La botte nei secoli Una storia appassionante per la prima volta in un libro testo di Mario Anton Orefice
Quando Piero Garbellotto, titolare della più antica fabbrica di botti del mondo, mi propose di scrivere un libro sulla botte mi vennero in mente dei modi di dire, alcune prestigiose cantine, Attilio Regolo, Diogene e poco altro. Consultai nei giorni successivi l’indice del sistema bibliotecario nazionale e scoprii che sull’argomento era stato scritto davvero poco, anzi pochissimo. In qualche modo la botte era rimasta nascosta in cantina, forse per colpa del vino che, a cominciare da Omero, può contare su infiniti cantori e cantastorie.
L’impresa si faceva via via più interessante, come quando un alpinista ha pochi appigli e deve perciò scrutare più attentamente le pieghe della montagna, così bisognava esplorare l’argomento da punti di vista laterali: l’archivio dell’azienda Garbellotto, le memorie orali dei suoi bottai, alcune pubblicazioni in lingua tedesca, ricerche di storici locali, notizie scoperte passando al setaccio diverse opere letterarie e i record di Google. Un intenso anno di lavoro, di incontri, di letture, culminato nella stampa, per i tipi dell’Unione Italiana Vini, de
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“La storia della botte - Garbellotto dal 1775”. Il libro contiene aneddoti e vicende del passato, pagine dedicate alla tecnica di costruzione e alle caratteristiche dei vari tipi di legno, citazioni letterarie, foto d’epoca, i quadri di Millet Cooper tightening staves on a barrel e Diogene nella botte di Scuola reniana. Come sempre accade quando si intraprende una ricerca, ci si è resi conto che molti territori sono ancora da esplorare: ogni libro né contiene in sé infiniti altri.
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Ma cominciamo la nostra storia: chi non ricorda la leggenda del filosofo Diogene Laerzio che si narra vivesse in una botte per essere coerente con uno stile di vita semplice. Più cruenta la fine del generale romano Attilio Regolo che morì a Cartagine dopo essere stato chiuso in una botte irta di chiodi e lasciato rotolare in mare. Secondo Plinio l’arte del bottaio sarebbe nata in montagna: “Presso le Alpi mettono il vino in vasi di legno cerchiati per evitare che si agghiacci per il gran freddo invernale”. Per il greco Stradone “Nella Gallia cisalpina si costruivano botti più grandi di una casa”. Per i romani questi contenitori garantivano un minore contatto con l’aria rispetto alle amphorae e ai dolia di terracotta ed erano più maneggevoli nel trasporto. Nel 238 d.C. l’imperatore romano
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Massimino il Trace costruì un ponte di botti sull’Isonzo che gli consentì di attraversare il fiume con l’esercito ed arrestare le orde barbariche. La diffusione dell’arte del bottaio in epoca successiva potrebbe collegarsi secondo alcuni allo sviluppo dato alla viticoltura dalle leggi speciali emanate da Teodorico e da Carlo Magno. Nel Medioevo le botti cominciarono ad essere sempre più richieste per trasportare il vino nei paesi nordici, o per gli scambi commerciali e marittimi delle repubbliche marinare: a Venezia l’arte del bottaio è ricordata dalla “Calle dei boteri” cioè il “vicolo dei bottai”, una stretta viuzza dalle parti di Rialto così chiamata per le numerose botteghe che vi si affacciavano. Fu in quell’epoca che in tutta Europa cominciarono a fiorire rapidamente le prime fabbriche.
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Curioso l’uso di una botte gigante che venne usata come il Cavallo di Troia: il 2 settembre 1440, in Germania, le truppe capitanate da Kunz von Bebenburg e da Hans von Urbach espugnarono Weinsberg grazie ad un pugno di uomini che pentrarono nella città nascosti in una botte (cosiddetta botte troiana ndr), e poi nella notte aprirono le porte per far entrare le truppe nemiche. Verso la fine dell’Ottocento, con la nascita delle prime grandi cantine sociali e private, che avevano bisogno di botti giganti, si giunse alla massima espansione di quest’arte in Italia e in Europa. La zona di Conegliano, sede delle Garbellotto spa, conobbe in quel periodo un notevole sviluppo. Un primato favorito dai collegamenti ferroviari con le foreste balcaniche della Slavonia e della Bosnia, ricche di pregiato legname e al tempo appartenenti all’Impero Asburgico. Proprio per gli Asburgo i Garbellotto realizzarono nel 1896 un’importante fornitura di botti da 50 ettolitri con l’aquila bicipite sul fondo e le fasce rosse a tenere insieme le doghe di rovere: furono trasportate in Cina da una spedizione guidata dall’enologo di Casa d’Austria William Babo, l’inventore del mostimetro che porta il suo nome. Da allora migliaia di botti sono state costruite dai mastri bottai della Garbellotto che nel 2010 si è aggiudicata il Guinnes World Record per la costruzione di Magnifica “la botte per affinamento più grande del mondo”; pesa cinquemila chili, è alta quattro metri e mezzo e ha una capacità di 33.000 litri pari a 44.400 bottiglie di vino. Le sue doghe tagliate da alberi secolari di Rovere di Slavonia custodiscono l’Amarone dell’azienda Tommasi di Pedemonte di Valpolicella. Insomma il proverbio “Nella botte piccola c’è il vino buono” è ormai âgé.
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