Gino Dedominicis e la piramide invisibile nel mondo dll'arte

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Dipartimento di

“Arti visive e discipline dello spettacolo-Corso di Pittura” Tesi di Diploma Accademico di I livello in

“Teoria della percezione e psicologia della forma”

“Gino De Dominicis e la piramide invisibile nel mondo dell’Arte”

Relatrice Tesi: Miriam Mirolla Titolare del corso d’indirizzo: Gianfranco Notargiacomo Candidata Cristina Ciampaglione

Anno Accademico 2009/2010



Indice

Abstract...........................................................................................................................................IV Introduzione.....................................................................................................................................V

1. L'economia dell'arte contemporanea

1.1 Breve storia del mercato dell'arte ..............................................................................................7 1.2 Il mercato dell'arte contemporanea, dal dopoguerra alla globalizzazione....................... ..........8 1.3 Analisi e anomalie del mercato dell'arte contemporanea................................................. ........10

1.4. Gli 8 protagonisti del mercato dell'arte........................................................................13 - L'artista.........................................................................................................................................13 - Il critico........................................................................................................................................15 - La galleria.....................................................................................................................................15 - Le Case d'asta...............................................................................................................................17 - Internet e le aste on line................................................................................................................21 - Le fiere d'arte................................................................................................................................22 - I musei..........................................................................................................................................23 - Eredi, fondazione e archivi...........................................................................................................25

2. Gino De Dominicis

2. 1 Gino De Dominicis e il mercato dell'arte prima e dopo la sua morte......................................29 2.2 Intervista a Emilio Mazzoli......................................................................................................42 2.3 Intervista a Italo Tomassoni......................................................................................................67 3. Conclusioni..............................................................................................................................88 Iconografia generale...................................................................................................................90 Opere piĂš costose del mercato dell'arte contemporanea internazionale.........................................91 Opere d'arte antiche........................................................................................................................92 Opere d'arte del secondo dopoguerra..............................................................................................93 Opere di Gino De Dominicis..........................................................................................................94 Mercanti d'arte di ieri e di oggi.......................................................................................................96 Emilio Mazzoli................................................................................................................................98 Italo Tomassoni...............................................................................................................................99 Bibliografia.................................................................................................................................100


Abstract L'argomento di questa tesi si sviluppa intorno due poli, il mercato dell'arte contemporanea e l'artista Gino de Dominicis, la cui refrattarietà al “sistema” era ben nota all'interno del mondo dell'arte. L'intento di questa tesi è quello di compiere un’analisi di mercato delle opere di De Dominucis prima e dopo la sua morte, valutando se e come la situazione storico-critica italiana abbia influito sulla situazione di mercato relativa all’artista.

IV


Introduzione Il titolo di questa tesi ha una doppia valenza, per piramide invisibile si intende la piramide che opera all'interno del mondo dell'arte formata dall' artista, il critico e il mercato, ed è inoltre un esplicito riferimento all'opera dell'artista Gino De Dominicis. Il “sistema dell'arte” è basato sul valore artistico ed economico dell'opera, sulla redditività del commercio artistico che insieme alla forte richiesta di opere da parte dei collezionisti hanno provocato l'imborghesimento e l'appiattimento della ricerca artistica d'avanguardia. Nel primo capitolo si andrà ad analizzare il rapporto fra arte ed economia attraverso una breve storia del mercato dell'arte. Gli aspetti economici dell’arte sono analizzabili attraverso le categorie tipiche dell’economia (prezzo, qualità, domanda, offerta, ecc.), mentre l’analisi dei fenomeni artistici richiede categorie specifiche; il valore artistico di un'opera infatti non sempre è legato al suo valore economico. La trattazione congiunta di questi problemi identifica i contenuti dell’economia dell’arte, per alcuni una denominazione utile e affascinante, per altri irrilevante e quasi blasfema, a seconda che si ritenga o meno il valore economico connesso al valore artistico. Nel secondo capitolo si entrerà nello specifico del “caso” Gino De Dominicis, un artista le cui posizioni erano contrarie alla mercificazione dell'arte poiché riponeva fede totale nella centralità dell'opera d'arte. Non essendo riconducibile ad alcuna corrente artistica o movimento aveva messo in atto una sorta di strategia di difesa dal “sistema” rimanendo fuori dalla comunicazione mediatica, isolando il proprio lavoro dall'omologazione del mondo dell'arte. Con questa tesi si tenterà di capire in che modo la situazione storico-critica italiana influisce sulla percezione di questo artista. Il valore economico delle sue opere ha subito una variazione prima e dopo la morte? Per meglio comprendere la vita il lavoro di questo artista enigmatico sono state intervistate due personalità molto legate a Gino De Dominicis: il gallerista modenese Emilio Mazzoli e il critico d'arte, direttore della “Fondazione Gino De Dominicis” a Foligno, Italo Tomassoni, due personalità molto legate a Gino De Dominicis. Nel terzo ed ultimo capitolo si trarranno le conclusioni di questa indagine attraverso la comparazione delle due testimonianze dirette, tentando di sollevare l'alone di mistero che da sempre, prima e dopo la morte, ha avvolto Gino De Dominicis. V


1. L’economia dell’arte contemporanea

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1.1 Breve storia del mercato dell'arte

Il legame fra Arte ed economia è sempre esistito e ogni opera d'arte può essere interpretata anche secondo un'ottica economica. Andando ad analizzare l'evoluzione di questo rapporto, seguendo un andamento cronologico, sarà evidente che l'elemento economico è stato sempre in qualche modo presente all'interno delle arti visive. I mercati e i mercanti sono sempre esistiti, sono nati in concomitanza con la nascita delle cittàstato; in epoca feudale e rinascimentale il mercato dell'arte fu istituzionalizzato attraverso il sistema del contratto su commissione, in base al quale gli artisti lavoravano esaudendo le richieste dei committenti (nobili o personaggi appartenenti al clero), sottostando alle loro volontà. Tra il Quattrocento e il Seicento una serie di fattori determinarono il superamento del rapporto di lavoro su committenza, poiché l'affermazione sociale dell'artista indebolì progressivamente la forza del committente, che per superiorità sociale o per il potere del denaro influenzava e limitava le scelte e l'impostazione dell'opera da realizzare. (Santagata, 1998) L'artista infatti, alla ricerca di una sempre maggiore autonomia, non era più disposto a sottostare ai limiti imposti dal committente, inoltre l'utilizzo delle tele come supporto consentiva una maggiore flessibilità nelle politiche di vendita e la disponibilità di una vasta gamma di scelte per il compratore; essendo le tele un materiale non deperibile e di piccolo ingombro, erano facilmente trasportabili ed immagazzinabili a costi modesti. Con la crescente autonomia dell'arte crebbe anche l'importanza delle informazioni che accompagnavano e che accompagnano un opera, che la definiscono nella sua materialità (il nome dell'artista, il titolo e il prezzo) e che vanno a compensare la perdita derivata dal fatto che l'opera non ha più una contestualizzazione chiara, non è più riconducibile ad un apparato religioso o al contesto di potere di una corte1. Il modello di mercato “spersonalizzato”, caratterizzato da opere che circolano libere e autonomamente dai loro creatori, si impose definitivamente già da allora, ma le linee guida del mer-

1 W. Ullrich, Icone del capitalismo. Come il prezzo fa l’arte, in Arte prezzo e valore, ed. Silvana, Cinisello Balsamo, 2008, p. 45

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cato dell'arte contemporanea si delinearono solo agli inizi del Novecento con l'Armory Show2di New York nel 1913, e la vendita all' asta tenutasi a Parigi nella sede dell'Hotel Drouot il 2 marzo 19143. Questi due eventi suscitarono un grande giro d'affari (centinaia di migliaia di dollari quello newyorchese e centomila franchi quello francese) determinando la trasformazione dell'arte d'avanguardia in una realtà economica redditizia.

1.2 Il mercato dell'arte contemporanea, dal dopoguerra alla globalizzazione

Andy Warhol con l' affermazione “un buon affare è la migliore opera d'arte” azzerò ogni differenza tra mondo dell'arte e mercato finanziario. (Dossi, 2008) Nel secondo dopoguerra lo spostamento dell'asse culturale dall'Europa agli Stati Uniti, e più precisamente da Parigi a New York, determinato dalle difficoltà legate alla situazione economico-politica europea, portò ad uno slancio del mercato e del collezionismo americano. L'ascesa del potere nazi fascista in Europa causò “un decentramento storico delle forze intellettuali”, molti artisti e scienziati si videro costretti a scappare ed a rifugiarsi in Inghilterra e in America. Il critico americano Dan Cameron interpreta la conseguente nascita dell'arte Americana di quegli anni come un tentativo locale di replicare quello che l'avanguardia europea aveva sempre fatto, ovvero scioccare la borghesia e catapultarsi immediatamente sulla ribalta della notorietà4. In questo clima, acuito dalla guerra fredda, l'abolizione della distinzione tra arte d'élite e arte di massa avvenne con la Pop Art che portò lo spettatore ad accettare l'idea dell'opera che non espone il suo statuto artistico ma che lo riceve dal contesto in cui viene presentata, ciò che il sistema riconosce come tale. La Pop Art infatti, proseguendo sulla linea Duchampiana5 portò 2 L’Armory show fu la prima esposizione di arte internazionale a New York, vennero esposte opere di Ma tisse e dei Fauves, Duchamp, Brancusi, Picasso e altri artisti europei. I collezionisti americani John Quinn e Arthur Jerome Eddy cominciarono ad acquistare arte contemporanea internazionale. 3 Nell’asta dell’Hotel Drout venne messa in vendita la collezione d’arte dell’Associazione “La Peau de l’Ourse” fondata dall’economista Andrè Level. Il prezzo forte della vendita fu “La Famille de Saltim banques” di Picasso, acquistata nel 1909 per 1.000 franchi e battuta al prezzo record di 11.500 franchi. 4 Cfr M. Mirolla, Arte del Novecento (1945-2001), Mondadori Electa, Milano 2002, p. XIII 5 Marcel Duchamp, uno dei massimi rappresentanti del Dadaismo, fu il primo artista che abbandonò la pittura per “l’idea della pittura” dando inizio all’Arte Concettuale ideando il ready made. Il termine fu utilizzato per la prima volta nei primi decenni del novecento, consiste in un oggetto di uso quotidiano che assurge ad opera d’arte una volta prelevato dall’artista ed inserito in un contesto diverso da quello di utilizzo. Il valore aggiunto dell’artista è l’operazione di scelta, di individuazione dell’oggetto.

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l'arte a spogliarsi di ogni significato, o valore spirituale, e ad essere ciò che l'artista presenta come tale, che le gallerie espongono, di cui i critici parlano e che i collezionisti si contendono. Oggi, l'arte sembra essersi fusa nelle strutture ibride di una cultura fondata sull’ economia, nel corso degli ultimi quarant'anni il mercato dell'arte contemporanea è diventato un mercato industrializzato. L'introduzione dell'indice di mercato Times Sotheby's, conseguente all'espansione delle case d'asta negli anni sessanta, che visualizza i movimenti di prezzo delle opere d'arte, ha rappresentato il primo passo verso una nuova definizione dell'arte come oggetto di investimento. “Il trionfo globale del capitalismo a cui assistiamo è sul punto di modificare non solo le singole società ma l'intero ordine mondiale, sta generando trasformazioni anche nell'ambito dell'arte contemporanea. […] Il capitalismo consiste essenzialmente nell'investire capitale allo scopo di realizzare un profitto monetario in futuro6”. Alla fine degli anni novanta, l'America aveva il primato in termini di prodotto venduto possedendo circa un quarto del mercato dell'arte; la rivalutazione dello yen, fra gli anni 80 e 90 e l'inizio del nuovo millennio, coincidono rispettivamente con l'inserimento attivo nello scenario del mercato mondiale, anche del Giappone e dell'Europa. (Codignola, 2004) Oggi le “piazze” dominanti all'interno di questo scenario sono Londra, Parigi e New York; nel settore delle vendite d'asta infatti il mercato è dominato dalle due società inglesi Sotheby's, e Crhistie's (acquistata nel 1998 da Francois Pinault, e quindi passata sotto il controllo francese). Entrambe le società sono quotate in borsa, posseggono sedi in più di quaranta paesi nel mondo e rappresentano il punto focale della concentrazione del mercato dell'arte. Intrattengono inoltre una fitta rete di relazioni con collezionisti, consiglieri, esperti e conservatori di tutto il mondo attraverso la creazione di siti internet, di organi di stampa e di banche dati con lo scopo di dominare il mercato in modo totale, gestendo offerta e domanda. Con la globalizzazione il mercato dell’arte, dunque, non è più un meccanismo basato sui mercati nazionali, poichè ogni spazio artistico nazionale è inserito all’interno di un sistema globale, costituito da scambi culturali ed economici, che favorisce l’interconnessione dei mercati. Si potrebbe proporre un’ analogia con il mercato delle materie prime, nel senso che, in termini 6 Cfr. P. Dossi, L’Arte contemporanea e il mercato in Arte, prezzo e valore, Cinisello Balsamo, Ed. Silva na, 2008, p. 27

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di patrimonio, le nazioni che hanno scarse disponibilità finanziarie ma che sono dotate di un ricco patrimonio artistico, sono costrette a vendere i propri tesori nazionali ad altre nazioni più abbienti. In questo senso, se tali squilibri dovessero aggravarsi, lo sviluppo del mercato internazionale rischierebbe di compromettere la conservazione dei patrimoni nazionali. La crescita di volume del mercato dell’arte mondiale è stato accompagnato di conseguenza da un aumento dei prezzi che ha portato ad una frammentazione della domanda, e quindi ad un aumento della stessa. La domanda privata si è mondializzata come tutto il mercato in generale. Il quadro generale è molto contrastante perché comunque varia a seconda delle diverse tipologie di opera d'arte e a seconda del portafoglio; la speculazione sembrerebbe interessare i segmenti più quotati del mercato, toccando inevitabilmente anche opere, di cui i collezionisti non vorrebbero liberarsi. In questo modo, la vendita all'asta dell'opera “Gli Iris” e “I Girasoli” di Van Gogh ha fatto si che dal 1987 al 1989, dieci opere importanti del pittore abbandonassero le collezioni per essere immesse sul mercato. (fonte: Sotheby's Price Indetta)7.

1.3 Analisi e anomalie del mercato dell'arte contemporanea

Come tutti i mercati, anche il mercato dell'arte (formato da tre agenti: l'artista, il critico ed il mercato) è caratterizzato da un insieme di “istituzioni” dirette a regolare i rapporti fra gli attori (o agenti) che lo compongono. Queste “istituzioni” meglio definite da una serie di regole formali e informali rivolte a regolare i rapporti fra artisti, galleristi e collezionisti, definiscono un mercato composto da tre linee principali: primario, secondario e d'asta8. Nel mercato primario l'acquisto delle opere avviene direttamente con la contrattazione fra l'artista, o un privato che è proprietario dell'opera d'arte, e l'acquirente, che può essere un gallerista o un altro privato. Il mercato primario nasce direttamente nello studio dell'artista o nell'abitazione del collezionista. Nel mercato secondario, l'agente principale è invece la galleria che propone il bene direttamente al privato, o propone lo scambio ad un altro gallerista. Questo tipo di mercato avviene solo in

7 F. Codignola, Mercato dell’arte, economia globale e trasparenza informativa, Ed. Clueb, 2004, p 11-12 8 M. Castellano, Il mercato dell’arte visiva in Economia e mercato della grafica d’arte. Ed. patron, 2001, p 39-40

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centri specifici in cui si commercia in arte, infatti le gallerie gestiscono gran parte delle vendite con un significativo potere di mercato. Ancora oggi le gallerie rappresentano i punti di vendita più importanti per le opere d'arte, anche se la concorrenza delle case d'asta è un elemento tangibile. Le gallerie operano sul mercato primario dal lato della domanda, e sul mercato secondario dal lato dell'offerta. Secondo Walter Santagata9, nel mercato dell'arte operano due tipi di gallerie, quella di “scoperta” e quella di “mercato”. Le gallerie di scoperta hanno il compito di scoprire giovani talenti e di investire nel loro riconoscimento, fondamentalmente hanno uno scarso potere di mercato, ma sono molto attive nei rapporti con gli artisti. Le gallerie di mercato hanno invece una forte base promozionale e commerciale, operano sul mercato internazionale attraverso una diffusa rete di relazioni e di clienti. Le vendite d'asta completano le possibilità del mercato dell'arte, a queste ultime partecipano collezionisti privati, galleristi, mercanti, responsabili di musei pubblici e privati e imprese. Gli scambi in questo caso vengono tenuti nelle città più importanti a livello mondiale e attraverso internet. Esistono inoltre due distinzioni fondamentali nella classificazione dei mercati, quella nazionale e quella internazionale e un altra tra mercato ufficiale e mercato sommerso. La distinzione fra nazionale ed internazionale avviene naturalmente in base alla localizzazioni geografiche entro le quali si manifestano la domanda e l'offerta del prodotto artistico. Il mercato nazionale è circoscritto al luogo, alla nazione, in cui l'artista opera o ha operato. Ogni nazione, o stato regolamenta con atti giuridici la difesa del patrimonio artistico, per evitare l'esportazione abusiva delle opere d'arte, che comporta però un' influenza sul valore economico dei beni; poiché un’ opera che ha il divieto di uscire dal territorio nazionale subirà senza dubbio un abbassamento del prezzo, in quanto non ha accesso al mercato internazionale, all'interno del quale operano invece le grandi case d'asta e le grandi gallerie che si occupano di opere di artisti di fama mondiale. La distinzione fra il mercato sommerso e il mercato ufficiale si denota invece in funzione del grado di legalità degli scambi; il mercato ufficiale è quello in cui agiscono le imprese pubblica9 In W. Santagata, Simbolo e merce. I mercati dei giovani artisti e le istituzioni dell’arte contemporanea, Il mulino, Bologna, 1998

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mente autorizzate a svolgere questo tipo di attività commerciale, mentre il mercato sommerso è composto da soggetti che, commerciando senza avere alcuna autorizzazione specifica, si sottraggono ad ogni tipo di controllo. Molto spesso i personaggi che operano nel mercato sommerso, oltre agli spacciatori di falsi, sono piccoli collezionisti, amici o parenti di artisti, o addirittura gli artisti stessi. L'alterazione della struttura del sistema informativo, e delle caratteristiche finanziarie delle opere d'arte è determinata dal passaggio di queste ultime dal mercato primario a quello delle vendite all'asta. Il sistema informativo viene alterato dalla notorietà dell'artista, che valorizza ulteriormente il prodotto, assicurando un esito positivo della vendita. Garantisce dunque una valenza economica consistente, che aumenta man mano che le opere passano dal mercato primario al mercato delle aste, ma non sempre garantisce un elevato valore artistico. Le caratteristiche finanziarie sono influenzate dal prezzo che non rappresenta soltanto l'indicatore di valore, ma crea dei riferimenti. Il prezzo funziona come postulato di valore, suggerisce l'idea della “grandezza” dell'opera d'arte, aumentandone o sminuendone la considerazione. Damien Hirst con la sua opera del 2007 “For the Love of God” ha fatto in modo che il prezzo non fosse solo parte dell'opera, ma che ne fosse il vero soggetto, il suo teschio tempestato di circa 8600 diamanti è un evocazione al denaro e al capitalismo, l'opera stessa suggerisce un prezzo esorbitante in maniera simbolica. L'artista aveva fatto circolare informazioni sul valore dei diamanti, il prezzo di vendita richiesto fu di cinquanta milioni di sterline, un opera di un artista vivente non era mai costata tanto. Tuttavia il teschio non fu battuto all'asta ma sarebbe stato acquistato da un consorzio di acquirenti anonimi di cui, in seguito si è venuto a sapere, faceva parte lo stesso Hirst. Ovviamente l'artista inglese, non volendo affidare la sua opera al libero mercato, ha dovuto pianificare in anticipo la propria partecipazione all'acquisto, tuttavia se lo avesse comprato da solo il “prezzo” non sarebbe stato più una cosa da prendere sul serio, di qui l'idea del consorzio che salvò il controllo del prezzo e la sua validità. “Il vero valore dell'opera di Hirst è il prezzo che la rende inconfondibile”.(Ullrich, 2008) Dunque, all'interno di una società di consumo, il valore del “prodotto” artistico va costruito sa12


pientemente; il prezzo e il successo di un opera d'arte sono creati dalla reputazione, notorietà, dell'artista, dall'importanza della galleria che lo rappresenta e infine dalla qualità dell'opera. Il boom del mercato degli ultimi anni e i prezzi elevatissimi promettono straordinarietà e suscitano sentimenti elevati più di ogni altra cosa. Ciò che all'epoca dell'avanguardia si faceva con astrazioni radicali, con i ready-made e con le performance che infrangevano tabù, oggi si ottiene ad aste e fiere, dove l'arte appare “altra” e sublime. Stupisce perché, spesso, non c'è niente che sia paragonabile dal punto di vista economico; non si riesce ad immaginare la ragione per cui un'opera si debba pagare tanto, quale sia la contropartita per tali somme di denaro. La grande arte oggi consiste nel creare icone del capitalismo celebrandone il potere, gli artisti trasformano in soggetto il denaro rendendo comprensibile la dimensione trascendente del capitalismo moderno. Si tratta di un arte che non è bella, non nobilita, ma sorprende rendendo inattuali le dimensioni quotidiane, con la quale possono identificarsi gli attori del capitalismo, una minoranza della società a cui serve come autoaffermazione. (Ullrich, 2008)

1.4. Gli 8 protagonisti del mercato dell'arte - L'artista

L'artista è sicuramente il protagonista determinante del mondo dell'arte e del relativo mercato, partecipa all'offerta di prodotti artistici tangibili dando un importante contributo alla produzione e alla diffusione dell'arte. Riceve le attenzioni di musei, collezionisti, gallerie; è al tempo stesso produttore e venditore delle sue opere se si occupa personalmente della loro collocazione, molti artisti infatti ricevono nei loro studi i possibili acquirenti evitando qualsiasi intermediazione. Marcel Duchamp, Ives Klein, Piero Manzoni e Joseph Beuys furono tra i primi artisti del XX secolo ad abbandonare “la sfera dell'arte per avventurarsi nei territori proibiti dell'economia [...] Le loro creazioni non rappresentano soltanto un commento ironico sui meccanismi economici ma sono espressione di una profonda riflessione sul ruolo ambiguo dell'arte in un mondo domina-

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to dalla logica economica”10. Negli anni sessanta la reazione degli artisti alla crescita del mercato fu di contestazione e di rottura delle convenzioni estetiche, al fine di innescare nello spettatore la messa in discussione del sistema del mercato e dei valori borghesi considerati falsi e ipocriti. L'introduzione della “performance” come opera d'arte fu un ulteriore elemento di rottura con l'idea tradizionale di arte. Mentre Joseph Beuys, negli anni sessanta, proponeva il concetto di opera d'arte allargata, nella quale politica e società venivano plasmate nell'intenzione di produrre un cambiamento, Andy Warhol, in linea contrapposta, creava un sistema che celebrava i principi della società consumista. Il critico d'arte francese Paul Ardenne ha scritto:“il principale interesse dell'epoca, l'economia, rappresenta per l'arte contemporanea ciò che il nudo, il paesaggio o il mito del nuovo hanno rappresentato rispettivamente per il neoclassicismo, l'impressionismo e l'avanguardia” 11. Oggi molti artisti collaborano con l'industria della moda, del cinema e della musica entrando a far parte di un jet set globale che consuma l'arte come se fosse un estremo, a volte incomprensibile, oggetto del desiderio. Conformemente ai principi della società capitalistica che riconosce il valore monetario come indice di valore assoluto l'artista diventa operatore economico, molti affidano la gestione di tutto il business, e la loro stessa immagine, al supporto di un vero e proprio manager che avrà cura anche della sua carriera e che manterrà le relazioni con i media, i musei, i collezionisti, le gallerie e i commercianti. Altri diventano loro stessi “operatori economici” della loro immagine, e dei prodotti destinati al sistema di mercato e delle quotazioni, si veda Damien Hirst per esempio. Nella classificazione degli artisti è possibile distinguere artisti famosi con un elevato grado di visibilità, artisti noti con un medio grado di visibilità, artisti con un debole grado di visibilità e artisti sconosciuti senza alcuna visibilità. Questa stratificazione risulta utile per capire e caratterizzare la loro offerta, che collateralmente agli artisti si avvale anche di altri operatori, tra cui gli operatori di musei.

10 P. Dossi, L’Arte contemporanea e il mercato in Arte, prezzo e valore, Cinisello Balsamo, Ed. Silvana, 2008, p 30 11 In Arte, prezzo e valore, L’Arte contemporanea e il mercato, P. Dossi, p 29

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- Il critico

In questo contesto il critico ha il ruolo di produrre informazioni che evitano il fallimento del mercato e consentono la sopravvivenza dell'artista. La critica opera utilizzando i concetti. Il mercato riceve dal critico, o in generale da quelli che possiedono le “chiavi” che aprono agli artisti la porta del successo (galleristi, agenti, direttori dei musei, ecc.), due tipi di segnali: il primo, che potremmo chiamare di critica assoluta, fornisce informazioni circa la qualità dei prodotti dell’arte, proponendo una distinzione, ad esempio, tra un pittore creativo e quello di maniera; il secondo, che potremmo chiamare di critica relativa, fornisce informazioni sulla corrispondenza delle caratteristiche dei prodotti artistici alle preferenze individuali espresse dai consumatori. L'economista Michele Trimarchi12 si è posto in una posizione per certi versi critica, secondo la quale il mercato dell’arte subirebbe un eccesso di informazione da parte degli interventi della critica che, insieme alla notorietà dell'artista, potrebbe deformare la capacità di comprensione estetica dei “consumatori”. Si pensi per esempio alla creazione della fama della Transavanguardia, la fama ed il riconoscimento di questa corrente, affermata e riconosciuta prima all’estero che in Italia, potrebbe essere dovuta all'eccesso di informazioni da parte del critico, che potrebbe creare eccessi speculativi, e conseguentemente, un’ opera appartenente alla Transavanguardia non sarebbe valutata per il valore in se ma per il valore attribuitogli dal critico che l'ha teorizzata.

- La galleria

Il mercato dell'arte, come si è visto ha bisogno di istituzioni efficaci per funzionare, tra queste la galleria ha svolto, e continua a svolgere un ruolo importante. Paul Durand Ruel13 fu il primo ad aprire una galleria negli Usa dopo aver accumulato opere di artisti del calibro di Manet, Degas, Renoir e Monet, e fu il primo ad organizzare le mostre individuali degli artisti. 12 M. trimarchi, Snodi informativi, costi di transizione e processi di selezione nel sistema dell’arte, in G. Candela e M. Benini. 13 Un imprenditore francese, morto nel 1922, organizzò nel 1874 la prima esposizione impressionista nello studio del fotografo Nadar a Parigi.

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In Italia oggi abbiamo oltre duemila gallerie iscritte all'Associazione Nazionale Gallerie D'Arte moderna; in genere si caratterizzano molto per le scelte e l'impostazione data dal loro fondatore. Nel contesto dell'offerta espositiva la galleria svolge una funzione di promozione culturale; i galleristi sono esperti conoscitori del mercato, degli artisti e dei movimenti che li caratterizzano ed è per questo che possono svolgere una funzione formativo-educativa; prima di vendere bisogna esporre, informare, convincere e tutto questo è possibile se a monte c'è preparazione e professionalità. Gli acquirenti della galleria sono identificabili con coloro che vogliono fare acquisti ponderati, che si affidano all'aiuto di un esperto, nel caso in cui la galleria di riferimento sia una galleria di scoperta, facendosi anche consigliare su opere di artisti emergenti che in futuro potrebbero avere una rivalutazione. Gli artisti, affermati e non, e le imprese artistiche possono cedere il loro lavoro a una o più gallerie; il gallerista regolerà il suo rapporto con l'artista attraverso un contratto che determina il pagamento di una retribuzione fissa in cambio di dell'acquisizione delle sue opere, stabilendo un quantitativo minimo di opere al mese, o all'anno. Per tutelare se stesso, il gallerista si orienta sempre verso contratti a lungo termine, perché qualora arrivasse il successo dell'artista, il suo rapporto con quest'ultimo sarebbe difficile da gestire. Nel caso che si tratti di giovani artisti, l'accordo fra i due attori (gallerista e artista) prevede, una volta terminato il rapporto contrattuale, di lasciare al gallerista una serie di opere che verranno retribuite solo dopo la vendita, e in tal caso al gallerista spetterebbe una percentuale (ventiottanta per cento). Spesso le gallerie, per dare maggior supporto ai giovani artisti in cerca di notorietà, svolgono dietro compenso, mostre personali o collettive, rispettivamente di uno o più artisti. Il loro profitto è determinato dalla differenza realizzata tra prezzo di acquisto e prezzo di rivendita dell'opera e si giustifica economicamente per la loro attività di produzione economica che consiste nella selezione e nel reperimento delle opere che vengono offerte alla clientela. In genere le scelte e l'impostazione della galleria sono stabilite dal fondatore della stessa, normalmente perseguono la via della specializzazione dell'offerta e dei movimenti artistici a cui si rapportano. Non sono poche le gallerie che si caratterizzano per il movimento artistico che supportano, come ad esempio Futurismo: galleria romana di Giuseppe Sprovieri; Arte Romana Anni Sessanta: Galleria Romana Tartaruga di Plinio De Martiis; Arte Giovane: Galleria Modenese 16


di Emilio Mazzoli. - Le Case d'asta

Le case d'asta sono sicuramente una delle più antiche forme di vendita di opere d'arte, la prima asta da parte di Sotheby's a Londra risale al 1744, e quella organizzata da James Christie's al 1766. Naturalmente il grande successo di questa forma di mercato coincide con il boom del mercato artistico mondiale registrato negli anni ottanta. Il principio su cui si basano le case d'asta è diametralmente opposto a quello cui si riferisce chi acquista nelle gallerie. In Italia fra le più importanti c'è Finarte, fondata a Milano nel 1959 dal banchiere Gian Marco Manusardi, che in principio operò come società finanziaria e che solo nel 1962 si dedicò all'arte; oggi Finarte ha una sede a Roma, due a Milano, una a Madrid e collabora con il marchio Kataweb per le vendite online. Ci sono poi le filiali italiane di Sotheby's (Londra e New York), la cui offerta riguarda principalmente Arte moderna, dipinti del XIX secolo, dipinti antichi, gioielli, mobili, oggetti d'arte, ceramiche ecc.; e le filiali di Christie's (Londra e New York) la cui offerta riguarda Arte moderna e contemporanea, arte del XIX secolo, stampe, argenti, monete, libri di numismatica ecc. Le case d'asta svolgono un ruolo di organizzazione, informazione e intermediazione nel mercato dell'arte. La vendita avviene con persone che partecipano in maniera diretta, ma anche indiretta, telefonicamente; qualora ci sia una parità di offerta fra l'acquirente in sala e l'acquirente al telefono, l'offerta fatta in sala si aggiudica l'opera. Le case d'asta, comunicano ai loro clienti (collezionisti, galleristi, imprese e quanti sono soliti frequentarle) attraverso i loro cataloghi inviati per abbonamento. L'offerta di vendita, essendo pubblica, viene evidenziata nel catalogo che presenta le opere da aggiudicare in base ad un prezzo base, quindi minimo, e ad un prezzo limite, quindi massimo. Ad ogni aggiudicazione vanno aggiunti i diritti d'asta, il quindici - venti per cento per chi acquista e il dieci - quindici per cento da parte del proprietario dell'opera che la mette in vendita. I dati informativi, relativi al commercio dei beni riguardanti l'arte contemporanea vengono trascritti in annuari specializzati (Arte dell’incanto è pubblicato da Finarte e presenta le migliori aggiudicazioni della stagione conseguite dalla società; Mayer pubblica i risultati delle aggiudicazioni delle aste, di prodotti di arte antica e contemporanea di tutto il mondo; Catalogo nazio17


nale d’Arte moderna, che è formato da due volumi, il primo riferito agli artisti del Novecento, il secondo tratta gli artisti degli anni ‘40 e ‘50 per arrivare ai più giovani) o in banche dati consultabili online o su cd rom. In Italia le vendite tramite le case d’asta rappresenta l’uno per cento del mercato mondiale, ma comunque con la crescita delle vendite di asta on line è previsto un aumento anche all’interno dello scenario italiano. La tabella che segue riporta le aggiudicazioni più alte nelle vendite all'asta: Artista

Opera

Anno

Casa d’asta

Aggiudicazione

Pablo Picasso

Nude, green leaves and bust, dipinto, 162 x 130 cm.

2010

Christie’s New York

106,4 milioni dollari

Alberto Giacometti

L’uomo che cammina, scultura, h. 183 cm.

2010

Sotheby’s Londra

104,3 milioni dollari

Pablo Picasso

Garçon à la pipe, dipinto, 100x81 cm.

2004

Sotheby’s New York

104.1 milioni dollari

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Pablo Picasso

Dora maar au chat, dipinto, 92x65 cm.

2006

Sotheby’s New York

95,2 milioni dollari

Gustav Klimt

Adele Bloch-bauer II, dipinto, 190x120 cm.

2006

Christie’s New York

87,9 milioni di dollari

Francis Bacon

Tryptich 1976, 3 pannelli 78x58 cm.

2008

Sotheby’s NewYork

Acquistato da Roman Abramovich 86,3 milioni di dollari

Vincent Van Gogh

Ritratto Dottor Gachet, olio su tela, 68x75 cm.

1990

Christie’s New York

82,5 milioni di dollari

Pierre Auguste Renoir

Au Mulin de la Galette, olio su tela, 131x 175 cm.

1990

Sotheby’s New York

78,1 milioni di dollari

19


Amedeo Modigliani

Nu Assis sur un divain, olio su tela, 100x 65 cm.

2010

Sotheby’s New York

68,9 milioni di dollari

Vincent Van Gogh

Iris, olio su tela, 71x 93 cm

1987

Sotheby’s New York

53,9 milioni di dollari

Pablo Picasso

Self Portait: Yo Picasso, olio su 1989 tela, 73.5x 60.5 cm.

Sotheby’s New York

47 milioni di dollari

Pablo Picasso

La noces de Pierrette, dipinto ad olio, 115x195 cm.

1989

Binoche et Godeau

49 milioni di dollari

Pablo Picasso

Il sogno, dipinto, 130x97 cm.

1997

Christie’s New York

48,8 milioni di dollari

20


Au Lapin Agile, dipinto, 61x61 cm

1989

Sotheby’s New York

40,7 milioni di dollari

Vincent Van Gogh

Girasoli, dipinto 91x72 cm.

1987

Christie’s Londra

39,7 milioni di dollari

Pablo Picasso

Acrobate et Jeune Arlequin, dipinto, 109x107 cm.

1988

Christie’s Londra

38,5 milioni di dollari

Codice Hammer, carta, 36 pagine

1994

Christie’s New York

acquistato da Bill Gates 30,8 milioni di dollari

Pablo Picasso

Leonardo Da Vinci

- Internet e le aste on line

Durante il ventesimo secolo, la maggior parte delle organizzazioni e delle istituzioni commerciava l'arte attraverso le gallerie, all'inizio del nuovo millennio il successo delle aste on line è stato talmente intenso da generare una moltiplicazione di siti generalisti e specializzati nella vendita di oggetti d'arte, da collezione e di antichità. La concorrenza si è installata su internet ad una velocità sconsiderata dando luogo a raggruppamenti multipli, fra i diversi marchi. In questo modo, il marchio Ebay.com (leader sul mercato delle vendite on line) ha comperato nel 1999 il marchio Butterfield & Butterfield (terza casa d'asta americana) e ha potuto aprire nel 21


proprio sito una sezione Great Collections in cui vengono messi all'asta oggetti d'arte provenienti da professionisti del commercio d'arte o dalle case d'asta. La società inglese Sothebys, dopo aver lanciato nel 1999 un’ audace politica di vendita on line, per mezzo di investimenti considerevoli, dal 2003 ha passato il compito a Ebay.com, chiudendo le attività di vendita sul proprio sito internet14. L'utilizzo di Internet ha rapidamente trasformato le strategie commerciali tradizionali, ma, nello stato attuale del commercio dell'arte sembra che il moltiplicarsi delle vendite on line riguardi soprattutto i beni di media e bassa qualità. I professionisti del settore infatti insistono sull'assenza di una selezione vera e propria degli oggetti proposti e sulle garanzie insufficienti riguardo al loro valore finanziario e la loro autenticità. Attraverso le vendite on line dunque le case d'asta hanno cercato di ingrandire geograficamente e socialmente la domanda potenziale, diversificando i circuiti commerciali e di fidelizzare una clientela di commercianti.

- Le fiere d'arte

Tecnicamente le fiere non fanno parte del mercato dell'arte, ma rappresentano un'importante manifestazione per tutti i protagonisti che vi operano, artisti, collezionisti, galleristi, direttori di musei, mercanti e semplici visitatori. La prima fiera d'arte contemporanea fu organizzata nel 1967 a Colonia da diciotto gallerie. Solo nel 1970 nacque quella che era destinata a diventare il fulcro del mercato europeo, la fiera Art di Basilea; quattro anni dopo si tenne a Parigi il Salon International D'art Contemporain15. Da quel momento in poi la formula fieristica è praticamente dilagata, oggi le mostre-mercato si tengono in tutto il mondo e occupano tutti i mesi dell'anno. Fra le varie motivazioni che giustificano la nascita e lo sviluppo delle fiere d'arte c'è sicuramente la necessità di creare dei luoghi di incontro fisico, anche se in teoria, come si è visto nel paragrafo precedente, lo sviluppo del commercio on line potrebbe sostituire gli appuntamenti fieristici con incontri virtuali in rete. Secondo Angela Vattese il successo delle fiere d'arte è determinato dai vantaggi originati da una maggiore diffusione di informazioni generata dalla concentrazione degli “operatori”:“ in 14 F. Codignola, Mercato dell’arte, economia globale e trasparenza informativa, Ed. Clueb, 2004, p 26 15 M. Castellani, Il mercato dell’arte visiva in Economia e mercato dell’arte, Ed. Patron, 2001, p 52

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una sola giornata ci si può rendere conto di cosa offra il meglio del mercato, di quali siano gli artisti emergenti o sottovalutati, del senso in cui si stanno spostando le contrattazioni”16 . Inoltre le fiere d'arte possono classificarsi in fiere selettive e fiere commerciali, le prime sono destinate a pochi partecipanti selezionati, mentre le seconde sono destinate ad un pubblico più ampio. Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio

• • • • • • • • •

Giugno

Luglio Ottobre

• • •

Novembre

• •

Dicembre

• •

Arte Fiera, Bologna, Italia Arco,Madrid, Spagna Fiera di Stoccolma, Svezia Fiera di Londra, Inghilterra Kunstmesse, Francoforte, Germania Art Chicago, Chicago, Usa Expoarte, c/o Fiera del Levante, Bari, Italia Fiera di Amsterdam, Olanda Miart, c/o Parco Esposizioni di Novegro, Milano, Italia Art International Kunstmesse, c/o Schweir Mustermesse, Basilea, Svizzera Art Jonction, Cannes, Francia Fiera di Nizza, Francia Fiac, Parigi (ex Salon International d’Art Contemporain), Francia Artissima, c/o Lingotto Fiere, Torino, Italia Art Cologne, Messe & Austellung, Koln, Germania Art/La, c/o International Los Angeles Art Fair, Los Angeles, Usa Linearth, c/o International Congrescentrum, Gand, Belgio

Tabella 1: Principali Fiere artistiche in Italia e all’estero17

- I musei

I musei si distinguono dalle gallerie per le dimensioni che hanno, ovvero per il livello di comunità cui si indirizzano (locale, regionale, nazionale, internazionale); presentano un’ offerta molto

16 Cfr. A. Vattese, Investire in arte. Produzione, promozione e mercato dell’arte contemporanea, Ed. Il Sole 24 Ore, Milano, 1991, p 130 17 La tabella è tratta dal libro di A. Foglio “Il marketing dell’arte. Strategia di marketing per artisti, musei, gallerie, case d’asta, show art”, Milano, Ed. Franco Angeli, 2005, p 382

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variegata, per questo motivo l'Unesco-Icom (Consiglio Internazionale dei Musei) ha ripartito l'offerta in: Musei d'arte, Musei di scienze naturali, Musei storici, Musei etnografici e di folclore e Musei di scienze e tecniche. I Musei d'arte comprendono tutti i possibili musei con chiaro collegamento all'arte, musei di archeologia, di arte grafica, di pittura, di scultura, di musica, di arte drammatica, teatro e danza. L'assemblea annuale del 1984 del “The Britisch Museums Association” definisce il museo come “un'istituzione che colleziona, documenta, conserva, espone, interpreta testimonianze materiali e informazioni collegate per beneficio del pubblico”18 . Da questa definizione si evince che il museo è un’ istituzione permanente, che si mette a disposizione del pubblico e della sua crescita culturale. Il museo d'arte ha il ruolo di conservare, valorizzare e divulgare il patrimonio artistico attraverso la realizzazione di mostre e la pubblicazione di cataloghi al fine di accrescere la conoscenza dell'arte e della cultura. Rappresenta un elemento determinante nel mondo dell'arte, infatti oltre che esporre e tutelare è anche un acquirente di opere d'arte, direttamente dagli artisti se sono in vita, o attraverso le vendite all'asta o in galleria. Appartengono alla categoria di Musei d'arte i musei più grandi e più prestigiosi al mondo illustrati nella tabella che segue:

18 A. Foglio, Il marketing dell’arte. Strategia di marketing per artisti, musei, gallerie, case d’asta, show art, Milano, Ed. Franco Angeli, 2005, p 81

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• • • • • • • • • • • • • •

• • • •

Italia Musei vaticani, Roma Gli Uffizi, Firenze Museo Archeologico Nazionale, Napoli Museo e Galleria Borghese, Roma Museo Civico e Archeologico, Bologna Museo Poldi Pezzoli, Milano Museo Bagatti Valsecchi, Milano Pinacoteca di Brera Museo teatrale della Scala, Milano Palazzo Massimo, Roma Musei Capitolini, Roma Colosseo, Roma Museo Egizio, Torino Galleria dell’Accademia, Venezia Austria Kunsthistorishe Museum, Vienna Canada Royal Ontario Museum, Toronto Musée de la Civilisation, Québec Bata Shoe Museum, Toronto Musée des Beaux Arts, Montreal

• • • • • •

Regno Unito National Gallery, Londra British Museum, Londra National History Museum, Londra Victoria & Albert Museum, Londra Liverpool Museum, Liverpool Edinburgh Museum, Edinburgh

• • • • • • • •

• • •

Olanda Rijksmuseum, Amsterdam • Francia Louvre, Parigi • Chateau deVersailles, Parigi Centre National d’Art et • de Culture Georges Pompidou, Parigi

Usa J. Paul Getty Museum, Los Angeles Metropolitan Museum of Art, New York Museo di Arte Moderna, MOMA, New York Guggheneim, New York National Gallery of Art, Washington National Museum of Amercian Art, Washington Art Institute, Chicago Museum of Art, Philadelphia

Russia Hermitage, San Pietroburgo Spagna Museo Nacional del Prado, Madrid Guggheneim Museum, Bilbao

- Eredi, fondazione e archivi

Come si è visto l'artista è sicuramente il protagonista principale all'interno del mondo dell' arte. Quando l'artista muore, le legge conferisce agli eredi il diritto di “rivendicare la paternità delle sue opere” 19. Questa legge vige anche nel caso in cui gli eredi, per svariati motivi siano completamente estranei al “modus operandi” dell'artista e non siano dunque in grado di garantire l'au19 Legge 22/4/1941, n. 633 art. 20 e 23

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tenticità delle sue opere. Finora ha causato danni a molti collezionisti, in caso di dipinti infatti, l'erede ha il diritto di autenticare l'opera, e molto spesso succede che per vari motivi, potrebbe essere incompetenza o avidità di guadagno, l'erede è finito ad autenticare numerosi falsi o a respingere opere certe che però non erano di sua proprietà. Il compito di studiare e tutelare l'opera dell'artista spetta agli archivi e alle fondazioni, che certificano l'autenticità di un'opera e, di conseguenza, garantiscono la trasparenza degli scambi dei lavori sul mercato. La qualità di questo attento lavoro può anche far lievitare le quotazioni dell'artista e, certamente, proteggere il collezionista dall'acquisto di falsi. In Italia come all'estero, la regolamentazione di queste istituzioni ha molte carenze, ma forse gli Stati Uniti hanno già iniziato a capire che una gestione trasparente e regolamentata degli archivi rappresenta una garanzia per il mercato dell'arte. Un esempio è Paul Getty, che non molti anni fa si è assicurato gli archivi della storica galleria milanese l'Ariete, che per prima negli anni ‘60 ha promosso mostre di italiani come Enrico Castellani e Piero Consagra, nonché di americani del calibro di Jasper Jones, archivi oggi consultabili al Getty Museum. E' probabile, oltreché auspicabile, che solo dopo una generazione che ha vissuto accanto ai grandi maestri si avvii il dialogo per tracciare un'etica comune. Solo una volta archiviate la cause legali tra i diversi eredi e tra i discendenti e i curatori dell'artista in vita, si riuscirà ad assicurare ai collezionisti un servizio certificato da garanti super partes.

26


27


2 Gino De Dominicis

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2.1 Gino De Dominicis e il mercato dell'arte prima e dopo la sua morte

“La sua opera è caratterizzata da una una indipendenza dalle varie correnti artistiche succedutesi dal dopoguerra ad oggi. Espone le sue prime opere per la prima volta dal 1966 e successivamente in alcune sue mostre in Italia e all’estero. Per una sua scelta non esistono cataloghi o libri sulla sua opera. Alla fotografia non concede nessun valore di documento e di veicolo pubblicistico delle sue opere”(De Dominicis, 1997)20. È considerato un artista enigmatico, solitario e sfuggente; l’artista Anselm Kiefer lo definisce “un opera d’arte senza fine, originaria e carica di segreto, e faceva continuamente mistero di se stesso” e forse anche a causa della sua difficile collocazione storico-artistica si continua a parlare di lui come del caso Gino De Dominicis” (Tomassoni, 1988; Mirolla, 2002). Nel 2007 fu organizzata la sua prima monografica post-mortem, curata da Laura Cherubini e Andrea Bellini, con l’intento di esportare il suo lavoro all’estero “mettendo in atto un’operazione di internazionalizzazione dell’arte italiana nient’affatto ovvia”(Mirolla, 2011). Come si è detto nel capitolo precedente infatti, la situazione politica del secondo dopoguerra portò ad uno spostamento dell’asse culturale e artistico dall’Europa agli Stati Uniti d’America. Waldemberg nel 1958 descrisse il modo in cui gli americani vissero “l’emigrazione” europea in questi termini:“generalmente l’atmosfera a New York nell’ambito dell’emigrazione europea non era precisamente respirabile[...] gli americani nella loro maggioranza, approvavano poco la tenerezza per questi “vinti” di cui essi consideravano la cultura con una specie di disprezzo misto a gelosia”21. La storia dell’arte dal secondo dopoguerra si svolge, e può essere compresa, all’interno di un quadro storico-politico in cui il mondo delle arti e delle lettere diventa lo strumento di una Guerra Fredda “culturale”. All’interno di questo scenario l’artista anconetano risulta essere un caso isolato in una storia dell’arte italiana che appare disarticolata e incoerente. La mostra del 2007 ebbe tre tappe: Villa Arson a Nizza, la Fondazione Merz a Torino e il PS1 a New York con lo scopo di “ribadire il ruolo dell’opera di De Dominicis nelle storia dell’arte italiana degli ultimi decenni” (cfr. Merz, 2008 in Rivista di Psicologia dell’Arte, Mirolla 2010). 20 Cfr. M. Mirolla, Arte del Novecento (1945-2001), Mondadori Electa, Milano 2002, p. 136 21 Cfr. M. Mirolla, Arte del Novecento (1945-2001), Mondadori Electa, Milano 2002, p. XIII

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É stato definito da Roberta Smith, giornalista del New York Times per l’arte contemporanea, come un artista “criptico” che sembra fondare la propria opera sul culto della personalità e di una marcata mitologia individuale, facendo appello al tipico asserto della guerra fredda per cui in Italia dopo il Rinascimento è impossibile “fare” arte22. Nel 2010 il museo delle arti del XXI secolo di Roma, ha esposto la sua più grande mostra antologica, curata dal critico Achille Bonito Oliva, in cui sono stati esposti un centinaio delle sue opere. Il titolo della mostra “Gino De Dominicis l’ Immortale” suggerisce un approccio che tende ancora una volta a collocare l’artista italiano fuori dal tempo storico, ingiudicabile; mentre le teorie internazionali più efficaci esaltano e promuovono la ricerca artistica d’avanguardia e la dimensione creativa del gruppo, l’artista italiano sembra subire esattamente il processo inverso”(Mirolla 2010). Nel rapporto annuale degli artisti più quotati dell’anno 2009/2010 redatto da Artprice23 le prime sei posizioni sono le seguenti: Artista 1 Jean Micheal Basquiat 2 Jeff Koons 3 Peter Doig 4 Richard Prince 5 Martin Kippenberger 6 Damien Hirst

Paese di nascita Usa Usa Uk Usa De Uk

Fatturato delle aste € 30.908.576,00 € 18.186.719,00 € 15.271.083,00 € 12.486.733,00 € 11 354 823€ € 10 247 639

Lotti venduti 70 70 43 43 55 199

Offerta più alta € 5.035.520,00 € 3.704.399,00 € 6.019.200,00 € 4.504.140,00 €2 560 500 €1 358 265

Gino De Dominicis si colloca in posizione n. 197, dopo l'italiana Margherita Manzelli e Nicola De Maria: Artista

Paese di nascita

195 Margherita Manzelli 196 Nicola De Maria 197 Gino De Dominicis 198 Zhengqu Duan 199 Fang Ding 200 Vanruud Empel

Ita Ita Ita Cn Cn Nl

Fatturato delle aste 279 327€ 278 523€ 278 000€ 274 460€ 274 253€ 273 764€

Lotti venduti Offerta più alta 3 16 3 4 6 12

136 900€ 78 000€ 160 000€ 195 640€ 181 050€ € 64.239,00

22 M. Mirolla, Il caso Gino De Dominicis in Rivista di Psicologia dell’Arte, dicembre 2010, p 70 23 Indirizzo web http://imgpublic.artprice.com/pdf/fiac10it.pdf

30


La classifica delle aste 2010 in Italia, pubblicata nel del “Giornale dell'Arte” 24nel mese di Febbraio 2011 illustra la seguente situazione, le prime cinque posizioni sono: Artista Enrico Castellani

Opera “Superficie bianca n. 32”, 1966, 181x252x15,5 cm

Casa d'asta Data Sotheby's Milano 26/05/10

Aggiudicazione 960 800 €

Gino Severini

Arlequin à la mandoline, 1919, 117x82 cm

Sotheby's Milano 26/05/10

840 800 €

Giorgio De Chirico

Le confiseur de Périclés (Il mercante Frigio), Sotheby's Milano 26/05/10 1925, 181x82 cm

792 800 €

Giacomo Balla

Vortice, 1914, 65 x63 cm

Piero Manzoni

Achrome, 1959, 61x 65 cm

Farsetti, Prato

29/05/10

744 800 €

Sotheby's Milano 26/05/10

720 800 €

Gino De Dominicis si posiziona al 30° nel modo seguente:

24 Indirizzo web http://ilgiornaledellarte.com/immagini/IMG2011020610433549.PDF

31


Artista Mario Schifano

Carlo Carrà

Opera Isola di Capri, 120x 150 cm

Casa d'asta Data Sotheby's Milano 26/05/10

Aggiudicazione 138 800 €

Marina con pagliaio, 1928, 37,8x 60,7 cm

Farsetti, Prato

27/11/10

130 100 €

Senza titolo, 84,2 x 71 cm

Farsetti, Prato

27/11/10

130 100 €

23/11/10

126 800 €

Gino De Dominicis

Michelangelo Pistoletto

Ragazza con vestito pallini, 1978, 120 x100 cm Christie's Milano

La sua produzione artistica si può suddividere in due fasi: la prima, tra gli anni ‘60 e ‘70, alla quale appartengono le sculture e i video; la seconda, dagli anni ‘80 fino alla morte è caratterizzata da un ritorno alla pittura. Qui sono riportati alcuni risultati delle vendite all'asta dal 1989 al 2010: Opera Datadell'Asta 27/10/89 Mozzarella in carrozza, fotografia 1970, 28x34 cm

Figura in piedi trasparente, 1985, grafite su tavola, disegno, 39,5x29,5 cm

15/03/94

Casa d'asta Finarte Firenze

Aggiudicazione € 17.440

Stima Non comunicata

Finarte Milano

£ 40.000.000

£55.000.00060.000.000

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L'astronave, tecnica mista/cartone, vetro, foglia d'oro, legno, 1995, 176,5x280,5 cm

21/10/99

Sotheby's Londra

€ 92.743,00

Non comunicata

Senza titolo, tecnica mista su carta, disegno, 20x20cm

01/06/00

Finarte Milano

£ 10.000.000

£ 12.000.00014.000.000

Senza titolo, tempera foglia d'oro, 32,5x45cm

28/11/00

Christie's Milano

£ 23.000.000

Foto ricordo dello zodiaco: i gemelli e il toro, 17x24 cm, fotografia e cartone nero

12/04/01

Finarte Roma

£ 4.000.000

£ 4.000.0005.000.000

Senza titolo, tecnica mista su tavola, 33x25,5 cm

20/11/01

Christie's Milano

Non venduta

£ 20.000.00030.000.000

Senza titolo, 1998, olio e matita su tela, 100x100 cm

22/10/02

Sotheby's Londra

Non venduta

60.000-80.000 GBP

Senza titolo, tecnica mista, vernici e foglia d'oro su tavola, 272,4x176,5 cm, 1992

22/10/02

Christie's Londra

€ 118.875,00

50.000-70.000 GBP

Pianeti, olio su tela con collage, 50x50 cm

18/12/02

Christie's Roma

€ 26.040

€ 10.00015.000

33


Senza titolo, tecnica mista vernice e foglia d'oro, 65x48 cm

10/04/03

Finarte Roma

€ 18.500

€ 20.00022.000

Opera ubiqua, 1996, p.79 catalogo, olio su tavola con foglia d'oro, 30x35 cm

16/03/04

Finarte Milano

Non venduto

€ 30.00032.000

Senza titolo,olio su tavola, 63x130 cm

25/05/04

Sotheby's Milano

Non venduto,

€ 60.000.80.000

Personaggio, scultura in legno vernie verre, foglia de cuivre e oro, 5,5x42x24 cm

16/11/04

Pandolfini casa d' aste

€ 12.500

€ 13.50015.500

Senza titolo, tecnica mista, foglia d'oro e acrilico su panforte, 28,5x 36 cm, 1995

13/06/05

Porro &c.

Non venduta

€ 30.00050.000

Senza titolo, acrilico su tela, 400x70 cm, 1967

04/10/06

Finarte Milano

Non venduta

€ 180.000250.000

34


Senza titolo, olio su tavola, 50x37 cm

13/12/06

Finarte Milano

€ 25.000,00

€ 18.00022.000

Equilibrio 1-asta in bilico, metallo, h 374 cm, 1969/70

22/02/07

Finarte Milano

Non venduta

€ 300.000400.000

Senza titolo, olio su tela, cartone con pastello,18x13 cm, 1992

21/05/07

Christie's Milano

€ 20.000,00

€ 15.00020.000

Senza titolo, acrilico e foglia d'oro, 45x52 cm

22/05/07

Sotheby's Milano

€ 45.000,00

€ 30.00040.000

Senza titolo 1998, olio su tela, 83,4x 100cm

15/10/07

Christie's Londra

£ 60.500

Non comunicata

Senza titolo, acrilico su tavola, 260x123 cm

18/12/07

Finarte Milano

Non venduta

€ 220.000280.000

Senza titolo, olio su tavola, 39x25 cm, 1980

18/12/07

Finarte Milano

40.000

€ 40.00060.000

35


Senza titolo, olio e foglia d'oro, 94x62 cm, 1980

11/03/08

Finarte Milano

Non venduto

€ 120.000140.000

Senza tiolo,tecnica mista, vernice spray,acrilico e pastelli su tavola, 46x76 cm

08/04/08

Sotheby's Milano

77.000€

€ 30.00040.000

Senza titolo 1990, acrilico e olio su tavola, 60,5x 52,5 cm

08/04/08

Sotheby's Milano

€ 48.500

€ 30.00040.000

Senza titolo, acrilico, pastello bianco, su tela, 50x50 cm

27/05/08

Sotheby's Milano

€ 34.000

€ 40.00050.000

Senza titolo, tempera, oro e vetro, 73x38 cm

14/10/08

Finarte Milano

€ 61.000

€ 40.00050.000

Pianeti, 1987, dipinto acrilico, foglia d'oro, 65x65 cm

13/11/08

Finarte roma

€ 28.000,00

€ 28.00030.000

Senza titolo 1996, scultura base nera e vetro, tecnica mista, 32,5x128x32,5 cm

25/11/08

Sotheby’s Milano

Non venduta

€ 50.00070.000

Senza titolo, fotografia, stampa alla gelatina ai sali d'argento, vintage, Piece unique, 6x4,8 cm

28/10/08

Boetto, genoa

Non venduta

€ 4.500-5.000

36


senza titolo, litografia, 70x70 cm

Pubblicazione annuncio su arttprice: 20/12/2008

Privato Gianfranco gianotti

Non comunicato

Non comunicato

Senza titolo 1980, olio su tela, 56x 56 cm

14/05/09

Galleria Poleschi casa d'asta srl

Non venduta

€ 75.00090.000

Donna allo specchio1965/66, disegno acquerello, 98x 75,5 cm

19/11/09

Finarte roma

Non comunicato

€ 60.00070.000

Senza titolo 1996, tecnica mista foglia d'oro, 99x99 cm

25/05/10

Christie's Milano

€ 76.400

€ 50.00070.000

Senza titolo, olio su tavola, 81x85,5 cm

26/05/10

Sotheby's milano

€ 58.000

€ 60.00080.000

Senza titolo, 1985-86, tecnica mista su tavola, 268,8x 174, 3 cm

28/05/10

Farsetti arte prato

€ 160.000,00

€ 170.000230.000€

Casa riflessa 1989, tempera su tavola, 35x70 cm

23/11/10

Christie's Milano

€ 44.900,00

€ 40.00060.000

Senza Titolo(immortalità), fotografia bianco e nero, 47x70 cm

24/11/10

Sotheby's Milano

Non venduta

€ 40.00060.000

37


Senza titolo( immortalità), tecnica inchiostro, bois e peinture,disegno/acquerello, 61x61 cm

24/11/10

Sotheby's Milano

€ 63.000

€ 40.00060.000

Senza titolo, orologio, 0,2x3x20 cm, 96

Pubblicazione annuncio: 20/12/10

Collezione privata

Non comunicato

Non comunicato

Senza Titolo, tecnica mista/masonite, 84,2 x 71 cm

27/11/10

Farsetti arte, Prato

€ 130.100

€ 100.000160.000

Senza titolo, 1980, tecnica mista, 18x24 cm

Pubblicazione annuncio su artprice: 21/02/10

Galleria Agenzia Artmangia

Non comunicato

Non comunicato

Fonte: Artprice-Artsale index25

I garfici26 che seguono illustrano in modo schematico i passaggi all'asta, e i lotti venduti.

25 www.artsalesindex.artinfo.com e www.web.artprice.com 26 Grafici sono tratti dall’articolo di A.Sigolo: Cono d’ombra: Gino De Dominicis, le opere non pittoriche, su Exibart.com pubblicato il 24 Giugno 2010.

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Grafico1: Passaggi all’asta annuali per segmento dal 1989 al 2009

10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 passaggi all'asta fotografia passaggi all'asta scultura e installazione

passaggi all'asta acquerello passaggi all'asta stampe

passaggi all'asta pittura

Dal grafico n. 1 si evince la predominanza della vendita di opere pittoriche, “con un fatturato globale di 1.006.340 euro per un totale di 36 opere vendute, per un totale di passaggi all'asta pari a 64 nel periodo 1996-2009. Per quanto riguarda le altre tecniche, i fatturati complessivi vanno dai 56.550 euro per gli acquerelli (14 passaggi all'asta con 8 lotti invenduti) agli 870 euro per le stampe (4 lotti di cui un invenduto), dai 37.013 euro per le fotografie (7 passaggi in asta e 3 invenduti) all’unica scultura-installazione venduta nel 2004 per 12.550 euro� (Sigolo, 2010).

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Grafico 2:Totale fatturato annuale opere pittoriche dal 1996 al 2009 300000 250000 200000 150000 100000 50000 0 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

Il 2000 è stato l’anno con la più alta percentuale di vendita delle opere pittoriche di De Dominicis (grafico 1), ma il fatturato più alto viene registrato nel 2007-2008. “ Il prezzo medio di un’opera di De Dominicis in asta è aumentato del 400% dal 2000 al 2007 (nel 2000 il prezzo medio era inferiore ai 9.000 euro, nel 2007 attorno ai 44.000 euro) fino a raggiungere +570% nel 2009, anno in cui è stata però venduta una sola opera di pittura, per un prezzo di aggiudicazione pari a 59.000 euro. Dal grafico si evince che il 2007 e il 2008 sono state due annate proficue per De Dominicis, indubbiamente la mostra del 2007 ha influito in modo positivo per il mercato dell’artista anconet no, infatti “il fatturato ha subito uno scatto in avanti del 260% in confronto al 2006 e supera per la prima volta i 200.000 euro nel 2008” (Sigolo,2010). Nel 2009 invece assistiamo a un brusco crollo del numero delle transazioni, certamente complice la crisi economica, ma probabilmente anche a causa dell’incapacità delle istituzioni italiane che non sono state in grado di sostenere Gino De Dominicis all’interno dello scenario del mercato internazionale.

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Grafico 3: Ripartizione passaggi in asta pittura 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 1996

1997

1998

1999

2000

2001

2002

lotti venduti

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

lotti invenduti

Il mercato delle opere pittoriche presenta un alto tasso di invenduto “[...] (28 invenduti su 64 passaggi all'asta, che nel 1999 e 2004 arriva a sfiorare l'80% di invenduto. [...]”(Sigolo, 2010). Il record fissato da Christie's Londra nel 2002 per un dipinto su fondo oro, “Senza Titolo”del 1992, di euro 118.875 è stato superato il 28 maggio 2010 durante l'asta Arte moderna e contemporanea di Farsetti Arte Prato. “Senza Titolo” (1985-86) è stato venduto per € 160.000 stabilendo il nuovo record personale dell'artista. (fonte artsaleindex). La prima retrospettiva romana al MAXXI, insieme all'uscita, ormai prossima, del catalogo ragionato della sua opera, a cura di Italo Tomassoni, potrebbero rappresentare una nota positiva per il mercato di questo artista. Ma nonostante sia stato stabilito il nuovo record di vendita all'asta pari a €160.000, il mercato delle sue opere resta tendenzialmente un fenomeno italiano. Il novanta per cento dei passaggi in asta dei suoi lavori sono avvenuti in Italia e il dieci per cento nel Regno Unito.

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2.2 Intervista a Emilio Mazzoli

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Emilio Mazzoli: “Io, quello che le dirò, glielo dirò in assoluta buona coscienza. Senza ambizioni, senza voler apparire, quello che le dirò è la verità, perché quando muore l'artista son tutti vedovi, tutti hanno avuto a che fare. Il primo ritratto me lo ha fatto nel 1970, l'ho sempre seguito, ho fatto dei sacrifici della madonna perché era un uomo veramente impensabile, perché era durissimo, ma era anche simpatico. Le uniche due mostre, quella dell' 86, che poi dopo andò a Napoli,a Capodimonte è partita da qui, e quella ultima che ha fatto nel 98, sono le più grandi mostre che ha fatto nella sua vita, tanti, tanti, tanti lavori.”

C.C.: Inizierei chiedendole, chi è Emilio Mazzoli?

E.M.: Emilio Mazzoli è una persona che ha dedicato tutta la vita all'arte e che da quando era ragazzo ha avuto questo imprinting, questa passione, ed è partito per le grandi città per il mondo con le sue ambizioni e i suoi sogni.

C.C.: Ed in che modo, quando e come..

E.M.: Avevo un amico prete, perchè io fra l'altro sono uno dei pochi cattolici del mondo dell'arte, che mi ha attaccato la passione dell'arte. Era un intellettuale, gli piaceva l'arte; a Modena c'era una galleria importante,“Il Fante di spade” di Roncaglia, che era anche a Roma e che trattava la nuova figurazione di Spinali, Ferroni e questi, e lui mi attaccò la passione. Incominciai a 26 anni, facevo l'insegnante di scuola elementare, smisi di fare l'insegnante perché mi pigliava questa passione e cominciai il mio sogno, la mia avventura. Ho cercato di erudirmi il più possibile, però con la vita, soprattutto frequentando studi, facendo scale, conoscendo artisti e soprattutto cercando di dargli una mano, comperando il più possibile i lavori, perché allora il mercato non c'era tanto. Eravamo in quattro gatti che ci interessavamo d'arte contemporanea, e ho fatto questo.

C.C.: L'altra domanda era proprio incentrata sulla situazione dell'economia dell'arte in quegli 44


anni..

E.M.: Ma l'economia dell'arte in quegli anni non c'era, non esisteva; c'erano alcune gallerie a Milano, due o tre gallerie a Roma, che però avevano tutto invenduto praticamente, e il collezionismo non era fatto per investire. Uno dei miei detti migliori quando uno compra un'opera è:“ I migliori investimenti che si fanno sono quelli che non si fanno”, lei non compra niente e ha già fatto un investimento. I collezionisti erano personaggi raffinati, erano di solito professionisti o imprenditori, molto legati alla cultura e al mondo letterario.

C.C.: Un mondo elitario

E.M.:Si un mondo elitario, si.

C.C.: In base a quale criteri lei sceglieva un artista da inserire nella sua galleria?

E.M.: Allora, il criterio era molto facile, cioè andavi nei posti dove c'erano gli artisti e allora c'erano dei bar a Roma, il Bar Rosati, il Bar le Prive, dove gli artisti si trovavano. Poi tu avevi degli amici, io ero amico di Mattiacci, ero amico di Turcato, ero amico di questi ragazzi e i loro amici erano il meglio dell'arte che c'era allora. Mi dicevano compra quello, guarda quello eccetera, e io andavo a vedere e facevo, dato che avevo diciamo l'usta, una predisposizione per questo lavoro. Perché vede, esiste una cultura di scuola, che è quella importante ed è riservata, cioè una grande cultura che la gente se la fa, io penso di avere una grande cultura per i fatti miei, poi esiste la cultura rasoterra, una cultura di pancia, che è la cultura quella che ti dà il segno. Mi sono accorto che avevo, me lo disse anche Bonito Oliva più di una volta, un occhio adatto per guardare il lavoro velocemente, e poi mi piaceva anche l'aspetto epico dell'arte. Io non ho mai vissuto l'arte come un impegno da ragioniere, o di piccolo livello, ho sempre visto l'epopea, quindi, allora gli artisti, un po' differentemente da oggi erano anche sopra le righe, specialmente quelli con cui ho lavorato di più. Vedi De Dominicis, ma vedi Schifano, Tano Festa, però erano affascinanti, erano persone con 45


qualità umane e qualità di rapporti per uno, diciamo, che viveva sopra le righe come il sottoscritto, si era trovato nel suo ambiente reale, perché non esisteva la notte, non esisteva il giorno, non esisteva il pomeriggio. Grandi discussioni, mangiate enormi, bevute enormi, e dialoghi dei massimi sistemi. Era quello che mi interessava.

C.C.: Riguardo a quanto ha detto prima, che ha affermato che quando ha aperto la galleria, l'economia dell'arte non c'era...

E.M.: Non c'era, infatti aprii la prima galleria, che si chiamava “Futura”, negli anni settanta, feci una mostra di Turcato e poi feci una collettiva con il comune di Modena, in cui c'era Fabro, Kounellis, questi artisti qui, e poi dopo la chiusi. Non vendevi, cioè, allora quando andavi negli studi degli artisti, i migliori lavori, erano sempre disponibili perché non c'era mercato. Allora io andavo, quando avevo un milione, due milioni allora, che era una cifra abbastanza sostanziosa per dire, perché andare a mangiare in un ristorante buono spendevi mille lire, andavo a Roma con un milione, andavo negli studi e portavo via tutto quello che mi piaceva.

C.C.: Lei, Recentemente in un intervista ha affermato più o meno la stessa cosa, dicendo che oggi in Italia il mercato non c'è..

E.M.: Il mercato non c'è perché vede, è una questione delicata, perché la galleria non è riconosciuta. La galleria come è venuto il tempo è stata sopraffatta dalle fiere e dalle case d'asta, e dai direttori di musei. Che sono tutti delle vestali, e tutti dei personaggi che pensano l'economia senza creare il lavoro, e però fanno un rapporto personale, e aiutano quelli che vogliono loro. Quindi l'arte non diventa più a favore dì, diventa quello è mio amico e lo mando avanti, quello è con me e sta con me, se è molto bravo ma non è con me, lo combatto. E questo è il problema della società di oggi, con la quale faccio fatica. Vede, il grande problema dell'Italia è stato nelle facoltà universitarie. Nelle facoltà universitarie degli Stati Uniti, in Germania, così, c'erano dei dipartimenti di arti visive, di lettere e di queste cose. In Italia, molta della cultura è stata fatta dalle accademie, ma le accademie producono artieri, non producono intellettuali. 46


Quindi noi eravamo bravi, ecco la grande intuizione della Transavanguardia cos'è stata, con grande ironia, grande intelligenza (ed è stata combattuta all'inizio in Italia perché non volevano che passasse, gli snob dell'avanguardia) è stata presa dai grandi intellettuali del mondo, dai direttori dei musei di New York, di Basilea, di Amsterdam, Zurigo. Perché con il nostro lavoro nessuno si aspettava niente, non volevamo niente, avevamo rimesso in gioco quello che noi siamo in grado di dare al mondo, la pittura, l'ironia della pittura. Allora, con la Land Art, la Body Art, eccetera ci voleva un ingegnere con sette lauree per fare qualcosa , a noi invece interessava la pittura, la scultura, il segno, il disegno e l'architettura, queste cose.

C.C.: Riguardo la situazione generale del sistema dell'arte, l'economista W. Santagata nel libro “Simbolo e merce. I mercati dei giovani artisti e le istituzioni dell'arte contemporanea” afferma che all'interno della galleria esistono due tipologie: la galleria di scoperta e la galleria di mercato

E.M.: Sono due gallerie, la galleria di mercato è una galleria che fa modernariato. Oggi la galleria più importante nel mondo è Gagosian . Gagosian era un nostro allievo, cioè per dire, non ha mai scoperto un artista, ma diventa una banca, entra con un economia fortissima e sbaraglia tutti, e fa un lavoro importante, tutto quello che vuoi, ma non ha scoperto un artista, anzi, ruba gli artisti alle gallerie intelligenti che l'hanno preso all'inizio. Perché si è prodotto un fatto di investimenti, io dico sempre: i migliori investimenti sono quelli che non si fanno, ma è vero. L'arte è prodotta dalla cultura. Oggi c'è un troppo pieno, tutti vendono, tutti vogliono arricchirsi, tutti fanno gli artisti, tutti fanno i grafici, c'è un troppo pieno. Io non pensavo neanche di arrivare ad essere quello che ero, ho cercato sempre di fare un lavoro primario e buono, lavorare con il meglio e di vendere il buono. Sai, se io vado a una fiera provinciale, in Italia o quello che ti pare, mi sembra di essere un oggetto sacrificale, la pelle mi vien tolta, vedi tutto il lavoro Boetti, Castellani, Chia, Cucchi, Clemente, Schifano,vado avanti per delle ore, tutti artisti che ho, lo stesso Lombardo, io di queste figure ne avevo comprate dei tir. Il problema è che tutti che hanno raschiato il barile e vendono tutto; se pensi che vendono oggi la ceramica, la ceramica una volta gli artisti la facevano per divertirsi, andavi da Fontana, cioè io 47


andavo da Scanarino, comperavo una ceramica, venivo da Calice Libero a Modena, ne rompevo venti in macchina, però costavano cinque mila lire. Oggi comperi delle ceramiche, dove in generale le fanno gli artigiani, dove vedi la mano dell'artigiano e della bottega, e tutto va a un mercato, che secondo me è roba che non vale uno stra-bene-amato niente.

C.C.: Entrando nel merito del personaggio Gino De Dominicis, come è nato e come si è evoluto il vostro rapporto?

E.M.: Beh, naturalmente. Io ero molto amico di Tano Festa nel ‘70 e Tano Festa mi presentò Gino. E allora lui veniva a Bologna e ci trovavamo a Bologna, andavamo al nightclub insieme e ci divertivamo, quelle cose lì. Poi siamo diventati amici e lui mi ha fatto un ritratto, poi gli ho sempre comperato delle cose, e ho sempre cercato di apprezzare e di valorizzare le sue qualità. Lui era un artista sopra le righe in generale, era innanzitutto un artista benestante rispetto agli altri, che viveva in albergo e queste cose, poi soprattutto era molto cosciente del suo lavoro, e non ha mai svenduto un lavoro. Lui diceva sempre: un automobile costa tanto che un multiplo, il mio lavoro è un opera d'arte e deve costare molto di più di un automobile.

C.C.: A livello di mercato delle sue opere, quali sono oggi le opere più richieste e quali le opere più trascurate?

E.M.: Mah, le opere più richieste, secondo il mio modesto punto di vista, quando è morto è successo un casino, perché lui è morto e secondo me si aspettava di morire perché quando abbiamo fatto la mostra stava già male. Io lo andai a trovare per agosto lì a Venezia, e aveva il cappotto, aveva febbre altissima, degli ascessi in bocca, gli era uscita la pancia, era gonfio, aveva dei problemi. E secondo me era andato a Londra, e a Londra gli avevano dato il responso. E Lui ha cercato di mettere apposto tutta la sua roba. Il problema di Gino è che finché era vivo lui, era un uomo capace di sostenere il suo lavoro, diciamo che è un artista capace di sostenere il suo lavoro. Ha prodotto non moltissimo di robe concettuali e di robe di pittura, e quelle che ha prodotto 48


sono sul mercato molto affermato e molto rispettato. Tutto quel lavoro secondario, che secondo me è venuto fuori dallo studio quando è morto, secondo me non vale una lira. C.C.: Ad esempio, cioè quando parla di lavoro secondario cosa intende? E.M.: Io ho visto delle robe sul mercato che secondo me son venute fuori quando è morto.

C.C.: Quindi parla della produzione artistica degli ultimi anni?

E.M.: No. Quando un'artista muore c'è un magazzino, cioè le opere note di Gino si conoscono bene quali sono, saranno tre o quattrocento lavori che ha fatto, sono quei lavori li che si conoscono. Lui ha lavorato con Sargentini, ha fatto una mostra con Sperone e una con Sprovieri, ha lavorato un po' con la D'Ascanio, ha venduto qualche quadro a qualche bella signora di Roma, poi ha lavorato con me, con Lia Rumma e basta. Le provenienze sono quelle, quando vedi quadri che provengono da lì e le opere che provengono da lì. All'inizio ha lavorato con Catellani e Pio Monti che avevano l'arte concettuale, poi il disastro è venuto quando hanno messo le mani nella marmellata, ecco. Lì io ho seri dubbi, ho visto delle robe che non mi sono piaciute.

C.C.: Per quanto riguarda il modo in cui la storia dell'arte si sta occupando di De Dominicis, cioè, lui sta entrando nella storia dell'arte come un artista solitario, incomprensibile

E.M.: Ma no, un artista comprensibile, era un artista importante, era un artista che viveva al massimo, voleva sfidare il mondo. A parte che la sua arte, specialmente nella pittura iconografica, quindi nel sistema dell'arte com'è l'icona viene un po' snobbata, da un certo sistema dell'arte , non mi faccia dire perché e per come perché lei è intelligente e lo sa benissimo. Quindi ha avuto coraggio anche in quell'ambiente lì. Se l'Italia, avesse avuto il potere che aveva ai tempi di Giulio II, probabilmente veniva fuori, però il Modern Art gli ha riconosciuto, il grande quadro giallo lo ha comperato. Lui era amato dai grandi, per esempio anche nei video, Gerry Shum gli fece un video straordinario, che era uno dei più importanti al mondo nel fare i video, quindi è sempre stato un artista 49


d'élite. Però, dico, c'era una gran differenza da come gestiva lui il lavoro, e da come lo hanno gestito post- morte.

C.C.: Proprio riguardo il sistema dell'arte, che è un po' un tabù, di come si occupa di lui

E.M.: Ma non c'è un sistema dell'arte, non c'è, c'è una qualche persona che ha una rinomanza su di lui, tutti lo hanno conosciuto, Ginetto qui Ginetto là. Lui era anche una persona che viveva di notte, viveva al bar, quindi era una persona di una simpatia incredibile, che faceva scherzi, giochi di prestigio. La cosa più difficile era fare un contratto con lui, comperare un opera. Una volta che l'avevi comprato e avevi, stavi ai suoi desideri finivi da Quinzi e Gabrieli, o a La Rosetta, a mangiare come un satrapo, ecco, stavi da dio. Era un personaggio molto sopra le righe come posso dire, ma era un artista puro, un artista senza compromessi. Compromessi non ne ha mai avuti, anzi, ha avuto anche molti nemici, però ha sempre avuto una schiera di intellettuali che lo hanno sostenuto. Il lavoro del mongoloide per me è stato un lavoro importantissimo, e là Eugenio Montale, allora lo difese al cento per cento.

C.C.: Parlando proprio delle opere, facendo una ipotesi, se lei dovesse spiegare un opera di Gino De Dominicis ad un probabile acquirente, in che modo

E.M.: Gli direi guarda il segno e guarda il pensiero dell'artista. Se mi trovi qualcosa di meglio compra quelle altre cose, se non trovi qualcosa di meglio compra Gino. Aveva un segno sublime su delle cose, se avevi occhio lo sapevi vedere. C.C.: Con la prima mostra monografica organizzata nel 2007, la prima dopo la morte di Gino De Dominicis..

E.M.: E', dove l'hanno fatta?

C.C.: Ha avuto le tre tappe: a Nizza, Torino e New York

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E.M.: E', quella è una mostra a cui io non ho aderito. E' una mostra che secondo me ha molte mancanze perché Gino non era un artista da esporre, anche al MAXXI, una bellissima mostra, ma è stato troppo esposto. Era un artista che aveva bisogno di misteri, aveva bisogno di un silenzio dietro un lavoro, quando noi abbiamo fatto delle mostre alle fiere, lui creava sempre un ambiente, con una stanza, con un velo nero sopra, creava un mistero nel lavoro. Lì han cercato di esporlo molto violentemente, e allora, fra Roma e Nizza e New York, c'è una gran differenza, vince Roma; han cercato di fare il meglio, è stato bravo il critico che l'ha fatta ma non era molto adatto il museo, troppo esposto, troppa luce per questo lavoro, troppe curve, troppo, troppo distratto. Si vede che ci mancava probabilmente la sua mano, se ci fosse stato lui avrebbe fatto un altra cosa.

C.C.: Quindi, secondo lei, qual'è il motivo per cui in America non è stato..

E.M.: Gliel'ho già detto, è un sistema, perché ha un iconografia. Lei compra quello che vuole, cioè in poche parole: c'è il segno, se in America va l'arte astratta, l'arte non iconica, per un motivo che il mercato è in mano agli ebrei, e non comprano l'iconografia, cioè, hanno ragione, un rispetto totale; è una cultura che non è iconografica la sua, ma lui quando fa questi ritratti, di insum, sono la madre della madonna, sono i primi segni di quei lavori lì, quindi in quel mercato lì non passano neanche se te lo ordina Murri, se te lo ordina non passano neanche perché ognuno dell'arte fa quello che crede, difende i casi propri.

C.C.: Quindi comunque, la situazione storico-artistica..

E.M.: Ma anche perché il sistema italiano è molto servile del sistema americano, non devono pensare di far l'arte in Italia, e basta, cioè non è un problema mica di andare dietro, oggi il grande problema sono i curatori . Cioè io rispetto Vivaldi, rispetto Calvesi, rispetto Bonito Oliva, rispetto Celant, io rispetto tutti questi critici, a questi personaggi che hanno lavorato nell'arte, oggi, come dico, sono tutti dei semiotici. Tutti degli esperti in ricchezza, tutti violenti, vestiti con 51


degli scarponi, che sembrano zorro quando vanno in giro, e hanno il potere. Direttori di musei si vestono da preti, sembrano delle, le donne, sembrano delle matriarche, vestite di nero, sembran delle vestali che correggono il mondo. Io la vedo in un altra maniera l'arte.

C.C.: Come la vede?

E.M.: Come la vedo? L'arte. Esiste arte buona e arte cattiva, gliel'ho già detto, non esiste quello è a mio favore e quello non è a mio favore. Non esiste destra e sinistra, e non esiste America o Italia; ci sono tantissimi artisti italiani degli anni ‘90 e del 2000 che potrebbero andare in tutti i musei, ma l'Italia è sfatta. Ci son tanti artisti, tedeschi, francesi eccetera, che van da per tutto, e di artisti italiani ce ne son tre che vanno, e per fortuna che ce ne sono tre.

C.C.: Quindi secondo la sua visione, quali linee sta seguendo la storia dell'arte contemporanea in Italia, l'arte in Italia?

E.M.: Ma secondo me hanno raschiato il barile, come le ho detto prima, sono andati troppo oltre. Cioè, secondo me il passato serve per creare il futuro; secondo me l'arte si dovrebbe riappropriare dell'arte, l'arte dovrebbe essere fatta in galleria, dovrebbe avere un contatto con gli intellettuali. Perché i poeti non si interessan più di arte come nel Novecento si interessavano di arte, perché i poeti sono in bolletta dura e gli artisti diventan milionari dopo un minuto, quindi c'è una grande soggezione fra le Arti. Mentre una volta erano tutti dei bohémien e vivevano insieme, adesso non vivono più insieme e l'artista è aggressivo; contratti, gallerie che aprono, ci son centinaia e centinaia di gallerie. C'è un troppo pieno, mogli di personaggi pubblici che aprono la boutique come una galleria, ma non c'è nessuno che rischia qualcosa. La mia è l'ultima galleria che fa le mostre e compra tutto il lavoro. E' tutta una finta economia, lavori appoggiati per aspettare, come quando dai i vermi ai pesci per pasturarli, mettono i quadri nelle gallerie per aspettare il fesso che va a comprare un opera. 52


Il gallerista deve creare le mostre e deve essere il primo a rischiare, deve avere una responsabilità lui sul lavoro, poi se è bravo va avanti, se non è bravo chiude. Sono stato chiaro?

C.C.: A proposito delle opere, avrei delle domande tecniche, ad esempio le opere d'arte, quando finisce una mostra, tornano nelle mani del gallerista che le ha messe a disposizione del museo o vengono vendute?

E.M.: Certo, ma vede il gallerista spesso deve vendere. Se è un gallerista d'avanguardia non ha i soldi per tenere tutto ,e il gallerista deve essere quella persona che fa da tramite con la gente, deve vendere i quadri buoni, e basta. La mia grande fortuna sono i quadri che non son riuscito a vendere, da quanti ne ho venduti nella vita cioè, che ho dato buoni consigli alla gente; ma la gente insomma, non so come si possa dire, c'è un troppo pieno.C'è un casino, vogliono tutti andare in fretta. L'arte la devi fare con un disegno; devi dire mi piace questo, oppure seguo quel movimento, seguo quella corrente, seguo quel percorso e lo faccio al meglio, senza aspettarmi niente, cercando di fare un buon lavoro. E se fai un buon lavoro viene registrato, viene affermato, viene fuori di sicuro. Se tu guardi la mia vetrina, ho fatto cinquanta libri, mostre; anche adesso mi diverto a fare libri di poesia, libri di traduzione, perché ho voglia di mantenere questo contatto di grandi intellettuali che sono dispersi. Adesso sto lavorando con Cagnone che secondo me è la mente, il poeta più sommo e più morale che abbiamo i Italia, ma completamente estraneo a tutti questi poteri che hanno i giornali. Per me il Corriere della Sera è diventato come il foglietto parrocchiale quando viene fuori. Se penso che c'era Testori, c'erano dei personaggi del genere, adesso con le persone che scrivono non mi identifico; non mi interessa, mi scrivono dell'amico, del conoscente, non si alzano mai per andare a vedere una mostra, e fan tutto via internet e via lì. Se gli dai qualcosa o se gli insegni qualcosa, se possono avere qualcosa è tutto così, ma non c'è un rapporto di militanza, d'insieme, di dire siamo compagni di strada nel bene e nel male. Quante lotte abbiamo avuto noi, anche nella nostra generazione con quelle precedenti; abbiamo avuto la lotta ma nella lealtà, la lotta vien fatta per cercare di far valere le proprie idee, non 53


viene fatta per far fuori uno o per far fuori un altro, è li il sistema. Perché se non c'era De Dominicis, per dire, Cattelan dove sarebbe? Se fai una storia, io ho rispetto di Cattelan, lui cos'ha capito, ha capito che l'arte era distrutta e ha fatto vedere benissimo questa debacle. Probabilmente essendo italiano, al sistema dell'arte americano non gli interessava far vedere questa debacle, era una botta che davano all'Italia in questo senso, e non c'è stato un critico, non c'è stato un personaggio che è stato in grado di rispondere. Perché Gioni è un ragazzo intelligente ma viene dal Dams, è gente che fa una mossa, fa una strategia, non sono intellettuali, non si intende d'arte, s'intende di semiotica, di sistema, e sono militari e militanti, sono in cinque, se ne prendono dentro un altro deve essere d'accordo con loro, altrimenti ti fanno fuori, ti uccidono.

C.C.: Riguardo al fatto che lei dice, c'è questa militanza per cui nessuno va più a vedere le mostre, si fa tutto tramite internet, anche Gino De Dominicis diceva che le mostre andrebbero viste..

E.M.: Ma senza ombra di dubbio, le mostre alzi i piedini e le vai a vedere. Vedi tutto il mercato che fanno su internet, come fai a vedere l'opera su internet, l'opera la devi toccare, devi avere la fisicità di un opera. Cosa compri un opera come una figurina?

C.C.: Si infatti adesso con le aste che mettono in vendita...

E.M.: Ma sai, ma son tutti più potenti, allora ti dico, quando noi siamo arrivati a New York, all'inizio degli anni ottanta, “Interview” si interessava dell'arte italiana come un fatto di cultura. Son passati dieci anni, chi è entrato in arte? La moda. Ma la moda come ha combattuto le gallerie? Con dei fatturati di miliardi, le ha stese. Però, io mi ricordo le trasmissioni televisive che faceva Armani e questa gente qui, che odiavano l'arte, dichiaravano proprio che non bisogna avere l'arte, e lo dichiaravano in televisione, io ho sentito un intervista a Armani che diceva non bisogna avere opere d'arte in casa. E questi sono entrati con dei mezzi della madonna, poi dopo, passato questo con Saatchi e con questa gente, è entrata l'economia, di un artista compro tutto e diventa il manager,e poi subentrano i paesi, l'Inghilterra che vuol battere l'America, Damien Hirst, e questi sono i paesi più forti al mondo. 54


Allora, Damien Hirst, e poi Cattelan e Jeff Koons con l' America, poi subentra la Germania ti tira fuori Neo Rauch e dalla sera alla mattina te lo fa costare un milione di euro, tira fuori uno come Gursky e te lo fa costare un'ira di dio, e poi Beuys probabilmente non costa un cazzo, che è mille volte più importante di tutti quelli lì. Questo diventa un fatto mediatico, diventa un fatto di semiotica, di esperienza, diventano come le bandierine delle battaglie navali per occupare, e per fare soldi più in fretta possibile.

C.C.: Si, come affermò anche Jeff Koons diceva che l'arte non consiste nel fare un quadro ma nel venderlo

E.M.: Ma certo, ma loro sono arrivati di riflesso da tutta quell'arte lì. Perché naturalmente dopo la pittura si è evoluto il discorso, ma era già evoluto anche prima, quando arrivavi che c'era un pelo e diventava un quadro, oppure uno non so, si masturbava sotto il pavimento, vedi Vito Acconci, diventava un opera, anche interessante, tutto quello che vuoi, diventava il massimo del massimo. Allora c'è stata la necessità di riprendere il discorso, poi la pittura aveva preso il sopravvento nel mondo, c'è stata tutta quell'altra preparazione, non iconografica, fra l'altro, che hanno avuto l'interesse a far fuori. In più, non c'erano più le piccole gallerie o le gallerie a mandare avanti il sistema, perché se pensi che i lavori più belli degli anni sessanta li han comprati in Italia, in Francia, in Europa; Frank Stella negli anni sessanta lo buttavano via, cioè è quello il problema. Non c'è mica niente da dire, è entrata l'economia, e l'economia è capace; perché dopo allora, dagli anni ‘90 al 2000 le banche, poi dopo il gossip, poi dopo l'economia, e dopo la finanza. Oggi chi domina nell' arte è la finanza, che ha delle regole che studia all'università, ma non sono le regole che interessano a me. A me interessano le regole della poesia, mi interessa quel tipo di regola lì, non mi interessa la regola della finanza, per me un artista è bravo non perché costa molto, perché deve essere bravo. Poi naturalmente se è bravo arriva a costare non c'è problema.

C.C.: Sempre nel campo tecnico, le opere d'arte hanno un valore assicurativo, da chi è stabilito?

E.M.: Si, è stabilito, dovrebbe essere stabilito dalle fattura d'acquisto e dal valore reale del 55


momento,in base a quello che hai pagato.

C.C.: Ma hanno sempre avuto un valore assicurativo o è dovuto a questa... E.M.: Si, perché c'è un tacito consenso, il valore delle opere. Che De Chirico costava si è sempre saputo, non so, quando un artista è affermato gli dai un valore, dai un valore e il valore lo assicuri spesso in base a quello che vale ma anche in base a quello che hai pagato l'opera

C.C.: Riguardo alla politica espositiva delle opere d'arte in Italia...

E.M.: Un cesso, qui in Italia vale di più un piccolo comune di provincia con un piccolo assessore, un piccolo lavoro, che è una decadenza assoluta; invece di fare come hanno in Germania , in Germania hanno il Kunstmuseum, il Kunsthaus e il Kunstverein, in Italia ci sono queste gallerie comunali con gli assessori che hanno massacrato l'arte, la hanno buttato via, non si sono mai comprate opere, hanno fatto un casino della madonna, perché, perché non sono andate nelle gallerie a comperare il lavoro; l'arte, e poi, il museo. L'arte, ecco l'arte dalla galleria va al museo, lì adesso c'è il direttore di museo che decide in che galleria deve andare e cosa fare perché la controllano loro. E' diventato un fatto di economia, di controllo economico, che è un altra disciplina te lo ripeto, non è il mio mondo.

C.C.: Lei sa, a livello di mercato, se le opere di De Dominicis stanno andando verso l'estero? Chi le acquista?

E.M.: Le acquistano grossi collezionisti; grossi collezionisti che le hanno e non le vendono, e soprattutto cercano opere classiche, quelle certe, quelle che hanno una provenienza certa.

C.C.: E le acquistano in Italia o all'estero?

E.M.: Le acquistano più in Italia che all'estero, perché fuori cioè, non ha mai, diciamo, ha sfondato ad un certo livello ma non come avrebbe dovuto sfondare. Questo per vari motivi, anche per lui che non sarebbe mai andato, mi ricordo che lo chiamavano da New York, anche Marian 56


Goodman, queste gallerie, ma era un uomo che era quasi impossibile andarci d'accordo.

C.C.: Si c'è l'aneddoto che dice che lui sarebbe voluto andare in America in nave...

E.M.: Si, con la Queen Elizabeth, costava un’ ira di dio, ricordo che andammo a New York, alla mostra della Isabella Del Frate, aveva una limousine lunga dieci metri e aveva un grande appartamento in un albergo, viveva come, viveva come era lui, sopra le righe.

C.C.: Infatti ho letto proprio ieri un articolo in cui Laura Cherubini che riportava degli aneddoti...

E.M.: Ma Laura era una nostra amica, è anche carina, ma è stato un esponente un po' laterale, era una ragazzotta che andava lì dentro, guardava, è più il mito che racconta che la realtà, cioè l'han presa lì, cioè è carina lei, ha buone maniere, ma ha fatto dei disastri anche lei, cioè su Gino.

C.C.: Infatti la mostra del 2007 che andò al ps1 di New York l'ha curata lei

E.M.: Si, ma ne ha fatta una prima a Londra, che fu ancora peggiore, con, con questo qui di Modena, come si chiama questo qui...

C.C.: Secondo lei, arriverà l'arte di Gino De Dominicis ad essere riconosciuta e ad affermarsi all'estero?

E.M.: Ma è già conosciuta.

C.C.: All'estero come in Italia?

E.M.:Ma di sicuro, non c'è problema, un artista importantissimo, ma poi li dipende da altri fattori che a me non interessano. Ma di sicuro,è un artista, l'artista c'è. Metta un opera bella in vendita e vedrà che viene comperata, se la mette in vendita all'estero la comperano, c'è la gente che la compera.. 57


C.C.: Quindi comunque, i fatti legati a..

E.M.: Ma sai, son nate tante porcherie, che non mi fare parlare cioè, c'è stato un casino, cioè è nato un doppio mercato ,ci sono le opere certe che sono attaccate al chiodo , che quando vanno fuori son vendute, e poi c'è la miriade di opere che sono fondi di magazzino, saran buonissime e quello che vuoi ma a me non interessano, ma neanche a lui sarebbero interessate. E questo crea dei problemi, come crea dei problemi a Schifano. Le opere buttate via a cinquanta mila lire, quelle opere lì, quadri seriali eccetera, nei quadri germinali era un genio, degli artisti devi saper scegliere anche i lavori. Se il mercato compra il nome peggio per lui, degli artisti devi sapere la qualità, scusa, quando vai a comperare una fetta di prosciutto te la dan salata, devi avere il gusto di dire è salato, non lo voglio, e come quando compri una bella opera devi avere il gusto, devi avere la scienza e la coscienza, la capacità di comprare una bella opera, altrimenti non comprarlo, non te lo ordina nessuno di andare a comperare un opera.

M.M.: Ciò che De Dominicis aveva stabilito prima della sua morte di distruggere...

E.M.: Ma il suo lavoro era basato su quello, lui avrebbe distrutto tutto, avrebbe distrutto “La Mozzarella in carrozza”, di tutto quel lavoro li, tutto il lavoro concettuale era ridotto, “La Mozzarella in carrozza”doveva essere ridotta ad una foto ricordo della mostra, che significato ha una carrozza del ‘700 con un foglio di carta con scritto Mozzarella in carrozza. Quello era l'happening, che ha fatto, e doveva rimanere il ricordo di questa cosa qui. Lui non gliel'hanno mai permesso di farlo, perché l'aveva venduta e non gliel'hanno mai ridata in dietro, ci ho provato anche io a comprarla per distruggerla, per dargliela e per fare altre cose, perché il suo lavoro era nato sull'happening, su quelle cose lì, era un'idea che rimaneva la foto.

C.C.: Come nel caso di “Lo zodiaco” di cui adesso resta il manifesto..

E.M.: Ma si, ma si, ma tutte quelle opere lì, oppure non so “I quadrati nell'acqua”, oppure non so “Il Giovane e il vecchio”, sono tutte opere dove esiste la foto, quelle lì. Il mongoloide l'aveva 58


esposto, il mongoloide, cosa fai prendi un mongoloide come opera o compri la fotografia del mongoloide? Il suo lavoro era quello lì. Anche lo “Scheletrone”, lui aveva lasciato nel testamento che lo voleva distrutto, non l'hanno distrutto e hanno fatto male secondo me, perché era una sua volontà. Hanno detto che si è suicidato, ma non è assolutamente vero, lui è morto in fretta, lui è morto di paura di morire, aveva una fretta della madonna, stava malissimo e se l'aspettava da un momento all'altro. Ma c'è scritto nel referto,perché lui aveva una miocardite congenita come aveva la mamma, ed è morto come la mamma. Io, quando ho pagato quello che dovevo dare a lui dell'ultima mostra,che era di quel periodo, c'erano gli eredi che avevano gli occhi che gli venivan fuori dalla testa a prendere gli assegni, gli interessavano solo i soldi, non sapevano neanche chi era De Dominicis.

C.C.: Sono gli stessi che hanno fondato l'Associazione?

E.M.: Quelli li, si. Però voi non sapete una cosa, che De Dominicis aveva due eredi dirette, una figlia della sorella della madre, che ha avuto i soldi anche lei quando è morto, e la figlia del fratello del padre, è quella che ha preso tutto e ha fatto tutto. La sorella lì era una donna semplice, una donna, come posso dire, un operaia di Ancona, poi quando si è trovata a dividere la cifra, quell'altra con il marito che lavorava in banca, avevano gli occhi fuori dalla testa che gli strabuzzavano, la lingua che gli pendolava, eccetera eccetera, e cioè, quello è il mondo. Il mondo di fronte al denaro diventa pazzo. E poi dopo io lì non mi metto in mezzo, cioè lì la legge permette queste cose. E’ la legge che permette. Quindi io rispondo del lavoro che ho fatto io e non voglio rispondere di tutto quello, e non mi sento parente di Gino, mi sento molto di più, perché ho sempre rischiato di persona e c'era una profonda amicizia. Dunque, è morto nel ‘98, ci siam conosciuti nel ‘70, dal ‘70 al ‘98, ci siam sentiti tutti i giorni, per ventotto anni, sarà un problema quello lì, non lo so, poi a me non va di raccontare queste cose, c'è anche un po' di privacy della gente, ci sono i ricordi. Invece tutti, Marietto qui, Mario Schifano, e Gino qui, e quell'altro, son tutti lì, poi queste donnette che gli giravano intorno, lui aveva tutta una mise en ensemble, tutte queste donne,che le metteva li con il tailleur, poi aveva un fischietto, suonava il fischietto e diceva: vammi a prendere un crodino che voglio assumerlo per bocca. Andava a prendere il crodino e poi lo pagava, cosa tirava fuori una mazzetta da cento milioni, per pagare due crodini. Oppure 59


aveva un’ arpa, la comperò qui da Pavarotti, la comperò quando c'era qui il Pavarotti day qui a Modena, c'era qui e lui vide un arpa, gli piaceva, la comprò, poi metteva una donna coi tacchi alti, nuda a suonare l'arpa quando la gente andava dentro. Ma questo a cosa gli serviva, gli serviva ad “illamare” i fessi che lo andavano a trovare, lui viveva per vendere i quadri, quindi lui, c'era buio in casa, tutti questi misteri, tutti questi lavori, ti faceva vedere un operina, tu eri il privato che andavi a comperare un’ arte, ti illamava come un pesce, ed era un genio in quel campo lì, per la stupidità della gente non sò io cosa fare, non è mica colpa mia.

C.C.: Tornando al discorso, che lei prima ha accennato, riguardo alla battaglia attiva nel mondo dell'arte, quali sono le persone che combattono questa battaglia, e quale aspetto culturale vogliono far prevalere?

E.M.: Mah, l'aspetto culturale è quello legato al momento, legato all'economia, legato al sensazionalismo per dire. La domanda è un po' difficile, perché in Italia c'è i problema che non c'è un sistema adatto a produrre dei buoni artisti al momento, quindi siamo un po' in difficoltà.

C.C.: Questo a cosa è dovuto?

E.M.: E' dovuto alla debolezza del paese, alla debolezza delle istituzioni, alla debolezza delle gallerie, alla debolezza che non c'è, dopo Celant e Bonito Oliva, non c'è stata una particolare rigenerazione critica, forse gli artisti non sono mancati ma è mancato uno capace di reggere la situazione, se non reggerla dietro al mondo di Gagosian o di Saathchi o dell'Inghilterra o dell'America, di questo sistema qui.

C.C.: Quindi secondo lei ci sarà un modo per risolvere questa situazione?

E.M.: Ma te l'ho sempre detto, c'è con le opere, con il lavoro, secondo me l'Arte si deve riappropriare dell'Arte, la galleria si deve riappropriare dell'Arte.

C.C.: Quindi è una cosa che deve partire principalmente dalle gallerie? 60


E.M.: Ma non dalle gallerie, deve partire da un sistema. Poi ci devono essere dei pensatori che pensino, ma che pensino all'Arte, non pensino al sistema dell'Arte, non pensino all'Arte, l'Arte non è una partita a scacchi, non è dominazione del territorio o qualcosa del genere. E' un fatto che viene molto da lontano, ci vuole, ci vuole preparazione, sperando che le istituzioni vadano avanti, che aprano delle possibilità nelle università, che aprano, che aprano a livello delle facoltà di lettere, che aprano dei dipartimenti dell'arte nell'università il più possibile secondo me.. C.C.: Quali sono i galleristi o comunque le persone che si espongono...

E.M.: Ma le gallerie che in Italia han fatto la storia dell'arte son state quella di Guido Le Noci a Milano, che ha fatto il Nouveau Réalisme, e Arturo Schwarz; a Roma negli anni sessanta c'è stato Plinio de Martiis e Sargentini; poi c'è stato Sperone a Torino, Mazzoli a Modena, e Amelio a Napoli. Di gallerie di questo livello, che hanno prodotto il lavoro in una certa maniera non ne sono più venute fuori, c'è stato De Carlo a Milano che ha lavorato in un sistema più legato ai musei, più legato alla partecipazione di quello che fanno altre gallerie, più che essere lui il pilota di questa situazione, parte di una scacchiera.

C.C.: Quindi sono queste le gallerie che oggi...

E.M.: Ma no, ora siam vecchi, cosa posso dire, le gallerie nuove, tipo io ne ho conosciuti tanti, ma vogliono tutti arricchirsi, tutti in fretta; e sono violentissimi, vanno nelle fiere, per esempio la galleria della Toscana, di San Gimignano. Ma sai non è il rapporto di chiamare qualche artista o qualche critico e lo porti a visitare l'Italia, lo ricevi e lo ospiti e poi fai le cose. Io voglio vedere con il lavoro che artisti hanno fatto, che opere hanno creato, cos'è venuto fuori; allora, t'ho dato un libro di De Dominicis, quelle opere lì sono nate tutte per la mostra, sono capisaldi di De Dominicis. L'arte del fare il lavoro per lasciare una traccia e per lasciare un percorso. Qui la battaglia la fanno in un altra maniera, la fanno sul livello economico, è il potere, solo che economicamente, l'Italia non è forte, non hanno delle regole, ti porto un esempio, le gallerie in generale sono gallerie di modernariato, che fanno il lavoro degli artisti che non hanno fatto loro, e quindi espongono gli artisti col regime del margine. Cosa vuol dire regime del margine, prendono un quadro di un qualsiasi artista, se lo fanno dare dalla nonna, dalla zia, da un privato; 61


il quadro costa 10.000 euro, se lo fanno dare a 9.000 euro e pagano la differenza del margine, il 22% più i diritti di autore di iva. Una galleria che produce un lavoro dall'inizio, in Italia paga, il 202 di iva, quindi non è parificata agli altri paesi; in America, in Francia, in Germania, in Inghilterra, l'arte ha il 7%, e il 7% toglierebbe anche un tipo di evasione, ché tutti la pagherebbero. Il collezionista privato non può detrarre, conosce i prezzi perché girano dappertutto e vanno a vedere, vengono in galleria e ti strozzano, in più devi battere degli scontrini dove paghi delle cifre della madonna e non riesci a lavorare, perché, per una ragione semplicissima, ché il modernariato fa opinione, e ci sono duemila gallerie. Le gallerie che creano il lavoro non fanno interesse politico, non fanno opinione, contano meno di niente; e allora se io tratto un artista con mio figlio a Berlino, lui paga il 7% lo stesso artista, io devo pagare il 22%. E quindi hanno distrutto la galleria e hanno distrutto il principio di lavorare l'arte. Le porto un esempio, l'editoria, lei guardi, io ho la passione dei libri, mi arrivano centinaia di cataloghi, ci son dei cataloghi, anche qui guardi, dei libri, che costano decine e decine di migliaia di euro, sa che iva hanno? Il 4%, non hanno niente, e costa molto di più di una galleria, se tu prendi un giovane artista, che non ha partita iva, lo porti in galleria, vendi della droga più facilmente che vendere dei quadri, non è possibile, le gallerie le hanno uccise perché, perché non fanno opinione, non c'è un sistema che le protegge, che le difende.

C.C.: Quindi è una situazione che va a discapito della cultura..

E.M.: Ma a discapito al 100%, perché non puoi lavorare, non ce la fai, e non fai opinione e quindi non riesci a far fare le leggi. C.C.: Per cambiare questa situazione...

E.M.: Ci vorrebbe uno stato intelligente, ci vorrebbe meno burocrazia, meno tutto, allora se tutti pagassero su tutti gli acquisti un 7% sai chi evade? Nessuno, sai cosa guadagnerebbe lo stato? Un’ ira di dio di soldi che non se lo può immaginare, un 7% lo pagano tutto, ma non può avere una ghigliottina del genere, 20 più 4, ma chi è che lavora con 1/5 del lavoro, poi c'è l'imponibile... C.C.: Ed è sempre stata questa la percentuale? 62


E.M.: Hanno ucciso le gallerie, ci son dei giovani o esistono le gallerie di modernariato come ti ho detto, e son quelle gallerie che vendo Michelangelo, cioè io ti ripeto, se vado alla fiera di Bologna, e vedo centomila artisti, trovo tutto il lavoro che abbiamo fatto all'inizio, quando costava giusto quello che deve costare un giovane artista, poi è andato in giro perché abbiamo venduto il lavoro, e queste qui, gallerie di modernariato, ché anche logico, ma fanno un altro lavoro, è un altro mestiere. Se le gallerie non han rispetto, se i musei fanno degli insider-training, dei lavori, indirizzano su cosa comprare, cosa non comprare, non c'è un giro economico. E' tutto un giro di mi manda picone, mi manda questo, mi manda quest'altro, per illamare qualcuno.

C.C.: Per quanto riguarda il monopolio delle opere da parte degli eredi..

E.M.: Mah, per De Dominicis di opere non ce n'erano, han trovato solo delle croste, poi ci sono state personaggi che sono d'alto livello, tipo la vedova di Fontana che ha creato, non chiedeva soldi per le autentiche, non chiedeva niente e ha fatto l'interesse di suo marito; ci sono altre persone che vedono l'interesse che curano gli archivi e non conoscono gli artisti, si fan dare trequattro cento euro per foto, han fatto migliaia di quadri, diventa un’ azienda.

C.C.: C'è un iter prestabilito per quanto riguarda il passaggio delle opere nelle mani degli eredi?

E.M.: C'è la legge, la legge dice quello, che quando uno muore ci sono gli eredi.

C.C.: Quindi come in tutti i casi...

E.M.: Porto un esempio, per la legge, le madre di Manzoni, che non aveva grandi rapporti con suo figlio (non lo guardava neanche, non sapeva neanche dove era, che facesse l'artista), quando è morto è diventata un erede. L hanno fatto autenticare non so quanti quadri falsi, che per la legge sono buoni, per il mercato dell'arte non valgono una lira. Anche questo sistema delle autentiche è tutta una truffa, l'autentica non dovrebbe esistere, dovrebbe esistere la fattura dell'artista alla galleria. 63


C.C.: Chi è che dà l'autentica alle opere, dopo la morte degli artisti?

E.M.: Gli eredi, dall'artista agli eredi, sono loro, quindi ci sono gente con moglie separati, che vedono i soldi e diventano matti, e si creano dei casini come sono successi con Crippa, con Sironi,con quasi tutti gli artisti.

C.C.: Quindi l'artista non viene tutelato, cioè nel caso di Gino De Dominicis la sua volontà..

E.M.: Ma se fosse vivo De Dominicis scoppierebbe a vedere quello che è successo.

C.C.: Anche riguardo alla mostra al MAXXI E.M.: Troppo esposta, troppe opere, li la mostra è bella, ma lui non l'avrebbe fatta così, l'avrebbe fatta molto più riservata, molto più piccola, troppo esposto. Gino De Dominicis era uno che si nascondeva, l'opera aveva un mistero, li è stato tolto il mistero all'opera.

C.C.: Lei, in che modo affronterebbe un eventuale mostra su De Dominicis?

E.M.: Io la farei con rispetto, come avrebbe fatto lui, col velatino, stanze buie e un opera o due per stanza, illuminate al cento percento, perché le sue opere hanno una fissità, sono immobili cento per cento, avrei dato risalto alle opere. le opere andarle a cercare non metterle a nudo.

C.C.: Quale aspetto mostrerebbe di De Dominicis al fruitore?

E.M.: Mostrerei le opere con il mistero che lui ha sempre dato alle opere

M.M.: Quali opere?

E.M.: I migliori quadri e le migliori opere concettuali, non c'è problema, lui era un artista lui era pittore, nascono tutti pittori, anche Chia che era un arte un po' concettuale,era quella di Chia, 64


cioè fa la transavanguardia con concetto. però nascono tutti pittori, tutta gente, fin da ragazzo si portava dietro una valigia che era piena di migliaia di disegni Gino, diceva guarda come sono bravo, a me ha fatto un ritratto con la mano sinistra, bendato a occhi chiusi ed è venuto meraviglioso; era un funambolo dell'arte, era capace, sapeva usare, era un esteta, e poi soprattutto, di un eleganza esasperata.

C.C.: In che modo gli eredi che oggi posseggono le opere, si stanno muovendo per promuovere il suo lavoro?

E.M.: Io farei come fanno i parsi, lo sai come fanno i parsi? È una comunità religiosa indiana, quando muore il parso mettono sulla pira anche la moglie, io quando muore l'artista metterei tutti gli eredi sulla pira con lui, e farei così, vista l'esperienza che ho io ecco.

C.C.: Loro come si stanno muovendo per promuovere l'opera di De Dominicis?

E.M.: Si muovono come possono, non hanno un’ opera e fanno come possono, hanno il sistema poliziesco delle autentiche.

C.C.: Pensano solo all'aspetto economico?

E.M.: Si, un aspetto che non è all'altezza dell'artista e al contorno che ha.

M.M.: Quali sono i galleristi e i collezionisti, che in Italia e all'estero posseggono le opere di De Dominicis?

I migliori in assoluto, in Italia c'è Calabresi; questo mio amico svedese, lettone che si chiama Guntis Brands, ne ha settanta di De Dominicis quello lì, poi ci son gruppi di persone, poi c'è la Sandretto di Milano, c'è D'Alessandro a Roma, qualche museo importante, che hanno le opere importanti, ma si conoscono. Poi ci sono io che ho un capolavoro a casa di tre metri per tre, è stato esposto alla biennale di Szeemann, quel ritratto li che era esposto lì sulla scala, con il naso. 65


Poi c'è giù a Napoli uno di Lia Rumma che non so come si chiama che lei ha, e poi c'è altra gente che secondo me è meno chiara, c'è connubio di opere buone e opere meno buone in mezzo. M.M.: Ma si combattono fra loro o sono uniti per una rivalutazione di De Dominicis? E.M.: Ma lei mi fa queste domande, De dominicis non ha bisogno di essere rivalutato, le opere buone si sanno quali sono e basta, non c'è bisogno. Purtroppo hanno inquinato il mercato con delle opere che sono estranee.

C.C.: Quindi la mostra del MAXXI non ha rappresentato una svolta, a livello di affermazione di De Dominicis? E.M.: E' una svolta, è una svoltina, però, ti dico, secondo me non era il museo adatto per esporre come sbagliò anche Szeemann ad esporlo alla Biennale quando lo espose. Lo hanno troppo esposto, Gino De Dominicis aveva bisogno di mistero, vedi, dato che lui non c'era, cioè, per me, l'opera finisce quando è morto l'artista. devi rispettare le sue volontà, agire come agiva lui, tutti i collezionisti volevano apparire, han messo fuori dei capolavori, e anche le opere che potevano stare a casa, per quello che mi riguarda.

C.C.: E questo lo hanno fatto sempre mossi dal fine economico, secondo lei?

E.M.: Ma no, perché li non c'era economia.

C.C.:Quindi la mostra non ha inciso a livello di mercato delle opere di De Dominicis, prima e dopo la mostra? A livello generale c'è stata una rivalutazione economica?

E.M.: Gino De Dominicis è sempre stato super valutato Gino De Dominicis è sempre costato di più degli altri, perché lui non li regalava i lavori. Gino De Dominicis quando gli altri artisti costavano uno, lui vendeva dieci, quindi lui alla base cioè, è venuto a mancare; con la sua morte un rispetto per la selezione delle opere totale ecco

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2.3 Intervista a Italo Tomassoni

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C.C.: Lei Ha due vite parallele: è avvocato penalista e direttore della Fondazione De Dominicis, come si spiegano in lei questi due ruoli così diversi?

I.T.: Questa è una cosa molto antica che probabilmente appartiene al dna di chi vi parla, perchè io ho cominciato a occuparmi di Arte come artista, come pittore perchè sono un disegnatore molto dotato. Disegnavo benissimo fin da ragazzino, ho fatto sempre il pittore. Poi a un certo punto ho deciso, agli inizi degli anni ‘70 di cominciare a scrivere. Ho pubblicato il mio primo saggio nel 1963, con una casa editrice, che tra l'altro era molto prestigiosa, era Edizioni dell'Ateneo all'università, e pubblicai “Per un ipotesi Barocca”, un libro che per la prima volta poneva un rapporto di relazione fra l'Arte contemporanea ed il barocco. Era una forma di abbinamento che non era mai stata fatta da nessuno, ad eccezione di un piccolo saggio di Gillo Dorfles che aveva fatto il rapporto fra Architettura moderna e Architettura barocca. Da quel momento ho cominciato a scrivere, e nel frattempo mi ero già laureato in giurisprudenza, e siccome la giurisprudenza mi consentiva di fare un mestiere che mi poteva rendere libero, nel senso di non avere necessità di trovare la sopravvivenza attraverso i mezzi della cultura ho continuato a fare questo lavoro di avvocato e contemporaneamente a sviluppare il lavoro di critico. Entrambi si sono sviluppati in maniera assolutamente armonica, non sono mai stato un uomo a una dimensione, ho sempre sviluppato i due settori con la stessa intensità e con la stessa passione. Sono tutti e due venuti bene, perché con la professione ho costruito una solidità che mi ha consentito di essere sempre libero anche nel mondo dell'Arte, di non dover sottostare a nessun tipo di richiesta o di condizionamento, e questo nonostante che il mio primo grandissimo maestro, Giulio Carlo Argan , mi avesse più volte sollecitato all'idea di andare a Roma, di fare il suo assistente. Con Argan si è sviluppato un rapporto di grandissima collaborazione, addirittura ha fatto la prefazione per due miei saggi, uno che si chiama “ Lo spontaneo e il programmato”con Laboratorio delle arti a Milano, uscito nel ‘71, e un altro che invece è “Ipermanierismo”, un libro nel quale Argan ha fatto una prefazione che è veramente molto toccante perché sembra una sorta di testamento, di congedo culturale rispetto all'attività che lui aveva svolto fino a quel momento e alle grandi idee sulle quali aveva creduto, e sulle quali io cominciavo a non credere più. Ma 69


adesso non vorrei essere troppo autoreferenziale, ho risposto soltanto a questo per dirle che mi estrinseco molto bene in tutte e due le attività, devo dire che quando faccio l'avvocato sento la nostalgia della critica e quando faccio la critica sento la nostalgia dell'avvocatura. Anche perché l'avvocatura è un grande campo di verità, l'avvocato soprattutto penalista vede la verità da dietro la scena, nei retro scena reali non nell'apparenza del teatro, quindi è proprio l'opposto dell'estetica che invece è il dominio del visibile e della spettacolarità

C.C.: Proprio riguardo all' Ipermanierismo, lei negli anni 80 ha appoggiato questa corrente orientata a un ritorno all'immagine tradizionale, artigianale. Anche Gino De Dominicis, nella sua visione critica rientra in un filone “reazionario” dell'Arte?

I.T.: Si ma per ragioni diverse. Nel 1978-79 il mio rapporto con Carlo Maria Mariani ed altri artisti, più o meno di quella direzione , aveva fatto capire che c'era una grande crisi della modernità. Stavamo andando verso l'autunno della modernità e allora, a certe mode che in quel momento andavano (che erano quelle appunto dei grandi spazi, del''illusione americana, dei loft, delle fabbriche dismesse, degli artisti che volevano costruire come se fossero degli operatori eccetera), si stava facendo strada l'idea di una nostalgia per la pittura, per il mestiere, per gli spazi piccoli, per gli studioli, per la concentrazione e anche un po' per quello che poteva essere il mistero della pittura, il mistero della storia, il mistero della rappresentazione. E anche l'interrogativo sul perché ad un certo punto, alla fine del secondo millennio, improvvisamente è venuto meno l'istinto, la necessità della rappresentazione. Questa rappresentazione si convertì in una ripresentazione, e allora furono rielaborati certi temi che erano appunto quelli del classicismo, e io scrissi un articolo molto lungo, molto dettagliato che si chiamava “del classico” , intorno agli anni 79, in cui dicevo appunto che il classico era nient'altro che la smorfia della modernità, cioè, una forma proprio di modernità stravolta ma che comunque era piena di significato. In quella direzione, tornare alla figurazione, alla pittura significava fare un operazione altamente sovversiva, altamente eversiva e destabilizzante rispetto a quello che era l'accademia, ormai, della modernità che si sviluppava attraverso le parole d'ordine che erano appunto quelle delle grandi gallerie, dei grandi musei, dei grandi 70


collezionisti e in cui erano sempre gli stessi nomi che circolavano. Questi artisti che invece si riproponevano di ripensare la storia dell'arte, di ripensare il mistero della pittura, di ripensare la capacità della mano, dell'artigianalità e anche della storia dell'arte, della grande tradizione della storia dell'arte, tutto esercitava un fascino molto forte. In quel periodo io coniai un termine che non esisteva nel lessico della storia dell'arte che si chiamò appunto Ipermanierismo, che si contese il primato con l'Anacronismo, che aveva creato Maurizio Calvesi, con cui abbiamo collaborato anche in mostre importanti, e con la pittura colta che aveva creato Italo Mussa, una persona molto per bene. Io mi sono divertito a fare una specie di raccolta del lessico della storia dell'arte creando questa parola che prima non esisteva, che è stata recepita e ho una bibliografia indeterminata. Naturalmente a dispetto di quello che potevano pensare certi artisti questa non era una corrente, altrimenti si sarebbe rientrati nella solita economia delle correnti della contemporaneità, era semplicemente un sentimento, un forte richiamo epocale e soprattutto, io credo, uno stato esigenziale. Questo naturalmente ebbe una sua durata, però non aveva né la progettualità, né la forza per poter modificare un andamento delle cose, tanto più che nel frattempo si stava facendo strada il concetto di post moderno che rea appunto una sorta di arresto del grande flusso dell'Avanguardia, che aveva trovato una specie di chiusa, di barriera nel quale si accumulava tutto, ed è una situazione che ancora domina. Vengo adesso alla domanda che ha fatto, questa situazione in qualche modo reazionaria, in qualche modo anacronistica, ma soprattutto direi inattuale, può riguardare De Dominicis, si. Lo riguarda ma in modo completamente diverso, Gino De Dominicis non aveva nessuna nostalgia, non aveva nessun sentimentalismo, non aveva nessuna debolezza nei confronti né della storia dell'Arte né dell'immagine, né della manualità né della pittura. Era un artista che era profondamente inattuale, nel senso che lui diceva: io sono un artista antidiluviano, cioè io mi trovo in una situazione che sta addirittura prima del diluvio, e non a caso le sue muse ispiratrice erano le icone della civiltà sumera, di Gilgamesh e tutto quello che gli sta intorno. Questa situazione fece si che lui si portasse in una condizione di assoluta anomalia, di assoluta distonia rispetto a quello che succedeva in quegli anni, sia nei confronti dell'avanguardia dell'arte concettuale, dell'arte povera, dell'arte minimale, di tutto quello che conosciamo dell'avanguardia, sia nei confronti di questi tentativi di resistenza che appartenevano all'arte della 71


memoria diciamo. Questa situazione fu per lui completamente scartata, saltata e per un grande balzo all'indietro che poggiava su presupposti di fondo che sostenevano la sua visione del mondo e delle cose cioè l'immobilità dell'universo, la non esistenza di una storia intesa come fluire, come freccia direzionale, la dimensione assolutamente immobile della bellezza, e i misteri dell'arte che sono appunto quelli della immobilità, dell'invisibilità, dell' ubiquità e quelli delle sue quattro soluzioni di immortalità. Soltanto tre delle quali sono state riferite e la quarta resta il suo grande mistero. Anche lui era un profondo inattuale, un grandissimo reazionario ma di una reazione spropositata, che appunto andava altre la storia, che andava oltre la numerazione secolare del nostro modo di concepire la storia del mondo e la storia dell'arte in particolare.

C.C.: Con quali artisti ha stabilito i rapporti più interessanti?

I.T.: Beh io credo di essere vissuto all'epoca dei grandi giganti, dei grandi maestri, perché io ho avuto un rapporto molto forte con Alberto Burri, un rapporto fraterno, di grande collaborazione, di grande amicizia, di grande stima, e quindi, Burri è stato uno dei miei momenti più alti di riflessione sul concetto dell'arte. Un altro artista con cui ho avuto un grandissimo rapporto è stato Joseph Beuys, che era un artista che non solo ho avvicinato a Burri, in quello ormai mitico incontro che feci a Perugia, dentro i sotterranei della Rocca Paolina nell'aprile del 1980, ma perché poi ho seguito proprio il suo lavoro e tante altre iniziative che ho coltivato insieme a Lucrezia Domizio Durini che è stata, e che è tuttora , una delle sue appassionate e tenaci interpreti. Poi un rapporto con Giulio Paolini, per il quale scrissi un saggio molto approfondito, molto analitico sulla sua storia, poi un rapporto con l'arte concettuale in particolare con Joseph Kosuth, penso di aver scritto in un articolo che si intitolava “Dall'oggetto al concetto, elogio della tautologia”, probabilmente è stato il primo articolo italiano sull'arte concettuale. Io ero stato da poco a New York, avevo visitato la mostra da Seth Seagal sull'arte concettuale e fui molto impressionato da questa situazione che faceva confinare l'arte con la filosofia e scrissi un saggio molto approfondito su Joseph Kosuth. Parlo dei viventi diciamo. Poi ho avuto naturalmente Gino De Dominicis e, nel mondo degli artisti cosi detti anacronisti 72


questi Carlo Maria Mariani, Omar Galliani, poi tantissimi altri che adesso nemmeno ricordo, però ci tengo a dirle che tra i numerosissimi lavori che io ho fatto, perché la mia scheda bibliografica ammonta a circa 700 voci, una cosa sterminata che spaventa anche me quando la vado a rivedere, ci sono 2 saggi che trovo importanti, uno su Mondrian che è stato tradotto in tutte le lingue del mondo, e uno su Pollock che è stato tradotto anche da Flammarion a Parigi nel 69, che mi piace ricordare perché nel ‘71 Jean Francois Lyotard pubblicò “Discours Figure” e si pose in relazione con questo mio saggio. Evidentemente, io non ho conosciuto Jean Francois Lyotard che come lei sa il più grande filosofo francese del XX secolo, l'autore della definizione di post moderno, lui evidentemente vide a Parigi questo libretto su Pollock, lo lesse e stava scrivendo “Discours Figure dopo due anni e fece una lunga nota, lui polemizzava con il mio testo che io avevo visto l'immagine di Pollock in termini in qualche modo esistenziali e lui invece si discostava e proponeva una lettura più rituale. Ecco lo ricordo per dirle che ho avuto un rapporto di grande collaborazione con i vivi ma anche con i morti, sia con Pollock, che poi sono stato in America tre volte a vedere la sua casa ad East Hampton, che attualmente è la “Pollock house”, una sorta di fondazione dove studiare il suo lavoro, e sia Mondrian che ebbe l'entusiastica prefazione di Giulio Carlo Argan, il quale ebbe una punta polemica nei confronti del suo grande avversario, che era Carlo Ludovico Ragghianti, e lui disse: “finalmente il tuo saggio fa giustizia al librone di Carlo Ludovico Ragghianti”. Non era vero perché il mio fu un saggio molto sciolto, molto più veloce, quello di Ragghianti era un librone, ma siccome lui non vedeva di buon occhio Ragghianti, uscì con questa frase che a me fece molto piacere. Poi naturalmente la frequentazione di grandi personaggi della cultura come Ugo Spirito, come Rosario Assunto che era un mio grandissimo amico, come Giulio Carlo Argan che è il maggiore, e poi dopo successivamente con quelli più giovani come Germano Celant, con Achille Bonito Oliva, con cui ho avuto il dispiacere di dover divorziare per un lungo periodo di tempo ma che adesso invece questo divorzio si è ricomposto e adesso lavoriamo molto bene e abbiamo lavorato a fondo insieme per la mostra del MAXXI.

C.C.: Come si è evoluta negli anni la sua amicizia con Gino De Dominicis?


I.T.: La mia amicizia con De Dominicis si è evoluta nel senso che lui era un despota, per cui con lui bisognava fare assolutamente e solo quello che voleva lui, io, lui sapeva perfettamente che facevo l'avvocato, andavo da lui tutte le settimane. In genere facevo weekend a Roma, partivo di sabato poi tornavo il lunedì, ma lui mi chiamava tutte le sere alle cinque, alle sei del pomeriggio, e io avevo la gente davanti, persone con cui dovevo parlare eccetera, un ora di telefonate, lui se fregava delle difficoltà magari di quel momento. Gino l'ho conosciuto immediatamente dopo, io sapevo chi era, però non ci conoscevamo, e l'ho conosciuto immediatamente dopo la mostra di Contemporanea di Roma. C'è una foto, che proprio sta mattina rivedevo molto curiosa in cui, sono proprio i primi tempi della nostra amicizia, probabilmente è del ‘74. E’ curiosissima perché ci sono io e c'è Gino che si nasconde dietro i cuscini come sempre. Non ricordo quando esattamente io l'ho conosciuto, mi ricordo che andavo a Roma la notte nei nightclub, e lo vedevo che lui girava come uno sparviero, io non lo conoscevo però sapevo chi era, lui non mi conosceva ne sapeva chi fossi, però io lo vedevo. Mi ricordo, c'era un nightclub fuori Piazza del Popolo, dalla parte di piazzale Flaminio, si chiamava “L'Ippopotamo” e mi ricordo lui seduto in cima ad una specie di gradinata da solo, sempre vestito di nero e io ero un po' affascinato da questo artista, dopodiché l'ho conosciuto e abbiamo avuto un rapporto sempre straordinario, però con delle pause. A un certo momento io decisi di fare una cosa molto importante che si chiamò successivamente “Anno 1”, ma che in realtà era una sorta di coinvolgimento degli artisti in una dimensione spettacolare, io ho fatto degli studi sul rapporto fra l'arte e la teatralità. Allora io ero molto amico del direttore del teatro Quirino e gli proposi un grande evento, che adesso non ricordo quando si fece ma ci sono i cataloghi, comunque, siamo nell'80, coinvolgevo una serie artisti, ciascuno dei quali avrebbe fatto una sorta di performance teatrale da fare dentro il teatro Quirino (che era uno dei teatri maggiormente qualificati sul piano della cultura, dell'intellettualità. Era il teatro di Carmelo Bene, il teatro di parola). Questa idea mi affascinò moltissimo, lavorai molto a lungo su questo con il consenso del direttore e coinvolsi gli artisti con cui lavoravo, Gino De Dominicis, Emilio Prini, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini, Vettor Pisani. Ognuno aveva fatto una sua storia, Prini disse “io canterò un pezzo di opera, di melodramma”, 74


Gino De Dominicis mi disse “io non ti preoccupare farò una cosa”, ma non mi disse che avrebbe fatto, Paolini forse presentava l'Apoteosi di Omero, Pistoletto mi disse “io porterò della gente che farà una sorta di lavoro corale”, poi c'era Vettor Pisani che avrebbe fatto una delle sue operazioni sull'alchimia. Lavorai quasi un anno su questo progetto e alla fine quando tutti erano d'accordo e tutto era definito, ci fu una bellissima cena in un ristorante a Roma in cui venne anche il direttore del Quirino, al quale presentammo il progetto, con tutti gli artisti presenti, venuti appositamente, e presentammo questo progetto. Tutto era pronto, finita la cena mentre ci stavamo salutando Gino disse: “ecco adesso che ho capito benissimo che cosa si deve fare ti dico che questa cosa non si deve fare”, e mi mandò tutto a monte. Questa situazione non fu completamente perduta perché io feci un bellissimo lavoro, si chiamò “Anno 1” con Michelangelo Pistoletto, tutta Roma era presente, c'era l'assessore Nicolini, tutte le autorità. Io mi ricordo che stavo nel camerino del direttore e chiedevo notizie, “quanta gente c'è?”, ed era tutto pieno, poi quando venne fuori Pistoletto con gli uomini che si erano portati le sculture sulla testa, fu una cosa molto storica, eravamo nel 1981. Però Gino mi fece questo bidone no, era un po' nella sua linea, tuttavia il nostro rapporto continuò molto profondamente fino al 1983-84 anno in cui io mi interessai molto affondo della questione dell'Ipermanierismo. Allora lì, il rapporto con Gino si allentò un po', lui continuò il suo lavoro e per me che lo leggevo ancora, in quel tempo in maniera abbastanza esterna, mi sembrava un po' troppo vicino alle declinazioni delle Avanguardie, e allora io mi dedicai appunto a Mariani, a Galliani eccetera. Lui dissentiva completamente, diceva “sono illustratori, ma no, tu abbassi il tuo livello, non è così che devi fare” ecc. e il rapporto si sciolse. Fino a che nel 1986, lui fece una grande mostra alla sala dei Camuccini di Capodimonte a Napoli, e in questa mostra un giornale napoletano, un critico napoletano, scrisse che in fondo Gino De Dominicis aveva deluso perchè aveva riproposto delle cose che già si conoscevano, che aveva riproposto cose già storiche e che non c'era niente di nuovo. Quello non aveva capito che Gino De Dominicis non cercava il nuovo ma lavorava sul cerchio e sulla ripetizione; e io feci un articolo in quel periodo, lavoravo con Avanti, in cui precisai queste cose e dicevo quello che pensavo su Gino De Dominicis, su questa mostra. Gino fu sbalorditivamente entusiasta di questo articolo e disse “questo è il più bello articolo che è stato fatto su di me”. Mi fece scegliere una piccola opera, che lui diceva “queste non sono opere 75


sono amuleti, servono per portare fortuna, scegli quella che vuoi”. Dopodiché disse “a questo punto dobbiamo fare un lavoro insieme”, e dall' 86 all' 88, per due anni , abbiamo lavorato a quattro mani in una maniera veramente logorante, maniacale e ossessiva su un articolo che poi uscì su Flash Art (che era “Il Caso Gino De Dominicis”), che lui considerava l'unica fonte attendibile della sua bibliografia, tant'è che quando ci fu la mostra “Italian Artist in 20 Century”, alla Royal Accademy di Londra, lui mise nella bibliografia soltanto questo mio articolo e quello di Germano Celant, di tutta la sterminata bibliografia che poteva vantare. Questo perché quell'articolo gli piaceva tantissimo perché l'avevamo scritto insieme, sostanzialmente io avevo dato forma un pochino più tecnica ed elegante alle sue idee. C'era stato anche un altro fatto, che io tornando da un viaggio in Europa in macchina avevo saputo che c'era la mostra di Gino da Emilio Mazzoli e decisi di andare a vederla, questo è successo prima del nostro riavvicinamento

C.C.: Si perché è partita da Modena e poi è andata a Capodimonte..

I.T.: Ecco, brava. Allora io sono andato a vedere questa mostra e sono rimasto sbalordito da questa bellezza, e allora Mazzoli mi disse “vuole chiamarlo Gino?”. Lui era onnipresente, era sempre li a controllare, lo chiamai e lui mi disse “rivediamoci”, e poi dopo di questo venne Capodimonte e poi l'articolo. A quel punto, questo articolo è diventato il suo punto di riferimento, gli piaceva, ed io ero il suo critico ufficiale. Da quel momento cominciammo a scrivere un altro lavoro, che io non ho mai pubblicato e che probabilmente mai pubblicherò, di cui ho un grande volume con tutte le sue correzioni, le sue parole, le sue scritte, le sue cancellature, i punti esclamativi eccetera, che doveva essere la monografia su di lui. Un lavoro eccezionale che io non ho mai voluto mostrare a nessuno, tutti mi hanno chiesto di pubblicarlo ma non potrei mai farlo soprattutto dopo la sua morte, e per il quale lui mise da parte una serie di fotografie con le quali voleva corredarlo, che però non erano fotografie di opere, perché lui non voleva che le opere venissero pubblicate, ma erano fotografie di fiumi, di paesi, di alberi, di animali, di persone, cose molto strane. E poi aveva fatto il menabò che io ho, aveva fatto un librone molto alto, dicendomi “questo è il nostro libro “e io gli dissi “si ma se non 76


mettiamo le fotografie -aveva fatto un libro che sembrava un messale, che ovviamente conservo bianco- dobbiamo pubblicarlo con le lettere corpo dieci” e lui disse “mettiamo le fotografie però saranno queste”. Aveva una valigia di zinco bianca con tutte le fotografie che avrebbe voluto utilizzare per queste cose, io ho saputo dopo che lui le ha distrutte quando stava male e disse, mentre le stava distruggendo “figurati come si incazza Italo quando viene a sapere che ho distrutto le fotografie che avevo messo insieme in tanti anni di lavoro”. Si è evoluto così il nostro rapporto, dopo l'articolo dell'88 il rapporto è stato di grandissima collaborazione, di grandissima complicità. Poi purtroppo si è concluso che l'ultimo giorno mi ha chiamato, noi andavamo in vacanza insieme a Venezia, facevamo i viaggi insieme, eravamo in un rapporto di grande simbiosi, lui non voleva avere rapporti con nessuno, se ne fregava dei critici, degli storici, buttava via i cataloghi che riceveva, e poi l'ultimo anno non andammo insieme a Venezia. Non capii perché non aveva invitato come sempre faceva tutti gli anni a settembre. Mi telefonava continuamente, mi diceva “sai io dormo poco, dormo quasi niente, è una settimana che non dormo mai che dici sarà grave?” Lui non andava dai medici, il 27 novembre mi telefona e mi dice “vieni giù subito”, con una voce che non era più la sua. Trovai tutte le opere oscurate e una serie di opere al muro con sotto scritto “questo quadro è di Italo Tomassoni”, già, questa grande generosità. Questo grande trapasso, ma che lui avesse capito anche che non doveva dire che questo me lo lasciava, se no c'erano dei problemi anche di natura fiscale, giuridica, lui aveva scritto “quest'opera è di Italo Tomassoni”, come se fosse stata mia e io gliela avessi prestata per rivederla o per tenerla lui eccetera. Quindi non c'è stata una vera e propria evoluzione, è stato sempre un grande momento, una grande eternità di grande creatività dall' 86 in poi. Prima invece c'erano stati questi momenti diciamo più sfilacciati, anche perché lui infondo non si fidava molto di nessuno, quando aveva capito che io ero una persona estremamente leale, che non avevo secondi fini, non avevo nessuna finalità diversa da quella della passione per la sua opera e per l'arte, allora lui si aprì completamente. Quando è morto io non ho voluto parlare con nessuno, ho avuto telefonate dal Tg1, dalle Principesse romane che volevano parlare con me, per un mese e mezzo non ho rilasciato dichiarazio77


ni, mentre tutti, il giorno dell'autopsia c'era gente che con il telefonino cominciavano a dire che erano amici di grandi stagione, di grandi tempi, io non ho voluto parlare con nessuno. Ho rotto molti rapporti, anche importanti, con gente che immediatamente voleva fare qualcosa, che invece secondo me non si doveva fare nulla. E ho iniziato un’ attività di grande sbarramento, sono diventato anche molto impopolare perché ho avuto anche difficoltà nei primi anni, ormai sono passati dodici anni, io quando ho iniziato a vietare l'uso delle fotografie sono diventato impopolare, fino a due anni fa, quando Achille mi ha detto “adesso abbiamo capito che tu hai lavorato per Gino, per noi”. Comunque adesso tutto questo è passato, la gente ha capito che abbiamo fatto un lavoro nell'interesse esclusivo della cultura, tutti hanno capito che io non avevo nessunissimo interesse di nessuna natura, e tanto meno patrimoniale o economico. Le cose che io ho di Gino le tengo e non le venderò mai, non le mercificherò mai a meno che non dovessi fallire, e quando la gente si è resa conto di questo è stato possibile che io raccogliessi tutto questo materiale per pensare un catalogo e questa mostra, tutte le mostre io le ho osteggiate, come sapete, però questa era una mostra che finalmente doveva dire dopo dodici anni: questo è un grandissimo artista. In America mi dicono “ma come mai noi non siamo venuti a conoscenza di questo artista?”e io dico “perché lui se ne fregava dell'America”, voi sapete la questione della mostra della Raybourn Foundation, tanto per dire che era andato lì, è stata una mostra particolarmente speciale, dove lui non ha voluto i cataloghi. La Raybourn gli disse “guarda che se in America non hai un pezzo di carta non ti presenti, la gente non capisce di cosa si tratta”, e allora lui fece fare le fotocopie del mio articolo, quello di “Flash Art” e poi in omaggio, per una questione di ospitalità dato che ci trovavamo in America, fece fare “Art Forum” con l'articolo di Celant. La cosa buffa era che, per fare capire il personaggio, lui ogni sera levava le fotocopie di Celant e le buttava nelle fogne di New York, quelle che fumano hai presente? E la Raybourn diceva “ma come mai tutti vogliono quella di Celant e rimane solo quest'altro?” E lui diceva “si, si” e poi ogni sera lui le buttava via, perché non credeva a quello che aveva fatto qualcuno senza le sue indicazioni. Per questo le dicevo all'inizio che lui era una specie di despota, perché teneva il gioco di tutto, anche con la morte il gioco lo ha condotto lui.

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C.C.: Proprio riguardo a questa sua volontà di gestire cataloghi, articoli, a lui sarebbe piaciuta questa sua iniziativa dell'Associazione?

I.T.: Forse no

C.C.: Ne avete mai parlato?

I.T.: Con lui no, ma chi pensava. Io questa cosa la feci appena quest'uomo è morto, così all'improvviso, che ha sgomentato tutto, la gente non ci credeva, pensavano che fosse una trovata. Cominciai a sentire immediatamente la gente, che appena si resero conto che effettivamente era sparito partivano tutte le grandi iniziative di mercato, di speculazione, allora io radunai quelli che erano stati i suoi primi esercenti, e i suoi amici ultimi, Trombadori, Sgarbi, cioè quelli che andavano la notte in giro con lui eccetera, e gli ho detto “facciamo una cosa per tutelare il nome, l'opera, l'integrità di questo artista”. L'unico artista al mondo che non aveva un catalogo che non aveva una fotografia, che andava dentro le biblioteche nazionali per cercare nelle enciclopedie dove c'erano fotografie sue e le strappava di nascosto per evitare, non era possibile che appena morto tutti cercassero di vendere la pelle di quest'uomo. E allora ho creato l'associazione proprio per questo, poi dopo in realtà le battaglie le ho fatte tutte da solo, la gente si è un po' persa, ho coinvolto Maurizio Calvesi e Alberto Boatto che erano stati i primissimi ad occuparsi di questa cosa, ho escluso i mercanti, non c'era nessun mercante, non c'è nessun mercante, ho messo gli amici, gli ultimi testimoni e i primissimi, e abbiamo fatto questa cosa, Giorgio Franchetti fra gli altri, fra i collezionisti più rilevanti. Però se adesso lei mi domanda se a Gino sarebbe piaciuta, io posso dirle una cosa, in dodici anni, che ho fatto tantissimo, dalla raccolta del materiale, avrò tre biblioteche piene di materiali, alla mostra che abbiamo fatto al MAXXI, agli articoli che ho scritto, al catalogo che sto facendo ormai da tre anni con “Skira”, non ho mai avuto un segnale negativo, mai. Io a casa mia ho un suo divano, dove ritengo che lui lì, in alto, l'ho messo sopra al salone, invisibile che controlla, non mi ha mai dato un segno, quindi io penso che vada tutto bene.

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C.C.: Oggi l'Associazione che ruolo ricopre?

I.T.: L'associazione continua a tutelare l'artista, ma ora le grandi battaglie sono finite, non ci sono più avversari, hanno capito tutti come stanno le cose, che tutti lavorano nell'interesse di costruire un immagine forte di questo grandissimo artista, che è uno dei più grandi artisti del XX secolo, che però per sua volontà era poco conosciuto. Lo continuiamo a preservare però è chiaro che ormai le fotografie vengono autorizzate, le mostre se si fanno, purché siano sempre all'interno di una gabbia culturale seria, si devono mantenere, la mostra del MAXXI io stesso l'ho incoraggiata mettendo a disposizione tutto il mio archivio, altrimenti non si faceva la mostra se non c'erano i miei materiali. E collaboro con tutti quelli che seriamente vogliono fare delle cose, fra cui anche Miriam che ha fatto la mostra a Spoleto. Quindi voglio dire, l'associazione c'è sempre, in realtà “l'association c'est moi”, perché si sono un po' squagliati tutti, ma è normale anche perché io sto a Foligno e tutti gli altri a Roma. Però per le grandi occasioni, con Trombadori ci sentiamo sempre, con Sgarbi quando è possibile, abbiamo fatto queste cose importantissime con la Calamita Cosmica, portandola a Bruxelles a Parigi, nella piazza del duomo di Milano, che era la più grande provocazione della storia, perché nessuno si era mai azzardato di mettere un opera d'arte contemporanea davanti al duomo di Milano, anche con Sgarbi abbiamo fatto delle cose di grande temerarietà culturale. Abbiamo fatto una serie di cose per far capire chi è questo grande artista sia pure con dei messaggi intermittenti, lampeggianti. La mostra di Roma è stata forse la prima mostra antologica organica, perfino troppo, io avrei fatto qualche taglietto, però insomma, il curatore era Achille, io più di tanto non potevo fare, e poi comunque ho creduto che fosse giusto così perché ho pensato che fosse giusto, finalmente farlo conoscere al mondo. Adesso forse riprenderemo con delle situazioni più lampeggianti, anche il mio catalogo, sul quale sto lavorando da dodici anni, sarà un catalogo ragionato delle opere, non sarà un catalogo generale.

C.C.: Come sta affrontando questo progetto?

I.T.: Catalogo ragionato significa riprodurre soltanto quelle opere che stanno all'interno di un percorso intellettuale, culturale, di idee, che serve a costruire a far conoscere le parti principali, 80


le opere di De Dominicis rimangono inespugnabili, però con questo catalogo ci si può addentrare un po meglio, nel suo mistero e nelle inespugnabilità delle sue opere.

C.C.: Riguardo alla volontà di De Dominicis di distruggere le sue opere nel periodo precedente alla sua morte, in che modo ha influito sulla gestione delle sue opere?

I. T.: Dunque, intanto devo dire che da questo punto di vista lui si è comportato non solo in modo coerente ma anche in un modo coerente con quello che fanno tutti i grandi artisti, lui ha distrutto le cose che ha ritenute non raggiunte o non finite per cui tutta quella serie di opere, il materiale d'archivio che ha distrutto, lo ha sfettucciato. L'ho dovuto ricostruire tutto, è stato un lavoro bestiale. Lui aveva un sacco di cose, in una stanza polverosa, e aveva mucchi di cataloghi che riguardavano lui, purtroppo quello ha distrutto tutto, ma le opere, queste grandi tavole nere che noi abbiamo trovato oscurate, erano sicuramente quelle non finite, non raggiunte, non condivise. La prova che lui non volesse essere completamente dimenticato e che non volesse essere totalmente distrutto sta nel fatto che lui ha fatto la sua ultima grande mostra dentro le stanze del suo atelier, della sua dimora, e ha messo queste opere importantissime, forse sette non mi ricordo. Una era dedicata a me, una dedicata a un'altra persona, una era li perchè doveva fare un ritocco e doveva essere restituita, dunque lui ha fatto la mostra e quelle opere non le ha distrutte, quelle opere le ha lasciate, quindi evidentemente una volontà per rimanere, sia pure con le punte di maggiore eccellenza della sua produzione.

C.C.: Fra le realizzazioni dell'Associazione c'è la collaborazione con il Moma per la mostra “Modern Despite Modernism” nel 2000, come è nato questo progetto?

I.T.: Mah, collaborazione è una parola grossa che io vorrei che fosse vera, ho collaborato con la Biennale di Venezia e con Harald Szeeman quando abbiamo fatto la prima Biennale dopo la morte di Gino, la prima mostra che era una rivelazione della sua morte e io feci il testo con il catalogo. Con il Moma semplicemente ebbi una telefonata, o una lettera, adesso non ricordo bene, da parte del Moma, in cui mi si chiedeva l'autorizzazione a pubblicare nel catalogo della 81


mostra l'immagine dell'opera “In principio era l'Immagine” detto anche “D'io” mi pare, e diedi l'autorizzazione, mi ringraziarono, mi mandarono il catalogo ma non ci fu una vera e propria collaborazione. Diversamente invece è avvenuto con il Beaubourg, che invece lì c'è stato un grande rapporto, tutt'ora c'è grande collaborazione con questi curatori, con l'allora direttore Jacques Aillagon quando abbiamo fatto l'esposizione a Versailles della “Calamita cosmica”, e poi con la mostra di Beaubourg che era “Traces du Sacrè”, per cui prestai addirittura l'asta di quattro metri che Gino aveva in casa sua e che ha lasciato a me, l'ho prestata, l'ho fatta mettere in una base, vicino a un quadro di Mondrian. E poi la “Risata”, mi pare che fossero queste due le cose di Gino. Lì veramente ho collaborato con il Beaubourg, poi ho collaborato con Jacques Aillagon quando diventò direttore del museo di Versailles per l'esposizione di Versailles, attualmente sono in rapporto molto stretto con uno degli ex curatori del Beaubourg che è Laurent Le Bon che adesso è direttore del Beaubourg di Metz, che attualmente è anche membro del comitato scientifico del “Centro Italiano di Arte Contemporanea” che ho fondato a Foligno.

C.C.: Dopo la biennale che lei ha curato con Harald Szeeman c'è stata nel 2007 la monografica, che ebbe le tre tappe a Nizza, a Torino e New York. Dopo la mostra del Ps1 non sembra che in America sia sufficientemente riconosciuto e affermato Gino De Dominicis, questo può essere legato anche alla sua volontà di non voler andare in America o è comunque legato alla situazione storico-critica?

I.T.: Allora, al Ps1 ci sono state due mostre, la prima immediatamente dopo la morte di Gino fu una mostra orrenda, veramente schifosa, abortiva, che io ho visitato, fatta da persone irresponsabili che furono quelli contro i quali io dovetti battermi. Lei immagini che questa mostra era costituita da una “prospettiva rovesciata”, che aveva prestata il mio amico Franchetti che era una persona altamente generosa, che non capì in quale brutta storia si stava mettendo, i video di Gerry Shum, in una stanzetta, e poi al centro c'era un tavolo verde con le fish sopra perchè dice, Gino De Dominicis amava il gioco d'azzardo, una cosa da far paura. Questo fu un fatto di una gravità addirittura, direi ripugnante, e quindi questo sicuramente non ha fatto un bel lavoro, per quanto riguarda invece le mostre di Nizza, che poi ci fu un altra mo82


stra che sicuramente deve essere considerata negativa , all'Istituto Italiano di cultura di Londra , dove le opere di Gino vennero messe insieme ai mobili antichi, immagini lei, alla quale io non solo non ho partecipato, ma nei limiti del possibile mi ci sono tenuto lontano. Poi ci sono state queste tre mostre a Nizza, al Ps1 per la seconda volta, alla quale ne io ne l'associazione abbiamo partecipato, per me sono cose che non conosco, anche alla Fondazione Merz, non mi appartengono, non ho collaborato, non le condivido, e non mi interessano.

C.C.: Quindi le persone che hanno curato quelle mostre sono quelle persone che le hanno fatto battaglia?

I.T.: Beh no, non esattamente perchè la battaglia è avvenuta prima con altre persone, non certamente con Laura Cherubini che è stata una di quelle che ha fatto queste mostre qui, e con la quale non ho mai avuto nessun rapporto di antagonismo, solo non mi interessava coinvolgerla in tutta questa storia insomma. Però non c'è stata nessuna battaglia, non ho ritenuto giusto quelle mostre, per come le hanno fatte, fine del discorso, però non ci appartengono. Non appartengono ne all'associazione ne a me.

C.C.: Analizzando il mercato delle opere di De Dominicis, quali sono le opere più richieste e quali le opere più trascurate?

I.T.: Ma guardi nel mercato c'è una situazione molto anomala, e devo dirle una cosa spiacevolissima, a partire da due anni a questa parte si sono sviluppati una serie di falsi che è assolutamente tragica, su cui ancora non si è fatto nulla perchè vorrei aspettare che esca questo catalogo ma poi bisognerà prendere qualche iniziativa. C'è un sacco di povera gente che compra delle opere false pagandole molto, e questo è un fatto che, io nel corso di questi anni di raccolta di materiale, ho quattro o cinque faldoni di opere che io reputo assolutamente false che inquinano il mercato delle cose buone, questa è la verità. Purtroppo questa situazione poi coinvolge le persone ingenue, ma coinvolge anche collezionisti invece importanti, che poi spostano un po' l'orientamento perchè c' è un collezionista molto importante, un grande amico, il quale ha collezionato almeno sessanta, settanta opere, che però 83


nella sua mania, nella sua bulimia di acquisto delle opere di Gino De Dominicis, ha comprato anche un sacco di opere non buone, io gliel'ho detto, stai attento, lui “no non no sono buone”.

C.C.: Ma è italiano il collezionista?

I.T.: È un collezionista italiano molto importante, che si è talmente appassionato, talmente stregato da queste cose che appena vede una cosa che secondo lui è attribuibile la compra. Purtroppo questo è un fatto dannoso perchè non solo inquina la sua straordinaria collezione di cose buone, ma crea opinione, perchè la gente vedendo che questo è un collezionista importante pensa che quelle cose siano buone. Queste sono le anomalie che purtroppo si stanno verificando e che prima o poi bisognerà in qualche modo reprimere. Il falso è un reato, prima ancora che un reato contro la cultura, contro la figura De Dominicis, contro la sua arte purissima. Si vedono arrivare delle cose veramente da scandalo, poi ci sono altre cose imitate molto bene ma sono falsi, e questa è la questione del mercato. Per il resto il mercato sta salendo, le opere buone sono molto richieste, sono rarissime perchè Gino secondo me più di ottocento opere non ne ha fatte, sono molto rare, chi ce le ha se le tiene, i capolavori si conoscono. Non credo che ci sia una preferenza, certo la gente cerca delle cose mature, anzi ci sono delle opere di età giovanile che sono straordinariamente belle, lei avrà visto quella con la ragazza con la mano appoggiata al viso, che Gino mi ha lasciato, quindi pensi lei, mi ha voluto lasciare una cosa giovanile quindi vuol dire che anche a quelle lui teneva. Però è chiaro che un collezionista che spende molto denaro, vorrebbe acquistare o i nasi o le opere di grande pittura, di grandi lavori diciamo, però non c'è una predilezione particolare, non è come Burri che tutti vogliono i sacchi e poi nessuno li prende perchè non esistono. Però se lei parla con qualche collezionista un po' naif, oppure altamente sofisticato dice “io sono pronto a pagare qualunque cosa ma voglio il sacco”, che è un po' la forma simbolica di Alberto Burri, per Gino non c'è una forma simbolica, sono tutte cose che stanno sullo stesso livello e che del resto poi rientrano nella sua idea circolare dell'arte.

C.C.: Le opere sono più richieste in Italia o all'estero? 84


I.T.: Ma io non sono molto esperto di mercato, io credo che la situazione sia ancora molto italiana, che era un po' quello che voleva Gino, in sostanza non aveva nessuna passione internazionale, non gli piacevano le lingue straniere, non parlava l'inglese, non parlava il francese, se ne fregava completamente. Non amava i grandi musei, non voleva fare le grandi mostre, è una situazione molto speciale, e quindi è una situazione ancora italiana. Però naturalmente conosciamo le forti postazioni a Berlino, per esempio la collezione del Bao Mainz e poi non so, in Svizzera con le opere di una grande collezione Svizzera, in America il Moma, le opere che sono anche a Parigi, insomma stanno un po' disseminate, però il nucleo forte del collezionismo è italiano.

C.C.: Da più parti emerge una certa insoddisfazione per le letture critiche sul lavoro di Gino De Dominicis. Questa debolezza storico-critica non rischia di danneggiare anche il mercato del nostro artista?

I.T.: Beh bisogna sempre partire dal fatto che lui non voleva, non si voleva prestare a traduzioni critico-storiche, lui detestava i critici, non li voleva nemmeno conoscere, non ci voleva parlare, non voleva che si scrivesse su di lui, quindi c'è certamente un germe di rifiuto che permane, le dirò che io stesso, facendo il testo per il catalogo ragionato non ho seguito uno schema storicistico, è uno schema molto particolare, lui diceva stare vicino alle opere di Gino De Dominicis, stare vicino alle opere significa infondo assorbirne l'emanazione e cercare di tradurla, ma non è traducibile. Non le puoi tradurre, né con la fotografia, né con le parole, sono intraducibili. Quindi è questa la difficoltà dell'approccio, per cui nessuno si deve scandalizzare se non c'è una lettura storica, perchè non è possibile. E' uno dei pochi artisti per i quali è difficile poter scrivere, come quando qualcuno ha detto a Dante Alighieri, alla Divina Commedia, raffigura il paradiso, l'inferno lo hanno fatto tutti benissimo, il purgatorio pure, quando si tratta di fare il paradiso nessuno è capace, perchè è l'irrappresentabile. E quindi Gino, che non è il paradiso ma l'inferno, è l'irrappresentabile anche lui.

C.C.: Con la mostra del MAXXI c'è stata una svolta a livello di affermazione anche internazionale di De Dominicis? 85


I.T.: Non credo, credo che la mostra del MAXXI sia stata una bella sistematizzazione, una specie di step, un punto fermo di momento di raccoglimento e di riflessione, ma non ha dato niente di più, o non ha tolto niente di più a quello che era Gino. Gino è un ente, è un essere, è l'essere, e quindi l'essere è immutabile, è eterno, è immortale, non ci sono dei fatti della vita che lo possono in qualche modo scalfire o modificare, è l'essere.

C.C.: A livello di mercato, il valore economico delle opere ha subito una variazione?

I.T.: Ma a livello di mercato non credo che ci saranno delle grandi svolte, non c'è molto materiale, non circola molto, io credo di avere venticinque opere di Gino oltre a quelle che mi ha lasciato lui, quelle che mi ha dato quando era vivo e quelle che ho comprato dopo, le pochissime che ho comprato dopo, ma sono lì chiuse. Certamente se qualcuno farà delle proposte per fare delle mostre io sono anche disponibile per fare dei prestiti però non è che circola molto perchè non c'è del materiale. Certo però i prezzi, il valore salirà sempre, anche se non circoleranno, attraverso altri parametri, altri vettori di comunicazione anche economica, perchè è chiaro che sapendo che esiste questo misterioso artista, così strano, così difficile, così irraggiungibile, così inacquistabile, chi ce l'ha... Io, il naso che lui mi donò nel 1994 che è probabilmente il più bel naso che lui abbia mai fatto, con questa mezza luna d'oro di una bellezza sconvolgente, secondo me vale un milione di euro, non c'è prezzo.

C.C.: Gli americani dicono come mai non ci siamo accorti prima di questo artista, forse la motivazione è anche la questione storico-critica, riguardo anche al fatto dell'Italia e l'America, legata al periodo della guerra fredda, ha queste radici?

I.T.: Ma io non credo, perchè secondo me loro non se ne sono accorti perchè sono stati distratti, e oppure hanno fatto finta di essere distratti perchè pensavano che gli potesse dar fastidio, però è sintomatico che si sono presi un opera importante come “In principio era l'Immagine”, questo è un sintomo molto preciso. Poi che non abbiano accumulato altre opere, diciamo dipende anche dal fatto che forse non 86


ne hanno trovate, ma non credo che ci sia l'antagonismo Europa -America, non mi pare, e nemmeno la questione storico-critica, perchè uno che ha un minimo di dimestichezza con questi fenomeni capisce che Gino De Dominicis non è il tipo che può essere accresciuto attraverso un lavoro storico, attraverso delle monografie, sono usciti dei lavori su Gino De Dominicis che sono praticamente scomparsi, proprio perchè si capisce che non servono a niente, ci sono stati dei tentativi di mobilitare delle persone che non si erano mai occupate di Gino, per scrivere su di lui, anche americani, ma non hanno impressionato nessuno perché si capisce che era fasullo, non era una cosa vera. La cosa vera era quella che stava incarnata nella sua esperienza, nella sua visione delle cose, nella sua Roma centrica, tutte cose che fanno di questo artista questo unicum irripetibile che è, però non ci sono fenomeni diciamo così, socio-economici, politici, culturali, non mi pare, per lo meno io non la vedo così.

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3. Conclusioni

L’analisi del mercato dell’arte contemporanea, e nello specifico, del mercato delle opere di Gino De Dominicis, attraverso i materiali di studio raccolti, ha messo in evidenza la seguente situazione. Dal secondo dopoguerra in poi il potere che l’economia ha esercitato in tutti i settori della realtà politica, sociale e culturale, ha coinvolto in maniera crescente anche il mondo della produzione artistica. Nel corso degli ultimi trent’anni è avvenuto un cambiamento radicale, che ha visto il mercato dell’arte contemporanea mondiale egemonizzato da una forte volontà speculativa. Nel processo di globalizzazione in atto dalla Seconda guerra mondiale in poi, l’arte è stata utilizzata come un’arma della Guerra Fredda, un’arma di tipo culturale e ideologico. Il mercato dell’arte contemporanea internazionale può dunque essere letto come lo specchio di una guerra giocata anche attraverso la produzione e la diffusione di immagini e teorie artistiche. All’interno di questa realtà, la situazione italiana, a causa della debolezza delle istituzioni, unita alla mancanza di centri d’arte indipendenti e alla debolezza storicocritica, risulta essere emarginata rispetto alla situazione internazionale. Infatti mentre le teorie internazionali promuovono lo sviluppo di una ricerca artistica d’avanguardia, valorizzando la dimensione del gruppo, gran parte degli storici dell’arte italiana continuano ad esaltare il culto di una mitologia individuale della figura dell’artista artigiano, ispirato e solitario. Non a caso nella storia dell’arte contemporanea italiana, soltanto l’Arte Povera e la Transavanguardia, movimenti teoricamente “regressivi”, sono stati riconosciuti sul mercato. Il caso di Gino De Dominicis, come un versante sostenuto della critica, italiana e non, ama definirlo, rimane un caso marginale e per questo forse emblematico, nel panorama internazionale. La sua percezione nello scenario del mercato dell’arte è del tutto asincrona e per questo si è posto come un caso interessante da studiare. Un uomo dalle caratteristiche così inaspettate entra a pieno diritto nel novero dei protagonisti dell’Arte italiana del Novecento ma non ne viene compiutamente ricompreso e spesso questo non avviene perché eccessivamente enfatizzato. Troppo spesso ci si avvicina ad esso con un approccio romantico-esoterico, rivelando una po88


sizione critico-retorica che si pone in modo assiomatico, apodittico e idealistico rispetto alla complessità del caso De Dominicis, di fronte al quale l’intera comunità storico-artistica avverte invece l’esigenza di una comprensione più profonda. La tensione elusiva che caratterizzava l’opera di Gino De Dominicis ha finito per connotarne la sua stessa esistenza artistica. É mancato forse nel mondo della critica artistica italiana la capacità di guardare oltre la trasparente corporeità delle opere dell’artista, la fragilità culturale e politica italiana ha inibito la possibilità di far comprendere la sua opera al mondo. Dalle testimonianze raccolte emergono alcune divergenze significative. Il critico Tomassoni sembra voler confermare il cliché del “caso” Gino de Dominicis affermando che il motivo per cui l’artista non è pienamente riconosciuto ed affermato all’estero non ha matrice socio-economica e culturale, ne tanto meno storico-critica. Secondo l’impostazione idealistico-esoterica di Tomassoni, De Dominicis non è il tipo di artista che può essere accresciuto attraverso un lavoro storico; il critico afferma che Gino De Dominicis è l’essere, e in quanto tale è immutabile, e dunque non ci sono questioni della vita e della realtà storica che possano scalfirlo. Mazzoli a tal proposito dà una visione più realistica, affermando che la debolezza del sistema italiano, asservito al sistema americano, unita ad una debolezza critica è indubbiamente fra le ragioni per cui l’artista anconetano non può affermarsi in modo consistente sullo scenario internazionale, e di conseguenza all’interno del mercato dell’arte mondiale. L’arte del secondo dopoguerra è strettamente legata alla storia, alle relazioni politiche internazionali. Dunque, finché in Italia non ci saranno istituzioni in grado di sostenere e di promuovere gli sviluppi teorici dei propri artisti, si continuerà a promulgare una visione idealizzata della figura dell’artista italiano, del genius loci che non ha né discepoli né maestri. Soltanto un approccio storico-critico più coraggioso e dotato di una valida cornice teorica, potrà riportare l’Italia nel novero delle nazioni che promuovono valori di originalità e profondità, nel futuro dell’arte contemporanea.

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Iconografia generale

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Opere piĂš costose del mercato dell'arte contemporanea internazionale

J.Pollock, No.5,1948, dipinto, 243x121 cm., valore: 151.8 milioni di dollari Vendita privata via Sotheby’s, 2006

W. De Kooning, Woman III, dipinto ad olio, 172x123 cm, valore:149.1 milioni di dollari Vendita privata via Larry Gagosian, 2006 91


Opere d'arte antiche

P. Roubens, Massacro degli innocenti, dipinto ad olio, valore: 76,7 milioni di dollari Sotheby’s Londra, 2002

Tiziano, Diana e Atteone, dipinto olio, 185x202 cm, valore: 70 milioni di dollari, vendita Privata, 2009

L.Da Vinci, Codice Hammer, carta, 36 pagine, valore:30 milioni di dollari, vendita all’asta Christie’s New York, acquistato da Bill Gates nel 1994

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Opere d'arte del secondo dopoguerra

A.Warhol, autoritratto 1967, 182,9x182,9 cm, valore: 12,8 milioni di dollari,vendita all’asta Christie’s Londra, 2011

P.Manzoni, Achrome 1959, caolino e tela, 61x50 cm, valore: 750.000 euro, vendita all’asta Sotheby’s Milano, 2010

L.Fontana, Concetto spaziale Attese, idropittura su tela, 92x73 cm, valore: 672.000 euro, vendita all’asta Sotheby’s Milano, 2010 93


Opere di Gino De Dominicis

G. De Dominicis, senza titolo,85-86, tecnica mista su tavola, 268,8x 174,3 cm, valore:160.000 euro, vendita all’asta Farsetti arte Prato, 2010

Senza titolo, tecnica mista, vernici e foglia d’oro su tavola, 272,4x176,5 cm, 1992, valore: 118.875,00 €, asta Christie’s Londra, 2002 94


Senza Titolo, tecnica mista,84,2 x 71 cm, valore: 130.100 euro, vendita all’asta Farsetti arte Prato, 2010

Mozzarella in carrozza, fotografia 1970, 28x34 cm, valore: 17.440.00 â‚Ź, asta Finarte Firenze, 1989 95


Mercanti d'arte di ieri e di oggi

Paul Durand Ruel, primo mercante d’arte della storia, organizzò nel 1874 la prima esposizione impressionista nello studio del fotografo Nadar a Parigi.

Daniel Heinry.Kahnweiler,mercante di Picasso, Bracque, Verain.

Ambroise Voillard, mercante di Cèzanne, Picasso, Gaugain Van Gogh

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Larry Gagosian, nominato da “Artview” la figura più potente del mondo dell’arte, possiede la Gagosia Gallery che ha sedi in tutto il mondo. ha acquistato L’Autoritratto di Andy Warhol del 1967 per 12,8 milioni di dollari a Febbraio 2011.

Bill Gates ha acquistato il Codice Leicester di Leonardo Da Vinci per 30 milioni di dollari, nel 1994.

Roman Abramovic, magnate russo, ha acquistato il Trittico 1976 di Francis Bacon per 86,3 milioni di dollari nel 2008 97


Emilio Mazzoli

Intervista realizzata il 21 Gennaio 2011

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Italo Tomassoni

Intervista realizzata il 1 Febbraio 2011

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