P.E. Percorsi d'Eccellenza

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Marche

Percorsi d’Eccellenza

PE Aprile 2016 / 1



P.E. Percorsi d’Eccellenza nelle Marche è una pubblicazione de Il Paesaggio dell’Eccellenza, Associazione della Cultura di Impresa Direttore Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisci Vicedirettore Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisci Redazione Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisci elit, sed eiusmod tempor incidunt ut labore et dolore magna aliqua ut enim ad minim veniam, quis nostrum exercitationem ullam corporis suscipit laboriosam, nisi ut aliquid ex ea commodi consequatur Segreteria direzione Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisci Collaboratori Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisci elit, sed eiusmod tempor incidunt ut labore et dolore magna aliqua ut enim ad minim veniam, quis nostrum exercitationem ullam corporis suscipit laboriosam, nisi ut aliquid ex ea commodi consequatur Editore Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisci Pubblicazione Periodica Numero 0, Aprile 2016 Quadrimestrale Progetto grafico Dalila Niespolo Stampa Adverso Paper & Plan Via Milano 4, 63100, Ascoli Piceno

Il Paesaggio dell’Eccellenza, Associazione della Cultura di Impresa Sede legale: Comune di Recanati Piazza Leopardi, Recanati tel +39 334 9157632 fax +39 071 7507080 info@paesaggioeccellenza.it www.paesaggioeccellenza.it



SOMMARIO Numero 0, Aprile 2016

In copertina

Editoriale

Vicky Lam, Bespoke Ladies Shoes, 2013 L’immagine mostra l’occorrente per la realizzazione di un paio di scarpe artigianali: la forma, i fili di spago, i ritagli che vanno a comporre la tomaia, alcuni utensili propri del mestiere. Vicky Lam lavora con WestSide Studio che lavora soprattutto sul web, occupandosi di fotografia digitale e comunicazione.

La grande bellezza

Luoghi

10 - 13

Il Distretto Calzaturiero Marchigiano Il passo del tempo

16 - 26

Tacco 15

27 - 37

Materioteca

38 - 41

La cassetta degli attrezzi Nel progetto

44 - 48

Le lavorazioni Photoessay

49 - 67

Olivia Monteforte Ars et Inventio

78 - 81

DIS, la startup artigiana Fausto Ripani, l’artigianato e i social Haute Couture & 3D printing

82 - 93

L’arte calzaturiera secondo Santoni

70 - 73 74 - 77

Rassegna

94 - 107

Il cinema a piedi Looking Around

110 - 113 114 - 117 118 - 121 122 - 125 126 - 129 130 - 136

Don’t Run - Beta Rokiwuz Shoes Adjust Marker Shoes Pikkpack Fondue Slipper


Editoriale


La grande bellezza “Ci si può chiedere come mai, in mezzo a tanti sommovimenti, guerre intestine, cospirazioni, crimini e follie, ci siano stati così tanti uomini che hanno coltivato le arti utili e piacevoli in Italia.” di Dalila Niespolo

Evidentemente, rispondendo a Voltaire, c’è in Italia, nei suoi paesaggi, nei suoi territori e nelle sue relazioni sociali, una matrice di bellezza che feconda tutte le attività, dall’arte all’industria, fino alla manifattura. Non è un bonus garantito per sempre, ma un capitale umano e sociale su cui puntare per affrontare le sfide che ci pone la modernità. Mentre la crisi sembra allentare la sua presa, diventa sempre più importante essere consapevoli, essere consapevoli del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro, o almeno di quello che vogliamo per l’Italia negli anni a venire. La crisi ci ha insegnato che solo puntando sul saper fare che il mondo ancora ci riconosce, solo rinnovando le tradizioni e guardando all’estero senza dimenticare il territorio, le comunità e i distretti, solo scegliendo la bellezza e la cultura, l’Italia avrà un futuro alla sua altezza... E perché, allora, non raccontare un pezzo di questa Italia? Le Marche, l’unica regione d’Italia con il nome al plurale, sono una terra fiera che punta a produrre e a circondarsi di eccellenze produttive. La natura dei paesaggi rispecchia il carattere della regione: abbracciate ad ovest dalla dorsale Appenninica e ad est dal mare Adriatico, le Marche sono un concentrato di bellezze tutte naturali, monumenti storici, città pittoresche da scoprire all’infinito; proprio per queste peculiarità, le Marche sono uno scrigno di quello che l’Italia può, e deve ancora, offrire: tradizione, cultura, storia, natura e saper fare. Il numero zero di P. E. - Percorsi d’Eccellenza nelle Marche è una monografia dedicata al settore calzaturiero, fiore all’occhiello della produzione regionale: il distretto calzaturiero, con le sue 3684 imprese operative, è la più grande concentrazione di imprese calzaturiere sul territorio italiano. La rivista è stata articolata in rubriche, progettate per ospitare contenuti ricercati e ordinati in un certo modo, e che, di volta in volta, analizzeranno in modo approfondito specifici aspetti del tema trattato. È un racconto in divenire, un percorso nei luoghi del saper fare, della cultura progettuale, un viaggio tra materie prime e strumenti di mestieri antichi e non, protagonisti del Made in Italy: Luoghi, la nostra prima tappa, è una mappatura del saper fare marchigiano; Il Passo del Tempo racconta il tema in chiave storica, analizzando i suoi cambiamenti e le sue evoluzioni; segue un’immersione Nel Progetto, uno sguardo alla Materioteca e alla Cassetta degli Attrezzi che racconta, con un’infografica, gli strumenti del mestiere. La rubrica Photoessay, letteralmente saggio fotografico, è costituita da una serie di fotografie pensate e scattate per emozionare il lettore: il ritratto di un artigiano e delle sue tacite conoscenze; Ars et Inventio, tradizione e innovazione, raccoglie alcune interviste fatte a chi ama sperimentare e innovare intrecciando capacità artigianali e nuove tecnologie digitali; Rassegna che, ad ogni appuntamento, lega il tema trattato al mondo dell’arte, del cinema e della musica; infine Looking Around, uno sguardo sulle realtà più innovative e sperimentali, quelle dei makers, nuovi artigiani digitali.


Marco Lamberto Micam 2015, #marcheshoesdistrict


LUOGHI Le Marche sono una regione che si è fatta da sola. Poverissimi nel dopoguerra, i marchigiani si sono rimboccati le maniche per creare un’industria che non c’era, un lavoro e un modo di produrre che, ben presto, ha dato i suoi buoni frutti: negli anni 70, quella dei distretti è diventata una realtà sempre più consolidata, sia a livello nazionale che regionale, alimentando, così, la teoria del “piccolo è bello” che riconosce nelle piccole e medie imprese italiane un fattore di forza per l’intero sistema produttivo e finanziario. da Eccellenze Produttive, Unioncamere


Luoghi

Il Distretto Calzaturiero Marchigiano Distretto Un distretto industriale è un agglomerato di imprese, in generale di piccola e media dimensione, ubicate in un ambito territoriale circoscritto e storicamente determinato, specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e sociale.

Pesaro Olivia Monteforte Bespoke Shoes

Ancona

Urbino Fermo Calzature Fausto Ripani Porto Sant’Elpidio Cristina Franceschini Design Museo della calzatura Ascoli Piceno

Industrie

Botteghe

Startup

Makers

Musei

10 / Aprile 2016 PE

Macerata DIS - Design Italian Shoes Corridonia Santoni

3684

Le realtà produttive distrettuali rappresentano il 30,4% del totale delle imprese nazionali del comparto calzaturiero.


Il Distretto ha origine nel XV secolo con le botteghe artigiane di calzature destinate ai mercati cittadini; gli statuti cittadini e quelli delle associazioni di mestiere testimoniano l’importanza delle corporazioni di calzolai di quell’epoca, tuttavia, gli studiosi sono per lo più propensi a far risalire l’effettiva nascita del distretto ai primi tre decenni dell’Ottocento. La produzione sviluppata era quella delle pianelle, ossia pantofole basse, con suola leggera in pelle cavallina che, in un primo tempo, furono prodotte quasi esclusivamente per i mercati; successivamente l’area d’influenza commerciale si estese allo Stato Pontificio e al Regno di Napoli.

Le altre regioni a vocazione calzaturiera hanno un’incidenza molto inferiore: la Campania con il 9,2% sul totale addetti, la Toscana con il 17,7% e la Puglia con il 13,3%. L’export calzaturiero rappresenta, infatti, oltre un quarto del totale delle esportazioni della provincia di Macerata e di Fermo; è importante ricordare che il tessuto economico della provincia di Macerata ha dimostrato una notevole capacità di adattamento e che ad oggi, pur con un distretto calzaturiero che continua a mantenere il ruolo di leadership, esistono molte realtà importanti anche esterne a questo, come ad esempio le piccole botteghe manifatturiere.

Verso il 1870 l’introduzione della macchina a pedale per cucire le tomaie facilitò l’inserimento della manodopera femminile nella produzione calzaturiera ed estese il numero dei comuni interessati. Nei primi anni del 900 vi fu una riconversione produttiva che portò all’abbandono della produzione delle tipica delle pianelle e all’avvio della realizzazione di scarpe di tipo più economico. Nel 1945 migliaia di giovani abbandonarono il lavoro nei campi per riversarsi nelle piccole botteghe che, anno dopo anno, si moltiplicarono, aumentando progressivamente fatturato ed occupati, ma è solo alla fine degli anni 60 che il Distretto calzaturiero si è concretizzato anche grazie all’inizio della produzione industriale di massa. Negli anni 70, sorge l’esigenza di svincolare dalla fabbrica alcune fasi lavorative, per gestire meglio le produzioni sempre più complesse: hanno origine, così, le imprese specializzate, come ad esempio i tacchifici, i tomaifici, i guardolifici, ecc.

Tale processo di diversificazione, avvenuto sia all’interno delle attività manifatturiere più piccole che nelle attività legate alla prestazione di servizi, ha reso questo territorio capace di resistere meglio di altri alla crisi economica di questi anni. Per questo il Distretto calzaturiero è stato spinto verso un processo di trasformazione, soprattutto a causa dei fenomeni di globalizzazione, ma non esiste un’unica e sola strategia per affrontare i problemi di competitività, bensì una pluralità di scelte messe in campo dalle aziende in relazione alle particolari e specifiche caratteristiche di ciascuna: le aziende di medie dimensioni, con un accesso diretto ai mercati, stanno cercando di avvicinarsi sempre di più al loro target di riferimento, anche aprendo sedi commerciali, stabilimenti produttivi e reti di vendita nei paesi a maggiore potenzialità, come la Cina, la Russia ed altri paesi europei che apprezzano la qualità del prodotto e ne riconoscono il valore aggiunto, frutto del saper fare artigianale italiano.

Dalle prime fasi di evoluzione del distretto ad oggi ci sono stati molti cambiamenti che hanno portato le imprese verso un prodotto sempre innovativo che fa di questo territorio la sede di alcuni dei più noti brand del Made in Italy. Le aziende del Distretto lavorano con passione, anticipano cambiamenti e innovazione, orientando la vocazione artigiana verso la nuova cultura d’impresa contemporanea; tutto ciò le ha portate sui mercati esteri, dove oggi godono di enorme popolarità. Il Distretto risulta molto articolato e comprende imprese specializzate in diverse fasi lavorative, come il taglio e l’orlatura, la produzione di fondi, tacchi e di accessori come stringhe, fibbie, etichette, oltre a molti calzaturifici che assemblano il prodotto per conto di terzi o producono tramite marchio proprio. Il Distretto continua a rappresentare, ancora oggi, uno dei pilastri dell’economia Fermano-Maceratese e continua ad essere leader in Italia, con una quota di imprese e di addetti sul totale che distanzia di una decina di punti percentuali altre regioni italiane ben più grandi delle Marche.

Le piccole imprese che, invece, continuano la produzione sul territorio, si stanno specializzando in produzioni di altissima qualità o in nicchie ad alto valore aggiunto; esistono, poi, le micro realtà delle subforniture, che si trovano in difficoltà in un mercato sempre più difficile e molto competitivo. Per quanto riguarda i punti deboli di questa realtà uno è costituito dallo scarso ricambio generazionale, l’altro dalla perdita di un enorme bagaglio culturale, quello del saper fare, dovuto anche al pensionamento delle maestranze con elevata esperienza.

PE Aprile 2016 / 11


Luoghi

TheMicam, il salone internazionale del settore calzaturiero, rappresenta un’ottima vetrina per il Distretto marchigiano. Durante l’ultima fiera, le imprese marchigiane hanno avuto un bel riscontro: sono state registrate numerose presenze ed un grande apprezzamento da parte degli operatori esteri. L’obiettivo di Milano è stato quello di allestire un’unica vetrina per presentare il territorio dal turismo fino all’enogastronomia, evidenziando anche quello che è uno dei valori riconosciuti alla regione Marche, ossia l’ottima ospitalità. Le imprese del Distretto restano, anche nella globalizzazione, delle realtà strutturate e possiedono una dimensione che presuppone sistemi di reti collaborative e di consorzi. Bisogna credere nelle opportunità rappresentate dalla nuova disciplina delle reti di impresa e sfruttarle appieno, soprattutto nel caso in cui un’azienda decida di guardare all’estero, ad esempio in Cina, dove sono necessarie molte risorse umane e finanziarie di cui le piccole imprese, spesso, non dispongono. Una forma di aggregazione di questo tipo lascia le imprese libere nella ricerca e nello sviluppo dei prodotti, permette di mantenere l’individualità pur creando il minimo comune denominatore necessario per muoversi in un mercato nel quale sono richieste dimensioni e caratteristiche che, nella strutturazione aziendale, poche realtà distrettuali sono riuscite ad ottenere nel tempo. La Camera di Commercio di Fermo, e quella di Macerata, stanno alimentando una forte sinergia con le istituzioni, a livello locale, muovendosi in territori come la Cina: già all’Expo di Shanghai, tenutasi nel 2010, le Marche, con una ventina di aziende, hanno partecipato ad una sfilata di moda di altissimo livello, alle sfilate prêt-à-porter Parigine, Russe e Londinesi, senza comunque trascurare la realtà di eventi Italiani come il Merano Wine Festival e, appunto, TheMicam. Il primo mercato di riferimento del Distretto resta comunque l’Europa, in particolare la Russia è il paese che apprezza maggiormente il prodotto per la qualità e la sua raffinata manifattura, seguono il mercato cinese e quello americano, per cui sono state adottate strategie di collaborazione a livello camerale che consentono alle imprese di aggregarsi a qualunque iniziativa pertinente promossa da una qualunque delle 5 Camere marchigiane.

Mattia Laurenzana Micam, Fiera Milano, Rho Settembre 2015

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PE Aprile 2016 / 13


Luoghi

Shoes,1977 Polaroid, Andy Warhol

14 / Aprile 2016 PE


IL PASSO DEL TEMPO Rigorosamente alto, a spillo e possibilmente senza plateau. Le scarpe occupano un posto importante nel desiderio e nella fantasia femminili: sono belle da provare, guardare, toccare. Che cosa fa una bambina per scimmiottare la mamma? La calzatura dice tutto di una donna, ne racconta la sua storia... dai cinque centimetri post guerra ai dodici dei giorni nostri, i tacchi hanno fedelmente accompagnato il piede nella scalata al successo. testi di Daniela Aquila, illustrazioni di Dalila Niespolo

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Il passo del tempo

Tacco 15 Tacco È il rialzo della scarpa attaccato alla suola, in corrispondenza e sotto al calcagno, alto da pochi millimetri a parecchi centimetri (come in molti tipi di scarpe da donna): scarpe con tacco, senza tacco; t. di cuoio, di para, di gomma; t. di legno rivestito di pelle; t. bassi, alti; t. a spillo, sottilissimi e molto alti; rompere, perdere un t.; rifare i t.; scattare sull’attenti battendo i t.; scherz. alzare i tacchi.

Un’altra calzatura tipica erano i Koma Geta, detti anche Mitsu Ashi, con tre gambe, particolarmente alti, alcune paia superavano i 20 cm d’altezza, indossati dalle Oiran, le cortigiane d’alto rango; tra queste, le più importanti erano chiamate Tayu, ed erano una figura analoga alla cortigiana veneziana del 500.

1559

Molti sostengono che la prima scarpa con tacco sia stata indossata da Caterina De Medici, durante il suo matrimonio con il duca Enrico II.

Le Chopine non comparivano sotto le vesti che dovevano essere molto più lunghe rispetto all’altezza della donna, proprio per coprire quei 40 o 50 cm aggiuntivi, un po’ come succede per i Kimono in Giappone.

Il Tacco Muoversi a Venezia, soprattutto per le donne, è sempre stato in un certo senso, difficile; Le Chopine veneziane sono state pensate proprio per ovviare a questo problema.

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Prima del 1600 non esisteva alcun tacco in uso, almeno non nel senso proprio del termine e anche se negli ultimi anni del 500 furono prodotti alcuni piccoli tacchi in legno o in sughero, prima di questo periodo i pezzi di sughero, a forma di piani inclinati, o i fogli di cuoio con cui furono sviluppati diversi modelli, ebbero uno scarso successo poiché creavano grosse difficoltà nei movimenti.

Grazie alla suola fortemente rialzata erano indossati anche con la neve o con la pioggia, al posto di sandali tradizionali come gli Zōri. Generalmente, i Geta erano indossati sia senza calzini che con appositi calzini, chiamati tabi. La calzatura è composta da una tavoletta legno grezzo, chiamata Dai con una stringa di tessuto conosciuta come Hanao.

Il tacco, in Italia, fu una risposta a problemi di ordine pratico, prima che ad esigenze estetiche: nel XVI secolo, un modello di calzatura chiamata Chopina costringeva le donne Veneziane ad arrampicarsi su zatteroni che giungevano, in certi casi, a sfiorare il mezzo metro di altezza. Tali piattaforme, di sughero o di legno, erano rivestite di cuoio o di velluto tempestato di gioielli secondo il tipo di scarpa cui dovevano abbinarsi. La Chopina, ispirata ad un modello spagnolo, ma con precedenti storici risalenti alla Grecia antica, ebbe una tale diffusione nel XV secolo da giungere quasi ad esaurire la produzione nazionale di sughero e divenne uno dei più evidenti indici di ricchezza; i calzolai veneziani impiegavano una tale profusione di oro, da indurre, tempo dopo, il governo della Serenissima a varare leggi per limitarne l’uso.

I due tasselli sotto la suola vengono chiamati Ha, anch’essi sono in legno, di solito di Kiri, ed emettono un suono particolare a contatto col suolo, che è chiamato Karankoron. Questo suono, talvolta, viene menzionato come uno dei suoni quotidiani che mancano di più ai giapponesi anziani nella vita moderna. Il Dai può variare molto: la forma può essere ovale, più femminile, o rettangolare, più maschile; il colore può essere naturale, laccato o dipinto. Questi sandali vengono indossati anche dalle apprendiste Geisha, le Maiko, che portavano dei Geta particolari chiamati Okobo, simili alle Chopine in voga nella Venezia rinascimentale. Gli Okobo sono chiamate anche Pokkuri e Koppori e vengono indossati anche dalle ragazze molto giovani oltre che dalle Maiko.

Ci volevano due aiutanti per montare su queste esagerate e poco pratiche calzature, eppure le donne le ostentavano con orgoglio, a dispetto dei risolini dei forestieri che venivano in città talvolta soltanto per ammirare queste torreggianti statue viventi. Si pensa che i mariti avessero favorito l’introduzione delle Chopine perché limitavano il rischio che le mogli andassero troppo in giro; anche le autorità ecclesiastiche, solitamente poco inclini ad approvare le ultime trovate della moda, furono da subito favorevoli alle Chopine in quanto, essendo altissime, rendevano impossibili molti movimenti, scoraggiando attività peccaminose come la danza. Nella Venezia rinascimentale, inoltre, le cortigiane erano solite indossare Chopine alte anche 50 cm, e persino William Shakespeare restò impressionato nel vedere scarpe così alte che ne inserì una citazione, come termine di misura, nel suo Amleto, quando si riferisce a Ofelia come “più vicina al cielo...dall’altezza di una Chopina”.

A differenza dei Geta veri e propri, non hanno due tasselli sotto la suola, ma un tacco unico simile ad una zeppa scavato nella parte anteriore del piede, parte che normalmente non poggia per terra; è molto difficile muoversi elegantemente su questi tacchi. Di solito, la parte in legno non è rifinita o è rifinita in modo naturale, lasciando quindi il colore originale, ma durante l’estate le Maiko indossano degli okobo laccati di nero, più sofisticati e moderni. La stringa è solitamente di colore rosso per le nuove Maiko, mentre è gialla per quelle che hanno quasi finito il loro apprendistato.

Le Chopine furono vietate, nella Repubblica Marinara, dopo che un gran numero di donne incinte abortirono in seguito a cadute; tuttavia, la moda si diffuse rapidamente sia in Francia che in Inghilterra, conquistando le classi abbienti. Parallelamente, in Giappone, troviamo i Geta, dei sandali a metà tra zoccoli e infradito che hanno una suola in legno, rialzata da due tasselli e tenuta sul piede con una stringa.

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Il passo del tempo

A differenza delle Geta, queste calzature non vengono portate con gli yukata ma con dei kimono molto formali e raffinati. Questi modelli passarono di moda, in Europa, circa due secoli dopo, quando si scoprì che una suola molto più bassa sul davanti rendeva più agevole gli spostamenti su scarpe alte. Nacque così il tacco nel senso proprio del termine. Il tacco spopolava nella Francia dell’Ancién Regime, e non solo tra le signore: Luigi XIV, il Re Sole, si faceva appositamente decorare le sue scarpe, col tacco rigorosamente rosso, con scene di battaglia. Proviene da qui la denominazione “tacco Luigi” ad indicare quella particolare forma dalla base più larga che si restringe verso il basso. Il re decretò che solo la nobiltà poteva indossare rialzi colorati di rosso, les talons rouge, e che nessuno mai avrebbe potuto portarli uguali ai suoi: la scarpa col tacco diventa il segno distintivo di appartenenza ad una classe agiata, un’élite. In generale il tacco alto è sempre stato considerato simbolo di autorità, ricchezza e prestigio: nel XVI secolo in Italia le donne dei ceti più alti portavano zeppe altissime, e lo stesso facevano, e fanno ancora, le Geishe giapponesi durante i loro celebri spettacoli di danza o durante la cerimonia del tè. Anche se le Chopine Veneziane e i diversi tipi di zeppa e piattaforma orientale sono molto simili nelle forme, non ci sono contaminazioni tra i modelli Europei e quelli Giapponesi. Le riviste e i siti dedicati alla moda propongono, oggi, modelli futuristici o ispirati a calzature antiche, come ad esempio le Chopine: proprio queste ultime, infatti, hanno ispirato Zaha Hadid. Insieme a Rem D. Koolhaas di United Nude, ha creato un paio di scarpe femminili, dalla linea eccentrica ma ergonomica, che costano 1.500 euro al paio; il modello in questione si chiama Nova, un oggetto che va oltre i limiti e i concetti di moda e architettura e che esprime alla perfezione la passione di Zaha Hadid e di Rem Koolhaas per le scarpe. Ed ecco che per loro decidere di creare una scarpa così libera da preconcetti, fuori da qualsiasi regola stilistica e con una forma completamente nuova, è stata un’inclinazione quasi naturale.

Nova, dettagli del progetto, Zaha Hadid & Rem Koolhaas Luglio 2013

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Il passo del tempo

Anche Maria Tudor, regina d’Inghilterra, a metà del XVI secolo, indossava tacchi alti perché convinta che incutessero rispetto. Niente di nuovo, quindi, nelle celebrities che incutono un mix di invidia e ammirazione con i loro modelli di Manolo Blahnik, Chanel o Jimmy Choo: la scarpa col tacco ha il potere di soggiogare, da sempre. L’invenzione dello stiletto risale agli anni 50, e il primo paio di scarpe con il tacco di questo tipo è stato realizzato da Roger Vivier per Dior. Vivier non fu però l’unico stilista a sperimentare questo nuovo tipo di tacco dalla linea sottile. Anche Andrè Perugia e Charles Jordan avevano fatto ricerche in questo campo in Francia, così come Beth Levine negli Stati Uniti e Salvatore Ferragamo in Italia, tuttavia Vivier aveva un netto vantaggio su tutti gli altri: lavorava con Dior, il sarto più chiacchierato del mondo, e l’attenzione particolarmente ossessiva che suscitava qualsiasi capo uscisse dall’atelier Francese fece sì che il tacco a spillo di Vivier fosse il primo a essere notato dalle riviste di moda. Qualsiasi stilista si fosse cimentato nella creazione di un tacco alto e affusolato, aveva dovuto fare i conti con tutti i problemi che nascevano durante la fase di sviluppo del prototipo. Il tacco tradizionale era di legno e, di conseguenza, se lo si voleva allungare era necessario che la struttura fosse massiccia, altrimenti al primo sforzo o pressione avrebbe rischiato di spezzarsi. E così il tacco affusolato dei primi anni ’50 era ancora abbastanza spesso; Vivier sperimentò i primi sandali futuristici con il tacco d’acciaio argentato di 10 cm nel 1951 e verso la metà del decennio, gli stilisti italiani adottarono lo stile di Vivier. Nel 1956, in occasione di una fiera commerciale, fu esposto un tacco di plastica, il primo, nel cui fusto era stato inserito un tappo d’alluminio che lo rendeva molto più robusto di un comune tacco di legno. Con questo nuovo stratagemma, i tacchi potevano essere ultrasottili e resistenti, e alla fine degli anni 50 il tacco da 12,5 cm era diventato di uso comune. I vari esemplari furono costruiti in modo identico, quasi seguendo lo stesso principio con cui venivano eretti i grattacieli, con un’anima affusolata di metallo rivestita in plastica, simile a una trave, a sorreggere il peso della donna che li calza. I ciabattini apprezzavano molto questo tipo di scarpa perché il piccolo salvatacco, in plastica anche esso, doveva essere sostituito di frequente per l’usura, mentre moltissimi medici, invece, ne sconsigliavano l’uso frequente, a causa del rischio di distorsioni o di fratture, cui le donne esponevano le caviglie, nonché per problemi posturali; camminare sui tacchi non era affatto semplice per la maggior parte delle donne che erano abituate ad un tacco molto meno vertiginoso e, apparentemente, molto più stabile dello stiletto che, tuttavia, divenne un accessorio fondamentale nel guardaroba femminile. Il nome Stiletto deriva dal pugnale rinascimentale caratterizzato da una lama lunga e affilata, proprio come il tacco che oggi conosciamo. 20 / Aprile 2016 PE


È stato a partire dal 1910 che gli abiti hanno iniziato a scoprire le gambe, partendo dalla punta delle scarpe fino ad arrivare, nel decennio successivo, al ginocchio; il visionario artefice di questa importante svolta fu Paul Poiret, considerato il primo stilista moderno, che rivoluzionò la sartoria introducendo strutture semplici e drappeggi al posto di corsetti. La linea impero dei suoi abiti metteva in risalto una nuova femminilità che aveva bisogno di nuovi canali espressivi: fu probabilmente questa la ragione che gli fece notare André Perugia, pioniere del shoes fashion convinto che i piedi della donna fossero rivelatori della sua personalità. Famoso per le sue sperimentazioni e innovazioni, lo stile di André Perugia dominò il mondo delle calzature di lusso nei primi del 900 e i suoi modelli restano ancora tra quelli più innovativi che siano mai stati creati per la moda femminile. Figlio di un ciabattino, veniva da un ambiente diametralmente opposto al mondo elitario della haute couture Francese, anche se fu in questo che Perugia si fece un nome. Toscano di nascita, André lavorò come apprendista, presso la bottega che il padre aveva aperto a Nizza, dove si era trasferito con la famiglia, e all’età di sedici anni ne rilevò l’eredità. Nizza era una rinomata località balneare, dove il bel mondo parigino si ritrovava per trascorrere le estati oziando e sperperando fortune nei numerosi casinò della zona turistica.

Il modello Piscine, del 1955, è un omaggio di André Perugia a Georges Braque, pittore e scultore Francese, che, con Picasso, è stato uno degli iniziatori del movimento Cubista. La calzatura è stata realizzata in pelle di capretto, con motivi decorativi che richiamano le scaglie dei pesci. Sopra: Bottle and Fish, Georges Braque, 1941.

Perugia capì che quello era il pubblico perfetto per le sue calzature e convinse il proprietario di uno degli alberghi più esclusivi della città a riservagli una delle sue vetrine per mettere in mostra le sue scarpe. Non solo riuscì ad attirare l’attenzione del pubblico femminile, ma i modelli attirarono anche l’attenzione di Paul Poiret che da quel momento prese il giovane Perugia sotto la sua ala protettrice, invitandolo a presentare le sue creazioni nell’atelier che aveva a Parigi ed offrendogli così la possibilità di entrare in contatto con una clientela di gran lunga più raffinata rispetto a quella di Nizza.

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Il passo del tempo

Tuttavia, questo brillante inizio di una carriera potenzialmente lucrativa fu interrotto bruscamente dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, durante la quale, Perugia fu scelto per lavorare in una fabbrica di aeroplani militari. La svolta apparentemente negativa presa dagli eventi si sarebbe rivelata, al contrario, enormemente utile per lo sviluppo del suo senso estetico. Circondato dai macchinari bellici, André Perugia fu introdotto a tecniche ingegneristiche che avrebbero trasformato tutte le sue idee in materia di design e lo avrebbero portato a sviluppare una serie di prototipi di tacchi aerodinamici che anticiparono lo stiletto degli anni 50. Per Perugia la progettazione di un modello era tutta incentrata sulla precisione; affermava, infatti, che un paio di scarpe doveva essere perfetto come un’equazione matematica, e regolato al millimetro, come un sofisticato meccanismo. Andrè Perugia cominciò a farsi un certo nome negli anni 20, dopo aver aperto un negozio sulla Rue du Fauborg Saint-Honorè nel 1921, creando modelli per stelle del cinema come Paola Negri e Gloria Swanson, per le quali il suo tacco di merletto nero divenne una sorta di segno distintivo. Lo stilista continuò anche la collaborazione con Poiret e nel 1924 creò il modello Le Bal, un fantasioso paio di scarpe che celebrava la nota passione di Poiret per i ricevimenti. Ogni scarpa era ornata con pesanti ricami e aveva un motivo centrale ottenuto con un fitto mosaico di granelli di pietre dure che raffigurava, su una scarpa, il ritratto di Poiret, e sull’altra quello di Denise, sua moglie e musa ispiratrice. Ad ogni stagione, Perugia faceva di tutto per conquistarsi l’onore delle cronache mondane con qualche stravagante modello sperimentale, così, negli anni 20, le sue collezioni erano ispirate alla moda imperante delle décolleté con cinturino singolo o a squadra, in una gamma di tinte straordinarie come il bronzo brunito o l’oro metallizzato. La sua fama era dovuta anche all’uso di materiali esotici e molto pregiati: crine di cavallo nero brillante, antilope e pelle di serpente, entrambi con riflessi brillanti, camoscio color porpora, capretto dorato o coccodrillo perlaceo e persino lama peruviano. La sua abilità stava nel mettere assieme materiali diversi, come, ad esempio, raso color champagne e broccato metallizzato, o vitello dorato e velluto… Anche tutte le chiusure venivano curate in ogni dettaglio: le fibbie erano magnificamente lavorate o smaltate e i bottoni laterali erano dorati e avevano la forma di boccioli di rosa in miniatura. Ciò che distingueva di più André Perugia dai suoi predecessori, come Yanturni o Pinet, era il fatto che, grazie alla sua esperienza ingegneristica, fu il primo a capire davvero come fosse fatta una calzatura a livello ergonomico, applicando tutte queste conoscenze alla progettazione dei suoi modelli.

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Come gli altri maestri, anche Perugia aveva l’abitudine di prendere il calco di gesso del cliente, con le relative misure, ma per lui il compito più affascinante era quello di calcolare il rapporto tra la scarpa e il tacco, e il modo in cui il peso era distribuito lungo il corpo e dal piede alla scarpa. Per lui la funzionalità, il rapporto tra la forma della scarpa e il giusto equilibrio del tacco erano molto più importanti di qualsiasi moda. Perugia continuò a produrre scarpe di sbalorditiva originalità e inventiva nell’arco di un cinquantennio; si diceva addirittura che fosse solito parlare con tutte le sue creazioni e i suoi modelli, il che gli valse la fama di genio creativo ed eccentrico ... Perugia giunse a sostenere che il modo migliore per poter svelare la personalità di una donna era lo studio anatomico dei piedi: “neanche la donna più ricca del mondo potrebbe convincermi a creare per lei un brutto paio di scarpe…” era solito affermare in atelier, di fronte alla sua colta e raffinata clientela.

Sopra: French, André Perugia, 1926. Nella pagina accanto: alcuni dettagli dei ricami e delle chiusure più utilizzate dallo stilista. Dall’alto, un dettaglio della Spiral Heel Shoe, del 1948; segue “l’occhio” del modello Piscine; un ricamo della tomaia delle Pumps; in ultimo la chiusura degli Evening Sandals. Sotto: Evening Sandals, André Perugia, 1929.

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Il passo del tempo

Quando i tacchi a spillo erano applicati a modelli a ciabatta era particolarmente difficile camminarci, poiché l’inclinazione della suola faceva sbattere il retro della scarpa facendola volare via all’improvviso. Un rimedio a questo inconveniente fu trovato con l’invenzione di un inserto elastico che serviva a tenere la suola in tensione e a spingerla verso l’alto per tenere il piede a stretto contatto col quarto anteriore. Realizzato, nel 1954, da Maxwell Sachs, questo ingegnoso sistema fu usato per la prima volta quello stesso anno sulle calzature disegnate dallo stilista e progettista Herbert Levine. Le sue scarpe a calamita, così chiamate perché l’elastico sembrava tenere il piede attaccato alla suola come una calamita, erano realizzate in crepe di seta nera o, comunque, molto scura. Arrivati al 1959, il tacco a spillo aveva raggiunto la massima altezza: 15 cm di acciaio affilato ricoperto di materiale plastico, con una punta di ferro che faceva le scintille a contatto con l’asfalto della strada. Più si alzavano i tacchi e più si allungavano le punte, le scarpe somigliavano, così, alle Poulaine del XIV secolo, almeno nelle proporzioni. Il modello fu chiamato Winklepicker, dal nome dello strumento usato per togliere le lumache di mare dai loro gusci. L’evidente feticismo di questo look sexy e trasgressivo cominciò a provocare commenti: ritenuti simbolo di aggressività, di provocazione sessuale e di sfida giocosa, gli stiletto divennero ben presto l’emblema della bad girl. Negli anni 60, così, il tacco a spillo registrò un calo di popolarità contemporaneamente all’avvento di stivali e scarpe a tacco basso, ritenuti più adatti ad accompagnare salopette e minigonne, ma tornò in auge alla fine degli anni 70 e poi negli anni 90. Negli anni 80 ci fu un nuovo trend dei tacchi a spillo vertiginosi, in metallo, di Thierry Mugler ed un nuovo tipo di tacco a cono, creato da Maud Frizon ma usato anche da Bruno Magli, Andrea Pfister e Manolo Blahnik nel corso di tutto il decennio. Il tacco a cono era sagomato come un tronco di cono, con una linea tozza ma più futuristica dello stiletto; fu proprio il marchigiano Andrea Pfister che si divertì a giocare con il nome del tacco, dandogli l’aspetto di un cornetto ripieno di gelato multicolore che sembrava colare dal retro della scarpa; oggi le proposte sul mercato sono molto ampie e variegate: i grandi classici, come lo stiletto, la zeppa, il tacco a cono restano sempre attuali, mentre si sperimentano nuove strade, forme e materiali anche e soprattutto grazie alla stampante 3D.

Bouquet, Peter Lippmann per Christian Louboutin, Lookbook Primavera/Estate 2014

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Luoghi

Macchina Fotografica Distanza Focale Apertura Esposizione Le fotografie di questa rubrica raccontano il materiale in chiave sensoriale, abbinandosi ai sensi della vista, del tatto, dell’olfatto e dell’udito. Per ogni scatto sono fornite alcune indicazioni progettuali: la macchina fotografica utilizzata per lo scatto, la distanza focale, l’apertura e l’esposizione.

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MATERIOTECA Il termine materioteca indica delle strutture che espongono campioni dei piÚ diversi materiali e raccolgono documentazione su di essi; la peculiarità delle materioteche sta nel fatto che consentono un approccio diretto alla dimensione tattile e percettiva dei materiali, oltre che a quella prettamente tecnologica: i materiali possono essere visionati, toccati ed esplorati nelle loro caratteristiche estetiche e sensoriali. In questo numero ci occupiamo di pelle e cuoio, ingredienti basilari per la costruzione di una calzatura. testi di G.A. Bravo, Storia del Cuoio e dell’Arte Conciaria

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Materioteca

La pelle, o cuoio, è il materiale ricavato dal pellame degli animali e che, in seguito ad un processo denominato concia, viene resa imputrescibile; nella maggior parte dei casi la pelle si ottiene da animali allevati a scopi alimentari; i cuoiami più utilizzati, infatti, sono quelli di bovini, ovini, caprini, suini, equini, pesci, ma anche cavalli, cervi, rettili e struzzi. Il cuoio ha caratteristiche di resistenza e di igiene molto elevate che lo rendono particolarmente adatto alla produzione di molti manufatti di uso comune. È risaputo che le calzature in cuoio favoriscono la traspirazione e quindi evitano lo sviluppo di funghi, muffe e altre patologie della pelle e del piede prodotte dal ristagno di umidità all’interno della calzatura; si dice, infatti, che il cuoio respira, in quanto si lascia attraversare dal vapore acqueo prodotto dal corpo.

In tempi più recenti l’arte di conciare e di decorare in vari modi il cuoio, anche con ceselli, impressione di immagini a rilievo, lamine d’oro, pigmenti, ecc. fu sviluppata dagli Arabi e, da questi trasmessa, agli Europei; molto noti sono i cuoi di Cordova, prodotti nell’omonimo comune spagnolo, decorati con rilievi su fondi d’oro, cesellati e dipinti, usati per tappezzeria, legatoria, fodere, e sedili; sono cuoiami lisci al tatto, molto pesanti e rigidi. Durante il Rinascimento, l’arte di lavorare il cuoio ebbe un grande sviluppo anche in Italia: cuoi bulinati o rivestiti con lamine di oro, furono usati per rivestire pareti, prendendo in questo caso il nome di corami. Risalgono a quei tempi alcuni tipi di cuoio che prendevano il nome dalla loro provenienza geografica o dalla tecnica di produzione.

La particolare struttura del cuoio, costituito da un intreccio tridimensionale di fibre di collagene, fa sì che esso abbia anche proprietà termoisolanti, molto utili nella stagione invernale; per questi motivi, oltre che per gli aspetti estetici e di piacevole sensazione tattile, sono ancora numerosi i tentativi di produrre materiali che imitano il cuoio, ma se essi si presentano visivamente simili, non possiedono le caratteristiche funzionali dovute alla tipica struttura, non imitabile, del vero cuoio. Per questi motivi, a difesa del consumatore, si è reso necessario definire dal punto di vista legislativo quali materiali possano essere definiti cuoio e sono stati creati anche i marchi registrati Vero Cuoio e Vera Pelle che possono essere applicati sul cuoio o sul manufatto con l’autorizzazione dell’Unione Nazionale Industria Conciaria, proprietaria del marchio.

Tra questi ricordiamo il cuoio di Russia, detto anche cuoio Bulgaro, che è conciato al vegetale ed ha un odore particolare dovuto alle essenze contenute nella corteccia di betulla; il cuoio bollito, invece, è ottenuto da pelli bovine riscaldate in una miscela di cera, gomma, resina e colla; è una tipologia di cuoio che si presenta morbido al tatto e malleabile; il cuoio maschereccio, proveniente da pelli bovine pesanti, è conciato all’allume, un composto dell’alluminio, ed è utilizzato per bardature e selleria, è un cuoio molto rigido e pesante; Il cuoio grasso, con utilizzi più specifici, è conciato al vegetale con i tannini ed è utilizzato nell’industria d calzature pesanti, come quelle di sicurezza e quelle anti-infortunistiche, ma anche per valigeria e per la produzione di cornici particolarmente elaborate, per vassoi, astucci, fodere e borse.

La produzione di pelli risale ai tempi preistorici, quando l’uomo si accorse che, per proteggersi dal freddo e dalle intemperie, poteva utilizzare il pellame degli animali che cacciava per nutrirsi; la pelle è un materiale organico e, in quanto tale, si degrada con la putrefazione, tuttavia, l’uomo si accorse che le pelli esposte al fumo dei fuochi, duravano molto di più: aveva scoperto la concia alle aldeidi, una classe di composti chimici di cui il fumo è ricco e alcuni dei quali vengono utilizzati ancora oggi. Analogamente, scoprì la concia al vegetale con tannini, quando si accorse che se la pelle era stata a contatto con acqua, rami o foglie, si colorava di marrone e durava molto di più: ancora oggi i tannini vegetali, sotto forma di estratti, vengono utilizzati per produrre alcuni tipi di cuoio; la concia al vegetale è è la più tradizionale e riconoscibile; l’unica capace di dare al cuoio proprietà inconfondibili e versatilità d’impiego; il tannino è il fondamento di questo tipo di concia e si trova in molti tipi di alberi e piante. La pelle conciata al vegetale assorbe le tracce del vissuto, invecchia, ma non si rovina e sono proprio i cambiamenti e le personalizzazioni che avvengono col tempo e con l’uso a testimoniare la naturalezza e la qualità del prodotto finito; le colorazioni dei tannini conferiscono col tempo calde tonalità al pellame, che tendono a riaffiorare in superficie con l’uso.

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Pentax K100D 55.0 mm 5.6 400

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Materioteca

Pentax K100D 50.0 mm 1.8 400

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Materioteca

Pentax K100D 183.0 mm 5.6 1600

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Materioteca

Pentax K100D 150.0 mm 5.6 3200

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Materioteca

Pentax K100D 50.0 mm 14.0 200

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Luoghi

Griglia di taglio, utilizzata dal calzolaio per tagliare la pelle

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LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI Quali sono gli strumenti con cui lavora un calzolaio? In questo numero apriamo la sua cassetta degli attrezzi, per entrare in un mondo fatto di utensili, segreti e trucchi del mestiere... Trincetto, punzone, pinza per occhielli, bussetto e marca punti... Ma cosa sono questi strumenti sconosciuti, e a cosa servono? Infografica di Dalila Niespolo

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La cassetta degli attrezzi

Forma di montaggio Ăˆ un elemento indispensabile per la costruzione della scarpa perchĂŠ costituisce l’ingombro e la misura del piede.

Pinza per occhielli Piccola tenaglia con un pistone per forare la calzatura, è usata anche per i bottoni, i ganci e per gli occhielli.

Manico La forma segue la funzione: la penna, la parte a punta, serve a ridurre le pieghe della tomaia nel montaggio, la parte rotonda e bombata per battere la tomaia e la suola.

Tinture Servono a tinteggiare le pelli; spesso queste miscele riparano persino i graffi superficiali che si formano sulla pelle; le tinte devo abbinarsi bene al colore della calzatura.

Pinza di montaggio Serve per montare la pelle sulla forma del modello, con la parte ricurva, invece, si batte.

Tenaglie Due leve incrociate e imperniate che servono per afferrare e stringere.

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Trincetto La lama curva è utilizzata per il taglio del cuoio, favorito dalla sua curvatura; sono disponibili trincetti con varie inclinazioni.

Lesina È una robusta asticella d’acciaio appuntita che serve per forare il cuoiame che deve essere poi cucito con lo spago.

Punzone È utilizzato per fare segni e tratti sul cuoio.

Bussetto Arnese che serve a lustrare e a tagliare la suola.

Marca punti Arnese con una rotellina che serve per segnare e marcare i punti sulla suola.

Tirasuole Arnese per tendere e pressare le suole.

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Nel progetto

Feit Goodyear Hiker per Park & Bond, 2012

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NEL PROGETTO Ogni scarpa realizzata a mano è un capolavoro pronto a sfidare il tempo, porta con sé il fascino di lavorazioni che hanno secoli di storia, l’orgoglio di una cultura del saper fare che non è stata eguagliata dall’innovazione. Ma come si assembla una calzatura? Naturalmente cucendola, unendo tutti i singoli pezzi, fino a formare una struttura solida e resistente, pronta per l’uso; esistono diverse tecniche di cucitura, la maggior parte manuale; sono lavorazioni antiche, alcune rivedute e modernizzate, tramandate fino a noi tacitamente... infografica di Dalila Niespolo

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Nel progetto

Le lavorazioni Per comprendere pienamente cos’è una cucitura Goodyear o una cucitura Norvegese bisogna conoscere gli elementi che compongono una calzatura; in figura sono illustrate, seguendo la numerazione, tutti le componenti: la tomaia, il sottopiede, il guardolo e la suola; sul prodotto finito riusciamo a distinguere al massimo tre elementi e cioè la suola, la tomaia e, in alcuni casi, le cuciture, ma in realtà gli elementi fondamentali sono molti di più. 1. La tomaia è l’insieme di tutte le parti in pelle tagliate e poi cucite insieme per formare il modello di calzatura che si vuole ottenere; 2. il sottopiede, in cuoio morbidissimo, è l’elemento su cui si regge la tomaia una volta estratta dalla forma su cui è stata modellata; 44 / Aprile 2016 PE

3. il guardolo è una striscia di cuoio che viene cucita, con alcune varianti a seconda della lavorazione, alla tomaia e al sottopiede per delineare il perimetro della suola, l’elemento finale; 4. la suola viene cucita al guardolo o al sottopiede, a seconda della tecnica di costruzione adoperata, e va a completare la struttura della scarpa. 5. La fodera viene cucita direttamente alla tomaia e alla suola nella lavorazione Blake; 6. il soletto è un altro elemento che troviamo nella costruzione San Crispino, dove è cucito alla tomaia seguendo i fori precedentemente realizzati; 7. lo specchio è l’elemento fondamentale del metodo Tubolare, per scarpe estremamente flessibili. 8. Infine la suola in morbido sughero.


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Nel progetto

Il Metodo Goodyear Nel campo delle calzature maschili, la tecnica di lavorazione Goodyear è stata riconosciuta come una delle più apprezzate e raffinate, nonché come una delle più complesse e difficili da realizzare a regola d’arte.

Brevettata durante il 1800 da Charles Goodyear, l’inventore delle scarpe inglesi, che ne meccanizzò il procedimento produttivo, la lavorazione Goodyear assicura una calzatura elegante, robusta e molto confortevole; non a caso le scarpe prodotte secondo questo metodo, sono state definite più volte le Rolls Royce del settore calzaturiero artigianale. La lavorazione prevede l’utilizzo di un guardolo che corre lungo tutto il perimetro della calzatura: nella prima fase, il guardolo viene cucito alla tomaia e alla fodera, mentre nella seconda, la parte inferiore viene fissata dall’interno alla suola, creando uno spazio che verrà riempito con un’intersuola in sughero morbido e malleabile che, oltre a rendere la scarpa impermeabile e traspirante, ne fa anche un modello durevole ed immediatamente riconoscibile grazie alla suola, più alta rispetto a quelle utilizzate nelle altre costruzioni artigianali. La scarpa è estremamente comoda e durevole e ciò è dovuto alla presenza del sughero che si adatta e si modella sulla forma del piede e rende la struttura smontabile e, quindi, facilmente riparabile: la suola di una calzatura prodotta secondo il metodo Goodyear, infatti, può essere sostituita senza arrecare danno alla struttura, come succede nelle calzature in commercio prodotte secondo altri metodi; l’elemento che distingue nettamente dalle altre questa lavorazione è il guardolo e cioè una striscia di cuoio morbido, accuratamente lavorato, che è spesso 2.5 mm e largo 1.5 mm; il guardolo è solcato da alcune tacche regolari che servono da guide per effettuare la cucitura, tuttavia ci sono artigiani bravissimi che non ne hanno bisogno perché, lavorando da anni nel settore, hanno fatto di questa complessa tecnica di cucitura un rito personale. Il prodotto finito presenta due cuciture, di cui solo una, e cioè quella tra guardolo e suola, è visibile al consumatore nel prodotto finito, mentre l’altra resta nascosta alla vista, internamente alla scarpa.

Soletta interna

Guardolo

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Suola


Il Metodo Norvegese La costruzione Norvegese, è una delle lavorazioni più laboriose e antiche tra le tecniche della tradizione artigiana; lo stile caratteristico della cucitura si abbina perfettamente al modello Derby rendendola una calzatura dallo stile casual-chic.

La sua realizzazione inizia dopo che la tomaia, abilmente tirata ed inchiodata sulla forma, ottiene finalmente la sua sagoma; occorrono ben 3 cuciture per completare l’opera, ed è l’artigiano a delineare l’impuntura visibile esternamente, sia lineare che a treccia, decidendone la cadenza, punto dopo punto, adornando e legando saldamente tra loro le varie componenti di quella che sarà la calzatura finita, con dettagli preziosissimi frutto di mani abilissime. La prima cucitura unisce la tomaia al sottopiede, quest’ultimo è ricavato da un pezzo di cuoio conciato al vegetale, la seconda cucitura, invece, unisce ancora la tomaia, rovesciata verso l’esterno, all’intersuola; a questo punto ci si occupa della pelle che viene rifilata manualmente per favorire l’applicazione di un’altra suola e l’esecuzione di una terza cucitura che unisce il tutto, creando così un unico corpo legato saldamente in un tutt’uno. I vantaggi di questa lavorazione sono dati dalla resistenza delle cuciture che, non essendo a contatto diretto con il sudore, si mantengono intatte. Anche questa lavorazione, come la Goodyear, alla prima calzata può suscitare una sensazione di rigidità e durezza, in questo caso dovute alla compattezza e allo spessore delle cuciture, tuttavia, camminando la scarpa si modella perfettamente sul piede, offrendo massima leggerezza e comodità nella passeggiata. Con circa 400 punti si crea un paio di scarpe dallo stile inconfondibile e dall’eleganza senza pari: tomaia, fodera, suola e sottopiede sono cuciti insieme per creare delle calzature dalla durata e dalla comodità eccezionale, tipica del Made in Italy di lusso e di alta qualità. La cucitura può essere realizzata esclusivamente a mano e la capacità dell’artigiano è il segno distintivo che rende unica la scarpa: possedere un paio di calzature costruite in questo modo rappresenta la realizzazione di un desiderio e la consapevolezza di avere uno dei migliori prodotti che ci si possa regalare.

Tomaia

Soletta interna

Cuciture

Suola

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Nel progetto

Il Metodo Tubolare Quella Tubolare è una lavorazione antica che permette di realizzare una calzatura molto morbida e comoda in cui la pianta del piede poggia su soffice strato di pelle e di fodera.

Durante la sua cucitura la tomaia viene legata ad un ulteriore segmento di pellame denominato specchio, prima che vengano applicati uno o più strati di cuoio attraverso tecniche di cucitura a macchina Blake Rapid. Questa tecnica è conosciuta anche come lavorazione “a sacchetto”, o metodo Bolognese, anche se molti artigiani hanno apportato delle modifiche nei passaggi di quest’ultima costruzione manuale e tendono a differenziarla dalla precedente, più impegnativa e laboriosa. Per fare chiarezza è importante specificare che nella costruzione a sacchetto la tomaia è unita al sottopiede con un sistema di cucitura che consente l’isolamento della soletta interna dalla suola, garantendo l’avvolgimento confortevole del piede in ogni sua parte, appunto come un sacchetto o un tubolare; questo consente di realizzare scarpe che si adattano naturalmente al piede scongiurando inutili sofferenze e costrizioni. Questa lavorazione presenta anche due piccoli svantaggi, sia pure di scarsa rilevanza: il primo è che non è possibile applicare tacchi alti in quanto la struttura, a causa della sua costruzione, non li supporta; il secondo sta nell’impossibilità di inserire contrafforti rigidi i quali, peraltro, vengono sostituiti da altri più piccoli e morbidi oppure sono addirittura eliminati. La Bolognese si differenzia dalla Tubolare perché prevede l’applicazione separata della pelle dalla fodera che viene costruita “come un guanto” sulla forma della calzatura e chiusa sul piede. Il Gommino, icona e marchio di fabbrica Tod’s, è un mocassino tubolare semplice, elegante e comodo pensato appositamente per chi non rinuncia allo stile quotidiano con un tocco di versatilità per ogni capo d’abbigliamento; il noto mocassino nasce sul finire degli anni 70 ed ancora oggi rappresenta lo stile italiano dal gusto classico che si adatta anche ad un look disinvolto. Le linee della calzatura evocano lo stile anni 50, leggerissimo e piatto; è interamente cucito a mano e la sua caratteristica principale è data dalla presenza di ben 133 sfere di gomma che punteggiano la suola.

La tomaia e lo specchio, cuciti insieme, vanno a formare un elemento unico

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Photoessay

Olivia Monteforte La serie fotografica mostra le principali fasi di lavorazione di una scarpa artigianale, con le spiegazioni di Olivia. In foto, i primi sketches, il cartamodello e la cucitura dei diversi pezzettini di pelle della tomaia.

Incontro Olivia di mattina presto, nel laboratorio proprio sotto casa sua: sorride, sembra una persona gentile; scatto una fotografia. Nel pomeriggio, in compagnia di un buon caffè, Olivia inizia a raccontare la sua storia...

Fatto ciò, preparo un cartamodello sulla base delle misure che ho preso. Il cartamodello serve per tagliare le pelli che ho selezionato in precedenza; poi queste vengono cucite, modellate e assemblate per la tomaia.”

“Studiavo Filosofia a Urbino e camminavo tutti i giorni per chilometri, tra salite e discese, ma le mie scarpe non erano mai quelle giuste; da qui l’idea di realizzarle da sola.

Le calzature Olivia si distinguono per il colore della suola, sempre azzurra. Questo è il segno distintivo, il marchio di fabbrica dell’artigiana che si ispira alle zampe della Sula, un uccello marino, simile al gabbiano, che, durante il corteggiamento, alza una delle zampe mettendone in risalto il tipico colore azzurro vivido e brillante.

Pesaro non rientra nel distretto calzaturiero, per cui non è stato semplice trovare qualcuno che mi potesse aiutare; tuttavia, c’è un bravissimo artigiano del cuoio che mi ha aperto le porte della sua bottega... Ero rapita dal profumo del cuoio e dal benessere che mi dava quel lavoro, ma volevo di più, così mi iscrissi ad un corso di modellismo a Rimini e dopo il diploma, e la mia laurea in Filosofia, ho iniziato a lavorare come modellista per una fabbrica di scarpe in Toscana, un’altra patria della calzatura. È qui che ho conosciuto un maestro artigiano che realizza scarpe su misura; andavo ad osservarlo ogni giorno, cercando di carpire quanti più segreti e tecniche possibili; grazie a lui e ai suoi insegnamenti sono riuscita ad apprendere le tecniche artigiane per realizzare una calzatura in piena autonomia. Oggi, finalmente, progetto e poi realizzo scarpe artigianali su misura, con particolare attenzione alla comodità e allo stile. Per quanto riguarda la costruzione della scarpa mi occupo di tutte le fasi della lavorazione: il taglio e la cura delle pelli, la formatura della tomaia ed, inoltre, la preparazione delle suole e dei tacchi. Non ho un campionario da mostrare al cliente e il lavoro inizia con un incontro in cui realizzo alcuni bozzetti e propongo la forma, i pellami e la tipologia di materiale per la suola. Dopo aver preso le misure inizio a buttare giù un modello su carta; i miei non sono disegni, ma schizzi progettuali; vedo il disegno come uno strumento al servizio di ogni tipo di progettazione. Questa fase è molto importante: posso vedere la mia idea iniziale su carta e capire dove e come migliorarla, posso studiare forme di diversi tipi.

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Photoessay

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Photoessay

Negli scatti successivi: la formazione della tomaia sulla forma scelta per modellare la calzatura, ed alcune fasi della complessa lavorazione Goodyear; seguono la complessa velatura cromatica, con le operazioni di lucidatura e di cura dei pellami ed in ultimo la fase di rifinitura della suola. “Dopo aver concluso queste operazioni, passo alla formazione della tomaia: la tiro e la inchiodo sulla forma scelta e procedo ad intrecciare la tomaia, il sottopiede e il guardolo. Tra i metodi di costruzione prediligo e scelgo quasi sempre quello Goodyear: è uno dei metodi più complessi e laboriosi, ma garantisce una calzatura di qualità, durevole, robusta e resistente, oltre che estremamente curata nell’aspetto esteriore. Cuciti insieme questi componenti, si aggiunge sughero naturale tra la suola, applicata con una cucitura al guardolo, e il sottopiede. Per realizzare una cucitura Goodyear, impiego molto tempo perché il procedimento è lento in quanto dettato dalle tempistiche della manualità; la cucitura si realizza passando lo spago da una parte all’altra e forando il solco, punto per punto; sono io a delineare il tratto finale della cucitura: è un’operazione delicata che occupa sia molto tempo che concentrazione. Inoltre, nelle calzature in commercio, quando la suola è rovinata, sempre che la tomaia le resista, le scarpe sono da buttare, in quanto sostituire la suola senza danneggiare il resto della struttura, sarebbe praticamente impossibile. Invece, in una calzatura prodotta con il metodo Goodyear la suola può essere sostituita senza arrecare alcun danno alle restanti parti della struttura. Dopo le cuciture, mi occupo, a mano, della colorazione, con la scarpa ancora in forma; le pelli, in origine, sono, tutte nel loro colore naturale; anche il nero si ricava in questa maniera. Il risultato si ottiene dopo 3 giorni e con più di 10 passaggi: creme, cere, colori e lucidi si alternano e penetrano tra i pori della pelle, fino ad arrivare a nuance uniche ed esclusive che, difficilmente, pelli precedentemente tinte possono ottenere. Il primo colore viene steso a mano sul pellame, ed è lasciato riposare e assorbire per un po’; le mani successive sono applicate utilizzando un panno di lana, con movimenti lenti e sempre verticali. Al termine di queste fasi di velatura cromatica, la calzatura viene sottoposta a un minuzioso processo di lucidatura, prima con il pennello e poi a mano, con l’uso di creme e cere naturali, applicate con panni in seta o cashmire. Le creme più indicate sono quelle che più si avvicinano al colore della tomaia, al massimo di un tono inferiore; sono tutte creme con un alto contenuto di cera che vanno a nutrire il pellame e ne rallentano il processo di invecchiamento, a volte migliorando la qualità delle pelli con il passare del tempo; la manutenzione e la cura della scarpa è fondamentale.

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Non bisogna dimenticare che ogni calzatura necessita di una buona manutenzione: cera ben stesa per chiudere i pori, una goccia d’alcool per togliere l’eventuale eccesso di grasso e molta energia con spazzole e strofinacci, infine, una tirata con il palmo della mano che, grazie al calore naturale, contribuisce a far penetrare il grasso, rendendo la scarpa lucida. La pelle è una materia delicata: non ha bisogno di lucidi per coprire le inevitabili pieghe, ma di creme che la nutrano e che ne rallentino e migliorino il processo di invecchiamento. I prodotti migliori sono quelli Giapponesi che hanno una consistenza cremosa: la crema penetra nei pori più profondamente di ogni altra sostanza, inoltre i prodotti di importazione Giapponese sono tutti naturali, almeno quelli per le calzature. La patina lucida si ottiene facendo penetrare la crema nei pori della pelle, senza otturarli; un eccesso di grasso serve solo a non farla respirare. Una scarpa ben lucidata deve apparire brillante e trasparente: bisogna quindi evitare i liquidi coprenti e autolucidanti che possono accelerare il lavoro, ma rischiano di rovinare per sempre le scarpe, coprendole con una crosta impermeabile che rende la pelle secca e si elimina con molta difficoltà.”


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Luoghi

Enthusiasts of the maker movement foresee a third industrial revolution, 2014 Henry Campbell

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ARS ET INVENTIO Una startup artigiana, un confronto generazionale tra padre e figlio e le geometrie proibitive di una 3Dmaker, proprio a loro abbiamo chiesto di raccontarsi e raccontarci i punti fermi e le criticità di un mestiere che attualmente vede ridisegnare le proprie competenze e il proprio campo d’azione grazie alle potenzialità del digitale...un racconto di tre realtà diverse, uno scambio di vedute su quello che è stato un tempo e che è diventato oggi il mestiere del calzolaio. testi di Dalila Niespolo

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Ars et Inventio

Marco Taddei, fashion blogger, influencer e ambassador DIS

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DIS, la startup artigiana Nata come altre startup da un’idea sviluppata nel tempo libero, DIS è l’esempio calzante di come il digitale possa aiutare nell’internazionalizzazione del Made in Italy, non aggiornato rispetto alle possibilità offerte della tecnologie. Andrea Carpineti, CEO e Founder di DIS, ci ha raccontato lo sviluppo di questa startup artigiana che opera in un territorio, quello marchigiano, sul quale in pochissimi chilometri insistono migliaia di aziende di calzature, che insieme formano uno dei distretti calzaturieri più noti nel mondo.

apparteneva agli opinionisti della carta stampata o dei programmi televisivi; sono loro, oggi, a dettare tempi e modalità della comunicazione globale sui social network e a decidere cosa è in e cosa è out, cosa è passato di moda e cosa no, stabiliscono quali sono i nuovi trend, ecc.

DIS è nata nel giugno 2013, dopo una prima intuizione ho iniziato a ragionare su come poter innovare il settore della calzatura. Ho subito parlato delle mie idee con mio fratello Francesco, anche lui ora a tutti gli effetti a bordo di DIS, e abbiamo cominciato il confronto. L’idea ha preso forma ed è stata presentata al terzo socio, Michele Luconi. Anche lui ha sposato il progetto e da settembre 2013 abbiamo iniziato a lavorare a DIS, ognuno un po’ a tempo perso perché tutti facevamo altro, dedicando quindi il tempo libero, il sabato e la domenica. Quando abbiamo visto che DIS stava prendendo sempre più corpo, abbiamo deciso di fare il balzo e abbandonare tutto quello che facevamo per dedicarci full time a questa startup.

Gli influencer, per un’azienda, sono molto difficili da rintracciare; ma fortunatamente sono disponibili molti strumenti che facilitano la ricerca di utenti capaci di orientare gli umori e le decisioni degli altri iscritti; tra questi c’è Traackr, uno strumento di ricerca che è basato su tre parametri : numero della platea di ascolto, risonanza degli interventi e rilevanza degli stessi per gli utenti dei social Come fosse un motore di ricerca, tiene traccia di tutto ciò che accade su internet e sui social network per quanto riguarda un certo argomento e individua tutti gli utenti che hanno maggior peso e seguito all’interno di quell’area.

Oggi, dopo la bella vetrina televisiva di Shark Tank, DIS ha rinnovato il sito internet per guidare i clienti nella scelta del migliore Italian Style e comincia a progettare una campagna di marketing con testimonial molto importanti che affiancheranno gli ambassadors DIS sul territorio. Sotto l’hashtag #weardis è possibile rintracciare gli ormai noti ambassadors DIS, Marco Taddei e Matteo Molle: entrambi fashion blogger, sono i protagonisti dell’operazione di Influencer Marketing, una strategia che si è sviluppata negli ultimi anni. Un influencer è una persona capace di influenzare, appunto, i pensieri e le decisioni di altri utenti grazie a ciò che dice e scrive sui canali social; con post, tweet e scatti riesce a spostare l’opinione dei molti utenti dei diversi social a suo completo piacimento e può, nel giro di pochi minuti, far mutare la considerazione e il sentimento generale attorno ad un tema con un semplice post. In un mondo sempre più interconnesso e sempre più legato ai social network e alle interazioni digitali, gli influencer hanno acquisito un’importanza sempre maggiore, andando a ricoprire il ruolo che un tempo PE Aprile 2016 / 71


Ars et Inventio

L’artigianalità è il vostro marchio di fabbrica, un punto fondamentale che caratterizza la vostra intera produzione, ma cos’altro c’è in un paio di scarpe DIS? Sicuramente c’è il fattore tecnologico, importante perché è proprio con esso che abbiamo rinnovato il settore della calzatura artigianale di lusso Made in Italy, implementando le sue potenzialità espressive. Il nostro configuratore 3D permette all’utente di creare una calzatura personalizzata a partire da diversi modelli in continuo aggiornamento. È possibile, per i nostri clienti, personalizzare il timbro cromatico della fodera, il colore dei lacci, la finitura e il materiale degli occhielli, il pellame di linguetta, contrafforte e mascherina, si può scegliere la sformatura e il tipo di suola che può anche essere incisa, a mano dagli artigiani, con frasi a scelta del cliente, con le iniziali o con il motto Be Different.

Unire tradizione e tecnologia digitale è, spesso, una chiave vincente per il Made in Italy. Quali difficoltà tecniche, e non, avete incontrato nello sviluppo del configuratore 3D ? Per il configuratore 3D la prima grande difficoltà è stata quella di trovare piccoli artigiani disposti a mettersi in discussione e a rinnovarsi dal punto di vista tecnologico, specialmente sul piano della comunicazione, in quanto, se da una parte il configuratore 3D è l’anima tecnologica della nostra startup, dall’altra se il prodotto non può essere realizzato a mano dai piccoli artigiani, il configuratore 3D non può avere un riscontro fattivo sul mercato. I problemi tecnici sono legati alla complessità dello sviluppo pratico del sistema: ad oggi è possibile creare più di 45 milioni di combinazioni di scarpe, quindi si può immaginare la mole di informazioni e di dati che il configuratore 3D deve gestire.

Qual è il vostro business model e qual è il rapporto con gli artigiani selezionati per la collaborazione? Come siete riusciti a trovarli? Il nostro è un servizio pay-to-order, è il cliente che pensa e commissiona la propria scarpa poi realizzata dai nostri artigiani. Il lavoro svolto nella fase di lancio di DIS è stato proprio lo scouting degli artigiani da affiliare poi alla startup: alcuni hanno già brand affermati, ma noi siamo andati a scovare le piccole botteghe, che, pur realizzando un prodotto eccellente e di altissima qualità, non avevano buona capacità di vendita, soprattutto all’estero, perché carenti sul piano della comunicazione della propria immagine. Oggi sono sei le botteghe artigiane che lavorano con noi, ma ne stiamo cercando e affiliando anche altre; anche lo scouting comporta molte difficoltà: la maggior parte degli artigiani appartiene alla vecchia generazione, restia al cambiamento e incapace di cogliere, da sola e se non guidata, le nuove opportunità offerte dai cambiamenti che hanno investito il sistema: internet, i canali digitali... tutti fattori che consentono a chiunque abbia una buona idea e una buona capacità di mettersi in gioco di fare impresa. 72 / Aprile 2016 PE

Nella gestione degli ordini è tutto gestito online e il configuratore 3D permette di ottenere davvero tantissime combinazioni... qual è stata la scarpa più strana o particolare che vi abbiano richiesto? La scarpa su cui si sbizzarrisce di più la nostra clientela è la Leonardo Da Vinci, perché è quella che ha più pezzettini di pelle: ci sono giunte combinazioni in cui ogni singolo pezzettino di pelle aveva un colore o un materiale diverso... un lavoro improponibile! Da questi casi così estremi, vendendo un prodotto d’eccellenza, con il restyling del sito abbiamo voluto in un certo senso cercare di guidare il consumatore nella realizzazione della propria scarpa personalizzata, ma senza eccessi. Oggi il cliente può scegliere di creare la propria secondo tre stili: il Classic, per l’uomo più formale ed elegante; il Dress Code, uno stile racchiude tutte le scarpe per gli eventi mondani e le cerimonie, e il Be Different che dà la libertà a chiunque di esprimere la propria personalità, customizzando online modelli di calzature, rifinite anche in modo molto stravagante e particolare, con grande cura dei dettagli.

La tradizione calzaturiera marchigiana è uno dei vostri punti di forza. Come vi comportereste davanti a una proposta di acquisizione da parte di un grande marchio estero? Ci teniamo in modo particolare a preservare il distretto calzaturiero, ma sappiamo anche che per la sua crescita sono fondamentali i capitali che possono arrivare anche dagli investitori stranieri, dall’estero. Quindi, sì a investitori e capitali, sì ad un’ipotetica acquisizione ma senza svendere il nostro progetto e mirando alla valorizzazione del nostro distretto.


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Ars et Inventio

Dettaglio del modello Derby con cucitura realizzata secondo il metodo di costruzione Norvegese

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Fausto Ripani, l’artigianato e i social Avrebbe potuto scegliere di lavorare in banca o in una multinazionale, di avviare una startup o cercare un impiego all’estero, invece Andrea Ripani, dopo la laurea magistrale in Economia e Management presso l’Università Politecnica delle Marche, ha deciso di fare il calzolaio, affiancando il padre nel calzaturificio Fausto Ripani, attivo dal 1978. Sono migliaia le piccole e medie imprese che hanno resistito alla difficile congiuntura economica proprio grazie alla capacità e alla flessibilità propria delle aziende familiari composte da nuclei agili e dinamici, propellente dei nostri distretti produttivi. Le piccole e medie imprese sono gli enti più ricettivi al cambiamento del fare impresa, in quanto sono, per natura, più agili e dinamiche rispetto alle imprese di più grandi dimensioni.

Ma perché è importante adottare una strategia di Social Media Marketing? La prima motivazione è data dall’economicità del mezzo, non si può dire che Facebook, Twitter, Google Plus e gli altri canali siano gratuiti in senso assoluto, ma hanno dei costi ridotti rispetto ad altre forme di comunicazione: ciò significa che aprire una fan page è gratuito, ma curarla per avere un guadagno di ritorno ha invece un costo di tipo temporale.

Con la proliferazione dei social network nei primi anni 2000, il Social Media Marketing è passato da una semplice opzione ad un fattore chiave per lo sviluppo delle piccole e medie imprese: oggi, sono sempre più le aziende, anche di grandi dimensioni, che stanno approfittando della potenza di queste piattaforme social e della loro influenza sulla società, con fatti e cifre a sostegno di questo trend. La rete sociale è così potente che più di un quarto degli operatori addetti al marketing, per le piccole attività, dedicano almeno un’ora al giorno all’analisi dei diversi trend sui canali social; inoltre, nel 2013, l’uso del Social Media Marketing è aumentato dell’80% per le piccole e medie imprese.

Seppure i social siano canali utilizzati nel tempo libero dalla maggior parte delle persone, il loro uso commerciale è più complesso: richiede un’analisi del mercato e dei competitor, una ricerca di informazioni e contenuti che possano essere condivisi in maniera fruttuosa e un continuo aggiornamento. Ecco perché è giusto vedere nel Social Media Marketing un canale di sviluppo del proprio business, ma ecco anche perché è meglio rivolgersi a dei professionisti che sappiano sfruttare al meglio i social per avere un ritorno di immagine e di utenza rilevante.

Queste strategie relativamente recenti aiutano le piccole imprese a trovare potenziali clienti, a fare più attenzione alle loro aspettative e ad impegnarsi ad interagire con gli utenti, un aspetto, questo, oggi più che mai fondamentale, considerando che il cliente si fa ambasciatore e portavoce del prodotto. Infatti, quando si tratta di decisioni di acquisto, gli utenti si affidano sempre più spesso ai mezzi di comunicazione online, tenendo in grande conto le recensioni degli altri utenti: la maggior parte è più propensa ad acquistare un prodotto da un business cui è collegata o in base ai feedback degli altri utenti della stessa piattaforma. Placester e MarketMeSuite sono due agenzie che si occupano di Social Media Marketing e forniscono, anche sottoforma di infografica, il loro supporto alle piccole imprese che vogliono adottare queste strategie social per arrivare ai consumatori e non perdere la competitività nel mercato globale, interconnesso ed in continua evoluzione.

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Ars et Inventio

Andrea, quando hai deciso che la bottega sarebbe diventata la tua vita e che quello del calzolaio sarebbe stato il tuo lavoro? Lavoro nella piccola calzoleria di mio padre dal giorno successivo alla mia laurea, il 10 Febbraio 2010, esattamente sei anni fa. Da sempre ho avuto a cuore la nostra azienda familiare ed è tanta la passione che mi spinge verso questo mestiere. Nella mia carriera universitaria ho maturato la forte convinzione che, oggi, sono proprio le piccole imprese quelle che possono rimanere a galla perché, a differenza dei brand più affermati, sono, per natura, più flessibili ed agili nei cambiamenti, se ben guidate. Bisogna operare e insistere soprattutto sul piano della comunicazione... noi abbiamo puntato tutto sui social, uno strumento molto più utile e dinamico di un classico sito web.

Come hai imparato il mestiere del calzolaio? E quanto è stata importante la figura di tuo padre nelle fasi di apprendimento? Sono stato in bottega da due maestri artigiani di Montegranaro: Basilio Testella, più noto come Vasì, e Rinaldo D’Ignazio, dove ho imparato l’arte del cucire a mano le scarpe e una miriade di cose che porterò per sempre con me. Dal mio ingresso nel laboratorio di mio padre, ho appreso e apprendo quanto più possibile, sfruttando la sua esperienza ultra trentennale nella realizzazione di calzature su misura di altissima qualità. Sono convinto che il mio arricchimento non avrà mai fine: è incredibile quanto si possa assorbire anche solo osservando il lavoro altrui. C’è un saper fare tangibile nei gesti di mio padre, e in quelli di qualunque altro artigiano, che mi ha sempre affascinato. Un giorno, forse, anche io ne sarò tacito custode, solo, in un mondo molto diverso.

Per chi è pensata una scarpa Fausto Ripani e qual è il vostro target di riferimento? Il nostro target è rappresentato dalla persona distinta, di un certo livello sociale, che ci tiene alla salute del piede e al suo aspetto. Comprando un nostro paio di scarpe il cliente è consapevole di avere il massimo della qualità.

Quali sono i prodotti che definite i migliori e i più caratteristici della vostra produzione? La produzione è caratterizzata da vari modelli di scarpe, principalmente modelli maschili. Realizziamo calzature con tre metodi di cucitura diversi: il primo è il Goodyear, nel quale la suola viene cucita a mano al guardolo; il secondo è il Norvegese che si distingue per la presenza dell’intersuola; il terzo è il Blake-Rapid in cui la cucitura Blake è fatta a mano e lega il sottopiede all’intersuola, mentre la seconda viene eseguita con la macchina Rapid, da cui prende il nome. 76 / Aprile 2016 PE

In che modo, con la tua laurea, stai innovando e rinnovando la bottega artigiana di tuo padre? L’aspetto che nelle piccole imprese va curato, se non creato a partire da zero, è quello riguardante la comunicazione del proprio brand. Queste piccole realtà aziendali tendono a restare nell’ombra, mentre farsi conoscere al pubblico e ai buyers di tutto il mondo è una sfida che vale la pena accettare, sicuramente. Quando sono diventato parte attiva della azienda non c’era un sito, né una pagina su Facebook, ma posso affermare che un passo avanti è stato fatto, con il mio contributo... e questo mi rende davvero molto felice e sempre più motivato.


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Ars et Inventio

Bacco, Cristina Franceschini, 2015

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Haute Couture & 3D printing Cristina Franceschini è una designer freelance di calzature e accessori dallo stile iconico-chic, dotata di un incredibile estro creativo e di una fervida passione per la tecnologia e la manifattura artigianale, sperimenta e realizza suggestive creazioni, vere e proprie opere d’arte da indossare: tecnologia avanzata, comfort ed eleganza per un moodboard eclettico.

Cristina Franceschini lavora per diverse grandi aziende calzaturiere italiane, tuttavia ha anche voluto lanciarsi in un suo personale progetto ed, eliminando l’economia delle logiche di scala, Shapeways ha reso possibile la realizzazione dei suoi prototipi di studio, poi ulteriormente sviluppati nei dettagli e migliorati nelle prestazioni.

Anche il team di Shapeways sperimenta nuovi materiali per la stampa 3D: le ultime ricerche hanno portato la piattaforma ancora più in alto: oggi i materiali offerti sono in totale 48 e quelli più recenti messi a disposizione sono oro bianco, oro rosa, oro 18 carati e platino, materiali cheerano impossibili da utilizzare con le nuove tecnologie di stampa.

Shapeways è una startup olandese che si occupa di prototipazione service in 3D. La piattaforma si rivolge a designers, makers e artigiani 2.0, offrendo stampe e finiture di alta qualità in un ampia gamma di materiali, inclusi argento, oro, acciaio inox e ceramica.

Come marketplace, Shapeways riesce a stupire, rispetto ai molti competitor, nella vasta possibilità di scelta di oggetti e materiali, permettendo a chiunque di rendersi conto delle potenzialità della stampa 3D; online è disponibile anche un blog che fa capo alla piattaforma service.

Shapeways offre anche i prezzi più competitivi rispetto alle altre piattaforme service, ma essendo la produzione basata in Olanda i tempi di spedizione, dichiarati in 3 settimane, non sono sempre accurati e precisi; attualmente stanno spostando la produzione anche a New York per andare incontro alla crescente domanda, proveniente da più arti del mondo. La piattaforma offre anche un market-place per i disegni e i progetti realizzati dagli utenti chehanno a disposizione una vetrina online per i loro prototipi. Questo tipo di servizio è davvero molto funzionale: avere un proprio store online è molto importante per iniziare a vendere le proprie creazioni e, tra l’altro, è anche gratuito, senza bisogno di un dominio. I prototipi che piacciono sono resi disponibili in più copie e possono essere acquistati sullo shop; in altri casi, quando il progetto non riscuote molto successo tra gli utenti, resta comunque disponibile online, ma come pezzo unico, aumentando di valore. Un esempio è dato proprio dai modelli di Cristina: su Shapeways sono disponibili soltanto i prototipi dei tacchi, senza la struttura interna in acciao, mentre per quanto riguarda i modelli completi, la designer ha scelto di non renderli disponibili sulla piattaforma, sia perché sono ancora in sperimentazione, sia perché il problema maggiore resta la comunicazione online, difficile per questo tipo di produzione. PE Aprile 2016 / 79


Ars et Inventio

Cristina, come è nata la tua passione per la stampa 3D e per l’uso delle nuove tecnologie?

E per la vendita delle tue creazioni quale canale hai scelto di utilizzare?

Mi sono avvicinata alla stampa 3D, per pura curiosità, circa tre anni fa e, appena ho avuto modo, ho acquistato una stampante 3D italiana, Wasp, ed ho iniziato a sperimentare. Non è stato facile e per migliorare le mie abilità di modellazione ho seguito, online, un corso tenuto da un esperto di Zbrush, Daniele Angelotti; questo corso si è rivelato fondamentale: non avevo dimestichezza con la modellazione organica per lanciarmi in un progetto come quello che, poi, ho realizzato. Con lo sviluppo delle piattaforme service, poi, sono passata a sperimentare i prototipi con stampanti più grandi; oggi la ricerca e la prototipazione sono alla portata di tutti, grazie ai costi accessibili delle stampanti 3D e alle piattaforme di service, che consiglio a tutti gli amatori, o semplicemente curiosi, di provare almeno una volta.

Alcune sono in vendita su Shapeways, altre, sulla mia pagina di Facebook. Alcune delle mie creazioni tuttavia, pur essendo visibili sul web, appartengono alla collezione del Museo della Calzatura di Sant’Elpidio a Mare che tempo fa ha ospitato #bedifferent, una mostra in cui erano esposte alcune delle mie creazioni. Alla fine di questo percorso ho deciso di donare i modelli al Museo. La mostra ha suscitato moltissima curiosità e il passaparola ha comportato un aumento del traffico di utenti sulla mia pagina Facebook, cui mi dedico ogni giorno perché penso che la cura delle relazioni con gli utenti sia molto importante, così come il mantenere accesa la curiosità e l’attenzione... oggi la vendita di un prodotto non può non tenere conto dei nuovi canali digitali.

Qual è la differenza tra l’artigianato digitale e quello appartenente alla tradizione?

Progetti per il prossimo futuro? Ho iniziato una collaborazione con 3dshoes per lo sviluppo di calzature iconiche da presentare a breve. Saranno modelli evocativi per tutte le donne del mondo, dallo sport fino alle scarpe con il toro e con l’orso, per chi lavora nell’alta finanza; 3dshoes ha già sperimentato qualche modello in materiali diversi come la ceramica, il Kevlar, la gomma, il placcato in oro, acciaio e titanio ed, infine, il PLA.

Ho investito nel futuro tenendo sempre stretto a me il passato: il nostro saper fare è un bene prezioso, e mi riferisco non solo al prodotto, ma anche alle logiche di post lavorazione. Il 3D amplia le nostre possibilità progettuali, ad esempio, le geometrie un tempo proibitive a causa dei vecchi processi produttivi, possono diventare le vere protagoniste; inoltre, grazie all’ampia gamma di materiali offerti dalle aziende leader del settore, le opportunità continuano ad allargarsi. L’adozione di questa tecnologia permette di creare pezzi unici e artistici, il mio lavoro è quello di fondere le due facce dell’artigianato, quello digitale, nel tacco stampato in 3D, con quello più tradizionale, nella tomaia fatta a mano, artigianalmente.

Quali sono i limiti o gli eventuali vantaggi della stampante 3D? Mi spiego, trovare il giusto equilibrio tra forme, materiali e finiture ha richiesto un lungo studio e tantissima sperimentazione. Metallo e acciaio sinterizzato per i tacchi sono pesanti, il nylon non risulta rigido abbastanza per permettere alla scarpa di essere indossata... La soluzione è stata quella di utilizzare tacchi in acciaio e sviluppare una copertura, stampata in 3D, in nylon lucido, mentre per la finitura ho provato sia la cromatura che la zincatura ed ho scelto la seconda. Il risultato è perfetto: il tacco sembra in metallo, ma è estremamente più leggero ed economico. La stampa 3D, come ogni procedimento, ha pro e contro; per scoprirli tutti bisogna sporcarsi le mani, provando e riprovando, fino a non sbagliare più; la maggior parte dei problemi sorgono proprio in fase di modellazione e finché non si realizza fisicamente il prototipo è difficile capire dove sta l’errore. Nella modellazione 3D è molto importante anche la teoria, poiché la maggior parte dei programmi è davvero complessa in fase d’utilizzo. 80 / Aprile 2016 PE


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Ars et Inventio

Dettagli della coloritura, nota anche come velatura cromatica Fotografia di Bruno Aveillan

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L’ARTE CALZATURIERA SECONDO SANTONI Fin dalla sua creazione nel 1975, Santoni persegue una sua personale visione, affinando un patrimonio culturale legato all’eccellenza italiana. In principio con Andrea Santoni e il suo laboratorio haut-de-gamme, ora con il figlio Giuseppe, che ha portato il marchio allo status di icona internazionale. tratto da Costruttori di bellezza, Filosofia della calzatura maschile secondo Santoni di Andrea Guolo

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L’arte calzaturiera secondo Santoni

Tradizione e Innovazione sono i due piani paralleli sui quali Andrea Santoni ha imbastito il suo successo, combinando la migliore tecnica artigiana alla ricerca e al design. Nel tempo, sono stati capaci di mantenere intatte le caratteristiche più preziose del Made in Italy, come qualità, passione per il dettaglio, lavorazione eseguita rigorosamente a mano; elementi che distinguono Santoni dai suoi competitors e ne fanno un caso unico nella selezione dei marchi italiani di alta gamma più noti a livello internazionale. Il rispetto per il passato e l’attenzione per il futuro si traducono nella sostenibilità aziendale: la sede di Corridonia è, infatti, un’architettura totalmente ecocompatibile, con materiali riciclabili al 90% dove le risorse naturali permettono di abbattere l’ingente consumo energetico. Il tutto è stato realizzato con una struttura dal design contemporaneo che ha valso al progetto il prestigioso premio Sistema d’autore METRA 2011, nella categoria delle tecnologie innovative. La stessa sensibilità si ritrova nella lavorazione delle calzature, create utilizzando soltanto i migliori e più ricercati materiali naturali. Una visione moderna applicata ad un saper fare antico, difeso dai mastri calzolai di Santoni, alcuni in azienda fin dal 1975, che hanno visto la trasformazione da una realtà artigiana a trendsetter internazionale, senza mai perdere di vista la genuinità e la passione per le cose belle e di estrema qualità. La sintesi della qualità Santoni si esprime nelle calzature Limited Edition. Sotto la supervisione di Andrea Santoni, fondatore del marchio, questa contenuta produzione raggiunge il non plus ultra della qualità, attraverso il saper fare di cui Santoni è depositario dai suoi esordi. Limited Edition è una sorta di laboratorio di eccellenza destinato ai connoisseurs, i clienti che riconoscono nel marchio un’artigianalità di ordine superiore. Prima ancora di entrare a far parte della collezione, i modelli Limited Edition passano attraverso una lunga fase di progettazione, dove ogni criterio deve rispondere ad altissimi standard qualitativi: dal punto di vista estetico, della scelta dei materiali e della vestibilità del prodotto. Dal taglio della pelle attentamente selezionata, fino all’impressione finale del marchio Santoni, ogni fase della creazione viene realizzata a mano. Non esiste un limite di tempo per dare alla luce un singolo paio di scarpe, basti pensare che la sola fase di colorazione della pelle può richiedere fino a 15 diversi passaggi e molte ore, o che la calzatura Limited può rimanere fino a quattro settimane in forma, prima di essere ultimata. Se moltiplichiamo queste attenzioni per 2400 paia di calzature all’anno della Limited Edition, possiamo facilmente comprendere le chiavi del successo di un’azienda che ha saputo industrializzare l’artigianato senza alcuna perdita di valore e qualità.

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Sopra: dettagli della manutenzione di un campione di forma in legno Fotografia di Bruno Aveillan

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L’arte calzaturiera secondo Santoni

La scuola Santoni L’identità e l’unicità Santoni risiedono nell’essenza autentica di un’arte che l’azienda vuole continuare a mantenere viva: la cultura del fare come visione, il saper fare come filosofia di lavoro. Di qui, l’importanza della manualità, dell’esperienza, della dedizione, della passione per ciò che si realizza, della qualità come elemento imprescindibile per tutti coloro che fanno parte del progetto aziendale. Il prodotto Santoni prende vita dal passato, con tecniche che si tramandano di mano in mano e anche l’innovazione fino a diventare innovazione, intesa come evoluzione di tradizione ed esperienza. Ritualità, precisione e gesti amorevoli: questo è quanto traspare visitando l’atelier Santoni, in cui lavorano più di 400 artigiani. Tramandare questo sapere è un fattore necessario per poter continuare ad offrire un prodotto realizzato a regola d’arte. Per questo motivo l’azienda crede fermamente nella formazione interna delle proprie risorse, ed ha così istituito una scuola-laboratorio per i mestieri più complessi come quello del taglio a mano dei pellami, della coloritura e della cucitura manuale. Le nuove risorse si ritrovano al fianco di artigiani più esperti e possono essere necessari anche molti anni prima di poter essere sicuri che il saper fare sia stato completamente trasferito. Questo è un aspetto molto importante per un’azienda talmente unica nel suo modo di produrre che non riesce a trovare risorse già formate, pronte per entrare in squadra: per questo preferisce investire nella formazione di giovani leve motivate che dimostrano un grande attaccamento al lavoro e un grande amore per la qualità. Ciò consente anche di avere un’età media della forza di lavoro molto bassa grazie alla presenza giovanile ed al fatto che molti degli artigiani esperti hanno iniziato a loro volta da giovanissimi, quindi possono vantare, ad esempio, più di 20 anni di esperienza pur avendo soli 45 anni. La formazione delle nuove leve lavorative nella scuola Santoni assume, quindi, un ruolo primario nei piani dell’azienda ed è un processo che difficilmente può essere ricondotto ad uno schema o ad un programma preciso; non è fatto solo di tecnica e di grande abilità manuale, ma di molta passione, attaccamento e forte consapevolezza: gli artigiani Santoni non lavorano solo con le mani, ma anche con la testa e con il cuore.

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Sopra: dettagli della manutenzione di un campione di forma in legno lavorata con la lima e la raspa. Fotografia di Bruno Aveillan

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L’arte calzaturiera secondo Santoni

Fatto a mano su misura Per soddisfare il desiderio di tutti coloro che non si accontentano, conoscitori e intenditori, Santoni ha introdotto il Fatto a Mano su Misura. Un servizio, piuttosto che una collezione messo a completa disposizione del cliente. Il dialogo diventa un antidoto alla standardizzazione e produzione seriale massificata. Sono gli artigiani Santoni a guidare in un percorso di scoperta, invenzione e autogratificazione. Un elemento di ritualità rende l’esperienza unica quanto il prodotto finale; il processo di realizzazione di una scarpa fatta a mano segue un iter ben preciso: misurazione del piede, selezione della forma e delle pelli, dei singoli dettagli. Stesso rituale per un risultato sempre diverso, come la storia individuale di ogni singolo cliente. Ogni aspetto della scarpa è modificabile da parte del cliente: dalla messa in forma alla coloritura sono necessari ben oltre due mesi per la costruzione del modello finale. L’attesa dell’oggetto desiderato moltiplica il piacere. Il risultato è una scarpa come nessun’altra, impossibile da replicare perché frutto di ingegno e di manualità umani, non dell’esecuzione della macchina. Soltanto indossandola si può apprezzare il piacere di un oggetto modellato sul nostro corpo e sul nostro personale gusto. Ossessione è uno dei termini che ricorrono con molta insistenza nel vocabolario dell’alto artigianato italiano: “la cura con cui realizziamo le nostre calzature si può definire maniacale” spiega Giuseppe Santoni, oggi amministratore dell’azienda fondata dal padre Andrea. Sotto la sua guida attenta e visionaria, quella che era una solida realtà familiare è diventata un marchio di riferimento nel panorama internazionale del lusso. “L’attenzione per la qualità che deve essere del più alto livello è tale che ci piace dire che le nostre scarpe ancora prima che Made in Italy sono Made in Santoni. La nostra è un’azienda atipica: un grande laboratorio artigianale con 600 dipendenti... siamo un’industria semplicemente per il volume degli affari.”

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Sopra: dettaglio della famosa cucitura Goodyear; Fotografia di Bruno Aveillan

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L’arte calzaturiera secondo Santoni

Backstage Non c’è fretta, nessun limite di tempo. Per dare la luce ad una calzatura Santoni il tempo non è un problema, ma un valore. Le mani sfiorano la pelle, l’accarezzano, la soppesano dal taglio alla cucitura. Tutti i movimenti sono armonici, sicuri, specchio di una gestualità ritmica acquisita negli anni, ereditata da maestri artigiani e trasferita di mano in mano fino a forgiare l’esperienza dei più giovani. Tutto ha inizio nella stanza delle pelli, la cassaforte della Maison Santoni. Impilati su tavoli in legno i pellami più preziosi: dal Cordovan al bufalo Americano, dal vitello Francese al coccodrillo di Singapore, il più pregiato, quello che può arrivare a costare anche 25 euro al centimetro, e poi pelli di struzzo e di razze, usate soprattutto per confezionare calzature femminili, squalo e pitone che dominano negli accessori. “Ancora oggi mio padre, un po’ per diletto, un po’ per garantire la qualità, si reca personalmente in conceria a verificare la natura del grezzo, la pelle crust, che timbriamo una ad una prima della concia”, afferma Giuseppe Santoni nell’intervista rilasciata a GQItalia. A raccontare la dedizione di Andrea Santoni è, ancora, il figlio Giuseppe, entrato nell’azienda quando ancora andava a scuola e che, prima di diventare CEO, è passato per il retrobottega, imparando, prima di tutto, l’arte della manualità. “La parte più difficile è trovare due pellami uguali o simili perché si accoppino per formare un paio di scarpe con una tomaia uniforme, con destra e sinistra quasi identiche” continua Giuseppe Santoni. In azienda ci sono solo tre persone a cui viene affidato questo compito: l’errore costa caro, soprattutto nel caso delle pelli esotiche, le più costose; basti pensare che per ogni tomaia serve un intero sottopancia di coccodrillo e anche se alcune parti sono recuperabili, come la coda, usate per le cinture, lo scarto è enorme. Dal taglio al tomaificio, in cui tutte le parti sagomate vengono cucite manualmente, ci sono molti passaggi da seguire per assemblare tutti i componenti. La velatura cromatica è il passaggio successivo; con le calzature maschili di lusso la moda è più generosa e non pretende rivoluzioni radicali ad ogni stagione, i pellami non cambiano, piuttosto si migliorano e poi si lavora sui colori, sperimentando nuove nuance. Sembra di varcare la soglia di un laboratorio d’arte, i rumori si attutiscono e i ritmi rallentano. Sui banchi da lavoro barattoli di cere con formule segrete, ampolle di colore, flaconi di lucido e decine di pennelli, tamponi di cotone, panni in cashmire e in seta necessari alla lucidatura finale. “È come seguire una ricetta”, riflette la pittrice Michela Properzi mentre rigira tra le mani un boot in struzzo ancora allo stato grezzo. “Dopo la tamponatura la pelle deve asciugare prima di iniziare quella successiva e bisogna avere pazienza, anche due ore perché ogni colore richiede almeno 8 passaggi; poi c’è la rifinitura, con pennelli sottili che 90 / Aprile 2016 PE


Sopra: dettaglio della celebre velatura cromatica di Santoni, Fotografia di Bruno Aveillan

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L’arte calzaturiera secondo Santoni

Mercato Americano

si infilano tra le squame e nelle venature del pellame per esaltarne la naturalezza nel prodotto finito.” Solo a questo punto gli artigiani e i designer lavorano fianco a fianco: ad ogni nuova collezione vengono sviluppati 30 nuovi tipi di velatura, ognuna con 15 colori differenti. Il totale è matematica: ogni collezione ha 450 nuance differenti e, tra queste, almeno 60 appartengono alla scala del blu, emblema dell’eleganza della Maison.

Utenza: medio-alto Valori: lusso, eleganza, design, qualità

Il valore del marchio

Headquarter

Anno di fondazione: 1975 Dipendenti: 600 Fatturato 2015: 70 milioni di euro

Superficie: 15000 mq Pannelli Fotovoltaici: 3945 Energia Solare prodotta: 1,107,500 kWh per anno

Mercato Italiano: 19% (export 81%) Mercato Europeo: 41% Mercato Statunitense: 20% Mercato Arabo: 3% Mercato Giapponese: 15% Resto del mondo: 2%

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Mercato Europeo

Mercato Russo

Utenza: high spender Valori: lusso ed elevata qualità, eleganza classica

Utenza: high spender Valori: lusso ed elevata qualità del prodotto

Mercato Arabo

Mercato Orientale

Utenza: medio-alta Valori: il mercato Arabo considera il prodotto un bene esclusivo, il 50% dei prodotti è realizzato su commissione

Utenza: classe abbiente Valori: qualità, preziosità e ricchezza di dettagli, lusso, design, benessere

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Luoghi

Piligrim Pumps, Roger Vivier

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RASSEGNA Grazie al sapiente lavoro di validi costumisti che si avvalgono di collaborazioni preziose da parte dei piÚ grandi maestri della moda, sono davvero tanti i modelli iconici che hanno incantato Hollywood, e non solo. Di seguito, una raccolta delle calzature piÚ rappresentative che si sono guadagnate un posto nell’immaginario collettivo: Catherine Deneuve, le ballerine Ferragamo di Audrey Hepburn, le coloratissime Manolo Blahnik di Marie Antoinette, e poi? testi di Dalila Niespolo

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Rassegna

Il cinema a piedi Grazie al loro sapiente utilizzo nel cinema da parte dei costumisti e, a volte, per iniziativa degli stessi registi, molti modelli di calzatura sono diventati pezzi iconici, sinonimo di identità e di stile. I marchi produttori ne traggono molti vantaggi ed è di grande tendenza rilanciare il modello come edizione limitata, ottenendo in tal modo incassi esorbitanti.

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Nella pagina precedente le Piligrim Pumps di Roger Vivier, tra i più grandi scultori della scarpa che la moda abbia mai avuto: mai nessuno meglio di lui ha saputo trasformare le scarpe in opere d’arte, in pezzi artigianali ricchi di fascino e stile classico. L’elenco delle dive che hanno indossato le sue note creazioni è lungo e va da dive come Ava Gardner, Joséphine Baker e Jeanne Moreau fino a Catherine Deneuve che indossó, nel 1967, in Belle De Jour, un film di Luis Buñuel, uno dei suoi piú celebri modelli: le note Pilgrim Pumps, passate alla storia per la grande fibbia in metallo sulla punta, diventata uno dei simboli della casa di moda francese. Il marchio è stato acquisito, nel 2003, dal gruppo Della Valle e continua a rappresentare una delle massime espressioni nel mondo delle calzature e degli accessori di lusso.


A pagina 96: Funny Face, un film del 1957, diretto da Stanley Donen, con Audrey Hepburn e Fred Astaire. Ai piedi dell’attrice, ballerine di Salvatore Ferragamo. Lo scorso anno, lo stilista ha riproposto la ballerina con la punta arrotondata che aveva disegnato nel 1954. Anche Lana Turner, nel film di Tay Garnett nel 1946, Il postino suona sempre due volte, sceglie il Made in Italy con i sandali Salvatore Ferragamo. Il modello era stato disegnato e realizzato nel 1939 proprio per l’attrice e successivamente fu riproposto da Garnett nella pellicola cinematografica. È proprio in questa stagione cinematografica che Ferragamo inizia la carriera di “calzolaio delle stelle”, come lo definì la stampa di Hollywood.

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The Rocky Horror Picture Show è un film del 1975 diretto dal regista Jim Sharman. La pellicola è stata considerata fuori dagli schemi per l’esplicita trattazione di temi sessuali; è ricordato anche per i molteplici riferimenti culturali. Lo stesso Tim Curry ha sempre affermato che le scarpe sono state un elemento fondametale per calarsi nel personaggio.

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Ad un anno di distanza dal Back to the Future Day, ancora oggi l’onda lunga continua, anche grazie all’annuncio che Nike ha realizzato le scarpe indossate da Marty McFly, nel 1989, in Ritorno al futuro – Parte II, diretto da Robert Zemeckis. Le Nike Mag, così si chiamano, saranno vendute nella primavera del 2016; mancano ancora dettagli sul prezzo, ma la Nike promette di rivelarli per tempo attraverso i suoi canali; ciò che sappiamo già ora è che le scarpe saranno vendute durante un’asta i cui proventi saranno alla fondazione di Michael J.Fox per la ricerca sul morbo di Parkinson, malattia diagnosticata all’attore nel 1991 e resa pubblica solo sette anni dopo; beneficenza a parte, la Nike sta sviluppando una tecnologia per realizzare un tipo di calzatura capace di leggere i movimenti di chi la indossa e di aggiustare, di conseguenza, la tensione delle stringhe. L’intenzione è di venderla ad atleti professionisti e poi sfruttare la loro fama per invadere il mercato.

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“Mamma diceva sempre che dalle scarpe di una persona si capiscono tante cose. Dove va, dove è stata... quante scarpe che ho messo io! Scommetto che se mi sforzo tanto, riesco poi a ricordare il primo paio... mamma disse che quelle mi portavano dovunque, disse che erano le mie scarpe magicheâ€?, afferma Forrest alla fermata del bus, parlando con una signora di colore.

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Forrest Gump è un film del 1994 diretto da Robert Zemeckis e interpretato da Tom Hanks . Ai suoi piedi un paio di Nike Cortez, con cui Forrest corse fino a dire, dopo aver attraversato tutti gli Stati Uniti: “sono un po’ stanchino”. Le Nike Cortez sono un modello di scarpe da running che, quando vennero disegnate nel 1972 da Bill Bowerman, cofondatore del marchio USA, furono pensate per correre le grandi distanze: sono, infatti, le prime scarpe da running con l’intersuola a doppia densità, e dopo il modello in pelle vennero prodotte anche in nylon, più leggere e traspiranti. Non è la prima volta che il modello torna sul mercato: già con il Vintage Program del 1997 Nike le aveva riproposte, e ancora nel 2003 quando venne lanciato l’ID program, per disegnare il proprio modello completamente personalizzato.

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La scena in cui La Sposa, Uma Thurman, torna a cercare vendetta contro O-Ren Ishii, Lucy Liu, e il suo esercito Crazy 88 nel film del 2003 di Quentin Tarantino, Kill Bill: Vol. 1 è entrata di diritto nella storia del cinema contemporaneo e non solo. Invincibile, bellissima e dall’outfit iconico giallo e nero, in omaggio a Bruce Lee, Uma Thurman calza sneakers Onitsuka Tiger Tai Chi. Appositamente progettato per il Tai Chi, questo modello è ideale per tutte le discipline delle arti marziali: a caratterizzarlo c’è una suola sottile che gli dona leggerezza, eleganza e dinamicità, in poche parole, uno stile unico ed esplosivo; da notare anche che sulla suola del modello giallo usato nel capitolo in questione, mentre Uma cammina sul pavimento vetrato, si può leggere la scritta “Fuck U” che è stata realizzata appositamente per il lungometraggio, anche se è disponibile l’acquisto online.

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Marie Antoinette è un film del 2006 diretto da Sofia Coppola, in cui Kirsten Dunst è il volto della regina. Con questo film la costumista italiana, Milena Canonero, ha vinto il suo terzo Oscar per i costumi; sua è stata l’idea di chiamare Manolo Blahnik per disegnare scarpe adeguate ai sontuosi costumi, ma alcuni modelli sono stati realizzati dai Pompei, storici fornitori di calzature per il cinema. La regina di Francia è nota soprattutto per aver condotto una vita dedita al lusso, al divertimento e alle scarpe: pare ne avesse più di 500 paia, catalogate in base al tipo e al colore e realizzate dai migliori maestri di Francia. Nel film, tra le tante scarpe che appaiono ci sono anche un paio di Converse All Star azzurre, il mitico modello Chuck Taylor, scarpe immortali e sempre di moda; la Coppola ha scelto di inserire il modello per meglio trasmettere la personalità, a tratti esosa, della regina.

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Luoghi

Don’t Run - Beta, 2014 Eugenia Morpurgo, Juan Montero

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LOOKING AROUND Le mani sono uno strumento fondamentale per entrare in contatto con il mondo che ci circonda: le mani toccano, le mani percepiscono... e per definizione, un artigiano è colui che crea con le mani. Makers è un neologismo con il quale si indica una categoria di persone che ama creare con le nuove tecnologie: gli artigiani digitali realizzano strumenti e apparecchiature tecnologiche di ogni tipo, usano sistemi open source e c’è persino qualcuno che si diverte a fabbricare scarpe... testi di Dalila Niespolo

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Don’t Run - Beta un progetto di Eugenia Morpurgo e Juan Montero

Don’t Run - Beta è una linea di produzione pilota avviata da Eugenia Morpurgo e Juan Montero; si tratta di un sistema sperimentale incentrato sulla possibilità di creare una linea di progettazione e produzione di calzature, trasparente, aperta e incentrata sulla collaborazione. Il progetto ha creato un modello che offre una maggiore comprensione personale e responsabilità condivisa per tutto il ciclo di vita dei prodotti e richiede un rapporto fisico maggiore tra il punto di concezione e quello di consumo. Questo cambiamento di sistema trasferisce la produzione di scarpe dalle fabbriche di tutto il mondo a fabbriche autonome, dislocate nelle strade delle città e propone nuovi ruoli per il consumatore che diventa lavoratore, studente e insegnante e progettista; le macchine per la produzione rapida, come le taglio laser e le stampanti 3D, funzionano in sincronia per creare su piccola scala i componenti: il sistema è sviluppato in modo da eliminare la necessità di cucitura o incollaggio durante il processo di assemblaggio che, in questo modo, diventa molto semplice;

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www.dontrun-beta.com

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questo, combinato con i metodi di assemblaggio semplificati, un numero limitato di componenti e l’uso specifico di materiali e tecnologie nelle suole, i connettori e la tomaia, significa che tutti i singoli componenti si combinano l’uno all’altro in un modo semplice e, soprattutto, sistematico. La forza delle connessioni reversibili tra le parti consente la riparazione per tutto il ciclo di vita dei prodotti; uno smontaggio facilitato significa anche che i componenti possono essere smaltiti e riciclati in base alle loro caratteristiche. Una filiera breve dà luogo ad un sistema di prototipazione e produzione veloce, economico e che lavora indi una produzione di cui riconosce i limiti.

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Poiché il sistema Don’t Run - Beta lavora con le tecnologie a controllo numerico, gli stampi fisici sono sostituiti con biblioteche digitali, quasi illimitate, di suole, dimensioni, stili e modelli diversi. Questo riduce efficacemente la necessità di un magazzino fisico e aiuta ad eliminare fino al 75 % del processo di produzione corrente, inoltre permette di evitare tutti gli enormi investimenti economici iniziali implicati nella produzione di calzature. Ogni forma e dimensione può essere contabilizzata e prodotta in loco, dove lo stock controllato delle materie prime si trasforma in un prodotto solo in presenza di domanda reale e l’intero processo di produzione richiede circa un’ora.

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Rokiwuz Shoes un progetto di Mr. Rockiwuz

Rokiwuz è una parola inventata che non significa nulla, ma suona bene; ha un sapore di lontana galassia, ma anche di antica tradizione... Mr Rokiwuz è uno che “sa fare le cose con le mani”, nato e cresciuto nel cuore della campagna veneta, a stretto contatto con i mestieri di una volta, ha studiato graphic design, si è divertito con la street art e poi ha combinato tutte queste cose insieme, decidendo di mettersi a fare scarpe dando vita al brand Rokiwuz Shoes. Rokiwuz, che ha scelto di rimanere anonimo, fa stringate maschili e femminili e 4 modelli, Oxford, Derby, Captoe e Wingtip in 5 colori: nero, marrone, cuoio, blu e grigio; le fa artigianalmente e su ordinazione, e poi le personalizza. Non ne esistono due paia uguali, perché “non ci sono due persone uguali”. Niente negozi fisici o distributori, le scarpe sono interamente prodotte a mano e in pezzo unico, decorate su indicazioni del cliente dietro approvazione di una bozza grafica, quindi il modello di vendita è molto tailor-made, prestandosi poco al retail inteso in senso classico e tradizionale.

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www.rokiwuz.com

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Mr. Rockiwuz ha scelto di occuparsi di tutto ciò che riguarda il suo prodotto: dalla progettazione alla comunicazione online, al packaging in cartone che contiene tutto ciò che è necessario per rendersi cura delle calzature: una cera per lucidare il pellame, una spazzola e una boccetta di colore, nel caso si rendesse necessario qualche ritocco. Naturalmente Rockiwuz utilizza social come Instagram e Facebook per arrivare al suo target di riferimento: tutto è molto curato nei minimi dettagli, proprio come le sue calzature artigianali. Un altro fattore che ha permesso la realizzazione del progetto in tempi relativamente brevi e senza grossi investimenti è stato il poter aggirare le logiche

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dell’economia di scala proprio ricorrendo ad internet: Mr Rockiwuz è partito da zero, sviluppando la sua idea dopo aver pianificato la web content strategy e puntando molto sulla fotografia. Restituire agli utenti il processo di produzione, le ispirazioni si è rivelato un fattore di importanza fondamentale; parte tutto da qui: arrivare al pubblico, comunicare chi sei, cosa fai e perché. In questo modo il prodotto acquista un valore aggiunto, un senso di fondo è una solida base che gli permette di esistere e resistere sul mercato che, attualmente, è saturo, di prodotti e concorrenti che, però, nella maggior parte dei casi, non hanno queste particolari proprietà.

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Adjust un progetto di Selma Durand

Uno dei più grandi punti deboli soprattutto per i nuovi marchi di calzature è il fatto non c’è ancora nessuna scalda dimensionale standardizzata. Una dimensione 9 in una Nike può corrispondere una taglia 10 Adidas, ci sono molte ragioni per questo, le ultime forme sviluppate, i nuovi tipi di scarpe, ecc. Selma Durand è una giovane industrial designer francese che, scrive nella sua bio, “è impegnata nel semplificare la complessità di creare prodotti intuitivi ed esperienze progettuali significative”. Dopo aver lavorato per il marchio parigino di occhiali Face à Face, al momento è impegnata in uno stage come Industrial Designer presso IDEO, a New York. Esattamente un anno fa la giovane deisgner ha presentato alla Biennale Internationale Design Saint-Etienne il progetto Adjust. Il sistema prevede che l’acquirente online stampi il bramato modello di scarpa su un foglio di carta formato A4; una volta stampato ci mette il piede sopra e confronta lunghezza e larghezza della calzatura; dotandosi di un paio di forbici il sopra citato

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www.selmadurand.com/

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acquirente taglia la striscia e misura il collo piede, su cui spesso casca l’asino negli acquisti online, e quindi capisce se la scarpa è adatta o no alle proprie desiderose estremità, diminuendo così il frustrante pericolo del reso. Il progetto di questo sistema di regolazione è stato messo a punto per migliorare l’esperienza di acquisto online che, al giorno d’oggi, è sempre più diffusa ed influente: il consumatore è sempre più orientato verso questa tipologia d’acquisto più comoda e veloce, ma che, tuttavia, presenta dei rischi dovuti al fatto che l’utente non può provare il prodotto prima di acquistarlo e che spesso si trova nella situazione di doverlo cambiare, quando è disponibile il reso.

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Per quanto riguarda le scarpe, poi, questo è il problema maggiore: la calzata cambia in base al modello scelto, alla sua costruzione e ai suoi materiali, per cui un 39 non è sempre tale. Il sistema Adjust, frutto di studi approfonditi sull’anatomia del piede e delle calzature, risolve il problema in modo semplicissimo: basta, infatti, misurare il collo del piede; è proprio questa misura, infatti, ad incidere maggiormente sulla calzata e sulla comodità della calzatura scelta.

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Marker Shoes un progetto di Nendo

Non le solite scarpe personalizzate, come quelle che sempre più spesso i marchi provano a offrire on- e offline per seguire il mantra del “ fatto su misura per il cliente”, dove quel “su misura” è inversamente proporzionale al prezzo e spesso frutto di tecnologie industriali piuttosto che di vera artigianalità. Quelle ideate dai designer di Nendo, studio Giapponese del cui team cui si continua a parlare perché sono diabolicamente bravi nel concepire, realizzare e poi rendere, quasi senza fatica, esteticamente irresistibili tutti i loro prodotti, sono scarpe in vitello sulle quali i pattern vengono disegnati con degli appositi pennarelli che a contatto con la pelle vengono assorbiti solo parzialmente, dando l’impressione che ogni singola linea sia stata acquerellata. Tre modelli da uomo e tre da donna in tre colori ciascuno, per un totale di nove varianti per lui e altrettante per lei, più tutta una scelta di motivi e di pennarelli per una capsule collection realizzata per by | n, il concept store nello store che Nendo ha aperto nella sede di Tokyo del grande magazzino Sogo & Seibu, per ora l’unico

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www.nendo.jp/en

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posto dove si possono acquistare; un punto a sfavore dello studio Nendo è proprio quello della mancanza della vendita diretta online. Nonostante siano sul mercato dal 2003 e abbiano partecipato più volte al Fuorisalone, durante la Milano Design Week, i prodotti Nendo, almeno per qunto riguarda l’Italia ed altri paesi Europei, sono molto difficili da reperire, anche utilizzando internet. Il sito web ha, finalmente, aggiunto la traduzione in lungua inglese, ma sembra che il mercato di riferimento resti quello Giapponese o, comunque, un mercato piuttosto di nicchia. Sul web non è stato possibile reperire informazioni sui pennarelli, venduti insieme alle scarpe, nè sul

instagram.com/nendo

costo della calzatura che è venduta come un kit, insieme al pennarello e alla griglia per realizzare il pattern che si è scelto. I pattern disponibili sono 19 e il cartamodello viene ritagliato, direttamente nello store, in base alla parte della calzatura che il cliente vuole personalizzare, mentre per quanto riguarda i pennarelli ci sono ben 17 possibilità di scelta cromatica.

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Pikkpack un progetto di Sara Gulyas

Forse la linea non piacerà a tutti ma resta il fatto che Pikkpack, un modello di scarpa in pelle fai-da-te progettato da una designer ungherese, Sara Gulyas, può essere considerato come l’incarnazione del “prodotto contemporaneo”, quello che bilancia perfettamente ingredienti come il recupero del passato, lo storytelling, la produzione dal basso attraverso il crowdfunding, il risparmio delle risorse ed il coinvolgimento del cliente. Forte di un’esperienza decennale nel mondo della pelletteria ed ispirata da una calzatura tradizionale ungherese come il Bocskor, una sorta di mocassino realizzato a partire da un solo pezzo di cuoio, la Gulyas ha progettato una scarpa minimale seguendo lo stesso principio: un solo pezzo di pelle e un paio di lacci colorati per tenere insieme il tutto. Dopo un primo prototipo realizzato per sé e soprattutto dopo il successo che questo ha avuto in giro per le strade, con sconosciuti che la fermavano per sapere dove acquistarne un paio, la designer ha deciso di focalizzarsi sul progetto e aprire un

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www.pikkpack.com/

facebook.com/Pikkpack

proprio marchio, utilizzando il crowdfunding, nello specifico Kickstarter, per cercare finanziamenti. Ma visto che nel mondo della moda e degli accessori ottenere visibilità è un’impresa non da poco, Sara ha pensato bene di sfruttare la semplicità della sua scarpa a proprio vantaggio, vendendo non la scarpa già assemblata, ma dei kit con cui gli acquirenti possono realizzare da soli la propria Pikkpack, da una parte risparmiando molto tempo in fase di produzione e, dall’altra, offrendo all’acquirente una “customer experience” che si trasforma in valore aggiunto ad un prodotto che altrimenti avrebbe, quasi sicuramente, avuto soltanto la metà dell’attrattiva che ha acquistato. Oggi è possibile acquistare un paio di Pikkpack, in

instagram.com/pikkpackshoes

diverse combinazioni di pelli e lacci, sul sito dove, da poco, sono stati resi disponibili altri due modelli oltre alle classiche Slip-on: il Lace-up Sandal, in versione femminile, e lo Slip-on x, abbinato ad una shopper che riporta la stessa stampa applicata sulla scarpa.

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Fondue Slipper un progetto di Satsuki Ohata

L’idea alla base di queste babbucce presentate durante la Design Week del 2014 dal designer Giapponese Satsuki Ohata è piuttosto interessante e consiste nel realizzare un paio di calzature utilizzando lo stesso concetto della fonduta, solo che al posto del formaggio fuso c’è il PVC e invece del pane… il tuo piede. Lo scopo è quello di creare un paio di ciabatte che, nel momento in cui il PVC si raffredda, diventino perfettamente aderenti, oltre che lavabili, decorabili a piacere dell’acquirente e soprattutto realizzabili direttamente a casa propria. La scarpa può essere indossata sia all’interno che all’esterno: può essere utilizzata all’interno della casa come pantofola piegando il tallone verso il basso o se preferite camminare in strada, il tallone può rimanere naturale, rendendola più simile a una scarpa vera e propria, molte variazioni di colori vivaci offrono una vasta personalizzazione all’acquirente; inoltre è possibile disegnare sulla scarpa sia con una normale penna che con dei pennarelli indelebili. Al momento non c’è ancora un kit per le Fondue Slipper “da asporto”, ma Ohata ci

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www.satsuki.co/

instagram.com/satsukiohata

sta lavorando ed ha già pensato anche ai possibili usi da esterno, come ad esempio per sport come il running, in stile Vibram Fivefingers. Satsuki è ora a lavoro con un chimico italiano per la realizzazione di un kit che consenta di creare, senza inconvenienti, le proprie Fondue Slipper della forma e del colore che si preferisce. Il materiale è ancora in fase di sperimentazione sia per la finitura sul prodotto finito, sia perché alcune prestazioni possono essere migliorate; le slipper, almeno nelle fasi di rodaggio iniziale, non favorivano la traspirazione del piede ed, inoltre, il PVC presentava problemi nella solidificazione che avviene circa a 200/300 gradi Celsius e, quindi, i rischi di infortunio

erano alti: durante la presentazione del prodotto, infatti, per dimostrare al pubblico come realizzare a casa le proprie Fondue Slipper, per ovvie ragioni è stato utilizzato soltanto il calco del piede del designer.

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Nel prossimo numero

Nei sentieri della ceramica Evoluzione delle forme nella cultura del progetto Le mani di un artigiano ceramista Ceramica: materia tessile I percorsi di Marche Musei La ceramica in Giappone


ALMEDA POTTERY


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Cristina Franceschini Design crystif77@gmail.com www.shapeways.com/shops/cristinafranceschinidesign Don’t Run - Beta cargocollective.com/dontrun-beta Fausto Ripani ® Via del Castello 3, 63812 - Montegranaro (FM), Italia tel / fax +39 0734 893065 customerservice@faustoripani.com http://www.faustoripani.com/ Nendo www.nendo.jp Olivia Monteforte Bespoke Shoes Via Piero Gobetti 2, 61020 - Montecchio (PU), Italia tel +39 328 1696850 olivia.monteforte@gmail.com Pikkpack Showroom: The 9 Design Studio, 1093, Budapest, Lónyay u. 54 Mailing address: 1134, Budapest, Gidófalvy Lajos utca 9., HUNGARY www.pikkpack.com Rokiwuz Shoes www.rokiwuz.com Santoni Via Enrico Mattei 59, 62014 - Corridonia (MC), Italia tel +39 0733 281904 fax +39 0733 281908 info@santonishoesit.com www.santonishoes.com Satsuki Ohata www.satsuki.co Selma Durand www.selmadurand.com


P.E. Percorsi d’Eccellenza nelle Marche è una pubblicazione de Il Paesaggio dell’Eccellenza, Associazione della Cultura di Impresa Direttivo Giuseppe Casali Presidente Luciano Brandoni Vice Presidente Domenico Guzzini Vice Presidente Patrizia Clementoni Segretario Consiglieri Silvano Bravi Roberto Carlorosi Caterina Garofoli Manuela Guzzini Stelvio Lorenzetti Bruno Tanoni Comitato Scientifico Alessandro Blasetti Responsabile del Museo delle Scienze UNICAM Roberto Carlorosi Consulente di marketing e comunicazione Piergiovanni Ceregioli Direttore Centro Studi e Ricerche iGuzzini Caterina Garofoli Responsabile marketing Antica Casa Vinicola Garofoli Marco Montemaggi Vicepresidente Museimpresa Giancarlo Trapanese Giornalista e vice caporeddattore redazione RAI, Telegiornale Regionale Marche Direttore Responsabile Alessandro Carlorosi Assistente Direzione Alessia Angelico Progetto Grafico Dalila Niespolo Pubblicazione Periodica Numero 0, Aprile 2016 Quadrimestrale Stampa Adverso Paper & Plan Via Milano 4, 63100, Ascoli Piceno


Luoghi

P.E. - Percorsi d’Eccellenza nelle Marche - Numero 0

“Quella del marchio australiano Feit è una tra le poche newsletter a cui sono iscritto fin da quando ho acquistato il mio primo paio di Superclean Hi in pelle di lama. Il fatto è che ogni volta che ricevo una loro mail poi me ne sto per lunghe decine di minuti a riflettere, cercando di lottare contro compulsi impulsi all’acquisto, valutando i pro e i contro... L’ultima mail era particolarmente stuzzicante, con uno stivaletto da escursione sventrato a mo’ di tavola di anatomia per far da gancio alla curiosità, poi il link diretto verso Park & Bond, negozio online tutto al maschile che ha collaborato con Feit per la realizzazione di questi gioiellini artigianali ed in edizione limitata.” @simonesbarbati

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