S egidio 29 30 aprile 2015 cristiani in medio oriente quale futuro

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Cristiani in Medio Oriente: quale futuro? Comunità di Sant’Egidio Bari, 29‐30 Aprile 2015 Quando si parla di Medio Oriente, oggi ancora più che nel passato, si parla di guerra, conflitti religiosi e settari, tensioni politiche e via di seguito. Insomma, è un ginepraio poco comprensibile ai più, dal quale chi può cerca di starsene alla larga. Tuttavia, il Medio Oriente è sempre stato e continuerà a rimanere, il centro cruciale di religioni, civiltà, prospettive politiche ed economiche. Tutto ciò non deve permetterci di restare indifferenti di fronte al dramma che esso sta vivendo oggi. Il destino di popoli e nazioni, di fedi e culture, minacciato da questo disastroso conflitto, ci deve coinvolgere. L’interesse non deve nascere solo perché la cosiddetta globalizzazione, i media, i social network, come pure lo spostamento migratorio di milioni di persone nel mondo, hanno reso tutti i Paesi ancora più legati l'uno all'altro culturalmente, economicamente e socialmente. I destini e le vie di ciascuno, infatti, oggi s’intersecano in tutti gli ambiti della vita. Lo costatiamo in negativo anche nel contesto della tragedia mediorientale, con l'arruolamento di tanti occidentali in questa guerra assurda, che così corre il rischio di allargarsi. L’interesse, il coinvolgimento per quanto sta accadendo deve scaturire soprattutto dal comune rifiuto morale contro le minacce alla convivenza umana operata da questi terroristi. Non è più possibile oggi, nel 2015, che vi siano ancora persecuzioni su base etnica e religiosa. Le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo e della persona e la coscienza comune non permettono più che si possano commettere simili crimini. Nessuno deve assistere inerme a tutto ciò. Come ho avuto occasione di affermare anche in altre sedi, l'atroce lotta di potere in corso nel Medio Oriente, sta cambiando la sua compagine dal punto di vista politico e religioso, ma, soprattutto, sta correndo il rischio distruggere, per sempre, un unico e inestimabile patrimonio di tradizioni, relazioni, intrecci culturali che per secoli ha caratterizzato quella parte di mondo. È dovere di tutti fermare questa tragedia, poiché tutti siamo coinvolti.


Per parlare del nostro tema, cioè del futuro dei cristiani in Medio Oriente, dobbiamo partire dalla storia e dall’identità del Medio Oriente, che è sempre stato e deve rimanere un crogiolo di culture e religioni. Molto più che in Europa, il Medio Oriente è infatti sempre stata la culla di differenze religiose. Ebraismo, Cristianesimo e Islam hanno il loro cuore e le loro radici in Medio Oriente. Ognuna di queste fedi ha sempre conosciuto divisioni e sviluppi interni vivacissimi: sunniti, sciiti, cristiani ortodossi, copti, siriaci e tantissime altre comunità sono sorte lungo i secoli, rendendo il Medio Oriente ‐ unico nel suo genere in tutto il mondo ‐ un luogo di convivenze. Certamente le convivenze non sono mai state facili e non sono mancate le persecuzioni lungo i secoli. Ma non si è mai assistito a una “pulizia religiosa” come quella ora in corso. È importante comprendere che le appartenenze religiose sono, ancora oggi in tutto il Medio Oriente, anche appartenenze sociali e culturali. La fede non è soltanto un’esperienza religiosa personale, ma è anche definizione di un’identità personale e sociale. La componente religiosa costituisce quasi sempre un elemento essenziale nella costruzione della propria identità e tende ad esprimersi in alcuni tratti specifici, distintivi e ricorrenti, tra cui, per esempio, la partecipazione attiva alla preghiera rituale e alle celebrazioni, il modo di vestire, la scelta di esporre e indossare oggetti e simboli specifici del proprio credo confessionale, la scelta dei nomi dei figli. L’appartenenza religiosa, quindi, oltre a definirsi in relazione a sé, ti definisce anche in relazione all’altro. La propria esperienza religiosa e sociale è anche definizione della propria relazione verso l’altro, a livello personale e sociale. Questa forma di convivenza interreligiosa – che è altra cosa rispetto all’integrazione, che è una sfida occidentale – ha caratterizzato il Medio Oriente per secoli, anche se mai in maniera semplice e lineare e ne forma, comunque, il carattere costitutivo. Per questo i cristiani delle diverse confessioni, musulmani sunniti, sciiti, yazidi, curdi, alawiti, druzi, ecc. fino ad oggi sono ancora qui in Medio Oriente. Ora, tutto ciò, è messo a rischio da movimenti estremisti, fanatici e settari, organizzati ed economicamente ben strutturati, che hanno come scopo la cancellazione totale dell’identità di questo Medio Oriente e la strategia di uniformare tutto ai dettami di un’idea particolare di Islam. Gli atti di terrorismo che insanguinano il Medio Oriente e l’Europa non sono frutto di uno scontro di civiltà. Questi atti, infatti, minacciano tutte le civiltà, non solo quella occidentale. Perciò, tutte le civiltà devono adoperarsi insieme per fermare la barbarie in corso.


Assistiamo ad una guerra che è innanzitutto dentro all’Islam, in particolare assistiamo alla lotta tra sunniti e sciiti. Le minoranze religiose ed etniche sono oggetto di persecuzione, ma non sono il primo e solo obiettivo di questi terroristi. Quanto sta accadendo è inoltre la risposta sbagliata e drammatica di una parte dell’Islam alla modernità, ai problemi economici, morali, culturali che lo sviluppo pone. All’interno del mondo musulmano questa riflessione mi sembra non sia ancora stata fatta. Non mancano, naturalmente, gli intrecci politici ed economici, regionali ed internazionali, che tutti conosciamo e non spetta a noi analizzare, anche perché non ne abbiamo le competenze. Il futuro dei cristiani, quindi, non può essere isolato o separato rispetto a questo complesso contesto sociale e religioso. Esso è strettamente legato al futuro di tutte le altre componenti sociali e religiose del Medio Oriente. Non basta dire dunque che bisogna fermare la persecuzione dei cristiani. È necessario fermare il corso attuale, non solo di cancellazione di tutte le differenze esistenti in nome di una purità religiosa e sociale, nel nome cioè di un modello particolare di Islam (ISIS e affini), ma anche di allontanamento, di sospetto e pregiudizio, che si vanno creando tra le diverse componenti religiose e sociali del Medio Oriente. Si assiste infatti ad una sempre maggiore, se non ormai totale, mancanza di comunicazione tra le diverse comunità. Ciascuno si costruisce la propria prospettiva senza l’altro o contro l’altro, ovvero, dove l’altro è escluso o è il nemico. Parlando recentemente, nella martoriata città di Aleppo, con le diverse comunità cristiane, era evidente il dolore e la frustrazione per la distruzione di interi quartieri cristiani, con le loro chiese. Continuamente ci si sentiva dire che i musulmani ben poco avevano parlato a difesa dei cristiani o manifestato solidarietà dei cristiani uccisi. A loro volta, parlando con responsabili di diverse comunità musulmane, interrogati sul perché del loro silenzio sulla persecuzione dei cristiani, ci si sentiva dire che i musulmani uccisi erano molto più che i cristiani e così pure le moschee distrutte; che questo fenomeno si sta protraendo da molti più anni, eppure nessuno dei vescovi cristiani ha parlato a loro difesa. Perché ora dovrebbero muoversi? I cristiani, inoltre, sono a volte sentiti dai musulmani come presenza occidentale al loro interno Su questo si potrebbe parlare a lungo e ciascuno avrebbe solidi argomenti a suo favore. I cristiani si sentono oggetto di persecuzione e nelle comunità musulmane ci si sente obiettivo dell’odio del mondo. Ciascuno legge la realtà esclusivamente dalla propria prospettiva, senza conoscere quella dell’altro.


Ciò che emerge è l’assenza di adeguata comunicazione e relazione tra le diverse comunità, che accentua ed amplifica il dramma attuale. Ciascuno è fermo dentro una visione che spesso non supera i confini della propria comunità di appartenenza. Dunque, per superare questa crisi e parlare di futuro, è necessario riprendere i fili delle relazioni tra le diverse comunità, cercando di individuare almeno alcuni dei tratti comuni, invece che costruire nelle rispettive comunità narrative completamente diverse, se non antitetiche le une alle altre. È certo che musulmani e cristiani resteranno nel Medio Oriente. La crisi attuale non annienterà le diverse comunità, né cambierà il loro destino. Saranno nuovamente costrette a confrontarsi le une con le altre. I cristiani dovranno necessariamente costruire il loro futuro insieme e in sinergia con tutte le altre comunità religiose, in particolare con le comunità islamiche, con le quali continueranno a convivere. Il dialogo con l’Islam non è un lusso da snob intellettuali, ma una necessità vitale. Allo stesso tempo i leader musulmani dovranno comprendere che le comunità cristiane sono parte integrante del loro territorio, che il rapporto con le minoranze è parte insostituibile del loro processo interno di riforma, che il rapporto con l’altro da sé, con il mondo esterno ‐ culturale, sociale, religioso ed economico ‐ non è una sfida che non li riguarda, che il loro futuro non può prescindere da queste considerazioni. È evidente, inoltre, che i modelli di politica attuali del Medio Oriente sono falliti. Non vi è stato un solo governo, una leadership che sia stata capace d’intercettare il bisogno di cambiamento evidente dentro la società, lasciando spazio alla crescita esponenziale di movimenti radicali e integralisti. Il Medio Oriente che abbiamo conosciuto nel ‘900, quello nato dalle rovine del vecchio impero ottomano, dalla fine dei diversi colonialismi e dalla nascita degli stati nazionali, è insomma finito. Inizia un nuovo periodo, la cui direzione, però, non siamo ancora in grado di comprendere. In questo contesto, è grande la responsabilità della comunità internazionale. Nessun Paese mediorientale, o ciò che resterà di esso, sarà in grado da solo di riorganizzare la vita dei singoli Stati. Spetterà alla comunità internazionale accompagnare la ricostruzione di questi Paesi non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e politico, vigilando che i diritti della persona e le convenzioni internazionali di rispetto dei diritti basilari vengano rispettati.


Non c’è sviluppo economico, premessa imprescindibile per qualsiasi prospettiva di pace, senza rispetto dei diritti civili. Sviluppo sostenibile, è lo sviluppo che ha al centro l’interesse e il bene della persona. Ci sembra che questa non sia comunque la preoccupazione dei Paesi occidentali, che stanno invece speculando con commercio di armi, sulla pelle dei deboli. Non si può parlare di futuro dei cristiani in Medio Oriente, se non si ha il coraggio e la parresia, comunque, di sollevare serenamente e francamente un altro problema. Queste persecuzioni contro i cristiani e le altre minoranze non musulmane, non sono nate dal nulla. C’è in gran parte del mondo musulmano una formazione, un pensiero, un’educazione al rifiuto dell’alterità, che porta a considerare i non musulmani come realtà minore, se non ostile. L’ideologia, insomma, sulla quale questi movimenti estremisti basano le loro politiche persecutorie di annientamento delle minoranze nascono, si basano e si nutrono su un contesto culturale e religioso che necessiterebbe, a mio avviso, un radicale, serio e sereno ripensamento. Le chiese cristiane furono interpellate, dopo la seconda guerra mondiale e dopo gli orrori della Shoà, a considerare e riflettere quanto l’antisemitismo, che ha portato alla barbarie che conosciamo, si sia nutrito lungo i secoli di insegnamenti religiosi non corretti. Da un punto di vista esterno, quale può essere il mio, penso che un percorso analogo debba essere fatto anche nel mondo islamico. Si tratta non solo di accogliere criticamente dentro la propria prospettiva religiosa la vita del mondo attuale, ma anche più prosaicamente, di fare conoscere al mondo un Islam diverso. Questi fenomeni persecutori, infatti, stanno creando nella comunità internazionale sentimenti di paura e conseguente rifiuto e disprezzo verso la realtà musulmana. Un ripensamento delle categorie con le quali il mondo musulmano si relaziona con il mondo ci sembra oggi più che mai necessario. Il Medio Oriente è, in conclusione, una realtà composita e complessa, in radicale cambiamento, con l’impellente esigenza di una ricostruzione. Affrontare questi problemi complessi solo da una prospettiva, senza collocarla nel suo contesto più completo, ha portato molti a commettere errori anche nel passato più recente. Non si risolvono i problemi tra sunniti e sciiti, dialogando solo con i sunniti. Non si risolve il problema del Medio Oriente guardando solo alle dinamiche politiche o economiche e non anche a quelle religiose. Non si può parlare del futuro dei cristiani, parlando solo di loro, isolandoli dal resto delle comunità esistenti. È necessario, insomma, avere un approccio globale.


Bisogna dunque intervenire. È importante una presa di coscienza comune, Oriente ed Occidente, per fermare la barbarie in corso soprattutto in Siria ed Iraq. Se necessario, come già affermato in passato da altre persone più autorevoli, si deve ricorrere all’uso della forza. Essa tuttavia, se non collocata in un contesto di prospettiva politica di ricostruzione a tutti i livelli di quelle popolazioni e di quei Paesi, senza un progetto chiaro sul dopo, resterà un ennesimo approccio parziale al problema e non potrà costituire una soluzione stabile. Oltre a fermare l’aggressore, bisogna aver chiaro come (ri)costruire la vita di quei popoli, evitando ogni forma di strumentalizzazione. Senza una visione integrale, si lascia spazio libero all’integralismo. Tutto questo oggi può sembrare utopia e non realistico. Me ne rendo conto. Il cammino per un rapporto sereno e rappacificato tra le diverse anime religiose di Oriente e tra Oriente e Occidente è ancora lungo. Non ci si può tuttavia limitare ad accusare gli estremismi, ma è necessario dialogare con quella parte della popolazione e quei movimenti che nonostante tutto restano aperti al confronto e al dialogo. Questa prospettiva non ha alternative. E questo tragico momento è un'opportunità incredibile e unica di coordinamento e avvicinamento tra tutti coloro, religiosi e laici, che altrimenti non si sarebbero mossi né incontrati. Leaders cristiani e musulmani che insieme agiscono contro ISIS; cristiani, ebrei e musulmani che insieme s'incontrano per pregare e manifestare contro la guerra, sono esattamente l'immagine che gli integralisti vogliono distruggere e che, proprio per questo, ora è ancora più necessaria. La testimonianza di Papa Francesco, in questo contesto, è esemplare: dal viaggio in Terra Santa, alla giornata d’invocazione per la Pace a Roma, ai numerosi appelli alla riconciliazione, sta richiamando noi credenti a non cedere alla tentazione dello scontro, ma di continuare a credere e pregare per il dialogo, l'incontro e la riconciliazione tra popoli, culture e religioni. La situazione attuale ed ancor più gli avvenimenti recenti che scuotono il Medio Oriente, rendono dunque più attuale ed urgente tale confronto, senza il quale si lascia il campo libero ai diversi integralismi dell'una e dell'altra parte. Fra Pierbattista Pizzaballa ofm Custode di Terra Santa


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