Laudato Si' - testi dei relatori

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L’ecologia integrale di Papa Francesco per la cura della Casa comune Notre Dame Center Gerusalemme 12 marzo 2018

Ufficio Giustizia, Pace e Integrità del Creato - Custodia Terræ Sanctæ



BENVENUTO E INTRODUZIONE

fra Giorgio M. Vigna

Pace e bene a tutti e a ciascuno!

Desidero dare il nostro fraterno benvenuto innanzitutto a Sua Eminenza il Cardinale Peter Turkson (dal Vaticano), al Rabbino David Rosen (di Gerusalemme), ai professori Mohammed Dajani Daoud (di Gerusalemme) e Stefano Zamagni (da Bologna, Italia) e alla dottoressa Beatrice Guarrera (italiana, giornalista della Custodia qui a Gerusalemme). Saranno loro a guidarci nelle riflessioni della giornata. Un fraterno benvenuto poi a mons. Leopoldo Girelli, Nunzio Apostolico in Israele e Delegato per la Palestina e a tutte le autorità religiose; ai Signori Ambasciatori e Consoli che hanno voluto mostrare ancora una volta la loro vicinanza alla Custodia di Terra Santa. E un caro benvenuto a ciascuno voi, fratelli e sorelle che avete accolto l’invito a partecipare a questa giornata che oserei definire un poco speciale. Mi sia permessa qualche parola sulla piccola storia dell’iniziativa. Questa Conferenza è una parte del programma di attività che l’Ufficio GPIC della CTS svolge nella Custodia. Il significato di questa iniziativa sarà meglio illustrato dal Padre Custode. Vorrei perciò spiegare brevemente il ruolo e le funzioni ricoperte dall’Ufficio GPIC. Insieme ad altri similari Uffici, contribuiamo all’animazione e alle attività della Custodia di Terra Santa. Specifica competenza di questo Ufficio è il lavoro sui difficili, quanto sfidanti, temi della giustizia, della pace e della cura del creato, un lavoro che rivolgiamo, innanzitutto ai frati delle nostre Comunità, a quanti sono in relazione e sinergia con le nostre istituzioni o strutture (per esempio le scuole) nel contesto in cui viviamo, condividendo problemi e speranze. Più concretamente, il nostro compito è di sensibilizzare, educare, proporre e sostenere progetti di vita e di azione riguardanti la giustizia che riteniamo essenziale premessa per la pace; riguardanti la pace, frutto della nostra buona volontà e dono dell’Altissimo, fonte di ogni bene; riguardanti l’ecologia che, in sintonia con la visione di papa Francesco, consideriamo “integrale”.


Diamo ora un’occhiata all’intensa giornata che ci attende. Il Custode di Terra Santa, Fr. Francesco Patton ci presenterà le ragioni e le finalità che ci hanno condotto ad offrire questa giornata di riflessioni a più voci. Poiché il centro attorno al quale si svolgeranno gli interventi è la Lettera Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, la dottoressa Beatrice Guarrera ci offrirà una introduzione al testo, per una prima conoscenza della sua articolazione e dei suoi contenuti. Il cardinale Peter Turkson, con la sua competenza e autorevolezza, ci aprirà la strada verso il significato dei contenuti della Lettera che papa Francesco ha voluto indirizzare ad ogni donna e ad ogni uomo che abitano la Madre Terra, senza distinzioni di culture e di religioni.

Dopo il primo breve intervallo, sarà il professor Mohammed Dajani Daoudi a indicarci le connessioni tra il messaggio di papa Francesco e le ispirazioni provenienti dalla tradizione islamica. Finalmente avremo un intervallo più lungo con il pranzo “per ricaricare le batterie”. Alle 14.30 riprenderemo le nostre sessioni. Aprirà il pomeriggio Rabbi David Rosen, con interessanti riflessioni sulla “ecologia integrale” così come appare nella Torah e nella tradizione giudaica.

Dopo il coffee break, il Professore Stefano Zamagni chiuderà la serie degli interventi con una provocante riflessione sul ruolo della misericordia nello sviluppo integrale dell’uomo. Ad ogni relatore abbiamo riservata un’ora di tempo; al termine di ogni intervento sarete invitati a interagire con domande o commenti.

Concluderemo la giornata accogliendo i suggerimenti che il cardinale Peter Turkson vorrà lasciarci.

Vi auguro buon ascolto e buona partecipazione attiva!

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LO SPIRITO E LA FINALITA’ DI QUESTA GIORNATA fra Francesco Patton, Custode di Terra Santa

1. Eminenza reverendissima Card. Peter Turkson, distinti relatori ed ospiti di questo convegno, autorità religiose e civili qui convenute, distinti membri del corpo diplomatico, religiose e religiosi, cari confratelli della Custodia di Terra Santa, amiche ed amici qui presenti, permettetemi di salutarvi tutti con il saluto caro a san Francesco d’Assisi: Il Signore vi dia Pace!

2. Come Custodia di Terra Santa ci troviamo dentro un triennio di particolare importanza per quel che riguarda il fare memoria dell’inizio della nostra presenza qui. Il 1217 è infatti l’anno dell’arrivo dei primi frati minori in Terra Santa e il 1219 è l’anno dell’arrivo dello stesso san Francesco in questa terra e del suo incontro a Damietta con il Sultano Malek El Kamel. Siamo perciò dentro il contesto di questa prolungata celebrazione degli 800 anni della nostra presenza qui, una celebrazione che non ha l’obiettivo di attirare l’attenzione su di noi, ma di aiutarci a fare memoria di quello che lo stesso “Altissimo, onnipotente e bon Signore” ha fatto, lungo questi otto secoli per noi, talvolta anche attraverso di noi. Il fare memoria è per noi qualcosa di fondamentale, perché è la premessa per poter vivere il nostro presente con impegno e guardare al nostro futuro con speranza. Un albero senza radici non può sopravvivere e men che meno dare frutti. 3. Se penso all’esperienza della Custodia di Terra Santa mi viene da pensarla proprio nei termini di una fraternità aperta all’universalità. La Custodia di Terra Santa è fin dall’inizio una presenza francescana di tipo internazionale e multiculturale. Lo diventa poi anche in termini giuridici, quando papa Clemente VI nel 1342, le affida la custodia dei luoghi santi cristiani. 4. Dentro l’idea di una fraternità aperta a una dimensione universale che coinvolge ogni creatura animata e inanimata si colloca il “Cantico di Frate Sole”, quel testo poetico di chiara ispirazione biblica che san Francesco compose proprio nell’anno della sua morte, il 1226. Un testo che è davvero il cantico della fraternità universale.


Questo testo di lode all’ “Altissimo, onnipotente e bon Signore”, è un invito rivolto a tutta la creazione a elevare a Dio la propria sinfonia. È anche un invito rivolto a noi perché impariamo a leggere il libro della creazione e a cogliere quello che Dio ci dice attraverso le sue creature. In tempi recenti papa Francesco, ispirandosi proprio al Santo di cui ha scelto di portare il nome, nell’enciclica “Laudato sii”, pubblicata nel 2015, ha voluto mettersi in ascolto del messaggio, anzi del grido della creazione. 5. È un’enciclica in cui a partire dall’idea della fraternità, scopriamo un modo nuovo di vivere alcune dimensioni fondamentali della nostra esperienza umana e religiosa. Di fatto alcuni “assi portanti”, come li chiama papa Bergoglio, attraversano tutta l’Enciclica e – enunciati già nella parte introduttiva – ritornano poi all’interno del documento: “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita” (LS 16).

6. Lo spirito e la finalità di questa giornata è perciò quello di approfondire a più voci, e con una prospettiva anche multiculturale e interreligiosa, alcuni aspetti legati all’enciclica Laudato Si’. Saremo introdotti ai contenuti dell’Enciclica dalla Dott.ssa Beatrice Guarrera. Toccherà poi al Card. Peter Turkson, Prefetto del Dicastero Vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale approfondire il tema dell’ecologia integrale per una società integrale. Il Prof. Mohammad Dajani Daoud presenterà il tema della cura per la Madre Terra nella tradizione abramitica giudeo cristiana ed islamica. La prospettiva giudaica su un’ecologia integrale sarà poi sviluppata dal Rabbino David Rosen. Infine, toccherà all’economista Prof. Stefano Zamagni affrontare il tema del nesso tra misericordia e sviluppo integrale dell’uomo.

Il cammino di animazione della Custodia di Terra Santa sui temi legati a giustizia e pace e cura del creato, durante quest’anno, sta toccando tanti ambiti della vita della Custodia, dalle scuole alle parrocchie, ai nostri giovani frati in formazione. Dentro questo percorso, ci è sembrato importante poter offrire una riflessione qualificata a tutti i frati e anche a tutte le persone di buona volontà che stanno sentendo quello che papa Francesco chiama “il grido della Madre Terra”. Il passo successivo sarà, per ognuno di noi quello di assumersi la responsabilità di un cambiamento, che è anzitutto il cambiamento della propria mentalità e del proprio stile di vita in rapporto alla Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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creazione. Questo cambiamento richiederà poi un’assunzione di responsabilità anche dentro le proprie comunità religiose e civili di appartenenza.

7. Prima di concludere desidero ringraziare i relatori per la loro disponibilità a offrire il loro contributo di riflessione, gli sponsor per il loro contributo economico che ha reso possibile questa giornata (il Notre Dame Center, la Pontifical Mission, il Catholic Relief Service, il Christian Media Center), i patrocinanti che hanno dato il loro incoraggiamento a questa iniziativa (Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede, la Delegazione Apostolica a Gerusalemme, l’Assemblea degli Ordinari). Desidero infine ringraziare tutti voi che avete accolto l’invito a partecipare a questa giornata di riflessione.

Che lo Spirito del Signore ci accompagni, benedica il nostro stare insieme e lo renda un incontro fraterno; che ispiri a tutti noi pensieri e comportamenti adeguati affinché riusciamo a prenderci cura della nostra sorella la Madre Terra; e che ci aiuti a sintonizzarci sulla lunghezza d’onda della lode che l’intero creato fa salire all’Altissimo, onnipotente e bon Signore.

Buona giornata.

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INTRODUZIONE ALL’ENCICLICA LAUDATO SI’

Beatrice Guarrera

Buongiorno a tutti.

È un piacere per me essere qui oggi per presentare brevemente l'Enciclica Laudato si' di Papa Francesco, come mi è stato chiesto. Il mio intervento sarà di carattere informativo sull'enciclica e poi gli altri illustri relatori approfondiranno e discuteranno la tematica che è oggetto della conferenza. Laudato si' è la seconda enciclica di Papa Francesco, scritta nel suo terzo anno di pontificato. Benché porti la data del 24 maggio 2015, Solennità di Pentecoste, il testo è stato reso pubblico solo il 18 giugno successivo. Presenta un'introduzione, sei capitoli, 246 paragrafi e due preghiere finali. Il nome, come è tipico di questi testi pontifici, viene dall'incipit dell'enciclica: Laudato Si', infatti, sono le prime parole tratte dal Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, composto intorno al 1226, dal quale prende ispirazione Papa Francesco e che cita in apertura. Come cantava San Francesco, anche il Pontefice sostiene che «la nostra casa comune è come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza» e «come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia»: Laudatosi’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Nell’enciclica il Papa risponde al grido della terra maltrattata dall’uomo: «Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla». Da qui scaturisce la riflessione di Francesco sul creato, il rapporto dell'uomo con esso e la necessità di arrivare a un' “ecologia integrale”. Ai gemiti della terra si uniscono, infatti, quelli di tutti i poveri e di tutti gli “scartati” del mondo. Il Papa invita ad ascoltarli perché non può esserci preoccupazione per l’ambiente senza compassione per gli altri esseri umani. «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale – scrive il Papa nel paragrafo 139. Le direttrici per la soluzione


richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura».

È importante per noi che siamo qui oggi porre l'accento sui destinatari dell'Enciclica. Papa Francesco sostiene: «Di fronte al deterioramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta». Tutti sono dunque chiamati a riflettere sul tema dell'ambiente, che Papa Francesco chiama “casa comune”: «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare». Se non avesse questa speranza di poter invertire la rotta, il Papa non avrebbe scritto questa enciclica. Ed è con la stessa speranza che il Pontefice invita, attraverso questa lettera enciclica, a «riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta».

Nei sei capitoli con un linguaggio discorsivo e chiaro, Papa Francesco traccia un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi ecologica, allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questa panoramica, riprende alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coerenza all'impegno per l’ambiente. Poi si spinge fino a indagare le radici della situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. «Così potremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda», scrive il Papa. Alla luce di tale riflessione, Francesco traccia poi «ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale». Nel finale il Papa, poiché convinto che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, propone alcune «linee di maturazione umana, ispirate al tesoro dell’esperienza spirituale cristiana».

Le fonti utilizzate e citate nella lettera enciclica Laudato si’ sono diverse: dalla Bibbia ai padri della Chiesa e al magistero precedente, fino al Concilio e ai Papi dell'ultimo secolo. Troviamo citati anche documenti degli episcopati di tutto il mondo, ma anche testi di cristiani appartenenti ad altre Chiese. Due paragrafi, infatti, presentano il pensiero e l'azione del Patriarca ecumenico Bartolomeo, chiamato nel mondo il “patriarca verde” per la sua costante attenzione all'ecologia. Tra gli autori citati nell'enciclica, anche il filosofo protestante Paul Ricoeur e numerosi sono i rimandi a pensatori cattolici come Romano Guardini e Teilhard de Chardin. Con

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sorpresa di molti, Papa Francesco cita anche «un maestro spirituale, Ali-Khawwas», mistico musulmano sufi del XV secolo.

Andiamo a scoprire più nel dettaglio il contenuto dei capitoli.

Il capitolo I, «Quello che sta accadendo alla nostra casa», si occupa di identificare una serie di problematiche contemporanee: l’inquinamento e i cambiamenti climatici, la questione dell'acqua, la perdita di biodiversità, il deterioramento della qualità della vita umana e la degradazione sociale, l’inequità planetaria, la debolezza delle reazioni, la diversità di opinioni. Secondo Papa Francesco, «oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS, 49).

Nel capitolo II, «Il Vangelo della Creazione», Papa Francesco spiega cosa dicono i grandi racconti biblici sul rapporto dell’essere umano con il mondo. «La scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe» (LS 62). Il Papa smonta innanzitutto un’accusa lanciata contro il pensiero ebraicocristiano: a partire dal racconto della Genesi che invita a soggiogare la terra (cfr. Gen 1,28), verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentando un’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore. Questa non è un’interpretazione corretta, ma, al contrario, l’uomo, ha una responsabilità nel custodire una terra che è di Dio: «Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data», scrive il Papa al paragrafo 67. Ciò che bisogna ricordare è che «per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato» (LS 76). «Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio. La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale» (LS 84). Il Papa insiste sul fatto che, essendo la Terra un’eredità comune a tutti, «ogni approccio ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati» (LS 93).

Nel capitolo III, «La radice umana della crisi ecologica», Papa Francesco si occupa della tecnologia e dei pericoli di un suo “dominio”. Viene evidenziato, per esempio, il pericolo della finanza internazionale che soffoca l’economia reale e contribuisce a deteriorare l’ambiente. Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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Davanti a tutto questo, il Papa scrive che «la cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico» (LS 111). Il Papa auspica una “rivoluzione culturale” per uscire dall’antropocentrismo come stile di vita deviato e pone l’accento sull’importanza del lavoro, per qualunque impostazione di ecologia integrale si parli che non escluda l’essere umano. 4 Nel capitolo IV, «Un’ecologia integrale», il Papa propone appunto un’«ecologia integrale» comprendente le dimensioni umane, scientifiche e sociali. È necessaria un’ “ecologia ambientale”, “economica” e “sociale”. Francesco sottolinea che: «Quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati» (LS 139). Contro una visione consumistica della società che tende a rendere omogenee le culture e a indebolire le immense varietà culturali, è importante, inoltre, sviluppare una “ecologia culturale”, per salvaguardare il patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato, che «è parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile». Fondamentale è anche quella che Papa Francesco chiama “ecologia della vita quotidiana”, curando edifici, quartieri, spazi pubblici e città, e proponendo e attuando progetti sostenibili dal punto di vista ambientale. «L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter creare un ambiente più dignitoso» scrive ancora Papa Francesco al paragrafo 155. Alla fine del capitolo, il Papa arriva a riflettere sulla nozione di bene comune, che coinvolge anche le generazioni future. «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?», si chiede il Santo Padre. «Se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?» continua il Papa. È dunque una domanda che chiama in causa «il significato del nostro passaggio su questa terra».

Nel capitolo V, «Alcune linee di orientamento e di azione», Papa Francesco fornisce alcuni suggerimenti per agire sulla situazione descritta. Ci spiega che «l’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune». «Si rende indispensabile un consenso mondiale Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com


che porti, ad esempio, a programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza energetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e marine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile». (LS 164). «Le questioni ambientali sono state sempre più presenti nell’agenda pubblica e sono diventate un invito permanente a pensare a lungo termine – ricorda Papa Francesco. Ciononostante, i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci» (LS 166). Tra le zone di azione urgenti per i Paesi poveri deve esserci lo sradicamento della miseria e lo sviluppo sociale dei loro abitanti, la creazioni di accordi internazionali e una reazione globale più responsabile davanti alla povertà. Nel paragrafo 175 Papa Francesco sostiene che in questo contesto «diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare». Secondo il Santo Padre, c’è bisogno di una vera Autorità politica mondiale e «di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi» (LS 197). Nell’ultimo capitolo si parla di «Educazione e Spiritualità Ecologica». Papa Francesco, con la consueta speranza che lo accompagna sempre, sostiene che non tutto è perduto, ma che gli umani possono sempre tornare a scegliere il bene e a rigenerarsi. Bisogna allora educare all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente. L’educazione ambientale è chiamata a creare una “cittadinanza ecologica”, secondo una propria trasformazione personale. Spetta un ruolo centrale in questo anche alla famiglia e alla Chiesa. Secondo il Papa, «la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore» (LS 217) a cui segue una “conversione ecologica”. Diventa tale quando «comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana». Papa Francesco suggerisce poi alcune linee di azione, dettate dalla spiritualità cristiana. «La spiritualità cristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita, e incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo», scrive il Pontefice.

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La lettera enciclica Laudato si’ si conclude poi con due preghiere: una per tutti i credenti in un Dio creatore onnipotente, e un’altra «affinché noi cristiani sappiamo assumere gli impegni verso il creato che il Vangelo di Gesù ci propone». L’Enciclica al momento della pubblicazione è stata accolta con interesse in tutto il mondo e ancora oggi, a tre anni di distanza, è un riferimento per istituzioni e uomini che abbiano a cuore il creato. Va ricordato che non è un documento scientifico, ma un documento spirituale e come tale deve continuare a interrogare ognuno di noi ogni giorno. Forse facendo nostra la domanda del Papa «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?», siamo chiamati a dare una risposta alla luce dell’enciclica Laudato si’. Tutto questo senza dimenticare mai quanto afferma il Santo Padre nell’Enciclica: «Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode».

Grazie.

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UNA ECOLOGIA INTEGRALE PER UNA SOCIETA’ INTEGRALE. LA GRANDE SFIDA DEL NOSTRO TEMPO Cardinale Peter K. Turkson

Eccellenze, molto reverendi Padri, Religiosi e Religiose, illustri ospiti: vi porto il caloroso saluto del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale; e a nome suo auguro il massimo successo a questa Conferenza. Desidero inoltre ringraziare i tanti organizzatori di questo evento per avere invitato il nostro Dicastero a partecipare a riflettere su come una ecologia integrale generi una società integrale e in che modo una economia integrale sia strettamente legata a una società integrale e quali sfide derivino da questa relazione. Parlando di “società”, val la pena di citare l’osservazione di Papa Francesco secondo cui ogni società civile si fonda sul senso di responsabilità verso il nostro prossimo, sia esso uomo o donna. Ciò, perché la società risponde al naturale istinto buono di relazionarci e associarci agli altri e all’invito che Dio rivolge all’uomo a partecipare alla creazione e all’ordinamento del mondo intorno a noi per il bene di tutti. In tal modo sono fondamentali requisiti della coesistenza umana nella società il rispetto per i diritti che derivano dalla dignità di tutte le persone in quanto creature di Dio e la loro vocazione a vivere insieme per il benessere e il bene di tutti. Ma molti altri fattori influiscono sulla società quali il governo e la politica, l’economia, il lavoro, la salute, il cibo, la pace e i conflitti, l’urbanizzazione, la povertà e l’esclusione, le ingiustizie e la religione.

Metodo di presentazione Come metodo di presentazione, intendo riassumere l’evoluzione del concetto di ecologia integrale nell’insegnamento dei Papi moderni (a partire da Papa Leone XIII) e della Dottrina Sociale della Chiesa. Poi, richiamandomi all’idea di società intesa come vocazione del genere umano alla coesistenza finalizzata al bene comune, farò riferimento all’insegnamento di Papa Francesco che tutto è interconnesso, per dimostrare che l’evoluzione del concetto di ecologia integrale implica quello di ecologia umana e quindi quello di società integrale. Sottolineerò quindi


alcune caratteristiche generali della società integrale e a conclusione accennerò ad alcune sfide poste dal concetto di società integrale.

L’evoluzione del concetto di Ecologia Integrale nel CSD/DSC e le implicazioni per l’esistenza umana

Come è noto, l’enciclica prende il suo nome dall’invocazione di San Francesca d’Assisi Laudato si’ mi’ Signore, che nel Cantico delle Creature richiama alla mente che la terra, nostra casa comune, “è come una sorella con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia” (n. 1). Il riferimento a San Francesco indica inoltre l’atteggiamento di orante contemplazione su cui si fonda l’intera enciclica, che ci invita a guardare al poverello di Assisi come sorgente di ispirazione. Ancor più significativamente per Papa Francesco e come afferma l’enciclica, San Francesco è “l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale vissuta con gioia e autenticità […] Egli ci indica fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizie versi i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore” (n. 10). E questo è il concetto che intendo approfondire questa mattina con voi, e soprattutto il suo radicamento nel magistero della Chiesa e dei Papi. Ma come potete vedere, l’ecologia integrale è inseparabile dalla società integrale, intesa come forma concreta dello sviluppo umano integrale !

L’ecologia nella dottrina sociale della Chiesa La dottrina sociale della Chiesa si fa di solito risalire all’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII pubblicata nel 1891. L’enciclica si occupava soprattutto delle condizioni e dei diritti dei lavoratori, ma conteneva anche alcuni embrioni delle idee attuali circa il nostro ambiente naturale. Ad esempio, affermava che quanti hanno ricevuto il dono di Dio sotto forma di risorse naturali o di proprietà dovrebbero esercitare la loro responsabilità “di ministri della divina provvidenza a vantaggio altrui”1. Papa Giovanni XXIII è stato il primo a introdurre l’idea di “sviluppo integrale della persona” nella sua lettera enciclica Mater et Magistra (1961). Nel suo magistero “l’educazione

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Rerum novarum, n. 22.

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cristiana” deve essere “integrale”, coinvolgere cioè ogni genere di dovere. Ciò significa che un cristiano deve comportarsi da cristiano in tutti i settori della sua esistenza: sul lavoro, in famiglia e come genitore, nel campo dell’economia e della politica da cittadino responsabile, come pure nelle attività sociali. Ma è stato il Concilio Vaticano II a ispirare uno studio specifico sul rapporto fra uomo e ambiente. Avendo rivendicato a sé stessa la missione o compito di dimostrare solidarietà e rispettosa attenzione alle varie esperienze o problemi dell’uomo nel suo cammino attraverso la storia, la Chiesa del Concilio Vaticano II e anche postconciliare ha dimostrato un vivo interesse nel ruolo e nella posizione del creato e della natura nella risposta dell’uomo alla sua vocazione allo sviluppo. Così la Costituzione Apostolica Gaudium e spes (1965) parla di “vocazione integrale dell’uomo”, della “perfezione integrale della persona umana” e di “cultura integrale”. Su questa linea, Papa Paolo VI, nella sua Lettera Enciclica Populorum Progressio (1967) declinò lo scopo e la collocazione della natura nello sviluppo umano. La Lettera insegnava che “uno sviluppo autentico deve promuovere lo sviluppo di ciascun uomo e di tutto l’uomo”, promuovendo in tal modo un umanesimo integrale, lo sviluppo dell’uomo nella sua interezza 2. Due idee chiave sono che lo sviluppo è il nuovo nome di pace e che vi è bisogno di una autorità efficace a livello mondiale per affrontare la dimensione delle sfide ambientali e finanziarie3. E aggiunge questa osservazione incoraggiante: “Mediante l’applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l’uomo strappa poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre imprime una disciplina alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca e dell’invenzione, l’accettazione del rischio calcolato, l’iniziativa generosa, la responsabilità nell’agire e la generosità nel donarsi” 4. Nella Octogesima Adveniens (1971) Papa Paolo VI affronta il rapporto inscindibile o interdipendenza fra vita umana e ambiente naturale, affermando: “L’uomo si sta improvvisamente rendendo conto che sfruttando in modo insensato la natura rischia di distruggerla e di divenire a sua volta vittima del suo degrado. Non solo l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente – inquinamenti e rifiuti, nuove malattie e capacità di distruzione totale – ma il sistema umano non è più sotto il suo controllo e crea le premesse per un ambiente futuro intollerabile” (n. 21). Allo stesso modo, riferendosi al Santo Papa Giovanni XXIII, metteva in guardia dalle minacce ideologiche alla natura dell’uomo, portato del pensiero positivista del suo tempo: “Ma oltre a questo positivismo che riduce l’uomo a una sola dimensione ancorché importante e così facendo 2

Cf. Populorum progressio, nn. 14 e 42.

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Populorum progressio, nn. 76-78.

4

Populorum progressio, nn. 76-78.

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lo mutila, il cristiano incontra nella sua attività movimenti storici nate da ideologie e in parte distinti da esse. Il nostro venerato predecessore Papa Giovanni XXIII nella Pacem in Terris aveva già dimostrato che è possibile fare una distinzione: ‘Né possono falsi insegnamenti filosofici riguardanti la natura, l’origine e io destino dell’universo e dell’uomo identificarsi con movimenti storici che hanno finalità economiche, sociali, culturali o politiche’” (n.30). Nel novembre dello stesso anno, poco prima che la Conferenza di Stoccolma (1972) varasse UN Program on the Environment (UNEP), Papa Paolo VI convocò il Sinodo su Giustizia nel mondo, ponendo per primo in risalto il nesso fra giustizia e ecologia. Segnalò il legame stretto fra cura del povero e cura della terra, il grido del povero e il grido della terra, mettendo in guardia dalla cultura dello spreco dei ricchi 5. Vi offro questi riferimenti storici per dimostrarvi che i Papi della nostra epoca hanno costruito le loro prospettive ecologiche su fondamenta che le precedevano e per convincervi che la dottrina sociale della Chiesa offre una ricca messe per chi intenda esplorare questi argomenti.

Il Santo Papa Giovanni Paolo II

Nella sua prima enciclica sulla persona umana Redemptor Hominis (1979), il Santo Papa Giovanni Paolo II aveva richiamato l’attenzione sulla minaccia dell’inquinamento alla natura 6. Successivamente nella sua enciclica sociale Sollicitudo rei socialis (1987), nel 28mo anniversario della Populorum progressio, pose l’accento sulla natura dell’autentico sviluppo umano e sul suo carattere morale. A questo riguardo sottolineava la necessità che gli individui e le comunità abbiano il massimo rispetto per la natura della persona umana, che ha in Dio la sua origine e il suo fine. Sottolineò la necessità di rispettare gli elementi costitutivi del mondo naturale, che gli antichi Greci chiamavano “cosmos” (un sistema ordinato nella bellezza). Queste realtà meritano rispetto sulla base di tre considerazioni riassumibili in tre parole: connessione, limitazione e inquinamento. La prima considerazione, scriveva, è la necessità di comprendere “che non è possibile usare impunemente le diverse categorie degli esseri, viventi o meno – animali, piante, elementi naturali – come si vuole, secondo le proprie necessità economiche. Al contrario, è necessario tener conto della natura di ciascun essere e della sua interconnessione in un sistema ordinato quale è il cosmos”7. 5

Giustizia nel mondo, n. 70.

6

Redemptor hominis, n. 11.

7

Sollicitudo rei socialis, n. 34.

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La seconda considerazione è la constatazione che le risorse naturali sono limitate. Non tutte sono rinnovabili. Se le si tratta come se fossero inesauribili e le si usano con dominio assoluto si mette in pericolo la loro disponibilità oggi e soprattutto in futuro, quello delle nuove generazioni. La terza considerazione riferisce gli effetti di un certo tipo di sviluppo sulla qualità della vita nelle aree industrializzate – lo sviluppo cioè che inquina l’ambiente con conseguenze serie sulla salute delle popolazioni 8. L’insieme di queste considerazioni contiene , a mio avviso, un chiaro messaggio morale da parte del Santo Papa Giovanni Paolo II, che cioè il requisito di moralità è condizione sine qua non per il benessere non solo dell’ambiente, ma anche dell’umanità. Dovremmo estendere le nostre idee fondamentali di moralità e applicarle alla ecologia naturale – l’uso degli elementi della natura, la rinnovabilità delle risorse e le conseguenze di una industrializzazione disordinata – e alla vita dell’uomo (ecologia umana). Pochi anni dopo, nel centenario della Rerum novarum, il Santo Papa Giovanni Paolo II elaborò ulteriormente le sue considerazione sul tema nella sua enciclica sociale Centesimus annus (1991). Riguardo alla natura della proprietà privata e della universale destinazione dei beni materiali, richiamava l’attenzione sul quella che chiamò la questione ecologica e il suo legame con il problema del consumismo. Fece riferimento a un diffuso errore di antropocentrismo e cioè il mancato riconoscimento che la nostra capacità di trasformare e in un certo senso ricreare il mondo grazie al lavoro umano si basa sempre sul dono di quanto esiste fatto da Dio per primo all’origine dei tempi. L’uomo può immaginare di poter fare uso arbitrario della terra e di assoggettarla senza vincoli alla sua volontà. Invece di attenersi al suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si pone al posto di Dio. Il risultato finale è la ribellione della natura che viene tiranneggiata invece che governata con saggezza9. Per correggere queste idee erronee il Santo Papa Giovanni Paolo II affermò che tutti gli esseri umani, individui o collettività, devono rispettare il creato ed essere consci dei loro doveri e obblighi verso le generazioni future. Certo, le cose che Dio ha creato sono destinate al nostro uso. Ma l’utilizzo deve essere responsabile, perché l’uomo non è padrone, ma ministro nella creazione. Nel richiamare all’attenzione la questione ecologica il Santo Padre non si è limitato all’ ambiente naturale. Si è riferito anche alla distruzione dell’ambiente umano. Nel frattempo, troppo poco sforzo è applicato alla salvaguardia delle condizioni morali necessarie per una autentica ecologia umana. Non solo Dio ha dato la terra all’umanità, che deve farne un uso rispettoso della finalità originaria per cui è stato dato, ma anche l’essere umano è dono di Dio a noi – è anzi il dono 8

Sollicitudo rei socialis, n. 34.

9

Centesimus annus, n. 37.

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più grande. Per questo motivo dobbiamo rispettare la struttura naturale e morale di cui siamo stati investiti. L’enciclica applica questa idea al grave problema dell’urbanizzazione, richiedendo: ✓ una pianificazione urbana rispettosa delle esigenze della gente che vi vivrà ✓ attenzione alla ecologia sociale del lavoro10. Con questi insegnamenti il Santo Papa Giovanni Paolo II ha esteso la Dottrina Sociale della Chiesa alla questione ecologica, riassunto in uno ulteriore insegnamento contenuto nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa che “il legame fra l’uomo e il mondo è un elemento costitutivo della sua identità umana” 11, e che il grido della terra e del povero sono collegati fra loro12. Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1990), il Santo Papa Giovanni Paolo II scriveva: “Il corretto equilibrio ecologico non verrà trovato se non si affrontano le forme strutturali della povertà che esiste nel mondo” 13; e questo ispirò la Conferenza dei Vescovi Canadesi a insegnare che “l’armonia ecologica non può esistere in un mondo caratterizzato da strutture sociali ingiuste; né possono le estreme disuguaglianze sociali del mondo di oggi portare a una sostenibilità ecologica” 14.

In sintesi, il contributo di Papa Giovanni Paolo II al nostro tema è che nella dottrina sociale cattolica il rispetto per l’ambiente naturale e l’ambiente umano sono indissolubilmente legati. Da un lato l’uomo deve rispettare l’ambiente naturale evitando lo sfruttamento eccessivo. Dall’altro, l’ambiente umano riceve un rispetto maggiore se si rispetta la struttura naturale e morale di cui siamo stati dotati. Quanto più rispettiamo la nostra struttura naturale e morale, tanto più rispettiamo il prossimo e il creato. L’ambiente naturale e l’ambiente umano sono collegati strettamente tra loro e per rispettare l’ambiente naturale è necessario innanzitutto rispettare l’ambiente umano.

10

Centesimus annus, n. 38.

11

Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Editrice Vaticana, 2005 (ristampa 2010), n. 452.

12

Idem, cf. nn. 481-484.

Giovanni Paolo II, “Pace con Dio creatore, pace con tutta la creazione”, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1990, n. 11. 13

Canadian Bishops' Conference: “You love all that exists… all things are Yours, God lover of life”, n. 17. Cf. anche, Marjorie Keenan, RSHM: From Stockholm to Johannesburg: An Historical Overview of the Concern of the Holy See for the Environment 1972-2002, Pont. Council for Justice and Peace, Vatican City 2002. United States Catholic Bishops' Conference: And God saw that it was good: Catholic Theology and the Environment, 1996 (con letterepastorali dei vescovi US e altre Conferencze); John McCarthy SJ., “Catholic Social Teaching and Ecology, Fact Sheet” on: http://www.ecojesuit.com/wp-content/uploads/2011/06/CST_ENG.pdf NB. Lista degli studi e dei messaggi delle altre conferenze dei vescovi e Chiese locali. 14

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Papa Benedetto XVI Nel nuovo millennio Papa Benedetto XVI richiamò l’insegnamento del suo predecessore e approfondì ulteriormente la natura dell’ecologia. Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della Pace (2007), identificò quattro varianti dell’ecologia: l’ecologia della natura, e accanto a questa, un’ecologia umana che, a sua volta, esige un’ecologia sociale, e finalmente un’ecologia della pace. Affinché la pace si imponga nel mondo, è necessario essere consci del legame fra ecologia naturale ed ecologia umana. L’ecologia della pace comprende la pace con il creato e la pace fra gli uomini, il cui presupposto è la pace con Dio15. Affermò la necessità urgente a livello internazionali di un impegno a una ecologia umana capace di favorire la crescita di una ecologia di pace, e ciò può avvenire solo in quanto guidato da una corretta comprensione della persona umana, cioè, da una comprensione non ispirata a ideologie e apatia16 (in seguito Papa Francesco la battezzò indifferenza). L’anno seguente (2008), nel corso della sua Visita Apostolica in Australia, Papa Benedetto richiamava l’attenzione sulla bellezza dell’ambiente naturale creato da Dio. Ma, osservava, la bellezza dell’ambiente naturale non è senza cicatrici quali l’erosione, la deforestazione e gli effetti di siccità devastanti. Allo stesso modo le risorse minerali del mondo e degli oceani vengono sprecate, mentre i livelli dei mari continuano a salire17. Ma l’ambiente sociale ha anch’esso le sue cicatrici, come l’abuso dell’alcool e delle droghe, l’esaltazione della violenza e il degrado sessuale e l’idea falsa che non vi sono verità assolute a guidare le nostre vite. Ribadiva che la vera natura della vita umana implica la ricerca della verità, del bene e del bello, e che è a questo scopo facciamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà, sapendo che in esse troviamo la nostra felicità, la nostra gioia18. Nella sua fondamentale enciclica sociale, Caritas in veritate, (2009), Papa Benedetto dedica un intero capitolo (4) al tema dell’ambiente e dell’esistenza umana: Sviluppo dei Popoli, Diritti e Doveri, l’Ambiente. Poiché “il modo con cui l’umanità tratta l’ambiente influisce sul modo con cui tratta se stessa, e viceversa” 19, Papa Benedetto XVI definisce il legame inscindibile fra la

15

Benedetto XVI Messaggio per la Giornata mondiale della Pace (1 Gennaio 2007), n. 8.

16

Message (1 January 2007), nn. 9-11.

17

. Per esempio le miniere a cielo aperto riducono i terreni agricoli o le foreste a mucchi di macerie rocciose e crateri, contaminano i fiumi e le sorgenti con mercurio, zinco e cianuri. 18

Benedict XVI Address, Barangaroo, Sydney Harbour (17 July 2008).

19

Caritas in veritate, n. 51.

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vita umana e l’ambiente naturale che la sostiene come “il patto fra esseri umani e ambiente, riflesso dell’amore creativo di Dio, da cui proveniamo e verso cui siamo in viaggio” 20. Questo legame fra l’uomo e il suo mondo apre la strada al famosissimo insegnamento di Papa Benedetto XVI che il Libro della Natura è uno e indivisibile e che comprende non solo l’ambiente, ma anche gli individui, la famiglia e l’etica sociale. Di conseguenza, continua, i nostri doveri verso il creato derivano dai nostri doveri verso le persone. 21 Ma per Papa Benedetto XVI, la questione decisiva nel rapporto fra l’uomo e il suo mondo, l’ecologia naturale e quella umana, “è il tenore morale della società” 22. Ne deriva che la redenzione dell’uomo implica la redenzione del creato che geme (Rom 8: 22-24). Nel corso della sua Visita Apostolica in Germania del 2011, il Santo Padre sottolineava ulteriormente l’importanza del rispetto dell’ecologia naturale e di quella umana. Richiamava l’attenzione sul fatto che nel movimento ecologico tedesco degli anni 1970 “i giovani si erano resi conto che vi era qualcosa di sbagliato nel nostro rapporto con la natura, che la materia non è solo materiale grezzo a cui dare forma a nostro piacimento, ma che la terra ha una sua propria dignità e che dobbiamo seguire le sue direttive.” Sì, affermava che l’importanza dell’ecologia non si poteva mettere in discussione. Ma, subito metteva a fuoco l’ecologia della natura e l’ecologia dell’uomo, dicendo: “Vorrei sottolineare un punto che mi sembra trascurato oggi come in passato: esiste anche l’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo ha una natura che deve rispettare e che non può manipolare a suo piacimento. L’uomo non è solo libertà auto creante. L’uomo non cera sé stesso. E’ intelletto e volontà, ma è anche natura e la sua volontà è ben ordinate se rispetta la sua natura, vi dà ascolto e accetta se stesso per ciò che è, come essere che non ha creato sé stesso. In questo modo, e in nessun altro, trova compimento la vera libertà umana” 23. L’ecologia umana deve radicarsi in una genuina antropologia cristiana. Ciò che Papa Benedetto affermava in questa occasione è il rapporto reciproco fra ecologia naturale e ecologia umana: che occorre rispettare il mondo creato e il modo con cui la persona umana è stata creata, perché solo così si può dar compimento alla nostra libertà. E’ un’affermazione questa che non è tanto religiosa, quanto la costatazione di un fatto naturale24. Cf. L’elenco delle malattie dello spirito di Benedetto. 20

Caritas in veritate, n. 50; cf. Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2008, n. 7.

21

Caritas in veritate, n. 51; cf. anche Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2010.

22

Idem.

23

Messaggio di Benedetto XVI al Bundestag, Reichstag Building, Berlin (22 September 2011).

Cf. Francis George O.M.I., “Legislation creating 'same-sex' marriage: What's at stake?” Chicago: Catholic New World, 6-19 January 2013. 24

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In tal modo il Santo Padre invoca una comprensione integrale del mondo e della persona umana, rispettosa del mondo creato e del punto più alto della creazione che è la persona umana. Nel recente messaggio papale per l’annuale Giornata Mondiale del Cibo, si ribadisce che ecologia naturale e ecologia umana devono essere inseparabilmente legate perché abbia luogo uno sviluppo integrale. Nel 2011, per esempio, Papa Benedetto richiamò l’attenzione sulla tragica carestia nel Cormo d’Africa. Non sono possibili miglioramenti ameno che “il settore agricolo riceva un livello di investimenti e di risorse capace di stabilizzare la produzione e quindi il mercato” 25. Ma ciò esige cambiamenti del comportamento umano e decisioni se si vuol favorire il benessere della società. Nella sua enciclica, Caritas in veritate, il Papa aveva parlato del “tenore morale della società” come la questione decisiva. Qui, invitava alla coltivazione di “un atteggiamento interiore di responsabilità, capace di ispirare stili di vita differenti, con la necessaria sobrietà nella condotta e nel consumo;” e ciò, osservava, è per il bene della società e “anche delle future generazioni, per la loro sostenibilità, protezione dei bene della creazione, distribuzione delle risorse e soprattutto l’impegno concreto allo sviluppo di interi popoli e nazioni” 26. In altre parole, ciò che è necessario è la trasformazione interiore delle persone al fine di promuovere uno sviluppo integrale che rispetti i beni del creato e realizzi un autentico sviluppo umano.

L’ecologia integrale negli interventi della Santa Sede Prima di esaminare i contributi di Papa Francesco all’insegnamento della Chiesa su questo tema, vorrei ora parlare della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile tenutasi nel giugno 2012. I rappresentanti della comunità internazionale si riunirono per discutere i molti problemi riguardanti l’ambiente e la necessità di impegnarsi a definire un percorso che affrontasse questi problemi in modo sostenibile. Questo processo che ebbe inizio a Stoccolma, ebbe due punti salienti a Rio de Janeiro nel 1992 al cosiddetto “Summit della Terra” e a Johannesburg nel 2002. Di nuovo si riunirono al Rio+20 per discutere di sviluppo sostenibile e dell’intreccio dei tre riconosciuti pilastri di questo sviluppo e cioè, di crescita economica, protezione ambientale e promozione del benessere sociale.

25

Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale del Cibo (17 Ottobre 2011), n. 3.

26

Idem.

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Durante i preparativi della Conferenza, la Santa Sede notò che nella comunità internazionale si era stabilito un unanime consenso: •

primo, che proteggere l’ambiente significa migliorare la vita degli individui; e

secondo, che il degrado ambientale e il sottosviluppo sono interdipendenti e devono

essere affrontati insieme, in modo responsabile e con un’ottica di solidarietà. Si concentrò quindi sul principio della Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo, adottato nella Conferenza del 1992 – il principio secondo cui “gli esseri umani sono al centro delle preoccupazioni per uno sviluppo sostenibile. Essi hanno diritto a una vita sana e produttiva in armonia con la natura” 27. Sviluppando questo fondamentale tema, la Santa Sede invitava a scoprire un’arte di vivere insieme – rispettosa della alleanza fra genere umano e natura, senza il quale la famiglia umana rischia di perire. La Santa Sede spiegò che fra esseri umani e natura esiste una alleanza stabile e inseparabile secondo cui l’ambiente condiziona la vita e lo sviluppo degli esseri umani, mentre a sua volta questi ultimi perfezionano e nobilitano l’ambiente grazie al loro lavoro creativo, produttivo e responsabile 28. Il termine alleanza ha una ricca storia nella tradizione Giudeo-Cristiana. In questo contesto, alleanza indica non tanto un pubblico contratto fra Dio e l’uomo, ma piuttosto un dono di Dio all’uomo. La alleanza non è un patto fondato sulla reciprocità, ma piuttosto un atto creativo dell’amore di Dio 29. Applicato al rapporto fra esseri umani e ambiente, diventa sempre più chiaro che ciò che dobbiamo aver presente è il fatto che la creazione è stata data all’uomo come dono di Dio. Per questo motivo, gli esseri umani devono far uso di questo dono per il suo specifico scopo, senza approfittarne, senza abusarne, ma usandolo saggiamente ai fini dello sviluppo umano integrale avendo in mente la presente e le future generazioni. Durante i negoziati di quello che sarebbe diventato il documento finale della Conferenza, la Delegazione della Santa Sede non cessò di attirare l’attenzione sui principi che sostengono la protezione della dignità umana: (a) responsabilità, anche quando cambiamenti si impongono ai modi di produzione e di consumo allo scopo di assicurare che essi riflettano stili di vita appropriati; (b) promozione e partecipazione al bene comune;

27

Rio Declaration on Environment and Development, in Report of the United Nations Conference on Environment and Development, UN Doc. A/CONF.151/26 (Vol. I), 12 August 1992, Annex I. 28

Cf., Holy See Position Paper, III Preparatory Committee Meeting of the United Nations Conference on Sustainable Development, Rio de Janeiro, 13-15 June 2012, 2. Cf., Joseph Ratzinger, “The New Covenant: A Theology of Covenant in the New Testament,” Communio: International Catholic Review 22, no. 4 (1995), 636. 29

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(c) accesso ai beni primari, comprendendo quelli essenziali e fondamentali, quali il nutrimento, l’istruzione, la sicurezza, pace e salute, che derivano dal diritto alla vita; (d) una solidarietà umana che riconosca l’unità della famiglia umana; (e) la protezione del creato, legata a sua volta all’equità e alla solidarietà intergenerazionale; (f) equità intergenerazionale, legata strettamente alla giustizia sociale e che richiede di tener conto della capacità delle future generazioni di saldare i debiti ambientali; (g) la destinazione universale non solo dei beni, ma anche dei frutti dell’iniziativa umana30. Questi sette principi sono stati il contributo della delegazione della Santa Sede alla definizione della posizione di Rio+20; e meritano riflessione e azione pratica al fine di uno sviluppo sostenibile.

Sviluppo sostenibile

Come si è visto, la Chiesa Cattolica afferma che tra ecologia naturale ed ecologia umana vi è un rapporto inscindibile, e ignorare l’una andrebbe a danno dell’altra. Inoltre afferma il legame fra sviluppo sostenibile e sviluppo umano integrale perché ogni decisione economica implica premesse e conseguenze morali. Per questo motivo la Delegazione della Santa Sede sosteneva che occorreva tenere in considerazione i valori etici e spirituali che guidano e danno significato alle decisioni economiche e al progresso tecnologico. Lo sviluppo deve essere considerato non solo dal punto di vista economico ma anche da un punto di vista integralmente umano, vale a dire, che tenga necessariamente conto degli aspetti economici, sociali e ambientali dello sviluppo e che si basa sulla dignità della persona31. Ne seguiva, per la delegazione della Santa Sede, che tutti gli approcci neo-Malthusiani allo sviluppo andavano totalmente rigettati, in quanto sostenitori che la popolazione è un ostacolo allo sviluppo. La soluzione alla povertà globale non poteva essere quella di eliminare i poveri 32. I popoli, al contrario, sono agenti di sviluppo. Come la Dichiarazione di Rio aveva indicato fin dal principio, i popoli sono al centro delle preoccupazioni per uno sviluppo sostenibile33.

30

Cf. Holy See Position Paper, 3.

31

Cf. Holy See Position Paper, 5.

32

Cf. Peter K.A. Turkson, Statement, Summit of Heads of State and Government on the Millennium Development Goals, New York, 20 September 2010. www.un.org/en/mdg/summit2010/debate/VA_en.pdf 33

Cf. a questo riguardo, anche la United Nations Declaration on the Right to Development (A/RES/41/128), specialmente. all’ Articolo 1,1: “Il diritto allo sviluppo è un inalienabile diritto umano in virtù del quale ogni essere Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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Coerentemente, nel corso dei negoziati, la delegazione della Santa Sede richiamava regolarmente l’attenzione sulla inerente dignità della persona umana e quindi il ruolo della famiglia nello sviluppo integrale, opponendosi ai tentativi di imporre un linguaggio che potesse suggerire il controllo della popolazione34. Nel documento conclusivo di Rio+20, dal titolo The Future we Want35, gli stati membri si accordarono ad avviare un processo per stabilire un insieme di obiettivi per uno sviluppo sostenibile. Sulla natura di questi obiettivi il dibattito fu notevole, ma alla fine si stabilì di comune accordo che sarebbero stati “orientati all’azione, concisi e semplici da comunicare, limitati in numero, espressione di aspirazioni, di natura globale e applicabili universalmente a tutti i paesi pur tenendo conto delle diverse realtà nazionali, capacità e livelli di sviluppo e rispettosi delle politiche e delle priorità nazionali” 36. Per la delegazione della Santa Sede, quindi, qualunque fossero gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile concordati, essi dovevano non solo non ignorare, ma anzi tenere in massimo conto della dignità della persona umana – dal concepimento alla morte naturale – che comprende i bisogni dei poveri, degli anziani e delle future generazioni (cf. BanKi-Moon: SDG sono una narrativa della dignità umana che non lascia indietro nessuno).

Papa Francesco sull’Ecologia Integrale: l’Encicica, Laudato si’

Papa Francesco in persona ci offre una breve sintesi del suo messaggio centrale. Osserviamo il suo breve video – dura solo un minuto e mezzo! 37 Mi permetto di suggerire i seguenti vademecum da tenere in mente nel corso delle conversazioni di oggi: La nostra natura è creata da Dio e circondata dai doni della creazione Il nostro errore è che consumiamo troppo e non condividiamo i doni della creazione

umano e tutti i popoli hanno diritto a partecipare, contribuire e godere uno sviluppo economico, sociale e culturale e politico nel quale tutti i diritti umani e libertà fondamentali possono essere pienamente realizzate; e Articolo 2,1: “La persona umana è il soggetto centrale dello sviluppo e dovrebbe essere partecipe attivo e beneficiario del diritto allo sviluppo”. 34

A questo riguardo la delegazione della Santa Sede e altre delegazioni della stessa ispirazione si opposero con successo ai tentativi di alcuni paesi sviluppati di inserire nel testo il termine “diritti riproduttivi” che potevano interpretarsi come comprendenti l’aborto e la contraccezione artificiale. 35

Cf. A/RES/66/288.

36

A/RES/66/247.

37

http://thepopevideo.org/en/video/care-creation.html

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Ciò ha nefaste conseguenze per i poveri e per il pianeta Perciò è urgente cambiare la nostra concezione di progresso umano, la nostra gestione dell’economia e il nostro stile di vita Questo cambiamento richiederà importanti rivolgimenti del nostro modo di pensare e di impegnarci – anzi una conversione di gruppi e istituzioni ad ogni livello, dalle comunità locali all’intera umanità. Questi vademecum rappresentano i principali colpi di pennello della Laudato si’ nella quale Papa Francesco fa tre cose: a.

Collega fra loro la vulnerabilità del povero e la fragilità dell’ambiente. In risposta

a queste immense sfide collegate fra loro, propone l’insegnamento sociale della Chiesa sotto forma di una nuova ecologia integrale per ridurre il nostro impatto e ribaltare il deterioramento dell’ambiente naturale sociale. b.

Invita urgentemente a un nuovo dialogo sulla forma da dare al futuro del nostro

pianeta. Questo dialogo deve comprendere la conversione ecologica, una formazione alla cittadinanza ecologica e un itinerario etico e spirituale. c.

Esprime una profonda fiducia nella capacità di risposta dell’uomo ed esprime una

autentica speranza che si possa lavorare insieme alla costruzione della casa comune.

Implicazioni del concetto “evoluzione dell’ecologia integrale” per una società integrale

La dottrina cattolica della creazione non considera il mondo come puro accidente. Il nostro pianeta, anzi l’universo, è un atto intenzionale di Dio offerto come dono agli essere umani. La creazione non solo passaggio dal nulla a molte cose, alla molteplice “materia” creata. La creazione è invece il primo passo della grande vocazione dell’uomo: creazione, incarnazione, redenzione. L’umanità non è un ripensamento. Dio non aveva due agende: il mondo e poi l’umanità. L’uomo e la donna sono fatte a immagine e somiglianza di Dio, sono parte intrinseca dell’universo e la loro vocazione è di “coltivarlo e conservarlo” tutto intero. Ma coltivare e conservare non comprende la dominazione e la devastazione – col rischio di coltivare troppo e conservare troppo poco! Sarebbe una presa in giro della dignità e del rispetto per i doni di Dio. Siamo chiamati a prendere parte a una creazione che è in corso, come è in corso la sua redenzione. Sotto questa luce è facile comprendere le preoccupazioni di Papa Francesco per il povero e la natura. Non offre consigli di dettaglio sul modo di essere prudenti e pratici, benché il suo messaggio ha immense conseguenze pratiche. Piuttosto ci ricorda: Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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a)

la fondamentale conseguenza della creazione, che stabilisce un triplice livello di relazione

per la persona umana: •

con Dio Creatore

con le altre persone in un legame di fraternità e

con il mondo giardino e dimora per la nostra esistenza e

b)

le fondamentali esigenze per la nostra vocazione a partecipare all’opera di Dio in

qualità di co-creatori e così c)

la nostra responsabilità per il lavoro di Dio che non nasconde il suo volto di fronte

a ogni aspetto della creazione, povero o ricco, naturale o umano. Ciò porta Papa Francesco a additare alcune virtù e atteggiamenti che sono i più appropriati al nostro rapporto con il creato. Essendo così collegati con tutti gli esseri viventi, dobbiamo accettare che “ogni atto di crudeltà verso ogni creatura è ‘contrario alla dignità umana” (n. 92). Inoltre “un senso di profonda comunione con il resto della natura non può essere autentico se i nostri cuori mancano di tenerezza, compassione e preoccupazione il nostro prossimo” (n.91; anche nn. 2 e 217). Ciò che è richiesto è la consapevolezza di una comunione universale: tutti sono “chiamati all’esistenza da un unico Padre. Noi tutti siamo uniti da legami invisibili e insieme formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile” (n. 89). Papa Francesco ci propone di pensare il nostro rapporto con il mondo e con tutto il genere umano in termini di preoccupazione. Come fa Gesù quando chiama se stesso Buon Pastore (Gv 10:11-15). Preoccuparsi della nostra casa comune richiede, dice Papa Francesco, non solo una rivoluzione economica e tecnologica, ma anche una culturale e spirituale – un modo profondamente diverso di vivere il rapporto con la gente e con l’ambiente, un nuovo modo di organizzare l’economia globale e i legami globali. Questo modo di esprimersi colloca la Laudato si’ nella grande tradizione della dottrina sociale cattolica. 125 anni fa, Papa Leone XIII rispose alle res novae, ai fatti nuovi del suo tempo, quando l’economia industriale aveva solo cent’anni e poneva molti dilemmi, specialmente ai lavoratori e alle famiglie. Allo stesso modo, 50 anni fa, nell’epoca delle nuove nazioni indipendenti che emergevano negli anni 1960, Papa Paolo VI affrontò il tema dello sviluppo della persona umana e delle nazioni, nella sua interezza, nella sua lettera enciclica Populorum Progressio. Sviluppo era, per il beato Papa Paolo VI, il nuovo nome della pace! Così anche Papa Francesco risponde ai “fatti nuovi” dei nostri giorni quando un’economia postindustriale e globalizzata pone molte sfide all’umanità e al pianeta. Propone una ecologia integrale per uno sviluppo integrale dell’uomo e per una società integrale; e queste sono alcune caratteristiche di questa società:

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L’economia mondiale deve soddisfare i bisogni autentici della popolazione tali da

assicurare la loro sopravvivenza e la fioritura integrale delle persone. Sono in gioco il rispetto della dignità umana e il riconoscimento del bene comune. A questo riguardo è necessario esprimere degli obiettivi giudizi morali. Ciò è tanto più importante nella odierna economia globalizzata. Sembra che nessuna tesi sia accettabile che si opponga a un capitalismo senza freni che si traduce in un mostruoso accumulo di ricchezze invece che nella dignità umana e nel bene comune. •

Che rapporto ha il capitalismo con il bene comune? In realtà né la Evangelium

gaudium (2013) né la Laudato si’ citano il capitalismo. Papa Francesco invece si unisce al Beato Paolo VI, a San Giovanni Paolo II e al Papa emerito Benedetto XVI nel chiedere con forza, “In cosa consiste lo sviluppo? In cosa consiste il progresso?” Affronta inoltre varie questioni che riguardano i mercati e contrappongono il bene comune agli interessi ristretti. Se quanti partecipano al mercato fossero degli agenti autenticamente morali, motivati dalla ricerca della virtù e se il commercio fosse giusto e libero, promuoverebbero una sana competizione, creatività e innovazione. Avrebbero per obiettivo la felicità e il fiorire della gente 38

. Invece oggi, “dal momento che il mercato tende a promuovere un consumismo compulsivo

per piazzare i suoi prodotti,”, afferma Papa Francesco, “le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue …Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comperare, possedere e consumare.” (n. 203-4). E così, per Papa Francesco, “i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi” (n. 217). •

In che modo le tecnologie contribuiscono al bene comune? L’enciclica riconosce

con gratitudine lo straordinario contributo delle tecnologie al miglioramento delle condizioni di vita. Ma mette altresì in guardia dall’uso scorretto della tecnologia, specialmente quando dà a “coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero” (n. 104). Inoltre i mercati da soli “non sono in grado di assicurare lo sviluppo umano integrale e la inclusione sociale” (n. 109). Grande è la carenza di solidarietà! •

La solidarietà con tutti e soprattutto con i poveri e gli emarginati, è il marchio di

fabbrica del pontificato di Papa Francesco e caratterizza anche questa enciclica. Il testo parla con grande compassione delle spoliazioni e devastazioni patite in modo sproporzionato dai poveri, degli indifesi e da quanti non sono in grado di proteggersi o di fuggire. Papa Francesco abbraccia 38

Adam Smith, The Theory of Moral Sentiments (1759). Cfr. anche Thomas Jefferson.

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tutti i popoli. “Non perdiamoci a immaginare i poveri del futuro, è sufficiente ricordare i poveri di oggi, che hanno pochi anni da vivere su questa terra e non possono continuare ad aspettare” (n. 162). •

La solidarietà deve applicarsi anche fra le generazioni: “ormai non si può parlare di

sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni” (n. 159). La domanda chiave rivolta dal Papa all’umanità è posta in questi termini: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?” (n. 160) •

La dignità umana è alla base della trattazione estesa della “Necessità di difendere il

lavoro” (nn. 124-129). Il lavoro è una vocazione nobile e necessaria: “Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale” (n. 128). Il lavoro è la maniera con cui si realizza la dignità umana guadagnando il pane quotidiano, nutrendo la famiglia e dando accesso alle condizioni materiali di base necessarie al fiorire del giorno. Dovrebbe essere inoltre il contesto di una ricca crescita personale, entro la quale entrano in gioco molteplici aspetti della vita: creatività, pianificazione del futuro, sviluppo dei propri talenti, vivere all’altezza dei propri ideali, relazionarsi con gli altri, dare gloria a Dio. •

Nella realtà della odierna società globale è essenziale che “si continui a perseguire

quale priorità l’obiettivo dell’accesso a un lavoro stabile per tutti”39 al di là degli interesse limitati delle imprese e del ragionamento economico che non tiene conto dei costi umani e sociali (n. 127). E’ un errore quando le imprese sostituiscono lavoratori con macchine sulla base dell’efficienza e dell’utilità, considerando gli esseri umani come puri e semplici fattori di produzione sostituibili con macchine. Il movente è chiaramente quello del maggior profitto, a spese di sempre minori quantità di lavoro e di lavoro decente. Possono le persone essere soddisfatte di rimanere senza lavoro o con un lavoro precario? Certo che no. La società trae forse beneficio dalla disoccupazione? Certo che no. In realtà ovunque abbiamo constatato con in nostri occhi che troppe persone mancano di un lavoro decente e soddisfacente. Non dovremmo stupirci se gente senza scrupoli e guidate da idee dissennate reclutassero queste persone senza lavoro per farne dei criminali e dei violenti. organizzata. •

Dio ha esercitato la sussidiarietà nell’affidare la terra agli esseri umani perché la

custodissero, coltivassero e ne avessero cura; ciò rende gli uomini partecipi alla creazione di Dio. Il lavoro dovrebbe ispirarsi allo stesso atteggiamento. Se il lavoro è organizzato in modo appropriato e se ai lavoratori vengono dati risorse e addestramento adeguati, la loro attività può contribuire alla loro realizzazione in quanto essere umani, e non solo al soddisfacimento dei loro bisogni essenziali.

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Caritas in veritate, n. 32.

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Ciò può assicurare la piena dignità umana, lo sviluppo umano integrale dei lavoratori. Il principio di sussidiarietà è lo specchio del rapporto di Dio con l’umanità40. •

Un adeguato esercizio della cura (processi gestionali) rende sostenibili l’ambiente

naturale e i sistemi umani. Il problema, osserva Papa Francesco, è che la logica della competizione può promuovere una logica di breve termine, che può condurre al fallimento finanziario e alla devastazione dell’ambiente. “Conviene respingere una concezione magica del mercato, che tende a suggerire che i problemi si risolvono con la semplice crescita dei profitti delle imprese e degli individui” (n. 190). •

Dio è Creatore di tutto – dell’intera creazione, di tutti i popoli, di tutti i beni. La

giustizia esige che i beni della creazione vengano distribuiti con equità. Per Papa Francesco si tratta di un obbligo morale, perfino di un comandamento. “Lavorare per una giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è pura filantropia,”, ha dichiarato lo scorso luglio in Bolivia. “Si tratta di un obbligo morale. Per i Cristiani la responsabilità è perfino maggiore: è un comandamento. Si tratta di dare ai poveri e alle popolazioni ciò che di diritto è loro. La destinazione universale dei beni non è un modo di dire della dottrina sociale della Chiesa. E’ una realtà che precede la proprietà privata. La proprietà, specialmente quando intacca le risorse naturali, deve essere sempre al servizio dei popoli”. 41 Riassumendo, il concetto di cura integra questi principi e li applica alla situazione globale, economica, ambientale e sociale. La settimana scorsa alle Nazioni Unite, ho presentato le idee della Santa Sede riguardo agli obiettivi di Sviluppo Sostenibili da raggiungere entro il 2030. La Santa Sede giudica che l’Agenda del 2030 necessiti ben più del finanziamento pubblico. Essa richiede finanziamenti e investimenti da parte di investitori privati, secondo criteri basati sul valore, a necessario complemento del finanziamento pubblico. Tutti le pari interessate devono impegnarsi in attività di finanza etica volte a eliminare le disuguaglianze sociali e a dar vita a una niova e ambiziosa agenda per una migliore “salvaguardia della nostra casa comune”. Anzi siamo invitati alla cura perfino quando si tratta di finanza. Le attività finanziarie eticamente irresponsabili producono disuguaglianze sociali. Qualunque sia il bene prezioso, quando lo accantoniamo distruggiamo una parte di noi stessi, perché siamo tra noi completamente

40

See Respect in Action: Applying Subsidiarity in Business, UNIAPAC &University of St Thomas, 2015. http://www.stthomas.edu/media/catholicstudies/center/ryan/publications/publicationpdfs/subsidiarity/RespectInActi onFINALWithAcknowlCX.pdf 41

Pope Francis, Messaggio al Secondo World Meeting of Popular Movements, Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, 9 Luglio 2015, n. 3.1. Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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interconnessi. Con la cura, siamo invitati a metter in pratica una finanza responsabile e a promuovere investimenti basati sul valore e a dar attuazione all’Agenda 203042.

Sfide

Dialogo e governo globale La prima sfida riguarda il dialogo e il governo globale. Un modello di sviluppo integrale , che si ispiri a una visione ecologica integrale, non può essere imposto, ma solo proposto. Pertanto, come sottolinea la Laudato si’, è richiesta la partecipazione di tutte le parti in causa a tutti i livelli della politica e soprattutto la partecipazione di quanti sperimentano più da vicino i problemi economici e ecologici. Oltre ai colloqui internazionali, come quelli che si svolgono nelle assemblee e nelle sessioni delle Nazioni Unite, è necessario creare strutture di dialogo di tipo diverso tali da rispondere alle circostanze più svariate, come certi luoghi del mondo che non dispongono di strutture neppure formali per il dialogo pubblico. A questo riguardo, il dialogo fra religioni è un valore in sé. Allo stesso modo, una società integrale e lo sviluppo integrale dei sui membri sono inconcepibili senza “carità politica”, un tipo di “sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche” (n. 181). Abbiamo bisogno di un sistema politico globale in grado di promuovere lo sviluppo umano integrale attraverso l’inclusione sociale, la salvaguardia ambientale e la pace. Abbiamo tutti bisogno di riconoscere le nostre responsabilità (come persone, chiese e nazioni) e di renderci conto che dobbiamo cambiare i nostri comportamenti e le nostre strutture per il bene di quanti sono rimasti indietro, per il bene della nostra casa comune.

Economia ed ecologia Un’altra sfida è il rapporto fra economia ed ecologia ovvero in che modo l’economia impatta sulla salute, l’ecologica e lo sviluppo umano. Ciò stato già trattato a fondo. Benché etimologicamente parenti, perché entrambi i termini derivano dalla parola greca “oikos” (oikologia e oikonimia), gli interessi dell’economia e dell’ecologia sono spesso in contrapposizione; e quando ciò avviene, l’esperienza insegna che l’economia prevale sull’ecologia. Basta guardare all’esempio dello sfruttamento minerario e dell’uso dei combustibili fossili!

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P. Turkson, Statement of the Holy See al High-Level Thematic Debate on Achieving the Sustainable Development Goals, New York, 21.04.2016. Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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Strettamente imparentata con questa tensione è la sfida dell’introduzione dei robot e di altri prodotti dell’intelligenza artificiale nel posto di lavoro. Essi possono rendere il lavoro più efficiente, ma servono anche a massimizzare il profitto e a privare la persona umana della dignità di soggetto nel lavoro.

Indifferenza e solidarietà Il risultato è che disparità economiche e mancanza di equità cominciano a distorcere la vita sociale, generando al loro seguito, indifferenza e una classe sempre più numerosa di poveri e bisognosi. Si tratta di sfide che esigono una dimostrazione non solo di giustizia, ma anche di solidarietà e di una cultura della tenerezza, perché come membri della società dobbiamo imparare ad ascoltare non solo con la mente, ma anche col cuore.

Grazie per la vostra cortese attenzione!

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LAUDATO SI’ E LA TRADIZIONE ABRAMITICA SULLA PROTEZIONE DELLA MADRE TERRA

Mohammed S. Dajani Daoudi

Eminenza, illustri ospiti, cari amici,

tre anni fa è stata resa pubblica la storica iniziativa umanistica di sua Santità Papa Francesco Laudato si’, sottotitolata “Sulla cura della casa comune”. Nella Laudato si’ Sua Santità richiama a un dialogo internazionale su come affrontare e agire riguardo alla crisi ecologica, coinvolgendo le diverse componenti umane a unificare gli sforzi per proteggere il dono del nostro Signore. Egli ha così piantato un albero rigoglioso, offrendo a tutti di scegliere quali suoi frutti cogliere e tenere in gran conto. Oggi, per rispondere a questo appello, siamo insieme convenuti in questo pregevole convegno per promuovere una maggiore consapevolezza pubblica su questa audace visione globale. È per me un onore speciale essere invitato qui a parlare in questa solenne occasione. È una benedizione essere qui con voi ad affrontare queste sfide a nome del Movimento Wasatia (Moderazione). L’enciclica Laudato si’ è un appassionato appello rivolto a “a ogni persona che abita questo pianeta”, invitando a promuovere un nuovo dialogo e un nuovo modo di agire per la salvaguardia della “nostra casa comune”. In questo messaggio ispiratore, Papa Francesco spera di aprire i nostri occhi, le nostre menti e i nostri cuori sull’entità del male e del danno che stiamo infliggendo al nostro habitat naturale. La grande sfida ch’esso presenta è quella di accettarlo per come è e fare qualcosa per cambiare le suddette abitudini. Qualsiasi deterioramento dell’ambiente e inquinamento dell’aria, dei fiumi e degli oceani danneggia tutti noi. Questi elementi della natura non conoscono confini o restrizioni creati dall’uomo; un fiume inquinato corre da un paese all’altro attraversando il confine senza intervento; una malattia causata dal noncurante scarico di spazzatura e rifiuti viaggerebbe da un quartiere all’altro. Le domande che ne scaturiscono sono: fino a che punto siamo consapevoli della distruzione che stiamo causando all’ambiente in cui viviamo e senza il quale non possiamo vivere? Come possiamo rendere le persone più consapevoli della necessità di lasciare una migliore eredità


ambientale da essere spartita tra i nostri figli? Come possiamo sviluppare nuove credenze, convinzioni, atteggiamenti e uno stile di vita che ci possano aiutare a raggiungere questo obiettivo? L'ambiente, sostiene Papa Francesco, è “opera di Dio” e dono all’umanità e quindi dobbiamo prendere su di noi il solenne giuramento di essere suoi protettori e guardiani, e di non utilizzare le nostre competenze tecnologiche e le capacità che Dio ci ha conferito per offuscare la bellezza del suo operato, ma per cercare di rendere la nostra terra ricca, bella e prosperosa. Nella Laudato si’ Papa Francesco afferma: “Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data”. Ce l’ha data Dio. Il dominio che ci è stato dato sulla terra” non significa il nostro dominio sul suo destino, né dovrebbe darci il diritto di trasformarla al fine di soddisfare i nostri interessi materiali. Qui, Papa Francesco ci esorta a non vivere affacciati alla finestra e a riflettere sul danno ambientale che ci stiamo lasciando alle spalle per le generazioni future. Egli acutamente rileva “una grande sfida culturale, spirituale e educativa” che ci sta di fronte, e avverte che “essa implicherà lunghi processi di rigenerazione”. Egli osserva che nell’educazione possiamo riscattare noi stessi. “L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente”, ha affermato. Per raggiungere questi obiettivi, egli sollecita le istituzioni pubbliche e civili a fare pressione sulle autorità politiche affinché intervengano per fronteggiare le impellenti necessità volte alla protezione ambientale. In questa prospettiva umanistica, Papa Francesco collega “l’ambiente umano e l’ambiente naturale” e percepisce correttamente che un deterioramento nell’uno porta al deterioramento nell’altro e, viceversa, un miglioramento nell’uno porta al miglioramento nell’altro. La Laudato si’ è un appassionato appello rivolto non solo ai cristiani, ma anche ai noncristiani, implorando tutti gli esseri umani ad assumersi sul serio e attivamente queste preoccupazioni per il benessere dell’ambiente. Il messaggio è non solo “in linea con la dottrina sociale della Chiesa”, ma anche con le altre fedi abramitiche, vale a dire, con gli insegnamenti islamici del Corano che qui di seguito esporrò, nonché con l’insegnamento religioso ebraico di cui parleranno altri. Il Corano e l’ambiente

Il Sacro Corano, che è considerato da tutti i musulmani come la fonte principale per la dottrina islamica e le sue credenze, afferma come Dio creò l’uomo dalla terra e che la terra stessa è creazione di Dio, affidata all’umanità dalla grazia del suo Creatore perché tutti possano Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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apprezzarla. Utilizzare e sfruttare la natura che Dio ci ha affidato è un diritto e una responsabilità che ci obbligano a proteggerla e a conservarla. Il Corano parla diffusamente del cominciamento dell’universo, come Dio ha creato il cielo e la terra e come ebbe inizio la vita. “In verità il vostro Signore è Dio, che ha cerato i cieli e la terra in sei giorni e poi si è assiso sul Trono per governare ogni cosa”1. “Egli è Colui che ha creato per voi tutto ciò che è sulla terra (…)”2. Dio ha cerato un ambiente meraviglioso e squisito per gli esseri umani, ci ha provveduti di tutte le risorse naturali di cui abbisogniamo, grazie alle quali cercar contemplazione e godimento nell’apprezzare l’opera sublime che nostro Signore ha compiuto. “Ed è Lui che fa discendere acqua dal cielo con la quale Noi facciamo spuntare germogli d’ogni specie e da essi verde fogliame e da questo granelli agglomerati, e dalle spate delle palme grappoli bassi di datteri, e giardini di vigne, e olivi e melograni, simili e dissimili. Guardate il loro frutto quando nella sua stagione matura, ché certo in tutto questo v’han Segni per gente che crede!”3. “È Lui che fa scendere acqua dal cielo per voi, e ne bevete, e ne crescono gli alberi fra i quali spingete a pascolare gli armenti, e ne fa crescer per voi e il frumento e l’olivo e le palme e le viti e ogni specie di frutti; e certo un Segno è ben questo per gente che sa meditare ”4. Il Corano menziona i vari elementi della natura, l’ambiente e l’universo come i pianeti e le stelle, i cieli e le nuvole, il sole e la luna, il tuono e il fulmine, la notte e il giorno. Il Corano menziona anche gli elementi terreni della natura come le montagne, le valli, i fiumi, il suolo, la pioggia. Menziona altresì gli alberi, i frutti, i cereali, gli animali, gli insetti, i rettili, ecc. Ne consegue che l’uomo ha l’obbligo di non causare alcun danno o degrado all’ambiente e di non stravolgere la convenienza ch’esso riveste per l’habitat umano. Abbastanza interessanti

1

Sura X, 3.

2

Sura II, 29.

3

Sura VI, 9.

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Sura XVI, 10-11.

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sono quei passi del Corano dai quali traluce come Dio sapeva che quell'uomo avrebbe causato la corruzione sulla terra. “E quando il tuo Signore disse agli angeli: “Ecco, io porrò sulla terra un mio vicario, essi risposero: “Vuoi metter sulla terra chi vi porterà la corruzione e spargerà il sangue, mentre noi cantiamo le Tue lodi ed esaltiamo la Tua santità”? Ma Egli disse: “In verità, Io so ciò che voi non sapete”5.

Il Corano sottolinea il valore della vita e come la vita deve essere conservata e protetta. “Per questo prescrivemmo ai figli d’Israele che chiunque ucciderà una persona senza che questa abbia ucciso un’altra o portato la corruzione sulla terra, è come se avesse ucciso l’umanità intera. E chiunque avrà vivificato una persona sarà come se avesse dato vita all’umanità intera (…)”6. Su questa terra c’è molta diversità e varietà di differenti forme. La terra e l’universo sono la prova evidente della rilevanza del Creatore e del Suo amore per l’uomo. Questo tema risuona in molti versetti coranici. “(…) E v’ha soggiogato le navi perché corrano sul mare al Suo comando, e v’ha soggiogato i fiumi e v’ha soggiogato il sole e la luna che si rincorrono in cielo , e v’ha soggiogato la notte e il giorno. E v’ha dato di tutto quel che Gli avete chiesto, che se voleste contare i favori di Dio non riuscireste a numerarli. Ma l’uomo è ingiusto e protervo”7. “(…) È Lui che vi ha fatto nascere dalla terra e sulla terra v’ha dato dimora (…)”8. “Non vedi tu come a Dio inneggino gli esseri tutti che sono in cielo e sulla terra, e gli uccelli che stendono l’ali? Ognuno conosce la sua preghiera, conosce il suo inno di lode, e Dio sa quel che fanno”9. “Sulla terra pose montagne ferme levantisi alte sul suolo e la benedisse, e vi ha distribuito sopra i cibi, in quattro giorni, uguali per ognun che li chieda”10.

5

Sura II, 30.

6

Sura V, 32.

7

Sura XIV, 32-34.

8

Sura XI, 61.

9

Sura XXIV, 41.

10

Sura XLI, 10.

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“E un segno per loro è la terra morta, che Noi abbiam suscitato a vita e ne traiamo grani di che si cibano, e vi ponemmo giardini di palme, e di viti e vi facemmo fluire fonti perché ne mangino i frutti. Non le loro mani fecero questo; ma non ne son dunque grati?”11. “Egli è colui che vi fece della terra una culla e sopra vi tracciò delle vie e fece scendere acqua dal cielo, per la quale traemmo dalla terra molte specie d’erbe svariate . Mangiate e pascete i vostri greggi, ché certo in questo son Segni per gente di chiaro intelletto!”12. Il testo coranico ci dice che tutto ciò che Dio ha creato l’ha creato con misura, in equilibrio e per uno scopo: “In verità Noi ogni cosa creammo in stabilita misura”13. “(…) Ogni cosa Egli tiene dappresso, secondo misura”14. “Ha innalzato il cielo e ha drizzato l’equa bilancia”15.

Tutto ciò che Dio ha creato è denso di significati, che testimoniano, al là di sé, della gloria di Dio. “E Noi non abbiamo creato i cieli e la terra e quel che v’ha frammezzo, per gioco”16. Il rapporto tra l’uomo e l’universo deve quindi essere un rapporto reciproco di cura e di attenzione per la terra, che fornisce all’uomo cibo e acqua, specialmente perché la Madre Terra non è stata creata esclusivamente a beneficio degli esseri umani, avendo Dio profuso la Sua grazia a beneficio di tutta la Sua creazione. Secondo il Libro Sacro le risorse umane dalle quali dipende la vita sono state create da Dio per provvedere il sostentamento a tutte le persone e a tutte le creature viventi. Il Corano afferma che gli elementi essenziali della natura – acqua, aria, fuoco e terra – appartengono a tutti gli esseri viventi. In alcuni versetti il Corano istruisce i credenti a non compiere atti che possano causare il degrado dell’ambiente e affida all’uomo la protezione delle risorse naturali.

11

Sura XXXVI, 33-35.

12

Sura XX, 53-54.

13

Sura LIV, 49.

14

Sura XIII, 8.

15

Sura LV, 7.

16

Sura XLIV, 39.

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Gli esseri umani non dovrebbero essere dissipatori ma avere molto a cuore la cura delle risorse umane perché le generazioni future ne traggano beneficio. Il Corano esorta l’uomo a essere moderato nell’uso che fa delle risorse umane, facendo presente che Dio ci ha creato per essere una comunità moderata, giusta, equidistante dagli stremi e temperata. Il Corano dice: “Abbiamo fatto di voi una nazione che segue il medio cammino (…)”17. In senso stretto i credenti sono istruiti a: “Non siate prodighi stravaganti, giacché i prodighi son fratelli di Satana”18. “(…) Mangiate e bevete, senza eccedere, perché Dio non ama gli stravaganti”19. Il Corano invita l’uomo a lavorare per fare fiorire la terra mediante l’agricoltura, il giardinaggio e la riproduzione. Indica ogni uomo e ogni donna a essere custode della natura. “(…) Vi è giunta una prova chiara dal vostro Signore: date quindi giusta misura e giusto peso, non frodate la gente nelle loro cose e non portate la corruzione sulla terra dopo che Dio la creò pura. Questo sarà meglio per voi, se voi siete credenti!”20. “(…) E benefica gli altri così come Iddio ha beneficato te, e non cercare corruzione sulla terra, ché Iddio non ama i corruttori”21. “O figli d’Adamo! Adornatevi, quando vi recate in un luogo di preghiera qualsiasi, mangiate e bevete , senza eccedere, perché Dio non ama gli stravaganti”22. Guidato dal Corano, il profeta Muḥammad diede molta importanza all’uso sostenibile delle risorse naturali e alla protezione della fauna selvatica e dei terreni agricoli, e proibì l’abuso della natura. Insegnò alla gente a essere moderata, a vivere con poco, a proteggere la vita animale e vegetale e ad adorare il Creatore prestando attenzione alle sue creature.

17

Sura II, 143.

18

Vedi sura XVII, 26-27.

19

Sura VII, 31.

20

Sura VII, 85.

21

Sura XXVIII, 77.

22

Sura VII, 31.

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Il profeta Muḥammad e l’ambiente

Il profeta invitò i credenti a essere in armonia con la natura. Proibì di tagliare gli alberi che fornivano ombra e riparo all'uomo e agli animali. Prescrisse di ripulire le strade da rifiuti e pietre come un atto di ṣadaqah, ovvero un’opera di carità. Disse: “Anche se dovesse arrivare il giorno del giudizio e hai in mano un alberello, piantalo”. Il profeta Muḥammad ebbe un giorno a dire: “La terra è verde e bella, e Dio vi ha nominato suoi amministratori su di essa. Tutta la terra è stata creata come luogo di culto, puro e lindo. Chiunque pianti un albero e lo accudisca diligentemente fino a quando matura e porta frutti avrà la sua ricompensa. Se un musulmano pianta un albero o semina un campo e gli esseri umani e le bestie e gli uccelli ne mangiano, tutto ciò è amore da parte sua”23. Il profeta Muḥammad ebbe a dire: “Gli uomini son consociati nella fruizione dell’aria, dell’acqua, delle piantagioni e del fuoco”. Minacce per l’ambiente L’insegnamento islamico identifica alcune minacce vitali per l’ambiente. Il primo pericolo che l’uomo deve affrontare è la contaminazione dell’aria che renderebbe difficile alla gente di respirare. Il secondo è insito nell’inquinamento dell’acqua che renderebbe difficile per l’uomo bere. Il terzo è insito nell’intossicazione del terreno che renderebbe difficile per le persone mangiare. Di conseguenza, il Corano invita i credenti a proteggere la vita animale e vegetale, a non inquinare le risorse idriche e a non contaminare l’atmosfera per migliorare la qualità della vita. Tuttavia, sebbene l’islām enfatizzi pesantemente l’urgenza di mantenere la Terra pulita e pura sì che questo luogo di culto non sia inquinato, sfortunatamente nella pratica non è così. In generale, tendiamo a osservare che la tendenza di un cittadino musulmano è quella di separare la propria casa dallo spazio esterno della comunità. La casa è tenuta pulita e in ordine e però ritiene che lo spazio fuori di essa ricada sotto la responsabilità del governo. Qui, i cittadini non sono socializzati per rendersi conto che è loro dovere morale conservare pulito l’ambiente circostante facendo volontariato per migliorarlo, anche piantando un albero o un fiore. Pertanto, l’obiettivo è quello di mantenere l’interno pulito mentre l'esterno diventa la “discarica nazionale”. Questo atteggiamento deve cambiare, ma come può essere fatto?

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Riportato in Muslim.

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Per quale sorta di cultura puliamo lo spazio privato e lasciamo lo spazio pubblico sporco? È mancanza di educazione o assenza di punizione o mancanza di empatia e preoccupazione per gli altri? Nel suo libro La modernità liquida24 Zygmunt Bauman spiega perché nel nostro mondo oggi a nessuno importa di nessuno. Nel suo appello a proteggere la Madre Terra, Papa Francesco spiega perché nel nostro mondo di oggi dovremmo prenderci cura l’uno dell’altro. In questo messaggio, Sua Santità parla per moderati, attivisti per la pace e per tutti gli esseri umani, esortandoci ad agire come se ogni centimetro del pianeta fosse la nostra casa. Secondo me, è la cultura estremista di nulla avere a cuore che permette di tagliare alberi, schiacciare fiori e far male agli animali senza motivo. La cultura moderata dell’aver cura spinge invece le anime delicate a piantare alberi, fiori d’acqua e nutrire animali. Insegna ai moderati a pulire la strada prima ancora di pulire le loro case e a raccogliere i rifiuti dal marciapiede di strada, assicurandosi che i bambini godano della sicurezza dei parchi pubblici mentre fanno nelle loro case private. Dobbiamo crescere i nostri figli con l’idea “anche se l’altra persona non lo fa, devo farlo io perché è la cosa giusta da fare”. All’inizio è difficile, ma se abbastanza persone lo fanno, allora avrà un influsso su tutti gli altri che ci stanno attorno e si darà così avvio a una cultura attenta allo spazio pubblico come se fosse uno spazio privato. Su questo ordine di idee un proverbio arabo dice: “Se ognuno di noi spazzasse di fronte alla propria porta, il mondo intero sarebbe pulito”. Il 22 aprile viene celebrato ogni anno come “Giornata della Terra” per ricordare a individui e a gruppi il loro dovere nazionale e la responsabilità civica di mantenere pulito il pianeta. Tuttavia, non si è raggiunta una considerevole consapevolezza per dare alta priorità a questo problema.

Conclusioni

Per concludere, prendersi cura di Madre Terra è un dovere religioso, un atto caritatevole, una responsabilità civica, un obbligo sociale, del quale tutti gli esseri umani sono ritenuti responsabili. Tutte le Sacre Scritture ci invitano a conservare la Madre Terra pulita da tutte le fonti

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Zygmunt Bauman, Modernità liquida, trad. S. Minucci, editore Laterza, Collana Sagittari, Bari 2006, pagine XXII-272.

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di inquinamento e di abuso. Laudato si’ chiarisce che l’obiettivo della protezione, della conservazione e dello sviluppo degli elementi vitali dell’ambiente, vale a dire terra, aria, acqua e ambiente del suolo è per il bene universale di tutte le creature viventi e per la conservazione e la continuazione della vita. La lezione fondamentale della Laudato si’ è che gli esseri umani devono prendersi cura di tutti gli elementi della natura che Dio ha creato per il nostro benessere e per la nostra tenuta. Essere consapevoli dell’ambiente e, in definitiva, della Madre Terra è il modo migliore per servire Dio e la nostra comunità e contraccambiare per ciò che Dio ci ha affidato. Dobbiamo prenderci per mano per proteggere il nostro ambiente e mantenere il nostro pianeta Terra tranquillo e pacifico. Facciamo sì che i ricchi temi dell’enciclica Laudato si’ siano la fonte primaria della nostra ispirazione. Cominciamo con il diffondere la consapevolezza pubblica insieme con la nostra società civile e le organizzazioni religiose. Possiamo, ad esempio, organizzare una marcia pacifica per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi del cambiamento climatico, della dignità umana e delle creature viventi della terra messe a punto nell’enciclica Laudato si’. Una tale marcia da Gerusalemme a Tel Aviv metterebbe insieme ebrei, cristiani, musulmani, secolari, israeliani e palestinesi che condividono il nostro amore universale per la Madre Terra. Nell’enciclica Laudato si’, il Santo Padre pone alla comunità internazionale una domanda importante: “In quale forma vogliamo lasciare la terra per coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?” Senza dubbio, a coloro che verranno dopo di noi, ai nostri figli che ora stanno crescendo noi vogliamo lasciare un’eredità migliore di quella che ci hanno lasciato i nostri antenati.

Consentitemi di prendere in prestito la stessa domanda e di chiedere alle comunità israeliana e palestinese: “Che tipo di vita vogliamo lasciare a coloro che verranno dopo di noi, ai nostri figli che stanno crescendo?” La scelta è nostra. Sua Santità Padre Francesco termina con parole di speranza. Mettiamoci sui suoi passi e chiudiamo con parole di speranza, la speranza che lasceremo ai nostri figli un mondo migliore in cui il conflitto sarà del tutto sedato, un mondo in cui la moderazione avrà eroso l’estremismo, l’amore avrà sopraffatto l’odio, la pace avrà trionfato sulla guerra e la vita avrà sconfitto la morte. Lasciateci sperare che la Laudato si’ ci ispiri a trasformare in realtà il sogno di un domani migliore. Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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L’INSEGNAMENTO GIUDAICO SULLA “ECOLOGIA INTEGRALE” David S. Rosen

E’ per me un onore presentare alcune idee della tradizione ebraica che risuonano con tanta forza con i temi trattati dalla eccellente enciclica Laudato si’ di Papa Francesco.

Maimonide (Mishneh Torah, Yosedei haTorah, 2:2) affronta il problema di come obbedire al comandamento di amare e temere Dio: “Quando un individuo medita sulle Sue meravigliose e grandi opere e creazioni e attraverso di esse contempla la sua sapienza al di là di ogni confronto e limite, subito ama e loda e glorifica e prova un immenso desiderio di conoscere Lui, di conoscere il Suo grande nome. Come disse Davide, “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente”. E quando riflette su queste cose, subito prova un senso di timore sapendo di essere nient’altro che una piccola e solitaria creatura dotata di un debole e limitato comprendonio di fronte al Dio di perfetta conoscenza… Come disse Davide: “Quando contemplo i cieli opera delle tue dita, cos’è l’essere umano perché te ne ricordi?”. Per Maimonide, la nostra percezione del cosmo creato da Dio più che consapevolezza della Divina Presenza, è il mezzo con cui soddisfare il comandamento di amare e servire Dio. E’ il modo con cui ci avviciniamo all’intimità con Dio. In coerenza con ciò, per Maimonide, e anzi per tutte le generazioni della tradizione ebraica (fino ai tempi moderni che ha dato luogo tra l’altro a una involuzione reazionaria negli ambienti ultra Ortodossi), la comprensione scientifica non solo non è vista come una minaccia, ma anzi come uno strumento essenziale per sviluppare il nostro amore e riverenza verso Dio.

Nella Creazione, che testimonia la Divina Presenza nel mondo, il vertice di quella Creazione è la persona umana creata a Immagine di Dio (Genesi 1:27) il cui esplicito ruolo nel mondo è espresso in Genesi 2:15, “e lo pose nel Giardino dell’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse”. Il termine ebraico l’ovdah in questo contesto si traduce meglio con il verbo “coltivare” e coltivazione e conservazione presi insieme indicano l’impegno alla “custodia responsabile”. La parola avodah si può anche tradurre con “sviluppo” e in tal modo la frase esprime un’idea al centro del moderno movimento ecologista quella dello “sviluppo sostenibile”. Ma la parola ha un


ulteriore significato che si traduce più spesso con “servire”. Esprime con ciò un rapporto di servizio fra umanità e Creazione. Nell’interpretazione di uno dei più autorevoli commentatori medioevali, Rabbi Ovadiah Seforno, l’oggetto di questa attività è in realtà lo spirito umano e il lavoro stesso è essenziale in quanto servizio allo spirito umano. Ma la parola ebraica avodah è anche usata per indicare il servizio Divino e perciò alcuni dei nostri saggi hanno interpretato la frase di Genesi 2:15 non solo in senso materiale, ma anche in senso spirituale, morale. Anzi, il ‘Divino servizio’ deve essere inteso non solo in senso stretto come preghiera e offerta nel tempio; ma come obbedienza e compimento della parola e della via di Dio. Tutto ciò suggerisce un legame profondo fra la coscienza della Divina Presenza manifestata e riflessa nella Creazione e il senso della legge morale che le conferisce direzione, finalità e nobiltà. Ciò è espresso magnificamente da Emanuel Kant: “Due sono le cose che riempiono la mia anima di santa riverenza e crescente stupore. Lo spettacolo del cielo stellato che virtualmente ci annichilisce in quanto esseri materiali e la legge morale che ci solleva a una dignità infinita in quanto esseri intelligenti.” Il compito ecologico assegnato all’umanità è espresso nel Midrash al libro dell’Ecclesiaste (Kohelet Rabbah 7, Sezione 28): “Nell’ora in cui il Santo Benedetto creò il primo essere umano, Egli lo prese e lo fece passare davanti a tutte gli alberi del Giardino dell’Eden e gli disse: “Guarda le mie opere, guarda quanto sono buone ed eccellenti. Tutto ciò che ho creato, l’ho creato per te. Riflettici e non danneggiare o distruggere il mio mondo; perché se lo danneggi non c’è nessuno che possa ripararlo dopo di te.”

Questa piccola e bellissima omelia contiene tre lezioni essenziali.

La prima è il principio fondamentale della proprietà Divina. Come Papa Francesco sottolinea nella Laudato si’, la Creazione appartiene a Dio che l’ha creata. Ciò è espresso nel modo più categorico a proposito dell’anno Sabbatico (su cui ritornerò più avanti più approfonditamente) in Levitico 25:23 dove le seguenti parole sono poste sulla bocca di Dio: “Perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti temporanei.” Fondamentale alla descrizione biblica del mondo in cui viviamo e al modo con cui dovremmo rapportarci ad esso, è capire che siamo semplici inquilini in un mondo che appartiene al suo Creatore.

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La consapevolezza di ciò è qualcosa che la Tradizione ebraica si sforza di instillare nella nostra coscienza giorno per giorno, perfino ora per ora, attraverso una delle funzioni liturgiche più al centro della tradizione ebraica, e che il Giudaismo nemmeno considera liturgica in quanto parte così integrale della prassi e della vita ebraica. Si tratta del concetto di brachah, benedizione. Infatti l’obbligo delle brachot, benedizioni, consiste nell’imporre la continua presa di coscienza e il riconoscimento della proprietà Divina. La prassi ebraica prescrive una brachah prima di bere o di mangiare, e perfino di assaporare un profumo. Nel fare ciò introduciamo una breve pausa e pronunciamo la formula tradizionale, esprimendo in tal modo la nostra consapevolezza, il nostro apprezzamento e gratitudine per ciò che Dio ci ha fornito per il nostro piacere e benessere. Per esempio prima di assaggiare un frutto si dichiara “Benedetto sii Tu Signore, nostro Dio, Re dell’Universo, che hai creato il frutto dell’albero”. Attraverso le benedizioni il Giudaismo si sforza continuamente di instillare in noi la consapevolezza del Divino possesso del mondo e la gratitudine per i Suoi doni.

La seconda idea che emerge dal Midrash è un concetto affascinante e quasi temerario proprio della tradizione ebraica; che l’umanità è in realtà partner di Dio nella Creazione. Dio ci ha infatti creato per associarlo allo sviluppo della Sua Creazione. Ne sono prova, come rilevano vari passaggi del Talmud, le capacità e i talenti di cui l’umanità è dotata per trasformare la materia grezza creata da Dio in alimenti, materiali, abiti destinati al nostro godimento, sopravvivenza e benessere.

Ma questa idea ha ulteriori implicazioni. Sottolinea che Dio ci ha dato la capacità di mantenere, conservare e migliorare il nostro mondo, ma anche quella di distruggerlo. Ciò è in stretta reazione con l’Immagine di Dio con cui è stata plasmata l’umanità e che distingue gli esseri umani dal resto della Creazione. Queste capacità sono nelle nostre mani e sono oggetto delle nostre scelte morali. La conseguenza è che mentre il Giudaismo consente all’umanità di trarre beneficio dalle risorse animali, impone requisiti stringenti riguardo al trattamento degli animali e alla loro condizione che precede la macellazione. E’ assai dubbio che gli attuali metodi dell’allevamento animale siano conformi a questi insegnamenti e che l’odierna produzione di massa dei prodotti animali possano considerarsi pienamente kosher. Tuttavia ciò che è certo è che oggi l’allevamento del bestiame è oggi fra i maggiori inquinanti dell’ambiente. Lo studio Livestock’s Long Shadow prodotto dalle Nazioni Unite

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dimostra che l’industria dei prodotti animali provoca un inquinamento ambientale che supera quello dell’insieme di tutti i mezzi di trasporto.

Giungiamo così al terzo principio contenuto nel nostro Midrash. Il passo della Genesi nel quale Dio assegna all’umanità il dominio sul mondo vivente è ben noto e molto abusato. Vi è stata la tendenza – in particolare fra i critici della religione e della Bibbia – a presentarlo come una licenza allo sfruttamento sfrenato e a un arrogante antropocentrismo che consente virtualmente ogni iniziativa che serva al suo fine particolare. 4 Infatti papa Francesco ha riconosciuto che “alcuni cristiani erroneamente credono” che questo passo “invita a soggiogare la terra (così che) verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentando un’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore”. Papa Francesco afferma che “Questa non è una corretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa”. E certo non è la interpretazione corretta dal punto di vista dell’autentica comprensione del testo da parte ebraica. Rabbi Isaac Kuk, il Capo Rabbino Askenazita in Terra Santa nella prima parte del ventesimo secolo, fra i massimi pensatori del Giudaismo, è al riguardo assai esplicito nei suoi scritti. Egli sottolinea che la frase “avere dominio” non è, Dio non voglia, una licenza a esercitare una forma di tirannia, ma al contrario un mandato di responsabilità come quello che un benevolo sovrano concede ai suoi sudditi tenuto conto delle loro necessità. A riprova della sua tesi che l’uso del termine dominio non va inteso come sfruttamento illimitato del mondo fisico, fa rilevare che ad Adamo ed Eva Dio prescrive all’inizio una dieta vegetariana e pone limiti a ciò che possono consumare. Rabbi Kuk inoltre cita il verso 9 del Salmo 145 che recita “la tenerezza di Dio si spande su tutte le Sue creature”. Se Dio ha cura di tutte le Sue creature e in quanto siamo invitati a imitarLo (ad es. Levitico 19:1, Imitatio Dei), è nostra responsabilità di esseri umani aver cura di tutte le creature di Dio. Soprattutto il Giudaismo deriva l’imperativo della responsabilità ambientale dalla proibizione di Dt 20:19 di tagliare gli alberi da frutta quando si assedia una città in una situazione di guerra. I saggi del Talmud derivano questa conclusione a fortiori: perché se in un contesto di guerra nel quale la vita umana è in pericolo è proibito tagliare un albero da frutta, a maggior ragione ciò si applica in condizioni normali a tutto ciò che fornisce sostentamento, estendendo in tal modo la proibizione a tutto ciò che può essere utile e di valore. Il concetto è esteso nel Talmud ad ogni distruzione arbitraria (Kiddushim 32), spreco (Berachot 52b) e perfino l’ostentazione e l’indulgenza (Hullin 7b; Shabbat 140b). Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com


Sulla stessa linea il Talmud prescrive che certe attività, quali le aie e le concerie, siano poste a una certa distanza dalle abitazioni in modo da non provocare inquinamento fisico o dei sensi causati da odori sgradevoli. Il divieto di tagliare alberi da frutta viene esteso dai nostri rabbini agli alberi in genere anche non da frutta, benché non ve ne è necessità. Oggi che comprendiamo quale contributo decisivo al benessere del genere umano e del cosmo nel suo complesso diano gli alberi e le foreste, che nonostante ciò vengono decimati dall’avidità dell’uomo, tale divieto diventa sempre più pertinente e urgente. 5 I seguenti due passi tratti da fonti ebraiche più tarde riflettono su questo concetto contrastandolo con quella che Papa Francesco chiama “la cultura dello scarto”. Il primo è contenuto in un’opera del 13mo secolo, Sefer HaChinuch. Questo impostante libro elenca e commenta tutti i comandamenti della Torah, il Pentateuco. Riguardo allo specifico comandamento che vieta distruzioni e sprechi (529) leggiamo: “Lo scopo di questo comandamento… è quello di insegnarci ad amare ciò che è buono e meritevole e ad aderire ad esso, in modo che ciò che è buono diventi parte di noi e venga evitato tutto ciò che è male e distruttivo. Questa è la via dei giusti e di quanti migliorano la società, che amano la pace e gioiscono nel bene del popolo e si avvicinano alla Torah; per essi nulla, nemmeno un granello di senape, dovrebbe andare perso in questo mondo; essi dovrebbero rimpiangere le perdite e le distruzioni a cui assistono e se possibile intervenire per evitarle. Non così gli empi che, simili ai demoni, godono della distruzione del mondo e in tal modo distruggono sé stessi”.

Rabbi Samson Hirsch, che fu uno dei massimi rabbini ortodossi del 19mo secolo, ritiene che il concetto di bal taschchit, ovvero il divieto di sprecare e distruggere senza necessità, sia uno fra i più fondamentali principi del Giudaismo, funzionale all’obiettivo del brachah, al riconoscimento cioè della sovranità di Dio, Origine e Signore di tutto. Ma Hirsch va oltre perché in questa ingiunzione vede espressa una limitazione e disciplina, entrambe essenziali, al proprio volere ed ego. Proteggendo il mondo intorno a noi, sostiene, agiamo nel riconoscimento che Dio è padrone di tutto. Distruggendolo, adoriamo gli idoli dei nostri desideri dando spazio all’autogratificazione dimenticando se non addirittura negando l’Unica Sorgente di tutto. Rispettando la disciplina di questo divieto ristabiliamo l’armonia del nostro rapporto col mondo circostante e soprattutto rispettiamo la Divina Volontà che ci trascende e che poniamo al di sopra dei nostri interessi egoistici. Secondo Hirsch, è un invito ad ‘essere mensch’, termine Yiddisch e tedesco che indica l’uomo, ma che in questo contesto ha un significato più profondo, quello di uomo autenticamente Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com


morale . “Solo se farai uso delle cose intorno a te per sagge finalità umane, santificate dalla parola e dal mio insegnamento, solo allora sarai un mensch e avrai su di esse il diritto che ti ho concesso in quanto essere umano. Ma se le distruggerai, se le rovini, in quel momento non sarai più un vero essere umano e non avrai più diritto alle cose intorno a te. Io, Dio, te le ho prestate perché ne facessi un uso sapiente, non dimenticare mai che te le ho affidate. Quando ne fai un uso insensato, piccolo o grande, commetti un tradimento nei confronti del Mio mondo, un delitto e un furto ai danni della Mia proprietà, un peccato contro di Me. Questo è quanto Dio richiede da te e con il Suo richiamo Dio si fa difensore delle cose più grandi e di quelle più piccole contro di te e assicura alle cose più piccole e a quelle più grandi un diritto contro la tua presunzione. In verità non vi è nessuno più vicino all’idolatria di colui che ignora il fatto che tutte le cose appartengono a Dio; e che ritiene perché ne ha il potere, di avere il diritto di distruggerle in base a un presuntuoso atto di volontà. Questa persona anzi è già al servizio degli idoli più potenti, ira, orgoglio e soprattutto ego, che nella sua passione si considera padrone di tutte le cose” (Horev, 397-8).

Queste tre idee centrali: proprietà Divina; associazione nella Creazione e concomitante responsabilità umana, sono forse sintetizzati in due concetti biblici che in un certo senso si riducono a uno. Il precetto più fondamentale del Giudaismo, quello che i nostri saggi considerano il dono speciale dato da Dio ai figli di Israele, è probabilmente il Sabato. Il Sabato è davvero un paradigma ecologico che assicura un giorno di riposo all’ecosistema naturale, come pure alla società umana, a prescindere dalla posizione e dall’autorità sociale. Nelle parole del rabbino Samson Raphal Hirsch (nel suo commento a Esodo 20:10): “Il Sabato è stato dato affinché non diventassimo arroganti nel nostro dominio sulla Creazione di Dio… per astenerci in questo giorno dall’esercitare il nostro potere sulle cose della terra e non prestare le nostre mani ad ogni oggetto ai fini dell’umano dominio… il mondo che abbiamo in prestito viene restituito, oggi come ieri, al suo Divino padrone perché ci convincessimo che ci è stato solo prestato. Nel giorno del Sabato vi svestite del vostro glorioso potere sulle cose del mondo e con riconoscenza prostrate voi e il vostro mondo ai piedi dell’Eterno, il vostro Dio”. Il Sabato è quindi visto come il ripristino settimanale del naturale rapporto con il Divino e con il nostro ambiente, sociale ed ecologico. Non sono innaturali il lavoro e lo sviluppo materiale della nostra attività settimanale – al contrario. Ci è stato ordinato: “per sei giorni lavorerai”. Ma vi è un pericolo reale che il nostro lavoro creativo prenda il sopravvento, asservendo e soffocando il nostro potenziale sociale e Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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spirituale. Anzi, vi è il pericolo che le nostre capacità tecnologiche diventino l’alfa e l’omega e si traducano in una forma di moderna idolatria. Papa Francesco mette in guarda a questo riguardo nella Laudato si’. “Si tende a credere che «ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori», come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia. Il fatto è che «l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza», perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza. Ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri limiti. Per tale motivo è possibile che oggi l’umanità non avverta la serietà delle sfide che le si presentano, e «la possibilità dell’uomo di usare male della sua potenza è in continuo aumento» quando «non esistono norme di libertà, ma solo pretese necessità di utilità e di sicurezza». L’essere umano non è pienamente autonomo. La sua libertà si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale. In tal senso, è nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo... Semplicemente si tratta di ridefinire l’idea di progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso” ( Laudato si’, 105.194).

Si può aggiungere che oltre a una ridefinizione diventa necessario un riorientamento pratico. Di nuovo, nelle parole di Hirsch: “...astenersi per un giorno intero dagli affari, dal lavoro, nella frenesia del nostro tempo? Chiudere le borse, i luoghi di lavoro e le fabbriche; fermare le ferrovie?

(E potremmo aggiungere, spegnere i nostri calcolatori, fare a meno degli

smartphones?). Santo Cielo, come sarebbe possibile – il cuore pulsante della vita cesserebbe di battere e il mondo perirebbe! Il mondo perirebbe? Al contrario, si salverebbe” (The Sabbath, in Judaism Eternal).

Procedendo oltre il giorno del Sabato, ci imbattiamo nel bellissimo paradigma biblico del rinnovamento ecologico nell’anno Sabatico. L’anno Sabbatico contiene tre elementi essenziali. Innanzitutto come stabilito in Esodo 23:10 la terra deve rimanere incolta, né coltivata né posseduta, ad eloquente testimonianza che “la terra appartiene al Signore”. In una società agricola, la terra definisce lo condizione sociale. Imponendo che ogni sette anni la terra venga restituita al suo proprietario originario, a Dio, viene fatta una importante affermazione etica circa l’uguaglianza di tutti davanti a Dio. Questo ristabilirsi dell’equilibrio sociale viene ulteriormente ribadito da altri due precetti.

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Il primo è la cancellazione e annullamento dei debiti. Il significato morale di questo concetto può essere compreso solo nel contesto agricolo del tempo. I prestiti (e i conseguenti debiti) che sono oggi un naturale ingrediente della vita commerciale non erano un fatto normale nella società agraria del tempo. Si chiedeva un prestito solo quando il contadino era in gravi difficoltà a seguito di un cattivo raccolto, di siccità o altro e non disponeva delle sementi e delle risorse necessarie per il prossimo raccolto. Il prestito era quindi un strumento eccezionale, ancorché essenziale, per ristabilire il ciclo produttivo in una società agricola. Tuttavia accendere un debito implicava il rischio della trappola della povertà. Ove il prossimo raccolto non fosse risultato soddisfacente non vi sarebbe stati mezzi sufficienti a ripagare il debito. Se ciò si fosse ripetuto anno dopo anno, il debito sarebbe progressivamente aumentato e l’agricoltore si sarebbe trovato in trappola. La cancellazione del debito nell’anno Sabatico garantiva che nessuno sarebbe rimasto a lungo nella trappola della povertà.

Questa misura serviva quindi a ristabilire quella che papa Giovanni Paolo II definiva ecologia umana, a proteggere cioè la dignità di tutti e l’equilibrio economico. Lo stesso vale per il terzo elemento dell’anno Sabatico, la liberazione di quanti si fossero venduti come servi di altri uomini per sfuggire alla povertà o per saldare i debiti (o come punizione comminata dai giudici). In tal modo l’anno Sabatico combina in sé le tre dimensioni ricordate in precedenza – riconoscimento e affermazione della proprietà Divina; della gloria e della dignità della persona umana; e delle responsabilità sociali e ambientali che derivano dalle prime due. Il passo biblico che tratta nel modo più esauriente dell’anno Sabbatico, Levitico 25, è seguito nel successivo capitolo dalla promessa di piogge e raccolti abbondanti e di vita più lunga su questa terra e di garanzia della pace – ciò che papa Benedetto XVI definisce “ecologia di pace”. Tutto questo, spiega la Bibbia, è frutto dell’osservanza dei Divini comandamenti; ma se non li osserviamo, dobbiamo aspettarci disastri ecologici, raccolti distrutti, guerre e devastazioni. Maimonide interpretò queste immagini solo come delle metafore. Erano per lui un modo di esprimere l’idea più elevata delle conseguenze spirituali delle nostre azioni in una forma che le persone più semplici erano in grado di comprendere: “la Torah parla nel linguaggio della gente”, in termini tali, egli spiega, che le persone senza alcuna cultura fossero in grado di capire.

Tuttavia è stato già osservato che oggi siamo in grado di comprendere questi testi in un senso più letterale che nel passato, ora che le conseguenze del comportamento umano nei confronti del nostro ambiente sono così straordinariamente evidenti. L’avarizia umana, la sfrenata hubris, Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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l’insensibilità e l’irresponsabilità verso l’ambiente hanno inquinato e distrutto buona parte delle risorse naturali, modificato il clima nel suo insieme mettendo a repentaglio le nostre piogge e i nostri raccolti e addirittura minacciando il futuro della vita sensibile del pianeta (vedi i rapporti del Intergovernmental Panel on Climate Change http://www.ipcc.ch). Inoltre l’indulgenza irresponsabile e senza limiti della moderna società ha causato non solo una sempre maggiore crudeltà nei confronti della vita animale posta al servizio del consumo umano, ma anche all’ulteriore sfruttamento di larghi strati dell’umanità da parte di una esigua minoranza. E’ scioccante il numero immenso di esseri umani che patiscono la fame mentre altri si concedono ogni eccesso. Laudato si’, sottolinea questo situazione oltraggiosa.

Un recente studio ha calcolato che il cittadino americano medio ha bisogno di 100 acri di terreno biologicamente produttivo per sostenere il proprio consumo annuo di cibo, acqua, energia ed altre risorse. Ma se distribuiti equamente sono solo 15 gli acri disponibili per ciascuno dei 6,5 miliardi di esseri umani sulla terra. Questo significa che il cittadino medio americano consuma più di sette volte la quota che gli spetterebbe. Moltiplicando per centinaia di milioni di persone, il costo che l’umanità scarica sull’ambiente acquista una nuova prospettiva. Sono realtà con cui devono confrontarsi il governo del mondo nel suo complesso come pure le autorità delle singole nazioni; ma che interpellano anche noi, comunità, famiglie e individui, in termini di stile di vita e di condotta.

A questo riguardo val la pena di sottolineare che una dieta vegetariana non solo costituisce una importante risposta allo sfruttamento problematico della vita sensibile e del degrado ambientale, ma che una riduzione del consumo di carne è assolutamente indispensabile nelle società sviluppate per ridurre il deplorevole saccheggio di cui fa le spese il resto del mondo. A titolo di esempio per produrre un chilo di manzo occorre una quantità d’acqua 17 volte maggiore di quella richiesta da un kilo di grano. Un sapiente e responsabile reindirizzamento e impiego delle risorse ci consentirebbe di affrontare gran parte delle ignominiosa fame e povertà che affliggono il nostro pianeta.

In conclusione, il nesso stabilito dalla Bibbia fra condizioni/produttività del pianeta e la nostra condotta morale attiene in modo sorprendente alla società contemporanea, e perfino alla nostra possibilità di vivere su questa terra. La Torah afferma che la disobbedienza alla Legge Divina farà sì che la terra vomiterà i suoi abitanti (vedi Levitico 18:28 e 20:22). E’ in questi termini che la tradizione ebraica ha spiegato la distruzione dei due Tempi e le conseguenze tragiche per il popolo ebreo. E di conseguenza nella nostra liturgia recitiamo “a causa dei nostri peccati fummo Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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esiliati dalla nostra terra”. La nostra capacità di vivere sulla terra dipenda dalla nostra capacità di osservare la parola di Dio e la sua Via. A questo punto cito nuovamente Hirsch: “Così come il popolo è il popolo di Dio, così anche la terra è la terra di Dio. Fin dal tempo in cui Abramo venne scelto e la terra venne scelta per lui, la terra non ha mai sopportato passivamente la corruzione di quanti abitavano su di essa. La fioritura della terra dipende dal fiorire morale del popolo che la terra ha sostenuto, nutrendolo con i suoi frutti e arricchendolo con i suoi tesori” (Commento al Pentateuco, Levitico 18:24-28). Questo impressionante passaggio non si limita ad una specifica situazione. Nasce in un contesto particolare, ma ha un’applicazione universale in termini di rapporto fra morale umana ed ecosistema. Ma oltre a ciò, il Giudaismo contiene una profonda tradizione mistica che identifica ogni aspetto del cosmo con la presenza del Divino e riecheggia le parole di Maimonide citate all’inizio della mia relazione. Questa sensibilità è all’origine di una abbondante ricchezza liturgica che è nostro patrimonio. Concluderò con questa meravigliosa preghiera di uno dei grandi maestri Hassidici della seconda metà del 18mo secolo, Rabbi Nachman di Bratzlav, che si caratterizza per il senso di comunione con la natura vista come parte e componente della devozione religiosa. “Signore dell’universo, dammi la capacità di essere solo; che diventi mia abitudine di uscire ogni giorno e camminare fra gli alberi e l’erba, fra tutto ciò che cresce e lì entrare in preghiera e parlare con Colui al Quale appartengo. Possa io esprimere ciò che è nel mio cuore e possa tutto il fogliame del campo – le erbe, gli alberi e le piante – risvegliarsi al mio arrivo e trasferire la potenza della loro vita nelle parole della mia preghiera, così che la mia preghiera e il mio parlare siano rese una cosa sola attraverso la vita e lo spirito delle cose che crescono, che sono rese una cosa sola dalla loro Sorgente trascendente. Possano esse raccolte nella mia preghiera in modo che io sia reso degno di aprire il mi cuore in preghiera, suppliche e santo parlare” (Maggid Slihot, 48).

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MISERICORDIA E SVILUPPO UMANO INTEGRALE

Stefano Zamagni

Premessa

Il fenomeno della globalizzazione e quello della quarta rivoluzione industriale rendono urgente e necessaria una nuova attualizzazione di principi e valori alla luce delle res novae di un mondo in rapida trasformazione. È questo incalzare di novità e di trasformazioni che ci spinge a riflettere, a elaborare ed approfondire le intuizioni e i principi fondativi che papa Francesco ha condensato nell’esortazione Evangelii Gaudium e nell’enciclica Laudato si’. Il Pontefice ha inteso risvegliare le coscienze di fronte allo scandalo di un’umanità che, mentre dispone di potenzialità sempre maggiori, non è ancora riuscita a sconfiggere alcune piaghe strutturali che umiliano la dignità della persona e soprattutto invitare a non adagiarsi sull’erronea convinzione che le “magnifiche fortune progressiste” dei mercati e della finanza possano quasi deterministicamente, portarci verso un futuro migliore.

Il funzionamento del sistema economico è caratterizzato da potenzialità immense e meccanismi di riequilibrio che non sono però automatici, ma funzionano se attivati con retta intenzione e con saggezza. La grande contraddizione storica è la crescita vertiginosa del benessere in alcune aree del mondo, ma non in altre rimaste tagliate fuori e marginalizzate. La globalizzazione ha fatto scoppiare questa contraddizione trasformando la miseria degli ultimi in minaccia al benessere dei ricchi. Con la trasformazione dei mercati da locali a globali e con la possibilità di trasferimento quasi istantaneo dei “beni immateriali” (suoni, dati, immagini, monete) da un punto all’altro del pianeta il miliardo di persone che vive sotto la soglia della povertà estrema compete di fatto con il suo basso costo del lavoro, con i lavoratori di paesi abituati a vivere con salari assai più elevati e migliori tutele, erodendo progressivamente quei salari e quelle tutele. I paesi ad alto reddito non possono quindi più salvarsi da soli ma devono partire dagli ultimi se vogliono difendere il benessere e il lavoro dei giovani minacciati dalla delocalizzazione e dall’erosione del tessuto produttivo nazionale. Ecco perché lavorare per gli ultimi, impegnarsi a promuovere la loro dignità, oggi non è più soltanto la scelta eroica dei missionari, ma un impegno necessario e urgente di tutti a difendere i diritti e le tutele raggiunte. La globalizzazione ha il merito


di renderci sempre più interdipendenti unendo in un unico destino i ricchi, gli emergenti e i più poveri del pianeta. E’ su tale sfondo che vanno lette le considerazioni della Laudato si’, un documento magistrale di portata epocale destinato a costituire, per molti anni a venire, un punto di riferimento imprescindibile nei confronti della questione ecologica per credenti e non credenti. Ciò che papa Francesco ha scritto nell’enciclica Laudato sì, più che un campanello d’allarme, è un accorato invito a riconsiderare i fondamenti del modello di economia di mercato oggi in auge. È quindi un invito ad uscire dalla “notte del pensiero” nella quale l’attuale periodo storico ci obbliga a rimanere. I mercati non sono tutti uguali, perché sono il portato di matrici culturali e politiche. Vi è un mercato che riduce le diseguaglianze ed uno che invece le fa lievitare. Il primo si chiama civile, perché dilata gli spazi della Civitas e punta all’inclusione possibilmente di tutti; il secondo è il mercato incivile, perché tende a escludere e far rinascere le “periferie esistenziali”. Nella fase attuale – occorre riconoscerlo- è diventato egemone il secondo tipo di mercato, e i risultati sono sotto i nostri occhi: aumentano le diseguaglianze sociali in una misura ignota ai secoli precedenti; la democrazia è sottoposta alle esigenze del mercato, il degrado ambientale avanza a ritmi non più sostenibili, il paradosso della felicità. Su questa situazione, reale, non ipotetica, il Papa richiama l’attenzione di tutti, credenti e non credenti.

Contrariamente a quanto potrebbe suggerire una lettura frettolosa del documento, il papa non è affatto contrario alla tecno-scienza e all’imprenditorialità. Né è sua intenzione demonizzare l’economia di mercato. E come potrebbe, tenuto conto che l’economia di mercato, concepita come modello di ordine sociale, si forma nei secoli XIV e XV nell’ambito del pensiero economico Francescano? Il fatto è che il discorso del Papa ha un fondamento teoretico assai più solido di quanto alcuni media vorrebbero far credere. La sua cifra è quella del realismo storico, collegare conoscenza e esperienza e porre il pensiero al servizio della vita. Dunque, per Papa Francesco il Cristianesimo non può essere ridotto né a sola ortodossia – sarebbe questo il rischio dell’intellettualismo razionalistico – né a sola ortoprassi, a una sorta di pathos spirituale per “anime belle” alla ricerca di consolazione. Concretamente, questo implica che oltre al factum, ciò che l’uomo fa, c’è il faciendum, quello che l’uomo è in grado di fare in vista di un progetto storico nuovo.

L’enciclica

non

cade

nella

trappola

del

biologismo,

del

naturalismo,

e

dell’antropocentrismo. Il Papa non si riconosce in una teoria “minima”(“thin”) dell’etica, come è, ad esempio, quella della giustizia intesa come equità da John Rawls. Per questa, compito della politica è solo quello di garantire condizioni puramente negative, di assicurare cioè la libertà di scelta a ciascun individuo. Ma la libertà di scegliere non è la stessa cosa della libertà di poter Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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scegliere: la teoria ignora che vi sono esseri umani che non hanno nemmeno la capacità di desiderare di scegliere. Ecco perché papa Francesco si batte a favore di una teoria massima (“thick”) dell’etica, un’etica del bene che punta a realizzare l’intero potenziale delle capacità umane.

Vi è molta originalità in questo importante contributo della Dottrina Sociale della Chiesa. Ne indico alcune. Innanzitutto, lo stile espositivo: uno stile accessibile a tutti, anche ai non iniziati. È la prima volta che in un’enciclica papale la tematica ambientale viene trattata come ecologia integrale, cioè non come un problema a sé stante, seppure di grande rilevanza, ma come un problema che va letto sullo sfondo di un nuovo paradigma ecologico. Una seconda novità è il robusto fondamento scientifico dell’argomentazione. Soprattutto il cap. I contiene un esplicito apprezzamento del lavoro degli scienziati specialisti della natura e della società. Il documento papale si appoggia su dati affidabili delle scienze della terra e della vita. Infine le “linee di orientamento e di azione” contenute nel cap. V ed anche nel cap.VI dicono molto del coraggio di questo papa e della sua prudente insistenza sull’urgenza del faciendum. L’uomo è chiamato – si legge nella Genesi – “a coltivare e custodire il creato” (Gen. 2,15). Coltivare significa che è l’uomo a dover prendere l’iniziativa; non può restare in atteggiamento passivo rispetto ai ritmi naturali. D’altro canto, custodire implica che il pianeta va conservato, non sfruttato. Infatti, il custodire è sempre un accogliere. “L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme” (LS 48). Il grande tema dell’enciclica è bene reso dal suo sottotitolo: “Sulla cura della casa comune”. È l’ecologia integrale la chiave di volta del testo. Proprio perché il mondo è un ecosistema, non si può agire su una sua parte senza che le altre ne risentano. È questo il senso dell’affermazione secondo cui: “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (139). Ecologia ed economia hanno la medesima radice – oikos – che designa la casa comune abitata dall’uomo e dalla natura. Ma da quando è iniziato l’Antropocene – termine coniato dal premio Nobel per la geologia Paul Crutzen negli anni ’60 del secolo scorso – e cioè a partire dalla prima rivoluzione industriale è accaduto che, con crescente intensità, la società degli umani ha buttato la natura “fuori casa”. Le sue risorse sono state depauperate senza riguardo alcuno alla loro possibile riproducibilità, né alle esternalità negative che l’attività produttiva generava. (Per un approfondimento, vedi S. Zamagni, “Civilizing the economy for an integral ecology”, in I. Gabriel et. Al. (eds.), Eine Wirtschaft, die Leben Fördert, Grünewald Verlag, Berlin, 2017).

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Ebbene, è per tentare di raddrizzare questo “legno storto” (I. Kant) della modernità che papa Francesco spende parole forti di denuncia e sfida nei confronti dell’imperante modello di crescita. Tre le tesi principali che vengono argomentate e difese nella Laudato si’. La prima è che lotta alla povertà e sviluppo sostenibile costituiscono due facce della stessa medaglia. “L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme” (n.48). Come a dire che sono destinati all’insuccesso tutti quegli interventi fondati sul presupposto della separazione tra lotta alla povertà e conservazione ambientale. Invero, se i paesi poveri temono accordi collusivi tra ambientalisti e neoprotezionisti volti a limitare il loro accesso al mercato dei paesi avanzati – è questa la preoccupazione eco-imperialista – gli ambientalisti del Nord temono, al contrario, che le misure di salvaguardia ambientale possano essere spazzate via dalla WTO (Organizzazione mondiale del commercio) favorendo una corsa al ribasso nella fissazione degli standard ambientali. Il Papa denuncia la mancanza di una visione integrale che non capisce che il degrado dell’ambiente e quella della società sono due facce della stessa medaglia. Già negli anni ottanta, il fondatore dell’ecologia sociale Murray Bookchin aveva sostenuto che l’idea di poter dominare la natura nasceva dal dominio dell’uomo sull’uomo. Allora venne aspramente attaccato sia dagli ambientalisti dell’epoca, cui poco interessavano i problemi sociali, sia dai movimenti sociali che consideravano l’ambiente una “preoccupazione secondaria”. Con Laudato si’ l’ecologia sociale si sposta dalla periferia al centro del discorso ecologico: “Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale [che deve] ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (49). Ne deriva da ciò il netto rifiuto di un’ecologia di facciata che si esprime sia in una falsa fiducia in soluzioni parziali e nelle tecnologie ambientali, sia in un atteggiamento misantropico, tipico della deep ecology, che ritiene “che la specie umana, con qualunque suo intervento, può essere solo una minaccia che compromette l’ecosistema mondiale” (60). Il papa rifiuta, allo stesso tempo, il catastrofismo – che vede come un disastro una crescita della temperatura oltre i 2 gradi – e la riduzione dei problemi ambientali a semplice calcolo utilitarista dei costi e dei benefici. In termini più generali, la prospettiva emerge che con forza dall’enciclica è come assicurare l’armonia di biosfera e noosfera. Quest’ultimo termine è stato coniato negli anni Venti del secolo scorso da Teilhard de Chardin per designare l’insieme di tutti gli esseri umani che hanno la capacità di pianificare le loro azioni e di avere un progetto consapevole e comune.

A livello pratico, la prima tesi qui in discussione ha conseguenze assai importanti. Si consideri la questione della disuguaglianza climatica: 70 milioni di abitanti del pianeta emettono 100 tonn. pro-capite all’anno di gas serra, tanti quanti ne generano gli oltre tre miliardi di persone Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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più povere e più colpite dal dissesto climatico. Il problema non è solo se la disuguaglianza climatica sia ingiusta – e certamente lo è – ma se le leggi della biosfera ne consentiranno il perdurare, tenuto conto che tali leggi non sono negoziabili. Ad esempio, il CF4 – il “gas di teflon” – è quasi indistruttibile ed ha una capacità di modificare il clima migliaia di volte superiore a quello del CO2. Ecco perché Eric Neumayer, economista della London School of Economics, ha proposto recentemente di calcolare le emissioni complessive accumulate in circa due secoli come base per assegnare le quote di responsabilità del dissesto climatico e i costi per porvi rimedio. Va da sé che i paesi poveri appoggiano tale proposta che è invece avversata con forza dai paesi ricchi. È per questo che Marco Morosini, membro del “Climate Policy Group”, ha suggerito di chiamare la nostra epoca Plutocene (l’era della ricchezza), anziché Antropocene (cfr. Avvenire, 12 dic. 2015).

L’ecosistema come bene comune globale La seconda tesi di papa Francesco è che l’ecosistema è un bene comune globale (nn. 23 e 174) e quindi né bene privato, né bene pubblico. Ne deriva che né i tradizionali strumenti di mercato - né gli interventi pubblici ad opera dei governi nazionali servono allo scopo. Come si sa, i beni comuni (commons) sono soggetti alle conseguenze devastanti tipiche delle situazioni note come “dilemma del prigioniero”: ciascuno aspetta le mosse dell’altro per trarne vantaggio, col risultato che nessuno fa la prima mossa. Questa è infatti la fondamentale caratteristica di un bene pubblico globale: d’altro canto è impossibile escludere un paese dal servirsene. (E’ anche evidente che le emissioni inquinanti rappresentano un male comune globale).

Ora, come è noto da tempo alla scienza economica, i beni comuni danno origine ad una fastidiosa conseguenza, quella tipica di tutte le situazioni note come “tragedia dei beni comuni”. (G. Hardin, 1968). E se il bene comune è globale, anche le conseguenze negative saranno globali. Nel 1990, l’Intergovernmental Panel on Climate Change aveva dimostrato che le emissioni di gas serra avrebbero provocato un aumento della temperatura media, con tutte le sue ben note conseguenze. Eppure, pochissimi paesi agirono unilateralmente per ridurre le loro emissioni. Allo stesso modo, l’Unione Europea propose di introdurre la carbon tax in Europa, ma dopo aver constatato che l’esempio non veniva seguito dagli altri paesi (in special modo dagli USA) cambiò programma. Sono proprio le caratteristiche, del bene comune a rendere fallace l’unilateralismo come strategia di politica ambientale.

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Non solo, ma anche qualora si riuscisse a giungere, per via negoziale ad una qualche forma di accordo mediante negoziato o trattato internazionale, il problema che occorrerebbe pur sempre risolvere è quello della loro applicazione. Si consideri il caso del Protocollo di Montreal che regolamenta l’uso di prodotti chimici (i CFC) che distruggono l’ozono e il caso del già ricordato Protocollo di Kyoto sul cambiamento climatico. Perché il primo ha funzionato e sta producendo gli effetti desiderati, mentre il secondo è sostanzialmente fallito, come si è detto in precedenza? La risposta è immediata. Il Protocollo di Montreal contiene un meccanismo di incentivi che favorisce la partecipazione e l’adesione di tutti i paesi firmatari, un meccanismo che fa sì che sia nell’interesse di tutti i paesi rispettare le regole pattuite. Non così, invece, col Protocollo di Kyoto i cui estensori non sono stati capaci di trovare un qualche meccanismo in grado di assicurare l’autoimposizione del medesimo.

Ma qual è la natura specifica di un bene comune? Un modo pratico per rispondere è quello di porre a confronto un bene comune con un bene pubblico. Quest’ultimo è un bene che non è escludibile né rivale nel suo consumo; un bene quindi il cui accesso è garantito a tutti, ma la cui fruizione da parte del singolo non dipende da quella di altri. Si pensi – per fissare le idee – a quel che accade quando un individuo percorre una pubblica autostrada: l’utilità che questi trae dal suo uso non è legato a quello di altri soggetti che percorrono la stessa autostrada. Il bene comune, invece, è un bene rivale quanto al consumo, ma non escludibile; ed è tale che il vantaggio che ciascuno trae dal suo uso non può essere separato dal vantaggio che altri traggono da esso. Come a dire che il beneficio che il singolo ricava dal bene comune si materializza assieme a quello degli altri, non già contro (come accade col bene privato) e neppure a prescindere (come accade col bene pubblico). Cosa c’è allora alla base della “tragedia dei beni comuni”? La ben nota tesi sostenuta da Garrett Hardin è che se l’umanità non limita la libertà individuale farà la fine degli abitanti dell’Isola di Pasqua, che hanno distrutto i beni comuni da cui dipende la vita della specie umana. Il comportamento miope e puramente egoistico dei singoli individui li porta senza volerlo a tagliare il ramo su cui sono seduti. L’esempio portato da Hardin del pascolo aperto a tutti su cui ciascun allevatore fa pascolare gratis la sua mandria è un ottimo esempio di questo comportamento. La scelta razionale – quella che massimizza l’interesse individuale – è quella di aumentare gradualmente il numero di capi che pascolano perché così facendo il vantaggio aumenta di un fattore X e la conseguente diminuzione dell’erba è solo una frazione x, perché il danno è distribuito fra tutti gli allevatori che usano il pascolo. In buona sostanza è come se gli utenti del pascolo non tenessero conto nel loro agire della diminuzione del bene comune (l’erba del pascolo) che la loro Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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scelta comporta. Così la tragedia dei beni comuni sta nell’individualismo libertario della cultura dominante. Vorrei ricordare a questo proposito il famoso detto di Pericle, il grande uomo di stato greco del 5to secolo BCE, riportato da Tucidide, che la democrazia non può funzionare se la maggioranza dei membri della polis è costituita da idiotes, letteralmente “individui che vedono solo se stessi”. E’ chiaro che con soggetti del genere, prima o poi, viene raggiunta una soglia critica oltre la quale scatta nell’individuo la sensazione di una imminente tragedia, e quando ciò si verifica è ormai troppo tardi. Paradossalmente la corsa ad accaparrarsi le risorse diventa tanto più frenetica quanto più scarse esse diventano. 7

La biodiversità economica

La terza tesi, riguarda la strenua difesa di papa Francesco della biodiversità economica. Una economia di mercato che voglia tendere all’ecologia integrale non può prescindere dalla pluralità delle forme d’impresa, in special modo non può fare a meno di lasciare spazio a quei soggetti che producono valore – e quindi ricchezza – ancorando il comportamento umano a principi come quello di mutualità e di solidarietà intergenerazionale. Negare o impedire questo significherebbe rinunciare, irresponsabilmente, allo sviluppo umano integrale che, mai lo si dimentichi, comprende tre dimensioni (cioè, crescita materiale; dimensione socio-relazionale; dimensione spirituale) che stanno fra loro in un rapporto moltiplicativo e non già additivo. Come suggerisce insieme ad altri A. Sen, v’è una grave confusione di pensiero tra “omissioni del mercato” (ciò che il mercato non fa, ma che potrebbe fare) e “disfunzioni del mercato” (ciò che il mercato fa, ma fa male). È da tale confusione che ha tratto origine una prassi politica che anziché favorire interventi “market including” (quelli che mirano a far partecipare tendenzialmente tutti al processo produttivo), realizza misure “market-excluding”, che non consentono la partecipazione nel mercato “del popolo superfluo”, delle persone espulse perché irrilevanti. È scrutando con devota attenzione l’attuale scenario che papa Francesco suggerisce di adottare uno rispetto ecologico capace di interagire con tutte le dimensioni del valore e perciò capace di vedere il rischio di finire schiacciati da quel circolo vizioso mortale che combina migliore efficienza (potenza) grazie alla tecnoscienza con la crescita illimitata della soggettività (la volontà di potenza). Ecco perché occorre recuperare l’idea di limite ed ecco perché le ragioni della tecnica non sono più una guida sicura per un modello di sviluppo umano integrale. Si tenga presente, infatti, che è l’unione della potenza con la volontà di potenza a generare la hybris che conduce al collasso. Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com


Che fare dunque? Nel capitolo V della Laudato si’ il Papa suggerisce “Alcune linee di orientamento e di azione”. La strategia preferita dal papa è quella della trasformazione delle strutture di potere oggi esistenti. Dunque, né la via della “rivoluzione”, né quella del puro e semplice riformismo paiono al papa strategie all’altezza delle sfide in atto. Lo spazio che ho a disposizione mi permette di approfondire solo due suggerimenti che emergono dall’Enciclica. La prima riguarda l’urgenza di dare vita ad una Organizzazione Mondiale dell’Ambiente (OMA) sulla falsariga di quanto avvenuto alcuni anni fa, con la costituzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Invero, è il deficit di istituzioni a livello globale a rendere irrisolvibili i problemi di cui parliamo. Mentre i mercati si vanno globalizzando, l’infrastruttura istituzionale transnazionale è tuttora quella della fine del secondo dopoguerra. I negoziatori di Bretton Woods nel 1944 non potevano neppure immaginare quello che sarebbe divenuto il problema ecologico. Si dirà: non bastano allo scopo i trattati internazionali, così come bastano i contratti all’interno di un paese per regolare i rapporti tra le parti? L’analogia è pericolosamente fuorviante, perché i contratti stipulati all’interno di un paese possono essere ratificati dallo Stato di quel paese; ma non v’è alcuna autorità transnazionale in grado di rendere esecutivi i trattati fra gli Stati.

Ecco perché è necessaria una OMA: non si può continuare ancora a lungo in una situazione nella quale mentre il mercato, nelle sue molteplici articolazioni, è diventato globale, le strutture di governo sono rimaste sostanzialmente nazionali o, tutt’al più, internazionali. Vi sono oggi circa 200 “accordi multilaterali ambientali” (MEA) nel mondo. Esempi notevoli sono il già richiamato protocollo di Montreal; la Convenzione sulla diversità biologica; la Convenzione sul Commercio Internazionale delle specie in via d’estinzione; la Convenzione di Basilea sui movimenti internazionali dei rifiuti tossici; il protocollo di Kyoto e così via. Ma questi accordi non riusciranno mai a divenire esecutivi in assenza di una autorità transnazionale. Non solo, ma quel che è peggio è che nelle condizioni attuali i singoli stati nazionali hanno interesse a creare “paradisi di inquinamento” (pollution havens) per acquisire posizioni di vantaggio competitivo nel commercio internazionale.

Tre i compiti prioritari che una tale organizzazione dovrebbe assolvere. Primo, interagendo con la OMC, questa agenzia dovrebbe cercare, da un lato, di rendere tra loro compatibili le regole del libero scambio e della protezione ambientale, di farle rispettare da tutte le parti in causa. Secondo, una OMA dovrebbe intervenire con ruolo di supplenza in tutti i casi in cui – oggi sempre Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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più frequenti – i segnali di prezzo non riescono ad anticipare le perdite ambientali irreversibili. Come sappiamo, esistono soglie di degrado ambientale tali che fino ad un certo punto l’attività economica non blocca le funzioni rigenerative dell’ambiente, ma al di là del quale si verificano mutamenti irreversibili dovuti al fatto che il livello di attività economica prevale sulla capacità di assorbimento dell’ecosistema. In situazioni del genere, i meccanismi di mercato si inceppano: di qui la necessità di surrogarli da parte di una agenzia ad hoc.

Infine, una OMA non può non affrontare di petto la questione degli ecoprofughi, cioè del riscaldamento globale generatore di nuovi flussi migratori. Secondo l’UNHCR, nel 2050 il mondo potrebbe ritrovarsi a gestire una emigrazione forzata di 200-250 milioni di persone che abbandonano terre inaridite o completamente sott’acqua, oppure devastate dalla deforestazione e dal surriscaldamento. Tra 1997 e 2020, nella sola Africa sub-sahariana le stime parlano di 60 milioni circa di emigranti forzati, di persone cioè che pur volendo non sono in grado di rimanere dove sono. Eppure, né la Convenzione sul cambiamento climatico, né il protocollo di Kyoto contemplano misure per l’assistenza e/o protezione di coloro che sempre più numerosi saranno colpiti dagli effetti dei mutamenti climatici. Ancora oggi, gli emigranti per ragioni ambientali non rientrano in nessuna delle categorie contemplate dal sistema giuridico internazionale. Se dunque non si vuol proseguire con l’attuale miope politica della militarizzazione delle frontiere – negli USA il budget per il controllo dei confini è passato da 200 milioni di dollari all’anno nel 1993 agli attuali 1,8 miliardi; ma i clandestini sono raddoppiati, passando da 5/6 a 12 milioni – è indispensabile dare vita ad una OMA con poteri e risorse adeguate. Il secondo suggerimento della Laudato si’ riguarda la trasformazione della finanza. La finanza è uno strumento con potenzialità formidabili per il corretto funzionamento dei sistemi economici. La buona finanza permette di accumulare i risparmi e di utilizzarli in modo efficiente destinandoli agli impieghi più redditizi; trasferisce nello spazio e nel tempo il valore dei beni; realizza meccanismi assicurativi che riducono l’esposizione al rischio; consente l’incontro tra chi ha disponibilità finanziarie ma non idee produttive e chi, viceversa, ha idee produttive ma non disponibilità finanziarie. Senza questo incontro la creazione di valore economico di una comunità resterebbe allo stato potenziale.

Purtroppo la finanza con cui oggi abbiamo a che fare è largamente sfuggita al controllo delle autorità nazionali. Gli intermediari finanziari finanziano soltanto chi il denaro già ce l’ha (chi dispone di garanzie reali pari o superiori all’ammontare del prestito richiesto). La stragrande maggioranza degli strumenti derivati nati per conseguire possibili benefici assicurativi sono invece Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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comprati e venduti nel brevissimo termine con finalità speculative e con il risultato paradossale di mettere a repentaglio la sopravvivenza delle istituzioni che li hanno in portafoglio. Sistemi di incentivo asimmetrici destinati a managers e traders (partecipazione ai profitti con bonus e stock options senza penalizzazioni in caso di perdite) sono impostati in modo tale da spingere gli stessi ad assumersi rischi eccessivi che rendono strutturalmente fragili e a rischio di fallimento le organizzazioni in cui lavorano. Un ulteriore elemento di pericolosa instabilità deriva dall’orientamento di queste organizzazioni alla massimizzazione del profitto ad ogni costo (cosa ben diversa dal perseguimento di un lecito e ragionevole profitto) perché pone il benessere degli azionisti al di sopra di quello degli altri portatori d’interesse. In presenza di incentivi distorti, le banche orientate a massimizzare il profitto troveranno sempre più redditizio destinare le risorse ad attività di trading speculativo o caratterizzate da margini di rendimento maggiori del costo del credito. Mai come nel caso dell’evoluzione della finanza negli ultimi decenni è stato così chiaro che i mercati, soprattutto quelli caratterizzati da rendimenti di scala crescenti, non tendono affatto spontaneamente alla concorrenza ma all’oligopolio. Anzi, il graduale allentamento delle regole e delle forme di controllo (come quella della separazione tra banca d’affari e banca commerciale) hanno progressivamente portato alla creazione di un oligopolio di intermediari bancari troppo grandi per fallire e troppo complessi per essere regolati. Il sonno dei regolatori ha dunque prodotto un serio problema di equilibrio di poteri che minaccia la stessa democrazia. Il rapporto 2014 di Corporate Europe1 sottolinea lo squilibrio dei rapporti di forza tra le lobby finanziarie e quelle della società civile e delle NGO: la finanza spende in attività di lobby 30 volte di più di qualunque altro gruppo di pressione industriale (secondo stime prudenziali 123 milioni di euro l’anno con circa 1700 lobbisti presso l’UE). Il rapporto tra la rappresentanza delle lobby finanziarie e quella delle NGOs o dei sindacati nei gruppi di consultazione è di 95 a 0 nello gruppo consultivo della BCE e 62 a 0 nel De Larosière Group che si occupa di supervisione finanziaria nell’Unione Europea. Gli effetti destabilizzanti del capitalismo finanziario – che a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso ha sostituito il capitalismo industriale – sono facilmente desumibili dai seguenti dati. Nel 1980 le attività finanziarie di tutte le banche del mondo erano pari al PIL (Prodotto Interno Lordo) mondiale: 27 trilioni circa di dollari USA. Nel 2007 – alla vigilia della grande crisi

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finanziaria – le attività finanziarie erano divenuti pari a quattro volte il PIL mondiale (240 trilioni contro 60 trilioni). Oggi, questo rapporto è superiore a cinque. Nello stesso arco di tempo, nei 51 paesi presi in considerazione, i redditi da lavoro come percentuale del PIL sono scesi di 9 punti in media in Europa e USA; di 10 punti in Asia e di 13 punti in America Latina. I punti persi dal lavoro si sono trasferiti alle rendite finanziarie. Alla luce di questi e altri dati dello stesso genere non è difficile capire da dove nasca il degradante fenomeno dei “popolo superfluo”, di quelli che papa Francesco chiama “persone di scarto”. Una domanda, prima di abbandonare l’argomento: come è potuto accadere tutto questo? Quale la radice profonda di questa trasformazione? La risposta esige un chiarimento che quasi mai viene fatto. Nell’ottobre 1829 il celebre Professore di Economia all’Università di Oxford, Richard Whately, introdusse, primo tra gli economisti, il principio del NOMA (Non overlapping magisteria, i magisteri che non si sovrappongono): l’economia se vuole diventare una scienza rigorosa deve separarsi sia dall’etica che dalla politica. Questa la divisione dei compiti: la politica è il regno dei fini che la società intende perseguire; l’etica è il regno dei valori che devono guidare il comportamento umano; l’economia è il regno dei mezzi più efficaci per conseguire quei fini nel rispetto di quei valori etici. In quanto tale, l’economia non ha bisogno di avere rapporti con le altre due sfere. A partire dalla seconda metà del 19mo secolo, il pensiero economico– pur con qualche rara seppure notevole eccezione – ha accolto il principio del NOMA e pour cause. Tuttavia, a partire dall’avvento della globalizzazione (fine anni settanta del secolo scorso) si è realizzato un graduale rovesciamento dei ruoli: l’economia è diventato il regno dei fini e la politica il regno dei mezzi. Ecco perché, come tutti gli osservatori non mancano di notare, oggi la democrazia è al servizio del mercato. L’aveva capito, in anticipo sui tempi, l’autorevole presidente della Bundesbank, Hans Tietmayer, quando nel 1996 scriveva: “A volte ho l’impressione che la maggior parte dei politici non abbia ancora capito quanto siano già oggi sotto il controllo dei mercati finanziari e persino dominati da questi”. C’è altro da aggiungere? (Oggi, anche Alan Greenspan, presidente della FED per tanti lunghi anni, esprime il medesimo concetto nel suo libro del 2013 The map and the territory). Ebbene, papa Francesco non accetta una tale “divisione di ruoli”. La politica deve tornare ad essere il regno dei fini e tra le tre sfere anzidette deve stabilirsi un rapporto di cooperazione e di mutuo rispetto. Deve bensì esserci tra di loro autonomia, ma non separazione, tenendo sempre presente che l’etica cattolica è fondata sul principio (aristotelico-tomista) del primato del bene sul giusto. La giustizia ha senso se è finalizzata al bene; diversamente rischia di divenire giustizialismo. Come sappiamo il pensiero predominante non accetta questa visione. In conformità Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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col positivismo giuridico, la norma origina solo dal consenso delle parti in causa, le quali non hanno alcun bisogno di riferirsi alla nozione di vita buona. L’agire economico viene così fondato sul principio secondo cui consensus facit iustum, proprio come esige l’orientamento dell’individualismo libertario oggi dominante

Il ruolo della misericordia

Nella lingua ebraica, la pietà è un sentimento viscerale, reso dal termine rechem che, letteralmente, denota il grembo materno, le viscere generative. Nell’Antico Testamento, l’organo associato al concetto di misericordia è l’utero materno: rachamim è una compassione tanto profonda da contrarre le viscere. Nella lingua e cultura latina, il centro vitale dell’uomo si sposta dal diaframma al cuore. Non è più il respiro a tenere in vita la persona, ma la circolazione del sangue. Il cuore è il centro della vita e la vista dei poveri e dei miseri ci scuote tanto che dal cuore sgorga la misericordia. (Si veda J. Moltmann, “Misericordia e Giustizia”, Vita e Pensiero, 2, 2014). Si noti un’implicazione interessante di tale cambiamento di prospettiva: per la matrice culturale latina, la misericordia non è più un attributo tipico della femminilità, posto che tutti gli esseri umani hanno il cuore. Tutti possono rivolgere il “cuore ai miseri”, essere cioè capaci di misericordia. La spiritualità del Sacro Cuore in quanto simbolo dell’amore misericordioso di Dio caratterizza con forza il pensiero teologico di Teilhard de Chardin (1881-1955). Nella prospettiva cristiana la misericordia indica il modo con cui l’amore deve manifestarsi. Papa Francesco ha scritto, “Dio ama misericordiando”; esercita cioè la giustizia rendendo giusti coloro che sono perdonati. Il confronto di due brani di autori celebri consente di afferrare il senso di questa affermazione. Ne Il Mercante di Venezia di W. Shakespeare si legge: “La misericordia è al di sopra del potere degli scettri dei re. Essa ha il suo trono nel cuore dei sovrani ed è l’attributo di Dio stesso. Il potere terreno diventa allora più simile a quello divino solo quando la misericordia tempera la giustizia” (Atto IV, scena I). Su un altro versante, F. Nietzsche scrive nel suo Così parlò Zarathustra (1883-85): “In verità io non amo i misericordiosi… Tutti i creatori sono duri. Dio è morto e la sua compassione per gli uomini fu la sua morte… Sia lodato ciò che ci rende duri”. I brani si commentano da soli. Mi limito solo ad osservare che la misericordia cui fa riferimento il filosofo tedesco – che detestava una certa retorica moralistica – è un atto etico-filosofico, non teologico in senso cristiano. Come si legge nel Vangelo: “Siate misericordiosi come misericordioso è il padre vostro” (Lc 6, 36). Un antico apologo recita: “Il discepolo aveva peccato gravemente e in pubblico. Il maestro non lo punì. Un altro discepolo Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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protestò ‘Non si può ignorare la colpa, Dio ci ha dato gli occhi’. Il maestro replicò ‘Sì, ma anche le palpebre!’”. La misericordia ha le palpebre.

Dei tanti volti della misericordia, quello che, soprattutto oggi, merita speciale enfasi è appunto il perdono, che letteralmente significa dono in eccesso. Troppi sono gli equivoci che circondano tale concetto; conviene dunque precisare. Ci sono cose che non riusciamo a dimenticare e che pensiamo sia impossibile perdonare. Di qui quello spirito di rivalsa e di vendetta che ci vincola al passato. La rivalsa, infatti, è il tentativo di ripristinare le condizioni precedenti all’offesa, il che è impossibile. Il moralismo è il tentativo più raffinato di vendetta perché fa pesare sulla coscienza dell’altro una colpa senza possibilità di riscatto: tu hai sbagliato, io mi vendico declassandoti o annientandoti. Per questo bisogna imparare a dimenticare: quella di rimuovere il passato è un’operazione errata perché la rimozione non è la dimenticanza; è un’operazione di copertura. Il modo corretto per dimenticare è distaccarsi; distaccarsi cioè da un determinato accadimento per comprenderlo nelle sue ragioni più profonde. Quindi, non si tratta di annullare il passato, ma di prendere le distanze da ciò che ci pesa. È questo il vero perdono, che sempre esige – mai lo si dimentichi – da parte dell’altro la volontà di farsi perdonare.

È suggestivo al riguardo il racconto del non credente J. Borges. Negli spazi infiniti dell’aldilà, Abele e Caino s’incontrano di nuovo, accendono un fuoco e si mettono a cenare. Alla luce della fiamma Caino nota sulla fronte di Abele il segno della pietra e, lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca, chiede di essere perdonato del suo delitto. Gli risponde Abele: “Sei tu che mi hai ucciso o io ho ucciso te? Non ricordo più: siamo qui insieme come prima”. Caino allora conclude: “Ora so che mi hai perdonato davvero, perché dimenticare è perdonare”. Il racconto del celebre scrittore argentino coglie un elemento decisivo del perdono, quello della capacità di trasformare la malvagità del colpevole. Se è impossibile cambiare la storia, fare in modo che le azioni non siano accadute, è però possibile agire andando in altra direzione. Non si può essere perseguitati dalle proprie azioni passate. D’altra parte, non è forse vero che non c’è santo senza un passato né peccatore senza un futuro? In tal senso, il perdono è dono di libertà a chi rischia di essere schiacciato dal passato. Ecco perché – come ricordava Spinoza – solo chi è libero è capace di perdonare in modo pieno.

Una parola di chiarimento ora sulla nozione di sviluppo, parola oggi fin troppo inflazionata. In senso etimologico, sviluppo indica l’azione di liberare dai lacci e dalle catene che impediscono la libertà di agire. (La “s” con cui inizia la parola sta per “dis” e conferisce un senso contrario alla parola cui sta unita). È soprattutto ad Amartya Sen che si deve, in questo tempo, la insistenza sul Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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nesso tra sviluppo e libertà: sviluppo come processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani (si veda il suo Sviluppo è Libertà, Milano, Mondadori, 2000). In biologia, sviluppo è sinonimo di crescita di un organismo. Nelle scienze sociali, invece, il termine indica il passaggio da una condizione a un’altra (ad esempio, quel paese è passato dalla condizione di società agricola ad una di società industriale). In tal senso, il concetto di sviluppo è associato a quello di progresso. Si badi che quest’ultimo non è un concetto puramente descrittivo, perché implica un implicito, eppure indispensabile, giudizio di valore. Il progresso, infatti, non è mero cambiamento, bensì un cambiamento verso il meglio e quindi postula un incremento di valore. Ne segue che il giudizio di progresso dipende dal valore che si intende prendere in considerazione. In altre parole, la valutazione del progresso e quindi dello sviluppo impone di precisare cosa debba procedere verso il meglio. Ebbene, è a questo riguardo che, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione, la Populorum progressio torna ad essere di straordinaria attualità. Paolo VI è il papa che più ha aperto l’orizzonte dell’universalità della Chiesa nella stagione dei diritti umani e della globalizzazione. La cifra filosofica del documento montiniano è il realismo storico. È realista chi si rende conto che è nello sviluppo dei popoli che si gioca la pace nel mondo – celebre è rimasta la sua frase: “ lo sviluppo è il nuovo nome della pace” – e che sa che lo sviluppo deve essere integrale, cioè di tutto l’uomo nelle sue molteplici dimensioni, e solidale, cioè di tutti gli uomini. Nel clima della guerra fredda ancora in corso nel 1967, Paolo VI mostrava che la vera cortina di ferro non era quella tra l’Est e l’Ovest, ma quella che teneva separati il Nord e il Sud del mondo, i “popoli dell’opulenza” dai “popoli della fame”. (Per questa coraggiosa e lungimirante presa di posizione, papa Montini venne accusato di complicità col marxismo, come oggi sta avvenendo con papa Francesco nella cui Laudato si’ risuona l’eco dell’enciclica paolina. Ma è ormai evidente che si tratta di accuse e critiche non solo tese a difendere interessi di parte, ma che denunciano gravi lacune sul fronte culturale, filosofico ed economico. (Quella marxista è una teoria seria e rigorosa, ancorché controversa, che nei circoli dei cattolici conservatori raramente è stata letta o, se letta, capita).

Il punto centrale da sottolineare è che lo sviluppo non può ridursi alla mera crescita economica – ancor’oggi misurata da quell’indicatore a tutti noto come PIL –, che è bensì una delle sue dimensioni, ma non certo l’unica. Le altre due sono quella socio-relazionale e quella spirituale. Ma – si badi – le tre dimensioni stanno tra loro, come osservato in precedenza, in un rapporto moltiplicativo, non additivo. Il che significa che non è possibile sacrificare la dimensione sociorelazionale per fare aumentare la crescita – come oggi avviene malauguratamente. In un prodotto, anche se uno solo dei fattori è pari a zero, il prodotto diventa zero. Non così in una somma, dove Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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l’azzeramento di un addendo non annulla la somma totale; anzi potrebbe persino accrescerla. Sta qui la grande differenza tra bene totale (la somma dei beni individuali) e bene comune (il prodotto dei beni individuali): è impossibile, a rigore, parlare di crescita solidale e inclusiva, mentre si può e si deve parlare di sviluppo solidale e inclusivo. In buona sostanza, lo sviluppo umano integrale è un progetto di trasformazione che consiste nel cambiamento per il meglio della vita delle persone. La crescita, invece, non è di per sé una trasformazione. Ed è per questo che, come la storia insegna, si sono dati casi di paesi che pur crescendo sono andati declinando. Lo sviluppo è un fine, mentre la crescita, che è un progetto di accumulazione, appartiene all’ordine dei mezzi. Un apologo ironico, di autore sconosciuto, ci permette di afferrare il punto in questione. Un economista cercava di dimostrare che la crescita è il fattore capitale per lo sviluppo. “Questa è la legge sia dell’economia sia della natura: ogni crescita è buona in se stessa”. Nell’auditorio si levò una mano e una voce esitante esclamò: “Purtroppo, però, la pensa così anche la cellula cancerosa”! Sorge la domanda: cosa favorisce l’esercizio pratico della misericordia? Adam Smith, sulla scia di una linea di pensiero inaugurata degli umanisti civili, aveva capito che la struttura istituzionale di una società va forgiata in modo da favorire la diffusione delle virtù civiche tra i cittadini. Se gli agenti economici non accolgono nel loro sistema di preferenze quei valori che si intende affermare nella società, ci sarà poco da fare. A nulla servirà emanare nuove leggi, anche perfette dal punto di vista della tecnica giuridica, o sfornare procedure sempre più sofisticate. Per l’etica delle virtù, infatti, l’applicazione di norme sia legali sia sociali dipende, in primo luogo, dalla costituzione morale delle persone; cioè dalla loro struttura motivazionale interna, prima ancora che da sistemi di imposizione esogeni, quali gli schemi d’incentivo o le sanzioni di varia natura. Il punto che merita una sottolineatura è che la cifra dell’etica delle virtù è la sua capacità di risolvere, superandola, la contrapposizione tra interesse proprio e interesse per gli altri, tra egoismo e altruismo. È questa giustapposizione, figlia della tradizione del pensiero individualista, a non consentirci di afferrare ciò che costituisce il nostro bene. La vita virtuosa è la vita migliore non solo per gli altri ma anche per sé stessi. Di fatto il bene comune è il bene dello stesso essere in comune. Cioè il bene dell’essere inseriti in un’azione comune, quale è, in generale, l’azione economica. Si noti che mentre il pubblico è il contrario di privato, il comune è il contrario di proprio. Al tempo stesso, però, il bene comune non è dissociabile dal bene individuale. Il bene del singolo non scompare, in modo indifferenziato, all’interno di una grandezza che è la sommatoria dei beni dei singoli. È in ciò la differenza profonda tra bene comune e bene collettivo.

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Ecco perché coltivare la misericordia è compito irrinunciabile non solamente dal punto di vista della civitas – cosa da tempo risaputa – ma anche da quello dell’economia. Poiché le istituzioni economiche influenzano – e tantissimo – i risultati economici, occorre fare in modo che la struttura economico-istituzionale della società incoraggi e non penalizzi, la diffusione più larga possibile tra i cittadini delle pratiche di misericordia. I risultati poi seguiranno, nonostante quel che pensano gli scettici. Il segreto dell’azione misericordiosa sta tutto qui: essa ci aiuta a rovesciare la dominante etica utilitaristica, portandoci a riflettere sull’essenza della dimensione della gratuità in qualunque luogo dell’esperienza umana, e dunque anche in quella economica. Se è vero – come penso – che la gratuità può essere pensata come una caratteristica della condizione umana, allora essa deve anche caratterizzare il modo di funzionare dell’economia. Dimostrare come sia possibile condurre un’attività economica e ottenere risultati eccellenti stando nel mercato, senza recidere il rapporto con l’altro, è il grande contributo del principio di gratuità, oggi. Lo storiografo romano Gaio Igino, nel Fabulorum Liber, ci ha trasmesso un racconto mitologico che ci fa capire il ruolo, per così dire, economico-sociale della misericordia. Nel racconto, Cura dà forma all’essere umano plasmandolo con del fango. Giove, invitato da Cura a infondere lo spirito al suo pezzo di creta, volle imporre il suo nome, ma Terra intervenne reclamando che venisse data a questa creatura il proprio nome, perché aveva dato ad essa parte del proprio corpo. Saturno, eletto a giudice, decise che questa creatura si sarebbe chiamata homo (da humus, fango) e che Giove avrebbe ricevuto lo spirito al momento della morte, mentre Terra ne avrebbe ricevuto il corpo; ma Cura lo avrebbe posseduto per tutta la vita, poiché per prima gli aveva dato forma. Cura dà forma al fango conferendogli in tal modo dignità umana. In ciò consiste la missione propria della misericordia nell’economia: quella di dare “forma” al mercato, umanizzandolo.

In realtà sono i molteplici atti di misericordia che, nonostante tutto, continuano ad essere messi in pratica a farci capire che una società non può progredire sulla via dello sviluppo umano integrale separando fra loro il codice dell’efficienza e il codice della fraternità. È questa separazione che spiega il paradosso che affligge le nostre società; da un lato si moltiplicano le prese di posizione a favore di coloro che, per ragioni diverse, restano indietro o addirittura vengono espulsi dal mercato. Dall’altro tutto il discorso economico viene basato sulla sola efficienza. C’è allora da meravigliarsi se oggi le disuguaglianze sociali continuano a crescere pur in presenza di un aumento globale della ricchezza? E se il principio del merito viene maldestramente confuso con la meritocrazia, come se fossero sinonimi? E se la reciprocità viene confusa con l’altruismo ovvero con la filantropia? E se i beni comuni (ambiente, conoscenza, territorio, identità etc.) vengono trattati come se fossero beni pubblici? Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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Aver dimenticato il fatto che una società di umani in cui viene meno il senso di fraternità non è sostenibile ci aiuta a capire perché, nonostante la qualità delle forze intellettuali in campo, non si sia ancora trovata una soluzione credibile al grande trade-off tra efficienza ed equità. Non ha futuro una società in cui si dissolve il principio di fraternità; né è in grado di progredire una società in cui esiste solamente il “dare per ricevere” oppure il “dare per dovere”. Ecco perché, né la visione liberal-individualista del mondo, in cui tutto (o quasi) è scambio, né la visione statocentrica della società, in cui tutto (o quasi) è obbligatorio, sono guide sicure per farci uscire dalle secche in cui le nostre società sono oggi incagliate. Il bisogno di fraternità emerge da tutte le sfere della convivenza – economica, politica, sociale. La grande sfida da raccogliere è come riconciliare l’esigenza libertaria, propria del soggettivismo dei diritti, e l’istanza comunitaria. Vale a dire, come non perdere il senso soggettivo della libertà e insieme non tradire lo spazio dell’altro, non solo non invadendolo, ma contribuendo al suo arricchimento. Un passo famoso di William Blake – poeta e artista nutrito delle Sacre Scritture – ci aiuta ad afferrare la potenza del principio di fraternità: “Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e ho trovati tutti e tre”. L’intuizione del poeta inglese è ricavata dalla pagina evangelica in cui Gesù ci dice che il Suo volto si cela dietro i profili miseri degli ultimi dei nostri fratelli (Mt. 25,3146). È nella pratica della misericordia che la persona incontra se stesso, l’altro e Dio.

Per concludere Ha scritto Albert Camus in Nozze: “Se c’è un peccato contro la vita, non è quello di disperarne, quanto sperare in un’altra vita e sottrarsi all’implacabile grandezza di questa”. Camus non era credente, ma insegna una verità: non dobbiamo peccare contro questa vita squalificandola e umiliandola. Non si deve perciò spostare il baricentro della nostra fede sull’aldilà tanto da rendere insignificante il presente: peccheremmo contro l’Incarnazione. Ciò che Camus dice è, in realtà, un pensiero antico che risale ai padri della Chiesa che chiamavano l’Incarnazione Sacrum Commercium, per sottolineare il profondo rapporto di reciprocità tra l’umano e il divino e soprattutto per sottolineare che il Dio cristiano non è un Dio-sostanza, non è un Dio-causa – che è il Dio dei filosofi. Ma è un Dio di uomini che vivono nella storia e che Si interessa in profondità alla condizione umana. Amare l’esistenza è allora un atto di fede, non solo un piacere personale. Il che apre alla speranza, che non riguarda solo il futuro, ma anche il presente, perché la persona umana ha bisogno di sapere che il suo lavoro, come pure la sua destinazione finale, hanno un significato e un valore qui e adesso. Office of Justice, Peace and Integrity of Creation - St. Saviour's Monastery - P.O.B. 186 - 9100101 Jerusalem (Israel) - jpic@custodia.com

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Il messaggio di speranza che emana dalla Laudato si’ è che le certezze che ci offre il progresso tecnico-scientifico non ci bastano. Questo, infatti, ha accresciuto e continuerà ad accrescere la nostra capacità di trovare i mezzi atti a raggiungere scopi di ogni genere. Ma se il problema dei mezzi si presenta oggi più favorevolmente di un tempo, non è detto che lo stesso valga per il problema dei fini. Di qui l’esigenza di una speranza nuova. La speranza di un tempo era rivolta ai mezzi. La nuova speranza riguarda i fini che decidiamo di perseguire. Così, se è vero che abbandonare la ricerca dei mezzi sarebbe insensato, è anche vero che la nuova speranza volge diritta ai fini. Avere speranza oggi significa esattamente questo: considerare noi stessi né come il risultato di processi fuori del nostro controllo, né come esseri autosufficienti che non hanno bisogno di stabilire rapporti fraterni con l’altro.

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