Cultura 2.0 n.1

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Anno I - n. 1

Febbraio 2014

Cultura 2.0

Lo stato attuale della Cultura Italiana

Italia 2.0


Sommario Cultura 2.0  a cura

Lo stato attuale della cultura italiana

del dipartimento Cultura e Spettacolo del Movimento Politico

Editoriale

Archeologia Archeologia in rovina di Gabriele Romano

Italia 2.0 

Curiosità: Letteratura Gli Scrittori Stranieri e l’Italia di Gabriele Romano

Direttore Responsabile

Gabriele Romano

Arte e Architettura Palazzo Colonna di Roma di Manuela Ferrari

Vicedirettore

Manuela Ferrari

Redazione

Curiosità: Cinema Vacanze romane di Manuela Ferrari

Mostre La Memoria Ritrovata. Tesori recuperati dall’Arma dei Carabinieri

Elvira Damiani

di Elvira Damiani

Mattia Ferrara  Francesca Ramoni

Curiosità: Arte e Architettura La Galleria Chigi nel Palazzo del Quirinale di Elvira Damiani

Musica e Spettacolo Romeo & Giulietta. Ama e cambia il mondo. Il Musical

Segretaria di redazione

Ornella Valiante

di Francesca Ramoni 

Curiosità: Spettacolo Romeo e Giulietta tra teatro e cartoons di Francesca Ramoni

Dipartimento Cultura e Spettacolo

Cinema “Smetto quando voglio” di Manuela Ferrari

Responsabile Nazionale

Gabriele Romano Coordinatore Nazionale

Manuela Ferrari

Scultura Le Grazie di Antonio Canova di Gabriele Romano

cultura@italia2punto0.it

Poesia Giuseppe Gioachino Belli: Li bbattesimi de l’anticajje

www.italia2punto0.it

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EDITORIALE LO STATO ATTUALE DELLA CULTURA ITALIANA Costituzione della Repubblica Italiana Art. 9 “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” Parlare dello stato attuale della cultura italiana non è certamente facile, così dobbiamo rifarci necessariamente alle nostre fondamenta che, nell’ambito culturale, sono racchiuse nell’Art. 9 della Costituzione. Decenni di tagli economici ai Beni Culturali, all’Istruzione, alla Ricerca e all’Università dimostrano che la politica italiana non conosce o ignora palesemente quelle che sono le direttive della nostra Repubblica. Pensare che in Italia, con qualche secolo di anticipo su tutti gli altri Paesi, papa Leone X nel 1515 nominò Raffaello Ispettore generale delle Belle Arti, il più esperto in materia per la tutela e lo studio dei monumenti di Roma, mostrando anche una notevole propensione alla meritocrazia. Meritocrazia che oggi, più che un criterio da seguire per la selezione di incarichi, sembra essere soltanto un termine abusato, soprattutto in ambito culturale. Così oggi paghiamo decenni di politica culturale inadeguata per l’importanza e il numero dei tesori culturali italiani e purtroppo i politici attuali sembrano seguire le orme dei loro predecessori. La diretta e più drammatica conseguenza della politica dei tagli e della mala gestione dei Beni Culturali sono i numerosi crolli di monumenti o parti di siti archeologici, che da qualche anno dominano la cronaca, e il degrado in cui versano musei e palazzi storici. Strettamente legata alla scadente politica culturale è ovviamente anche una miope politica scolastica (con la recente riduzione e abolizione dell’insegnamento della Storia dell’Arte) che ha enormemente impoverito il sistema dell’Istruzione e dell’Università italiana. Riforme varie effettuate da ogni parte politica che sbandieravano lo scopo di rinnovare un sistema vecchio di anni sono naufragate miseramente verso l’appiattimento del livello culturale della nuova popolazione italiana. La scusa di adeguarsi al sistema internazionale ha solamente portato ad uno svilimento culturale e, fatto assai più grave se non bastasse, ad una minore preparazione culturale-scientifica. Tradotto in parole povere queste riforme hanno puntato più sulla quantità (dei diplomati-laureati) che sulla qualità (abbassamento del livello di preparazione). I dati attuali, anche qui, indicano un totale fallimento di questa politica visto che sempre meno giovani decidono di proseguire gli studi dopo il diploma. Per chi si laurea poi la situazione non è delle migliori, la mancanza di opportunità nel campo della ricerca (in qualsiasi ambito culturale e scientifico) porta ovviamente a preferire e a sognare di lavorare all’estero, contribuendo alla famosa “fuga dei cervelli”. Ovviamente tutti vorremmo veder fuggire altri cervelli, quelli responsabili dell’attuale situazione culturale italiana. Ma nonostante il quasi totale abbandono da parte dello Stato i Beni Culturali e Paesaggistici italiani riescono, praticamente da soli, ad attirare turisti da ogni parte del mondo. I dati parlano di un’Italia in leggero calo nelle classifiche dei flussi turistici, ma comunque al quinto posto dei paesi più visitati dal turismo internazionale (dietro Francia, Stati Uniti, Cina e Spagna) con oltre 46 milioni di turisti, con un impatto economico del turismo di circa 161 miliardi di euro, pari al 10,3% del PIL. Tra i musei e i monumenti più visitati al mondo il Colosseo (legato nel biglietto all’area archeologica centrale di Roma con Foro Romano e Palatino) si trova al quarto posto (5 milioni e 400 mila visitatori l’anno) dopo il Museo del Louvre, la National Gallery e i Musei Vaticani e prima del British Museum. L’archeologia in Italia tiene il confronto con musei che raccolgono opere d’arte varia da tutto il mondo (e in gran parte italiane). Pensate cosa potrebbe essere fatto con una politica culturale lungimirante che riqualifichi e valorizzi i Beni Culturali lasciati in eredità dai nostri avi. Oggi la visione della percezione della cultura italiana da parte degli altri Paesi può essere ancora riassunta dalle parole di Marcel Proust, mai più attuali di adesso, che sembrano essere la lapide tombale della politica culturale italiana dell’ultimo secolo: “La vera terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l’arte, ma quella che, disseminata di capolavori, non sa né apprezzarli né conservarli”. Ammonimento amaro, ma dal quale, con tutta la consapevolezza della situazione culturale attuale, dobbiamo trovare la forza di ripartire seguendo l’esempio e l’incoraggiamento del nostro Dante “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.” Il Direttore Gabriele Romano

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DEGRADO CULTURALE ARCHEOLOGIA

ARCHEOLOGIA IN ROVINA di Gabriele Romano

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semplice da identificare, è senza dubbio il profondo taglio dei fondi economici che lo Stato in più di dieci anni ha apportato al Ministero dei Beni Culturali. Per dare un’idea basti citare qualche numero relativo al finanziamento annuale della Cultura italiana: la cifra stanziata per la spesa generale del Ministero dei Beni Culturali (affitti e bollette comprese) è passata da circa 2 miliardi e 386 milioni di euro a 1 miliardo e 420 milioni di euro, mentre il dato relativo agli investimenti nell’ambito dei Beni Cul-

e rovine sono il simbolo dell’archeologia e della storia antica dell’umanità, ma l’archeologia in rovina rischia di diventare il simbolo dell’Italia degli ultimi anni. Mai come nel periodo recente la nostra storia materiale, i nostri Beni Culturali sono stati al centro dell’attenzione per il degrado nel quale versano e, fatto ancora più drammatico, per i crolli ai quali sono soggetti. La principale causa, la più 4


nella pagina accanto: Pompei. Crollo della schola Armaturarum accanto: Pompei. Crollo di mura in via Stabiana. sotto: Pompei. Crollo lungo una via.

turali è passato da 749 milioni di euro a 208 milioni di euro. Un taglio netto, importante, soprattutto se confrontato con altri Paesi che invece investono e finanziano molto di più la Cultura, come nel caso della Francia che stanzia in questo settore una cifra complessiva annuale di circa 5 miliardi di euro.

italiani riescano ad attirare milioni di visitatori. Ma lo stato di salute dei nostri siti archeologici non è dei migliori, basti purtroppo riportare quanto accade a Pompei con i crolli di edifici antichi o di parti di essi che con troppa frequenza avviene. Come accennato in precedenza la causa primaria di questi crolli è da indicare nei tagli alla Cultura che non permettono di spendere soldi per restauri e conservazione degli edifici e di non pagare professionalità adeguate. A ciò va senza dubbio aggiunta una mala gestione delle pur poche risorse e, a volte, figure dirigenziali non sempre all’altezza del compito affidato. Ecco che allora nel novembre 2010 crolla l’intero edificio della Schola Armaturarum, conosciuta anche come Scuola dei Gladiatori. Si è parlato di infiltrazioni d’acqua nelle murature dovute a piogge abbondanti, ma questo non andrebbe scoperto ed indicato dopo il crollo, andrebbe individuato prima e risolto con interventi di manutenzione e consolidamento. È ovviamente mancata l’ispezione ed è mancata la possibilità di intervenire. Nell’occasione il Pre-

Questi tagli alla Cultura avvengono, è sempre meglio ricordarlo, in Italia, il Bel Paese, territorio culturale per eccellenza, la cui bellezza è data proprio dall’unione, dalla fusione di paesaggio e cultura, con monumenti, aree archeologiche e siti disseminati su tutto il territorio nazionale, dal più piccolo paese alla grande città. È questa caratteristica a richiamare ogni anno milioni di turisti in Italia e la gran parte di questo flusso turistico è composto dal turismo culturale: 46,1 milioni di persone da tutto il mondo ogni anno portano in Italia circa 43 miliardi di euro e la metà di questi turisti (21 milioni di persone) ogni anno viene a visitare le nostre città d’arte. L’impatto economico del turismo in Italia è pari al 10,3% del PIL nazionale con circa 2 milioni e 681 mila lavoratori nel settore del turismo (pari all’11,7% dell’occupazione nazionale). Numeri importanti della nostra economia che hanno come unico motore la Cultura italiana, che la politica attraverso questi tagli economici sta indebolendo sempre più, con conseguenze che non è difficile immaginare. Questa premessa è importante per capire come ancora, nonostante lo stato in cui versano e il modo in cui vengono trattati, i Beni Culturali 5


sidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali dell’epoca ha anche parlato del crollo come quasi un bene perché l’edificio era stato restaurato nei decenni precedenti con parti in cemento non idonee (!). Siamo purtroppo alla follia, tentare di giustificare un crollo invece di prevenirne le cause. Quello dei crolli a Pompei è comunque un problema vecchio di decenni, e l’intervento che va fatto deve essere importante dal punto di vista finanziario. Purtroppo finora solo parole a cui non sono seguiti fatti. Così nel 2013 crollano parti di muri di una bottega di Via Stabiana, alcune parti dell’intonaco della Casa della Fontana Piccola, parti dello stucco della Casa del Torello di Bronzo e si apre uno squarcio nelle mura delle Terme Centrali. Negli ultimi giorni si è appreso inoltre di un crollo di una porzione di muro che in questo caso ha permesso di scoprire, sulla muratura sottostante, un’iscrizione elettorale del 79 d.C.. Speriamo solo che venga coperta e non lasciata alle intemperie. Purtroppo questi sono solo alcuni esempi maggiori dei numerosi episodi verificatisi nel sito di Pompei.

rica” di Nola, scoperta nel 2001 in località Croce del Papa al confine tra i comuni di Nola e Saviano, sepolto dall'eruzione del Vesuvio detta delle Pomici di Avellino (1860-1680 a.C.). Sono state trovate strutture abitative con pianta a forma di ferro di cavallo, divise da tramezzi di legno a creare due - tre ambienti comunicanti. La zona ad abside sul fondo veniva utilizzata come dispensa in cui erano disposti i grandi vasi pieni di derrate, mentre gli ambienti centrali, con il pavimento in battuto in cui era inserito il focolare, il forno e delle fosse per la raccolta dei rifiuti erano usati come luoghi di soggiorno. Una situazione eccezionale, conservata integralmente grazie ad una antica eruzione del Vesuvio, che rappresenta solo una porzione di un’area più vasta ancora da scavare. Ebbene questo sito straordinario nel breve periodo di apertura al pubblico, dal 2007 al 2008, ha avuto circa 13 mila visitatori, la maggior parte dei quali stranieri, e in seguito è stato chiuso perché periodicamente inondato dalle acque di falda. Con l’utilizzo di pompe idrovore si è cercato di porre rimedio alla situazione, ma nel 2008 è avvenuta la frana di una parete dello scavo che ha danneggiato una tettoia che proteggeva le antiche strutture, e, nel 2009, l’acqua di falda ha nascosto tutti gli edifici ritrovati sotto più di un metro di fango senza che nessuno riuscisse a fare qualcosa per

Ma se il caso di Pompei è quello che fa più scalpore, vista l’importanza del sito, non mancano altre situazioni di rovina e degrado. Caso emblematico, conosciuto forse da pochi, è quanto successo nel sito noto come la “Pompei Preisto-

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a sinistra: Nola. La sistemazione dell’area a fine lavori di scavo a destra: Nola. L’area completamente allagata nella pagina accanto: Nola. Una delle capanne in fase di scavo

impedirlo. Uno scavo archeologico trasformato in palude. L’epilogo di questa vicenda sembra essere la decisione, presa dalla Soprintendenza, di rinterrare tutta l’area scavata, e di costruire sopra l’interro un modello delle strutture ritrovate. Una sconfitta per tutta la Cultura italiana.

creando una grande voragine nel parco del colle Oppio. Si tratta del crollo di un’area di più di circa 130 metri quadrati che poteva essere anche letale visto che negli ambienti sottostanti si trovavano cassette di materiale archeologico spesso visionato dagli archeologi. Subito è scattato l’allarme per il resto delle strutture della Domus Aurea a rischio infiltrazioni d’acqua attraverso il terreno sovrastante. Il direttore tecnico della struttura parlò in quell’occasione di circa 150 ambienti della struttura antica a rischio crolli per infiltrazione che non si riesce ad isolare per la mancanza di fondi economici. Oggi la struttura, come allora, è chiusa, ed è interessata da lavori di restauro e consolidamento. Speriamo bene.

Altro degrado e rovina per quanto riguarda l’archeologia la troviamo a Roma. Roma Caput Mundi, la città eterna, ha vissuto e vive situazioni drammatiche e di emergenza culturale legate allo stato materiale delle proprie rovine archeologiche. Il caso più importante della totale inadeguatezza di mezzi e persone predisposte alla tutela dei Beni Culturali è senza ombra di dubbio il crollo di una parte della Domus Aurea sul colle Oppio. Nel marzo 2010 infatti crolla una volta delle gallerie traianee che insistono sulla grande casa, voluta dall’imperatore Nerone nel 64 d.C.,

Ma seppur meno eclatante il monumento che più soffre a causa dei crolli negli ultimi anni a Roma è il lungo recinto delle Mura Aureliane. Un rovinoso crollo è 7


nella pagina precedente in basso: Roma. La voragine del crollo della Domus Aurea. sopra: Roma. Crollo delle Mura Aureliane nel tratto tra Porta Ardeatina e Porta San Sebastiano (2001). sotto e nella pagina accanto: Roma. I restauri del Colosseo e della Piramide Cestia.

avvenuto nel 2001 quando si staccarono 20 metri di mura per un’altezza di 4 metri nel tratto tra la Porta Ardeatina e la Porta San Sebastiano; ancora un crollo nel 2006 delle mura nel tratto dei Castra Praetoria, in viale del Policlinico; nel 2007 cede parte delle mura nella zona di San Lorenzo; contemporaneamente alla volta della Domus Aurea, nel 2010, si è staccato un pezzo di mura in via Nola; di qualche giorno fa il distacco di un contrafforte del Novecento che ha lasciato un grande vuoto nelle Mura Aureliane

all’altezza di Piazzale Ardeatino. Iniziava a soffrire anche il Colosseo di alcuni distacchi strutturali, per fortuna di piccola dimensione ed entità, come nel 2011 quando si è staccato un piccolo pezzo di tufo del prospetto esterno del monumento e come avvenuto precedentemente nel 2010 quando a staccarsi fu uno strato di malta di circa mezzo metro quadrato e di piccolo spessore. Per fortuna il Colosseo dopo alcuni anni di attesa delle pratiche burocratiche ha iniziato ad essere restaurato con i lavori

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finanziati dal gruppo Tod’s di Diego Della Valle, che elargirà circa 25 milioni di euro per l’impresa. Ben vengano “mecenati della cultura” in periodo di crisi economica, ma soprattutto in periodo di “buio culturale” della nostra classe politica. Altro mecenate della cultura ha dato esempio di amore per l’Italia e per l’archeologia finanziando il restauro della Piramide Cestia, legata anch’essa alle Mura Aureliane, essendo stata inclusa nel perimetro fortificato: si tratta dell’imprenditore giapponese Yuzo Yagi, che nel 2012 ha donato 1 milione di euro alla Soprintendenza ai beni archeologici di Roma per

il restyling del monumento. Ovviamente gli esempi negativi riportati sopra sono solo una minima parte, seppure presi tra i più significativi, delle situazioni gravi che interessano i Beni Culturali archeologici italiani. Gli esempi di incuria e degrado possono, purtroppo, moltiplicarsi in molti altri siti che avrebbero urgente bisogno di manutenzione ordinaria e straordinaria e che nonostante tutto sembrano reggere il peso del tempo e, soprattutto, dell’ignoranza dell’attuale politica culturale italiana.

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Curiosità LETTERATURA

Gli Scrittori Stranieri e l’Italia di Gabriele Romano

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testimoniano la loro visione della nostra realtà nel corso dei secoli.

ra gli artisti e i letterati stranieri e l’Italia c’è sempre stato un rapporto di amore e odio. Amore giustificato dall’immensa bellezza e dalla profonda cultura del nostro Paese, odio per alcuni comportamenti degli italiani e per la notevole incuria delle belle cose che ci appartengono. Sono un po’ gli stereotipi che ancora ai nostri giorni accompagnano e indirizzano l’opinione che dell’Italia e degli italiani si fanno molti stranieri.

Iniziamo dal Settecento con J. J. Winckelmann (1717 – 1768), il grande storico tedesco dell’arte antica considerato il fondatore dell’archeologia moderna, che esprime il suo amore per l’Italia, e Roma in particolare così: “Io credo che a Roma si trovi l’alta scuola di tutto il mondo; e anch’io ne sono stato purificato e temprato.” La natura di patria culturale per tutto il genere umano si trova inoltre in una citazione di Samuel Johnson (1709 - 1784), poeta inglese, che recita in questo modo:

Il viaggio in Italia, quasi sempre a scopo culturale, di studio, ha origini antiche. Molti gli artisti, pittori e scultori, e gli intellettuali, scrittori e poeti, che intraprendevano un lungo viaggio per ammirare le testimonianze materiali della nostra storia e i nostri meravigliosi paesaggi. Cogliamo qui l’occasione per citare alcuni brani dei diari e delle opere che questi personaggi scrivevano mentre si trovavano in Italia e che

“L’uomo che non è mai stato in Italia, è sempre cosciente di un’inferiorità.” Parole d’amore per la storia antica dell’Italia vengono ancora da J. W. Goethe (1749 – 1832) che a Roma da pochi giorni, nel 1786, registra nel suo diario queste parole che denotano, nella 10


parte finale, una sferzante condanna della coscienza culturale degli italiani dell’epoca, e che purtroppo può ancora considerarsi attuale:

acattolico nella zona di Testaccio a Roma, dove aveva già deposto il suo giovane figlio William, scrive queste splendide parole:

“Solo a Roma ci si può preparare a comprendere Roma. Ma , confessiamolo, è una dura fatica quella di dover scavare pezzetto per pezzetto, nella nuova Roma, l’antica; eppure bisogna farlo, fidando in una soddisfazione finale impareggiabile. Si trovano vestigia di una magnificenza e di uno sfacelo che superano, l’una e l’altro, la nostra immaginazione. Ciò che hanno rispettato i barbari, l’han devastato i costruttori della nuova Roma.”

“Il cimitero romantico e solitario dei protestanti in quella città [Roma], sotto la piramide che è la tomba di Cestio, e le mura imponenti e le torri, ora cadenti e desolate, che formano il cimitero dell’antica Roma. Il cimitero è uno spazio aperto tra le rovine, coperto, d’inverno, con violette e margherite. Potrebbe far innamorare qualcuno della morte, pensare di essere seppelliti in un posto così dolce.” Dopo la sua morte in seguito ad un naufragio nelle acque di Viareggio le ceneri del poeta furono sepolte proprio in questo luogo insieme alle spoglie di suo figlio.

E ancora Goethe sulla difficile situazione italiana: “L'emergenza insegna a pregare, si dice: per impararlo si vada in Italia! Lo straniero vi trova emergenza di certo.”

Ma non è solo la bellezza della natura e dei monumenti d’Italia a piacere agli stranieri, ci sono anche gli italiani, con le loro contraddizioni, ma con il loro spirito e la loro arte. Il grande maestro russo P. I. Caikovskij (1840 – 1893) nel 1882 commenta così la bravura di un cantante italiano:

Una atmosfera invece ideale di perfezione e di armonia si respira nelle parole di H. C. Andersen (1805 – 1875), scrittore e poeta danese famoso per le sue favole: “Ma le acque verdi del Baltico non diventano mai azzurre come il bello splendido Mediterraneo, il cielo del nord non è mai così alto, così ricco di colori come nel caldo, splendido sud […]. L’Italia è il paese della fantasia, della bellezza: doppiamente felice chi la saluta per la seconda volta.”

“Che belle voci che ci sono in Italia! Un tenore eseguiva una brutta aria in stile operistico, ma con una voce così splendida che rimasi ad ascoltarlo incantato.” Insomma pensieri e parole di amore più che di odio in generale per la nostra terra, ma vista la situazione attuale è giusto terminare con la citazione dello scrittore francese M. Proust (1871 – 1922) che probabilmente mostra alla perfezione l’immobilità culturale percepita dagli stranieri nel popolo italiano, o meglio nella classe politica italiana:

Altro scrittore che esprime il suo amore incondizionato per il nostro paese è il russo N. V. Gogol (1809 – 1852) che soggiorna a Roma per un periodo e cosi esprime i suoi pensieri: “Che terra l’Italia! Tutto è meraviglioso sotto questo cielo, ogni rovina è un quadro […]. Quando tutto vi tradirà, quando vi resterà nulla di quel che vi legava a un qualsiasi angolo del mondo, venite in Italia.”

“La vera terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l’arte, ma quella che, disseminata di capolavori, non sa né apprezzarli né conservarli.”

E ancora riguardo alla città di Roma avrà modo di scrivere:

Potremmo purtroppo aggiungere oggi: e che non ha il coraggio neanche più di insegnarla nelle scuole.

“Non vi è destino migliore di morire a Roma; qui l’uomo è più vicino alla divinità.” Una visione ideale della morte in Italia è ancora supportata dal grande poeta romantico P. B. Shelley (1792 – 1822) che visitando il cimitero

nella pagina accanto: J. Tischbein. Goethe nella campagna romana, 1787 .

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ARTE E ARCHITETTURA

PALAZZO COLONNA DI ROMA di Manuela Ferrari

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gione viene considerato uno dei più imponenti e regali palazzi romani ed è stato preso come esempio da imitare per varie residenze sia in Italia che in Europa. Quello che colpisce il visitatore quando entra all’interno del Palazzo è il netto contrasto che si ha tra l’austera facciata esterna e la ricchezza e ricercatezza delle decorazioni interne. Ma l’aspetto attuale del palazzo non è quello originario: nel corso dei secoli, i vari esponenti della famiglia hanno costruito, restaurato, ampliato vari edifici minori tra loro separati, che si trovavano nell’area compresa tra il Quirinale e via del Corso (ricordata come feudo dei Colonna), fino ad arrivare all’unione di tutti in un unico complesso. Questa sua caratteristica ha però spesso reso difficile l’individuazione e l’attribuzione delle varie fasi a personaggi precisi

ra le innumerevoli meraviglie storico – archeologiche che la città di Roma offre, grande rilievo hanno senza dubbio i numerosi palazzi delle nobili famiglie romane che, prevalentemente dal 1300 al 1800, hanno abbellito e modificato l’assetto della città con le loro residenze. Se si passeggia nel Rione Trevi, uno degli edifici maggiormente degni di nota è Palazzo Colonna, che si trova alle pendici del colle Quirinale, compreso tra via della Pilotta e piazza Santi Apostoli. Per le sue magnifiche decorazioni e per i ricercati arredamenti questa residenza viene spesso paragonata alla più famosa Reggia di Versailles, e da molti è ritenuta addirittura migliore. A ra12


e, soprattutto, non permette di narrare le vicende evolutive del palazzo senza legarle alla storia di alcuni personaggi della famiglia stessa.

Quirinale e le Terme di Costantino era invece nelle mani della famiglia dei Conti di Tuscolo, che in due documenti (il Regesto Sublacense del 17 agosto 942 ed il Regesto di Farfa del 1013) sono ricordati come proprietari dell’area “iuxta basilicae Sancti Apostoli”. Non si sa bene in quale modo ma pian piano i Colonna riuscirono a farsi largo nella scena socio – politica romana e a legarsi sempre più strettamente ai Conti. Forse per le comuni origini o attraverso una serie di matrimoni, i Colonna riuscirono a sostituirsi ai Conti nel controllo dell’area, iniziando anche ad imporsi nella “cerchia che conta” di Roma ricoprendo cariche sempre più importanti (senatori, cardinali…). Ad esempio si può ricordare il titolo di Marchese, acquisito nel 1289; la nomina di Oddone Colonna al soglio pontificio con il nome di Martino V nel 1417; la nomina a Principi di Salerno nel 1442; il titolo di Duchi di Zagarolo acquisito nel 1569 e quello di Principi del Sacro Romano Impero ottenuto nel 1710. La loro presenza a Roma è attestata in maniera chiara per la prima volta in un documento del 1252: si tratta di una transazione immobiliare tra due cugini, Pietro ed Oddone III, varie volte

La famiglia Colonna è senza dubbio una delle più antiche e longeve delle nobiltà romana, ricordata già a partire dal XI secolo. Da varie fonti è possibile attribuire la loro origine all’antico Castello Colonna, corrispondente all’attuale paese di Colonna alle pendici dei Castelli Romani. Sembra che proprio dal luogo d’origine la famiglia abbia derivato sia il nome sia il proprio emblema, caratterizzato da una colonna con fusto in argento, capitello e base in oro, il tutto su uno sfondo rosso. Durante il Basso Medioevo Roma era nelle mani di una cerchia ristretta di famiglie nobiliari che si era spartita e controllava il suo territorio: la famiglia dei Frangipane aveva il controllo dell’area tra il Foro Romano ed il Palatino; gli Annabaldi avevano il possesso del Laterano e della Torre delle Milizie; i Capocci possedevano l’Esquilino; i Savelli l’Aventino e l’area del Teatro di Marcello mentre gli Arcioni avevano parte del Quirinale. La zona compresa tra le pendici occidentali del

nella pagina accanto: Palazzo Colonna disegnato da Giuseppe Vasi (1754)

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Senatore dell’Urbe. Nell’elenco delle proprietà falmente dalla popolazione. che spettano ad Oddone III, dopo il suo matriLa città che gli si mostrò davanti non era altro monio con una Orsini, si parla dell’area comche una mera ombra del suo passato e per quepresa tra il Quirinale e il Mausoleo di Augusto. sto decise di farla ripulire e tornare all’antico Quando i Colonna riuscirono ad impossessarsi splendore. Promulgò numerose riforme edilidell’area, vi erano già una serie di edifici, alcuni zie, che riguardarono anche il palazzo apparteanche difensivi, che i Conti di Tuscolo avevano nente alla sua famiglia. Fece restaurare in partifatto costruire sfruttando in parte anche le rovicolare la porzione Sud dell’edificio, legata alla ne del Tempio di Serapide. chiesa dei Santi Apostoli. Il palazzo sorge sulle rovine di uno dei più imOrdinò anche di costruire una nuova ala che ponenti templi dell’antica Roma, quello dedicafosse perpendicolare a quella già esistente, to a Serapide per volere dell’Imperatore Carausandola probabilmente come residenza privacalla, agli inizi del III secolo d.C., lungo le penta. dici occidentali del Colle Quirinale, nella zona Sempre nello stesso periodo venne realizzato ora compresa tra piazza della Pilotta e piazza un altro blocco, a Nord della basilica dei Santi del Quirinale. Il Apostoli e che si tempio aveva diaffacciava sull’omensioni grandiomonima piazza. se ed era caratteEra detto della Torrizzato da una more o del Vaso dalla numentale scalinapresenza di questi ta che permetteva due elementi all’indi superare il disligresso. vello del colle. Giordano Colonna, I Colonna contifratello minore di nuarono come i Martino V, acquiloro predecessori a stò una serie di tercomprare, restaureni ed immobili su rare e far costruire via della Pilotta, Piazza Santi Apostoli nel disegno di Van Cleve (1550) nuovi edifici ampliando così la nell’area per secoli, espandendo sempre di più proprietà della famiglia. la loro proprietà. Ma la fortuna dei Colonna subì un brusco arreNon disdegnavano di emergere anche nella vita sto quando venne eletto il nuovo Papa Eugenio sociale della città e spesso ospitavano influenti IV. Egli si dimostrò da subito ostile alla potente personaggi, anche letterati: va ricordato che nel famiglia e al loro potere sempre crescente: fece 1341 il Petrarca, giunto a Roma per ricevere l’insaccheggiare il palazzo e pretese che venissero coronazione a poeta in Campidoglio, soggiornò restituiti quei terreni e quelle fortezze che il suo presso di loro. predecessore aveva donato alla sua famiglia ma Grande lustro al palazzo sicuramente venne dache in realtà erano proprietà della Chiesa. to da Oddone Colonna quando divenne Papa. Nel 1439 la porzione Sud del palazzo, quella Fu eletto durante il Concilio di Costanza nel voluta da Martino V e comunicante con la chie1417 ed uno dei suoi primi obiettivi fu quello di sa dei Santi Apostoli, venne scelta dal cardinale riportare il soglio pontificio da Avignone a RoBessarione (1439 – 1472), titolare della basilica ma: per questo partì in direzione dell’Urbe donominato da Eugenio IV, come residenza e vi ve arrivò il 20 Settembre del 1420, accolto trionvisse fino alla morte; è qui che il cardinale tene14


La Sala Grande della Galleria Colonna

va la sua famosa biblioteca personale. A causa della scelta del cardinale di vivere nell’antica residenza della famiglia Colonna, il cardinale Prospero Colonna decise di far costruire un nuovo fabbricato lungo via della Pilotta, ai piedi del Tempio di Serapide, prospiciente al Palazzo dell’Olmo e parallela all’edificio fatto costruire da Martino V. L’ala del palazzo occupata dal cardinale Bessarione venne poi scelta come residenza anche dai suoi successori nella reggenza della basilica: il cardinale Pietro Riario (1471 – 1474) e Giuliano della Rovere (eletto cardinale nel 1471 e che poi fu Papa con il nome di Giulio II dal 1503 al 1513), ambo nipoti di Papa Sisto IV. Questi tre cardinali furono legati dalle stesse passioni e interessi e questo legame si ritrova nello stemma presente in due chiavi di volta di due sale al pian terreno. Si tratta di una croce sostenuta da due mani, simbolo di Bessarione, con una rosa araldica, della famiglia Riario, il tutto incorniciato da una quercia, simbolo dei Della Rovere. Nel 1484 Giuliano della Rovere commissionò la costruzione di una loggia vicino al suo palazzo e legata ad angolo retto con l’edificio voluto da

Martino V. Questa loggia, ancora esistente, viene attribuita all’architetto Giovannino de’ Dolci ed era composta da nove arcate aperte su un giardino interno. Per le decorazioni furono chiamati i migliori artisti dell’epoca, tra cui il Pinturicchio: egli ebbe il compito di affrescare la Sala detta oggi della Fontana (dalla presenza di una grande fontana dipinta sulla parete). Tra il 1485 ed il 1492 il Pinturicchio fu incaricato di affrescarla; nella volta rappresentò storie di eroi greci e romani alternate con episodi tratti dalla Bibbia: tutti i personaggi erano stati scelti in base alla loro virtus. Ogni singolo episodio venne poi incorniciato con delle grottesche ispirate alla Domus Aurea, che era stata riscoperta da poco. Nel 1508 Giulio II concesse a sua nipote Lucrezia e a suo marito Marcantonio I Colonna, capitano dell’esercito pontificio, di vivere nella palazzina da lui fatta costruire: da quel momento la proprietà anche di quell’edificio passò alla famiglia Colonna. Nel 1527 i Lanzichenecchi saccheggiarono Roma: questo episodio segnò la fine del periodo di 15


splendore edilizio sorretto da turchi ininziato per volere di catenati e incorniciaMartino V. Le proto da grottesche. prietà della famiglia Intervenne anche però non subirono nell’ambiente che attacchi in quanto i univa la loggia con il Colonna, pur essenpalazzo voluto da do legati alla Chiesa, Prospero Colonna, avevano sempre trasformandolo nella mantenuto ottimi sua biblioteca persorapporti anche con nale. Per la decoral’Imperatore. Dal zione di questo am1524, infatti, Ascanio biente Ascanio volle Colonna era al serviil Lanzone ed il Riczio di Carlo V e ne ci: quest’ultimo negli aveva sposato la nistessi anni era impepote Giovanna d’Agnato nella pittura Planimetria del Palazzo e della Galleria Colonna ragona. della biblioteca vatiNegli anni Sessanta cana e questo spiega del Cinquecento soggiornò nel palazzo della le numerose analogie tra i due ambienti. Torre anche il cardinale Carlo Borromeo: grazie Tra la seconda metà del Cinquecento e la prima a lui nel 1566 anche questo edificio divenne metà del Seicento la famiglia Colonna volle amproprietà dei Colonna, nello specifico di Marpliare maggiormente i suoi possedimenti, cantonio II (figlio di Ascanio e Giovanna d’Aracreando un unico grande complesso residenziagona), in quanto suo figlio Fabrizio aveva spole, ampliando il fabbricato principale voluto da sato la sorella del cardinale Borromeo. Fu lui a Martino V, verso l’attuale via IV Novembre. I chiamare Pirro Ligorio per restaurare il palazzo. lavori avvennero in arco di tempo compreso tra Nel 1589 il cardinale Ascanio Colonna, erede di il 1550 ed il 1630, anni di due incisioni che riMarcantonio II, su invito di Papa Sisto V donò il portano il palazzo prima diviso e poi completo. palazzo della Torre ai Padri Minori Francescani Con il passaggio al nuovo secolo la situazione del convento dei Santi Apostoli; ancora oggi della famiglia Colonna peggiorò sia per problequesta parte è loro. mi economici legati ad investimenti sbagliati, Sempre il cardinale si occupò dei restauri del sia per la morte di Marcantonio III alla fine del palazzo, facendo tamponare le arcate della logCinquecento e di suo figlio Marcantonio IV nel gia della Rovere nella Sala della Fontana; fece 1611. La famiglia si trovò senza un erede diretto modificare l’affresco del Pinturicchio posto nel e si decise di scegliere come guida Filippo I, frariquadro al centro della volta, dove erano riprotello minore di Marcantonio III, il quale grazie dotte le armi dei Della Rovere per sostituirle ad un’accorta e strategica politica economica, con quelle dei Colonna. Fece inserire i vessili di riuscì a risollevare le sorti della casata. guerra con il toson d’oro e quattro schiavi turPer rinforzare maggiormente la posizione polichi incatenati, un chiaro riferimento alla vittoria tico – sociale della famiglia, decise di far sposadi Marcantonio II contro i Turchi a Lepanto nel re sua figlia Anna a Taddeo Barberini, che oltre 1577. Ascanio fece anche affrescare le volte delle ad essere il prefetto di Roma era anche il nipote altre due sale della loggia (del Tempesta e del prediletto di Papa Urbano VIII, cercando così di Dughet), dove ricorre lo stemma dei Colonna tornare nelle grazie del Papa. 16


Anche Filippo I intervenne nell’edilizia dell’aipotesi che posizionavano la Domus Aurea al di rea, trasformando il Palazzo ai Santi Apostoli sotto delle sue proprietà, presentò il suo palazda fortezza militare a vera e propria residenza zo come una nuova Domus Aurea, sottolineanurbana. Fece sistemare l’intero terreno sul colle do però che mai avrebbe potuto ospitare NeroQuirinale alle spalle del palazzo, creando un ne. meraviglioso giardino all’italiana. Per collegare Successore di Girolamo I alla guida della famiil palazzo al giardino fece realizzare due ponti glia fu suo nipote Lorenzo Onofrio (1637 – balaustrati che scavalcavano via della Pilotta 1689), al quale si deve la realizzazione della (oggi sono quattro). Nel 1625 Filippo ottenne da splendida galleria, i cui lavori iniziarono nel Papa Urbano VIII (con una scrittura privata fir1661: in questa costruzione si rifletté perfettamata dal pontefice) il permesso di abbattere mente il cambiamento avvenuto nel corso del quello che restava del tempio di Serapide e poté Seicento della concezione di galleria e camerino così completare il giardino, commissionando d’arte: prima i due ambienti erano considerati nel 1618 il grandioso portale d’accesso tutt’ora distinti, il primo volto ad esaltare la famiglia e esistente per l’ingresso sul Quirinale. Parte del la sua genealogia, il secondo come luogo dove grande frontone marmoreo del Tempio è ancoesporre le proprie migliori collezioni. Nella Galra visibile, nella medesima posizione in cui cadleria Colonna i due ambienti vennero invece de al momento della demolizione, nella terrazfusi in unico grande e lungo salone dove poter za del giardino. contemporaneamente magnificare le proprie Alla sua morte, avvenuta nel 1639, la guida delorigini ed esporre la propria ricchezza. la famiglia passò al figlio Girolamo I, anch’egli La Galleria venne affrescata con numerose scepoi eletto cardinale, che proseguì l’operato del ne legate alla vittoria di Lepanto di Marcantopadre nel riportare in auge la casata. Fu un nio II, ormai divenuto l’eroe rappresentativo grande mecenate e volle alla sua corte artisti, della famiglia, e decorata con innumerevoli musicisti e letterati; fece installare un teatro opere d’arte. Divenne anche il luogo di rappreall’interno del palazzo. Affidò all’architetto Ansentanza e di incontri, anche mondani. tonio il Grande, Sempre nel 1661 Il “Mangiafagioli” di Carracci (1583-1584). Galleria Colonna al servizio della Lorenzo Onofrio famiglia in quesposò Maria gli anni, la riMancini, nipote st r ut t ur a zi o ne del cardinale del fabbricato su Giulio Mazzarivia della Pilotta e no, la quale viil progetto di veva in Francia creare una loggia ed era ritenuta nel cortile sul la prediletta di quale il palazzo Luigi XIV. Prosi affacciava. prio questa preMolti furono gli dilezione portò interventi che ben presto al nacommissionò anscere di numeche nel resto del rosi pettegolezzi palazzo; soprate maldicenze ma tutto poi, riteLorenzo, invece nendo vere le di preoccuparse17


Il cortile di Palazzo Colonna

ne, pensava a paragonarsi al re Sole e a creare dei parallelismi tra la Palazzo Colonna e la Reggia di Versailles. Ma il carattere della moglie gli creò non pochi problemi, soprattutto quando Maria scappò da Roma travestita da uomo: questo gettò discredito su di lui e sulla sua famiglia. La Galleria divenne quindi per Lorenzo il mezzo per far valere il proprio potere e la propria posizione sociale dopo lo scandalo e le sue immancabili conseguenze. La Galleria, detta anche Sala Grande, venne ultimata nel 1665. Per la sua decorazione venne scelto lo Schor, molto legato al Bernini, che lavorò molto sulla progettazione delle decorazioni, realizzate tra il 1665 ed il 1668. Notevole fu il lavoro che l’artista fece per sfruttare al meglio la grande quantità di luce che entrava da finestroni presenti su ambo i lati della galleria, evitando che le pitture rimanessero nell’ombra. La scelta del soggetto principale fu da subito quella della grandiosa battaglia di Lepanto del 1577 combattuta da Marcantonio II Colonna

contro i Turchi. Al momento della sua morte lo Schor non era riuscito a portare a compimento gli affreschi; i lavori vennero quindi proseguiti da Filippo Gherardi e Giovanni Coli, entrambi eredi di Pietro da Cortona. Lavorarono alla Galleria dal 1675 al 1678, realizzando i cinque riquadri presenti nella volta, rappresentanti le gesta di Marcantonio II. Alle estremità della Galleria vennero poi aggiunti, quando la decorazione non era ancora ultimata, due ambienti (oggi noti come Sala dei Paesaggi, dalla tipologia della decorazione, e Sala della Colonna Bellica, dalla presenza di una colonna tortile in porfido con statua di Minerva sulla sua sommità). Il cambiamento del progetto, con questo ulteriore ingrandimento, viene attribuito allo stesso Lorenzo Onofrio, sempre per sottolineare il suo ruolo di prestigio e potere nella società romana nonostante l’abbandono da parte della moglie. Probabilmente il suggerimento della creazione di questi altri due ambienti venne dal Bernini, che era stato chiamato a Palazzo nel 1674. L’ar18


chitetto Carlo Fontana, che curò i lavori, non ebbe grandi problemi con la realizzazione della prima sala, quella detta dei Paesaggi, perché si trattava soltanto di unire degli ambienti che già esistevano. I problemi furono legati alla creazione della sala detta della Colonna Bellica, perché parte di questa in origine si trovava nel Palazzo della Pilotta e non era comunicante con la Galleria. Il Fontana riuscì a risolvere il problema del collegamento e del dislivello dei due piani creando una scalinata e ornandola sulla sommità con due colonne di tipo corinzio rivestite in giallo antico: la scelta delle colonne serviva ad esaltare nuovamente il simbolo della famiglia stessa. Per le decorazione delle volte delle due sale, realizzate tra il 1678 ed il 1700, i soggetti scelti furono quelli dell’apoteosi e della gloria di Marcantonio II, legati quindi al resto del ciclo pittorico della Sala Grande. Filippo II, succeduto al padre Lorenzo, ultimò le decorazioni della galleria (pavimenti, colonne, pilastri) reimpiegando i numerosi marmi colorati provenienti dal Tempio di Serapide. Nel 1701, anche se non ancora ultimata, la Galleria venne inaugurata con una grandiosa festa ricordata a lungo come la più memorabile dell’anno. Lorenzo Onofrio non si occupò soltanto della creazione della Galleria: fece anche restaurare e decorare la Loggia della Rovere, oggi divenuta parte degli appartamenti della Principessa Isabelle. Le tre sale che compongono la Loggia furono decorate dal Tempesta e dal Dughet, dai quali prendono il nome. Le tre sale furono legate da un’iconografia che tendeva a rappresentare all’interno del palazzo quella che era la natura che si trovava al suo esterno. Fabrizio Colonna, figlio di Filippo II, dal 1714 a guida della famiglia, fece rinnovare il prospetto del Palazzo su via della Pilotta, dandogli quello che è l’aspetto attuale. Tra il 1729 ed il 1731 venne creata una quinta, con una fascia bassa destinata alle botteghe, che era racchiusa alle estremità tra due padiglioni, dei quali quello Sud

Orientale ospita ora il Museo delle Cere. Girolamo II, fratello minore di Fabrizio, dopo essere stato creato cardinale nel 1743, avviò lavori di ristrutturazione e rifacimento del prospetto della facciata sul grande cortile d’ingresso al palazzo e della scala che conduceva ai piani nobili affidando il tutto all’architetto Paolo Posi. Fu quest’ultimo a completare l’unificazione tra l’edificio in via della Pilotta, la palazzina di Girolamo I e la Galleria. Alla fine del Settecento i Colonna erano finalmente riusciti a far diventare le loro proprietà un’unica grande residenza e, dall’Ottocento in poi, i vari membri della famiglia si sono sempre occupati di restaurare e conservare al meglio il Palazzo. Nel 1818 riuscirono ad ottenere il vincolo che legava indissolubilmente le opere che costituivano la Collezione Colonna con il luogo nel quale erano conservate, per evitare, come avvenne durante l’occupazione napoleonica, che venissero vendute separatamente e forzatamente. Durante il Novecento il Palazzo fu di nuovo al

Il Museo delle Cere ospitato nel Palazzo Colonna

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Tintoretto, Narciso, Galleria Colonna (1550-1560)

centro della vita mondana dell’Urbe grazie alla principessa Isabelle (1889 – 1984), moglie del principe Marcantonio. Ai due coniugi si deve il rifacimento dei prospetti delle facciate su via IV Novembre e su piazza Santi Apostoli, nonché la sistemazione attuale del giardino interno. Dagli anni Settanta del Novecento ed ancora oggi continuano costantemente i lavori di manutenzione e restauro del palazzo.

il quadro di Annibale Carracci “Il mangiafagioli” (fig. 6), che con la sua cruda rappresentazione di un contadino che mangia risulta essere sicuramente al di fuori di tutto il ciclo decorativo del Palazzo (l’immagine è stata usata come copertina del ricettario “Il Talismano della Felicità”). Sempre all’interno della Sala Grande venne anche girata la scena finale del famoso film “Vacanze Romane”, quando la principessa Anna tiene la sua conferenza stampa.

Il Palazzo però non è solo ricco di storia, vi sono legate anche alcune curiosità. Quando si inizia la visita guidata, partendo dalla Sala della Colonna Bellica, si passa alla Sala Grande della Galleria scendendo la scalinata creata dal Fontana e quello che subito salta agli occhi è la presenza di una palla di cannone conficcata tra gli scalini. Nel 1849 durante la difesa di Garibaldi della Repubblica Romana, i Francesi spararono dal Gianicolo una palla di cannone che, entrando da uno dei finestroni della Galleria, andò a conficcarsi el punto esatto dove si trova ancora oggi. Nella Sala detta dell’Apoteosi di Martino V, alla quale si arriva dopo aver attraversato la Sala Grande e quella dei Paesaggi, si conserva anche

Palazzo Colonna è ancora oggi abitato dagli eredi della famiglia e per questo solo alcune parti, compresa la Galleria, sono visitabili. La Galleria è aperta ogni sabato mattina dalle 9:00 alle 13:15 (ultimo ingresso) e nel biglietto è compresa la visita guidata facoltativa sia in italiano (alle ore 11) sia in inglese (alle ore 12). Sono possibili anche visite private, previa prenotazione, tutti i giorni.

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Curiosità CINEMA

VACANZE ROMANE di Manuela Ferrari

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non viene mai nominato, che si reca a Roma per un viaggio diplomatico. La sera del suo arrivo Anna si sente male a causa di un crollo di nervi dovuto ai troppi impegni e, dopo essere stata lasciata sola nella sua stanza dal medico che l’aveva visitata e le aveva somministrato un sedativo, decide di scappare ed inizia a girare per Roma senza una meta precisa, ammirando le infinite bellezze che la città offre. Il sedativo preso fa però il suo effetto e la principessa si addormenta in una strada, dove viene notata dal giornalista statunitense Joe Bradley che lavora a Roma. Il giornalista cerca di riportarla a casa ma, dal momento che la sconosciuta non gli fornisce il suo indirizzo e visto anche il suo stato confusionale, decide di portarla nel suo appartamento. La mattina dopo, giunto al lavoro, Joe riceve la notizia del malessere della principessa Anna e che la conferenza

l mondo del cinema ha spesso usato la città di Roma come sfondo per numerosi e famosi film di ogni genere, in particolare negli anni della Dolce Vita. Tra quelli che si legano alle bellezze della città eterna ve ne è uno che ha fatto sognare intere generazioni: si tratta del film “Vacanze Romane”, diretto nel 1953 da William Wyler ed interpretato da Gregory Peck ed Audrey Hepburn. Le riprese della pellicola, prodotta dalla Paramount, iniziarono nell’estate del 1952 e furono completate nel settembre del medesimo anno, dividendo il lavoro tra gli studi di Cinecittà e gli esterni nelle vie della Capitale. La trama ricorda molto la storia di Cenerentola, seppure con le dovute differenze. La storia ha inizio con Anna, principessa di un regno che 21


di Joe, si cambiano e poi il giovane accompagna Anna alla sua ambasciata e lì i due si separano. Il loro incontro li ha cambiati: Anna decide di prendersi tutte le responsabilità che il suo ruolo le impone, mentre Joe decide di non pubblicare né l’articolo né le foto della principessa. Anna partecipa poi ad una conferenza stampa con i giornalisti stranieri e scopre che anche Joe e Irving sono presenti, ma i due riescono a farle capire che non riveleranno quanto successo il giorno prima e, a prova di ciò, le regalano le foto fatte da Irving. L’ultima scena vede Anna che si allontana e Joe che resta solo. stampa, alla quale lui stesso avrebbe dovuto partecipare, è stata annullata. Nella foto allegata alla notizia Joe riconosce la “sua” sconosciuta e decide di sfruttare l’occasione per un grande scoop e comunica al suo redattore che gli fornirà un’intervista esclusiva e foto della principessa in giro per Roma. Per riuscire nell’impresa Joe chiama un suo amico fotoreporter, Irving, mettendolo al corrente dello scoop. Joe torna quindi a casa dove trova ancora Anna, ma non le dice di sapere chi sia. La giovane si presenta come Anya, lo ringrazia per l’ospitalità e va via, decidendo di continuare a girare per Roma come una qualsiasi turista. Joe segue di nascosto la giovane e, quando lei arriva a Piazza di Spagna, finge di incontrarla per caso: i due iniziano a parlare ed Anna gli chiede di farle vedere la città. Nel frattempo, sempre casualmente, incontrano anche Irving, che con uno stratagemma le fa di nascosto delle foto. Sia Joe che Irving fingono di essere degli imprenditori e Anna si fida di loro. Passano tutta la giornata insieme mentre i tutori di Anna, insieme a degli agenti in borghese, la cercano ovunque. Finalmente la sera riescono a trovarla mentre balla con Joe su un barcone sul Tevere e tentano di convincerla a tornare indietro con loro. Si scatena così una piccola rissa tra gli agenti, Joe e la stessa Anna, il tutto ripreso da Irving. I due giovani riescono a scappare gettandosi nel Tevere e, giunti a riva, si scambiano un bacio appassionato. Consci però della situazione reale i due tornano a casa

“Vacanze Romane” è senza dubbio un film affascinante ma sono molte le curiosità legate a questa famosa pellicola. Inizialmente la produzione aveva scelto come protagonisti Cary Grant per il ruolo di Joe ed Elisabeth Taylor per quello di Anna. La Taylor aveva però altri progetti da portare avanti e Grant disse che si sentiva troppo vecchio per recitare un ruolo sentimentale accanto alla giovane Hepburn, che nel frattempo era stata scritturata per interpretare Anna. Va detto che questo è il primo film da protagonista di Audrey Hepburn, che la rese famosa in tutto il mondo le permise di passare da semplice attrice di teatro a stella del cinema mondiale. Il suo provino per la parte di Anna divenne ben presto leggendario: il regista ricordava spesso che la Hepburn recitò la scena prevista dal copione e subito dopo qualcuno gridò di fermarsi, ma la macchina da presa non venne

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spenta. A quel punto l’attrice si alzò in piedi e chiese come fosse andata e, quando notò il silenzio in sala e le luci ancora accese, si rese conto che stavano ancora girando. La sua espressione di ingenua sorpresa e il modo in cui aveva recitato convinsero Wyler che lei avesse il fascino, l’innocenza e il talento che cercava per la figura di Anna.

sale cinematografiche statunitensi nell’agosto del 1953 ed ebbe subito un gran riscontro e apprezzamento sia da parte del pubblico che da parte della critica, dando alla Hepburn una visibilità notevole, al punto che divenne ben presto un’icona di stile da imitare. l film raggiunse l’incasso di 12.000.000 di dollari a fronte dei 1.500.000 dollari che era costata l’intera produzione, con un guadagno enorme. Numerosi furono i riconoscimenti ottenuti: nel 1953 il New York Film Critics Circle Award diede alla Hepburn il premio come Migliore Attrice Protagonista ed il National Board of Review of Motion Pictures lo inserì tra i dieci migliori film dell’anno. Nel 1954 la pellicola ottenne 3 Oscar come Miglior Attrice Protagonista, Miglior Soggetto e Migliori Costumi. Nel medesimo anno la Hepburn vinse anche il Golden Globe come Migliore attrice in un film drammatico ed il premio BAFTA come Migliore Attrice Britannica. Della vittoria dell’Oscar come migliore attrice da parte della Hepburn lo stesso Gregory Peck fu profeta. Dopo appena due settimane dall’inizio delle riprese, Peck chiamò il suo agente sostenendo fortemente che, nei titoli, il nome di Audrey Hepburn doveva assolutamente essere messo in evidenza quanto il suo, giustificando la richiesta con una spiegazione molto semplice: si era perfettamente reso conto, come racconterà poi in una intervista, che la ragazza, al suo primo film, era talmente brava che avrebbe vinto l’Oscar.

Una delle scene più famose è senza dubbio quella del tour che Peck fa fare alla Hepburn a bordo della Vespa: grazie a questo film lo scooter della Piaggio, brevettato nel 1946, divenne famoso in tutto il mondo. Tra le numerose scene girate tra i monumenti di Roma, senz’altro una tra le più note è quella nella quale Joe porta Anna a visitare la Bocca della Verità e le narra la leggenda ad essa legata, introducendo la mano e fingendo che gli venga tagliata, nascondendola nella giacca. Il particolare della mano che scompare non era previsto nel copione ma fu un’improvvisata di Peck: la Hepburn non ne era a conoscenza e le sua grida ed il tentativo di aiutare Peck sono state le sue reali reazioni. In una delle interviste che Peck rilasciò dopo la fine delle riprese del film, l’attore dichiarò che il regista era molto attento alle reazioni dei moltissimi romani che assistevano alle varie scene girate in esterno al punto che, se la gente diceva che la scena era venuta male, la faceva rigirare di nuovo mentre se dicevano che era buona la teneva. Per le scene girate in esterno furono scelti i principali luoghi turistici di Roma: la Bocca della Verità presso la chiesa di Santa Maria in Cosmedin; Piazza della Rotonda e il Pantheon; Castel Sant’Angelo; Fontana di Trevi; Piazza Venezia; Piazza di Spagna con la chiesa e la scalinata di Trinità dei Monti; il Tevere, il Colosseo e via dei Fori Imperiali; Piazza San Pietro; Piazza della Repubblica. Per gli interni dell’appartamento di Joe fu scelto il civico 51 di Via Margutta, mentre la scena finale della conferenza stampa venne girata all’interno della Galleria Colonna presso l’omonimo Palazzo. Il film venne proiettato per la prima volta nelle

Scena finale del film girata nella Galleria Colonna

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MOSTRE ARTE E ARCHEOLOGIA

LA MEMORIA RITROVATA Tesori recuperati dall’Arma dei Carabinieri di Elvira Damiani

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al 23 gennaio al 16 marzo 2014 il Palazzo del Quirinale ospita la mostra “La memoria ritrovata. Tesori recuperati dall’Arma dei Carabinieri”, che espone oltre un centinaio di capolavori collocati nell’ala occidentale del Palazzo, ed in particolare in due sale della Galleria di Alessandro VII Chigi.

perata dagli uomini dell’Arma e oggi assegnata al Museo Nazionale di Villa Giulia) al Settecento (con l’Adorazione dei Magi di Francesco Solimena). Dall’arte etrusca arcaica a quella greca e romana, dal Duecento al Settecento, le principali fasi della nostra storia sono ampiamente rappresentate attraverso i preziosi recuperi effettuati dagli amici del Comando Tutela Patrimonio Culturale.

L’esposizione, curata da Louis Godart (Consigliere del Presidente per la Conservazione del Patrimonio Artistico) e promossa dalla Presidenza della Repubblica, si articola in due sezioni che si snodano nella Sala degli Scrigni, nella Sala di Ercole e nella Sala degli Ambasciatori con l’esposizione di 110 opere che vanno dal VI secolo a.C. (come la testa di leone recu-

Nella Sala di Augusto inoltre il visitatore potrà ammirare una serie di urne funerarie, insieme a una parte del corredo, provenienti da uno scavo effettuato in occasione della costruzione di una moderna abitazione a Perugia. Le ruspe della ditta che eseguiva i lavori hanno raggiunto e sventrato un mausoleo etrusco risalente al III-I secolo a.C. che apparteneva alla grande fa24


miglia etrusca dei Cacni. Invece di avvertire la locale Soprintendenza, i responsabili del cantiere hanno recuperato alla meglio il materiale venuto alla luce con l’intento di vendere i reperti. Le attente indagini dei carabinieri, a seguito di una segnalazione dell’archeologa della Soprintendenza dell’Umbria, Luana Cenciaioli, hanno permesso di individuare il luogo dove erano conservate le urne e di recuperare buona parte dei capolavori depositati nel mausoleo. Le urne con le raffigurazioni di scene ispirate al mondo greco sono per la maggior parte dei capolavori assoluti. Vi sono infatti le rappresentazioni del sacrificio di Ifigenia, della lotta tra Pelope ed Enomao e delle centauromachie. Queste urne funerarie sono talmente notevoli che rappresentano una delle più importanti scoperte degli ultimi trent'anni nel campo dell'etruscologia e possiamo apprezzarle ulteriormente anche grazie all’ intervento di restauro realizzato dall’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro.

recupero di capolavori che scavi clandestini e furti vari avevano sottratto alla comunità scientifica e all’ammirazione del pubblico: dapprima la mostra “Nostoi. Capolavori ritrovati” del 2007 che celebrava il rientro in patria di decine di opere d’arte acquisite illegalmente da quattro grandi istituzioni museali americane; poi la presentazione nel 2013 della famosa “Tavola Doria” attribuita da molti a Leonardo da Vinci e finalmente rientrata in patria dopo un esilio di oltre settant’anni; oggi “la Memoria Ritrovata”. La bellezza di queste opere ritrovate è un indizio ulteriore, laddove ve ne fosse il bisogno, dell’immensa ricchezza e diversità della cultura italiana, ma il loro recupero da parte dei Carabinieri dimostra anche la grande fragilità del nostro patrimonio storico e archeologico, perennemente minacciato oltre che dall’usura del tempo, dalla speculazione edilizia e dai predatori d’arte. Le opere in mostra, tutte provenienti da scavi clandestini od oggetto di furti in chiese e musei, testimoniano, attraverso il loro recupero al termine di lunghe e difficili indagini, il merito di chi

Il Palazzo del Quirinale accoglie per la terza volta una grande mostra incentrata sul 25


combatte con passione i predatori della memoria dei popoli. Questa esposizione costituisce inoltre l’occasione per illustrare l’organizzazione e le attività che consentono all’Arma dei Carabinieri, da oltre 40 anni, di essere protagonista nella tutela del patrimonio culturale nazionale attraverso il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (organo di diretta collaborazione del Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) che rappresenta il modello di riferimento per gli Stati che si vogliono dotare di un servizio specializzato nella salvaguardia dei beni d’arte e cultura. La mostra infatti è il frutto dei continui controlli che il CC TPC svolge nelle aree archeologiche e delle attività commerciali, dell’attività investigativa specialistica, volta al recupero di beni culturali e oggetti d’arte, anche attraverso il monitoraggio di siti web dedicati, e della gestione della

“Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti” (per dare un’idea: questa banca dati contiene oltre 5 milioni e 700 mila oggetti). Un lavoro intenso, impegnativo e che richiede competenze specifiche, ma che, come abbiamo la fortuna di osservare in questa mostra, riesce a ritrovare le testimonianze più preziose della nostra storia.

Orari Dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 18.30. Ingresso gratuito Domenica: dalle 8.30 alle 12.00 € 5 con visita al Palazzo. Chiusa il lunedì

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Curiosità ARTE E ARCHITETTURA

LA GALLERIA CHIGI NEL PALAZZO DEL QUIRINALE di Elvira Damiani

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ginalmente nell’esecuzione degli affreschi. In seguito alla conquista di Roma da parte degli eserciti francesi, Napoleone progettò di fare del Palazzo del Quirinale la sua dimora imperiale, affidando all’architetto Raffaele Stern i lavori per la modifica del palazzo. Così nel 1811-1812 la Galleria Chigi fu trasformata, murando le finestre che davano sul Cortile d’Onore e coprendo le pareti con uno strato d’intonaco, dividendola nei tre saloni sopra citati. Qui dovevano essere ospitati gli appartamenti imperiali. Fino a tempi recenti si riteneva che la maggior parte della decorazione delle pareti realizzata dai collaboratori di Pietro da Cortona fosse stata irrimediabilmente distrutta, rimanevano soltanto gli ovali, i riquadri e i due grandi affreschi che ornavano le pareti brevi, ad opera rispettivamente di Maratta e Mola, mentre le pitture di raccordo erano state sostituite a metà Ottocento da modesti monocromi. Negli ovali e nei riqua-

a mostra “Memoria ritrovata” è allestita nei saloni che costituiscono la Galleria Chigi all’interno del Palazzo del Quirinale. Questa parte del Palazzo, ora sede del Presidente della Repubblica, ha una storia curiosa e interessante che è stata rivelata in tempi recenti. Infatti fino all’occupazione napoleonica, al posto dei tre saloni (Sala Gialla, Sala di Augusto, Sala degli Ambasciatori) dell’ala del palazzo che si affaccia sulla piazza del Quirinale si poteva ammirare una grandiosa galleria, costruita verso il 1588, in occasione dei lavori promossi da papa Sisto V. Nel 1655 papa Alessandro VII Chigi decise di far decorare le pareti di questa galleria con un grandioso affresco e affidò i lavori a Pietro da Cortona (1596-1669). Ideata e progettata la decorazione trovati i pittori cominciò a dirigere la pittura, intervenendo forse mar28


paesaggistiche; il secondo disegno conservato al Kunstmuseum de Düsseldorf (F. P.8070) rappresenta uno stadio più avanzato del progetto di decorazione, e mostra la stessa distribuzione degli elementi decorativi illustrata nel primo disegno. La scoperta degli affreschi avvenne in occasione dei lavori per l’impianto elettrico del 2001, nella Sala degli Ambasciatori, non senza emozione, sotto lo strato d’intonaco applicato e in perfette condizioni. Così nel 2002 è stato completato il restauro degli affreschi della parete della Sala degli Ambasciatori prospiciente la piazza del Quirinale. Si provvide così a verificare l’eventuale presenza degli affreschi anche sulle altre pareti, che infatti furono visti in un ottimo stato di conservazione. Si decise così la riapertura delle finestre murate dallo Stern in occasione dei lavori Napoleonici per riportare all’antico splendore questa parte del palazzo. È stato riscoperto anche il pavimento del 1656 insieme a due iscrizioni che menzionano Alessandro VII e due splendide persiane con lo stemma di Clemente XIII (1758-1769). Così sono state recuperate e restaurate tutte le pitture della galleria Chigi conservate nelle tre sale e riaperte le finestre dell’antica galleria, riportando alla luce lo splendido lavoro ideato e curato da Pietro da Cortona e Alessandro VII Chigi.

dri rettangolari superstiti sono raffigurate scene bibliche tratte dal Vecchio Testamento. Si conosceva comunque la decorazione delle pareti grazie alla descrizione fattane dal Titi nel 1686: “Le figure e altri ornamenti di chiaro scuro che tramezzano l’Istorie suddette furono condotte dai pennelli del Chiari, da Canini, da Cesi, d’Egidio e altri; e li paesi e prospettive con colonne e verzure sono lavori di Giovan Francesco Grimaldi Bolognese e Giovan Paolo Tedesco”. Nel 1663 G.B. Mola cita inoltre Grimaldi, Lazzaro Baldi e altri pittori, aggiungendo che tutti lavoravano sotto la direzione di Pietro da Cortona. Inoltre lo stato originale della Galleria Chigi può vedersi in due disegni: il primo è conservato nella Christ Church Library di Oxford (inv. 0973), attribuito a Pietro da Cortona e mostra un segmento della galleria che lascia intravedere due finestre sormontate da un pannello rettangolare retto da due “ignudi” accovacciati e da un pannello circolare retto da “putti” e decorato con ghirlande. Questi pannelli si alternano con colonne doriche in mezzo alle quali si vedono paesaggi e prospettive 29


MUSICA E SPETTACOLO

ROMEO & GIULIETTA: AMA E CAMBIA IL MONDO Il Musical di Francesca Ramoni

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- Nelson Mandela Forum) e Verona (23/24 maggio - Arena). Biglietti per tutte le tasche: dai 16 ai 77 euro a seconda dell’età, della categoria sociale cui si appartiene e del settore scelto.

l vero protagonista è sempre lui: l’amore. Fulminante, vorace, tormentato e dal finale ovviamente tragico. Gli amanti più famosi della storia della drammaturgia occidentale tornano a emozionare l’Italia nella nuova e grandiosa trasposizione musico-teatrale che da ottobre è in giro per la penisola. Il musical Romeo e Giulietta: ama e cambia il mondo ha debuttato nella ‘bella Verona’ il 2 ottobre 2013, per poi spostarsi a Roma, dove tornerà tra un paio di mesi (11/16 marzo - Gran Teatro). Attualmente in scena a Milano (23 gennaio/11 febbraio - Gran Teatro Linaer4ciak) toccherà in seguito le città di Napoli (9/13 aprile - PalaPartenope), Torino (7/11 maggio - PalaOlimpico), Firenze (14/18 maggio

Nei panni di Romeo e Giulietta troviamo due giovanissimi nati in televisione: Davide Merlini, terzo classificato a X Factor 6, e Giulia Luzi, attrice de I Cesaroni e Un medico in famiglia; ben eseguiti da loro soprattutto i duetti in contrappunto. La riuscita dello spettacolo è garantita anche dal cast, dalle scenografie e dalle coreografie, il tutto sotto la direzione del regista Giuliano Peparini per la produzione di David Zard. La musica, scritta e arrangiata da Gérard Presgurvic, ha un ruolo fondamentale: i brani sono ritmati o melodici a seconda del momento che devono raccontare e i testi di Vincenzo Incenzo traduco-

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no bene le atmosfere originarie della tragedia, sebbene la lingua scelta sia contemporanea per essere ben compresa da tutti. Tra i brani più riusciti citiamo I re del mondo, canzone intonata da Romeo insieme al cugino Benvolio e all’amico Mercuzio e che, riassumendo il testo nel moderno motto “sesso e rock ’n roll”, incarna benissimo lo stile di vita dei giovani aristocratici dell’epoca. Indovinata la scelta di dare rilievo alla figura di Tebaldo, lasciato un po’ ai margini da William Shakespeare e che qui trova maggior spazio con due brani da solista nei quali vengono messi in evidenza i suoi strazi interiori e il perché del suo odio verso tutto e tutti e verso la vita stessa. Molto avvincente l’interpretazione di Gianluca Merolli, un Tebaldo intenso e profondo, una delle performance più convincenti

dell’opera insieme a Luca Giacomelli Ferrarini, che interpreta Mercuzio, da sempre il personaggio preferito del pubblico in ogni rappresentazioni del capolavoro shakespeariano. È lui l’amico tormentato ma scanzonato di Romeo, quasi lo specchio di Tebaldo, che infatti lo affronta nel duello chiave che porterà all’esilio del protagonista e all’esito fatale della morte dei due amanti. Amore e morte che cambiano davvero il mondo: le due famiglie si riappacificheranno proprio nella consapevolezza che è stato il loro odio a uccidere i giovani figli. I tempi cambiano, ma i grandi insegnamenti restano gli stessi. Al di là del tema dell’amore che, si sa, convince sempre.

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Curiosità SPETTACOLO

Romeo e Giulietta tra teatro e cartoons di Francesca Ramoni

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nografie tridimensionali e messe in scena che riproducevano gli effetti del ‘cinema dal vivo’ sono stati i tratti distintivi dell’allestimento, che però non ha bissato il successo di Notre-Dame de Paris, primo musical di Cocciante. Ultimo a dover essere citato l’indimenticabile West Side Story, rappresentato in tutto il mondo, ispirato alla tragedia ma, con protagonisti due bande giovanili di etnie diverse nella New York del XX secolo.

e trasposizioni teatrali, cinematografiche e non della tragedia di William Shakespeare sono innumerevoli, vediamo le più significative. Dal suo esordio, sul finire del XVI secolo, a oggi il teatro è il mezzo che ha più sfruttato l’opera. Caratteristiche le repliche del Globe Theatre di Londra e Roma per la particolarità del teatro stesso, esatta riproduzione del Globe di shakespeariana memoria. La sede inglese vanta addirittura una compagnia completamente maschile, proprio come ai tempi di Elisabetta I. Nella capitale italiana la direzione artistica è di Gigi Proietti, che ha cercato di svecchiare un po’ i testi introducendo un linguaggio moderno non sempre indovinato. Una particolarità: nel 1995 il regista Giuseppe Patroni Griffi ha diretto nei maggiori teatri italiani un allora sconosciuto Kaspar Capparoni nel ruolo di Romeo in un’audace versione coi due amanti completamente nudi sul palco nella scena del risveglio dopo la notte d’amore.

Rimanendo nella musica, ricordiamo il balletto in tre atti musicato da Sergei Prokofiev nel 1938, coreografato tra gli altri da Rudolf Nureyev, e il poema sinfonico del grande Cjaikovskij del 1869. Il cinema ci ha regalato l’opera di uno dei registi più importanti: Franco Zeffirelli, che nel 1968 ha diretto gli amanti veronesi in un contesto assolutamente fedele all’originale con i due Leonard Whiting-Romeo e Olivia Hussey-Giulietta angelici e meravigliosi. Nel 1996 l’australiano Baz Luhrmann ha attuato una piccola rivoluzione rielaborando la tragedia in chiave post-moderna: l’ambientazione è una Verona Beach degli Stati Uniti invasa dai grattacieli, Montecchi e Capuleti si sfidano a colpi di

Nel campo dei musical italiani, nel 2007 Riccardo Cocciante ha presentato il suo Giulietta e Romeo (opera popolare). Sce32


pistola, ma i dialoghi sono gli stessi del 1500. Operazione vincente, anche grazie alla presenza di Leonardo Di Caprio nel ruolo principale.

nemico che ha giurato di uccidere) e nel 2011 il cinema ha proposto un simpatico Gnomeo e Giulietta, riuscita parodia e unica versione finora a concludersi col lieto fine delle nozze tra i due.

Anche il mondo dei fumetti e dei cartoons ha dato il suo contributo: nel 1975 Gianni De Luca e Raoul Traverso hanno realizzato una trilogia di fumetti che comprende anche La Tempesta e l’Amleto di Shakespeare, nel 2009 vengono trasmessi in Italia i 24 episodi della serie anime giapponese Romeo x Juliet (nel continente aereo di Neo Verona l’unica sopravvissuta alla strage della famiglia da parte dei Montecchi è Giulietta, che si innamorerà proprio del

Tornando ai giorni nostri, andrà in onda a breve in televisione una mini serie in due puntate già trasmessa in Spagna per la regia di Riccardo Donna, protagonisti Martin Rivas e Alessandra Mastronardi: con un cambio di tempo e luogo, a far da sfondo alla vicenda non c’è più la classica Verona rinascimentale, ma un Trentino cupo e medievale.

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RECENSIONE CINEMA

“SMETTO QUANDO VOGLIO” di Manuela Ferrari

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gno di aiuto e, tenendo la sua fidanzata all’oscuro di tutto, decide di ricorrere ai suoi amici ed ex colleghi, con i quali divide la triste realtà del laureato precario che deve reinventarsi in questo periodo di forte crisi. Le loro discipline sono tra le più varie: due di loro sono degli esperti latinisti che lavorano in nero presso un benzinaio cingalese; uno è un antropologo che fa l’aiutante sfasciacarrozze; un archeologo che continua a seguire inutilmente lavori stradali di trivellazione e non riesce a trovare i soldi neanche per comprarsi il panino a pranzo e li deve chiedere agli operai; un altro ancora è un esperto di macroeconomia che passa il tempo a giocare al poker clandestino; ed infine un grande chimico che lavora come lavapiatti in un ristorante cinese. La banda è così composta da sette promettenti e brillanti laureati in diverse discipline che, unendosi, decidono di trarre il meglio dalle loro conoscenze per cambiare vita. Il gruppo riesce a realizzare il progetto di Pietro di creare una droga che non contenga sostanze vietate dal Ministero della Salute: i soldi non tardano ad arrivare e così, nel giro di pochissimo tempo, si ritrovano a dover gestire non solo mol-

l 6 Febbraio uscirà nella sale italiane il film “Smetto quando voglio”, diretto dal giovane regista salernitano Sydney Sibilia, al suo primo lungometraggio prodotto da Fandango e Ascent. La storia prende spunto dalla realtà quotidiana che il nostro paese vive ormai da anni: quella dei moltissimi giovani e brillanti laureati e ricercatori che si trovano a doversi rimboccare le maniche per trovare un lavoro con il quale sopravvivere e che, quasi sempre, non ha nulla a che fare con ciò che hanno studiato per anni. La vicenda è ambientata a Roma dove Pietro Zini, un brillante e promettente neurobiologo ricercatore universitario di 37 anni, deve fare i conti con i tagli alla ricerca e con il licenziamento a favore dell’ennesimo raccomandato. Non sapendo cosa fare, decide di sfruttare le sue vaste conoscenze per creare una nuova droga sintetica che però, rispettando le leggi italiane, sia perfettamente legale. Così facendo la può tranquillamente vendere nelle discoteche, aprendo un vasto commercio. Per portare avanti il suo progetto Pietro ha biso34


tissimo denaro ma, anche una realtà totalmente diversa da quella nella quale erano abituati a vivere, popolata ora da drogati, prostitute e veri criminali. Tutto questo crea non pochi problemi al gruppo che non sa come gestire la situazione. Per dar vita ai suoi personaggi Sibilia si è avvalso di giovani e bravissimi attori del nostro cinema: Edoardo Leo (Pietro), Valeria Solarino (Giulia), Valerio Aprea (Mattia), Paolo Calabresi (Arturo), Libero de Rienzo (Bartolomeo), Pietro Sermonti (Andrea), Stefano Fresi (Alberto), Lorenzo Lavia (Giorgio). Una parte inedita viene affidata a Neri Marcorè (Murena), nei panni inconsueti di un ex ingegnere navale cattivo e sfregiato.

le versioni originali che gli erano state raccontate. Il cinema italiano non è nuovo a questo tipo di argomento: uno dei primi film su questa problematica è “Santa Maradona” del 2001 di Marco Ponti, dove il protagonista si vedeva sbattere in faccia la sua inutile laurea in Lettere e la mancanza di esperienza durante un colloquio di lavoro; poi c’è stato nel 2008 “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì, dove giovani laureati entrano nel mondo dei call center pensando che sia un lavoro temporaneo, ma che poi diventerà la loro unica risorsa. Nonostante sia passato un decennio da quei film, la situazione attuale lavorativa è solo peggiorata e sicuramente emblematica è la frase che l’antropologo Andrea dice durante il suo colloquio per essere assunto da uno sfasciacarrozze. Quando il datore di lavoro gli comunica che non assumerà mai un laureato lui risponde «Guardi che è un errore di gioventù del quale sono profondamente consapevole». Questa frase riassume senza alcun dubbio l’amarezza e la frustrazione di chi per anni ha studiato inseguendo un sogno e che si vede invece costretto a negare il proprio titolo di studio pur di trovare un qualsiasi tipo di lavoro, ponendo l’accento sul fatto che oggi, a differenza del passato, molto spesso avere una laurea non è più un merito ma una discriminante. Tutto il film è un’esilarante commedia che, grazie a battute e scene molto divertenti, non perde mai di vista il filo conduttore della riflessione sulla questione precaria dei nostri molti laureati svalutati. Anche la scelta dell’ambientazione e i colori usati nelle varie scene serve a sottolineare il tema portante, come indicato dallo stesso regista, senza mai cadere nella banalità.

Numerosi sono i riferimenti a due grandi film cult della commedia italiana: “I soliti ignoti”, diretto da Monicelli nel 1958, o “La banda degli onesti”, opera di Mastrocinque del 1956; ma non mancano rimandi alla famosa serie TV americana “Breaking Bad” (trasmessa in Italia dal 2008 al 2013) e alla pellicola di Michele Placido del 2005 “Romanzo criminale”. Il regista ha ammesso di essersi ampiamente ispirato a queste opere e ad altre meno famose, che lui ama molto, per creare una nuova storia ispirata però da un articolo letto su Repubblica, nel quale si parlava di due giovani laureati con 110 e Lode in Filosofia che come lavoro fanno i netturbini a Roma. Sibilia racconta di essere poi venuto a conoscenza anche di altre numerosissime storie simili a quella dei due filosofi e di essersi ispirato a queste per i suoi personaggi. In alcuni casi ha cambiato qualcosa rispetto al fatto originale, ad esempio i due filosofi sono diventati i due latinisti benzinai; per l’antropologo si è ispirato ad uno studente de La Sapienza che cercava di farsi assumere da un fruttivendolo marocchino di San Lorenzo. Invece per il biologo che fa il cameriere e per l’archeologo perennemente precario ha mantenuto inalterate

Si tratta senza dubbio di un film da vedere, divertente, ma che fa riflettere.

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SCULTURA

LE GRAZIE DI ANTONIO CANOVA di Gabriele Romano

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1,67 m.), finito nel 1817, si conserva alternativamente nella National Gallery of Scotland di Edimburgo e nel Victoria & Albert Museum di Londra, che si scambiano la scultura ogni sette anni.

pe r a di A nt o nio Cano v a (Possagno 1757 – Venezia 1822) massimo esponente del Neoclassicismo e soprannominato per questo "il nuovo Fidia". Ispirandosi al mondo e all’arte greco-romana Canova scolpì, tra il 1813 e il 1816, le tre giovani figlie di Zeus: Aglaia, Eufrosine e Talia, nella mitologia indicate compagne della dea Venere e che simboleggiano, rispettivamente, lo splendore, la gioia e la prosperità.

Anche in Italia abbiamo testimonianze di questa scultura grazie ai modelli originali in gesso conservati nel Museo e Gipsoteca Antonio Canova a Possagno (TV), città natale di Canova. Proprio grazie a questa scultura Canova, spirito generoso, con i soldi guadagnati, ebbe la possibilità di donare ogni anno una dote a tre giovani povere, nate come lui a Possagno.

Considerate il simbolo dell'intero movimento neoclassico e scolpite in un unico blocco di marmo, le Grazie sono raffigurate in piedi unite nell’abbraccio e da un nastro sulle braccia e sui corpi nudi. Gli incroci di braccia e gambe contribuiscono a creare un senso di movimento leggero e impercettibile. Canova riesce inoltre a tirar fuori la freschezza della gioventù e il candore delle carni levigando in tal modo il marmo da farlo divenire traslucido, mentre lascia maggiormente porosa la materia nella resa dei capelli e nel drappo che cinge le figure. Canova cerca un realismo che mira alla perfezione anche nei volti delle fanciulle quasi privi di espressione, la ricerca della bellezza ideale al di fuori dell’aspetto umano. Completa il gruppo una colonna, quasi un altare, su cui è adagiata una ghirlanda, posta dietro alle figure per motivi di staticità.

Canova fu un artista osannato da tutti ed ebbe molte richieste di lavori in tutta Europa, la sua popolarità arrivò a tal punto da ricevere da Napoleone la proposta di diventare artista di corteo, proposta che Canova rifiutò restando in Italia e ottenendo il ruolo di diplomatico, grazie al quale si adoperò per la restituzione di molte opere trafugate dalla Francia al nostro Paese. Ispiratore e massimo esponente del Neoclassicismo nell’arte fu figura di riferimento anche per Ugo Foscolo che spesso nei suoi componimenti letterari si ispirò allo scultore, fino a dedicargli il poema omonimo de Le Grazie.

Due i gruppi delle Grazie scolpite da Canova, il primo commissionato da Josephine de Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte, il secondo da John Russel Duca di Bedford. Quest’ultimo, ammirando il modello in gesso che lo scultore teneva nel suo studio a Roma, ne chiese una copia in marmo che Canova scolpì con leggere modifiche rispetto al primo gruppo e che portò personalmente fino alla dimora inglese del Duca. Il primo gruppo delle Grazie (alto 1,82 m.), scolpito tra 1813 e 1816, è oggi conservato all’Ermitage di San Pietroburgo, il secondo (alto 37


POESIA

GIUSEPPE GIOACHINO BELLI (Roma 1791 - Roma 1863)

Li bbattesimi de l’anticajje Su l’anticajja a Ppiazza Montanara Ciànno scritto: Teatro de Marcello. Bbisoggna avé ppancotto pe ccervello, Pe ddí una bbuggiarata accusí rrara. Dove mai li teatri hanno er modello A uso d’una panza de callara? Dove tiengheno mai quele filara De parchetti de fora com’è cquello? Pàssino un po’ da Palaccorda e Ppasce: Arzino er nas’in zú, bbestie da soma: Studino llí, e sse faccino capasce. Quell’era un Culiseo, sori Cardei. Sti cosi tonni com’er culo, a Rroma Se sò ssempre chiamati Culisei. 22 giugno 1834 38


Giovanni Paolo Pannini, Interno del Pantheon, 1732. Collezione Privata

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