? Non è il protagonista di un racconto mitologico, ma un uomo vissuto realmente, del quale conosciamo tutte le coordinate: la funzione che svolgeva, gli anni del suo governatorato, chi era la moglie e che cosa sognava la notte. Da magistrato romano è chiamato a giudicare; in particolare, è chiamato a rendere un giudizio laico, non religioso, fondato sul fatto, in ossequio al diritto del quale era interprete: da mihi factum, dabo tibi jus. E Pilato riconosce il dato obiettivo che ha di fronte; addirittura enuncia la motivazione di una possibile sentenza assolutoria, se è vero che per tre volte ripete «Io non trovo in lui nessuna colpa» (Gv. 18, 38). Riconosce, cioè, la verità, sostanziale e processuale, che balza ai suoi occhi con evidenza — come con evidenza balza agli occhi dell’ecografo la vita del concepito —; ma il dispositivo della sentenza non segue quella motivazione. Perché? Che cosa accade? Dov’è il corto circuito? Nell’interrogatorio Pilato rivolge a quell’imputato la domanda cruciale: «Tu chi sei?». E riceve una risposta: «[...] sono venuto nel mondo [...] per rendere testimonianza alla verità» (Gv. 18, 37); una risposta che certamente poteva essere l’avvio di un lungo dialogo, come quell’Uomo era abituato a fare con chi gli parlava seriamente. Ma Pilato interrompe bruscamente il discorso, 3
Cfr. Barbara Spinelli, Occidente. La sindrome di Pilato, in La Stampa, Torino 25-81995; e Sergio Romano, Elogio di Pilato, ibid., 29-8-1995.
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con una frase che rappresenta la sintesi di ogni posizione scettica e relativistica di fronte al reale: quid est veritas? «Che cos‟è la verità?» (Gv. 18, 38) Che cos’è la verità, la verità non esiste, è un’opinione, è ciò che resta dopo un talk show, è l’esito di un rapporto di forza, è un risvolto della convenienza... Questa risposta ha delle conseguenze terribili. Dal rifiuto relativistico di cogliere la verità deriva la sentenza più ingiusta che sia mai stata pronunciata. Dal rifiuto relativistico di cogliere la verità sul concepito segue la negazione della sua permanenza in vita. Dal rifiuto relativistico di cogliere la verità su Eluana — una grave disabile, non una persona sottoposta ad accanimento terapeutico — segue la sua condanna a morte. Il relativismo non è mai innocente; spesso è omicida. In questi giorni c’è di più: se oggi gli alfieri del relativismo dovessero interessarsi di Pilato, certamente guarderebbero a ciò che il governatore della Palestina fa nella sua camera da letto, piuttosto che alle sentenze che pronuncia. Sostituendo all’etica pubblica il moralismo ed ergendosene ad arbitri supremi. Sembra che al giacobinismo giudiziario come arma di lotta politica, che ha caratterizzato gli anni 1990, si sia sostituito il giacobinismo moralistico: spesso i protagonisti del nuovo giacobinismo riescono a essere le medesime persone di quello di dieci anni fa. Con risvolti divertenti: qualche giorno fa ho letto sulle colonne de L‟Osservatore Romano un pezzo sulla morte di Michael Jackson (1958-2009); l’articolo non nasconde «il percorso umano non facile»4 del cantante, «segnato da gravi cadute»5, e ricorda le vicende giudiziarie connesse alle accuse di pedofilia. Ma poi aggiunge che «[...] nessuna imputazione, pur così grave e vergognosa, è stata sufficiente a scalfire il suo mito»6. Il criterio di valutazione è generoso: distingue i meriti artistici dalla vita personale, anche se quest’ultima ha oltrepassato le aule di giustizia. Peccato che altre testate giornalistiche, che pure si fregiano del nome di cristiane, sono molto meno generose quando si occupano di personaggi politici. Peccato che si mostrino più calviniste che cattoliche; peccato, per esempio, che facciano il tifo — un tifo acceso — per un «cattolico adulto» che va a Messa, frequenta i sacramenti, ed è probabilmente fedele alla consorte, ma — da presidente del Consiglio — ha provato a far passare i «dico», l’eutanasia e le norme sull’omofobia; e al contrario dicano ogni sorta di male sul suo successore a Palazzo Chigi, che non si è mai vantato di rispettare tutti e dieci i comandamenti, ma era pronto a far cadere il governo pur di salvare la vita a Eluana. 4
Marcello Filotei e Giuseppe Fiorentino, Ma sarà morto davvero?, in L‟Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 27-6-2009. 5 Ibidem. 6 Ibidem.
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Il ritorno a una sana prospettiva di diritto naturale serve a conseguire più obiettivi: grazie alla sua dimensione antropologica, crea una base di autentica collaborazione fra credenti e non credenti; grazie al suo sano aggancio alla realtà, evita derive che sono insieme relativistiche e moralistiche. La persona non viene al primo posto se non ha certezza di quei diritti che la fanno essere prima dello Stato e di ogni altra realtà. Per i peccati — ma questo riguarda i credenti —, c’è il confessore. Ma è un’altra cosa, e la privacy è salva!
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Ex libris Una casa senza biblioteca è come una fortezza senza armeria (detto monastico)
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Marco Tangheroni, Cristianità, modernità, Rivoluzione. Appunti di uno storico fra «mestiere» e impegno civico-culturale con un saggio introduttivo La storia come «riassunto» di Giovanni Cantoni e una Nota praevia di Andrea Bartelloni, a cura di Oscar Sanguinetti con la collaborazione di Stefano Chiappalone, SugarCo, Milano 2009, pp. 184, € 16,80 A poca distanza da Della Storia. In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila (Sugarco, Milano 2008; cfr. la recensione di Sandro Petrucci in Cristianità, anno XXXVII, n. 351, gennaio-marzo 2009, pp. 53-59), sono state raccolte — riviste e annotate, sotto il titolo Cristianità, modernità, Rivoluzione. Appunti di uno storico tra «mestiere» e impegno civicoculturale — alcune conferenze dello storico pisano Marco Tangheroni (1946-2004), docente universitario e grande studioso del Medioevo, nonché socio fondatore di Alleanza Cattolica. Tangheroni ha insegnato, oltre che nella città natale, nelle università di Barcellona, di Cagliari e di Sassari. Sposato e padre di tre figlie adottive ruandesi, ha svolto attività politica e di apostolato culturale ed è stato attivo e apprezzato conferenziere su numerosi temi, anche al di fuori dell’ambito strettamente accademico. Tutto ciò nonostante una grave malattia renale che fin dalla giovinezza ne ha minato il fisico e ha conferito un senso «provvidenziale» alla coincidenza fra la memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, venerata come salus infirmorum, e la sua morte, avvenuta l’11 febbraio 2004. Fra le numerose pubblicazioni ricordo Commercio e navigazione nel Medioevo (Laterza, Roma-Bari 1996) e il catalogo della mostra Pisa e il Mediterraneo. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici (Skira, Milano 2003), che costituiscono un po’ la summa delle ricerche e degli interessi di Tangheroni, principalmente incentrati sul Mediterraneo tardo-medievale, sconfinando tuttavia volentieri — e con competenza — anche in altri settori, in linea con la propria curiosità che lo rendeva immune dall’errore degli specialisti in grado di sapere tutto di quasi nulla, senza peraltro saper inserire questo «quasi nulla» in un quadro più ampio. Il libro, dopo la Nota editoriale (p. 8) del curatore Oscar Sanguinetti, si apre con il saggio introduttivo La storia come «riassunto» (pp. 9-16), di Giovanni Cantoni, fondatore e reggente nazionale di Alleanza Cattolica, nonché amico e stimato consigliere e maestro di Tangheroni. Cantoni osserva come la narrazione delle res gestae sia necessariamente un riassunto, posto che l’unico storico perfetto è Dio Padre, memoria perfetta e onnisciente, mentre l’uomo — la cui attività storiografica pure tende a imitare la perfezione del Padre celeste — «[...] è sempre storico imperfetto: non soltanto non sa mai quanto accadrà, ma neppure tutto quanto è accaduto, né tantomeno perché» (p. 12). Una storia totale, del resto, sarebbe per noi di difficile lettura, quindi tanto perfetta quanto inutile, proprio come la «[...] Mappa dell‟Impero che uguagliava in grandezza l‟Impero e coincideva puntualmente con esso» (Jorge Luis Borges [1899-1986], cit. a p. 14). «Dunque — ancora —, se la “storia perfetta” può essere solo divina, la storia umana può essere solo riassunto, bisognoso però di rimando totale, d‟inserimento nella cornice della Provvidenza» (p. 15). Allo stesso modo, sulla scia delle cronache medievali inserite fra Adamo ed Eva e l’Apocalisse, anche queste conferenze di Tangheroni si configurano come «riassunti» sub specie Providentiae affinché la storia, magistra vitae, divenga «addestramento all‟ars bene moriendi, educazione alla morte, dunque pietra miliare sulla via verso il Regno» (p. 16).
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Segue la Nota Praevia (pp. 17-18) di Andrea Bartelloni, militante di Alleanza Cattolica e responsabile del Centro Cattolico di Documentazione di Marina di Pisa che ha organizzato e ospitato le lezioni e conferenze qui raccolte. Bartelloni ripercorre la genesi dell’opera, a partire da un breve corso di storia organizzato da Alleanza Cattolica in Pisa alla fine degli anni 1970 per un gruppo di studenti universitari, che successivamente «[...] organizzarono e seguirono, nel tempo, nuovi corsi sul tipo del primo, grazie ai quali furono dissipate numerose “leggende nere”, mai però sostituendole, grazie al grande equilibrio di Tangheroni, con altrettanto false “leggende rosa”» (p. 17). La prima parte del libro — Appunti di storia — contiene le trascrizioni delle lezioni riproposte nel 1989: dopo alcune Considerazioni introduttive (pp. 2133), l’autore passa a confutare La leggenda nera sul Medioevo (pp. 35-51) e individua Gli elementi costitutivi del Medioevo (pp. 53-61); quindi affronta La crisi del Medioevo e la Riforma protestante (pp. 63-73), La Rivoluzione francese (pp. 75-93) e infine Il Risorgimento italiano (pp. 95-106). Nella seconda parte sono raccolti Testi di conferenze su argomenti di attualità: 1492-1992. Bilancio di un centenario (pp. 109-131), in occasione del quinto centenario della scoperta dell’America, quindi Islam, una realtà sconosciuta (pp. 133-143) e Le radici storiche dell‟Occidente (pp. 145-161), entrambe del 2002. L’opera si conclude con una Nota bio-bibliografica (pp. 163-169) a mia cura e con un elenco di Letture introduttive consigliate (pp. 171-174). Nelle Considerazioni introduttive Tangheroni osserva che lo storico, come l’orco delle fiabe — per riprendere l’efficace immagine dello storico francese Marc Bloch (1886-1944) — si volge dovunque percepisca la presenza di uomini, poiché costoro sono, in definitiva, il suo oggetto di studio. Dietro qualsiasi documento c’è sempre «una persona, che ha amato, sofferto, tradito, pianto, lottato: un uomo come noi» (p. 24), o meglio, tanto simile a noi quanto diverso; e tale diversità va tenuta in conto per evitare di «travestire» i nostri predecessori con sentimenti e mentalità contemporanee. Inoltre, la storia richiede necessariamente una selezione, non arbitraria, ma dettata dalla perizia dello storico, il cui lavoro è paragonabile «a quello, a cavallo fra scienza ed esperienza, dell‟artigiano» (p. 25), ragion per cui «i grandi storici nascono una volta ogni “morte di papa”, se non più raramente» (ibidem). Dopo queste considerazioni relative al «mestiere», Tangheroni svolge alcune riflessioni «da storico che è cattolico» (p. 27), al quale, se non compete una lettura teologica — e neanche teleologica — della storia, gioverà tuttavia il realismo dell’antropologia cattolica, consapevole dei limiti e delle potenzialità dell’uomo, nonché una minore inclinazione a leggere il passato cercando forzatamente conferme o smentite, poiché «[...] sappiamo che la guerra è stata certamente vinta da Cristo, ma che prima della fine molte battaglie potranno essere perdute: questo è il tema, celebre, del “già e non ancora”. Non abbiamo perciò bisogno di verifiche dalla storia» (p. 33). Al contrario, la radicata immagine degli anni della Cristianità europea come «secoli bui», come parentesi ovvero «medio evo», oscura età di mezzo fra le glorie dell’Antichità e del Rinascimento, è frutto di un uso strumentale della storia che — per via mediatica ma anche scolastica — mira «[...] a far perdere ai cattolici la consapevolezza di avere un passato “sociale” particolarmente glorioso» (p. 35) e a «[...] convincere surrettiziamente che l‟impegno per restaurare una civiltà cristiana sia pura utopia» (ibidem). Questa «storia sbagliata» si è coerentemente tradotta in un’altrettanto errata azione politica e culturale da parte di un mondo cattolico votato all’espiazione sistematica delle proprie colpe — vere e presunte — mediante l’anonimato politico-sociale. Dal Rinascimento al 1968 si registra infatti una continua variazione sul tema «cancelliamo il Medioevo», che in fondo significa «cancelliamo
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la civiltà cristiana medievale». Obbiettivo di questa plurisecolare operazione rivoluzionaria non è infatti un qualsiasi ordinamento incontrato per caso, bensì specificamente la realizzazione concreta «nelle condizioni inerenti ai tempi e ai luoghi, dell‟unico vero ordine fra gli uomini, ossia della civiltà cristiana» (p. 41), del cristianesimo vissuto non solo privatamente, ma anche in quanto società. Tale prospettiva sociale è ormai ignorata o avversata da gran parte del mondo cattolico che, nonostante il lavoro degli storici, ha assorbito acriticamente, «anche a proposito di Medioevo, miti e pregiudizi protestanti e illuministici» (p. 51). Eppure, fra luci ed ombre, la stessa Europa emerge come frutto dell’epoca medievale: un nuovo mondo nato fra tante rovine, proprio grazie alla forza coagulante del cristianesimo «non solo come generale sentimento religioso, ma anche come istituzioni ecclesiastiche, dalla più piccola cura d‟anime fino ai vertici episcopali e fino al papato» (p. 54). Rispetto alla diffusa e falsa idea di un Medioevo inerte e rassegnato, Tangheroni riporta lo stupore del medievalista tedesco Arno Borst (1925-2007), «[...] colpito dal sacro zelo di uomini che, mossi in prima istanza dal desiderio di servire Dio, per una realtà non terrena, non storica, sono, proprio da questa istanza, portati ad assumersi in prima persona immani compiti terreni di ricostruzione» (p. 59), dando luogo a una civiltà originale che, «[...] pur riconoscendo la centralità storica dell‟incarnazione di Cristo» (p. 56), si considerava in perfetta continuità con il mondo classico, come «nani sulle spalle dei giganti» (ibidem). In modo totalmente diverso, artificiale e «negromantico», l’Umanesimo propugna il ritorno all’antichità classica, che nelle corti europee — inclusa quella pontificia — «[...] è spesso un alibi ideologico per abbandonarsi ai lussi e ai piaceri della vita» (p. 70). Parallelamente si registra un cambio di mentalità all’insegna di un crescente individualismo, anche in ambito religioso, dalla devotio moderna all’ossessiva preoccupazione per la propria salvezza individuale. Questi e altri fenomeni preparano il terreno alla frattura protestante, alle cui radici c’è anche l’antropologia esasperatamente pessimistica di Martin Lutero (1483-1546) secondo il quale «[...] è impossibile all‟uomo di procurarsi qualsiasi merito di fronte a un Dio che salva o condanna del tutto arbitrariamente» (p. 71) a prescindere dalle opere. Poiché Tangheroni amava dire che la storia si fa anche con i se, non possiamo fare a meno di chiederci se su queste basi spirituali sarebbe stata possibile l’immane «opera» di ricostruzione avvenuta nell’Alto Medioevo. In ogni caso si è rivelato pienamente coerente con le premesse — al di là delle intenzioni di Lutero — il controllo totalitario nella repubblica teocratica fondata a Ginevra da Giovanni Calvino (1509-1564), poiché una natura umana incapace di agire bene «[...] deve essere violentemente coartata e corretta alla luce della rivelazione cristiana» (p. 72). Analogamente la Rivoluzione Francese, soppresse le libertà concrete in favore dell’astratta liberté, rende gli individui eguali e fratelli in quanto soggetti allo Stato rivoluzionario. Illudendosi di poter ricreare tutto ex novo, «[...] i rivoluzionari penseranno concordemente che bisogna rendere gli uomini buoni per mezzo della legislazione» (p. 87), dal totale rifacimento a tavolino della geografia francese all’abolizione dei corpi intermedi, fino a legiferare perfino sugli abiti, sul modo di salutarsi o di portare la coccarda. Libertà, eguaglianza e fraternità, fondate su tali costrizioni, non possono che essere molto lontane dai corrispondenti concetti cristiani ai quali la triade rivoluzionaria viene spesso indebitamente associata. La fraternità, più massonica che cristiana, non è frutto dell’unione, bensì della progressiva eliminazione di chiunque non sia un bravo citoyen: «[...] se un giorno, a disegno rivoluzionario attuato, saremo tutti fratelli, per il momento il compito dei veri rivoluzionari è quello di smascherare i falsi fratelli. È una fraternità che esclude alcuni, e anzi ne esclude sempre di più» (p. 89). Di
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Cristianità n. 353, luglio-settembre 2009 conseguenza, mentre i rivoluzionari realizzano — volente o nolente — l’uomo «nuovo», in Vandea la pelle dell’uomo «vecchio», del contadino insorto contro la Repubblica, finisce in mano a un conciatore per farne dei gambali. Nonostante ciò il mito della Rivoluzione francese resiste ed è intoccabile, così come in Italia la mitologia risorgimentale fa sì che tuttora non si possa che parlar bene di Giuseppe Garibaldi (1807-1882), rivoluzionario per eccellenza. Al di là delle agiografie correnti, «[...] dal punto di vista della storia militare bisogna dire che il Risorgimento non ebbe molti episodi gloriosi e, anzi, conobbe molte pagine negative» (p. 97) e in generale questa epopea di «redenzione» nazionale «[...] fu il frutto, nei suoi successi come nei suoi insuccessi, di continue interferenze delle potenze europee nella storia italiana» (p. 98). Quanto la necessità di essere redenti fosse sentita dalle popolazioni della penisola, lo dimostra la continua necessità, una volta «fatta» l’Italia, di «fare» gli italiani, evidentemente più legati alla Chiesa o al socialismo. Senza voler generalizzare — lo stesso Papa beato Pio IX (18461878) nel 1848 «[...] aveva infatti benedetto il programma di una lega o di una confederazione italica» (p. 102), non essendo dunque contrario all’unificazione in sé —, il processo risorgimentale assume progressivamente i connotati di una lotta contro la Chiesa, come attestano le innumerevoli soppressioni di congregazioni religiose e relative confische, ma anche la meno conosciuta «corrente calda» del Risorgimento che ne costituisce il volto millenaristico e «gnostico». Senza pretesa di esaurire tutta la storia — alla luce di quanto detto in apertura — questi «riassunti» ci abituano a studiare il passato, ma anche il presente, con un senso della complessità del reale che spinge a non accontentarsi delle mitologie correnti, ponendosi sempre nuove domande. Così, in un clima culturale caratterizzato — anche a livello accademico — dalla facilità d’indignarsi piuttosto che dalla volontà di capire, Tangheroni ci indica da quali pulpiti vengono certe prediche: ad accusare l’ammiraglio genovese Cristoforo Colombo (14511506) di essere all’origine del genocidio delle popolazioni precolombiane ci sono marxisti travestiti da indios e perfino un mondo nord-americano che ha fatto davvero tabula rasa delle popolazioni indigene, come attesta la totale assenza di meticciato, diffusissimo invece in America Latina, dove in realtà hanno fatto più vittime i batteri portati dagli spagnoli che la loro «barbarie». E se i sacrifici umani compiuti da incas e aztechi vengono facilmente compresi in nome di un relativismo culturale che non riconosce gerarchie di civiltà, «[...] allora non si vede perché ai poveri spagnoli invece questa relatività debba essere sistematicamente negata» (p. 131). Analoga deformazione compie chi contrappone la presunta modernità di Colombo ai suoi superstiziosi contemporanei ancora ignari della sfericità della Terra, dato in realtà pacificamente accettato già nel «buio» Medioevo. «In realtà, il parere negativo espresso tanto dai dotti di Salamanca quanto dai dotti di Lisbona, si basava proprio su una concezione moderna, scientifica ed esatta della geografia, della cosmografia del nostro pianeta» (p. 118), più grande di quanto previsto da Colombo al punto che, senza quell’imprevisto continente, sarebbe stato impossibile giungere vivi fino alle Indie. Un analogo senso della complessità è necessario per comprendere l’attualità. In seguito agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 «[...] siamo stati soffocati da un eccesso di informazioni, rispetto alle quali è difficile separare il buono dal cattivo, ciò che è frutto di vera conoscenza da ciò che è frutto di approssimazione: molti — pare — si sono infatti scoperti “esperti di islam”» (p. 133). Senza improvvisarsi a sua volta «esperto», Tangheroni si limita a fornire alcuni elementi utili per orientarsi. Ad esempio, non ci si può accontentare del significato del jihad nel senso di «lotta interiore» senza porsi il problema di una parallela
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connotazione esteriore e aggressiva, con un ruolo rilevante nella fulminea espansione della religione fondata da Maometto, che è contemporaneamente conquista militare ed espansione politica, vista la totale assenza di distinzione fra le due sfere all’interno dell’Umma, la comunità islamica. «Nel nostro Medioevo, vale a dire nell‟epoca in cui maggiormente si è cercato di costruire una società cristiana [...] è sempre, viceversa, rimasta ferma la distinzione fra la Chiesa come popolo di Dio e la società civile formata dai cristiani» (p. 136). Un’altra differenza risiede nella concezione positiva della storia e nell’autonomia del mondo naturale insite nella dottrina cristiana, mancando le quali l’islam, anche nel periodo di maggiore sviluppo e splendore, ha già in sé i germi del successivo arresto che si verifica a partire dal secolo XIII. In relazione a questo crescente gap, la pressione dell’Occidente laicizzato dei secoli XIX e XX «[...] pone alla cultura islamica il problema di come pensare se stessa in relazione alla civiltà occidentale e alla modernizzazione con cui la civiltà occidentale si presenta e che diffonde rapidamente in Oriente» (p. 140). A questo duplice problema le varie anime dell’islam — tutte legittime data l’assenza di un’autorità universalmente riconosciuta — rispondono in modi differenti. In ogni caso è stato nettamente smentito chi prevedeva l’inesorabile scomparsa della religione, tanto nel mondo musulmano quanto in Occidente. Anche quest’ultimo concetto necessita di qualche chiarimento, se non altro perché si tratta del nostro «mondo», che pur essendo «orientato» da sempre verso Oriente — come le chiese rivolte al sole che sorge – è tuttavia proiettato verso Occidente — dal pellegrinaggio a Santiago di Compostella, in Spagna, alle leggendarie isole atlantiche di san Brandano (480-576), fino al viaggio di Colombo. Tangheroni confuta l’equivoco antioccidentale e antiamericano di chi contrappone alla «vecchia» Europa l’Occidente inquinato dalla modernità, magari finendo per cercare la salvezza nell’«incontaminato» Oriente islamico, sulla scia dello studioso francese René Guénon (1886-1951). In realtà, l’attuale mondo occidentale è ciò che resta della Cristianità, e pur negandola ha sempre in essa le proprie radici. «Pensare che senza l‟America l‟Europa avrebbe conservato le proprie tradizioni è un atteggiamento assolutamente antistorico» (p. 154), dimenticando che gli americani non sono marziani comparsi dal nulla per spargere modernità, in quanto anch’essi figli dell’Europa e ne sono semmai i figli meno inquinati dalla crisi rivoluzionaria, poiché la Rivoluzione francese, per definizione, non è avvenuta negli Stati Uniti d’America. Anche guardando alla «vecchia» Europa dobbiamo constatare che, perfino nel momento in cui appariva meno evoluta, la storia della Cristianità medievale è la storia di uno sguardo positivo verso il mondo e verso la storia — grazie alla religione di Dio che s’incarna nel tempo e nello spazio — e quindi di un dinamismo, di una continua tensione verso la scoperta. In altre parole, quella fra Europa e Occidente è una falsa contrapposizione, poiché «[...] questa apertura, questa ansia, questo desiderio di conoscenza che possono avere acquisito — e che hanno certamente acquisito, in parte — un carattere prometeico, cioè di rivolta contro la divinità, sono per altro insite nelle radici della nostra civiltà» (p. 160). Se è lecito, in chiusura, un primo rapido commento, mi servo di un elemento apparentemente marginale, ma che in realtà racchiude tutto ciò che si può attendere dalla pubblicazione delle preziose pagine di Marco Tangheroni. La copertina scelta per questo libro — che lo renderà immediatamente riconoscibile — è la più efficace presentazione tanto del testo quanto dell’autore: l’icona di san Giorgio che su un cavallo bianco uccide il drago per liberare la principessa. Scopo principale di queste riflessioni non è certo quello di produrre esperti, per quanto effettivamente si possano imparare molte cose da esse. Piuttosto, in un
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contesto caratterizzato da un bombardamento d’informazioni cui corrisponde una formazione pressoché nulla, Tangheroni ci insegna, «fra mestiere e impegno civico-culturale», ad andare a cavallo e a maneggiare la lancia per poter finalmente liberare la principessa imprigionata — dall’ideologia di turno o dalle deformazioni mediatiche —, cioè la Verità.
Stefano Chiappalone
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La buona battaglia
Ho combattuto la buona battaglia (2 Timoteo 4, 7)
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Categorie e attualità politico-culturali Lecce, 23 maggio 2009. Nell’auditorium della parrocchia San Giovanni Battista, organizzato dalla Consulta delle Aggregazioni Laicali dell’arcidiocesi di Lecce, si è tenuto un convegno dal titolo La nostra società tra scenari inquietanti e segni di speranza. Introdotti e moderati dal dottor Roberto Cavallo di Alleanza Cattolica, sono intervenuti l’ingegner Guido Verna, della medesima associazione, la dottoressa Elena Selleri, di Comunione e Liberazione, e Antonio Pinto della Comunità Emmanuel. Ha concluso il pro-vicario episcopale monsignor Fernando Filograna, che ha portato i saluti dell’arcivescovo diocesano, S.E. mons. Cosmo Francesco Ruppi. Nell’occasione soci di Alleanza Cattolica hanno allestito uno stand librario. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali. Milano, 28 maggio 2009. Nella Sala Verri del Centro Culturale di Milano, organizzato da Alleanza Cattolica in collaborazione con l’Associazione Nuove Onde, si è tenuto un incontro sul tema Vita, famiglia, educazione. Chi voterai alle prossime elezioni? Nell’occasione è stata presentata la III edizione dell’Osservatorio politico di Nuove Onde. Presentati dal dottor Marco Invernizzi, di Alleanza Cattolica, sono intervenuti Fabio Luoni e Giovanni Fenizia di Nuove Onde, Ernesto Mainardi, presidente del Forum delle Associazioni Familiari della Lombardia, e Maria Grazia Colombo, presidente nazionale A.Ge.S.C., l’Associazione Genitori Scuole Cattoliche. Fra i presenti Gianna Savaris, del direttivo nazionale del Forum delle associazioni familiari, l’on. Antonio Marzotto Caotorta e Cesare Palombi, coordinatore provinciale dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose. Pisa, 29 maggio 2009. Nell’auditorium Giuseppe Toniolo dell’Opera della Primaziale Pisana, organizzato da Alleanza Cattolica in collaborazione con il Centro Cattolico di Documentazione di Marina di Pisa — con il patrocinio del Comune e della Provincia, e l’adesione del Centro Culturale San Ranieri, di Laboratorio «99», del Circolo culturale Amici del Timone di Viareggio, in provincia di Lucca, e de La Compagnia del Lago di Bientina, in provincia di Pisa — si è tenuto un incontro dal titolo Conoscere la storia sulle tracce di un maestro. A proposito di due saggi di Marco Tangheroni. Introdotto dal dottor Andrea Bartelloni, di Alleanza Cattolica, ha trattato l’argomento il professor Sandro Petrucci, della medesima associazione, che nell’occasione ha presentato due opere del professor Marco Tangheroni (1946-2004), socio fondatore del sodalizio promotore, Della Storia. In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila, e Cristianità, modernità, Rivoluzione. Appunti di uno storico fra «mestiere» e impegno civico-culturale, edite da Sugarco. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali. Bologna, 2 giugno 2009. Nella sala comunale dell’Angelo, organizzato dalla federazione provinciale de La Destra, si è tenuto un incontro su I valori della Destra nel Cattolicesimo e nella Tradizione. Presentati da Anna Montella, dell’organismo promotore, hanno trattato l’argomento lo scrittore e giornalista Alessandro Gnocchi e Renato Cirelli, di Alleanza Cattolica. L’iniziativa ha avuto eco sui mass media locali.
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Ferrara, 18 giugno 2009. Nella struttura ricettiva di San Girolamo dei Gesuati, organizzata dal Circolo di Cristianità, si è tenuto un incontro su Occidente e Cristofobia. Introdotto dal coordinatore del Circolo, professor Leonardo Gallotta, ha trattato l’argomento il giornalista dottor Andrea Morigi, di Alleanza Cattolica. Maggio di Cremeno (Lecco), 29 luglio 2009. Nella Villa Carnevali, organizzato dal Comune e dalla parrocchia della Natività della Beata Vergine Maria, si è tenuto un incontro sul tema L‟ideologia di genere. Presentato dal coadiutore don Ettore Codega, ha trattato l’argomento il dottor Marco Invernizzi, di Alleanza Cattolica, redattore de il Timone. Mensile di informazione e formazione apologetica. Nell’occasione è stato presentato il Quaderno del Timone L‟identità di genere, di Roberto Marchesini. Fra i presenti il sindaco, dottor Fabrizio Franco Valsecchi. Castroreale (Messina), 10-14 agosto 2009. Presso Piano Margi, nell’area attrezzata del demanio forestale, organizzato dalle parrocchie Santa Maria Immacolata e Santi Bartolomeo e Giovanni Battista di Rodì Milici, in provincia di Messina, in collaborazione con Alleanza Cattolica, si è tenuto un campeggio estivo di formazione. Per i giovani e gli adulti il giorno 11 sono stati trattati gli argomenti Dio nella storia, relatore Umberto Bringheli, di Alleanza Cattolica, e Quando Dio viene negato, relatore Antonino Teramo, dell’Associazione «Cristianità»-Centro d’Informazione e Formazione Cattolica; il giorno 12 Natura, ragione e cultura: il processo storico-filosofico della rivoluzione sessuale, relatore il dottor Daniele Fazio, dell’Associazione «Cristianità»Centro d’Informazione e Formazione Cattolica, e Totalitarismo gender: quando le idee contro natura diventano legge, relatore il dottor Luca Basilio Bucca, di Alleanza Cattolica, con l’ausilio della dottoressa Roberta Genovese, dell’Associazione «Cristianità»-Centro d’Informazione e Formazione Cattolica, e il giorno 13 L‟umano nella post-modernità ed iperrealtà, relatore il dottor Fazio, e Opportunità e trappole dell‟apostolato negli «ambienti» virtuali: considerazioni e prospettive, relatore il dottor Bucca. Negli stessi giorni per i ragazzi delle scuole medie sono stati approfonditi i seguenti temi: l’11, Presenza di Dio nella storia e sua negazione, relatori Salvatore Zanghì, di Amicizia Cattolica, e Antonino Teramo; il 12, Maschio e femmina li creò, relatori la dottoressa Genovese e il dottor Bucca; il 13 Il virtuale: prospettive tra rischi ed opportunità, relatrice la professoressa Antonina Mirabile, di Amicizia Cattolica. I cinque giorni sono stati scanditi dalla Messa quotidiana, celebrata da don Giuseppe Zanghì, parroco di Rodì Milici, e dalla preghiera comunitaria delle lodi del mattino, dei vespri e del Rosario. Castronovo di Sicilia (Palermo), 28 agosto-1 settembre 2009. Nel monastero dei Cappuccini, organizzato dall’Associazione Società Domani di Palermo, si è svolto uno stage estivo residenziale sul tema 1989-2009. A 20 anni dal crollo del Muro di Berlino. Comunismo: speranza, menzogna, genocidio. Il 29 e 30 agosto, fra gli altri, presentato da Paolo Piro, presidente dell’organismo promotore, ha svolto relazioni il professor Alberto Maira, di Alleanza Cattolica. La direzione spirituale dell’incontro è stata svolta da don Lillo D’Ugo, del clero di Palermo, arciprete di Belmonte Mezzagno. Nell’occasione soci di Alleanza Cattolica hanno allestito uno stand librario.
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Frascati (Roma), 4 settembre 2009. Nella sala Belvedere del Grand Hotel Villa Tuscolana, nell’ambito della Summer school 2009 organizzata dalla Fondazione Magna Carta, presentato da Francesca Burichetti, l’avvocato Giovanni Formicola, di Alleanza Cattolica, ha svolto una lezione sul tema Lo spazio pubblico nelle religioni. L’iniziativa è stata annunciata dai mass media nazionali, sui quali ha pure avuto eco.
Bioetica Malnate (Varese), 25 maggio 2009. Nella Sala Consiliare del Comune, organizzato dal Centro di Aiuto alla vita di Malnate, in collaborazione con l’UNITALSI-Gruppo di Malnate, Alleanza Cattolica, il Centro Culturale Mons. Sonzini, l’Associazione Scienza & Vita Varese, con il patrocinio del Comune, si è tenuto un incontro sul tema La legge sul fine vita: aspetti culturali e legislativi. Presentati dalla dottoressa Vittoria Airoldi, presidente del Movimento per la Vita di Varese, sono intervenuti il dottor Claudio Di Giovanni, di Alleanza Cattolica, e il dottor Stefano Crapella, vice presidente dell’Associazione Scienza & Vita Milano. Modena, 19 giugno 2009. Nella sala conferenze della parrocchia dello Spirito Santo, organizzato da Alleanza Cattolica in collaborazione con l’Associazione Scienza & Vita Modena, si è tenuto un incontro sul tema AIDS, preservativo e Africa, quello che i mass media non vogliono dire. Introdotti dal parroco don Giorgio Bellei, hanno trattato l’argomento il professor Giovanni Battista Cavazzuti, presidente di Scienza & Vita Modena, il dottor Renzo Puccetti, responsabile di Scienza & Vita Pisa e Livorno, e il dottor Guido Corradi, di Alleanza Cattolica. L’evento è stato annunciato sui mass-media locali. Lamezia Terme (Catanzaro), 19 e 26 giugno 2009. Nella Sala Convegni Centro Pastorale, organizzati dal Movimento Cristiano Lavoratori, con il patrocinio dell’Ordine degli avvocati di Lamezia Terme, si sono svolti — di fronte a circa 250 partecipanti — I seminari di studi e formazione. Il 19, presentato dall’avvocato Vincenzo Massara, presidente regionale dell’organismo promotore, e introdotto dall’avvocato Fulvio Amendola, presidente del locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati, è intervenuto il dottor Domenico Airoma, di Alleanza Cattolica, procuratore aggiunto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Cosenza, sul tema Famiglia e unioni di fatto, tra diritto naturale e diritti individuali. Il 26, presentato dall’avvocato Massara e introdotto dall’avvocato Gianfranco Barbieri, segretario del locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, è intervenuto l’avvocato Mauro Ronco, pure di Alleanza Cattolica, presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino e professore di Diritto Penale Comparato presso l’Università degli Studi di Padova, sul tema Le dichiarazioni anticipate di volontà: autonomia del paziente e responsabilità del medico-implicazioni giudiziarie. Gl’incontri sono stati annunciati e hanno avuto eco sui mass-media locali. Gabbioneta (Cremona), 18 settembre 2009. Organizzata dalla Parrocchia di Gabbioneta-Binanuova nel teatro parrocchiale, si è svolta una serata sul tema Eluana, i vescovi e il Parlamento. Fine vita e testamento biologico: il Magistero cattolico e le
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scelte etiche. Presentato dal parroco, don Samuele Riva, ha trattato l’argomento il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. L’iniziativa è stata annunciata sulla stampa locale. Messina, 18 settembre 2009. Nella chiesa di Sant’Elia, organizzato da Alleanza Cattolica, si è tenuto l’incontro d’inaugurazione delle attività formative del nuovo anno sociale per la provincia di Messina. Dopo la recita del Santo Rosario e l’introduzione di Umberto Bringheli, dell’associazione promotrice, il dottor Daniele Fazio, dell’Associazione «Cristianità»-Centro d’Informazione e Formazione Cattolica, ha tenuto un intervento sul tema Sequi naturam: prospettive per un‟etica universale. L’incontro si è concluso con la Santa Messa celebrata da don Giuseppe Zanghì, parroco di Rodì Milici, dell’arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela. L’evento è stato annunciato sui mass media locali.
Buona stampa Giarre Riposto (Catania), 10 giugno 2009. Nei locali della parrocchia SS. Apostoli, organizzata dal Gruppo Universitario Cattolico Mons. Giovanni Raciti di Giarre, dal Centro di Aiuto alla Vita del Movimento per la Vita e dal Comitato Reagire a Difesa dei Valori Morali, preceduto dalla Messa, si è tenuto un incontro sul tema Il mensile Il Timone. «Itinerari di verità nella realtà contemporanea». Dopo il saluto del parroco, don Santo Cammisuli, presentati dalla professoressa Rosa Gangemi, del Gruppo promotore, sono intervenuti don Giuseppe Zanghì, parroco di Rodì Milici, in provincia di Messina, e il professor Ferdinando Raffaele, di Alleanza Cattolica. L’evento è stato annunciato e ha avuto eco sui mass media locali. Copertino (Lecce), 23 luglio 2009. Sul piazzale antistante il Santuario della Grottella, si è svolto il raduno del Popolo dell’Immacolata, organizzato dall’associazione Compagnia dell’Immacolata, sul tema L‟impegno dei cristiani nella società attuale. Nell’occasione soci di Alleanza Cattolica hanno allestito uno stand librario. L’iniziativa è stata annunciata con l’affissione di manifesti. Modena, 26 settembre 2009. Nella sede della Comunità L’Angolo, organizzato da il Timone. Mensile di informazione e formazione apologetica e dai Centri Culturali Amici del Timone dell’Emilia Romagna, si è svolto il Giorno del Timone per l‟EmiliaRomagna. Presentato dal dottor Gianpaolo Barra, direttore del mensile promotore, il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, ha trattato l’argomento La buona battaglia apologetica. È seguita la consegna del premio Fides et Ratio allo scienziato professor Antonino Zichichi. Nell’occasione soci di Alleanza Cattolica hanno allestito uno stand librario L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali.
Sociologia della religione Salt Lake City (Utah, Stati Uniti), 11-13 giugno 2009. Nel City and County Building, organizzato dal CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, in collaborazione con
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la J. Willard Marriott Library della University of Utah e l’Office of the Mayor di Salt Lake City, si è svolto il convegno internazionale del CESNUR, sul tema Mainstreaming and Marginalization of Religious Movements, «Integrazione ed emarginazione dei movimenti religiosi», al quale hanno partecipato oltre cento studiosi e accademici provenienti da tutto il mondo. Fra le molte relazioni, articolate in venticinque sessioni plenarie e parallele, il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, l’11 ha presieduto la sessione plenaria d’apertura sul tema Between Mainstreaming and Marginalization, «Fra integrazione ed emarginazione», nel corso della quale ha portato i suoi saluti ai partecipanti S.E. mons. John C. Wester, vescovo cattolico della diocesi di Salt Lake City. Nel corso della medesima giornata PierLuigi Zoccatelli, pure di Alleanza Cattolica, vice direttore del CESNUR, ha presieduto la sessione su Mainstreaming and Marginalization of Esotericism and Magic, «Integrazione ed emarginazione dell’esoterismo e della magia». Il 12 il dottor Introvigne ha presentato una relazione su New/Old Mormon Family Values: Italian Reactions to Big Love and Twilight, «Nuovi e vecchi valori familiari mormoni: le reazioni italiane a Big Love e Twilight»; e il 13 Zoccatelli è intervenuto su Religion and Spirituality Among Chinese Immigrants in Turin, Italy, «Religione e spiritualità fra gl’immigrati cinesi a Torino». Il convegno è stato annunciato e ha avuto eco sui mass media nazionali. Roma, 10 luglio 2009. Il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, ha partecipato al programma televisivo Tornando a casa, condotto dalla presentatrice Enrica Bonaccorti su Radio 1, il primo canale radiofonico della Radiotelevisione Italiana, dedicato ai fenomeni paranormali e al pensiero di Gustavo Rol (1903-1994). Torino, 30 luglio 2009. Presso il Centro Incontri Terrazza Solferino, si è tenuto il convegno annuale della European Mormon Studies Association, l’«Associazione Europea di Studi sul Mormonismo». Introdotto dal professor Ronan Head, presidente dell’associazione organizzatrice, il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, ha presentato una relazione sul tema Utah and All These Cherries: Mormonism in Oriana Fallaci‟s «Un cappello pieno di ciliegie», «Lo Utah e tutte quelle ciliege. Il mormonismo nel libro di Oriana Fallaci Un cappello pieno di ciliegie». L’iniziativa ha avuto eco sui media nazionali e su quelli specializzati internazionali. Torino, 5 agosto 2009. Nel corso della trasmissione Mistero, condotta da Enrico Ruggeri sulla rete televisiva Italia 1, è stata trasmessa un’intervista del conduttore, realizzata sul sagrato della chiesa della Gran Madre di Dio a Torino, al dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, sul tema dei movimenti neo-templari e dei suicidi e omicidi dell’Ordine del Tempio Solare. Torre de’ Picenardi (Cremona), 17 settembre 2009. Nella Villa Sommi Picenardi, organizzato dal Gruppo Culturale di Torre de’ Picenardi con il patrocinio del Comune e
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della Provincia, si è tenuto un incontro sul tema Angeli e Demoni. La Chiesa, la scienza e la setta degli Illuminati...dove finisce la verità e dove comincia la fantasia. Dal film ispirato al romanzo di Dan Brown. Presentato dal dottor Aldo Falli, presidente del sodalizio promotore, ha trattato il tema il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali. Parma, 23 settembre 2009. Organizzato dal Centro Culturale Beato Carlo d’Asburgo e dalla parrocchia di San Paolo Apostolo nella propria sala, si è tenuto un incontro sul tema Dio è tornato. La rivincita delle religioni in Occidente. Presentato dal dottor Massimo Scorticati, presidente del Centro promotore, ha trattato il tema il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. L’iniziativa è stata annunciata sui mass media locali.
Dottrina sociale Milano, 16 giugno 2009. Nel Victory Milano Lounge Bar, organizzato dalla Fondazione Enzo Peserico, si è tenuto un Happy hour sul tema Etica ed economia: la crisi economica ha radici morali? Un‟analisi alla luce della dottrina sociale della Chiesa. Presentato dal dottor Flavio Peserico, vice presidente della Fondazione organizzatrice, ha trattato il tema il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. Fra i presenti — consulenti del lavoro, amministratori delegati, direttori generali e responsabili di Uffici Risorse Umane di numerose aziende milanesi — il dottor Marco Osnato, consigliere comunale
Magistero San Giorgio a Cremano (Napoli), 19 giugno 2009. Nella sede di Alleanza Cattolica, organizzato dagli Amici di Alleanza Cattolica del social network Facebook, si è svolto un incontro sul tema Il viaggio del Papa in Terra Santa. Ha trattato l’argomento il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. Gubbio (Perugia), 26 giugno 2009. Presso l’Hotel Beniamino Ubaldi, organizzato dall’Associazione Culturale Benedetto XVI, si è tenuto un incontro sul tema Chiesa e „68: l‟origine della crisi? Presentato dal professor Luigi Girlanda, presidente dell’organismo promotore, ha trattato l’argomento il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. Fra i presenti, S.E. mons. Mario Ceccobelli, vescovo diocesano. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto ampia eco sui mass media locali. Orvieto (Terni), 25 luglio 2009. Presso il Palazzo del Capitano del Popolo, si è tenuto il convegno nazionale dei Circoli Nuovi Italia sul tema Orizzonte di valore. Dalla crisi globale al nuovo modello di sviluppo. Nella sessione «Caritas in veritate»: la persona fondamento dello sviluppo, dopo un’introduzione dell’on. Gianni Alemanno, sindaco di
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Roma e presidente della Fondazione Nuova Italia, presentati dall’on. Alfredo Mantovano, sottosegretario di Stato all’Interno, sono intervenuti l’economista dottor Ettore Gotti Tedeschi e il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. L’iniziativa ha avuto eco sui mass media nazionali. Salice d’Ulzio (Torino), 7 agosto 2009. Nel salone polifunzionale, organizzato dalla comunità di Comunione e Liberazione della zona di Magenta, si è tenuto un incontro volto a illustrare i temi etici e sociali dell’enciclica di Papa Benedetto XVI Caritas in Veritate. Presentato dal responsabile della comunità, dottor Antonio Miglio, di fronte a un pubblico di oltre duecento persone, ha trattato l’argomento il professor Mauro Ronco, di Alleanza Cattolica. Mantova, 19 settembre 2009. Presso la Fondazione Università di Mantova, organizzato dalla sezione di Mantova dell’UCID, l’Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti, si è tenuto un convegno sul tema Carità contro avidità: la crisi economica e l‟enciclica «Caritas in veritate». Introdotto dal dottor Sandro Grespan, presidente dell’organismo promotore, ha trattato l’argomento il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali. Casalmaggiore (Cremona), 25 settembre 2009. Nell’Auditorium Santa Croce, organizzato dalla parrocchia Santo Stefano-duomo di Casalmaggiore, si è tenuto un incontro sul tema Carità contro avidità: la crisi economica e l‟enciclica «Caritas in veritate». Presentato dal parroco don Alberto Franzini, ha trattato il tema il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali.
Spiritualità Messina, 30 giugno 2009. Presso la chiesa di Sant’Elia, organizzato da Alleanza Cattolica, si è tenuto l’incontro conclusivo delle attività formative dell’anno sociale 2008-2009. Nell’occasione è stato presentato l’opera di Raoul Plus S.I., Come pregare sempre. Principi e pratica dell‟unione con Dio, edito da Sugarco. Dopo la recita del Rosario, guidato da Umberto Bringheli, dell’organismo promotore, e introdotto dal dottor Luca Basilio Bucca, della medesima associazione, ha trattato l’argomento don Giuseppe Zanghì, parroco di Rodì Milici, dell’arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Luci del Mela, che al termine dell’incontro ha celebrato la Messa. Fra i presenti il professor Dario Caroniti, assessore comunale alle Politiche della Famiglia, Rapporti con le Chiese e Politiche per la Sicurezza. L’evento è stato annunciato sui mass media locali.
Sindone Piazza Brembana (Bergamo), 19 agosto 2009. Nella Sala Papa Giovanni XXIII del Centro parrocchiale, organizzato dal Comune, dalla Biblioteca Comunale, dall’Assessorato
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alla Cultura e dal Vicariato Alta Valle Brembana in occasione della mostra sulla Sindone allestita nella sala polivalente del Comune, si è tenuto un Incontro di approfondimento sulle questioni relative alla Sacra Sindone. Presentato dall’arciprete di San Martino oltre la Goggia, don Alessandro Beghini, ha trattato l’argomento l’ingegner Francesco Barbesino di Alleanza Cattolica. Fra i presenti il dottor Ennio Rossi, assessore all’Istruzione e Cultura, responsabile della Biblioteca Comunale. Storia della Chiesa Montefalco (Perugia), 5 settembre 2009. Nell’ambito della Festa Popolare del Santuario di Madonna della Stella, retto dai padri passionisti, il dottor Oscar Sanguinetti, di Alleanza Cattolica, è intervenuto sul tema Le apparizioni della Madonna della Stella nel Risorgimento e oggi. L’incontro si è concluso con un dibattito in cui sono state anche illustrate le finalità e le attività di Alleanza Cattolica e della rivista il Timone. Mensile di informazione e formazione apologetica. L’iniziativa è stata annunciata con l’affissione di manifesti.
Pie pratiche Patti (Messina), 12 settembre 2009. Soci e amici di Alleanza Cattolica hanno partecipato con lo stendardo associativo al pellegrinaggio al Santuario di Maria Santissima del Tindari in occasione del trentesimo anniversario della sua dedicazione. Al termine il vescovo diocesano, mons. Ignazio Zambito, ha presieduto la celebrazione eucaristica. L’evento è stato annunciato con l’affissione di locandine e sui mass media locali, sui quali ha pure avuto eco. Piazza Armerina (Enna), 27 settembre 2009. Organizzato da Alleanza Cattolica, si è svolto un pellegrinaggio al Santuario di Maria SS. di Piazza Vecchia. Dopo la recita del Rosario è stata celebrata la Messa dal vescovo, S. E. mons. Michele Pennisi. Nel pomeriggio, nel Seminario Estivo di Montagna Gebbia, don Giuseppe Zanghì, parroco di Rodì Milici, dell’arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela, ha svolto una riflessione sull’apostolato dei laici. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali. Rivarolo Canavese (Torino), 27 settembre 2009. Nel Centro Incontro Villa San Giuseppe, organizzato da Alleanza Cattolica, si è tenuto un convegno su Carità e verità. La crisi economica, la libertà e l‟enciclica di Benedetto XVI. Introdotti dal sindaco, dottor Fabrizio Bertot, e dal professor Mauro Ronco, dell’organismo promotore, sono intervenuti l’economista dottor Ettore Gotti Tedeschi e il dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. Successivamente l’avvocato Vincenzo Fornace, pure di Alleanza Cattolica, ha presentato una tavola rotonda sul tema Finanza, previdenza e fisco nella «Caritas in veritate», cui sono intervenuti il dottor Maurizio Milano, dirigente di banca, l’economista professor Piermarco Ferraresi e il dottor Ferdinando Leotta, dirigente dell’Amministrazione Finanziaria, tutti dell’organismo promotore. Hanno concluso S.E. mons. Arrigo Miglio, vescovo d’Ivrea, e Giovanni Cantoni, di Alleanza Cattolica. È
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infine seguita la recita del Rosario nella chiesa del Centro. Nella mattinata soci e amici dell’associazione promotrice avevano partecipato alla Messa in occasione della festa di San Michele Arcangelo nella chiesa omonima e alla processione. È quindi seguito un concerto degli allievi del Liceo Musicale. Fra i presenti al convegno, la consigliera provinciale dottoressa Claudia Porchietto. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali. Lecce, 26 settembre 2009. Nella Libreria delle Edizioni Paoline, organizzata da Alleanza Cattolica, si è tenuta una conferenza stampa di presentazione della rivista Cristianità. È intervenuto Vincenzo Pitotti, dell’associazione promotrice. Fra i presenti il consigliere regionale dottor Saverio Congedo e il dottor Giuseppe Capoccia, direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria presso il Ministero della Giustizia. Al termine, Pitotti è stato intervistato dall’emittente locale Studio 100. L’iniziativa è stata annunciata e ha avuto eco sui mass media locali. Aosta, 12 settembre 2009. Una puntata della trasmissione Focus, in onda su Radio in blu Aosta, è stata dedicata al tema La donna nell‟islam. La giornalista dottoressa Chiara Thiébat ha intervistato la professoressa Silvia Scaranari, di Alleanza Cattolica e del Centro Federico Peirone. Torino, 12 settembre 2009. Presso Terrazza Solferino, organizzato da Alleanza Cattolica e dal CESCOR, il Centro Studi Storici sulla Contro-Rivoluzione, si è tenuto un incontro su La tragedia dello zar Nicola II, a cento anni dalla visita di Stato dello zar Nicola II Romanov (1868-1918) in Piemonte e a vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino. Introdotte dal dottor Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, presidente del CESCOR, sono intervenute la storica dottoressa Cristina Siccardi e la professoressa Marta Dell’Asta, ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana e direttrice della rivista La nuova Europa. L’iniziativa è stata annunciata su mass media locali.
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Abbonamento 2010 a Cristianità abbonamento ordinario: euro 20,00 — sostenitore: euro 35,00 benemerito: da euro 60,00 — estero: euro 40,00 Per rinnovare l’abbonamento Gli abbonati il cui abbonamento scade nel dicembre del 2009 — la scadenza è indicata sul bollettino di conto corrente postale, accanto all’indirizzo — possono rinnovare l’abbonamento a Cristianità utilizzando il bollettino di conto corrente postale allegato alla rivista. È possibile inoltre effettuare il versamento tramite bonifico bancario: vedi i dati al punto successivo. Per sottoscrivere un nuovo abbonamento Per sottoscrivere un abbonamento a Cristianità è sufficiente utilizzare un bollettino di conto corrente postale intestandolo a: Cristianità, stradone Farnese 32, 29100 Piacenza, c.c.p. numero 12837290, e indicando nella causale: «nuovo abbonamento». È possibile inoltre effettuare il versamento tramite bonifico bancario, sul conto intestato a Cristianità soc. coop. a r.l., presso la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, Piacenza – agenzia A, IBAN: IT59N0623012604000030058186. È inoltre possibile pagare online con carta di credito, tramite il servizio PayPal. Per farlo, basta inviare un messaggio di posta elettronica a info@alleanzacattolica.org, indicando il tipo di abbonamento che s’intende sottoscrivere: si riceverà un messaggio con il link per il pagamento online. Libri in dono per gli abbonati sostenitori e benemeriti Coloro che sottoscrivono un abbonamento sostenitore (euro 35,00) riceveranno in dono l’opera di Christopher Dawson, La divisione della Cristianità Occidentale (D’Ettoris 2009, prezzo di copertina: euro 19,50). Quanti sottoscrivono un abbonamento benemerito (da euro 60,00) riceveranno in dono — oltre a questo libro — anche l’opera di Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi (Sugarco 2009; prezzo di copertina: euro 25,00). Per donare un abbonamento È possibile donare un abbonamento a una persona amica: sulla fascetta dell’indirizzo comparirà ogni volta anche il nome di chi lo dona. Per realizzarlo è sufficiente indicare, nella causale del versamento, «abbonamento donato a», il nome e l’indirizzo del beneficiario.
Pubblicazioni delle Edizioni Cristianità MAGISTERO PONTIFICIO
1. GIOVANNI PAOLO II, Per iscrivere la verità cristiana sull‟uomo nella realtà della nazione italiana. Loreto, 11 aprile 1985, 1985, € 1,55 2. PAOLO VI, La società democratica. Lettera «Les prochaines assises», 1990, € 1,03 3. GIOVANNI PAOLO II, Annunciare il valore religioso della vita umana. Discorso «Sono lieto», 2a ed. accresciuta, 1993, € 1,55 4. PIO XII, I sommi postulati morali di un retto e sano ordinamento democratico. Radiomessaggio natalizio «Benignitas et humanitas», 1991, € 2,07 5. SAN PIO X, La concezione secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi «Notre charge apostolique», 1993, € 2,07 MAGISTERO EPISCOPALE
2. MONS. HANSLUDVIG MARTENSEN S.J., Vescovo di Copenaghen — Danimarca, Reincarnazione e dottrina cattolica. La Chiesa di fronte alla dottrina della reincarnazione, 1a ristampa, 1994, € 3,10 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE
2. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Via Crucis. Due meditazioni, con 14 tavole di Giorgio Fanzini, 1991, € 5,16 LABATTAGLIADELLEIDEE
Dottrina e teoria dell’azione 1. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, con lettere di encomio di S. E. mons. Romolo Carboni, arcivescovo titolare di Sidone e nunzio apostolico, e con L‟Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Saggio introduttivo di Giovanni Cantoni, 3a ed. it. accresciuta, 1977, € 10,33 2. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, La libertà della Chiesa nello Stato comunista. La Chiesa, il decalogo e il diritto di proprietà, con una lettera di encomio della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università, 1978, € 3,62 3. GIOVANNI CANTONI e MASSIMO INTROVIGNE, Libertà religiosa, «sette» e «diritto di persecuzione». Con appendici, 1996, € 7,75 Panorami e documenti 1. FABIO VIDIGAL XAVIER DA SILVEIRA, Frei, il Kerensky cileno, con lettere di encomio delle LL. EE. mons. Alfonso Maria Buteler, arcivescovo di Mendoza, in Argentina, mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo di Campos, in Brasile, e mons. Antonio Corso, vescovo di Maldonado-Punta del Este, in Uruguay, e con prefazione di Plinio Corrêa de Oliveira, 1973, € 7,75
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2. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA E SOCIEDAD CHILENA DE DEFENSA DE LA TRADICIÓN, FAMILIA Y PROPIEDAD, Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico, 1973, € 10,33 3. GIOVANNI CANTONI, La «lezione italiana». Premesse, manovre e riflessi della politica di «compromesso storico» sulla soglia dell‟Italia rossa, con in appendice l’Atto di consacrazione dell‟Italia al Cuore Immacolato di Maria, 1980, € 12,91 4. ALFREDO MANTOVANO, La giustizia negata. L‟esplosione della criminalità fra crisi dei valori ed emergenza istituzionale, con presentazione di Mauro Ronco, 1992, € 7,75 5. GIULIO DANTE GUERRA, La Madonna di Guadalupe. Un caso di «inculturazione» miracolosa. In appendice «Preghiera per la Vergine di Guadalupe» di Papa Giovanni Paolo II, 1992, € 1,55 7. MARCO INVERNIZZI, L‟Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici. Con un‟appendice documentaria, 1993, € 4,13 8. ALFREDO MANTOVANO, Giustizia a una svolta. Verso il ricupero o verso il tramonto della legalità?, con prefazione di Mario Cicala, 1993, € 10,33 10. LORENZO CANTONI, Il problema della popolazione mondiale e le politiche demografiche. Aspetti etici, 1994, € 5,16 11. OSCAR SANGUINETTI, Le insorgenze contro-rivoluzionarie in Lombardia nel primo anno della dominazione napoleonica. 1796, con prefazione di Marco Tangheroni, 1996, € 10,33 12. IDIS. ISTITUTO PER LA DOTTRINA E L’INFORMAZIONE SOCIALE, Voci per un «Dizionario del Pensiero Forte», a cura di Giovanni Cantoni e con presentazione di Gennaro Malgieri, 1997, € 12,91 13. ERMANNO PAVESI, Follia della Croce o nevrosi? «Funzionari di Dio. Psicogramma di un ideale» di Eugen Drewermann e la critica della psicologia del profondo alla religione, con presentazione di S. E. mons. Wolfgang Haas, arcivescovo di Vaduz, in Liechtenstein, e amministratore apostolico di Coira, in Svizzera, e con prefazione di don Pietro Cantoni, 1998, € 9,30 Quaderni di «Cristianità», serie quadrimestrale 1985-1986, disponibili il numero 3 (Paolo Calliari O.M.V., Itinerario dalle cose a Dio ovvero la «dialettica degli Esercizi» secondo padre Pio Bruno Lanteri [1759-1830]; Estanislao Cantero Núñez, Evoluzione del concetto di democrazia; Francesco Pappalardo, 1799: la crociata della Santa Fede; e documenti), e il numero 5 (Enzo Peserico, Gli anni del desiderio e del piombo. Dal Sessantotto al terrorismo; documenti, recensioni e segnalazioni), € 5,16 ciascuno Distributore esclusivo nelle librerie: Mescat s. r. l. — viale Bacchiglione, 20/A — I-20139 Milano — tel. 02-55.21.08.00 — fax 02-55.21.13.15 Ordinazioni: (a) per posta: Cristianità, C.P. 185, I-29100 Piacenza; (b) per e-mail: info@ alleanzacattolica.org; (c) tramite versamento sul c.c.p. 12837290; (d) per telefono, alle sedi di Alleanza Cattolica in Torino: 011-53.44. 54 — Milano: 02-73.05.14 — Bergamo: 03524.90.73 — Modena: 340-54.82.252— Roma: 06-68.76.738 — Napoli: 081-47.03.57 — Caltanissetta: 0934-20.922 (dalle 17 alle 20, tutti i giorni, dal lunedì al venerdì).
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Cristianità in libreria ABRUZZO Chieti — Libreria De Luca — via Cesare De Lollis 12-14 L’Aquila — Libreria Colacchi — via Andrea Bafile 17 BASILICATA Matera — Libreria Di Giulio — via Dante 61 Potenza — Edicola Arcangela Rondella — piazza Vittorio Emanuele II CALABRIA Lamezia Terme (Catanzaro) — Libreria Gioacchino Tavella — corso Giovanni Nicotera 150 CAMPANIA Avellino — Libreria Guida — corso Vittorio Emanuele II 101 Caserta — Libreria Guida — via Caduti sul Lavoro 29/33 Napoli — Libreria Guida — via Port’Alba 20/23 Salerno — Libreria Guida — corso Garibaldi 142/b EMILIA-ROMAGNA Ferrara — Libreria Edizioni Paoline — via San Romano 35 Modena — Galleria Incontro Dehoniana— corso Canalchiaro 159 Parma — Libreria Fiaccadori — strada Duomo 8/a Piacenza — Libreria Berti — via Legnano 1 Reggio Emilia — Libreria S. Paolo — via Emilia Santo Stefano 3/B Sassuolo (Modena) — Libreria Cefa Galleria — via C. Stazione 30-35 LAZIO Frosinone — Libreria Il Sagrato — via Mastroianni Roma — Libreria Coletti a San Pietro — via della Conciliazione 3/A — Libreria Edizioni Paoline — via della Conciliazione 22 — Libreria Àncora — via della Conciliazione 63 LIGURIA Genova — Libreria Ed. San Paolo — piazza Matteotti 31/33r LOMBARDIA Bergamo — Libreria S. Paolo — via Paglia 2/H Chiavenna (Sondrio) — Cartolibreria Paiarola — piazza Bertacchi 8 Cremona — Libreria S. Paolo — via Decia 1 Mantova — Libreria S. Paolo — viale Rimembranze 1/A Milano — Libreria S. Paolo — piazza Duomo 18 — Libreria Àncora Artigianelli — via Larga 7 Pavia — Libreria S. Paolo — via Menocchio 8 Varese — Libreria Ambrosiana — galleria Manzoni 3 Varese — Libreria Don Bosco Elledici — via Cesare Battisti 6 Voghera (Pavia) — Libreria Bottazzi — via Cavour 59 MARCHE San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno) — Libreria Nuovi Orizzonti — via Montebello 61
Cristianità n. 353, luglio-settembre 2009 PIEMONTE Biella — Libreria Paoline — via Seminari 9/a Cuneo — Libreria Stella Maris — via Statuto 6 Torino — Libreria San Paolo — via Consolata 1 bis Tortona (Alessandria) — Cartolibreria E. Balbi — corso Montebello 45 PUGLIA Lecce — Libreria Edizioni Paoline — via S. Lazzaro 19 Taranto — Paoline Libreria — corso Umberto 76 SICILIA Acireale (Catania) — Libreria Cattolica Veritas — via Genuardi 1 Agrigento — Libreria Edizioni Paoline — via Atenea 143 Caltanissetta — Libreria San Paolo — corso Umberto 125 Catania — Libreria C. Bonaccorso & A. Di Stefano — via Etnea 20/22 Gela (Caltanissetta) — Cartolibreria Miriam — via Cappuccini 26 Messina — Libreria Figlie di S. Paolo — via Garibaldi 59/61 Palermo — Libreria Lombardo-LDC — via Autonomia Siciliana 16/D TOSCANA Massa — Libreria Marzocco Paoline — via S. Sebastiano 2 Pisa — Libreria Edizioni Paoline — via Capponi 6 — Libreria Agape — via Sant’Andrea 184 VENETO Padova — Libreria Commerciale Edizioni Paoline — via Barbarigo 6 Verona — Libreria Editrice Salesiana — via Rigaste San Zeno 13
*** ARGENTINA Buenos Aires — Club del Libro Cívico — M. T. de Alvear 1348-Local 147 Buenos Aires — Librería Huemul — Avenida Santa Fe 2237 Villa María (Cordova) — Expolibro — San Martín 85 FRANCIA Parigi — Duquesne Diffusion — 27 avenue Duquesne SPAGNA Barcellona — Librería Balmes — Durán i Bas 11
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Il sito Internet di Alleanza Cattolica — Cristianità è raggiungibile all’indirizzo:
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Indice del numero 353, luglio-settembre 2009:
1
Caritas in veritate. La dottrina sociale della Chiesa contro la tecnocrazia Massimo Introvigne
21 Il Popolo della Libertà: un nuovo partito al di fuori e contro le
ideologie
Marco Invernizzi 45 Davvero le religioni sono un ostacolo alla pace? Il viaggio di
Papa Benedetto XVI in Terra Santa, 8-15 maggio 2009 Massimo Introvigne
IL RESTO DELLA VERITÀ 67 La persona prima di tutto Alfredo Mantovano EX LIBRIS 75 Marco Tangheroni, Cristianità, modernità, Rivoluzione.
Appunti di uno storico fra «mestiere» e impegno civico-culturale con un saggio introduttivo La storia come «riassunto» di Giovanni Cantoni e una Nota praevia di Andrea Bartelloni, a cura di Oscar Sanguinetti con la collaborazione di Stefano Chiappalone, SugarCo, Milano 2009 Presentazione di Stefano Chiappalone
grafica: gae@gaecammarata.it
81 LA BUONA BATTAGLIA
Fascicolo chiuso in redazione il 30 settembre 2009 festa di san Girolamo Cristianità - c.p. 185 - I- 29100 Piacenza (conv. in 27/02/2004 n. 46) art. 1, spedizione in a.p. d.l. 353/2003 comma 1, DCB Piacenza