canYoning 23 by AIC

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associazione italiana

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NOTIZIARIO dell’ASSOCIAZIONE ITALIANA CANYONING > novembre 2009

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numero

canYoning

> 7° raduno AIC chi dove cosa come

> fotografare in forra Pentax e Olympus a confronto consigli per l’uso

> discensori quale scegliere?

pregi e difetti dei tre modelli più utilizzati


ASSOCIAZIONE ITALIANA CANYONING www.canyoning.it ^ segreteria@canyoning.it sede c/o Gruppo Speleo Stroncone piazza della Libertà 1 ^ 05039 ^ Stroncone (TR)

l’editoriale Sono le due di notte e sono quasi arrivato a casa. La macchina fila veloce su questa autostrada stranamente vuota mentre la musica mi avvolge e pensieri ed immagini si accavallano nella testa per la stanchezza. Sto tornando dal Rif 2009, il raduno francese in Val Roya, e mentre il corpo reclama un po’ di sonno mi lascio scivolare tra i ricordi e le emozioni di questi ultimi giorni. E penso... penso che il nostro ‘sport’ è meraviglioso e che nonostante gli sbattimenti autostradali, gli infiniti chilometri, le levatacce e i pasti inevitabilmente saltati, vale la pena soffrire un pochetto in cambio delle emozioni che esso ci regala. Penso che nel bagagliaio ho tre quintali di materiali bagnati e puzzolenti, che ho la macchina talmente sporca che il lavagista si rifiuterà di pulirla e penso che però ‘chi se ne frega, mi sono divertito un sacco’ e che tutto questo non ha prezzo mentre ‘per tutto il resto c’è mastercard’. Penso alle facce entusiaste dei miei amici su quel tuffo da 15, ai toboga che odio ma che poi faccio e infatti mi spacco tutte le volte, penso alle grida, alle risate, al compagno che ti aspetta in fondo alla pozza per aiutarti a rifare la corda, o a quello che sornione da sotto ti grida ‘ammortizzaaaaa’, penso a quanti modi esistono di scendere un torrente e a quante emozioni se ne ricavano, penso alla bellezza di quella calata lunga lunga e per metà sotto l’acqua cristallina polverizzata dal vento, penso al freddo liquido, al ghiaccio che scende dentro le muta, o al caldo mostruoso di certi avvicinamenti, alle scarpinate nei tratti secchi tra i temibili ‘caos di blocchi’, penso alla fatica, al sudore e penso che tutto questo ogni volta è ripagato in pieno, anche solo dal primo tuffo (se c’è), dal sorriso e la luce degli occhi di chi mi accompagna. Penso a chi si sbatte per armare i torrenti che poi tutti frequentiamo e penso a chi invece non cambia mai nemmeno un cordino, penso a quante persone diverse attraverseranno il medesimo meandro e penso che tra tutte queste c’è un filo conduttore che accomuna sentimenti ed emozioni, penso che per niente al mondo rinuncerei a tutto ciò. Penso che mi ci vorranno tre giorni per lavare e stendere tutti i materiali, penso a certe immagini, a certi panorami che si spalancano improvvisi sotto ai piedi, ai colori, ai silenzi di certe forre, alla meraviglia di certe pozze verdeazzurro e a quanto invece talvolta siano cupe e intimorenti. Penso all’adrenalina che sale quando l’acqua spinge davvero e ce n’è tanta e la paura si fa sentire, penso alla sfida, penso a quando finalmente esci, ed esci vivo, e ritrovando la vita normale ad attenderti tiri un respiro di sollievo. Penso a tutte le avventure che posso raccontare, a quanti amici ho e quante persone ho potuto incontrare e conoscere grazie al canyoning e a questa associazione. Penso che candidandomi per il CD mi sono imbarcato in un’avventura nell’avventura e che sono felice di ‘sbattermi’ per tutto questo. E mentre entro dal cancelletto di casa, finalmente arrivato, penso che ne valga davvero la pena e che nessuno dovrebbe privarsi di certe emozioni. Mai.

marco risoli ^ presidente AIC

in queste pagine ^ barranco Consusa Inferior ^ Pirenei Aragonesi ^ Spagna ^ foto guido armaroli


numero

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in copertin a Cascadas de Ubei ^ Navarra ^ Spagna foto francisco jose padilla gonzalez primo premio al concorso fotografico in occasione del raduno spagnolo Gorgs-Mayencos 09

redazione luca dallari daniele geuna francesco michelacci marta tosco hanno collaborato giuseppe antonini maurizio biondi piero golisano nanni pizzorni matteo rivadossi romy siegl pietro torellini contatti c/o daniele geuna via madonnina 5 10065 pinerolo ^ to notiziario@canyoning.it rea liz z a z ion e grafica dallarik >< graphics

i n dice 02

editoriale zoom 1

fare foto in forra

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zoom 2

uscita foto.torrentistica

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indagine

confronti tra discensori

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agenda

360째 info

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associazione

il nuovo consiglio direttivo AIC

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eventi

VII raduno AIC

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contributi

rio de lis cladis

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associazione

ricordo di federico

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mercato

trapano bosch uneo

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associazione

organigramma e contatti

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piero golisano & francesco michelacci

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far foto in forra

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Far foto in forra è decisamente impegnativo a causa delle oggettive difficoltà che l’ambiente comporta: acqua e mancanza di luce limitano fortemente le possibilità operative e il tempo necessario a scattare le foto può innescare talvolta una malcelata insofferenza da parte degli altri componenti del gruppo perché i normali tempi di progressione si dilatano inevitabilmente. Chi si propone di realizzare qualche bella immagine durante un’uscita in torrente dovrà necessariamente dotarsi di una attrezzatura adeguata che gli consenta di ovviare a questi inconvenienti e di molta determinazione perché, come vedremo, fare delle belle foto non sarà una cosa banale. Le opzioni sono molteplici, la più semplice consiste nel dotarsi di una delle moderne macchine fotografiche digitali compatte subacquee che il mercato propone. Si tratta di oggetti relativamente economici e poco ingombranti che, pur con delle limitazioni d’uso che analizzeremo più avanti, in determinate condizioni permettono di realizzare immagini di buona qualità. Se invece vorremo utilizzare una compatta non impermeabile, o meglio ancora una reflex, sia essa digitale o a pellicola, dovremo proteggerla adeguatamente dall’acqua. A questo scopo ci dovremo munire di un contenitore stagno che potrà essere il classico bidone che fa già parte del nostro corredo o una custodia stagna specifica per la macchina. Entrambe le soluzioni però presentano numerosi inconvenienti che alla lunga potrebbero far rimpiangere di non aver avuto con noi una più modesta macchina impermeabile. Le custodie per le reflex infatti sono in genere molto pesanti, il loro ingombro è notevole e decisamente costose. A volte possono arrivare a costare quasi quanto la macchina stessa. Ciò si spiega con il fatto che tali custodie nascono soprattutto per le riprese subacquee (sott’acqua il peso non si avverte) dove l’apparecchio è sottoposto a notevoli pressioni e quindi la custodia dev’essere costruita in un certo modo. D’altra parte fermarsi ogni volta per tirare fuori dal bidone stagno la macchina, magari mentre si è immersi in una pozza, non è certo comodo, senza contare i rischi di allagamento del bidone nel caso che il suo coperchio non sia stato chiuso bene o qualora la guarnizione si sia danneggiata o non faccia una buona tenuta perché induritasi o screpolata. Un’ultima possibilità è quella di servirsi di custodie stagne come quelle prodotte dalla Peli o dalla Ortlieb che a fronte di un ingombro e di un costo limitato (70/100 euro) risultano molto pratiche perché permettono un accesso ottimale al loro contenuto e possono essere portate tranquillamente a tracolla. Ma ritorniamo a parlare delle compatte impermeabili e, in particolare di due modelli: la Pentax W60 e l’Olympus Mju 1030 Sw. In generale i limiti principali delle compatte consistono nelle ridotte possibilità di con-

trollo dei parametri di scatto (rispetto ad una reflex) e nella minore luminosità degli obiettivi, che in condizioni di luce precarie come quelle che si ritrovano sovente in forra rendono più difficile realizzare fotografie correttamente esposte. È pur vero che queste macchine dispongono di numerose modalità operative, anche più di 20, che se sfruttate appieno permettono di ridurre di molto il divario tra di loro e le macchine di fascia superiore. Per ottenere ciò è indispensabile conoscere a fondo le possibilità d’impiego della nostra fotocamera e dei principi basilari della ripresa fotografica, magari leggendosi i corposi manuali (anche più di 200 pagine) con cui vengono vendute, che ci permetteranno di trarne il miglior risultato possibile. Se otterrete dei risultati scadenti quindi non prendetevela subito con la macchina, che magari ha svolto egregiamente il suo lavoro, ma pensate magari che voi - per pigrizia – l’avete usata lasciandola impostata sul classico programma “tutto fare”. Sarebbe come lamentarsi che la lavatrice vi ha rovinato il bucato salvo accorgervi che avete usato un programma non adatto al tipo di biancheria, vi pare? Per quanto riguarda la scarsa luce presente negli ambienti in cui ci muoviamo possiamo ovviare a questo inconveniente aumentando la sensibilità operativa dato che le compatte waterproof ora in commercio, permettono di raggiungere gli 6400 ASA. È opportuno ricordare però che l’aumento della sensibilità porta con sè anche un aumento del “rumore”, un disturbo che porta ad un peggioramento della qualità delle immagini. Meglio quindi ricorrere ad una sensibilità inferiore, ad es. 400 ASA, posizionando la fotocamera su di un masso o addirittura su un cavalletto (ve ne sono anche di molto piccoli e leggeri) che ci saremo portati in previsione di questo utilizzo e che potremo tenere a portata di mano riponendolo nella tasca superiore dello zaino. L’utilizzo del flash in forra è sconsigliato per vari motivi. Intanto perché la portata dei piccoli flash montati sia sulle compatte che sulle reflex non supera i 3 metri e poi perché l’utilizzo automatico del flash causa un prematuro esaurimento delle batterie. È meglio quindi disattivare questa funzione e limitarsi invece ad usarlo per schiarire le ombre nel caso si vogliano fare dei ritratti in controluce (fate riferimento al manuale operativo della vostra macchina per vedere se tale modalità operativa sia contemplata). Nelle fotocamere reflex l’utilizzo dell’autoscat to e/o il sollevamento manuale dello specchio permette poi di ridurre ulteriormente il livello delle vibrazioni. Se state riprendendo un soggetto in movimento è probabile che vi troviate ad affrontare un ulteriore problema: le immagini mosse. Impiegando una fotocamera che permetta

di intervenire manualmente per correggere l’esposizione è necessario impostare un tempo o un diaframma (in funzione del tipo di automatismo disponibile) che possa “congelare” il movimento del soggetto. Bisogna distinguere due casi: soggetto che si muove in una direzione perpendicolare a voi o soggetto che si muove frontalmente (ad es. in avvicinamento o allontanamento). Nel primo caso il tempo minimo da impiegare dipende, oltre che dalla velocità del movimento (e dalla distanza del soggetto), dalla lunghezza focale dell’obiettivo che state usando. Una regola empirica ma valida dice che non bisogna impiegare un tempo più lungo del reciproco della focale dell’obiettivo. Tradotto in parole più semplici se sulla vostra fotocamera è montato un grandangolo da 28 mm il tempo più lento da impiegare sarà 1/30 di secondo, se avete un obiettivo da 50 mm potrete utilizzare un tempo di 1/60 sec. e così via. Il movimento frontale del soggetto invece risulta meno evidente ed è perciò più difficile che le foto vengano mosse. Non dimenticate che l’accumulo di goccioline d’acqua sulla lente frontale dell’obiettivo se non rimosse rovineranno irreparabilmente la nostra fotografia. La soluzione migliore consiste nell’utilizzare un panno di pelle di daino di ottima qualità per eliminare le tracce d’acqua. Esistono in commercio degli specifici spray antiappannanti e/o antiaderenti anche se, forse pochi lo sanno, lo stesso risultato si può ottenere a un costo praticamente zero sfregando una fetta di patata sul filtro copri obiettivo o sull’oblò della custodia stagna. Vediamo infine brevemente le caratteristiche principali e le differenze tra i due modelli di fotocamere sopra citati. La Pentax W60, erede della gloriosa WP, è stata lanciata sul mercato alla fine 2008 ed è tutt’ora in vendita. Resiste

all’infiltrazione di sabbia e acqua può essere immersa fino a una profondità di 4 metri per un tempo massimo di 2 ore. Non teme neppure il freddo dato che continua a funzionare come se nulla fosse fino a temperature di –10 gradi C. Dispone di un sensore da 10 megapixel che permette di ottenere stampe di alta qualità in formato poster. La macchina ha uno zoom ottico 5 x, equivalente ad un 28-140 mm se paragonato al formato 35 mm. Con questa escursione focale si possono realizzare senza problemi sia foto d’interni che ritratti che panorami. La distanza minima di messa a fuoco è di 1 cm, permettendo così di realizzare delle macrofotografie veramente eccezionali. La sensibilità del sensore consente di arrivare


In generale si può affermare che maggiore è il numero di pixel del sensore e migliore sarà il risultato ottenuto. Tuttavia occorre considerare anche l’uso che si intende fare delle fotografie scattate. Per comprendere meglio il significato di questa affermazione è necessario introdurre i concetti di dimensioni e di risoluzione ottica di un’immagine. Ogni immagine scattata, sia con una fotocamera digitale sia con una tradizionale macchina a pellicola ha delle dimensioni intese come una determinata larghezza per una certa altezza, espresse per esempio in centimetri. È un concetto quasi banale ma bisogna tenerne conto. Quando ci facciamo stampare una fotografia una delle cose che vengono richieste è il formato di stampa. In modo del tutto analogo quando scattiamo una fotografia con una macchina digitale dovremo impostare le dimensioni finali dell’immagine. Questa viene normalmente definita in pixel, ad es, 1600x1200. Tale informazione da sola è insufficiente perché deve essere associata a quella relativa alla risoluzione ottica che è il secondo parametro fondamentale per definire in modo corretto le dimensioni finali effettive di un’immagine digitale. La risoluzione ottica infatti rappresenta la qualità dell’immagine stessa e può essere considerata come il numero di dettagli presenti in un’immagine. Ogni fotocamera digitale permette di impostare, tra le varie opzioni, questo valore lasciando invariato invece il numero di pixel della risoluzione. Questo valore viene espresso in dpi (dots per inch = punti per pollici) e, per le stampe, assume convenzionalmente 3 valori: 300 - 200 - 150 per indicare rispettivamente le stampe di alta, media e bassa qualità. La risoluzione in pratica ci dice quanti punti colorati ci saranno in ogni quadrato di 2,54 cm di lato (corrispondenti ad 1 pollice) e quindi anche le dimensioni di questi punti (ad es. 2,54/200 = 0,013 mm/punto). L’occhio umano per distanze superiori ai 30 cm non percepisce differenze al di sopra dei 100 dpi. Però osservando una stampa da vicino o utilizzando una lente di ingrandimento si noterebbe subito una fotografia molto sgranata, indice di bassa qualità. Per risolvere questo inconveniente le soluzioni possibili sono solo due: o si riducono le dimensioni dell’immagine o si aumenta la risoluzione della stessa. Un semplice calcolo matematico ci dice che per ottenere delle stampa di alta qualità nel formato 20x30 una risoluzione di circa 7-8 megapixel è più che sufficiente. Sfruttando tutte le capacità del sensore, ad es. i 10 o 12 megapixel disponibili su molte fotocamere, non si otterranno significativi incrementi della qualità ma solo file esageratamente grandi. Per stampe di dimensioni inferiori (ad es. 10x14) 5 megapixel saranno più che sufficienti e vi permetteranno di immagazzinare un maggior numero di foto sulla scheda di memoria. Giusto per darvi un’idea sappiate che utilizzando una risoluzione di 7 megapixel (corrispondenti ad un’immagine di dimensioni 3072x2304) e impostando le fotocamere per la massima qualità su una scheda di memoria da 2 Gbyte è possibile memorizzare dalle 620 alle 700 foto, più che sufficienti quindi per qualunque reportage. Nel caso infine vogliate inviare le vostro foto via mail senza intasare la casella di posta del ricevente potrete facilmente ridurne le dimensioni con uno dei tanti programmi di ritocco fotografico disponibili, senza perdere in qualità (ricordate che i dettagli si possono sempre togliere, mai aggiungere!) Infine un ultima cosa riguardo le dimensioni del sensore della fotocamera. Un sensore con un elevato numero di pixel può essere ottenuto in due modi: costruendone uno di grandi dimensioni o riducendo le dimensioni degli elementi che compongono il sensore per farli stare in un determinato spazio. Le due soluzioni, per quanto numericamente equivalenti, sono agli antipodi. Un sensore di grandi dimensioni, come quello montato sulle reflex professionali da migliaia di euro, produrrà immagini di qualità molto elevata perché la luce andrà a colpire una superficie più ampia, mentre un sensore più piccolo per catturare una quantità di luce sufficiente dovrà montare degli elementi molto più sensibili alla luce che inevitabilmente amplificheranno anche i disturbi occasionali. Questo è uno dei motivi principali per cui, come abbiamo ricordato in precedenza, impostando un’alta sensibilità si ottiene un aumento del disturbo definito come “rumore”.

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quanti MEGAPIXEL servono davvero ?

a 6400 ISO. Impiega memorie di tipo SD e SDHC (alta velocità, indispensabili se si vogliono riprendere dei video ad alta risoluzione nel formato Mpeg 1280x720). Il display LCD sul dorso ha una diagonale di 2,5 pollici ed una risoluzione di 230.000 punti. Non ha mirino ottico. Dispone di uno stabilizzatore di immagine digitale ed è capace di riconoscere i soggetti in movimento impostando il programma più adatto. A questo proposito ricordo che sono disponibili ben 24 modalità di ripresa differenti. Il costo indicativo nei negozi è (ad agosto 2009) è di circa 250 €, ma acquistandola via internet la si può trovare anche a cifre notevolmente inferiori. L’Olympus Mju 1030 Sw può essere immersa fino a una profondità di 10 metri e resiste a cadute fino a 2 m di altezza. Anche lei funziona fino a temperature di – 10°C. Il suo corpo è costruito per resistere ad uno schiacciamento massimo di 100 kg. Impiega un sensore da 10 megapixel mentre lo zoom è leggermente più corto: 3,6 x equivalente ad un 28-102 mm. Praticamente identiche le dimensioni del display (2,7 pollici anziché 2,5) e la sua risoluzione. La sensibilità del sensore arriva a 1600 ISO. Non è possibile realizzare filmati in alta risoluzione, ma solo nel formato 640x480. Impiega schede di memoria di tipo Xd, leggermente più care delle SD e meno veloci delle SDHC. Dispone di un segnalatore di profondità integrato (utile per chi fa subacquee in modo da non rischiare di portarla ad una profondità eccessiva) mentre non dispone di uno stabilizzatore di immagine, forzando perciò la macchina in caso di poca luce ad impostare una sensibilità più alta con gli inconvenienti sopra citati. Anche l’Olympus non ha mirino ottico. Ultima nota dolente il costo: varia tra i 340 ed i 385 € che perciò la posiziona in una fascia di mercato nella quale si trovano anche vari modelli di reflex digitali entry-level con prestazioni superiori. Per dovere di cronaca vi ricordo che la Pentax ad Agosto 2009 ha annunciato l’uscita della nuova compatta Optio W80, molto simile alla precedente ma rinforzata per assorbire gli urti e resistere alle cadute fino ad 1 m d’altezza. Sono state leggermente migliorate anche le caratteristiche di impermeabilità che le permettono così di immergersi fino a 5 m per due ore di permanenza. Invariata la sensibilità massima mentre il sensore è da 12 Megapixel. Il prezzo di lancio è stato fissato in 329 €. Anche l’Olympus ha rinnovato la sua gamma introducendo la Mju 8000 che però è sostanzialmente identica al modello precedente. Quale scegliere quindi? La risposta non è semplice. In tutte e due le macchine i pulsanti dello zoom e i controlli sono un po’ piccoli rendendoli scomodi da regolare se si usano i guanti. Per il resto la resa dei colori è molto buona, leggermente migliore sulla Pentax, e così la nitidezza che è adeguata agli standard per una compatta. L’Olympus è sicuramente realizzata meglio ed è più resistente, ma dal punto di vista delle prestazioni soffre un po’ il confronto con la Pentax che risulta invece più versatile. Ricordatevi comunque che in tutti gli zoom quando l’obiettivo viene impostato sulla focale minima le linee verticali del soggetto che viene ripreso saranno inevitabilmente affette da una leggera distorsione (c.d. “a botte”) meno avvertibile se il soggetto è lontano. Cosa fotografare? Beh, dipende dai vostri gusti e dalla vostra sensibilità trovare gli spunti migliori. Sappiate però che i tempi veloci congeleranno al meglio gli spruzzi, quelli lenti daranno un tono fiabesco ai mille rivoli che si riversano fra i massi, dall’alto si potrà meglio apprezzare la verticalità, dal basso sarà più leggibile l’ambiente. E se invece di dar retta ai nostri consigli vi dovesse capitare di ritrovarvi con una fotocamera tradizionale, ossia non impermeabile, o un cellulare allagati? Non disperate, perché non tutto è perduto. Sappiate che se intervenite con tempestività ci sono buone probabilità di riuscire a rimettere in funzione l’apparecchio danneggiato. Innanzitutto non accendetelo, ma estraete la batteria e l’eventuale scheda di memoria. Poi collocate l’oggetto dentro una tazza e riempitela di riso lasciatelo li per tutta la notte: il riso assorbirà l’umidità residua. Il giorno dopo rimettere la batteria e … incrociate le dita, potreste avere una piacevole sorpresa! Nel caso invece che l’oggetto sia caduto in acqua di mare il recupero è pressoché impossibile. L’unico tentativo che potete fare è, prima di seguire la procedura sopra indicata, di metterlo a bagno in acqua distillata per un paio d’ore.

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di francesco michelacci

Se dopo aver letto l’articolo sulle foto in forra decidete di mettere alla prova le vostre abilità artistiche, potrete organizzare un’uscita fotografica. Non illudetevi di mietere facili successi, il segreto (che tale non è) sta nella meticolosa e puntigliosa preparazione del tutto ed in una felice scelta del percorso. Canyonisti, ambiente e fotografi, queste le tre componenti essenziali. Nell’ambiente metteremo pure due variabili indipendenti su cui avrete poca influenza come luce e scorrimento. Come procedere dunque? Innanzitutto scegliere un percorso che conoscete, di media difficoltà e grande bellezza, occhio all’inforramento, come tutti sappiamo più la forra stringe meno luce sarà disponibile. Mettete insieme un bel gruppo di torrentisti il più autonomi e pazienti possibile, se avrete dei bambini o ragazzini dovranno avere un genitore in grado di provveder loro, se il genitore

L’USCITA

fototorrentistica NEL CIOROSOLIN

tende a farsi prender dall’ansia date loro una mano in quelle disarrampicate dove non si usa la corda, in genere sono i posti dove la progressione s’inceppa. Un abbigliamento vivace con caschi e zaini colorati renderà meglio in fotografia, all’uopo una maglietta dai colori vivaci sopra la muta sarà efficace. Specificate chiaramente che la progressione sarà lenta, quasi ogni calata andrà affrontata da tutti i componenti prima di passare alla successiva, utile dunque che i più freddolosi siano adeguatamente coperti. Una corda in più servirà per calare o assicurare un fotografo in posizioni esposte e maggiormente spettacolari. Se il gruppo è numeroso dovrete stabilire chi è l’ultimo, in

Utile nel contenitore stagno un panno per ripulire la fotocamera dagli inevitabili spruzzi. I veri perfezionisti si porteranno un cavalletto, eventualmente anche un ombrellino. Il 25 Luglio scorso siamo andati al Ciorosolin, 13 i partecipanti fra cui 3 fotografi. Molteplici e variegate le provenienze, Liguria, Lombardia, Romagna, Umbria, Lazio e Marche. La parte iniziale del canyon non era all’altezza delle aspettative, gli sfasciumi presenti hanno un po’ tolto fascino allo scendere, molto bella invece la parte inforrata dove sono numerosi passaggi obbligati in un flusso idrico mai cattivo.

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canYoning

sopra pietro torellini e francesco michelacci all’opera (foto guido armaroli) e a destra il risultato della sessione (foto pietro torellini) sotto ancora pietro mentre porta a spasso la sua attrezzatura (foto francesco michelacci)

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modo da non dimenticare nessuno a monte di un salto. Cosa e come fotografare? Qui la fantasia si spreca, sarà compito degli operatori interpretare al meglio quanto disponibile, tuffi, toboga e teleferiche sono sempre benvenuti, ma un particolare gioco di luce, una nicchia entro cui ripararsi, una posizione un po’ scomoda raggiunta ravanando fra le rocce, faranno la differenza e vi permetteranno di sfuggire al banale. Qualche ulteriore avvertenza: se organizzate delle teleferiche, tensionatele molto e cercate di avere le carrucole. I tuffi ripresi dall’alto col grandangolo sono particolarmente spettacolari. Una calata in coppia, due adulti su due corde o adulto-ragazzino su di una corda sola riempiono bene il fotogramma. Un tempo di ripresa molto veloce congela gli spruzzi e conferisce spettacolarità all’immagine. Un tempo lento (con persone immobili) dà un’aura fiabesca al tutto. Ottimi punti di ripresa sono i deviatori e gli spazi, se ci sono, che sovrastano la sosta. Usate l’acqua, è la nostra grande amica, se la portata lo consente fate scendere gli amici direttamente nel getto, riprendete le espressioni concentrate o felici.

Sei ore di percorrenza ci hanno condotto all’uscita ancora freschi ed entusiasti per la bella giornata trascorsa insieme, il merito va alla buona conoscenza delle tecniche di progressione ed all’immediato affiatamento. Teleferiche e deviatori sono stati funzionali sia ad una discesa più semplice che ad una miglior spettacolarità del riprendere. Alla mia Nikon D200 con lo zoom 18/70 si sono affiancate la Canon D5 con il 24/70 di Pietro Torellini e la Nikon Coolpix P50 compatta di Guido Armaroli. Sono state scattate un migliaio di fotografie con le quali comporremo un album stampato in offset appositamente dedicato all’uscita ed agli amici protagonisti. Ecco dunque che una volta terminata la gita, inizia il compito più gravoso ed artistico nel più vero senso del termine. Ogni fotografia verrà inserita in un contesto, si regoleranno luminosità, contrasto, saturazione ed inquadratura, ad ogni componente del gruppo andrà dato il giusto spazio ed allo stesso modo si ripartiranno equamente le immagini dedicate ad ogni manovra. Se ogni tassello del puzzle troverà il suo posto, il risultato sarà di grande soddisfazione.


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ce ne sono di tutti i tipi, cambiano forma, peso, attacco, colore, utilizzo, buchi e cornini ma lo scopo è sempre lo stesso: frenare

di seguito, tre esperti torrentisti mettono a confronto i tre modelli piĂš utilizzati: otto classico Petzl Piranha Kong Hydrobot a cura di:

Giuseppe Antonini Giovanni Pizzorni Matteo Rivadossi

discensore

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quale scegliere ?

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Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sui discensori. Subito mi sono domandato: ma non è già stato scritto tutto sui discensori? La risposta è stata ovviamente sì e così ho pensato di scrivere su quello che faccio io, ovvero, che cosa uso, perché e quando. Parto dalla fine. È ovvio che quando mi muovo in ambiti istituzionali (SNC e CNSAS) rispecchio fedelmente le indicazioni che il ruolo di istruttore mi impone. Tanto per intenderci uso i discensori che ha scelto la scuola e li uso nel modo che dice la scuola. A scanso di equivoci, non sono scelte imposte ma condivise. Il fatto è che al di la delle scuole ci sono mille altre sfaccettature che sono molto furbe o risolutive in casi specifici ma non proponibili all’interno di un palinsesto didattico. Detto questo, quando vado per conto mio uso anche altre attrezzature e quelle standard, alle volte, le uso in modo non convenzionale. I discensori che uso sono fondamentalmente tre: Petzl Pirana, Kong Hidrobot e Otto (stendo un velo di riserbo sui prototipi auto costruiti). OTTO È l’attrezzo polivalente per eccellenza. In pratica ci puoi fare tutto. Alcune cose meglio, altre un po’ meno ma non ha limiti di utilizzo. Il suo più grande pregio è quello di essere un attrezzo a prova di scemo e questo fatto lo rende impareggiabile per i neofiti e per i corsi. Nella manovra della corda svincolabile, sia nell’opzione otto in battuta che in quella foro grande, rende oltremodo veloce la manovra dell’ultimo. Ottima la possibilità di montarlo autobloccante in risalita con passaggio alla funzione discesa immediato. Eccezionale per le calate a grappolo e ottimo per le doppie. Chiave di bloccaggio efficace ma non banale in talune situazioni. Il suo più grande difetto è la paurosa ritorsione delle corde. Durante le discese con relais in parete occorre essere vigili e, ogni tanto, svincolare le corde per eliminare i riccioli. Nella funzione corda svincolabile dall’alto occorre avere ben chiaro il fatto che non è possibile svincolare oltre un tot di metri, specialmente se si è da soli. PIRANA Il suo punto di forza è la possibilità di variare la velocità in corso d’opera oltre a quella di poter scegliere la tipologia di montaggio a seconda della corda che dobbiamo usare. Queste qualità ti permettono di non incorrere negli spiacevoli inconvenienti di discese lentissime e faticose o veloci da far uscire il fumo dalle mani! Ottima la chiave di bloccaggio. È eccezionale nella manovra di soccorso in intervento diretto. Un semplice passaggio sul dentino ti permette di tagliare la corda senza patemi d’animo (anche sotto cascata!) e scendere con l’infortunato attaccato in tutta sicurezza. Il suo difetto maggiore è quello di essere inamovibile; non c’è nulla da fare, serve solo per scendere o per fare sicura. Altro difetto è il montaggio con la corda doppia: insopportabilmente lento. HYDROBOT La possibilità di variare velocità in corso d’opera e simile al Pirana anche se più limitata. Ottimo nella manovra di soccorso in intervento diretto ma esclusivamente con montaggio Vertaco. Stesso accorgimento è da usare con le corde da 9mm. Polivalente nell’utilizzo: discesa singola e doppia, corda svincolabile, funzione autobloccante in recupero (in pratica è una piastrina). Come per il Pirana è ottima la chiave di bloccaggio. Il fatto di non ritorcere le corde lo rende impareggiabile nelle calate in parete con relais intermedi e anche nei lunghi svincoli. Il difetto più evidente è la forma poco marcata della gola di rimando che obbliga a una posizione “innaturale” del braccio che tiene la corda. In pratica si è obbligati a forzare la corda all’interno del rimando pena la fuoriuscita della stessa. Quando ciò avviene il discensore diventa molto veloce e di difficile controllo. Altro difetto è la possibilità, neanche tanto remota, che gli ingrossamenti della corda dovuti a scorrimento della calza, vadano a incastrarsi nella piastrina, impedendo la fuoriuscita della corda una volta arrivati in acqua alla fine della calata. Questi due “difetti” lo rendono un attrezzo, a mio parere, non adatto a tutti. A seconda di come la si vede, il fatto di essere un attrezzo per specialisti può apparire il vero limite o, forse, il suo più grande pregio. conclusioni Uso questi tre discensori in maniera indifferente a seconda dei casi e delle necessità. In tutta onestà non mi sento di esprimere una valutazione su quale dei tre sia il migliore. Stiamo parlando di tre buoni attrezzi con pregi e difetti e con caratteristiche differenti. Nel campo delle attrezzature tecniche, si capisce subito quando un prodotto e palesemente una porcata. Nel caso di questi tre attrezzi la differenza la fanno l’utilizzatore e le circostanze.

di matteo rivadossi

La cosa che più mi affascina in qualità di ideatore di attrezzature alpinistiche è pensare alla soluzione ideale, ben sapendo che la genialità nel campo dell’hardware può nascondersi anche nel materiale già in circolazione. Come sportivo la mia deformazione da fantasista mi ha risparmiato trappole tese da dettami accademici e preconcetti in fatto di tecniche e materiali. Limitano la curiosità e assomigliano troppo a degli esorcismi contro le proprie debolezze! Sì, a mio avviso nel campo dei discensori da canyon trovo che un modello sia decisamente più furbo ma forse non abbastanza da essere osannato né da essere in grado di annichilire la concorrenza. Insisterei piuttosto sui tecnici che, per essere definiti tali, dovrebbero saperne sviscerare limiti e pregi per poi sfruttarli al meglio nelle più disparate situazioni. Credo che il classico OTTO usato come discensore universale da generazioni possa godersi oggi una meritata pensione anche in ambito torrentistico. Proverbialmente leggibile e versatile, presenta il grosso limite di torcere le corde (a volte diabolicamente) e di necessitare quantomeno l’apertura del moschettone di collegamento ad ogni calata se non addirittura il distacco dell’attrezzo stesso. A tal punto che, grazie ai più sbadati, si è diffusa l’attività parallela della pesca degli otto finiti nelle pozze... Fossi un estimatore poi non mi cruccerei del potenziale blocco “a bocca di lupo” nel montaggio classico quanto dell’impossibilità di variarne il freno sotto carico. Utilizzato invece come un attrezzo universale lo ritengo insostituibile nelle manovre di gestione delle corde dall’ancoraggio. Montato in calata o in battuta, bloccabile su uno o due rami: per ora il miglior interprete del concetto di “debrayabile”. Insomma: guai a non averne appeso uno all’imbragatura ma assolutamente ridicolo averne di più! Per la cronaca il premio “albero di Natale” va comunque ad un francese che per eccesso di zelo ne aveva addirittura 6 (Maglia, agosto 2007)! Il PIRANHA è la rivisitazione moderna del discensore “ad otto” di cui risolve elegantemente alcuni problemi tranne il più grave, cioè la torsione e l’accavallamento delle corde. Difetto semplicemente inaccettabile per un discensore ad hoc. Come il suo predecessore è realizzato in un pezzo unico forgiato ma vanta un design elegante e leggero dalle estremità spigolose. Permette inserimenti diversi in funzione della corda e la variazione dell’effetto frenante sotto carico come la costruzione di una efficace chiave di bloccaggio. Subdolo il fatto che per essere imperdibile si debba accoppiare con uno dei costosi moschettoni della stessa casa con cui formerà un blocco piuttosto rigido ed appuntito. A proposito, un paio di mute strappate e una gamba infilzata tra le vittime... L’HYDROBOT, scorrendo assialmente sulla corda, è un attrezzo superiore per qualità di discesa: oltre a non torcere le corde, è modulabile anche sotto carico con possibilità di chiave efficace e lascia i rami della doppia sempre divisi. Per contro il recupero del lasco di corda in partenza non risulta per nulla istintivo né comodo. Corpo forgiato a due cave parallele e cursore incernierato dotato di magnete, è collegato all’imbrago con un moschettone che non viene né aperto né consumato ad ogni discesa. Insuperabile nelle doppie molto lunghe e nella gestione separata dei due rami anche di differente diametro. In virtù della possibilità di montare la corda in funzione autobloccante è a tutti gli effetti un attrezzo autobloccante ventrale sempre montato adattato a risalire corde singole o doppie. La larghezza delle cave (14 mm) permette di superare rigonfiamenti e piccole lesioni della corda, bloccandosi però inesorabilmente sugli scalzamenti più gravi. Premesso che sarebbe assurdo scendere su una corda già gravemente scalzata con qualsiasi attrezzo, farei notare che la lesione avvenuta invece al momento della discesa normalmente si dipana a monte dell’attrezzo. Inserendo la corda singola il consiglio è di scegliere la cava più interna in maniera da trattenere meglio la corda eventualmente inserita nella bocca di freno.

canYoning

di giovanni pizzorni

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di giuseppe antonini

In attesa del discensore ideale per l’attività in canyon, proviamo ad analizzare quello che offre il mercato al riguardo.Naturalmente non tutti i discensori, ma i tre più diffusi nella comunità torrentistica. È bene dirlo subito: le note che seguono sono frutto di impressioni personali, in parte suffragate dall’osservazione di utilizzatori con vario grado di esperienza, fino a quelli poco o per nulla esperti. Gli errori e le difficoltà con i quali si sono dovuti confrontare, hanno messo in luce i difetti (ed i pregi) dei discensori esaminati. So bene che le mie considerazioni non troveranno tutti d’accordo. Per questo siamo ancora alla ricerca del discensore ideale... Innanzitutto, cosa si chiede ad un discensore per forra? Che nella discesa sotto cascata non si rimanga bloccati nel bel mezzo della stessa. Poi, che sia sufficientemente governabile su un ampio range di diametri e di corde: dai “cavi” di corda vecchi e rigidi, alle nuovissime e scivolose 8mm. Tutto questo deve poi funzionare anche in presenza di variabili quali: peso dell’utilizzatore, inclinazione della parete, peso della corda, flusso d’acqua che agisce sulla stessa. Insomma, il discensore per canyoning deve adattarsi a molteplici situazioni e combinazioni. Inoltre, per poter essere sicuro, il discensore deve essere anche affidabile: messo in mano ad un utilizzatore inesperto deve poter escludere la possibilità di confondersi nell’inserimento della corda. Infine, il discensore deve offrire la possibilità di bloccarsi con una chiave di corda sicura, facile sia a realizzarsi che a liberarsene. Ed ora proviamo a comparare otto, Pirana ed Hydrobot, in funzione delle esigenze di chi si appresta a scendere una cascata. Blocco accidentale su corda L’otto ed il Pirana hanno in sé un “peccato originale”: ritorcono le corde. La cosa si accentua notevolmente quando il primo a scendere trova la corda ferma su cenge, o semplicemente sui rami di un arbusto: torcendosi si creano progressivamente delle spire e, se non ci si accorge tempestivamente del problema, si finisce inesorabilmente bloccati su una matassa di corda. Quindi, in questo senso, otto e Pirana creano potenzialmente un pericolo su corda. Tuttavia, se la corda viene gestita correttamente, il rischio diventa trascurabile. L’Hydrobot, invece, non ha questo difetto. Tuttavia, al passaggio di una corda scalzata, ci sono forti probabilità di rimanere appesi alla calza della corda che non riesce a superare la feritoia: un difetto che l’otto ed il Pirana non hanno. Da segnalare che il problema si può verificare anche su corde rigide, gonfie o su corde nuove, per effetto “calzino” (calza che scorre sull’anima). Modulazione della velocità Al variare del diametro della corda, dello stato in cui si trova (nuova, asciutta, bagnata, infangata etc…), del peso dell’utilizzatore e della corrente che trascina la corda, trovo che l’unico discensore in grado di garantire il controllo ed una modulazione della velocità ottimale sia il Pirana: partendo dalla configurazione veloce si può incrementare l’azione frenante con semplici giri tra gancio inferiore e corno superiore; ciò si traduce in un controllo della corda superiore rispetto agli altri due concorrenti. Su corda doppia, con corde di grosso diametro, il Pirana invece lascia un po’ perplessi: si vede bene che non è nato per questo. Tuttavia, c’è da dire che la doppia in forra è una tecnica marginale ed inoltre, accoppiandolo ad un moschettone super base larga, la corda si gestisce bene. L’Hydrobot, invece, dimostra nella corda doppia le sue vere performances; non dimentichiamo che è figlio del robot, attrezzo alpinistico concepito proprio per questo. La singola invece, soprattutto se di diametro ridotto o molto scorrevole, non si governa così facilmente: la gola e, soprattutto, il corno non garantiscono una modulazione facile: così, si può passare da una discesa lenta… ad una folle, semplicemente perché la corda fuoriesce dal corno e/o dalla gola; quindi, a meno di non aver una pinza al posto della mano, la cosa può rivelarsi pericolosa. Questo mi sembra il più grande difetto dell’Hydrobot. L’otto in configurazione vertaco si pone in una situazione intermedia.

. versatile, adattabile ad ogni manovra . compatto ed economico . facile ed intuitivo

. ritorce le corde . chiave di bloccaggio . possibilità di smarrimento

. regolazione della velocità di discesa . chiave di bloccaggio . è leggerissimo: solo 90 gr

. piuttosto ingombrante . lento in doppia . costoso, con il moschettone si arriva a 40 €

Affidabilità In buona parte è legata alla possibilità di modulare la velocità a piacimento (controllo). Ma ci sono anche altri aspetti. Tra questi un inserimento della corda semplice, chiaro e sicuro, in cui siano immediatamente riconoscibili eventuali errori; inoltre, riguardo all’affidabilità, è necessario considerare non solo il discensore, ma anche l’interazione con il moschettone che lo collega all’imbrago. In questo senso il Pirana è nettamente superiore agli altri, dal momento che, presentandosi come un monoblocco con il moschettone, evita la maggior parte delle situazioni potenzialmente rischiose in fase di partenza; otto e Hydrobot, invece, ruotano sui moschettoni, con tutto ciò che ne consegue. Inoltre, l’Hydrobot porta con sé il difetto di una possibile apertura accidentale della barra frenante, risolto solo in parte dal magnete. Inserendo la corda singola nella feritoia più interna si abbassano ulteriormente le probabilità che ciò accada ma non in modo così significativo. Chiave di corda: arrestarsi e ripartire senza problemi La possibilità di arrestarsi volontariamente su corda in modo semplice, e di ripartire altrettanto facilmente, è legata alla chiave di corda che si realizza. L’otto in questo senso non è proprio il massimo, almeno per un utilizzatore poco esperto. È invece il punto di forza del Pirana: dopo un giro di corda tra gancio inferiore e corno superiore, è molto semplice trattenere la corda mentre si realizza la chiave di corda. L’Hydrobot si pone in una situazione intermedia. Versatilità Quanto a versatilità l’otto vince su tutti potendo adattarsi ad innumerevoli situazioni: attrezzo autobloccante, otto in battuta, assicurazione del primo in arrampicata, solo per dirne alcune. Il Pirana, invece, è specifico come discensore di calata. Tuttavia, in caso di necessità, può assolvere alle stesse funzioni dell’otto, ma entro certi limiti. L’Hydrobot assolve alle funzioni già elencate, tranne che per l’assicurazione del primo in arrampicata: in questo senso è poco pratico. Piccoli peccatucci… Pirana: il gancio inferiore può agganciarsi e perforare la muta; il costo dell’attrezzo e del moschettone ne fanno la combinazione più costosa; corde, moschettoni, fettucce ed altro ancora si impigliano spesso nel gancio inferiore. Otto: anche se si adotta la procedura corretta, si può perdere nella fase di inserimento (e disinserimento) della corda Hydrobot: corde, moschettoni, fettucce ed altro ancora si impigliano spesso nella gola inferiore; peso: non è proprio una piuma; l’inserimento della corda doppia nelle feritoie, soprattutto se di grosso diametro, non è proprio così immediata, in particolare con i guanti. Infine… Un’ultima considerazione: l’uso del fusibile, realizzato con un corto rinvio in fettuccia (vedi imbrago Edelrid) e con le estremità bloccate da clip in gomma, riduce sensibilmente la probabilità di malfunzionamenti ed aperture accidentali nell’interazione corda–discensore-moschettone. Inoltre, il fusibile si rivela particolarmente utile qualora ci si trovi inchiodati su un nodo: passando da un discensore all’altro, e tagliando il fusibile che trattiene, si riesce a venirne a capo anche nelle situazioni peggiori.

. non ritorce le corde . ottimo in doppia . utilizzabile come bloccante in vita per singola e doppia

. possibile blocco su corde lesionate . poco versatile . pesa parecchio, circa 170 gr


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PROCANYON 2009 Realizzati 3 nuovi percorsi: torrente Belepeit (Udine), rio Prale (Cuneo) e rio Mondelli (Verbania)

Onore alla foto di questa pagina, scattata da Guido Armaroli nel Foz de la Canal, nei Pirenei Aragonesi, in Spagna, che è diventata il logo delle nuove maglie e felpe AIC 2009.

NUOVI ISTRUTTORI SNC Grazie alla nuova formula SNC (vedi pagina 13), lo scorso luglio si sono diplomati i primi 5 istruttori di torrentismo: sono Marco Cipriani , Roberto Locatelli, Francesco Michelacci, Mattia Pilato e Gabriella Russo.

AIC-TV è il nuovo canale AIC su YouTube (www.youtube. com/user/ITALIACANYONING). Volete postare? contattate Francesco Radicchi: radicchifrancesco@hotmail.it. Inoltre, nuova piattaforma per il forum AIC e pensionamento della mailing list AIC-2SOCI a favore della nuova AIC-INFO.

RADUNI TARGATI AIC

È di nuovo tempo di maglie AIC ma quest’anno, per la prima volta, sono disponibili anche le felpe. I dettagli per l’acquisto sul sito AIC.

> associazione

AGENDA > info a 360°

canYoning

MAGLIE NUOVE E FELPA NUOVISSIMA !

Dopo Chiusaforte 2009, l’AIC ha proposto il Lato Oscuro della Val d’Aveto, Torrentisti in cantina, Chococanyoning 2009 e Feuilles mortes in Valle d’Aosta. Già in programma per la prossima stagione ci sono Cape Canyoning 3, a Cala Gonone in Sardegna a cavallo di capodanno, e la Settimana Bianca Torrentistica, dal 23 al 31 gennaio 2010 a Dobbiaco (BZ). Inoltre, al momento in cui si va in stampa, è prevista la partecipazione al raduno speleo di Toirano (SV), durante il quale verrà organizzata un uscita nel Prialunga a beneficio di chiunque abbia voglia di cimentarsi. Info sul sito.

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di roberto schenone

IL NUOVO

consiglio direttivo

DELL’AIC

nome

> AMBIENTE

data di nascita

socio AIC dal

torrentista dal

presidente

Castenaso (BO)

08|06|1965

2007

1985

roberto schenone

vice presidente

Genova

09|07|1969

1998

1991

milena argiolas

tesoriera

Sassari

03|06|1968

2000

1997

bruno g. messa

segretario

Milano

10|08|1967

2007

2006

maura santa-maria gruppo ambiente

Milano

17|10|1974

2004

2000

daniele geuna

ufficio coordinatori regionali e gruppi

Pinerolo (TO)

29|11|1969

2003

1998

francesco radicchi

ufficio coordinatori regionali e gruppi

Montefranco (TR)

04|10|1975

2005

2003

Le cause sono state molteplici, dalle più banali (cambi di lavoro, residenza, ecc) a veri e propri scontri su principi generali o questioni specifiche. La realtà è infatti semplice da constatare. Tutti i soci AIC condividono una passione, il torrentismo, che si esplica nelle maniere più diverse: chi apprezza maggiormente l’aspetto tecnico, chi quello sportivo, chi quello ambientale, chi quello aggregativo, ecc. E fin qui, nessun problema, in AIC c’è stato e ci sarà sempre posto per tutti i modi di vivere l’attività. Tuttavia l’esistenza di un’associazione non può ridursi all’andare in forra con gli amici. Occorre fare un passo avanti, come indicato anche nello Statuto. È necessario effettuare scelte, prendere decisioni e pianificare azioni

canYoning

provenienza

marco risoli

Il primo dato che salta all’occhio scorrendo i nomi del nuovo Consiglio Direttivo eletto in occasione dell’Assemblea di Valbondione del 3 maggio è la presenza di 4 nomi assolutamente nuovi per il direttivo dell’Associazione Italiana Canyoning: Risoli, Santamaria, Messa e Radicchi, tutti soci da meno di 5 anni. Del precedente Consiglio Direttivo in carica sono rimasti in due “e mezzo”: Geuna, Argiolas ed io (che rientro ad un anno dalle dimissioni del 2008). La storia dell’Associazione difficilmente ha visto un CD arrivare in fondo al proprio mandato senza scossoni o anche semplicemente senza perdere qualche consigliere, vedendo subentrare i primi non eletti. Se siete maniaci delle statistiche o semplicemente curiosi: www.canyoning.it/albodoro.htm

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carica

che inevitabilmente coinvolgono una sfera più ampia dell’abituale attività torrentistica. La necessità di una base comune ha quindi spinto alcuni degli attuali consiglieri a confrontarsi preventivamente per capire se c’era accordo sulle idee di fondo e sulle modalità con cui gestire l’associazione, nella speranza di evitare i problemi del passato. Ecco spiegato il perché per la prima volta nella storia di AIC abbiamo avuto la presentazione di una candidatura di gruppo. Tutti i consiglieri eletti (salvo Radicchi, che comunque in sede di candidatura ha apertamente appoggiato il “blocco”) hanno, infatti, presentato un programma comune ed hanno chiesto di essere votati insieme. A molti la cosa può essere risultata poco simpatica, o forse esagerata, o forse semplicemente inutile. Il tempo ci dirà se è stata una buona o una cattiva idea. Come testimone diretto di questo ed altri CD, posso dire che la certezza di condividere alcuni principi di fondo e la reciproca fiducia aiuta anche nel lavoro ordinario, facilitando la divisione dei compiti e l’allargamento del campo di azione dell’associazione. Ricordo alcuni punti salienti su cui si baserà il lavoro di questo direttivo, che comunque intende confermare in toto i principi e gli scopi espressi nello Statuto. I quattro filoni di lavoro sono i seguenti: • parziale ristrutturazione dell’Associazione • perfezionamento o sostituzione degli strumenti di lavoro

• •

ampliamento dei contatti verso l’esterno ricerca di fondi e sponsorizzazioni

Nel dettaglio alcune voci esemplificative di come intendiamo tradurre in pratica quanto sopra. • maggiore autonomia ma anche maggiori responsabilità al ruolo del Coordinatore Regionale • maggiore importanza e conseguente autonomia ai gruppi locali • responsabilizzazione dei soci e dei gruppi verso le tematiche e l’etica promossa dall’AIC, soprattutto in termini di sicurezza e rispetto dell’ambiente • ristrutturazione del sito internet, sia grafica che funzionale • razionalizzazione dell’ordinaria amministrazione (segreteria, tesoreria, editoria, ecc) • rafforzamento dei contatti con altre realtà (CAI, UISP, GA, SSI, Enti e Parchi, gruppi ambientalisti, ecc.) per individuare interessi in comune e agire come un unico soggetto rispetto a problematiche specifiche • integrazione e completamento del Catasto Forre • attivazione del “Progetto Dighe” • continuazione progetti C6, Forre Pulite, Progetto Pro Canyon • ricerca attiva di sponsorizzazioni • verifica e rivalutazione dei costi dei servizi offerti dall’AIC ai propri soci • produzione e raccolta di nuovo materiale informativo, pubblicitario e promozionale

PULIAMO LA FORRA 2009 Clean Up the World è un iniziativa internazionale che promuove il recupero ambientale di luoghi specifici su tutto il pianeta, il suo tramite italiano è LegaAmbiente che attraverso il proprio sito offre la possibilità di iscriversi a Puliamo Il Mondo, realizzando microiniziative di pulizia sul proprio territorio. Dallo scorso settembre al momento in cui questo numero è andato in stampa sono stati diversi i gruppi che hanno aderito all’iniziativa, portando alla pulizia di 4 torrenti: 13 settembre, torrente Callora (IS), a cura del Campo Base Onlus 26 settembre e 31 ottobre, Parco della gola del Tinazzo (BG), a cura della Banda Bauscia 27 settembre e 1 novembre, torrente Fonteno (BG), sempre a cura della Banda Bauscia 17 ottobre, rio Novelli (GE), a cura del GOA Canyoning 21 ottobre, torrente San Michele a Foce (IS), a cura del Campo Base Onlus 1 novembre, torrente San Nicola (CB), a cura del Campo Base Onlus Degli interventi effettuati sono state messe al corrente le locali Amministrazioni in modo che potessero provvedere al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti accumulati. L’ambiente è uno dei punti essenziali del programma del nuovo Consiglio Direttivo e per questo il CD chiede a tutti gli associati di impegnarsi in questa ed in analoghe iniziative cercando di organizzare almeno un intervento per ognuna delle regioni in cui AIC opera, anche in maniera indipendente dall’evento Puliamo il Mondo patrocinato da LegaAmbiente.

eno di gioco verra' fatto anche grazie a voi un piccolo passo per tutelare il nostro terr ambiente @ canyoning.it


VII RADUNO INTERNAZIONALE CANYONING Chiusaforte – 1-9 agosto 2009

a fianco la cascatona del rio Cuestis (UD) e sotto l’area del raduno a Chiusaforte, foto Luca Dallari

Ottimo il meteo, calorosa l’accoglienza della popolazione e soprattutto spettacolari gli itinerari che Chiusaforte ed il suo territorio hanno offerto ai 300 partecipanti del VII Raduno Internazionale Canyoning. Bilancio totalmente positivo, quindi, per tutte le parti coinvolte, dall’amministrazione comunale di Chiusaforte, agli organizzatori - l’Associazione Italiana Canyoning (AIC) e l’ASD Olympic Rock – fino, naturalmente, alla vera anima del raduno, i torrentisti partecipanti.

ALCUNI

NUM3R1

DEL RADUNO 286 43 78 75

i partecipanti il numero maggiore di stranieri dello stesso paese, la Francia (seguito da 40 dalla Germania, 29 dalla Spagna e 23 per la Grecia, 1 brasiliana, 1 australiana, 3 statunitensi e 1 irlandese) gli anni del partecipante meno giovane (Romano) i metri della calata più alta (Rio Belepeit)

CAMBIAMENTI E NOVITÀ Dopo quasi 10 anni di vita, la Scuola Nazionale Canyoning si rinnova per adattarsi alle esigenze dell’associazione, mutate nel corso degli anni. Tre i problemi che si è trovata ad affrontare: 1. un percorso formativo a tappe verso la qualifica di istruttore, l’una propedeutica all’altra, con il risultato di esaminare a lungo persone già conosciute e valutate; 2. un impegno oneroso per mantenere valida la carica di Istruttore; 3. la scarsità di offerta di corsi per principianti. Le soluzioni adottate sono due, entrambe importanti. La prima è quella di creare una nuova figura nel corpo docente SNC, l’Istruttore di Torrentismo (IT) mentre gli istruttori già in organico diventano formalmente Istruttori Nazionali di Torrentismo (INT). Le due nuove figure hanno percorsi formativi, prerogative e oneri differenti, sostanzialmente immutati per gli INT e “alleggeriti” per i nuovi IT. L’obiettivo è quello di aumentare il numero di istruttori e, di conseguenza, ampliare l’offerta di corsi destinati a principianti. Il titolo di IT si conseguirà superando un’unica sessione di corso/esame della durata di 6 giorni, quello di INT superando un’ulteriore corso/esame di 6 giorni a cui potranno ovviamente accedere i soli IT. Questi ultimi potranno tenere corsi fino al 1° livello ed avranno oneri minori per il mantenimento della qualifica di istruttori operativi. La seconda soluzione è la creazione degli eventi di avvicinamento al torrentismo, ossia una sorta di mini-corsi pensati per fare fronte alla richiesta di chi vorrebbe avvicinarsi al torrentismo ma che ancora non si vuole impegnare con un corso da 5 giorni. Lo scopo di questi eventi è sia quello di avvicinare all’AIC persone nuove e creare quindi nuovi soci, sia quello di promuovere il torrentismo come AIC lo intende.

scuola @ canyoning.it

canYoning

chiusa forte

> SCUOLA NAZIONALE CANYONING

Tratto distintivo di questa settima edizione sono stati gli eventi collaterali, una novità per i raduni AIC rivelatasi vincente: Proiezioni Video: Sono stati presentati foto e video di partecipanti da tutto il mondo. Lady’s Day: giornata dedicata al canyoning al femminile, a cui ha aderito un gran numero di partecipanti. Si è conclusa in allegria, con spettacolari torte e caffè, ed eccezionalmente è stato concesso a Romano di parteciparvi, sotto l’ovvio pseudonimo di Romana. Dimostrazione di soccorso alpino in forra: realizzata grazie alla partecipazione del CNSAS (Corpo Nazionale Soccorso Alpino Speleologico), ha destato grande interesse soprattutto da parte degli stranieri che hanno avuto prova della abilità tecnica del CNSAS, nota a livello internazionale. Un corpo nazionale composto per l’occasione da una squadra mista creata in loco, con rappresentati di varie regioni italiane che si sono trovati, tuttavia, a parlare un linguaggio unico, quello delle tecniche CNSAS, a riprova della coesione che esiste all’interno del gruppo e dall’ottimo lavoro svolto dalla SNAFOR, la Scuola Nazionale Tecnici Soccorso in Forra. Discesa in notturna: fantastica dal punto di vista scenico ed adrenalinica per i 50 torrentisti che vi si sono cimentati. L’illuminazione della protezione civile ha fatto sì che la spettacolare teleferica dell’ultimo salto resterà nella memoria di tutti i partecipanti. Gara di arrampicata sportiva del Circuito Nazionale Open Boulder: ha saputo appassionare il pubblico soprattutto nelle fasi di finale. Purtroppo la struttura non è stata accessibile al pubblico, come era previsto, a causa del maltempo di lunedì e martedì. Premiazione Romano Perotto: un piccolo tributo ad uno dei più rappresentativi torrentisti dell’AIC e d’Italia.

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maurizio biondi ^ tratto dal forum InfoCanyon by AIC

l

a quasi totalità degli incidenti in forra è dovuta a traumi mentre solo una piccola parte è causata da problemi di acqua. ma se gli incidenti traumatici hanno conseguenze quasi sempre non gravi, quelli dovuti all’acqua sono spesso letali. questo racconto, tratto dal forum AIC, è un chiaro esempio della potenziale pericolosità dell’acqua e, per fortuna, ha un lieto fine.

rio de Lis Cladis

La primavera sta ormai scorrendo via e l’attività torrentistica è stata finora pochissima. La voglia di fare qualcosa è tanta e sabato, in 4, vorremmo tanto fare una forra. Le previsioni, però, non sono incoraggianti. Il buonsenso suggerirebbe di rinunciare ma mi viene in mente un percorso che ritengo del tutto privo di qualsivoglia problema: bacino piccolissimo, portata esigua, ambiente sempre molto aperto con infiniti punti per ripararsi ed una via di fuga a metà. Partiamo, quindi. All’inizio del sentiero, il tempo è un po’ nuvoloso ma nulla di preoccupante. La salita è faticosa e ripida e ci rallegriamo dell’assenza di un sole cocente. In poco più di un ora siamo in cima. Il sole fa anche capolino tra qualche nuvola. Bene: tutto per il meglio. Iniziamo la discesa. Fatte un paio di calate, il cielo cambia rapidamente. Si chiude tutto e non promette nulla di buono. Vediamo di darci una mossa. Il sentiero (possibile uscita) dista solo poche calate. Inizia a piovere. Ancora 2 calate. Inizia a piovere molto forte. La portata non cambia di una virgola. Ancora una calata. Ok, siamo al sentiero. Tutto bene, quindi. Smette di piovere. Le nuvole si aprono. Sole! Che fare? Aspettiamo una buona mezz’ora. Il temporale sembra passato. Nel frattempo la portata, insensibile alle vicende meteo, è sempre la stessa: una cinquantina di litri. Proseguire o ritirarsi? Decidiamo di proseguire: tanto la forra è facile, perfettamente conosciuta, è aperta, non pone problemi, ecc ecc... Riprendiamo la discesa. Fatte un paio di calate, manco a dirlo, il cielo si chiude nuovamente e ricomincia a piovere. La pioggia non è eccessiva e, tutto sommato, non ci preoccupa più di tanto. Portata sempre costante. Continuiamo. Siamo alla confluenza dei 2 rami. La portata qui raddoppia (a causa dell’apporto dell’affluente destro) ma rimane nell’ordine dei 100 l/sec. Nulla di preoccupante anche visto l’ambiente ormai apertissimo. Trovo anche il tempo di fare la foto. La pioggia aumenta. Manca praticamente solo la calata più alta. Metto la corda e inizio a scendere. La calata inizia con una pancia e poi è tutta verticale. Come monto il discensore e stacco le longes, la musica cambia di brutto. La pioggia diventa quella che fa male anche attraverso la muta, di quella che se sei in auto ti devi fermare perché i tergi non bastano più. Pochi secondi. Alzo gli occhi e la vedo. L’onda di piena, in tutta la sua possanza, sta scavalcando la cascata precedente. Non c’è assolutamente il tempo di risalire i pochi metri che mi separano dall’ancoraggio e dai compagni. Prendo l’unica decisione possibile: salto oltre lo spigolo ben sapendo che la parte rimanente della calata rimane laterale al flusso. Appena in tempo.

19 giugno 2004

Il mostro mi passa accanto sfiorandomi. Mi fiondo giù alla velocità della luce. Fortunatamente i compagni capiscono che il fragore coprirebbe eventuali fischi e mi danno corda abbondantemente in modo che non mi debba ritrovare in cima alla corda senza possibilità di proseguire. La pozza non è fonda e atterro in un ribollire marrone che mi arriva alla vita. A questo punto, almeno per me, il problema non è più dato dall’acqua ma da tutto quello che cade dall’alto: sassi, tronchi, frane di ghiaia e colate di fango. A pochi metri vedo una nicchia nella roccia e, passando tra questo universo che cade, mi ci precipito dentro. Ok, io sono al sicuro ed illeso. Ma gli altri? Per fortuna avevamo le radio. Queste ci hanno risparmiato lunghi minuti di probabile angoscia reciproca. Sopra stanno bene. si sono messi in un punto più in alto e riparato. Non mi resta che aspettare godendomi, si fa per dire, lo spettacolo della natura che va all’assalto. In breve l’aspetto di quel posto cambia. Le frane, nei punti di accumulo, generano delle evidenti torri di ghiaia. Non resta che attendere. Dopo un po’ la pioggia diminuisce e immediatamente i fenomeni “accessori”, quali le frane ed i sassi che cadono dappertutto, cessano. Anche la portata inizia a calare. Passa un’ora abbondante durante la quale i compagni, inutilmente, avevano sondato la possibilità di allestire una linea di calata diversa e fuori dal flusso. Ha smesso di piovere e c’è quasi il sole. In pochi minuti il fiume ritorna ad regime appena di poco superiore al normale. La discesa degli altri è sicuramente possibile lungo la linea di discesa che avevo seguito io. Ciò che è singolare è che in questi minuti di regime idrico decrescente, i cumuli delle frane sono stati smantellati, i rami sono defluiti e, in pratica, il fiume ha, di fatto, cancellato quasi tutte le tracce di quanto era successo nell’ora precedente. Pochi minuti e siamo tutti, illesi, alle auto a raccontarci l’un l’altro il fenomeno visto dagli occhi di ciascuno. Tutto questo lungo racconto a che serve? Serve a ricordare, qualora ce ne dovesse essere bisogno, che il fenomeno dei flash flood in forra è un qualcosa di ancora poco noto. Serve a far capire che l’unica cosa che può fare la differenza tra il vivere o morire è il fatto di essere o meno in forra quando il fenomeno avviene. E se siete dentro, allora è esclusivamente una questione di fortuna.

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Il post sul forum continua con le valutazioni personali dell’autore che però preferiamo non riportare, rimandando invece al testo Valutazione del rischio da piena in forra, a cura di Paolo Madonia, responsabile della Commissione Scientifica dell’AIC. Il manuale presenta nei dettagli un metodo teorico-pratico grazie al quale ogni torrentista di media esperienza può stimare il rischio teorico di piena in una forra. Il consiglio migliore in merito è quello di cercare di prevenire e questo è sicuramente un mezzo adatto. In vendita sul sito AIC, www.canyoning.it, 32 pagine, euro 4,00 per i soci AIC.

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in memoria di Federico Tietz, morto nel Frauenbach, il 7 agosto 1999 Sabato 7 agosto 1999, 4 giorni prima della famosa eclisse totale di cui sicuramente vi ricordate, è stato per 6 amici solo un doloroso, triste buio. La mattina presto, in quattro triestini ci incontriamo con due nostri amici laziali per fare la discesa del Frauenbach, in Austria, zona Lienz. Come avviene sempre ci poniamo la classica domanda prima di partire: possiamo prendercela con calma ? E no... sono previsti temporali nel pomeriggio, dobbiamo cercare di essere fuori prima. Alle 13.30 la tragedia, a sole due calate dalla fine. Solo pochi secondi per capire cosa può significare quello strano vento accompagnato da un intenso aerosol e da un boato prima che arrivi un muro di acqua e fango alto circa 2 m. Nessuna possibilità di mettersi al riparo. La posizione di ciascuno è a decidere tra chi vive e chi muore. Annamaria, Maurizio, Roberto, Marco ed io ci troviamo in una nicchia, mentre Federico è già nella pozza sottostante. Per noi un grande spavento mentre osserviamo attoniti il mostro che ci lambisce le ginocchia. Tentiamo di piantare rapidamente uno spit per alzarci ulteriormente nell’ipotesi che l’acqua salga ancora ma... Federico? Dopo alcuni minuti Maurizio trova il coraggio di avvicinarsi allo spigolo e sporgersi. La sua faccia ci dice tutto. Decidiamo di aspettare nella nostra nicchia, consapevoli che Serena, da fuori, ha certamente già fatto scattare l’allarme. Infatti, in meno di due ore sentiamo il rumore dell’elicottero che porterà fuori tutti, uno per volta. Seguono tante domande, rimorsi, accuse, lamentele: ma perché...??? Sappiamo solo rispondere... forse era meglio... forse bisognava... Certo è che abbiamo imparato una dolorosa lezione su come comportarsi in caso di forte pioggia in forra. Pochi mesi dopo questo incidente l’AIC fonda la Scuola Nazionale Canyoning, incorporando nel nome quello di Federico. Sabato 27 giugno 2009, dopo dieci anni, sono ritornata sul luogo in occasione di una messa dedicata a Federico, della benedizione della forra e di una dimostrazione di soccorso. Il comune di Lavant vi ha costruito un sentiero panoramico che porta fino alle ultime due cascate del Frauenbach.

Romy Siegl

materiali bosch uneo

Il 2009 lo ha visto affacciarsi con discrezione nella dotazione dei canyonisti appassionati di attrezzamento, è un gioiellino del peso di poco più di un kilo, 1,1 per esser precisi, che con i suoi 27 cm di lunghezza entra comodamente nel bidone stagno da 6 litri. Si chiama Uneo e mamma Bosch lo ha aggiunto alla sua innumerevole serie di tassellatori; di questo si tratta, un micro concentrato di efficienza e tecnologia che al prezzo (di listino) di 169 euro, vi regala finalmente la possibilità di esser pronti ad armare una calata in tempi brevi senza gravare lo zaino dei kg di un trapano tradizionale. La batteria interna al litio da 14,4 volt, non sostituibile, è sufficiente con le punte dedicate SDS-Quick da 6 ed 8 mm, ad ottenere rispettivamente 14 ed 7/8 fori nel calcare, qualcuno in meno nel porfido e nel granito. La ricarica avviene in tre ore collegandolo all’apposito dispositivo fornito in dotazione; voci bene informate sostengono che una volta a regime, dopo 3/4 ricariche, l’autonomia aumenti di un 50%. Una vera piacevole sorpresa la facilità e velocità nell’inserimento delle punte, inaspettata per un oggetto così contenuto, nonché l’efficienza nel forare. Non è chiaramente indicato per l’esecuzione di grandi lavori ma è perfetto per tutte quelle escursioni in cui sia necessario rinforzare gli armi. Se accoppiato con i nuovi tasselli Heco Multi Monti si ottiene una notevole riduzione dei diametri e delle profondità dei fori (fino al 60% in meno di materiale asportato durante la perforazione). Questo rende pratico l’utilizzo della punta da 6mm, sino ad ora impensabile in canyon. Sul forum, www.canyoning.it/forum/topic. asp?TOPIC_ID=1318 le impressioni di chi sino ad ora lo sta utilizzando ed una prima implementazione artigianale sull’aumento dell’autonomia.

Dati tecnici tensione della batteria 14,4 V | capacità della batteria 1,3 Ah n. max fori per ogni carica della batteria (su calcestruzzo) 25 n. di giri a vuoto 0-900 giri/min | n. di colpi 0-4.800 giri/min potenza al colpo 0,9 J | peso 1,1 kg Funzioni arresto della percussione | reversibilità | regolazione elettronica attacco utensile SDS-Quick Bosch | indicatore del senso di rotazione LED di indicazione del livello di carica della batteria

canYoning

francesco michelacci

In ricordo di un amico indimenticabile,

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Associazione Italiana Canyoning www.canyoning.it Scuola Nazionale Canyoning “Federico Tietz” scuola@canyoning.it Associazione Italiana Canyoning

Presidente Marco Risoli (presidenza@canyoning.it) Vice-Presidente Roberto Schenone (roberto.schenone@canyoning.it) Segretario Bruno G. Messa (segreteria@canyoning.it) Tesoriere Milena Argiolas (tesoreria@canyoning.it) Consiglieri Daniele Geuna ^ Francesco Radicchi ^ Mauro Santa-Maria Commissione catasto Paolo Bolis ^ Francesco Cacace (catasto@canyoning.it) Commissione scientifica Paolo Madonia (commissione.scientifica@canyoning.it) Ufficio stampa Piero Golisano ^ Christian Roccati (press@canyoning.it) Archivio fotografico Pietro Torellini (fotografia@canyoning.it) Ufficio editoria Cosimo La Gioia (editoria@canyoning.it) Contatti aziende Milena Argiolas (aziende@canyoning.it) Ufficio assicurazioni Sara Morando (assicurazione@canyoning.it) Contatti internazionali Rosemarie Siegl (romy@canyoning.it) Ambiente ed ecologia Mauro Santamaria (ambiente@canyoning.it) Merchandising Luca Dallari (luca.dallari@canyoning.it) Ufficio Coordinatori Regionali Daniele Geuna (daniele.geuna@canyoning.it) ^ Francesco Radicchi (francesco.radicchi@canyoning.it) Redazione notiziario Luca Dallari ^ Daniele Geuna ^ Francesco Michelacci ^ Marta Tosco (notiziario@canyoning.it) Gestione Sito Web Paolo Giannelli ^ Roberto Schenone ^ Cosimo La Gioia (webmaster@canyoning.it)

coordinatori regionali

Le persone a cui rivolgersi per avere informazioni, organizzare incontri, promuovere eventi. Per ognuno di loro è attivo un indirizzo e-mail del tipo: nomeregione@canyoning.it Emilia Alessandro Marchi ^ tel 328 7576453 Romagna Francesco Michelacci tel 0547 673261 / 347 9186715 Friuli Venezia Giulia - Carnia Sebastiano Broili tel 348 6965069 Friuli Venezia Giulia Romy Siegl tel 040 9381029 / 347 4349947 Lazio Fabio Ferranti tel 339 7548906 Liguria Eva Trasforini ^ tel 349 5792407 Lombardia Andrea Forni ^ tel 338 8449760 / 320 2360608 Piemonte - TO e CN, Canavese, Monferrato Dino Ruotolo tel 011 2731197 / 335 6110291 Piemonte - Val Sesia, VC, NO, Verbano-Cusio-Ossola Paolo Testa tel 0163 826150 / 347 0436933 Puglia Fausto Meleleo tel 0832 248181 / 333 3464460 Sardegna Silvia Campanelli tel 338 1608573 Sicilia Diego Leonardi tel 329 9188187 Trentino Alto Adige Marcello Carli ^ tel 338 5293554 Umbria Christian Vento tel 335 7957808 Valle d’Aosta Andrea Mantovani tel 0165 231881 / 335 5431143 Veneto - Verona Francesco Cacace tel 045 7725445 / 348 3398199 Veneto - Vicenza e Bellunese Jvan Chemello tel 347 5968595

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Quote associative per l’anno sociale 2010 - socio singolo 30 euro - socio minorenne figlio di socio singolo 15 euro - socio sostenitore quota libera (minimo 100 euro in regalo la Felpa AIC) - gruppi locali e associazioni 200 euro, comprendente una tessera intestata al gruppo più 8 tessere singole intestate a 8 soci del gruppo; la quota di iscrizione per ulteriori soci è di 15 euro Il pagamento può essere effettuato nei tre seguenti modi: 1. pagamento online > si può accedere direttamente al sistema sicuro di pagamento online e pagare con Paypal, VISA, MASTERCARD, POSTEPAY all’indirizzo: www.canyoning.it/iscrizioni/iscrizioniaic.htm 2. CCP (bollettino postale) > versare l’importo dovuto sul CCP n. 11855608 intestato ad Associazione Italiana Canyoning, Piazza della Libertà 1, 05039 Stroncone (TR) specificando la causale “quota sociale 2010” e darne comunicazione via mail o sms alla Segreteria (segreteria@canyoning.it ^ cell 333 3908515). 3. CCB (bonifico bancario) > versare l’importo dovuto sul conto BANCOPOSTA 11855608 - ABI 07601 - CAB 02600 - CIN “M” - IBAN: IT95 M 07601 02600 000011855608 – SWIFT: BPPIITRRXXX presso BANCOPOSTA Ufficio Genova Centro Via Dante 4B/N, intestato ad Associazione Italiana Canyoning, specificando nell’ordine di bonifico la causale “quota sociale 2010” e darne comunicazione via mail o sms alla Segreteria (segreteria@canyoning.it ^ cell 333 3908515). Nei casi 2 e 3 si consiglia di conservare la ricevuta dell’avvenuto pagamento. Nel caso 1 invece la notifica è automatica.

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