Il vangelo e la situazione mo finale

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Gruppo Cultura, Etica e Finanza Milano 17 Novembre 2014 “Il vangelo e la situazione (insolubile?) del Vicino Oriente Il punto di osservazione del Custode di Terra Santa

Presenterò qui brevemente, una mia riflessione sull’attuale situazione nel Medio Oriente, con particolare riferimento alla presenza cristiana. Non intendo tediarvi con le diverse disamine su quanto sta accadendo. Conoscendo molti di voi, penso che siate già al corrente e sappiate già tutto quello che si deve sapere. Cercherò di riflettere con voi sulla domanda - difficile ma fondamentale - che mi è stata posta: cosa dice il Vangelo riguardo a tutto questo? Per rispondere devo partire da una premessa: quando si parla di Vangelo bisognerebbe sempre accostare il genitivo "di Cristo". Il vangelo senza Cristo può diventare un'ideologia come tante altre. E il rischio è più diffuso di quanto si creda. Quando si parla di Vangelo, insomma, si deve fare riferimento all'esperienza di Cristo che è quella fondante e normativa per ogni credente e non semplicemente ai "messaggi" che il Vangelo contiene. Non un insieme di messaggi, insomma, ma innanzitutto una persona, che ha comunicato la notizia che è lui stesso e che non può essere separata da lui stesso. Detto questo, procediamo con ordine e cerchiamo prima di dare un brevissimo sguardo generale sui fenomeni in corso nel Medio Oriente. Mi richiamerò a quanto già affermato anche in altre sedi senza la pretesa di essere sistematico. Presenterò solo alcuni cenni sparsi.

Sguardo sulla crisi attuale. Cenni. "Cosa accade lo vediamo ogni giorno. È drammatico e sconvolgente vedere come la barbarie operata dall'ISIS e dai suoi satelliti e imitatori, rivestita da valori apparentemente religiosi, possa uccidere e travolgere i più elementari diritti di persone, di popoli interi, di credenti differenti, delle differenze in generale, insomma. Differenze rispetto a sé. L'atroce lotta di potere in corso nel Medio Oriente, sta cambiando la sua compagine dal punto di vista politico e religioso ma, soprattutto, sta correndo il rischio di distruggere per sempre un patrimonio unico di tradizioni, relazioni, intrecci culturali che per secoli hanno caratterizzato quella parte di mondo. È dovere di tutti fermare questa tragedia, poiché tutti ne siamo coinvolti. Il destino di popoli e nazioni, di fedi e culture, infatti, ora minacciato da questa drammatica guerra, ci deve interessare. L’interesse non deve nascere solo perché la 1 of 9


cosiddetta globalizzazione, i media e i network sociali, come pure lo spostamento e l’emigrazione di milioni di persone nel mondo, abbiano reso tutti i Paesi ancora più legati l'uno all'altro culturalmente, economicamente e socialmente. I destini e le vie di ciascuno, infatti, oggi si intrecciano con quelle dell'altro in tutti gli ambiti della vita. Lo constatiamo in negativo anche nel contesto della tragedia mediorientale, con l'arruolamento di tanti occidentali in questa guerra assurda, che corre così il rischio di allargarsi. L’interesse, il coinvolgimento per quanto sta accadendo deve scaturire soprattutto dal comune rifiuto morale contro le minacce alla convivenza umana operata da questi terroristi. Non è più possibile oggi, nel 2014, che vi siano ancora persecuzioni su base etnica e religiosa. Le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo e della persona e la coscienza comune non permettono più che si possano commettere crimini del genere. E nessuno oggi può assistere inerme a tutto ciò" (Custode. S. Marino). Il titolo della mia presentazione è già indicativo e abbastanza chiaro, anche se può apparire pessimista. L'intreccio incredibile e apparentemente inestricabile tra fedi, religioni, culture, nazioni, storie, situazioni sociali vergognose, frustrazioni, tribalismo, interessi di diverso genere, soprattutto di carattere economico ed energetico, rendono il Medio Oriente una realtà così complessa e particolare, da scoraggiare chiunque a voler tentare di metterci mano. Tutti i migliori mediatori, in questi ultimi decenni, sono tornati a casa frustrati e arresi. Vi sono oggi due fenomeni diversi e distinti, anche se comunque non del tutto separati. La Terra Santa con il suo antico conflitto israelo-palestinese e il resto del Medio Oriente, in profonda e radicale trasformazione, con prospettive ancora assai nebulose riguardo al suo futuro. Ripeto di non avere intenzione di fare un'analisi dettagliata sulla situazione, che già conoscete. Mi servirà questa carrellata, breve e quindi sommaria, per entrare poi nel punto centrale della mia presentazione che sarà la sua relazione con il Vangelo di Cristo.

Il conflitto israelo palestinese Sul conflitto israelo-palestinese si è già detto tutto! Se c'è una realtà che è stata vagliata in tutti i minimi dettagli è proprio questa situazione. I problemi si sa quali sono e anche le possibili soluzioni: i confini e gli insediamenti, i profughi e Gerusalemme. Si sa che i confini dovranno essere definiti, che parte degli insediamenti dovrà essere rimossa e parte compensata; si sa bene che non è immaginabile che tutti i profughi rientrino, ma che dovranno essere risarciti ed è chiaro che Gerusalemme, oggi nuovamente al centro di forti tensioni, dovrà in qualche modo essere "condivisa". Se inoltre e paradossalmente le due parti arrivassero ad un accordo su tutti e tre questi punti, si dovranno comunque poi coinvolgere gli altri paesi dove i profughi sono localizzati (soprattutto Siria e Libano), e dove, a distanza di più di 60 anni, sono ancora senza diritti e senza cittadinanza. Questi 2 of 9


paesi dovrebbero accogliere dunque milioni di nuovi cittadini, sconvolgendo la già fragile situazione interna (si pensi al Libano). In Siria non vedo come si potrebbe ora discutere di questo argomento. Dubito che una soluzione si possa, ora, intravvedere all'orizzonte. Dubito inoltre che la comunità internazionale sia pronta a versare le enormi somme necessarie per coprire tali possibili accordi, soprattutto in questo periodo di crisi. Gerusalemme, che come dicevo, è ora al centro di forti tensioni, rimane comunque il cuore del conflitto ora apparentemente insolubile. Essa è per tutti la Città Santa, il cuore, il nocciolo delle rispettive identità, con una carica simbolica fortissima. Ad essa si richiamano i sentimenti di entrambi. E si sa che quando si parla di sentimenti, la ragionevolezza diventa secondaria. I Luoghi Santi di Gerusalemme sono per molti occidentali semplicemente dei monumenti, importanti, storici, belli, ma pur sempre monumenti. Quante volte si sente dire che combattere per delle pietre è insensato. Non vi è errore più grande di questo, anche se frequente soprattutto, devo dire, in ambito occidentale e cattolico. Quelle pietre sono la storia, l'identità, il senso di appartenenza, le radici di fedi, culture, di popolazioni, di due interi popoli. Quando ci viene detto che "non di solo pane vive l'uomo" (Matteo 4, 4), ci viene detto proprio questo. Queste popolazioni non hanno solo bisogno di pane e lavoro, ma anche di conservare la loro vita, il loro spirito, che è fatto anche di questo, anche di queste pietre. La storia non si cancella con gli accordi e non vi sono accordi duraturi se non tengono conto di questo senso di appartenenza. L'identificazione fede - cultura - nazionalità rende poi il tutto estremamente intricato. Ho già detto ed è noto che in Medio Oriente la fede è anche appartenenza culturale e spesso anche nazionale. Se il politico dunque ha bisogno del consenso del religioso, notoriamente impossibilitato a ogni forma di compromesso, è chiaro che il tutto diventa quasi d’impossibile soluzione. Di fronte ad una visione religiosa del problema, cessa qualsiasi possibile argomentazione. Come si può far intendere ad un religioso ebreo che il Luogo più sacro per eccellenza dell'ebraismo non gli può essere mai concesso? La ragionevolezza del politico è perfettamente consapevole di questa prospettiva, ma essa – semplicemente - non interessa a un religioso. Similmente, chi potrà mai far intendere a un musulmano che la spianata delle Moschee è un luogo ebraico? Evito di entrare nelle dispute fra le diverse denominazioni cristiane, perché irrilevanti in questo contesto. Ma le dinamiche sono simili. Basta guardare al Santo Sepolcro e a Betlemme. La matassa non è dunque di facile scioglimento. Si potranno individuare i percorsi di ciascuna trama, ma dubito che si potranno organizzare e sistemare serenamente e in breve tempo.

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Il Medio Oriente in generale Con la nascita dello Stato Islamico, si sono aperte nuove e purtroppo drammatiche prospettive per tutto il Vicino Oriente. Lo Stato Islamico sta facendo da richiamo a masse intere di disperati e frustrati che fino ad oggi erano disperse in tanti movimenti diversi. Non entro nel dettaglio della situazione, ma mi preme dire che quello che sta accadendo in Medio Oriente è innanzitutto una guerra tra musulmani, tra Sunniti e Sciiti e i loro rispettivi riferimenti, Emirati da una parte e Iran dall'altra. I cristiani non sono il loro primo obiettivo, ma essi sono, come tutti, diventati obiettivo di questa guerra atroce che come sempre ha anche i suoi legami di diverso genere con Occidente e interessi vari. Questa guerra tutta interna all'Islam, segnala anche in maniera drammatica una reazione forte (e sbagliata) alla modernità che è giunta anche in Medio Oriente e che interpella Islam ed Ebraismo, come pure il cristianesimo, e verso la quale vediamo prevalere ora la risposta degli integralisti, cioè un rifiuto totale e assoluto a qualsiasi forma di modernità, intesa come male assoluto. Per modernità non intendo solo la moderna tecnologia, ma le istanze sociali, etiche ed economiche che la nostra epoca ha elaborato (diritti umani, diritti del lavoro, ruolo della donna, dei minori, ecc.). Non tutto ciò che ha portato la modernità è accettabile, ma non tutto è esecrabile. Tale confronto è solo appena iniziato in Medio Oriente e quello che vediamo nei media con ISIS e affini è una delle risposte possibili, drammatica quanto inaccettabile. I cristiani non sono le vittime esclusive di questa guerra, e dobbiamo perciò evitare ogni forma di strumentalizzazione di qualsiasi genere. Non è uno scontro di civiltà (oriente contro occidente, islam contro cristianesimo/giudaismo), ma uno scontro tra civiltà (occidentale ed orientale) e non civiltà. La distruzione di moschee, di monumenti antichi (la distruzione della tomba di Giona), sono un esempio emblematico. Con quei gesti si vorrebbe distruggere una parte, un elemento del crogiolo - strano ma ricchissimo - del Medio Oriente, per uniformare tutto a sé. Se da un lato però dobbiamo evitare ogni forma di stereotipo di scontro e di richiamo alle armi, dall'altro dobbiamo comunque riconoscere che esistono forti movimenti integralisti che operano contro ogni forma di differenza rispetto a sé, contro la modernità occidentale, e anche contro il cristianesimo. La timidezza (sempre minore, fortunatamente) con la quale le autorità islamiche condannano questi fenomeni ci deve interrogare. Non basta comunque accusare genericamente questi movimenti e queste tendenze come "non-islamiche". È necessario che si dica chiaramente che uccidere un cristiano, un sunnita, uno sciita perché tali è proibito; è un atto antireligioso per eccellenza, perché la vita umana è sacra per tutte le religioni, uccidere è peccato per tutte le religioni. In Siria e in Iraq assistiamo a una tragedia infinita e difficilmente ricuperabile. La maggioranza dei cristiani è emigrata o all'estero o in parti del paese sotto il pieno controllo del regime di Assad. Solo una piccola parte, i poveri e gli anziani, quelli che non 4 of 9


sanno dove andare, sono rimasti nelle zone controllate dai ribelli. Questi sono poi di diverso tipo. Oltre al Califfato, sono abbastanza radicate nel territorio le brigate di Jabhat Al-Nusra, movimento legato ad Al-Qaida. Questi sono più moderati, rispetto al Califfato. Fa sorridere affermare questo, ma è la verità. Sono entrambi fanatici e integralisti, ma gli uni sono meno violenti degli altri. Ne abbiamo avuto esperienza anche recentemente, con l'arresto/rapimento di un nostro confratello da parte delle brigate di Al-Nusra. I cristiani non possono esprimere pubblicamente la loro fede. Niente campane, niente simboli religiosi né esterni né interni (quindi rimossi dalle chiese, ma anche dalle case), le donne devono essere coperte, il vino è bandito (quindi deve essere nascosto per poter celebrare almeno la messa). Non sempre è concesso di andare a coltivare i campi; le proprietà di chi lascia anche temporaneamente la propria casa sono sequestrate. I tribunali sono islamici e nelle scuole l'educazione è esclusivamente islamica (per cui i cristiani sono costretti a studiare in quelle scuole o devono studiare a casa loro). E così via. Non si può proprio dire che siano moderati! Eppure, rispetto allo Stato Islamico lo sono! Credo che nessuno sappia quale sia la via d'uscita, e se mai vi sia. Certamente non nel breve periodo. Ci vorrebbe uno sforzo sincero di tutte le parti (sunniti e sciiti), della comunità internazionale, anche se sarebbe da chiarire bene cosa s'intende per comunità internazionale, chi sono i soggetti di tale comunità e chi la loro guida. Ma tutti sappiamo che questi sono solo pii desideri, in questo momento. Soluzione all'orizzonte non si vede, per cui dobbiamo aspettarci un lungo periodo di grave instabilità, di tensioni e di drammatica distruzione di quel Medio Oriente che abbiamo conosciuto nell'ultimo secolo, senza sapere cosa e come sarà nel futuro. Possiamo solo sperare che questa drammatica situazione susciti prima o poi una reazione forte e chiara all'interno delle stesse popolazioni del Medio Oriente, con un rifiuto netto di questa commistione velenosa tra fede, politica, nazionalità che sta rovinando questi paesi o quello che resta di loro. Possiamo solo auspicare che, prima o poi, una forma seppur lieve di distinzione tra politica e fede, fede e ragione prevalga anche in quelle parti del mondo. Fino ad allora, trovo sia difficile individuare una soluzione serena di quegli atavici conflitti. Possiamo solo sperare, insomma, che la Modernità porti una riflessione nuova e costruttiva anche per il Medio Oriente. Ma sappiamo che i tempi sono comunque lunghi.

Il Vangelo di Cristo Di fronte a tutto questo come e dove si deve collocare il credente cristiano? Che cosa suggerisce il Vangelo di Cristo? «Il male che sta di fronte a noi ci interpella come cristiani e ci chiede di esserlo ancora di più e fino in fondo. È proprio in queste circostanze che siamo chiamati a vivere la nostra

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vocazione cristiana in maniera completa, senza fughe e senza paure. Il male non deve spaventare un cristiano. […] Rimanere in perfetta tranquillità. Non la stoica atarassia e impassibilità di fronte alla rovina del mondo, ma la sicurezza che l’umanità e il mondo sono nelle mani di Dio. Nessuna sia pur grande distruzione può compromettere il compimento della sua Volontà; nessuna rovina può sottrarre l’uomo alla sua onnipotenza d’amore. La vita del cristiano è sempre la stessa. Dio non ti sottrae ad alcuna difficoltà, ad alcuna prova; Dio sembra abbandonarti alla forza di distruzione del male: se Egli vive in te, è il male che viene distrutto.” Divo Barsotti, “L'attesa. Diario: 1973-1975.” È la nostra fede che è chiamata a rendere ragione di se stessa, davanti al male. Cosa crediamo, come crediamo, quanto crediamo. In Chi crediamo? Che cosa dice il Vangelo di Cristo riguardo a tutto questo? Perché altrimenti "dimentichiamo una realtà fondamentale che riguarda la nostra fede: il cristianesimo nasce dalla croce e non può prescindere da essa. Gesù diventa re del mondo sulla croce, non dopo il successo della moltiplicazione dei pani. Il cristianesimo, insomma, nasce da un fallimento umano, da una disfatta. Per un cristiano un’analisi della realtà, di qualsiasi realtà, non è completa se non è fatta anche in riferimento a Cristo. Non comprendi la verità di un evento, se non in riferimento a Cristo. Non ad un’ideologia, dunque, ma ad una Persona, che diventa misura e modello del proprio agire e del proprio pensare, come dicevo all'inizio del nostro incontro. Come non ricordare l’episodio di Mc 4, 35-41, quello della barca dei discepoli sballottata dalle onde, al panico dei discepoli e al rimprovero di Gesù: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”» (Custode, Meeting 2014). Il Vangelo di Cristo, insomma, non ci manda a fare innanzitutto gli ambasciatori di pace e di riconciliazione. Mi spiego richiamandomi qui ad un passo importante e decisivo del Vangelo, che ci riporta senza troppe mediazioni al contesto storico e geografico di cui stiamo parlando. Il processo a Gesù raccontato dal Vangelo, ha un momento drammatico, che mi colpisce ogni volta che lo leggo. È un momento che obbliga il popolo a scegliere. Una scelta che ci viene posta innanzi - che viene posta innanzi ad ognuno, alla quale ognuno di noi deve dare la sua personale risposta - ancora oggi, ogni giorno, nelle diverse circostanze. Pilato porta davanti al popolo due figure diverse di Messia: Gesù e Barabba. Barabba, in ebraico e aramaico, significa "Figlio del Padre". È un titolo messianico, esattamente come "Figlio dell'Uomo", che è il titolo messianico attribuito a Gesù. Anche Barabba voleva la liberazione del suo popolo, quella dalla dominazione romana. Era un attivista, si direbbe oggi, che non esitava ad impugnare la spada per sconfiggere il nemico. Aveva un suo seguito, parlava di giustizia, di libertà, di dignità per il suo popolo, di fedeltà alla propria fede contro l'imposizione straniera e pagana, e così via; un linguaggio chiaro, 6 of 9


accessibile a tutti, con una sua ragionevolezza. Il suo era il messianismo semplice, attrattivo, chiaro, lineare, ragionevole e pieno di buon senso. Dall'altra parte c'era Gesù, la cui testimonianza era completamente diversa. Il cristiano ovunque e soprattutto quello Mediorientale, a Gerusalemme come ad Aleppo, è posto di fronte a questa scelta: Gesù o Barabba? Morire sulla croce o combattere nei diversi modi, anche con il cuore? Ma come si può parlare di liberazione dalla schiavitù del peccato, quando il tuo popolo, la tua carne, soffre per la dominazione di un'autorità straniera? Come si può parlare di relazione con il "Padre che sta nei cieli", quando tuo figlio, tuo padre, tua madre sono uccisi, arrestati e umiliati davanti ai tuoi occhi? Come si può parlare di gioia nello Spirito, quando sono privato dei miei diritti fondamentali? In fondo, Barabba, non è così male. È, anzi, ragionevole. Bisognerebbe spendere qualche parola anche sull'indifferenza. C’è la mentalità del ritorno immediato di Barabba, c’è l’integralismo cristiano di chi vuol fare le crociate, ma c’è anche l’indifferenza, la giustificazione di un cristianesimo disincarnato… La “folla” mi ricorda anche quanti difendono questo loro star bene con tutti, essere moderati, essere in pace. Un giorno si grida "Osanna" è più tardi "crucifige!". La Presenza di Gesù rende il cristiano profondamente partecipe della storia, immerso nella storia. Non è la folla… La Presenza di Gesù è incontro personale, unico, intimo. L’indifferenza è “peccato di omissione”, che non è un’aggiunta peregrina ai peccati in pensieri, parole e opere. Lasciamo perdere l’identificazione dell’Occidente con il cristianesimo ormai sepolta, ma sembra quasi che in Occidente non ci siano più credenti. Perché la difesa pacifica dei diritti umani lascia così indifferenti tanti cristiani? Perché non riusciamo a trovare nella propria fede la ragione del dovere di farsi difensori degli oppressi? “Non conformatevi a questo mondo”, non confondetevi con la folla! Ma il Cristiano ha scelto Cristo, e questi è morto in croce, dannato e sconfitto. Il paradosso del cristianesimo nasce da questo fatto fondamentale e imprescindibile. La risurrezione presuppone la morte. La vita nasce quando viene donata, consegnata gratuitamente. E ai due discepoli di Emmaus, che erano sconvolti per quel fatto, che non si davano pace per quello che era successo, per la sconfitta terribile dei loro ideali e soprattutto delle loro aspettative di liberazione ("noi speravamo che fosse lui colui che avrebbe liberato Israele". Lc 24, 21, che fosse cioè una sorta di loro Barabba) Gesù dice: «O insensati e lenti di cuore nel credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! Non doveva il Cristo soffrire (ἔδει παθεῖν) tutto ciò ed entrare nella sua gloria?» (Luca 24, 25-26).

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Ci viene aggiunta un'affermazione importante. Non si dice che questa era una via, ma la via. Doveva essere così e non diversamente. Il cristiano, insomma, deve partire da quella consapevolezza. Deve stare anche lui sulla croce. Dunque, di fronte al male nel mondo, compito del cristiano è semplicemente quello di soffrire, di morire in croce, di lasciarsi trafiggere? Non ha nulla da dire di fronte al dramma che gli sta di fronte? Certamente no. Dovremmo premettere che la croce non è solo simbolo di sofferenza e morte, ma anche di perdono, gratuità, amore incondizionato, consegna di sé, donazione. Tutte queste cose sono simboleggiate dalla croce; di più: sono la nostra croce. Vivere il perdono, la gratuità, la disponibilità quotidiana, amare i propri nemici (perché se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete?), la consegna di sé, l’abbandono alla volontà di Dio, sono un allenamento continuo alla vita cristiana, che è vivere il Vangelo di Cristo, vivere la presenza di Gesù nella propria vita, l’incontro personale con la sua Persona, nella gioia e nella forza che questo incontro assicura. Sono tutti atteggiamenti costruttivi, per niente scontati, indicativi di un percorso preciso assegnato ai cristiani in quelle e queste circostanze. Bisogna poi aggiungere che Cristo morendo sulla croce, ha sconfitto il male nella sua radice profonda, per sempre. La risurrezione ha annientato il potere della morte in tutte le sue forme. Gesù non ha liberato l'uomo da questa o quella oppressione. Non ha operato una liberazione, ma la liberazione. Ha ricuperato nella sua radice profonda la relazione tra Dio e l'uomo, ricollocando quest'ultimo nella sua piena armonia e nella sua vera libertà. Questo è il significato della redenzione. Il cristiano, dunque, si muove innanzitutto partendo da questa consapevolezza e da questa esperienza, e cioè che è stato già liberato e che niente e nessuno può togliergli quella libertà, nemmeno la morte, perché ha fatto esperienza di una vita che nessuno gli può portare via. Questa certezza diventa anche il suo annuncio concreto nella quotidianità e nelle situazioni estreme. Di fronte alla situazione del Medio Oriente, dunque, per tornare al nostro tema, il cristiano non si limita a fare l'adorazione eucaristica, ma si da’ da fare come qualsiasi altro, perché la giustizia, la libertà, la dignità, l'uguaglianza tra gli uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio, sono atteggiamenti di cui lui ha fatto esperienza personale e che vuole diventino comuni a tutti. La differenza sta nell'atteggiamento con cui il cristiano si muove in questo contesto. Essendo già liberato, non ha paura, non teme la morte. La sua lotta per la liberazione da situazioni concrete non ha un carattere di assolutezza, come se dalla liberazione da quella 8 of 9


situazione concreta dipendesse tutta la sua vita. Il cristiano vuole e lotta per la giustizia e la dignità perché appartengono all'armonia riconsegnataci, ma non si lascia sconvolgere dal male che è di fronte a lui, e ne soffre come chiunque altro. Il suo sguardo sul mondo è libero e redento, perché egli ha fatto esperienza di quella liberazione e redenzione. Il male colpisce e ferisce, ma non ferma la costruzione del Regno di Dio. Come conseguenza, il cristiano non fugge, non è nel panico, non perde la fiducia, non conosce vendetta, rancore e rabbia, non smette di porre il perdono come orizzonte, perché è stato raggiunto dal perdono di Cristo e questo resta il suo riferimento imprescindibile. Nel Medio Oriente viviamo momenti tragici. Vediamo cristiani fuggire, ma anche altri restare. Vediamo la distruzione di relazioni che hanno resistito per secoli. Ma sappiamo che ne nasceranno nuove. Secondo la mentalità del ritorno immediato, quella "barabbiana", la strategia cristiana è un fallimento, non porterà a nulla, ad alcun risultato. È una strategia di pii desideri che non ha futuro. Secondo questa visione, il cristianesimo in Medio Oriente è impotente, finito, schiacciato. La testimonianza di tante persone, invece, soprattutto i piccoli, i poveri, quelli che non hanno nulla, ci dice che molto è distrutto, ma il seme è rimasto e da lì rinascerà nuovamente la vita. È dovere di tutti, in nome della fratellanza che Cristo ci ha consegnato, attivarsi per sostenere ed aiutare, consegnarci a nostra volta nel modo che possiamo e conosciamo, per sostenere i tanti piccoli del Medio Oriente. Ma con sguardo redento, carico di concretezza e chiarezza di fronte al male, con il quale non si può dialogare, e allo stesso tempo forte e saldo nella certezza che la vita che ci è stata donata potrà essere tolta.

fra Pierbattista Pizzaballa, ofm Custode di Terra Santa

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