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ZAGORA

Guida storico culturale della Zagora della Regione spalatino - dalmata



LA ZAGORA DALMATA Joško Belamarić



LA ZAGORA DALMATA Guida storico – culturale della Zagora della Regione spalatino – dalmata

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Klis

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Cetinska krajina

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58 Biokovo, Imotski, Vrgorac

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LA ZAGORA DALMATA Guida storico – culturale della Zagora della Regione spalatino – dalmata Sulla cortina della catena montuosa, già nei pressi di Klis (Clissa), l’angustia dell’aspra desolazione del retroterra dalmata è separata, da secoli, dalle vastità marine per le quali si va verso il mondo. Quella sensazione di commiato dalla sottile linea della Dalmazia, distesasi ai piedi del giogo delle montagne che, viste dal mare, paiono come i fratelli d’Atlante, è stata ripetuta, non senza un brivido poetico, da decine di scrittori di cronache di viaggi. Stabilire i denominatori comuni culturali della Zagora è, anche oggi, un lavoro impegnativo, perché le cose attinenti all’antropologia del retroterra dalmata, in senso lato, sono ancora spesso percepite con l’ottica dell’idillio rinascimentale o del cinismo illuministico, dell’esagerazione romantica e del risveglio nazionale. Qui la vita, dopo il crollo del medioevo feudale, è ricominciata così tante volte che, agli osservatori successivi pareva che le usanze popolari affondassero le loro radici in una qualche immacolata preistoria, nella quale il silenzio dell’area rupestre sull’altopiano verso Promina, alle spalle del Biokovo, il gorgoglio delle acque vive della Zrmanja, della Krka, della Čikola e della Cetina, ed il tremolio delle spighe sulle piane Petrovo, Hrvatačko e Vrgoračko polje e sulle fertili

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terre ai bordi di Strmica e Sinj, creassero un ambiente idealistico per il bel volto, il cuore lieto ed il morale sincero dei contadini di quei luoghi, e dei quali scrivono, ognuno dalla propria prospettiva, l’abate Fortis ed Ivan Lovrić, in epoca barocca, Dinko Šimunović e Ivan Raos, non tanto tempo fa, ed oggi Ivan Aralica ed, a suo modo, anche Miljenko Jergović.

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Il nome e la storia generale “Dalmazia” viene dal nome con il quale i Romani, all’inizio del I sec. dopo Cristo, chiamavano la loro provincia Illyricum (originariamente Delmatia – ad esempio, in Plinio e Dione), ispirandosi alla comunità tribale belligerante dei Delmati, che nelle fonti storiche vengono localizzati nel territorio compreso tra i fiumi Krka e Cetina, chiamati così per la loro capitale Delminium, il cui nome è rimasto nel toponimo della piana di Dumno o Duvno (attorno all’attuale Tomislavgrad). I Delmati prestarono una tale resistenza ai Romani, che questi li identificarono con tutte le altre tribù della regione, giustificando così l’ampiezza dei confini che tale provincia aveva rispetto agli originari confini del territorio della popolazione delmata. Il loro nome, così come quello di migliaia di tumuli rocciosi sulla terraferma e sulle isole, richiama la loro occupazione principale: Delm, Dalm, nell’illirico antico significa – pastore, gregge, pecora; da qui Delminium = luogo di pascolo, pascolo, e delmč - dalmè, che, ancor oggi, in albanese significa pecora. Erano, tuttavia, anche famosi marinai, corsari, e l’intero territorio, al tramonto dell’Antichità, rappresentava per i Romani quel che sarebbe stata la Prussia nel XIX secolo per la Germania – un vivaio di soldati e d’imperatori che, come Diocleziano, tentavano di rinnovare la rigorosa disciplina e le virtù originarie dell’antica Roma.

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Nell’area dell’entroterra dalmata sono state scritte alcune delle pagine più significative della più antica storia croata, risalente al IX – XI secolo, cosa fedelmente testimoniata dai monumenti rinvenuti lungo il corso della Cetina, dalla sorgente sino alla sua foce. I confini territoriali della Dalmazia subirono significative modificazioni, e con essi anche quelli del suo retroterra, in particolare verso i rilievi montani. In quest’area, al tramonto del Medioevo, per due secoli e mezzo si sono confrontati i due mondi spirituali del Cristianesimo e dell’Islamismo. La maggior parte della Zagora della Regione spalatino – dalmata è costituita dal nucleo della cosiddetta Regione frontaliera della Dalmazia – territori continentali della Dalmazia che, un tempo, erano il centro dello stato croato, con Knin, Sinj, Imotski, Klis e con il litorale di Makarska; in seguito, poi, dall’inizio del XVI sec. furono sottomessi dagli Ottomani, e, successivamente alle guerre turco – veneziane a cavallo dei secoli XVII e XVIII, annessi ai possedimenti veneziani in Dal-

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mazia. Nel corso di queste guerre, le popolazioni locali, condotte dai loro serdari, dai capipopolo e dai principi, ebbero un ruolo di primaria importanza. Una nuova linea di demarcazione (1699) faceva in modo che la Dalmazia risultasse cinta, verso la Turchia, da una serie di punti strategici e fortificazioni, che andavano da Zvonigrad, attraverso Knin, Vrlika, Sinj, Zadvarje, Vrgorac, per giungere a Čitluk, sulla Neretva. Nel corso delle nuove operazioni belliche del 1714 – 1718, i Turchi dovettero rinunciare, una volta conquistata il Peloponneso, a Strmica, Trilj ed alla Regione frontaliera d’Imotski, nell’entroterra della costa croata. La nuova linea di demarcazione (1721) diede al retroterra dalmata la forma che ha attualmente. Il ritorno della vita nel territorio della Zagora, per decenni sistematicamente spopolata da entrambi le parti, non fu per niente semplice. La Repubblica di Venezia distribuì, con codici di leggi datate 1755 e 1756, grandi appezzamenti alle persone più meritevoli sul territorio della “Nova e novissima conquista”, e due “campi padovani” di terra coltivabile ad ogni contadino, a condizione che l’ereditasse per linea maschile, senza diritto d’alienazione e con l’obbligo di dare decime per il godimento del fondo. Il contadino era anche tenuto a piantare almeno 4 alberi da frutta, olivi o gelso. Era chiaro come si volesse ancorare alla terra quel mondo morlacco nomade ed inaffidabile, così come, al tempo dell’antica Roma, s’era fatto con i veterani di

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guerra. La storiografia non ha ancora pronunciato una parola definitiva su queste leggi, forse anche perché influenzata da un proverbio di quel tempo che dice: La proclama zaratina, dura de la sera a la matina. Ed anche i fisiocrati accademici nostrani (in particolare, Radoš Ante Michieli Vitturi, fondatore dell’Accademia rurale traurina a Lukšić), ebbero a scagliarsi contro questa legge, ritenendo che non prendesse sufficientemente in considerazione la rude mentalità morlacca, e che non consentisse una concentrazione razionale dei possedimenti terrieri. Eppure fu presa l’iniziativa di bonificare le paludi attorno a Knin e Sinj, Nadine ed Ostrovica, ed in seguito attorno a Vrgorac, Rastoke ed Imotski – dando così lavoro a migliaia di contadini. Gradualmente presero forma paesi e borghi (si propose di modellarli sul modello di quelli della Lika!); prese il via la costruzione di strade, ponti, dei primi stabilimenti industriali, delle prime miniere. Un rilevante impulso allo sviluppo fu dato dalle strade costruite all’epoca dell’amministrazione francese all’inizio del XIX

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sec., quando la Dalmazia vantava già 308.108 abitanti, rispetto alle 50.000 unità del 1650 od ai 108.090 abitanti del 1718. La crescita demografica negli anni ottanta, dopo la Pace di Požarevac, fu addirittura del 150 percento, nonostante il fatto che sette anni su dieci erano stati anni d’inedia! La Zagora, nella seconda metà del XVIII secolo, fu riscoperta non soltanto come risorsa economica vergine, ma anche come una sorta di civiltà endemica nel cuore dell’Europa illuminata, per la quale basta ricordare i rapporti di Alberto Fortis e del suo opponente, Ivan Lovrić. I Veneziani chiamavano il popolo della Dalmazia continentale (abitante fuori delle cittadine e dei borghi) Morlacchi – dal nome dei Morovalacchi, una comunità particolare di Valacchi il cui nome deriva dal colore scuro dei loro abiti. Questo nome, attraverso Fortis, fu adottato in tutt’Europa, dove i Morlacchi divennero una delle più rilevanti scoperte preromantiche di oasi incontaminata dalle convenzioni della società civile. Per lungo tempo fu uno dei possedimenti, prima veneziani, poi austriaci, più arretrati e poveri. L’onnipotente ethos eroico – patriarcale che, attraverso i secoli, ha definito la mentalità della gente di montagna, ricevette la sua espressione classica nelle opere di scrittori popolari quali fr. Filip Grabovac e fr. Andrija Kačić – Miošić. Il retroterra della Dalmazia, sino ai confini con la Lika e la Bosnia ed Erzegovina, vive in parte anche oggi come una porzione di quella

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grand’unità etnografica dinarica. Tra le antiche consuetudini, spesso sono descritti i ratti di fanciulle (“la fuga”, il più delle volte inscenata); la vendetta di sangue e la conciliazione (la cosiddetta “vražda”), che è esistita sino al XIX secolo; gli aiduchi; l’ojkanje, un canto proveniente dagli strati etnografici più remoti, tipico dell’area mediterranea e balcanica più antiche. La suddivisione, caratteristica dei centri abitati, in maggiori e minori schiatte familiari (comunità dei gruppi più stretti di affini, aventi il medesimo cognome), in tanti luoghi funziona ancora. Sono caratteristici della Zagora cittadine o borghi compatti, sorti sui campi più ampi, normalmente sobborghi di antiche fortezze (Knin, Drniš, Sinj, Imotski, Vrgorac), con un mercato sulla piazza centrale. La rilevanza di questi centri amministrativi ed economici era ben visibile nelle fiere domenicali; essa è, però, venuta meno con il progresso dei collegamenti viari con le città costiere, verificatosi a cavallo tra le due guerre mondiali. Di contro, è altresì caratteristico di questo territorio anche il tipo di paese

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“frantumato”, disposto a casali familiari, spesso con abitazioni a pianterreno, murate in precedenza “a secco”, senza, cioè, l’uso della calce, ricoperte con tetti di paglia di grano ed ubicate ai margini del campo, ovvero delle fasce flyscioidi. La vita si basava sull’allevamento, sull’olivicoltura e sulla viticoltura. La Zagora visse un certo slancio economico e di sviluppo nella seconda metà del XIX sec., con la congiuntura del successo dei vini dalmati. Tuttavia, prima la cosiddetta “clausola del vino” (l’accordo tra l’Impero austroungarico e l’Italia, grazie al quale il vino italiano veniva liberato dal pagamento del dazio doganale d’importazione), e poi le malattie della peronospora e della filossera, che colpirono anche i vigneti della Dalmazia; e poi la Prima guerra mondiale, le opportunità politiche del XX secolo, l’emigrazione in America, in Australia e, dopo gli anni ’60 del secolo scorso, in Germania, costituirono per tanti abitanti della Zagora l’unica via d’uscita dalla miseria. Il risveglio della coscienza nazionale croata nella popolazione cattolica, e l’adesione dell’opzione serba all’ortodossia cristiana, porteranno a conflitti etnici nella seconda metà del XIX sec., che assumeranno forme tragiche nel corso della Seconda guerra mondiale e sul finire del XX sec. Nel nuovo stato croato, la Zagora è alla ricerca di nuove vie di sviluppo, basate soprattutto sul turismo, al quale apre l’intero suo territorio, e sulla

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propria straordinaria eterogeneità paesaggistica, che ne fa una sorta di singolare parco storico – culturale e naturale.

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KLIS La valenza strategica della fortezza sul giogo montano (340 m) tra il Kozjak ed il Mosor, o meglio tra il bacino di Solin e Spalato (Split) e l’entroterra dalmata, era estremamente grande fin dall’epoca preistorica ed antica. Costantino Porfirogeneto, nel X sec., indicava Klis come sede della Parrocchia litoranea veterocroata (Parathalasia), che s’estendeva dal Pantan traurino sino a Žrnovnica, con il rispettivo entroterra. Facendo riferimento ad un’etimologia popolare, quest’imperatore – letterato derivava il nome Klis dal greco KLEISA, nel significato di chiave, che corrisponde veramente al sintagma relativo a questa posizione ed a questa fortezza come “chiave della Dalmazia”. Nell’852 il principe croato Trpimir emanò un documento nel quale si fa menzione della “curtis nostra que Clusa dicitur”, luogo nel quale poté trovare asilo per un biennio anche Gottschalk, ospite sassone del principe ed uno dei più conosciuti teologi e pensatori del tempo, bandito dai paesi franchi, il quale descrive come Trpimir, nell’846 – 848, avesse guerreggiato contro le città romane sulla costa e contro i loro protettori bizantini. Nel XIII sec. fu assegnato come feudo reale ai Templari, per poi passare nelle mani dei feudatari croati Šubić e Nelipić. 14


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Le strade romane. Tre erano le strade romane che, attraversando il giogo di Klis (Clissa), andavano verso l’interno all’epoca del governatore P. Cornelio Dolabella (legatus Illyrici superioris dal 14 – 18 d.C.). La strada che, attraverso Klis, Dicma, Sinj, Čitluk, Vrlika, Knin e la valle della Butišnica, arrivava “usque ad imum montem Ditionum Ulcirum” (trattasi del paese di Grab, dietro le Alpi Dinariche) era lunga 77.500 passi romani. La seconda, da Salona attraverso Klis, andava a Čitluk e proseguiva attraversando Prolog; la terza, invece, portava a Trilj e, più in là, verso la Bosnia, attraversando Aržan i Buško Blato.

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A Klis trovò riparo il re croato – ungherese Bela IV con tutta la sua corte, in fuga davanti all’avanzata dei Tartari nel 1241 - 42. Qui ebbe i natali Santa Margherita di Clissa (Klis), sua figlia. Fu anche sede del re bosniaco Tvrtko e dei bani croati, almeno sino al 1537, anno in cui cadde nelle mani dei Turchi, nonostante la strenua difesa del capitano di Senj e Klis, Petar Kružić, le cui gesta furono cantate nelle canzoni popolari. Diventa, poi, sede, del sangiaccato della Dalmazia centrale e di parte della Bosnia, ovvero della regione detta “vilajet Hrvati”, che s’estendeva sulla gran parte del regno medievale croato. Il confine tra la Dalmazia turca e quella veneziana era segnato, in quel tempo, dal fiume Jadro presso Solin. Spalato era diventata una piccola enclave cristiana ai margini dell’Impero ottomano, senza alcun possedimento agrario sulla terraferma; non sorprende, allora, che, sul finire del XVI sec., uno dei generali veneziani proponesse al proprio governo di consegnare Spalato e la parte centrale della regione del Primorje nelle mani dei Turchi! Fu il generale Leonardo Foscolo a liberare la fortezza di Klis al tempo della Guerra di Candia, il 31 marzo 1648. L’irregolare forma poligonale della fortezza (304 m di lunghezza in direzione E-O; con soli 53 m di larghezza in direzione N-S) è determinata dalla forma geomorfologica della rupe, che s’eleva sino a 358 metri a picco sul mare. La fortezza vanta tre cerchie di mura. È stata edificata entro un lasso temporale molto ampio, che va dal periodo 16


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tardoantico sino al XIX sec., conservando tanti elementi della fortificazione medievale, con la torre di Kružić nella parte più prominente. Agli ingegneri veneziani Magli e Santini si deve il progetto, risalente alla metà del XVII sec., di alcuni bastioni nella prima e nella terza cinta muraria della fortezza, di nuove cisterne, d’arsenali e di quartieri per una guarnigione che contava, allora, circa 300 unità tra ufficiali e soldati. Dopo il ritiro dei Turchi, nel suo lato meridionale sorse un sobborgo. Nella chiesa parrocchiale si possono ammirare affreschi di V. Parać con motivi ispirati al passato storico di Klis. Trovandosi tra il bacino di Salona e la Regione frontaliera della Cetina, i campi carsici di Dicma e Muća erano aree, fin dalla preistoria e dall’antichità, di grandissimo rilievo strategico e viario, cosa testimoniata dalle battaglie che vi si svolsero al tempo della sollevazione illirica dei Baton contro le legioni d’Augusto, all’inizio del I secolo. Sui pendii settentrionali del Mosor si trova la grotta Vranjača, aperta al pubblico dal 1929 e raggiungibile attraverso Dugopolje ed il paese di Kotlenica.

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L’etimologia popolare ha derivato il nome Mosor dal Mons Aureus, secondo quella leggenda che parla di remote miniere d’oro o di un tesoro nascosto, mentre deriverebbe da una parola illirica che significa “montagna isolata” (esiste anche una divinità illirica chiamata Masser). Questo imponente massiccio si protende su un vasto altopiano carsico per una lunghezza di 25 km, dal giogo di Klis sino alla Cetina, che, con il suo canyon, lo tiene separato quasi fosse un’isola. Per questo motivo, con il nome mosor, nella geomorfologia si denominano (addirittura anche in altre lingue) tutte le montagne isolate. Le ricerche sul Mosor presero il via con il botanico R. Visiani (1824); da un punto di vista geologico, esso fu studiato da F. Kerner nella sua opera capitale (1904); da un punto di vista antropologico, da F. Ivanišević (1903); da un punto di vista speleologico, da R. Bujas e Girometta, all’inizio del XX secolo.

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Dugopolje Dugopolje – ad una decina di chilometri da Salona, si trovava al bivio tra le vie romane che portavano a nord (Aequm – l’odierna Čitluk) ed a nord – est (Pons Tiluri – ponte sulla Cetina, nei pressi dell’odierna Trilj, ai piedi di Gardun, dov’era alloggiato l’accampamento militare della VII legione romana Tilurium, di sicuro nella medesima posizione di una precedente fortificazione illirica, e più avanti verso Narona). L’importanza di questa posizione è testimoniata dai ricchi reperti archeologici esposti nel Museo archeologico spalatino).

Blizna Si trova immersa nel paesaggio arcadico dell’entroterra traurino che, un tempo, apparteneva a Parathalassia, uno dei quattordici giuppanati croati che s’estendevano tra il Mosor, ovvero tra Klis e Trogir, sino a Labin/Albona (comprendendo anche Radošić). Il suo confine orientale era segnato dalla località di Žrnovnica, mentre verso Spalato coincideva con la località di Suhi most a Dujmovači. Nella chiesa di santa Maria, nel corso dei recenti lavori di restauro, sono state condotte delle ricerche che hanno portato alla luce i suoi contrafforti esterni semitondi, affini a quelli della chiesa di san Salvatore alla fonte della Cetina, o della chiesa a Lopuška glavica a Biskupija, presso Knin, risalente al IX secolo. La chiesa di Blizna aveva un vestibolo con torre 20


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antistante la facciata con scala esterna. Tra i frammenti delle decorazioni a treccia della transenna dell’altare, può esser letta l’iscrizione di un monumento dedicato ad un ignoto giuppano croato dell’antico giuppanato della Cetina.

Alle spalle del Kozjak La nuova autostrada ha riportato alla luce l’aspra bellezza del paesaggio del profondo retroterra del Kozjak. Le sue prime testimonianze scritte risalgono innanzitutto al periodo delle guerre tra Romani e Delmati. In una gola nei pressi di Sinodium (in una località ancora sconosciuta), le legioni di Cesare, guidate dal console Aulo Gabinio, subirono una tremenda sconfitta negli anni 48-47 a.C.: sul campo di battaglia persero la vita più di 2000 soldati, e le insegne di guerra romane caddero nelle mani dei Delmati. Su questo territorio, più tardi, all’epoca di Tiberio, fu tracciata l’importante Via Gabiniana, che da Salona portava a Muć ed ancora oltre. Numerose sono le tracce dell’umile vita pastorale che si svolgeva su questo territorio; da millenni sempre uguale, ha continuato a svolgersi, seppure con qualche modifica, sino all’altro ieri. I paesi sorgevano lungo piccoli e stretti campi; eccezionalmente, come a Konjsko, si stringevano attorno al suggestivo castello della nobile famiglia dei Tartaglia (originariamente Jakovljević), oppure attorno alle chiese parrocchiali, 22


BRANIMIRO COMMES DUX CRVATORVM

Oltre che sotto forma di notizie nelle missive pontificie, il nome di Branimir fu rinvenuto proprio su un frammento di una trave lignea della balaustra del pres-

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Nel maggio dell’879 il principe Branimir divenne sovrano della Croazia litoranea, liberandola per la prima volta dal giogo franco e bizantino, e facendo proprio il progetto politico della protezione spirituale del papa Giovanni VIII (come testimonia una nutrita corrispondenza); non mancò, poi, di ristabilire i propri rapporti con Bisanzio (come conferma il fatto che riuscì a promuovere il proprio “protetto” Teodosio, già vescovo di Nin, ad arcivescovo di Spalato). In quel periodo, nella chiesa croata venne introdotta la liturgia slava: lo stesso Metodio (“l’apostolo slavo”) soggiornò in Croazia nell’880, in viaggio verso Roma, nella quale avrebbe difeso, al cospetto del Papa, la legittimità del proprio insegnamento.

come nelle località di Muć Donji (chiesa della Madonnina) e Muć Gornji (chiesa di san Pietro). In epoca romana, su quest’area sorgeva l’accampamento militare Andetrium, come testimoniato dalle lapidi funerarie e dai resti d’edifici riportati alla luce. Sotto l’attuale chiesa di san Pietro (1871) sono state scoperte le fondamenta di una chiesa vetero croata risalente all’epoca del principe Branimir (in realtà, si tratta di un riadattamento di una chiesa paleocristiana ancor più antica).

biterio della chiesa di San Pietro a Muć, con l’indicazione dell’888, che è poi il primo anno documentato su un monumento epigrafico medievale croato. Assieme agli altri monumenti in pietra, di regola ornati con la caratteristica decorazione a treccia, prova l’esistenza in Croazia, nel periodo dell’alto medioevo, di una vita culturale e religiosa attiva e ricca.

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LA REGIONE FRONTALIERA DELLA CETINA Parte della Zagora dalmata (circa 1000 km2) è posta tra le due catene montuose parallele della Svilaja e della Dinara (massiccio che comprende i monti Ilica, Dinara, Troglav e Kamešnica), con la Cetina che scorre per una lunga conca il cui letto forma le piane (polja) Cetinsko, Vrličko, Hrvatačko e Sinjsko polje. Le piane Koljansko e Ribaričko polje oggi sono sommerse dalle acque del lago Peručko jezero. La Cetina sorge da quattro “fonti” carsiche che formano un lago scuro, sul fondo di una profonda dolina dalla quale sgorga tutto il fiume, 380 m sul livello del mare tra lo Gnjat (1809 m) e la Dinara (1831 m), due chilometri a nord di Vrlika. Si fa largo attraverso le gole montane, s’allarga per la piana Sinsko polje, prima di accelerare attraverso i canyon che, a semicerchio, fanno da corona al massiccio del Mosor sino alla foce del fiume, nei pressi di Omiš. Si ritiene che il suo antico nome Hippus derivi dall’appellativo del tratto superiore del fiume – dal greco “hippos” = “cavallo”, perché questo, veloce e non navigabile, ha un’andatura saltellante a mo’ di cavallo. I resti archeologici (insediamenti fortificati e lacustri e necropoli sotto tumuli di pietra) testimoniano che i tratti superiore ed inferiore della

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Con la grandiosità della sua forma e della sua lunghezza, l’eterogeneità delle sue formazioni carsiche sotterranee e superficiali, la Dinara ha dato il nome alla maggiore catena montuosa della Penisola balcanica. Per millenni è stata la cortina naturale tra il mondo mediterraneo e quello continentale. Nel suo nome si percepisce una traccia della tribù illirica dei Dindari, che viveva ad est della catena montuosa. Nell’antichità era chiamata con il suo nome greco: Adrion oros. La sua massima imponenza la si può ammirare sulla strada Vrlika – Knin, dove ha le sembianze di una parete rocciosa venata da strie orizzontali che, in sezione, paiono come una sorta di gigantesca scalinata con gradini alti circa 2 metri. Fu la prima montagna croata ad entrare nella letteratura, come oggetto d’ispirazione poetica nel poema “Planine” (montagne) di Petar Zoranić (1536) – famoso viaggio utopico nella prima prosa bellettristica rinascimentale della letteratura croata, in cui celebra la sua “terra”, il nostro “patrimonio dissipato”.

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Cetina erano il centro e la parte piÚ importante dell’intero territorio delmata. Con l’insediamento del potere romano, gran parte degli insediamenti fortificati lungo le piane fu spopolata e la fertile terra venne assegnata ai veterani della VII legione (leg. VII. Claudia pia fidelis), di stanza presso Gardum (ant. Tilurium).


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Gli studiosi di toponomastica ritengono che il nome del fiume Cetina derivi dalla parola frigia Zétna, che significa porta; descriverebbe, dunque, la foce della Cetina che apre la via verso il mare nel massiccio montano. Pochi sono i fiumi che, come la Cetina, vantano una tale diversità di forme in un corso relativamente breve. Raggiunge il massimo della sua eccezionalità nel profondo canyon da Trilj a Zadvarje, dove mostra la propria forza con il frastuono delle cascate Velika e Mala Gubavica. Con un centinaio di metri d’altezza, è “una delle più impressionanti cascate d’Europa”; nel 1912, la centrale idroelettrica di Kraljevac le ha sottratto un po’ del suo impeto originario. Una volta virato bruscamente verso occidente, il fiume scorre sotto la Dinara d’Omiš, parallelamente alla costa del mare. Si quieta, attorniato dai pioppi e tra i prati, nei pressi di Zakučac, al cospetto delle porte di pietra d’Omiš e del mare. Negli ultimi anni vi ha preso piede la pratica del rafting, come esperienza quasi obbligata per ogni turista.

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Tilurij Tilurij (Tilurium) sorse nell’estremità sud orientale della conca della Cetina, nel punto in cui il fiume lascia la piana di Sinj (Sinjsko polje) e penetra nel passo montano formato dai massicci del Mosor e del Biokovo, per poi calare a mare nei pressi di Omiš (Oneum). Qui, dove la strada, che da Salona porta a Narona ed alla Bosnia, grazie ad un ponte supera il fiume, fu fortificato, nel luogo dove sorgeva una precedente fortificazione illirica – al più tardi all’epoca della sollevazione dei Baton pannonico – delmati, e cioè 6 o 8 anni d.C., o forse un po’ prima – l’accampamento romano della VII legione. Le unità militari lasciarono l’area tra il 147 ed il 161 d.C, seguendo la medesima via. Ricerche sistematiche, ancora in corso, hanno accertato l’esistenza di mura difensive, l’esatta posizione di monumentali granai e cisterne e forse del pretorio (alloggiamenti dei comandanti). Un’iscrizione ci dice che per questa guarnigione legionaria, attorno al 150 d.C., l’VIII coorte di volontari eresse una “torre per sollevare l’acqua” (turrem ad aquam tollendam ). Sinora non è stata accertata l’esistenza di un anfiteatro che, di norma, era sempre presente nella sede della legione. (Soltanto poco tempo fa ne è stata notata la presenza a Burnum - Ivoševci, sulla Krka). A Gardun, per le esigenze della legione, operava un’officina di scalpellino alla quale si deve un tipo particolare di stele sepolcrale. L’esempio più interessante è la stele del fanciullo Gajo Laberio, ritratto mentre tiene in mano una palla, monumento


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Nella caverna Gospodska pećina (sono 1185 i corridoi sinora esplorati), presso la fonte della Cetina, vicino a Vrlika, sorgeva un insediamento paleolitico. Sul finire dell’età della pietra – del rame, attorno al 1900 a.C., sino alla metà dell’età del bronzo, dunque sino al 1600 a.C. circa, si sviluppò la cosiddetta Cultura della Cetina, legata all’emigrazione dei mandriani indoeuropei i quali, oltre che nelle caverne, vivevano anche in capanne semisotterranee nelle doline, in insediamenti di palafitte sulle acque palustri ed in costruzioni fortificate. I manufatti in ceramica e le armi di quel periodo fanno bella mostra di sé nel Museo della Regione frontaliera della Cetina a Sinj (MCK).

funerario murato nella casa Petković nella via Vrlička a Sinj. Proviene da Gardun il famoso trofeo, imponente monumento alla vittoria della VII legione sulla popolazione indigena, eretto intorno al 12 d.C. (che vede rappresentato un Delmata in catene ed un Pannone inginocchiato ai piedi dell’obelisco, sul quale sventolano le insegne, già bottino di guerra). Venuto alla luce nel 1886, oggi è esposto nel Museo archeologico di Spalato. 31


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Trilj Era il passaggio più importante sulla Cetina fin dall’età preistorica e dall’epoca successiva (Pons Tiluri – sotto l’accampamento militare a Gardun – indicato anche negli itinerari più antichi): un’iscrizione romana del 184 d.C. (nel Museo archeologico di Spalato) parla della ristrutturazione del ponte, lavori finanziati da alcune città dalmate d’allora. La sua importanza è confermata anche da un atto di donazione dell’imperatore Giustiniano (VI sec.), con il quale dona al famoso monastero di Monte


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Cassino anche il Pontem Ciluri. Oggi è una suggestiva località per gitanti (particolarmente apprezzata dai buongustai), punto di partenza per gli amanti del rafting, dell’equitazione… L’area dei mulini, sul limpido fiumiciattolo Grab, ricco di trote, è una delle località dei dintorni preferite dai gitanti. Alta sulla strada, percorrendo la quale da Trilj si va verso la Bosnia, al centro di una riserva naturale perfettamente preservata, si staglia la fortezza di Čačvina, menzionata per la prima volta nel 1371 come città del principe della Cetina, Ivan II Nelipić. Da essa si protende una stupenda vista sulla Regione frontaliera della Cetina e sull’anfiteatro di montagne che la circondano.

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Otok Sul margine occidentale della piana di Sinj (Sinjsko polje). Nel territorio di Priblač i Dugiš è stato scoperto un grande insediamento palustre. Sovrastano il casale di Šuste ruderi d’origine preistorica, divenuti più tardi fortezza tardoantica, e nella località di Mirine troviamo i resti di un’importante basilica paleocristiana con battistero. Poco distante da Sinj (l’Osinium delmata) si trovava la città pianificata d’Aequum (priva, dunque, di un insediamento illirico precedente), oggi Čitluk, colonia agraria di veterani romani fondata dall’imperatore Claudio (Colonia Claudia Aequum). Si tratta dell’unico insediamento avente rango di colonia nel retroterra della provincia romana della Dalmazia. Il suo foro, attorniato da un porticato e posto al centro della città, nel punto d’intersezione delle due vie principali, è stato in parte sottoposto a scavi. Il capitolium si trovava nella parte settentrionale. Questa località non è mai stata, purtroppo, oggetto di ricerche sistematiche e di una presentazione adeguata. Nel Museo del convento francescano e nel Museo della Regione frontaliera della Cetina a Sinj sono, oggi, esposte le famose statue marmoree delle dee Fortuna ed Ecate, una testa d’Ercole ed altri artefatti provenienti da Čitluk.

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Sinj A Ruduša, sotto la Città vecchia di Sinj, sono state riportate alla luce pietre sepolcrali (oggi nel Museo della Regione frontaliera della Cetina) grazie alle quali s’interpretano i segni magici dell’autentica religione delmata (legata al culto del Sole ed alla credenza dell’immortalità dell’anima). In epoca romana, sui declivi meridionali della Città, si trovava un villaggio degli Osinijati delmati: da qui Osinium, e poi, nel Medioevo – Fsini (1341), Zyn (1345, quando il re croato – ungherese Ludovico il Grande ne fece dono al principe di Knin, Ivan Nelipčić, come sua sede), Syn, Syngh, Wssyn e, finalmente, Sinj. All’inizio del XVI sec. l’intero territorio di questa regione frontaliera era nelle mani degli Ottomani, che nobilitarono l’intero distretto della Cetina stabilendone la sede a Sinj. Persa Sinj nel 1698, i Turchi tentarono di riconquistarla nel 1715, ma proprio in concomitanza con la festa dell’Assunta, il 15 agosto, subirono una pesante sconfitta. In ricordo di quest’eroica vittoria, riportata per intercessione della Beata Vergine Maria, gli abitanti di Sinj da generazioni tengono la giostra cavalleresca della Sinjska alka.


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Nell’alto Medioevo, attorno a Sinj e lungo il tratto centrale della Cetina, fu fondato il Giuppanato della Cetina, uno degli 11 giuppanati veterocroati la cui esistenza è testimoniata, in modo particolare, dal ritrovamento dei resti di una serie di chiese dal ricco mobilio in pietra (San Salvatore sulla Cetina e poi le chiese di Koljane, Hrvace, Grab, Udovičići, Brnaze) e da necropoli rinvenute a Kijevo, vicino a Vrlika, a Potravlje ed altrove. Nella Croazia medievale, il giuppanato della Cetina diventa principato, retto nel XIV e nel XV secolo dalle famiglie nobiliari più prestigiose: i Šubić, i Frankopan, i Talovci ed i Nelipčić, che vi faranno erigere fortificazioni e città a Glavaš, ai piedi della Dinara, a Vrlika, a Potravlje, a Sinj, a Čačvina (menzionata per la prima volta nel 1372) ed a Nutjak, fortezza retta dal principe della Poglizza, Žarko Dražojević, ucciso nel 1508 in un’imboscata, nel tentativo di portar viveri ad una Sinj assediata. Il dipinto della taumaturgica Madonna di Sinj, che i francescani, secondo la tradizione, avrebbero portato a Sinj da Rama, si trova su un altare marmoreo (Pio e Vicko Dell’Acqua, sul finire del XVIII sec.) ed il 15 agosto, giorno dell’Assunta, attrae una moltitudine di fedeli provenienti dall’intera Dalmazia. Nel corso di un recente intervento restaurativo, le immagini a raggi x hanno dimostrato che il dipinto (su tela) fu davvero piegato più volte, evidentemente per poter essere trasportato durante la fuga.

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Sinj ricevette il proprio aspetto urbanistico attuale sul finire del XVII e nel corso dei secoli XVIII e XIX, quando un suggestivo borgo prese forma sui declivi della CittĂ , luogo in cui attualmente si svolgono importanti ricerche che riguardano le imponenti rovine del borgo (lĂ dove insisteva un castello tardoantico del XVI sec.).


L’onore d’essere alkari è riservato soltanto ai probi cittadini di Sinj e della Regione frontaliera della Cetina, qui nati o nati da famiglie originarie di questa terra. L’Alka si tiene ogni anno, in occasione della prima domenica d’agosto, sul modello dei tornei cavallereschi medievali (l’alka, un tempo, si correva anche a Makarska, a Spalato ed altrove) in onore della Madonna che, secondo la tradizione, avrebbe salvato la città, ed in ricordo della vittoria ottenuta da 700 cavalieri di Sinj contro l’esercito turco, di gran lunga superiore (60.000 unità), che assediò Sinj nel 1715. Al pari della competizione dell’Alka, anche il corteo solenne è una manifestazione imponente; vi sfilano il comandante degli alkari con i suoi aiutanti, gli harambaši, i capi degli aiduchi, e la formazione degli attendenti degli alkari, i mazzieri, gli scudieri degli Edeci (cavalli senza cavaliere con, sulla groppa, l’armatura appartenente al comandante turco serraschiere Mehmed-paši Čelić), l’alfiere con i suoi aiutanti ed, infine, l’alajčauš, il cavaliere che chiude il corteo (comandante della formazione degli alkari che partecipa alla corsa in prima persona) – tutti con indosso le autentiche e sfarzose uniformi cavalleresche.

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L’Alka. Giostra cavalleresca nella quale gli alkari a cavallo, lanciati a pieno galoppo (la velocità non può essere inferiore ai 45 km/h), con lunghe lance, cercano d’infilzare un cerchietto (alka) sospeso sulla pista con una corda a 3,22 m d’altezza. L’alka (da halqua = cerchio) è formata da due anelli concentrici uniti da tre traverse: cogliere il bersaglio nel cerchio centrale fa conquistare 3 punti, nel settore superiore 2 punti, e nei due settori laterali 1 punto. Quando un cavaliere coglie il centro del bersaglio (“u sridu”), quest’evento viene annunciato dalla musica e dalle “mačkule”, salve di cannoni dal Kamičak. Vince chi totalizza il maggior punteggio in tre corse. Spesso è necessario lo spareggio tra gli alkari che, alla fine della gara, hanno totalizzato il medesimo numero di punti. Il vincitore riceve un ricco premio simbolico ed un premio in denaro, che utilizzerà per pagar da bere a tutti i partecipanti alla competizione. La moltitudine del pubblico presente segue anche le prove principali: il venerdì si tiene la “bara” ed il sabato la “čoja”, ma si corre senza indossare le uniformi solenni.

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Il convento francescano fu fondato nel 1699, anno in cui i frati, fuggiti con il popolo da Rama, ripararono a Sinj. Data alle fiamme nel 1714, danneggiata da un terremoto nel 1769, la chiesa fu completamente ricostruita nel 1862. Il campanile fu eretto nel periodo compreso tra il 1896 ed il 1926. Il convento ospita anche un museo, che custodisce preziosi reperti archeologici d’Aequum ed una collezione a carattere etnografico e naturalistico. Il 1713 è l’anno dell’edificazione della piccola fortezza di Kamičak (restaurata nel 1890), con ai suoi piedi il Kvartir/Quartiere per l’alloggiamento delle truppe veneziane. (In esso sarà presto realizzato il Palazzo dell’Alka, con una raccolta museale.) L’unico edificio residenziale interamente preservato e risalente a quegli anni è il complesso detto Lovrićeve kuće. In prossimità dell’ingresso meridionale alla città, sul piccolo fiume Goručice, nel 1784 fu costruito un ponte “per lo sviluppo commerciale”. Sinj era una località molto conosciuta come borgo mercantile sviluppatosi molto rapidamente per tutto il XIX sec., quando divenne sede del comune, del distretto e del tribunale; quando, presso il convento francescano, venne istituito il liceo classico, la prima scuola superiore nella monarchia austriaca con il croato come lingua d’insegnamento (1853); quando venne introdotta la ferrovia a scartamento ridotto (la mitica rera), l’acquedotto con l’acqua proveniente dalla sorgente della Kosnica, ecc. Vi furono realizzati anche i giardini pubblici.

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I francescani della provincia della Bosna Argentina (Bosna srebrena, da Srebrenica, in Bosnia) ricevettero nel 1463 l’“ahdname” dal sultano Mehmed II, un privilegio che consentiva loro di esercitare l’attività pastorale nella Bosnia e nella Dalmazia turca. Sino al tempo del dominio dell’Impero austroungarico, non vi sarebbe stato altro clero cattolico. La Dalmazia turca restò sotto la giurisdizione pastorale di questa provincia francescana della Bosnia sino al 1734, quando fu istituita, con sede a Sinj, una nuova provincia francescana, quella del Santissimo redentore. I loro conventi furono per secoli gli unici centri della vita religiosa e le uniche istituzioni educativo - culturali in partibus infidelium. E siccome i frati erano i mentori popolari sia delle cose spirituali, che di quelle materiali, venivano chiamati confidenzialmente “zii” perché, agli occhi della gente, molto spesso vantavano quelle virtù eroiche che erano attribuite ad un parente degno di rispetto. La produzione letteraria francescana, all’inizio stampata utilizzando quella variante occidentale del cirillico detta bosančica, godeva di un carattere ultraregionale, preparando la nascita delle norme letterario – lingui-

stiche stocaviche della lingua croata. Raggiunse il suo apice con l’opera di fr. Andrija Kačić Miošić Razgovor ugodni naroda slovinskoga / Conversazione piacevole sul popolo slavo (1759) – dedicata ai poveri, ai contadini ed ai pastori. I versi barocchi di Kačić, intessuti di medievalità e di folclore, tramandati per decenni, hanno dato forma al modo di pensare della gente di montagna, dando vita alla tradizione popolare e rappresentando, nel patrimonio letterale croato, un secondo polo, rispetto al forbito “Osman” di Gundulić.

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Cetina Cetina è, oggi, il nome di un paese poco appariscente nei pressi della fonte del fiume, mentre in epoca veterocroata, dal IX all’XI secolo, era sede del distretto di Vrhrika (Verchrecha - nel significato di tratto superiore, sorgente del fiume). Comprendeva le città di Glavaš, Prozor, Sinj, Trilj, Stolac, Gradac, Nutjak, Tugare e Poljička župa. Dei cinque giuppanati veterocroati (di Imotski, Zminj, Klis e Drid) che si trovavano nel territorio dell’attuale Regione spalatino – dalmata, quello della Cetina era il maggiore. Nel XVI sec. gli abitanti di Vrhrika, in fuga davanti ai Turchi, ripiegarono nella fortezza di Prozor, trasferendovi anche il toponimo del loro precedente insediamento che, da allora, si chiama Vrlika. La fortezza di Prozor fu edificata all’inizio del XV sec. da Hrvoje Vukčić Hrvatinić mentre, nel 1421, il re croato – ungherese Sigismondo di Lussemburgo ne fece dono a Mikac Vitturi, reggente del sovrano a Trogir (Traù), che dovette lasciare un anno più tardi (dopo l’ingresso delle truppe veneziane nella città, quando gli fu confiscato tutto il patrimonio). La chiesa parrocchiale della Madonna del Rosario venne edificata sul finire del XIX sec., sul luogo dove insisteva una chiesa precedente. I suoi dipinti (C. Medović, B. Bulić) sono andati distrutti nel 1992, nel periodo dell’occupazione serba di Vrlika; stessa sorte è capitata alla statua bronzea di fr. Filip Grabovac, antistante la chiesa. Vrlika ha dato anche i natali al letterato Milan Bregović, mentre la suggestiva fontana, situata

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Il kolo della Vrlika è una delle più suggestive danze popolari in genere. Qualcosa di simile, tuttavia, doveva esistere anche altrove lungo la costa croata, cosa confermataci da Juraj Šižgorić, umanista di Sebenico del XV sec. e prezioso cronista dei canti d’amore e dei canti e balli nuziali, che oggi potremmo considerare parte dell’eredità etnica. Egli osserva che “i danzatori del kolo battono i piedi al ritmo del canto”… La sua formazione umanistica, naturalmente, lo porta a corroborare il frutto delle sue osservazioni con riferimenti ad antiche autorità. Fa richiamo ad uno dei precettori del figlio del re croato – ungherese Matija Korvino, il quale nota come, in quegli stessi anni del primo Rinascimento, i Croati danzavano all’antica (dice: “Quando, danzando, fanno una sosta, infatti, tutti contemporaneamente battono i piedi a terra”), cosa che a Šižgorić ricorda un verso d’Orazio che, tra l’altro – lontano dai rozzi luoghi illirici – nell’ambiente mediceo di Firenze, servirà come concetto della famosa Primavera del Botticelli.

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La chiesa di san Salvatore presso la sorgente della Cetina fu eretta nel IX sec. da Gastika, già giuppano della Regione frontaliera della Cetina, in ricordo della madre Nemira e dei suoi figli. La chiesa, originariamente, aveva un presbiterio a tre absidi, e nel lato occidentale un portico – westwerk (con una cappella privata al piano), ed un campanile sulla facciata (il campanile meglio conservato dell’architettura croata dell’alto Medioevo). Accanto ad essa c’è una grande necropoli (1.102 tombe ispezionate, risalenti al IX – XIV sec., con preziosi reperti). Sotto i maggiori blocchi di pietra furono inumati i più prestigiosi abitanti della Vrh Rika di allora: questa era la patria dei Čubretić e dei Berislavić (famiglie che hanno dato due bani) – importanti famiglie di nobili croati del XIV e XV secolo.

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nei pressi del bordo orientale del centro abitato, rappresenta la scenografia originale della più conosciuta opera croata “Ero s onoga svijeta” (“Ero, lo sposo caduto dal cielo”) di Jakov Gotovac. Della serie di località significative nelle vicinanze di questo centro curativo, degno di nota è il singolare Pločati most (Ponte delle lapidi), sulla Cetina, costruito nel XVIII sec. con lapidi funerarie di un qualche cimitero medievale andato in rovina, probabilmente del casale di Preočani sulla Cetina, che si protendeva lungo il margine meridionale della piana Cetinsko polje.

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Glavaš Fortezza tardomedievale del XIV/XV sec. (con una torre a tre piani a pianta circolare ben conservata), eretta nel passo montano in direzione di Unište, sull’antica via che andava verso la Bosnia interna, sulle carte d’un tempo viene menzionata con il nome di Dinarić.

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Ero s onoga svijeta. L’opera popolare “Ero s onoga svijeta” (Ero, lo sposo caduto dal cielo) di Jakov Gotovac (Spalato 1895 – Zagabria 1982) è stata rappresentata in più di 80 palcoscenici musicali in tutt’Europa, ed è stata messa in scena in nove lingue. L’opera ebbe la sua prima il 2 novembre 1935 nel Teatro nazionale croato a Zagabria, ed è rimasta sino ad oggi l’opera musicale croata più rappresentata di sempre, nonostante la prima critica avesse concluso che: “Un altro compositore croato aveva, ancora una volta, inutilmente scritto un’opera”. Nell’eccellente libretto di Milan Begović, Gotovac trovò quella base viva sulla quale poté esprimere la propria propensione alla comicità ed all’umorismo. Essi trovarono il fondamento musicale e testuale di quest’opera nel folclore degli Slavi meridionali – dal folclore della Zagora

Potravlje Paese ubicato 11 km a nord di Sinj, dominato dai resti della fortezza di Travnik, eretta, alle pendici della Svilaja, da Ivaniš Nelipić, principe della Cetina, all’inizio del XV sec. In questo paese ancor oggi si fabbricano recipienti in ceramica con l’applicazione di un’antichissima tecnologia. dalmata (con il suggestivo ballo a kolo finale), sino alle canzoni delle fanciulle del Kosovo (il coro iniziale delle fanciulle Duni mi, duni, lađane).

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La Poglizza Microregione attorno ad Omiš, sulla foce della Cetina, ma che storicamente non ha mai compreso questa città, sviluppatasi dall’Oneum romana sulla riva sinistra della foce della Cetina, sul confine tra due grandi comunità tribali illiriche, i Delmati ed i Daorsi – stanziatesi nel territorio compreso tra la Cetina e la Neretva. Nel Medioevo la località di Oneum era un potente caposaldo dei corsari della Neretva. Era anche sede di Kačić, che darà filo da torcere a tutte le città adriatiche che cercheranno di stringere con lui accordi di pace (Cattaro 1167; Ragusa 1180). “La stessa posizione naturale della loro città li induceva ad occuparsi di pirateria”, scriveva uno scrittore barocco di cronache di viaggio. Le Radmanove mlinice (mulini), con i loro platani centenari e le peschiere di trote, sono uno dei luoghi preferiti dai gitanti (e dai bagnanti), raggiungibili via fiume dalla foce della Cetina presso Omiš. Su una rupe sovrastante il fiume si trovava la fortezza di Viseć (XIV/XV sec.). Tutt’intorno, lungo l’intero giogo montano del Primorje, che divideva la Poglizza (Poljica) inferiore da quella superiore, lungo la Dinara di Omiš e nell’immediato retroterra, si registra la presenza di una corona di tumuli illirici e di ruderi (come Grac, sopra Zakučac, e le rovine insistenti nel luogo dove sorgeva la fortezza di Starigrad, sovrastante Omiš).

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La stretta strada ricavata tra le gole montane sovrastanti Zakučac, sulla Cetina, passa accanto al monumento a Mila Gojsalić (opera d’Ivan Meštrović), che, secondo la tradizione, si fece onore morendo eroicamente nel 1570, dopo aver dato alle fiamme un accampamento delle truppe turche. A Gata (Poljica centrale) si trovano i resti di una chiesa paleocristiana (VI sec.), edificio centrico a “doppio guscio”, con un ambulacro, tre absidi ed un nartece, probabilmente consacrata a san Cipriano, come l’odierna chiesa parrocchiale. La sua scoperta testimonia dell’esistenza di un villaggio che potrebbe essere identificato, secondo le fonti scritte di quel periodo, con la Gedate tardoantica. Accanto alla chiesa c’è il piccolo Museo storico della Poglizza nel quale, tra l’altro, sono esposte le vesti del gran principe della Poglizza. Accanto alla chiesa c’è anche il monumento eretto in ricordo delle vittime della terribile carneficina cetnica che, sotto la protezione dei fascisti italiani, fu perpetrata il I ottobre 1942. Poco distante, ad Ostrvica, sono visibili i resti del castello per la caccia di un certo dignitario d’epoca tardoantica al quale, probabilmente, deve ricondursi anche l’edificazione della chiesa a Gata. È in programma lo svolgimento di lavori archeologici su quest’importante località. Un sentiero di montagna (4 ore di cammino) conduce da Gata, attraverso Dubrava, sino a Kozik, sulla vetta del Mosor (1318 m, Sveti Jure/San

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Sulla riva destra della Cetina, in prossimità della foce del fiume, si trova la chiesetta di san Pietro na Priku, uno degli edifici veterocroati più rilevanti del IX – XI secolo. Si tratta di una chiesa ad una navata con cupola, con le pareti suddivise con cura, sia all’interno, sia all’esterno. Accanto ad essa si trovava, probabilmente, un monastero benedettino. Qui, nel 1074 e nel 1080, furono intentate controversie patrimoniali demandate al giudizio del re Slavac (Slavizo rex), uno dei sovrani della Regione frontaliera della Neretva. Nelle sue vicinanze si trovava anche il seminario dei sacerdoti glagolitici (Seminarium Illyricum), fondato nel 1750 per l’educazione del clero in lingua croata, e soppresso nel 1879. Anche don Frane Bulić frequentò questo seminario.

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Giorgio – deve il proprio nome all’antichissima cappella consacrata al protettore della Poglizza). Tra il Mosor ed il mare si protende un lungo giogo montano che separa la Poglizza centrale da quella litoranea (la Poglizza centrale comprende: Žrnovnica, Sitno Gornji e Sitno Donji, Srinjine, Tugare, Dubrava; la Poglizza montana comprende: ). Ogni paese situato alle pendici dei monti chiama la propria porzione di montagna con un nome particolare, più frequentemente in base ai santi ai quali erano consacrate le antichissime chiesette o in base al nome di qualche divinità (il Perun, alle spalle di Žrnovnica, deve il proprio nome al dio tonante degli Slavi). Ai margini della fascia flyscioide, proprio ai piedi del giogo montano, si trova una sequela di remoti e pittoreschi paesini (Podstrana, Jesenice, Duće). L’estremità orientale della Poglizza, la Podgrađa, si raggiunge attraverso le località di Zvečanje e Kostanje, sovrastate dalla Kostanjska ljut, con vigneti minuscoli nei quali s’è preservato un vitigno autentico di ceppi bassi e robusti, grazie ai quali ha resistito alla bora del Mosor. Lungo il fiume si trova la località di Studenci, ideale per fare una scampagnata, con i suoi antichi mulini. A Kostanje vale la pena di visitare i Gojsalići dvori, nei quali presto sarà allestita una mostra in memoria della Giuditta della Poglizza – l’eroina Mila Gojsalić.

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La Repubblica di Poglizza. Gli abitanti dei paesi del Mosor sono particolarmente fieri della storia del loro Principato della Poglizza (“Repubblica contadina”), originale organizzazione statale medievale di 12 comuni rurali, ognuna con un proprio principe. Gli abitanti della Poglizza pagavano un testatico ai Turchi ed un tributo a Venezia (alla quale davano anche soldati), ma il Principato aveva proprie leggi (lo Statuto della Poglizza), ispirate, a quanto sembra, dall’“Utopia” dell’umanista inglese Tommaso Moro (1478 – 1535). Si tratta della codificazione del diritto consuetudinario, fondamentalmente costituito di sorprendenti disposizioni democratiche, ma anche di una serie di disposizioni nobiliari con le quali “le famiglie nobiliari ed i feudatari” erano privilegiati rispetto al volgo – “coloni e valacchi”. Accanto al Codice di Vinodol, lo Statuto della Poglizza è il più interessante documento storico – giuridico croato. Il principato aveva un Gran consiglio, con a capo il gran principe, eletto per un anno nei pressi della chiesetta a Grac (splendido belvedere), il 24 aprile, giorno di san Giorgio. La lingua ufficiale era il croato ciacavo, quella scritta utilizzava i caratteri della bosančica, variante croata dei caratteri cirillici. Il suo territorio era delimitato dal fiume Žrnovnica, dal mare e da un’ansa a “gomito” della Cetina. Mantenne la propria autonomia sino alla sanguinosa battaglia presso Strožanac, del 1807, quando si sollevò contro l’esercito napoleonico. L’ultimo principe della Poglizza fu Ivan Čović, fuggito per mare in Russia.

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A poca distanza da Sitno (da cui discende la fam. di Antun Mihanović, autore dell’inno croato “Lijepa naša”), ecco la chiesa gotica a pianta ottagonale di san Clemente, edificata sul modello della cattedrale spalatina, ma in piccolo. A Dubrava (Poglizza superiore) c’è la chiesa di san Luca, un suggestivo complesso sviluppatosi dal XIII al XVI sec., con il sepolcro del vescovo Nikola Ugrinović. Sulla via che si percorre scendendo verso Tugare (località menzionata fin dall’852) c’è la chiesetta del beato Arniro, sorta sul luogo in cui, secondo la tradizione, gli abitanti della Poglizza avrebbero lapidato quest’arcivescovo spalatino quando, nel 1180, venne nella Poglizza a raccogliere le decime frutto del lavoro dei campi. I paesi situati alle spalle del Mosor sono raccolti attorno a minuti campi carsici (vedi i pittoreschi casali di Donji Dolac nel quale, accanto alla chiesa di san Martino, c’è anche un bel campanile barocco; nel cimitero c’è una lapide sepolcrale eretta in onore di un’altra eroina della Poglizza, Mare Žuljević, caduta in battaglia contro i Turchi. Vi si trova anche un monumento ai 426 caduti uccisi dalla ferocia nazista il 26 marzo 1944. Gli abitanti della Poglizza si distinsero per il loro eroismo nella lotta contro i Turchi. È particolarmente famoso Žarko Dražojević (+1508; inumato nella cattedrale spalatina), ucciso in un’imboscata dopo una serie di battaglie, cantate da Marko Marulić. A lui si deve l’edificazione delle

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I fiumi della Dalmazia possono suddividersi in tre gruppi. Al primo appartengono quelli che nascono al confine tra la fascia flyscioide e le montagne calcaree: sebbene il loro corso sia breve, essi abbondano d’acqua (Jadro, Rijeka dubrovačka, Škudra, nonché una sequela di torrenti minori e stagionali). Al secondo gruppo appartengono, invece, i fiumi che nascono ai piedi della parete dinarica più alta; ricevono l’acqua soprattutto dalle rocce impermeabili che attorniano il loro tratto superiore, e proseguono il loro corso sugli altopiani calcarei, scavando vallate e canyon. Le sorgenti della Zarmanja, della Krka e della Cetina sgorgano vicino, per poi scorrere a raggiera verso ovest, sud ovest e sud est. Questi fiumi sono costretti a superare, lungo il loro breve corso, un gran dislivello (la Zrmanja su 63,9 km 395 m, la Krka su 75,4 km 310, la Cetina su 100,5 km 380 m), dando vita a cascate e rapide che si trasformano anche in importanti fonti energetiche, sebbene quest’importanza sia resa relativa dalla variabilità del livello dell’acqua, a seguito della variabilità delle precipitazioni e della veloce circolazione dell’acqua nel suolo carsico. E così, la Cetina, nei pressi di Zadvarje, può oscillare tra i 12 m3/sec in condizioni di livello minimo ed i 1200 m3/sec in condizioni di livello massimo dell’acqua.

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fortezze di Nutjak (poco distante da Trilj, in direzione della corrente del fiume) e Kunjak (Kučiće, alle spalle della Dinara di Omiš). La Dinara di Omiš si protende verso sud est, oltre il canyon della Cetina, andando ad unirsi, a Dupci/Vrulja, con le propaggini del Biokovo. “Vruja” (deve il proprio nome alle forti sorgenti sottomarine) è il luogo

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dove s’uniscono le riviere di Omiš e di Makarska, dove s’apre uno dei rari passaggi verso la Zagora.

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Il passato geologico. All’orogenesi dinarica, sul territorio della Dalmazia, è succeduto un lungo periodo di calma dei movimenti interni della Madre Terra. L’ampiezza degli strati flyscioidi era molto maggiore di oggi, ed i fiumi erano molto più ricchi d’acqua. Portando tanta ghiaia, sabbia e melma, possedevano una gran forza erosiva, ed il risultato di questo continuo lavoro d’erosione fluviale lo vediamo oggi nell’elemento più interessante dell’orografia dalmata – gli ampi altopiani, come quello denominato “podska”, attorno alla piana di Sinj (Sinjsko polje), quello attorno a Ugljan e Cista ed, in modo particolare, l’imponente altopiano attorno a Zadvarje. In considerazione della composizione calcarea delle rocce, questi altopiani, al tempo della loro creazione, si protendevano in prossimità del livello del mare, quando le montagne dinariche erano ancora basse, il suolo abbastanza paludoso ed i fiumi lenti e sinuosi (come l’attuale corso della Neretva in prossimità della foce). All’innalzamento del suolo si deve la segmentazione dei corsi dei fiumi. Dalla base calcarea si staccarono rivestimenti di detriti fluviali, e su tale base nuda iniziarono a formarsi le forme carsiche. Rimasero in vita, però, soltanto i corsi ricchi d’acqua, di ghiaia e di sabbia, che poterono scavare profonde vallate, come la Zrmanja, la Krka, la Cetina e la Neretva.

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Biokovo, Imotski, Vrgorac

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BIOKOVO, IMOTSKI E VRGORAC Con il Biokovo, la catena delle Dinaridi fa segnare la sua minor distanza dal mare, superando anche l’imponenza delle Alpi con la larghezza della parete che si rispecchia sul canale che la separa da Brač (Brazza), Hvar (Lesina) e Pelješac. Il litorale di Makarska è delimitato da Vrulja ad ovest, da Baćina, poco prima della foce della Neretva, ad est, e dal giogo del Biokovo. Dopo la regione di Dubrovnik e di Pelješac, il litorale di Makarska è la regione adriatica dai contorni più docili. Fino alle pendici delle alte pareti rocciose, sino a non tanto tempo fa, tutto quanto era coltivato a vite, olivo ed alberi da frutta. Soltanto la grande Rogoznička Vrulja, che d’inverno dà vita alla furiosa bora delle pendici del Biokovo, sembra voler ricordare che qui non c’è spazio per


nostra montagna più bella. Le sue pendici sono – guardando il solo profilo – un altopiano flyscioide lievemente inclinato che, attorno al paese di Basta, si divide in modo suggestivo sotto l’anfiteatro gigantesco delle rocce di Sant’Elia (Sveti Ilija) e Sebenico (Šibenik), alte circa 1000 m, offrendo un’eccezionale veduta su un paesaggio singolare. Su

questo sfondo spicca, bellissima, una rigogliosa fascia di sempreverdi – pini e olivi, e, proprio lungo le pareti rocciose, roverelle e carpine nero, cosa ancora più significativa perché il Biokovo, altrove, è molto povero di vegetazione per la distruzione della vegetazione boschiva, in conseguenza della quale l’humus è stato quasi totalmente ridotto ai minimi termini, nonostante la sua fascia più elevata sia rinomata per la sua flora, grazie ai residui vegetali risalenti al Terziario (la centaurea endemica, il narciso, la campanula…). Per tutto ciò il Biokovo ha presto attratto l’attenzione d’esploratori di fama. La vegetazione del Biokovo è stata, così, descritta da una serie di rinomati botanici; già nel 1838 vi s’inerpicò il chiarissimo re sassone Federico Augusto, letterato tedesco e traduttore di Dante (il quale addirittura incise su una zucca il proprio monogramma); così come Roberto Visiani, originario di Sebenico, fondatore del famoso giardino botanico dell’Università di Padova. Sul versante della Zagora si sono conservati in misura rilevante boschi di faggio. Val la pena di sottolineare subito che questa parte del Biokovo non ha minor valore del versante meridionale. Proprio attorno al “pavimento della Zagora”, l’altopiano sul quale s’è sistemata la località di Zagvozd, ed al “grembiule fluviale”, sul quale si trova la chiesa di santa Croce, i geologi descrivono alcuni dei più interessanti processi carsici, ricostruendo così la storia dello sviluppo e della scomparsa del remotissimo fiume di Rastovo che scorreva da sud est verso nord ovest, verso il bacino della Cetina.

Biokovo, Imotski, Vrgorac

Il Biokovo. La maggiore vetta del Biokovo si staglia a 1762 m sul livello del mare. Deve il proprio nome alla piccola cappella di san Giorgio (Sveti Jure) che, nel 1964, a causa della costruzione di un ripetitore televisivo, dovette essere trasferita più a valle; essa, ancor oggi, richiama, l’ultimo sabato di luglio d’ogni anno, tanti pellegrini e visitatori. La strada che vi giunge dal mare è asfaltata sino in cima, ma può esser percorsa soltanto dall’alba al tramonto. Per l’eterogeneità orografica delle formazioni carsiche reticolari, delle pareti rocciose, dei letti fluviali, delle fenditure e delle torri, come per la varietà dei suoi colori – a seconda del periodo del giorno e della stagione, il Biokovo è senza dubbio la

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Biokovo, Imotski, Vrgorac 62

una perenne primavera. Il passo che collega il mare con l’entroterra, nei pressi di Dupci e della grande ansa della Cetina, è sempre stato un nodo viario estremamente importante. Su quest’antichissimo passaggio, che dal litorale conduce all’entroterra, e sulla, un tempo famosa, cascata della Gubavica, veglia la fortezza tardomedievale di Dvare, da cui il nome della località di Zadvarje, oggi conosciuta per la fiera “na Bartula” (di san Bartolo, il 24 agosto). Zadvarje era una città medievale, teatro di sanguinose battaglie conro i Turchi nel corso della Guerra di Candia del XVII secolo. Giù lungo la Cetina, nel periodo compreso tra il 1908 ed il 1912, fu edificata la centrale idroelettrica di Kraljevac, uno dei più interessanti esempi d’architettura industriale del nostro paese. Nell’entroterra di Vruja, poco distante dalla cascata, si trova Slime, paese del poeta Josip Pupačić, tragicamente scomparso, e nella cui casa natale è stata allestita una mostra in memoria.


Biokovo, Imotski, Vrgorac

In epoca preistorica, in prossimità di quasi tutte le quote significative, vennero realizzati tumuli di pietra o fortificazioni, a far da corona a tali località nel retroterra del Biokovo verso la piana di Imotski e Vrgorac. Questo genere d’edificio con tumulo è tipico del territorio delmata. Molto più evidenti sono i collegamenti diretti di reti di simili località con quelle affini sulla costa o sulle isole vicine, che indicano anche il senso della circolazione dei contatti delle civiltà d’allora. Gli stećci. Famosi monumenti sepolcrali medievali, erano originariamente spesso variopinti come fossero stoffe e tappeti. L’ispirazione dei loro bassorilievi dipendeva molto di più dall’illustrazione della vita e dei divertimenti del ceto nobiliare (cortei di cavalieri, scene di caccia, duelli gotici), che da certi motivi cripto - simbolici della supposta gnostica dei bogomili. Quest’aspetto eccezionalmente decorativo delle scene rappresentate discende da una riduzione dei motivi dell’arte della fabbricazione dei tappeti di quel tempo, ovvero dei semplici “tappeti da caccia” (ad esempio, i “Jagdteppich” di Wienhausen, dell’inizio del XV sec.).

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Biokovo, Imotski, Vrgorac


Biokovo, Imotski, Vrgorac

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Biokovo, Imotski, Vrgorac

Imotski Alla fortificazione ed alla città sui pendii del monte Podi, sul margine settentrionale della vasta piana d’Imotski, si deve il nome dell’antico giuppanato croato degli Imoti (X sec.), che s’estendeva sino a sfiorare la Dalmazia, l’Erzegovina e la Bosnia. La fortezza “Topana”, su una rupe sovrastante il lago Modro jezero, vanta una fase medievale ben distinguibile all’interno di quell’unità che fu modellata al tempo della dominazione turca. All’ingresso della fortezza fu eretta, all’inizio del XVIII sec., la chiesetta della Madonna degli Angeli, protettrice della città e dell’intera Regione frontaliera, la cui edificazione è legata alla data storica della liberazione della città dal dominio dei Turchi (2 agosto 171?). Il convento francescano, fondato nel 1738, fu oggetto di ripetuti ampliamenti. Il suo destino fu alquanto complicato: fu fondato, attorno al 1300, dai Nelipić, famiglia di nobili croati, in prossimità della fonte della Vrlika, a Proložac, ma poi dovette esser trasferito a Kamenmost ed, in seguito, ad Otok nel Prološko blato, a Podgrađe, a Dobrče nella località di Rogoznica, e ad Omiš. La chiesa di san Francesco risale al 1900. Nella collezione museale del convento, tra i tanti oggetti etnografici, sono esposti anche frammenti degli arredi in pietra di una chiesa paleocristiana, quella basilica oggetto recente di ricerca e di

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Vlah (Valacco). Termine polisemico. Originariamente così venivano chiamati gli abitanti della Penisola italica o un qualunque altro rappresentante delle popolazioni romaniche, riferendosi primariamente agli Illiri romanizzati i quali, all’arrivo degli Slavi, continuarono a vivere nel retroterra del subcontinente balcanico una vita nomade dedita alla pastorizia. Nella Bosnia turca indicava tutti gli ortodossi, a Dubrovnik (Ragusa) ogni contadino; gli abitanti delle città costiere e dei paesi ciacavi, con questo termine, indicavano saltuariamente i paesani ed i pastori del retroterra che si servivano del dialetto stocavo. Alcuni isolani chiamano così ogni abitante della terraferma, mentre la popolazione indigena chiama così gli immigrati, a prescindere dalla loro confessione religiosa. Gli Spalatini, infine, con il termine dispregiativo “Vlaj” chiamavano gli abitanti della Zagora.

Biokovo, Imotski, Vrgorac

L’ojkanje. Canto che non possiede una tonalità costituita, né una concezione armonica, né il senso della nota conclusiva, ed al quale nessuno è mai riuscito a trovare un parallelo nell’antica tradizione canora! La povertà della sua scala musicale testimonia dell’antichità della tradizione. Il caratteristico canto a due voci, ancor privo d’alcun parallelismo nelle terze (o seste) che sentiamo nel litorale, nelle immediate vicinanze, così come anche il ritardo di una parte su un tono, l’uso frequente delle seconde, o addirittura lo spostamento parallelo nelle seconde. La medesima tecnica a due voci è utilizzata dai suonatori di gusle e dai suonatori di dvojnice (“svirale”) e dipli (specie di zampogne), con o senza sacca (“mišnica”).

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Biokovo, Imotski, Vrgorac

presentazione, dotata di due fonti battesimali e posta sulla collina di Dikovača a Zmijavci, 8 km a sud di Imotski. Sulla collina si trova anche una necropoli con steli funerarie. Il monumento a Tin Ujević, poeta croato del XX sec., è opera dello scultore Kruno Bošnjak (1980). È in programma anche l’erezione di un monumento a Hasanaginica, eroina tragica le cui gesta sono cantate da una ballata popolare nata proprio nella Regione frontaliera d’Imotski. Nell’ampio territorio circostante Imotski, interessanti sono i ritrovamenti delle fortificazioni tardoantiche a Vetrenik ed a Nezgriva, così come quelle degli insediamenti tardoantichi sul Lovreć e sul Kokić gradina, nella località di Proložac (Epilentium?), e maggiori complessi con basiliche a Cista Velika (Tronum?) ed a Zmijavci (Dikovača) ed a Proložac, come anche sulla Gorica nella località di Sovići – tutti quanti siti importanti, con splendidi panorami, sulla traccia di quella molto ben documentata strada romana che da Trilj, Prova, Krivodol (Imotski) andava verso Narona, e che s’è conservata sino ai giorni nostri con la medesima vivacità.

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fendette il cielo con la luce celeste, maledisse Gavan, sua moglie, i suoi figli, i suoi ospiti e tutte le loro residenze, e ritornò nuovamente nell’alto dei cieli. In quell’istante, i fulmini squarciarono il cielo, rombarono i tuoni, la terra tremò tremendamente, si spalancò ed ingoiò il castello, Gavan, sua moglie, i suoi figli ed i suoi ospiti. Al loro posto sorse il lago Crveno jezero. Tutt’oggi, ai bordi del lago, si trovano rovine delle quali si dice che siano i resti del grande castello di Gavan”.

Biokovo, Imotski, Vrgorac

I laghi Modro e Crveno jezero, nelle immediate vicinanze della città, sono fenomeni carsici che richiamano un’attenzione particolare. Il fondo del Crveno (Rosso) è a soli 19 metri sul livello del mare, mentre il livello dell’acqua oscilla tra i 285 ed i 320 metri, grazie al quale vanta il titolo di lago più profondo d’Europa. Deve il proprio nome alle pareti rocciose rosse quasi verticali. È entrato anche nell’immaginario popolare con la leggenda del ricco e crudele Gavan e del suo gigantesco castello. “La moglie di Gavan era ancor più malvagia ed avida di lui. Miscredente, non aiutava mai i poveri, che invece canzonava e derideva, cacciandoli dal portone del castello. Al mondo non esisteva donna più malvagia di lei. Gavan aveva tanti figli e figlie e sperava di trascorrere la propria vita con loro, nel lusso più sfrenato e nel piacere, e che a loro avrebbe lasciato tutti i propri averi… Tanta malvagità provocò l’ira di un angelo il quale, gettate le vesti lacere, impugnò con la mano destra la frusta di fuoco di Dio, Giudice giusto,

Il lago Modro (Azzurro), invece, si lega alla leggenda cantata nella ballata popolare su Hasanaginica, il cui sepolcro va cercato nella regione chiamata “Gaj”.

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Biokovo, Imotski, Vrgorac

Donji Proložac Si trova a nord ovest rispetto ad Imotski. Zona archeologica di particolare rilievo, attraverso i secoli fu vicina al canyon della Badnjeva nella località di Proložac, nella parte nord occidentale della piana d’Imotski. Ciò è testimoniato dai resti della fortificazione medievale di Stjepan Vukčić Kosača (menzionata nel 1444), ampliata al tempo dei Turchi, e del castro tardoantico eretto sulla costruzione preistorica posta sulla Kokić glavica. Nel corso delle ricerche, nel cimitero locale sono state rinvenute le fondamenta di una basilica paleocristiana a tre navate con battistero ed i resti di una chiesa veterocroata. Sono venute alla luce, inoltre, anche numerose steli sepolcrali romane, una delle quali riportante la firma di Maksimin, il nome del più antico scultore conosciuto dell’intera Dalmazia (II sec.). Sono stati scoperti anche i resti di una chiesa medievale presso la fonte del fiume Vrljika. Runovići, nella piana a sud est d’Imotski, un tempo era sede dell’insediamento romano denominato Novae (ad Novas). Sul pavimento della chiesa parrocchiale e sulla recinzione del cimitero sono state rinvenute iscrizioni in onore degli imperatori Galieno e Valeriano (253-259 circa) ed alcune steli sepolcrali.

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Biokovo, Imotski, Vrgorac

Prološko blato. Per la sua varietà di paesaggi carsici, il Prološko blato e l’area occidentale della vasta piana Imotsko polje è, accanto al lago di Bajkal, il fenomeno idrogeologico più ricco del mondo. In una sequela di laghi carsici spiccano i laghi Modro e Crveno, Dva Oka, Prološko jezero, Galipovac, Knezovića jezero, Provalija, Krenica, Jezerina e Lokvičićko jezero – alimentati dalle acque dei fiumi sotterranei, della Vrljika e, saltuariamente, dalle acque del corso del fiume Suvaja. La Vrljika è particolarmente interessante: fiume sotterraneo dal livello oscillante, lungo 20 km, esso penetra sottoterra nel lago Nuge. L’area sorgiva (50 ha), che comprende le sorgenti Modro oko, Utopišće, Opačac, Jauk ed il letto del fiume sino a Kamenmost, è zona protetta dal 1971 come riserva ittiologica, in quanto ospita la trota illirica endemica. Sul lago Prološko blato sorgeva anche un convento francescano, in epoca anteriore alla fondazione di quello di Imotski. Durante i mesi invernali ed all’inizio della primavera tutte le sorgenti dello Studenac e Ričica fuoriescono e, con le abbondanti piogge, portano enormi quantità d’acqua che vanno a riversarsi nella parte occidentale della piana Imotsko polje, aumentando la superficie del laghi del Prološko blato. Il più recente lago naturale della Regione frontaliera di Imotski, chiamato Bućuša, s’è formato dopo l’inondamento della parte occidentale della piana Imotsko polje, in prossimità del comune di Lokvičići, nell’autunno del 2004. Pulsa ancora la vita geologica nelle vene di questa regione carsica!

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Biokovo, Imotski, Vrgorac


Biokovo, Imotski, Vrgorac

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Biokovo, Imotski, Vrgorac

Vrgorac Vrgorac, nel X secolo, era, nel periodo in cui lo era anche Imotski, sede di uno dei giuppanati croati. Si trovò sotto il dominio turco dal 1477 al 1694, conservando, sino a poco tempo fa, la fama di luogo di frontiera famoso per le sue fiere. Sul Motokit (1063 m), su quella vetta che dà il nome alla città, domina una fortezza, uno splendido belvedere, anch’esso sotto restauro. Sotto la fortezza si trova la chiesa parrocchiale dell’Annunciazione di Maria (1913 – 1921), edificata in stile neostoricistico, proprio là dove, al tempo del dominio turco, sorgeva la moschea. Nel complesso della regia dei tabacchi d’un tempo, anch’essa in stile neostoricistico, si trova un parco, abbandonato sì, ma molto interessante, e risalente al 1900. Vrgorac è la città natale di uno dei maggiori poeti croati, Tin Ujević. Di recente è stata restaurata la torre nella quale, il 5 luglio 1891, nacque il poeta, figlio del maestro della città (Torre dei frati, Torre Cukarinović o Torre del capitano, come viene chiamata a Vrgorac). È una delle quattro torri barocche conservate (le altre sono quelle Raosova, Pekarova e Mumin-agina).

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pensa sufficiente, essendo la diligenza tale che i cantieri erano sempre deserti per due o tre giorni. Tre simili giorni risparmiati davano loro una gioia indescrivibile”. A Turija, tra Zagvozd e Župa, è stata posta una gran lapide commemorativa, sulla quale sono state incise le seguenti parole (dopo il restauro della soprintendenza, a seguito dei danni cagionati dagli Austriaci): “Sotto il governo di Napoleone il Grande, sotto la protezione del re d’Italia Eugenio, al tempo del provveditore generale Vick Dandolo, del comandante militare maresciallo Marmont, sotto la direzione tecnica del generale Blanchard, dell’ingegnere capo Gelić e dell’aiuto ingegnere Zavoreo, con la collaborazione dell’intera Dalmazia continentale e litoranea, è stata aperta questa via dal confine della Croazia sino all’Albania, per una lunghezza di 250 miglia geografiche, nel corso degli anni 1806, 1807, 1808 e 1809. A questa via, in segno di ricordo e riconoscenza per aver ricevuto la protezione di un così chiarissimo governante, fu dato il nome di “Strada di Napoleone”.

Biokovo, Imotski, Vrgorac

La strada di Napoleone. Il piano della famosa rete di strade, la cui costruzione fu intrapresa dal maresciallo Marmont, al tempo della dominazione francese sulla Dalmazia, fu approntato già nel 1787 dal capitano del genio Frano Zavoreo, già originario di Sebenico, il quale in seguito per più decenni avrebbe veramente diretto i lavori pubblici in Dalmazia. Lo stesso Marmont, descrivendo le difficoltà viarie nelle quali s’imbatté il suo esercito nel corso delle lunghe marce, in uno spazio enorme quasi privo di strade, nelle sue memorie scrisse: “Ai Veneziani garbava un simile stato. Signori del mare, sulla terraferma sempre impegnati in guerre di difesa, comunicavano con la Dalmazia esclusivamente via mare…”. Marmont intraprese la campagna di lavori pubblici sul modello delle truppe romane, che solevano occupare così il tempo libero. Intendeva realizzare una comunicazione stradale tra Zara e Ragusa passando per l’interno della regione e lungo la costa. Censì tutti i maschi abili al lavoro. Ogni operaio riceveva ogni giorno un pane dell’esercito o due pasti, “più pane di quanto ne avrebbe mai mangiato a casa propria”. Se il compito non veniva eseguito in 15 giorni, costoro sarebbero rimasti a lavorare nonostante fossero arrivati i compagni a dar loro il cambio. Se avessero, invece, ultimato il lavoro prima del tempo previsto, avrebbero potuto lasciare il cantiere prima del quindicesimo giorno, portando con loro tutt’e quindici le razioni di pane come premio, incoraggiamento e ricompensa per l’impegno. “Si trattava di una ricom-

Quando l’imperatore austriaco visitò la Dalmazia, nel 1818, pare che abbia dichiarato: “È un gran peccato che il generale Marmont non sia restato in Dalmazia due o tre anni più a lungo”. È bene ricordare, però, che il governo austriaco non provvide a realizzare il piano di Zavoreo per il fatto che, a differenza di Marmont, riteneva di dover pagare un indennizzo per la terra per la quale si dovevano tracciare le strade.

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Biokovo, Imotski, Vrgorac


Tin Ujević (1891-1955) è il poeta che vanta l’opera poetica più significativa del XX secolo del nostro paese. Così come il suo conterraneo Ivan Meštrović, che intendeva restituire alla scultura croata le tradizioni plastiche egiziana, greca, romana, romanica e rinascimentale, così anche Tin, soltanto molto più discretamente, con meno loquacità e più sensibilità cosmopolita, aggancia la poesia croata moderna alla vena del petrarchismo moderno e del messianismo, all’arteria degli allora attuali vitalismo e panteismo, al neoplatonismo ed all’avanguardismo… Era simbolista

La ballata racconta di una donna abbandonata da un marito geloso, il quale, privatala dei loro cinque bambini, la riconsegnò alla madre ed al fratello, il bego Pintorović, che viveva a Klis come vice del sangiaccato di Klis. La bella Hasanaginica fu chiesta in sposa da molti pretendenti, ma il fratello, contro la sua volontà, la diede in sposa al kadija (giudice) d’Imotski. Le nozze portarono la bella Hasanaginica a Imotski, dove questa pregò di poter portare un dono ai propri figli. E mentre udiva l’altisonante biasimo del marito provenire dalla finestra – cadde morta. “I bambini rimasero orfani della madre, Hasan senza la moglie amata, e le nozze senza la sposa”. Le rovine della torre Hasanaginica a Vrdol, nell’odierna Zagvozd, esistono ancora, così come il luogo dove pare che Hasanaginica sia stata inumata. Nelle vicinanze si trovano tre pozzi dai quali Hasanaginica era solita prender l’acqua, e dal pozzo centrale è nata una quercia.

Biokovo, Imotski, Vrgorac

Hasanaginica. Ballata popolare nata nella Regione frontaliera d’Imotski, scritta nel 1774 dall’abate e uomo di lettere Alberto Fortis, probabilmente su dettatura del polistorico spalatino Julije Bajamonti, ed i cui romantici decasillabi furono tradotti in tedesco, già nel 1775, da Johann Wolfgang Goethe in persona, in latino dal ragusino Đuro Ferić, poi in inglese da Walter Scott, in francese da Prosper Mérimée e, separatamente, da Gerard de Nerval, in russo da Alexandar Sergejevic Pushkin, in polacco da Adam Mickiewicz, …

ed esponente del parnassismo, surrealista e “surromantico”, e tanto altro ancora, ribelle motivato, rifiuto della società, cantore del pessimismo e poeta del piacere orfico. Soltanto un poeta così composito poteva scrivere i versi della geniale Fratellanza dei volti nell’universo.

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AZIENDE DI PROMOZIONE TURISTICA Ente turistico della Dalmazia centrale (regione spalatino-dalmata) Prilaz braće Kaliterna 10/I HR-21000 Split CROATIA tel.: +385 (0)21 490 032, 490 033, 490 036 fax: +385 (0)21 490 033, 490 036 e-mail: info@dalmatia.hr www.dalmatia.hr ET VRLIKA HR-21236 Vrlika Tel./Fax.: +385 (0)21 827 460 tz@vrlika.hr www.vrlika.hr

Zagora

ET SINJ HR-21230 Sinj, Vrlička 41 Tel./Fax.: +385 (0)21 826 352 tzg-sinja@st.htnet.hr www.sinj.com

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ET TRILJ HR-21240 Trilj, Bana Jelačića 8 Tel./Fax.: +385 (0)21 832 510 turisticka.zajednica.trilj@st.htnet.hr ET IMOTSKI HR-21560 Imotski Tel: +385 (0)21841 125 Fax: +385 (0)21841 078 ET VRGORAC HR-21276 Vrgorac, Tina Ujevića 32 Tel./Fax.: +385 (0)21 675 110 www.vrgorac.com


ZAGREB

PULA

OSIJEK

KARLOVAC

RIJEKA SENJ

ZADAR ŠIBENIK

TROGIR

Split

Šolta Brač Vis

OMIŠ MAKARSKA

Hvar

DUBROVNIK

Zagora 79


Zagora

CALENDARIO DEGLI EVENTI

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Vrlika

Pasqua – veglia al sepolcro di Cristo nel corso della Settimana santa

aprile

Trilj

Sfida ecologica

aprile/maggio

Sinj

Corse internazionali di galoppo

maggio

Imotski

Imota – Festival croato d’orchestre di mandolini

maggio

Radošić

Fiera di tori

maggio

Vrgorac

La sagra delle fragole ed i Giochi paesani

maggio/ giugno

Vrlika

Serata di folclore dalmata alla fontana

luglio

Vrgorac

Con Tin a Vrgorac

luglio

Imotski

Imotska sila – Le giornate di Raos a Medov Dolac

luglio

Kostanje

Festival soparnika

luglio

Kostanje

Le giornate di Mila Gojsalić

luglio

Sinj

Corse di galoppo

luglio/ settembre

Sinj

I giorni dell’Alka e dell’Assunta (Ferragosto) (concerti, competizioni sportive, manifestazioni popolari)

luglio/agosto

Imotski

Zagvozd: incontri di teatro intitolati “Attori a Zagvozd”

luglio/agosto

Imotski

Madonna dell’Angelo, festa della città

agosto

Sinj

Bara, Čoja, Alka (le tre corse dell’Alka)

agosto

Sinj

Ricostruzione della battaglia di Sinj “L’assedio”

agosto

Sinj

L’Assunta (Ferragosto)

agosto

Trilj

Croatia Cup – concorso ippico ad ostacoli

agosto

Vrlika

L’opera “Ero s onoga svijeta”, ovvero “Ero, lo sposo caduto dal cielo”

agosto

Trilj

Le giornate di san Michele

settembre

Vrgorac

“Biklijada” – consuetudine popolare di bere vino e latte in onore della vendemmia

settembre/ ottobre

Sinj

Concorso ippico ad ostacoli – juniores

ottobre

Vrlika

Festa della città, nell’ambito delle celebrazioni della festa della Madonna del Rosario, protettrice cittadina

ottobre


Editore:

Ente turistico della Dalmazia centrale (regione spalatino-dalmata) Regione Spalatino-dalmata

Per l‘editore:

Joško Stella Mili Razović

Redattore:

Joško Belamarić

Testi:

Joško Belamarić

Prijevod:

SPES, Zagreb

Design:

Mario Brzić

Fotografie:

Joško Belamarić Mario Brzić Raul Brzić Andrija Carli

Preparazione grafica:

Studio Tempera



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