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LA COMMEDIA IN CHIAVE EXTRATERRESTRE CANTI: XXI-XXII Pag
L A DIVINA COMMEDIA IN L A DIVINA COMMEDIA IN CHIAVE EXTRATERRES TRE CHIAVE EXTRATERRES TRE
Nel libero commento di Nel libero commento di Giovanna viva Giovanna viva
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di Dante Alighieri
alla luce della Filosofia Cosmica in chiave parapsicologica INFERNO - Canto XXI
nel libero commento di Giovanna Viva
Cerchio ottavo: fraudolenti Bolgia quinta: barattieri - la fossa di pece bollente - un anziano lucchese - i Malebranche - Virgilio e Malacoda - Dante e Virgilio scortati da dieci diavoli
Così di ponte in ponte, altro parlando che la mia comedìa cantar non cura,
3 venimmo; e tenavamo il colmo, quando restammo per veder l'altra fessura di Malebolge e li altri pianti vani; 6 e vidila mirabilmente oscura.
Quale ne l'arzanà de' Viniziani bolle l'inverno la tenace pece
9 a rimpalmare i legni lor non sani, ché navicar non ponno - in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa 12 le coste a quel che più vïaggi fece;
chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; 15 chi terzeruolo e artimon rintoppa -;
tal, non per foco, ma per divin'arte, bollia là giuso una pegola spessa,
18 che 'nviscava la ripa d'ogne parte.
I' vedea lei, ma non vedea in essa mai che le bolle che 'l bollor levava,
21 e gonfiar tutta, e riseder compressa.
Mentr'io là giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
24 mi trasse a sé del loco dov'io stava.
Allor mi volsi come l'uom cui tarda di veder quel che li convien fuggire
27 e cui paura sùbita sgagliarda, Così passando da "ponte" a "ponte" (da un mezzo spaziale all'altro, considerato come "ponte di collegamento" fra il cielo e la Terra), parlando d'altro (poiché tali discorsi riguardanti i "ponti spaziali" saranno più facilmente comprensibili alla mente umana del futuro), che oggi la mia Commedia cantar non cura; avevamo raggiunto il punto più alto del peccato, quando sostammo per veder l'altra fessura di Malebolge che si presentava straordinariamente "oscura" di una colpa che maggiormente grava sull'Umanità. Come nell'arsenale dei Veneziani bolle d'inverno la tenace pece che servirà a spalmare le imbarcazioni non sane, che non possono navigare, perché troppo logorate - pertanto c'è chi rassetta la barca, chi tura con la stoppa le falle aperte sui fianchi delle navi che hanno molto navigato; chi ribatte i chiodi con i martelli a prua e a poppa, altri costruiscono funi, chi rattoppa le vela minore "terzeruolo" e chi la maggiore "artimon" -; similmente bolliva in quella bolgia, non per forza di fuoco, ma per Potenza Divina, la pece densa del dolore della vita, che invischiava le pareti del mondo d'ogni parte.
Io vedevo la pece, ma non vedevo mai in essa le bolle che il bollor levava, né gonfiar tutta e ricader compressa come nell'arsenale.
Perché questa pece, non alimentata da fuoco, ma da Potenza Divina, era la tenace ebollizione della vita nel mondo. Mentre io laggiù fisso guardavo, il duca mio, dicendo: «Guarda, guarda!», mi trasse a sé vicino dal luogo dove io stavo. Allora mi volsi come l'uomo che è ansioso di vedere quello che sarebbe per lui più conveniente evitare, ma che, vinto dalla paura,
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
che, per veder, non indugia 'l partire: e vidi dietro a noi un diavol nero
30 correndo su per lo scoglio venire. Ahi quant'elli era ne l'aspetto fero! e quanto mi parea ne l'atto acerbo,
33 con l'ali aperte e sovra i piè leggero!
L'omero suo, ch'era aguto e superbo, carcava un peccator con ambo l'anche,
36 e quei tenea de' piè ghermito 'l nerbo. Del nostro ponte disse: «O Malebranche,
ecco un de li anzian di Santa Zita!
39 Mettetel sotto, ch'i' torno per anche
a quella terra, che n'è ben fornita: ogn'uom v'è barattier, fuor che Bonturo;
42 del no, per li denar, vi si fa ita». non esita a fuggire: e vidi dietro di noi venir correndo su per lo scoglio un diavolo nero.
Il nero è il colore che per tradizione viene attribuito al "diavolo Cristiano", cioè al prete, ovvero a quei preti indegni della funzione apostolica e che pertanto sono "neri nell'anima come nell'abito", dei quali parla anche Giacomino da Verona, Babilonia 99, Mattalia, - "Nigri, plu nigri de' carbon" (cfr. F. Maggini in "Lingua Nostra"). Ma questo diavolo che aveva le ali, non era evidentemente un prete, ma uno Spirito superiore avente missione di punitore.
Ahi quanto egli appariva feroce nell'aspetto e crudele nei suoi atti! agilissimo e leggero, sospeso sulle ali, toccava appena terra con i piedi. L'omero suo, che era rialzato e superbo, schiacciava ambo le gambe di un peccatore e questo aveva, così, avvinghiato il tendine dei piedi.
L'espiazione richiede molto dolore per liberare l'anima da una grave colpa, similmente al chirurgo costretto ad intervenire più o meno drasticamente a seconda la gravità del male da debellare.
Dal nostro "ponte" (mezzo spaziale, come già detto, "antico ponte di collegamento dal Cielo alla Terra"), Virgilio disse: «O Malebranche, ecco uno degli anziani di Santa Zita! (Alla congrega di Santa Zita appartenevano anche i magistrati di Lucca). Mettiti sotto, nasconditi giù nel "ponte", che io torno di nuovo a quella terra che è ben fornita di male, dove gli uomini sono barattieri all'infuori di Bonturo, poiché non vi è ancora giunto. Egli dicendo sì al no e no al sì per il denaro, opera ancora nel peccato preparandosi a scontare i suoi errori in questa terribile bolgia e "vi si fa ita" (prepara la vita futura in altra purificazione).
di Dante Alighieri
Là giù 'l buttò, e per lo scoglio
duro si volse; e mai non fu mastino sciolto 45 con tanta fretta a seguitar lo furo.
Quel s'attuffò, e tornò sù convolto; ma i demon che del ponte avean coperchio, 48 gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto: qui si nuota altrimenti che nel Serchio! Però, se tu non vuo' di nostri graffi, 51 non far sopra la pegola soverchio».
Poi l'addentar con più di cento
raffi, disser: «Coverto convien che qui balli, 54 sì che, se puoi, nascosamente accaffi».
Non altrimenti i cuoci a' lor vassalli fanno attuffare in mezzo la caldaia 57 la carne con li uncin, perché non galli.
Lo buon maestro «Acciò che non si paia che tu ci sia», mi disse, «giù t'acquatta 60 dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia; e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch'i' ho le cose conte, 63 perch'altra volta fui a tal baratta».
Poscia passò di là dal co del ponte; e com'el giunse in su la ripa sesta, 66 mestier li fu d'aver sicura fronte.
Con quel furore e con quella tempesta ch'escono i cani a dosso al poverello 69 che di sùbito chiede ove s'arresta, usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutt'i runcigli;
Là giù 'l buttò, e per lo scoglio duro si volse; e mai non fu mastino sciolto 45 con tanta fretta a seguitar lo furo. Virgilio si buttò dal "ponte", laggiù lungo lo scoglio duro si volse ed io non vidi mai mastino sguinzagliato che andasse più veloce di lui nell'inseguire il fuggitivo. Quel s'attuffò, e tornò sù convolto; ma i demon che del ponte avean coperchio, 48 gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto: Egli si tuffò giù nella bolgia e tornò su sconvolto alla vista di tanto male, mentre i dèmoni, che erano coperti dal "ponte" in sosta, gli gridarono: «Qui non vi è posto per il Bene Celeste: qui si nuota altrimenti che nel Serchio! Però, se tu non vuo' di nostri graffi, 51 non far sopra la pegola soverchio». qui si nuota diversamente che nella fresca acqua del fiume Serchio! Perciò se tu non vuoi ricevere i nostri graffi, non sostare qui superando la nostra bolgia, facendo col tuo "mezzo di volo" coperchio a questa pentola bollente (per cercare di attutire il bollore dell'espiazione)». Poi l'addentar con più di cento raffi, disser: «Coverto convien che qui balli, 54 sì che, se puoi, nascosamente accaffi». Poi lo circondarono tentando di afferrarlo con più di cento "graffi" (forchettoni infernali, simbolo di maggiore pena che nella pece bollente del dolore della vita opprime le creature) e gli dissero: «Sarebbe giusto che, trovandoti qui così coperto come gli altri, ballassi anche tu, però se vuoi, nascostamente scappa (in quanto a te non compete questa espiazione)». Non altrimenti i cuoci a' lor vassalli fanno attuffare in mezzo la caldaia 57 la carne con li uncin, perché non galli. Non diversamente si servono i cuochi dei loro aiutanti per immergere la carne in mezzo alla caldaia premendola giù con gli uncini perché non galleggi; così si serviva dei suoi servi (dei cosiddetti "dèmoni") la Divina Giustizia per cuocere le anime "crude" che la crudeltà non avevano ancora smaltito. Lo buon maestro «Acciò che non si paia che tu ci sia», mi disse, «giù t'acquatta 60 dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia; Il buon maestro «Affinché non appaia che tu ci sia», mi disse, «mettiti più in là, che la sporgenza della roccia ti faccia da riparo; e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch'i' ho le cose conte, 63 perch'altra volta fui a tal baratta». e per un'eventuale offesa che mi venga fatta, tu non temere, poiché queste cose sono a me già note, ché altra volta io fui in simile luogo di barattieri». Poscia passò di là dal co del ponte; e com'el giunse in su la ripa sesta, 66 mestier li fu d'aver sicura fronte. Poi passò di là dal ponte; e come egli giunse sopra il lato della sesta bolgia, ebbe bisogno di aver maggior coraggio. Con quel furore e con quella tempesta ch'escono i cani a dosso al poverello 69 che di sùbito chiede ove s'arresta, Con quel tempestoso furore con cui i cani si scagliano contro un accattone, diffidenti del suo vestiario ad essi sconosciuto e sorpresi dalla sua voce che chiede la carità nel luogo dove si arresta, usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutt'i runcigli;
nel libero commento di Giovanna Viva
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
72 ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!
Innanzi che l'uncin vostro mi pigli, traggasi avante l'un di voi che m'oda,
75 e poi d'arruncigliarmi si consigli».
Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; per ch'un si mosse - e li altri stetter fermi -,
78 e venne a lui dicendo: «Che li approda?»
«Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto», disse 'l mio maestro,
81 «sicuro già da tutti vostri schermi, sanza voler divino e fato destro?
Lascian'andar, ché nel cielo è voluto
84 ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro». Allor li fu l'orgoglio sì caduto, ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi,
87 e disse a li altri: «Omai non sia feruto». 72 ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! uscirono quelli di sotto al "ponticello" e volsero contro di lui tutti gli uncini, ma egli gridò: «Nessuno di voi sia male intenzionato! Innanzi che l'uncin vostro mi pigli, traggasi avante l'un di voi che m'oda, 75 e poi d'arruncigliarmi si consigli». Prima che il vostro uncino mi afferri, avanzi uno che m'ascolti e poi si decida pure tra voi se sia o no il caso di afferrarmi». Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; per ch'un si mosse - e li altri stetter fermi -, 78 e venne a lui dicendo: «Che li approda?» Tutti i diavoli gridarono: «Vada Malacoda!»; perciò uno di loro avanzò verso Virgilio dicendo: «A che giova?»
«Credi tu, Malacoda, che mi vedi qui, che io sia venuto», disse il mio maestro, «sicuro già dei vostri impedimenti,
senza volere divino o destino favorevole? Lasciami andare, perché è voluto dal Cielo che io msotri ad un altro questo selvaggio cammino».
Allora in Malacoda fu spento improvvisamente l'orgoglio, si lasciò
cadere l'uncino ai piedi ed agli altri disse: «Ormai non sia ferito».
Omai non sia feruto - v. 87
Viene qui da chiedersi: "Come mai il capo dei diavoli, il peggiore avversario di Dio, si arresta improvvisamente di fronte al Celeste Volere?"
Il verità la Suprema Potenza Divina non può avere nemici. Tutto è al servizio del Bene Creativo e la Luciferiana purificazione che consente la Luce attraverso il dolore, è al servizio di Dio. Lungi dall'essere quindi un avversario di Dio, l'Arcangelo Luce altro non fu che l'indispensabile polo negativo, il quale, in collaborazione col polo positivo della Creatrice Mente Divina, decretò i presupposti ideali dai quali sarebbero scaturite le quattro potenze degli elementi primari: Fuoco, Terra, Acqua, Aria, che avrebbero organizzato il grande scenario della manifestazione materiale del poliedrico Generatore dello sconfinato luccichio stellare. Le Sue Leggi creative stabilirono che il positivo della scintilla Divina-Spirito si sdoppiasse nel negativo dell'Anima e si accendesse la vita.Accade allora che il corpo sia il "veicolo", l'anima il "motore" e lo Spirito il "divino registratore" delle esperienze vissute nel regno della materia. L'anima relazionerà allo Spirito, durante il breve tempo dopo la morte, dopo cioè che il cuore ha cessato di battere, tempo approssimativo di tre giorni, in cui l'anima resta, se pure di fuori, ancora legata al corpo (Canto I - v. ) vita per vita, tutte le esperienze che l'uomo fece negli anfratti grigi della materia. Ora, essendovi l'uomo saturato di esperienze fatte nel relativo fugace, effimero e apparentem è in grado di avere coscienza della benignità dell'Amore Assoluto che vitalizza il Tutto e che, per amore, gli procurò il dolore.
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
E 'l duca mio a me: «O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto,
90 sicuramente omai a me ti riedi».
Per ch'io mi mossi, e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti,
93 sì ch'io temetti ch'ei tenesser patto; così vid'io già temer li fanti
ch'uscivan patteggiati di Caprona,
96 veggendo sé tra nemici cotanti. I' m'accostai con tutta la persona lungo 'l mio duca, e non torceva li occhi
99 da la sembianza lor ch'era non buona.
Ei chinavan li raffi e «Vuo' che 'l tocchi», diceva l'un con l'altro, «in sul groppone?»
102 E rispondien: «Sì, fa che gliel'accocchi!» Rassicurato dalle parole di Malacoda, il mio maestro mi disse: «O tu che siedi nascosto tra le schegge del ponte quatto quatto, puoi ormai riunirti a me».
Perciò mi mossi ed a lui mi avvicinai in fretta; i diavoli si fecero tutti avanti, così che io dubitai che loro mantenessero il patto di non ferire;
similmente io avevo già visto avanzare tutti compatti i soldati pisani usciti dal castello di Caprona, dopo aver pattuito la resa in cambio della vita, timorosi tra cotanti nemici.
Io mi accostai molto al mio maestro e non staccavo gli occhi dal loro feroce aspetto.
Essi chinavano i raffi verso di me e «Vuoi che lo tocchi», diceva l'uno all'altro, «sulle spalle?» E gli altri rispondevano: «Sì, assestagli un bel colpo!»
Ma i diavoli erano "punitori" e non avrebbero potuto far male se non per punire il peccato riguardante quella bolgia.
Si può presumere, perciò, che essi non parlassero seriamente, ma quasi divertiti dall'atteggiamento di Dante che li fissava con gli occhi sbarrati, mentre per paura era letteralmente incollato a Virgilio dalla testa ai piedi.
E come poteva tale descrizione essere tragica nel pensiero di Dante che così perfettamente ritrae la tragicomica rappresentazione della vita, pur sapendo inoltre che ogni Spirito punitore presentato come "demonio" rispetta una determinata missione legata come tutta l'opera creativa alla perfezione della Radice Suprema?
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace
108 tutto spezzato al fondo l'arco sesto.
E se l'andare avante pur vi piace,
andatevene su per questa grotta;
111 presso è un altro scoglio che via
face. Ier, più oltre cinqu'ore che quest'otta,
mille dugento con sessanta sei
114 anni compié che qui la via fu rotta. Poi Malacoda (il cui nome dimostra che "metteva la coda" dappertutto, essendo egli il capo dei diavoli) ci disse: «Non si può andar più oltre per questo scoglio, perché l'arco sesto giace tutto spezzato al fondo. Si deve ricordare che "l'arco sesto" secondo la , potrebbe riferirsi al "sesto grado di Coscienza" a cui appartenenva Gesù: Egli, Capo Supremo della Gerarchia Celeste, apparteneva alla Coscienza Universale-Cristica". Ecco che si potrebbe dedurre che a tal punto il pensiero di Dante si riferisce alla morte in Croce di Gesù, il più grave delitto che incombe sul genere umano. E se volete proseguire andate per l'altra via che passa sopra questa grotta: qui presso vi è un altro scoglio (evidentemente di minor peccato di quello della bolgia franata) che
vi permetterà il passaggio. Questo è uno degli enigmi che Dante ci propone; secondo alcuni commentatori si riferirebbe al compimento di 1266 anni di un avvenuto terremoto che avrebbe causato la rottura del ponte. Secondo altri si tratterebbe di uno dei passi fondamentali per la determinazione della cronologia del viaggio attraverso le montagne del Purgatorio; per altri ancora, che "sono le sette del mattino e che è passata circa un'ora da quando Dante e Virgilio hanno lasciato il colmo del ponticello sulla bolgia quarta e che mancano cinque ore al mezzodì (Sapegno). A questa ipotesi aggiungo la mia idea: io credo che il riferimento vada alla "Fine dei Tempi", ovvero ai nostri giorni, in cui l'uomo avvelena il suo mondo e la sua stessa vita e cioè: Da ieri, dalla passata Era dei Pesci (tempo di Gesù, più oltre cinque ore: 500 anni di un giorno cosmico, oltre che quest'ora, gli anni mille, duecento con sessanta e con sei, compiono il tempo in cui sulla Terra, con la morte in croce di Gesù, fu rotta la via che conduce al Cielo, franato il ponte di collegamento fra Terra e Cielo, il ponte dell'Amore.
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
mille dugento con sessanta sei - v. 113
1000 + 200 con 60 con 6 -------------- 2400 - l'ora che è oltre, cioè "in
più", 5 ore, anni 500 = -------------- 1900
È questo il tempo del "mille e non più mille" di cui parlava Gesù nel significato di mille anni e non più di altri mille anni, prima della manifestazione dei "SEGNI" della Divina Giustizia: il 1900. Ma le trombe dell'Apocalisse, suonate da tutti coloro che hanno cercato attraverso la parola profetica di risvegliare le umane coscienze alle Divine Verità, sono state come quella biblica voce, gridate anch'esse "nel deserto" dell'ignoranza umana. Ed ora i quattro Angeli dell'Apocalisse sono già sui quattro canti del mondo. È questo il profetizzato tempo in cui i cieli si squarceranno e la luce della nuova Era cingerà di gloria gli eletti, i precursori dell'atteso "Regno di Dio in Terra". Il 1900 è il giorno della grande Conoscenza, del trionfo della Verità. "Abbiate cura delle vostre anime", grida oggi la voce nel deserto, la voce nel suono delle Trombe; "e perseverate nella speranza delle promesse fatte dal Figliuolo dell'uomo. Egli è già sulla Terra e presto si manifesterà con potenza e gloria. - sono parole del Consolatore - I quattro Cavalieri dell'Apocalisse hanno tutti e quattro la faccia di uomini. Il primo porta nelle mani la coppa del Fuoco, il secondo quella dell'Acqua, il terzo la coppa dell'Aria, il quarto quello della Terra.
Essi sono sulla Terra e la loro potenza è grande, il loro simbolo è la Morte, che significa rinascita e mezzo di purificazione.Beati coloro che si sono ravveduti e risvegliati, perché è vero che non saranno percossi, né avranno timore alcuno dei Cavalieri dell'Apocalisse, coloro che non vorranno ravvedersi, né vorranno risvegliarsi nella Verità dovranno temere, perché la Giustizia Santa contenuta nelle coppe dei Cavalieri è Ira Santa dell'altissimo Iddio". Ho rapportato le "cinque ore" di cui sopra a cinquecento anni di una generazione. Per "generazione" va intesa quella manifestazione d'uomini che si appalesa sulla terra nell'arco di 2.150 anni circa; durante questo tempo il pianeta, rivoluzionando con il sistema planetario che lo contiene attorno all'asse del nostro universo, si sposta continuamente da una costellazione all'altra. Duemila anni fa in Palestina, la manifestazione del Cristo fu principalmente profetica e s'inserì nel Grande Disegno di "semina delle verità universali" i cui frutti sarebbe stato possibile raccogliere duemila anni dopo a chiusura del ciclo di una generazione. Al tempo di Gesù, la terra era da poco entrata nell'"Era dei Pesci", ora è da poco entrata nell'"Era dell'Acquario". Nel frattempo sono trascorsi duemila anni durante i quali l'umanità ha camminato lungo le vie del dolore, dello scetticismo, del fanatismo, del conformismo. Ora a chiusura del ciclo astronomico, è prossimo il tempo in cui essa, nel segno dell'"Acquario", intraprenderà le vie della Superiore Coscienza per il raggiungimento dei Valori Positivi Eterni portati dal Cristo, che, ora e solo ora, si appresta a ritornare sulla Terra per raccogliere il frutto del Suo "lavoro di semina". Vasto e profondo è il disordine a tutti i livelli che regna nel tessuto della società umana; il valore dell'"Amore", così come lo intese il Cristo, non è affatto nei sentieri degli uomini, per cui, per legge di causa-effetto, non si sono mai potuti tessere retti rapporti fra i popoli e le nazioni sulla base della lealtà, della concordia e del reciproco rispetto fraterno. Conseguentemente l'uomo si trova ora in una situazione disperata causata da lui stesso. L'aria, l'acqua e il suolo sono avvelenati, i mari sono inquinati, i cibi adulterati e, tragico su tutti e su tutto, l'incombente spettro atomico, batteriologico e chimico. Ed ecco che: "mille dugento con sessanta sei compié che qui la via fu rotta", fu e rimarrà rotta, con la crocifissione del Cristo, la via che conduce al Cielo. Tale riferimento al più grave peccato per quella Croce issata sul Golgota, la cui ombra più che mai nella presente era ci ricade addosso, ci fa pensare che la similitudine tra la bolgia impeciata e l'arsenale dei Veneziani si riferisca a martelli, chiodi, funi, spine e colpi di lancia che costituirono la tortura del corpo dio Gesù e che il battere e ribattere in simili torture assieme al bollore della pece, che è da intendersi quale bollore espiativo della vita umana, servissero al restauro di quella parte dell'Umanità, che fu contro Cristo e che senza l'opera restauratrice dei diavoli punitori, non potrebbe, come le imbarcazioni veneziane, navigare, proseguire cioè lungo la via del Karma sulle onde frastagliate e difficili dei marosi del mondo. Similmente la fessura "mirabilmente oscura" (Canto XXI - v. ) potrebbe riferirsi all'umano buio mentale che al Cristo preferì Barabba.
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
Io mando verso là di questi miei a riguardar s'alcun se ne sciorina;
117 gite con lor, che non saranno rei». «Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina», cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
120 e Barbariccia guidi la decina.
Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo, Cirïatto sannuto e Graffiacane
123 e Farfarello e Rubicante pazzo. Cercate 'ntorno le boglienti pane;
costor sian salvi infino a l'altro scheggio 126 che tutto intero va sovra le tane».
«Omè, maestro, che è quel ch'i' veggio?», diss'io, «deh, sanza scorta andianci soli,
129 se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio. Se tu se' sì accorto come suoli, non vedi tu ch'e' digrignan li denti,
132 e con le ciglia ne minaccian duoli?» Ed elli a me: «Non vo' che tu paventi;
lasciali digrignar pur a lor senno,
135 ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti».
Per l'argine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno;
139 ed elli avea del cul fatto trombetta. Io mando, - continuò Malacoda, - alcuni di questi miei per sorvegliare i peccatori, affinché non si scrollino da dosso la pece della sofferenza. Andate con loro che non vi faranno del male».
«Tirati avanti Alichino (chinati sulle ali a purificare i volatili) e Calcabrina (a disseccare, appesantire la brina sul verde dei prati e sugli alberi in fiore)», cominciò egli a dire, «e tu Cagnazzo (preparati da feroce mastino, alla purificazione delle bestie) e Barbariccia (tu che fai arricciare il pelo per le raccapriccianti sofferenze che infliggi), guidate la decina. Venga oltre Libicocco (a dissestare Libeccio e Scirocco) e Draghignazzo (simile a sghignazzante Drago) e Ciriatto ("ciros", dal greco: "cinghiale, porco selvatico"), venga Farfarello e Rubicante (due spiritelli burloni e punitori: Farfarello, così chiamato in Toscana e che nella bassa Italia viene chiamato con nomi diversi come: " Uru, Llaùru, Maurieddhu ecc., il quale, secondo la credenza popolare, quando è burlone porta via la biada ad un cavallo per riempire la mangiatoia di un altro, opure, operando in preferenza nelle campagne, intreccia, durante la notte, code e criniere filo per filo e poi treccina per treccina fino a formare una specie di fitta tessitura, impossibile da disfare. Rubicante pazzo, invece, quando è burlone, ruba gli oggetti e li nasconde nei posti più impensati come al di sopra delle cornici delle porte e dei quadri o sui candelabri; tira spesso giù dal letto le coperte dei bimbi durante la notte; e tutto ciò avverrebbe per dimostrare alla scettica umanità che la vita non termina qui, ma che al di fuori e al di sopra di questa vita esiste qualcosa, di noi più grande, che ci sorveglia e ci domina e che, comunque, è di noi più potente. Il nome Rubicante potrebbe intendersi anche "Rubi-Kant": Rubi, da rubidio, Rb, elemento chimico irritante color del sangue e Kant, che significa ipocrisia nella vita sociale e politica, quindi anche "punitore" col rosseggiar del sangue e purificatore di ladroneggio e ipocrisia. E saremmo così in argomento: "punitore di barattieri"). Cercate tutt'intorno le bollenti "panìe" (vischiose sostanze simili a pece con le quali si catturano gli animali); costoro siano salvi fino all'altro scoglio, oltre l'arco sesto (arco franato) poiché questo vischio va tutt'intorno circondando le tane». «Ohimè, maestro, cosè quello che vedo?», io dissi, «deh, senza scorta proseguiamo da soli, se tu sai andare, poiché io per me non la chiedo. Se tu sei così accorto come sempre, non vedi anche tu che digrignano i denti e con le ciglia ci minacciano?» Ed egli a me: «Non voglio che tu tema, lascia che digrignino pure a loro piacimento, in questo luogo espiativo dove la pena è più cocente, poiché la loro azione è rivolta a cuocere i peccatori e a renderli maturi». La scorta dei diavoli svoltò per l'argine sinistro (lato negativo del peccato), ma prima di andarsene, ciascuno dei diavoli aveva la lingua stretta tra i denti in uno sberleffo triviale, al quale Malacoda contemporaneamente rispondeva con un segnale altrettanto speciale, altrettanto triviale, adeguato alla sua condizione demoniaca.
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
Cerchio ottavo: fraudolenti Bolgia quinta: barattieri - Ciampolo di Navarra - zuffa di diavoli - Dante e Virgilio proseguono i cammino senza la scorta dei diavoli
Io vidi già cavalier muover campo, e cominciare stormo e far lor mostra,
3 e talvolta partir per loro scampo; corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane,
6 fedir torneamenti e correr giostra; quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella,
9 e con cose nostrali e con istrane; né già con sì diversa cennamella cavalier vidi muover né pedoni,
12 né nave a segno di terra o di stella. Io avevo già visto cavalieri partire in guerra ed avanzar d'assalto, sfilare in parata e talvolta anche battere in ritirata; e corridori o Aretini nella vostra terra. Avevo visto andar "gualdane" per distruggere e predare, cozzar di spada in tornei, correre a cavallo giostrando in gara. Avevo visto dare il "via" con vari segnali quando con trombe e quando con campane o con "segni di castella" (bandiere e fuochi d'artificio), oppure dare il via con altri segnali nostrani e stranieri; ma giammai al suono di sì strana cornamusa come lo strumento di Malacoda, avevo visto muovere cavalieri, né pedoni, né nave a struttura terrestre, né extraterrestre, "a segno di stella".
né nave a segno di terra o di stella - v. 12 A tal punto, commentatori al di fuori di ogni conoscenza cosmodinamica e cosmogenetica non potevano commentare diversamente di come hanno interpretato le parole: "né nave a segno di terra o di stella". Essi, infatti, così spiegano: " A simile segnale non vidi mai muovere una nave orientata verso una terra in vista, né nave orientata a mezzo della stella polare". Ma l'orario e l'orientamento non avrebbero alcuna importanza; si riferisce pertanto al genere di nave mai vista muovere a tale segnale. Le navi spaziali extraterrestri sono tutte strutturate "a segno di stella" affinché non perforino lo spazio nuocendo all'Equilibrio del Cosmo. Esse vengono costruite con la stessa meccanica dei corpi celesti; sono spinte dall'energia magnetica in collaborazione con l'energia Luce che è solare, quindi "stellare", a segno di stella. Essendo, appunto, così strutturati, i mezzi di volo extraterrestri possono muoversi in tutte le direzioni superando la velocità della luce che raggiunge i 300.000 Km al secondo. Si inseriscono, inoltre, in quello che noi chiamiamo "vuoto dello spazio cosmico", dove, invece, tutti gli elementi della vita sono immersi e che è costituito da linee di forza magnetica formata da corpuscoli e da onde che vanno dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo. Perciò la nave spaziale, come un corpuscolo di energia, annullando intorno a sé ogni forza di attrazione o di repulsione, è sempre in perfetto equilibrio. Essendo essa in stato di levitazione e in possesso delle onde cosmiche, si troverà ad essere inserita in una nuova corrente energetica di prestazione più elevata che le consentirà di percorrere fantastiche distanze a velocità iperboliche. Ciò senza che i suoi occupanti ne risentano minimamente, perché viene eliminato istantaneamente ogni movimento interno, perfino la più piccola spinta acceleratrice. A tal punto, oltre che a segno di stella, la nave extraterrestre è anche a segno di corpuscolo di energia e pertanto è anche un tracciatore magnetico.
Queste cose ci risultano incredibili perché nel caotico turbinare di credenze errate, la diffidenza per gli insegnamenti "diversi" ha preso il sopravvento, vietandoci di avanzare in una realtà più chiara e cosciente. A tal proposito il nostro Dante direbbe: «Per anni troppi vi mentì lo scritto che di guardar nel ver or sie' digiuni; convien sull'ali del pensier gir dritto per superar lo 'nferno e l' cerchi bruni».
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
Noi andavam con li diece demoni.
Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa
15 coi santi, e in taverna coi ghiottoni.
Pur a la pegola era la mia 'ntesa, per veder de la bolgia ogne contegno
18 e de la gente ch'entro v'era incesa.
Come i dalfini, quando fanno segno a' marinar con l'arco de la schiena,
21 che s'argomentin di campar lor legno, talor così, ad alleggiar la pena,
mostrav'alcun de' peccatori 'l dosso
24 e nascondea in men che non balena.
E come a l'orlo de l'acqua d'un fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori,
27 sì che celano i piedi e l'altro grosso, sì stavan d'ogne parte i peccatori; ma come s'appressava Barbariccia,
30 così si ritraén sotto i bollori.I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia, uno aspettar così, com'ell i 'ncontra 33 ch'una rana rimane e l'altra spiccia;
Noi andavamo con i dieci demoni, ma, come si suol dire, "in chiesa con i Santi, in taverna coi ghiottoni".
Ogni compagnia trovasi cioè al posto adatto; si sta perciò in compagnia dei dèmoni in questo infernale pianeta Terra. Intanto alla pentola bollente era rivolta la mia attenzione per vedere le condizioni della bolgia e della gente che dentro vi bruciava. Come i delfini, presagendo la spinta energetica del fondo marino all'approssimarsi della bufera, affiorano col dorso sulla superficie ripetutamente, tornando ad emergere per poi immergersi ancora e tal segno avverte i marinai del pericolo della tempesta imminente e del pericolo degli stessi delfini che potrebbero, affiorando continuamente, capovolgere l'imbarcazione, così, in quella bolgia per alleviare la pena, i peccatori affioravano col dorso alla superficie della "pece" e poi tornavano dentro in un baleno.
Il lettore, pervenuto a comprendere il veritiero significato del pensiero Dantesco, potrebbe scorgere nelle varie descrizioni tanti esempi che sfuggono al commento stesso.
Io potrei dire, ad esempio, che ogni qualvolta mi "immergo" nel piacere di riprendere a lavorare per questo mio commento, "emergo" dalla pece bollente delle pene e delle preoccupazioni della vita, così come i delfini affiorano alla superficie del mare. E come sull'orlo di un fosso stanno i ranocchi col muso fuori dall'acqua nascondendo i piedi e il resto del corpo, così stavano da ogni parte (in ogni luogo del mondo) i peccatori, ma come si avvicinava Barbariccia (la punizione che raccapriccia), essi si ritraevano sotto i bollori.
Ciò significa che i peccatori tutti, preferiscono restare immersi nella pece bollente che raffigura il dolore della vita umana e sfuggire ai vari "graffi" che di quando in quando sopraggiungono ad accrescere le pene. I "graffi" possono essere paragonati agli interventi chirurgici oppure agli incidenti vari che graffiano il corpo e terrorizzano l'anima. Io vidi, e ancor tal ricordo mi raccapriccia, che un peccaore rimaneva fuori dal bollore similmente ad una rana che resta in riposo, mentre un'altra guizza e vi si tuffa;
Questo avviene nei meandri del "destino", in cui talora, nel bollore della sofferenza, viene data per Divina Misericordia un po' di tregua. Anche nell'Aldilà viene concessa una tregua maggiore quando, fra l'una e l'altra incarnazione, torniamo Lassù a riposare in seno alla nostra vera famiglia universale per risentire e rivivere quella felicità che durante le penose esperienze terrene avevamo dimenticato. Ritorniamo dopo sulla Terra, nuovamente dimentichi di quella grande gioia, per completare i cicli della nostra esperienza terrena.
nel libero commento di Giovanna Viva
e Graffiacan, che li era più di contra, li arruncigliò le 'mpegolate chiome 36 e trassel sù, che mi parve una lontra.
I' sapea già di tutti quanti 'l nome, sì li notai quando fuorono eletti, 39 e poi ch'e' si chiamaro, attesi come.
«O Rubicante, fa che tu li metti li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!», 42 gridavan tutti insieme i maladetti.
E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi è lo sciagurato 45 venuto a man de li avversari suoi».
Lo duca mio li s'accostò allato; domandollo ond'ei fosse, e quei rispuose: 48 «I' fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d'un segnor mi puose, che m'avea generato d'un ribaldo, 51 distruggitor di sé e di sue cose.
Poi fui famiglia del buon re Tebaldo: quivi mi misi a far baratteria, 54 di ch'io rendo ragione in questo caldo». e Graffiacane che gli era dirimpetto e più vicino, afferrò col runciglio le impeciate chiome di quel peccatore che perdeva il tempo della pena, lo emerse ed a me parve una lontra.
Quel peccatore che aveva chiome così abbondanti da potersi afferrare col runciglio, viveva evidentemente il suo Karma in corpo da bestia, anche perché "appariva come una lontra", ed era inoltre punito da "Graffiacane".
Dopo la similitudine con i delfini e con le rane, seguirà quella con i topi e con le anatre; possiamo pertanto dedurne che questi dèmoni svolgevano la loro missione punitiva tra le bestie e le piante, nei regni cioè Vegetale e Animale, dove anche le anime umane, tra l'una e l'altra vita, bruciavano il loro Karma in corpo da bestia o da pianta. Io conoscevo già il nome di tutti i diavoli da quando erano stati scelti da Malacoda e attesi per sentrire ancora come si chiamavano fra loro. «O Rubicante, mettigli gli unghioni addosso così che tu lo scuoi!», gridavano quei demoni tutti assieme. Ed io: «Maestro mio, cerca di sapere, se puoi, chi è quello sciagurato caduto in mano dei suoi avversari». Virgilio, accostandosi, gli chiese chi fosse, e quello rispose: «Io nacqui nel regno di Navarra. Mia madre che mi aveva generato con un ribaldo, mi mise poi a servizio da un signore. Poi fui "famiglio" del buon re Tebaldo II di Navarra; mi misi a far guadagni illeciti, della qual colpa ora pago il fio».
È da presumere che qui sia stato scritto inizialmente "fui famiglio" e non "famiglia". Un tempo le famiglie nobili avevano numerosissimi componenti. Allora i figli sposati restavano a vivere nella famiglia di origine, per cui questa si reggeva a struttura patriarcale. Nel palazzo, oltre ai domestici (e questo io ben ricordo) vivevano ancelle, dame di compagnia ed anche impiegati addetti alle conduzioni delle terre e delle fattorie, "amministratori e fattori", i quali avevano gli uffici nel palazzo. C'erano inoltre i calzolai che avevano, per il loro lavoro, una stanzetta, che era spesso un bugigattolo senza finestre, con una porticina che si apriva sul muro esterno. Vi erano i "ramari", che accomodavano oggetti diversi di rame, da cucina e i cerchi di ferro che servivano a rinforzare le ruote delle carrozze e dei carri agricoli, uomini di fatica adibiti al trasporto dell'acqua attinta dalle cisterne della casa ed usata per riempire le piscine delle stanze. Vi erano gli addetti alle scuderie che governavano i cavalli e facevano anche i maniscalchi; alcuni di questi, specie i cocchieri, dormivano su brande poste nelle stesse stalle dove dormivano i cavalli. Questi lavoranti dovevano prestare servizio esclusivamente alle persone del palazzo; accettare lavoro dagli estranei era un reato che veniva severamente punito secondo le decisioni del capofamiglia. Tutti questi venivano chiamati "famigli".
nel libero commento di Giovanna Viva
E Cïriatto, a cui di bocca uscia d'ogne parte una sanna come a porco,
57 li fé sentir come l'una sdruscia. Tra male gatte era venuto 'l sorco; ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
60 e disse: «State in là, mentr'io lo 'nforco». E al maestro mio volse la faccia: «Domanda», disse, «ancor, se più disii
63 saper da lui, prima ch'altri 'l disfaccia». Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii conosci tu alcun che sia latino
66 sotto la pece?». E quelli: «I' mi partii, poco è, da un che fu di là vicino.
Così foss'io ancor con lui coperto,
69 ch'i' non temerei unghia né uncino!»
E Libicocco «Troppo avem sofferto», disse; e preseli 'l braccio col runciglio,
72 sì che, stracciando, ne portò un lacerto. Draghignazzo anco i volle dar di piglio giuso a le gambe; onde 'l decurio loro
75 si volse intorno intorno con mal piglio.
Quand'elli un poco rappaciati fuoro, a lui, ch'ancor mirava sua ferita,
78 domandò 'l duca mio sanza dimoro: «Chi fu colui da cui mala partita di' che facesti per venire a proda?»
81 Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita, E Ciriatto (dal greco "ciros", porco selvatico: cinghuale), al quale da ogni parte della bocca usciva una zanna come a un porco, gli fece sentire come una sola delle sue zanne lacerava la carne.
Una sola delle zanne di Ciriatto, visto quale portatore di espiazione, potrebbe anche paragonarsi ad un bisturi chirurgico. Fra le cattive gatte, arrabbiati felini, era caduto quel topolino indifeso, ma Barbariccia, chiudendolo fra i denti del forchettone, disse agli altri: "State in là fino a che io lo tenga inforcato".
Questo gesto potrebbe paragonarsi ad un temporaneo riposo nella "Misericordia" durante una penosa espiazione. E rivoltosi al maestro: «Domanda», disse, «se tu vuoi sapere altro da lui chiediglielo pure, prima che gli altri punitori ne facciano strazio». Allora Virgilio: «Or dimmi sotto la "pece" (nel suo stesso dolore espiativo) hai conosciuto qualcun altro che fosse "latino" italiano?». E quello: «Mi sono allontanato, da poco, da un tale che fu di vicino all'Italia. E fossi io restato ancor con lui coperto dal pericolo di maggior peccato, perché ora non temerei né unghia, né uncino purificatore!»
E Libicocco «Troppo abbiamo pazientato nell'attesa dei vostri discorsi», disse; e siccome la Giustizia deve seguire il suo corso, gli afferrò il braccio col runciglio, così che, trascinandolo, gli portò via un brandello.
Anche Draghinazzo volle dar piglio giù nelle gambe, per cui il "decurio" Barbariccia, capo della decina, si volse intorno con piglio minaccioso accorgendosi che i punitori si scagliavano avventatamente senza badare all'adeguata misura della punizione.
Quando essi furono alquanto calmati, il duca mio, mentre il peccatore ancor guardava la sua ferita, gli domandò senza indugio:
«Chi fu colui dal quale tu dici di esserti sventuratamente allontanato?» Ed egli rispose: «Fu frate Gomita,
nel libero commento di Giovanna Viva
quel di Gallura, vasel d'ogne froda, ch'ebbe i nemici di suo donno in mano,
84 e fé sì lor, che ciascun se ne loda. Danar si tolse, e lasciolli di piano, sì com'e' dice; e ne li altri offici anche 87 barattier fu non picciol, ma sovrano.
Usa con esso donno Michel Zanche di Logodoro; e a dir di Sardigna
90 le lingue lor non si sentono stanche. Omè, vedete l'altro che digrigna: i' direi anche, ma i' temo ch'ello
93 non s'apparecchi a grattarmi la tigna». E 'l gran proposto, vòlto a Farfarello che stralunava li occhi per fedire,
96 disse: «Fatti 'n costà, malvagio uccello!» «Se voi volete vedere o udire», ricominciò lo spaurato appresso
99 «Toschi o Lombardi, io ne farò venire; ma stieno i Malebranche un poco in cesso, sì ch'ei non teman de le lor vendette;
102 e io, seggendo in questo loco stesso, per un ch'io son, ne farò venir sette quand'io suffolerò, com'è nostro uso
105 di fare allor che fori alcun si mette». Frate Gomita li prosciolse da false accuse tendenti a confiscare i loro beni e, per non violare le leggi imposte dal Visconti, pagò il loro riscatto col suo denaro, "danar si tolse" e li liberò "di piano", così come si suol dire "sì com'e' dice" e anche in altre sue funzioni fu "barattiere", non misero "non picciol", bensì sovrano, al di sopra di ogni baratteria egli mutò, nei suoi scambi, il falso in leale e pertanto il Visconti lo condannò all'impiccagione.
Usa parlar con lui don Michele Zanche di Logodoro e a parlar della Sardegna le loro lingue non sono mai stanche.
Oimé, vedete Farfarello, altro diavolo che digrigna: io racconterei ancora, ma temo che egli si prepari "a grattarmi la tigna" a conciarmi per le feste».
E Barbariccia, gran proposto a capo della decina, rivolto a Farfarello che stralunava gli occhi preparandosi a ferire, disse: «Scostati, malvagio uccello!»
«Se voi volete vedere o udire», ricominciò: lo spaurito peccatore «Toscani o Lombardi, io ne farò venire qui alcuni;
ma i Malebranche cessino per un po' la loro funzione, così che quelli non temano la punizione; ed io, restando in questo luogo stesso, per un ch'io sia, invece di me soltanto, nelle vostre mani ne metterò sette, allorché lancerò loro il nostro segnale di intesa, affinché essi escano dalla bolgia tranquillamente».
nel libero commento di Giovanna Viva
Cagnazzo a cotal motto levò 'l muso, crollando 'l capo, e disse: «Odi malizia
108 ch'elli ha pensata per gittarsi giuso!» Ond'ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia, rispuose: «Malizioso son io troppo,
111 quand'io procuro a' mia maggior trestizia». Alichin non si tenne e, di rintoppo a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,
114 io non ti verrò dietro di gualoppo, ma batterò sovra la pece l'ali.
Lascisi 'l collo, e sia la ripa scudo,
117 a veder se tu sol più di noi vali». O tu che leggi, udirai nuovo ludo: ciascun da l'altra costa li occhi volse;
120 quel prima, ch'a ciò fare era più crudo. Lo Navarrese ben suo tempo colse; fermò le piante a terra, e in un punto
123 saltò e dal proposto lor si sciolse. Di che ciascun di colpa fu compunto, ma quei più che cagion fu del difetto;
126 però si mosse e gridò: «Tu se' giunto!». Ma poco i valse: ché l'ali al sospetto non potero avanzar: quelli andò sotto,
129 e quei drizzò volando suso il petto: Cagnazzo a questo discorso, levò il "cagnesco" muso (subodorando l'inganno del peccatore che paurosamente e furbescamente attendeva il ritirarsi dei diavoli affinché avesse via libera per fuggire alla pena dei graffi dei roncigli), scrollando il capo, e disse: «Odi malizia che egli ha escogitato per potersi gettarre giù nella pece e sfuggire ai graffi!» Perciò il peccatore che aveva espedienti astuti inabbondanza, per rendere più credibili le sue parole, rispose: «Io sono troppo malizioso, specie quando procuro tormenti maggiori e divento più tristo».
Il peccatore cercava di sfuggire al maggior dolore dei graffi, gettandosi nella "pece bollente", che rispecchia i dolori della vita, ma presenta minore tribolazione dei roncigli che, come già detto, raffigurano la pena di altre sofferenze, quali incidenti, interventi chirurgici, ecc.) Alichino non si trattenne dal pensiero di sfidarlo e in contrasto con gli altri diavoli, disse: «Se tu fuggi per gettarti giù, io non ti verrò appresso come gli altri, ma batterò le ali sopra la pece (perché tu raggiunga quel grado di tormento per te prestabilito). Ed ora lasciamo l'alto colle e facciamoci pure scudo dell'argine, constaterai tu stesso dell'impossibilità di sfuggire alla Volontà superiore che si svolge per nostro mezzo». O tu che leggi queste rime, intendi il significato di questa nuova gara: ciascuno dei diavoli, compreso quello che inizialmente era il più restio a fare ciò, volse lo sguardo dall'altro lato. Il Navarrese colse il momento propizio, puntò i piedi per terra, prese lo slancio e si tuffò nella pece, liberandosi così dalla proposta di far punire con i roncigli i compagni di pena da lui proditoriamente chiamati. Per tal motivo tutti i diavoli furono punti dalla coscienza di colpa e Alichino, che più degli altri si riteneva colpevole per avergli dichiarato che non lo avrebbe seguito, gridò: «Ora sarai raggiunto!». Ma a poco valse tale minaccia, poiché le sue ali incerte di fronte alla pece bolente, non poterono avanzare. Il Navarrese andò sotto, mentre Alichino si drizzò volando al di sopra della pece:
Qui si evidenzia ancora che il cosiddetto "diavolo", appunto perché altro non era che uno Spirito al servizio della Giustizia Divina, non potette tuffarsi nel negativo dei peccati del mondo, la "pece", per inseguire il peccatore, il quale, al contrario, nella pece bollente si tuffò facilmente per trovare scampo. Ciò significa che il peccatore era ben intriso di male, mentre il "diavolo" non lo era.
nel libero commento di Giovanna Viva
non altrimenti l'anitra di botto,quando 'l falcon s'ap pressa, giù s'attuffa,
132 ed ei ritorna sù crucciato e rotto. Irato Calcabrina de la buffa, volando dietro li tenne, invaghito
135 che quei campasse per aver la zuffa; e come 'l barattier fu disparito, così volse li artigli al suo compagno,
138 e fu con lui sopra 'l fosso ghermito. Ma l'altro fu bene sparvier grifagno ad artigliar ben lui, e amendue
141 cadder nel mezzo del bogliente stagno. Lo caldo sghermitor sùbito fue; ma però di levarsi era neente,
144 sì avieno inviscate l'ali sue. Barbariccia, con li altri suoi dolente, quattro ne fé volar da l'altra costa
147 con tutt'i raffi, e assai prestamente di qua, di là discesero a la posta; porser li uncini verso li 'mpaniati, ch'eran già cotti dentro da la crosta;
151 e noi lasciammo lor così 'mpacciati. non altrimenti fa l'anatra fulmineamente quando il falco si lancia a ghermirla, essa si tuffa nell'acqua, che è il suo ambiente naturale, così come era la pece per il peccatore, mentre il falco, che nell'acqua non può seguirla, ritorna su crucciato e vinto. Calcabrina, irato per la beffa subita ad opera del Navarrese, tenne dietro ad Alichino, sperando che egli riuscisse a far emergere dalla pece il peccatore, affinché avesse la giusta punizione; e come il barattiere fu sparito nella pece, egli volse gli artigli al suo compagno ritenendolo colpevole dell'accaduto e fu con lui avvinghiato sopra il fosso. Ma l'altro fu simile a rapace grifone nell'artigliare fortemente il suo compagno e caddero insieme nel mezzo del bollente stagno. Il calore li avvolse separandoli, ma essi furono incapaci di sollevarsi per via delle ali impeciate. Barbariccia, come gli altri addolorato per l'accaduto, fece volare sveltamente, con tutti i raffi, quattro di loro di qua e di là, essi discesero sul posto e porsero gli uncini verso i due invischiati, perché vi si sorreggessero, poiché la loro rivestitura corporea demoniaca, per via della pece, era divenuta tutta una crosta; e noi li lasciammo così stravolti.
E coinvolti da quel malefico fumo impeciato, causato dalla espiazione del male umano che, nella sua diabolica forza, può creare perfino un conflitto con la stessa suprema Potenza purificatrice.