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Olivo Barbieri

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© Damiani 2009 © Olivo Barbieri for the photographs © the authors for the texts

Damiani editore via Zanardi, 376 40131 Bologna t. +39 051 63 50 805 f. +39 051 63 47 188 info@damianieditore.it www.damianieditore.com coordinamento editoriale / editorial coordination Enrico Costanza redazione /editing Eleonora Pasqui progetto grafico / layout Gianni Grandi

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Olivo Barbieri site specific_MODENA 08 Galleria Civica di Modena Palazzo Santa Margherita 17 maggio – 12 luglio 2009 May 17th – July 12th 2009 la mostra è prodotta da / the exhibition is produced by

con il patrocinio e il contributo di / under the sponsorship and support of Assessorati alla Cultura e alle Politiche Economiche, Comune di Modena a cura di / curated by Angela Vettese ufficio stampa esterno / off-site press office Studio Pesci, Bologna www.studiopesci.it impianti audiovisivi / audiovisual system Lorri Mediaservice software e ottimizzazione / software and optimization Giulio Fregni broker di assicurazione / insurance broker Marsh SpA assicurazione / insurance Lloyd's per l'Italia reception-coordinamento sorveglianza / reception-surveillance coordination Mediagroup, Modena catalogo a cura di / catalogue edited by Silvia Ferrari testi di / texts by Antonello Frongia Angela Vettese traduzioni / translations Bennett Bazalgette-Staples pilota elicottero / helicopter pilot Cristian Forghieri

Galleria Civica di Modena direttrice / director Angela Vettese coordinamento generale / executive manager Gabriella Roganti responsabile allestimenti / exhibition design manager Fausto Ferri curatrici / curators Silvia Ferrari Serena Goldoni amministrazione / administration Isabel Sandri ufficio stampa / press office Cristiana Minelli comunicazione-design / communication-design Greco Fieni assistente all'organizzazione-redazione web / web editing-organization assistant Anna Bartolacelli segreteria generale / general secretary Daniela Rinaldi segreteria / secretary Paola Carrubba archivio fotografico / photo archive Maurizio Malagoli allestimenti / exhibition design Giuseppe De Bartolo Daniele Diracca Matteo Orlandi con Jacopo Prandini Selena Serratì ringraziamenti / acknowledgment Cristina Agù Marcello Capucci Viero Cervellati Daria Menozzi Silvia Sitton



Con la mostra site specific_MODENA 08 la Galleria Civica e la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena intendono offrire un omaggio originale alla città e documentare attraverso una nuova prospettiva le trasformazioni subite dal tessuto urbano negli ultimi anni. Olivo Barbieri, artista modenese noto a livello internazionale, ha sorvolato la città a bordo di un elicottero e ha prodotto una serie di fotografie di grande formato e due video. Le opere sono state realizzate con la consueta tecnica della messa a fuoco selettiva, che caratterizza lo stile del fotografo ed è in grado di restituire un’immagine inedita dei luoghi. L’obbiettivo di Barbieri si è soffermato in particolare sul quartiere Tempio, che ha visto mutare profondamente il suo aspetto nel corso degli anni ed oggi è al centro di un piano di riqualificazione urbana e sociale. La rassegna costituisce la tappa più recente di un progetto iniziato dall’autore nel 2004, che ha sinora toccato alcune tra le più grandi metropoli mondiali, tra cui Roma, Torino, Montreal, Las Vegas, Los Angeles, Shanghai, Amman, New York. La collaborazione tra Fondazione e Galleria Civica ha dato luogo a numerosi progetti espositivi dedicati ad artisti rappresentativi delle recenti tendenze dell’arte contemporanea. Particolare attenzione è stata riservata alla fotografia e al video d’autore: è in quest’ambito infatti che la Fondazione ha avviato dal 2007 un’importante collezione italiana ed internazionale, destinata a un’esposizione permanente negli spazi del futuro polo culturale Sant’Agostino.

With the site specific_MODENA 08 exhibition, the Galleria Civica and the Fondazione Cassa di Risparmio di Modena would like to pay an original homage to the city, and document the transformations undergone by the urban fabric over the last years from a new stance. Olivo Barbieri, a Modenese artist of international acclaim, hovered above the city on board a helicopter to take his shots, producing a series of large format photographs as well as two videos. The works were produced using his usual selective focus technique, which characterises the style of the photographer and which is able to render innovative images of the places photographed. Barbieri’s lens was directed in particular towards the Tempio neighbourhood, an area which has changed profoundly over the years, and which is currently undergoing an urban and social renovation programme. The exhibition constitutes the most recent stage of a project that the artist undertook in 2004, and which has included some of the greatest metropolises around the world, including Rome, Turin, Montreal, Las Vegas, Los Angeles, Shanghai, Amman and New York. The ongoing collaboration between the Fondazione and the Galleria Civica has brought to light a great number of exhibition projects dedicated to artists representative of the most recent trends in contemporary art. Special attention has always been paid, however, to photography and art videos; as a matter of fact, in 2007 the Fondazione set up an important Italian and international collection, which is to be housed permanently in the rooms of the future Sant’Agostino cultural centre.

Andrea Landi Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena / Chairman of the Fondazione Cassa di Risparmio di Modena


Modena vista dall’alto. Modena vista dall’alto da un modenese! Il modenese è Olivo Barbieri, uno dei fotografi che ha conquistato, con la qualità e il valore delle sue immagini, un posto di primissimo piano nel campo dell’arte visiva contemporanea. Non è tutto il territorio cittadino ciò che Barbieri ci propone, ma in particolare quello della zona Tempio, una delle aree che negli ultimi anni ha subito più trasformazioni, tanto da porla spesso, in modi problematici, all’attenzione della cronaca cittadina. Con questo progetto l’autore ci offre letteralmente un nuovo punto di vista da cui osservare il quartiere intero. I suoi abitanti, e crediamo tutti i modenesi, avranno così l’occasione di arricchire, rivedere e rinnovare la personale e abituale visione di quell’area, di quelle vie, di quelle case, di quei negozi a confronto con l’interpretazione artistica che ne offre Olivo Barbieri. Presumiamo e auspichiamo che in questo modo sarà possibile guardare in maniera più rasserenante e coinvolgente i luoghi in cui viviamo, lavoriamo, ci incontriamo. E tutto dall’alto, da quella prospettiva area che da qualche anno caratterizza la ricerca di Olivo Barbieri e ne identifica uno degli elementi di originalità dell’artista. Modena si aggiunge così a un elenco che comprende altre famose città. Prosegue con questa mostra anche l’indagine che la Galleria Civica sta conducendo sull’arte e sugli artisti modenesi protagonisti della scena internazionale dell’arte contemporanea, quella stessa scena che trova nel palcoscenico modenese della Galleria Civica uno dei suoi luoghi più curiosi, vivaci e, grazie anche a questi ultimi anni di preziosissimo lavoro, più frequentati e prestigiosi.

Modena seen from above. Modena seen from above by a Modenese citizen! The Modenese in question is Olivo Barbieri, one of the photographers who has gained a place of great respect in the field of contemporary visual arts, thanks to the quality and value of his images. Yet it is not the whole city that Barbieri focuses on, but in particular that of the Tempio, one of the districts that over the last few years has undergone the most transformations, often being featured in the local news because of problematic aspects linked to the area. Through this project, the artist literally offers us a new point of view from which to observe the entire neighbourhood. Thus local inhabitants, as well as all the other Modenese citizens, will be given the opportunity to enhance, review and reconsider their own personal view of the area, of those streets, of those houses, of those shops, comparing them with the artistic interpretation offered up by Olivo Barbieri. We hope and, indeed, presume that in this way, it will be possible to examine the places in which we live, work and play in a more reassuring and involving manner. All this from above, from that perspective that has characterised Olivo Barbieri’s research over the last few years and that constitutes one of the artist’s elements of originality. With its presence in this project, Modena is added to a list that includes other famous cities. Furthermore, this exhibition also constitutes the continuation of the Galleria Civica’s investigation of the art and artists of Modena who have played a role on the international contemporary arts scene: a scene for which Modena has provided one of the most curious and lively venues (the Galleria Civica), one which – thanks to the precious work undertaken over the last few years – is also now one of the most prestigious and best attended.

Mario Lugli Assessore alla Cultura del Comune di Modena / Culture Councillor Modena City Council


Con site specific_MODENA 08, lo sguardo dell’artista Olivo Barbieri si sofferma su un’area tra le più importanti e discusse della nostra città. Un quartiere, quello del Tempio, sul quale l’assessorato alle Politiche Economiche e tutta l’amministrazione comunale hanno posto in questi anni grande attenzione. Nel 2008 il progetto Tempo al Tempio ha coniugato interventi sul tessuto economico, sulla mobilità e sulla sicurezza con proposte di mediazione culturale e animazione. Azioni di recupero e lavori pubblici hanno riguardato il piazzale del Tempio monumentale e numerose vie, che hanno visto anche l'installazione di telecamere per videosorveglianza e il potenziamento dell’illuminazione pubblica. In materia di sicurezza si è lavorato sul coordinamento tra Polizia Municipale e forze dell'ordine. Tre bandi pubblici hanno sostenuto la valorizzazione commerciale, con contributi a diciassette imprenditori e commercianti della zona, a sei progetti innovativi e a due nuovi locali pubblici. Attività di formazione sono state rivolte ai titolari stranieri di attività commerciali. Sono inoltre in programma il restauro del teatro parrocchiale del Tempio, al quale contribuirà anche la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, e l’acquisizione pubblica dell’ex Cinema Principe. Il Comune ha infine sostenuto numerose iniziative di animazione in collaborazione con il tessuto associativo e i cittadini, e ha promosso la ricerca fotografica Zona Tempio. Storie a colori di Luigi Ottani. Siamo infatti convinti che la visione fotografica, dall’interno del quartiere come nel reportage di Ottani, o dall’alto come negli ormai famosi progetti di Barbieri, possa contribuire a far conoscere meglio un territorio e a restituire ai cittadini che lo abitano senso di identità e di appartenenza.

With site specific_MODENA 08, the artistic gaze of Olivo Barbieri settles on one of the most important and hotly discussed areas of our city. A neighbourhood, that known as Tempio, which the Councillorship for Economic Policy along with the rest of the council administration have paid great attention to over the last few years. In 2008 the Tempo al Tempio project brought together interventions on the economic structure, local mobility and urban safety, through cultural mediation and activities designed to bring the area to life. Public renovation works were undertaken in the square in front of the monumental Temple and in a number of nearby streets, including the installation of video surveillance cameras and the upgrading of street lighting. With regard to public safety, a coordination project was initiated between the Municipal Police and the national police force. Three public contests were held to enhance local trade, with contributions granted to 17 shops and businesses in the area, as well as six innovative projects and the opening of two new public activities. Training courses were also held for the benefit of foreign shopkeepers. There are also now plans for the restoration of the parish theatre of the Temple, which will also be sponsored by the Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, as well as the public purchase of the ex Cinema Principe. Lastly, the council has also supported a great number of public entertainment initiatives in collaboration with the local network of associations and citizens, as well as promoting the photographic research project Zona Tempio. Storie a colori by Luigi Ottani. For we are in fact convinced that the photographic vision, be it from within the area as in the photo reportage by Ottani, or from above, as in Barbieri’s now famous projects, may go a long way towards making a territory better known and providing the citizens that live there with a clearer sense of identity and belonging.

Stefano Prampolini Assessore alle Politiche Economiche del Comune di Modena / Councillor for Economic Policy Modena City Council


site specific_MODENA 08 DIALOGO TRA ANGELA VETTESE E Olivo Barbieri

Angela Vettese: La Galleria Civica di Modena ti ha chiesto di gettare il tuo sguardo speciale sulla zona Tempio di Modena: un’area ricca di tradizioni - qui nacque in una casa modesta Enzo Ferrari [ TAVV. XXXIX - XL ] - ma anche di nuove contraddizioni, legate alla sua vicinanza con la stazione ferroviaria e alla sempre più vasta comunità di immigrati provenienti da diversi paesi e culture. Trovi indifferente portare il tuo occhio su Monza, dove hai recentemente lavorato, o Shanghai o il Sudamerica? Olivo Barbieri: Modena e Monza sono due città particolari, una con le fabbriche delle automobili Ferrari e Maserati, l’altra con il famoso Autodromo, forse un filo rosso le lega. A parte questa coincidenza ritengo sia importante vedere in che modo gli eventi della postglobalizzazione influiscano sulla forma di città come queste, la cui peculiarità è stata di riuscire a creare centri di eccellenza legati alla tecnologia. Le città di queste dimensioni e con queste caratteristiche dovrebbero avere un ruolo decisivo per la ridefinizione economica e sociale del prossimo futuro: si collocano tra le megalopoli e il nulla. A.V. Hai sorvolato il territorio con un elicottero in modo da potere riprendere la città dall’alto. Hai realizzato così alcune fotografie ma soprattutto hai girato un filmato di alcune ore che hai deciso di proiettare, presso la Galleria Civica di Modena, in due versioni: una in bianco e nero, nata grazie a una manipolazione che “scheletrizza” i contorni e conferisce al filmato l’aspetto di un disegno tecnico in movimento; l’altra a colori, dove le immagini diventano pittura e la città appare come un’animazione. Da cosa è nata l’idea di queste due possibili versioni? O.B. Riletta come disegno/dipinto la sembianza della città ritorna ad essere progetto. In quanto tale può essere reinterpretata, ridiscussa, riprogettata. A.V. In una parte del lavoro componi dei dittici in cui la fotografia in bianco e nero rende più riconoscibile il contesto e ripete un’immagine dall’alto; delle linee rosse perpendicolari mettono in evidenza nell’inquadratura, come nei mirini, un punto che risulta molto indefinito. Accanto collochi una fotografia a colori di quel particolare fortemente ingrandito che veniva individuato dalle linee rosse. La visuale si stringe come deve accadere nello sguardo dei rapaci e degli uccelli pescatori, che sorvolano un territorio di terra o d’acqua per poi focalizzare la preda e scendere rapidamente a prenderla. Quando hai iniziato a pensare a questa tecnica di progressiva individuazione? O.B. Dopo l’attentato dell’11 Settembre. In quel periodo volare sembrava quasi un gesto di disobbedienza civile: ho voluto ribaltare il punto di vista, da oggetto minacciato a soggetto che minaccia. A.V. Nei dittici, ecco che da una serie di finestre emerge un uomo a torso nudo; una sagoma per strada ci si palesa come una ragazza di colore intenta a mangiare uno snack; due persone che in un terrazzo chiacchierano sentendosi non visti; un uomo getta rifiuti nella spazzatura; una donna porta a casa la spesa, e così via. Si rivela una realtà quotidiana che nella sua normalità mi sembra colga e traduca la lezione di Luigi Ghirri, conterraneo e già per questo inevitabile punto di riferimento. Eppure la passione per il nascosto da scovare, per il non chiaro da chiarire, per ciò che è nostro dovere indagare e non per gusto voyeuristico, ricorda, per l’ossessiva osservazione, l’opera di Lewis Baltz

e di altri fotografi freddi, non coinvolti emotivamente come i fotoreporter, non allacciati a uno sguardo come Dorothea Lange, Paul Strand o August Sander, ma ugualmente impegnati sul fronte dell’etica e dell’epica collettiva. Quali sono i maestri che tu effettivamente riconosci, sia nel mondo dei fotografi, sia in quello dei teorici? O.B. Alcuni film: Sunset Boulevard (1950), Apocalypse Now (1979), Blade Runner (1982), Blue Velvet (1986); alcuni autori: Marshal McLuhan, William Burroughs, Man Ray. A.V. Nelle tue immagini non c’è mai nulla di sdolcinato o pittoresco, ma non sembri neppure un anaffettivo. Trovo piuttosto qualcosa di vicino alle atmosfere di Hitchcock, come se per te la vita fosse un continuo nodo di relazioni da osservare, da comprendere, da sciogliere come nel film La finestra sul cortile (1954). Non ci sono delitti, ma forse ogni piccola azione della vita quotidiana è un delitto: osservata in questo modo, quantomeno, essa appare come un momento privato che non suscita curiosità, ma che porta con sé un potenziale di altissimo interesse se letto nell’ambito di una società basata sul controllo. La prospettiva dall’alto ci parla infatti di uomini come topi, di città come formicai, della perdita di centralità dell’esistenza individuale. È per questo che la trasformi in qualcosa che può sembrare un videogioco o una simulazione. Le tue immagini stimolano una percezione anche ludica. Tuttavia, non riesco a pensare alla visione dall’alto se non, anche, come a una nuova versione del panopticon e quindi di una società coercitiva. Se si escludono le serie dedicate alla natura, come The Waterfall Project (2006-2007), hai dato a tutta la serie denominata site specific_, nata nel 2004 e sviluppatasi su territori quali New York, Roma, Las Vegas, Los Angeles, Amman e Shanghai, il sapore dell’indagine sociale. Talvolta spinta sui binari di una antropizzazione continua nei suoi versanti architettonico, luminoso, urbanistico. Anche quando l’indagine tocca la natura, come nel caso dell’operazione sulle cascate di quattro continenti, è presente una forte attenzione civica: come trattiamo la natura? Le modalità con cui intendiamo proteggerla sono davvero le migliori? Abbiamo opzioni diverse da quelle di renderla un patrimonio per il turismo o una landa abbandonata? Citando Rem Koolhaas, hai fatto capire di preferire come lui, per esempio, uno sviluppo in verticale dei luoghi abitabili, in modo tale da evitare di impoverire costantemente lo spazio coltivabile. Trovi, come Koolhaas, una dimensione delirante nella città di New York e in generale nel modo in cui facciamo crescere i luoghi dove abitiamo? O.B. Molte delle certezze che hanno generato l’Occidente sono fortemente in discussione. Per ricominciare a capire, forse una possibilità è prendere le distanze, allontanarsi e creare un alias. Già nel 1955 Claude Lévi-Strauss suggeriva che “comprendere vuol dire ridurre un tipo di realtà ad un altro; che la realtà vera non è mai la più manifesta: e che la natura del vero traspare già nella cura che mette a nascondersi”. A.V. Questo genere di riflessioni rappresentate attraverso film e fotografie, questa poetica insomma, si è sviluppata a partire già dalle prime esperienze professionali dedicate al paesaggio umano, dopo gli studi a Bologna, con passi continui e attraverso occasioni espositive importanti come la Biennale di Venezia (1993, 1995, 1997) e la personale al Museum Folkwang di Essen (1996). Quali sono stati in effetti, per te,


i momenti salienti per arrivare al punto in cui sei ora, sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista teorico? O.B. Nei primi lavori cercavo un punto di vista, una distanza tra me e il soggetto. È stata una ricerca forsennata e appassionante: luoghi d’azione erano le periferie. In seguito attraverso l’illuminazione artificiale ho “scoperto” le città. Dal 1989 la Cina e l’Oriente mi hanno insegnato molto sull’Occidente. Tecnicamente ho cercato di vedere come funziona la camera ottica, la stessa usata da Leonardo e Canaletto. A.V. Il lavoro su Modena vede un salto ulteriore. La “messa a fuoco” del particolare assume una valenza più forte, mi sembra, che in occasioni precedenti. Non aiutato da soggetti roboanti, sembri qui esporre più chiaramente che altrove una visione della vita, della storia e del guardare. Guardare significa senza dubbio conoscere, venire a sapere, ma non possiamo dimenticare che oggi i dati raccolti dal “venire a sapere” diventano quasi subito strumenti per una vendita personalizzata: di oggetti, di desideri, di orientamenti politici. È un aspetto a cui effettivamente hai pensato? O.B. A cerchi concentrici negli anni, cercando di scoprire cosa fosse una fotografia o un film, siamo stati circondati dai testi di Walter Benjamin, Gisèle Freund, Guy Debord, Roland Barthes, Susan Sontag, Umberto Eco (vedi La Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1961), Jean Baudrillard, Paul Virilio, Derrick de Kerckhove, Franco Vaccari (che dietro suggerimento di Luigi Ghirri nel 1978 scrisse il testo per la mia prima mostra): sono tutti teorici sui quali ci siamo formati e che ci hanno messo in guardia da questo rischio/certezza. Una via d’uscita forse è il camouflage, alterare continuamente il codice stilistico, ogni apparizione una sorpresa. Diventare catalogo/entità di riferimento, un data base collaterale. A.V. Nate nell’età del sondaggio, peraltro, queste immagini sembrano dirci anche dell’altro. Per esempio che è più facile per l’individuo nascondere il proprio corpo che i propri atti comunicativi in rete, per telefono, per lettera. Quello che ci raccontiamo oralmente può ancora sperare di rimanere nascosto. La posizione che assumiamo nello spazio è ancora difficile da monitorare, poiché cambia in continuazione e spesso in modo imprevisto. Se il nuovo panopticon ci insegue, se le esigenze della sicurezza o del potere ci lasceranno in futuro poco margine di autonomia, le tue immagini ci parlano appunto di questo paradosso: che è più difficile trovare una persona in carne e ossa, che le sue tracce sotto forma di codici telefonici, codici fiscali, codici di accesso al web, codici di credito e, chi lo sa, domani forse anche codici genetici. La città come luogo fisico espone e nasconde, mette in piazza o protegge sotto un portico. La città quindi, anche nei suoi momenti e nei suoi passaggi più problematici, rimane un luogo profondamente umano e per chi vuole, paradossalmente, una possibile via di fuga dalle norme? O.B. Forse siamo ritornati in pieno Fahrenheit 451 (1966), quando i corpi salvavano i libri imparandoli a memoria (nel film di François Truffaut i pompieri portano il numero 451 sulle divise perchè 451 sono i gradi Fahrenheit che servono per bruciare i libri). A.V. In queste immagini tu sembri passare dalla freddezza dell’immagine di controllo al raccontare delle storie, almeno per accenni. C’è un lato narrativo volontario? C’è una letteratura che hai amato

in modo particolare e che incide su questo tuo strano modo di fare cinema? O.B. Una scrittrice che ho amato particolarmente è Gertrude Stein: il suo libro Tre Esistenze (Three lives, 1909) è scritto con frasi reiterate che sembrano disegni astratti. Non racconta nulla di straordinario, le storie nascono dall’osservazione di vite normali. Intervista realizzata via e-mail nel mese di marzo 2009.


site specific_MODENA 08 DIALOGUE BETWEEN ANGELA VETTESE AND Olivo Barbieri

Angela Vettese: The Galleria Civica di Modena called upon you to cast your special gaze on the Tempio area of Modena: a neighbourhood full of traditions – it was here in a humble dwelling that Enzo Ferrari was born [ PLS. XXXIX - XL ] – but also of new contradictions, bound up with its proximity to the railway station and the ever larger community of immigrants from a range of different countries and cultures. What differences do you find here compared to casting you gaze on Monza, where you worked recently, or even Shanghai or South America? Olivo Barbieri: Modena and Monza are two very special cities, one with the Ferrari and Maserati car factories, the other with the famous racetrack: this is perhaps what they have in common. Apart from this coincidence, I think it is very important to see how the events of the post-globalisation era influence kinds of cities like these, whose key feature has been their managing to create centres of technological excellence. Towns of this size and with these characteristics should have a decisive role in the economic and social redefinition of the years to come: they are the ones situated between the megalopolises and the wastelands. A.V. You flew over the territory in a helicopter so as to capture the city from above. You thus produced a number of photographs, as well as a film several hours long, which you have decided to project at the Galleria Civica di Modena in two versions: one in black & white, produced using a technique that “skeletons” the edges and gives the film the aspect of a moving technical drawing; the other, in colour, in which the images become paintings and the city looks like a kind of animation. Where did the idea of these two versions come from? O.B. Seen once more as a design/painting, the city once more takes on the aspect of a project. As such it is placed in a condition to be reinterpreted, rediscussed, replanned. A.V. In another part of the work you put together a series of diptychs in which the part in black & white makes the context more recognisable and repeats an overhead image; perpendicular red lines in the frame highlight an undefined point, like in rifle sights. Next to this, you place a colour photo of that point identified by the red lines, and enlarged several times. The view homes in like the sights of a bird of prey, circling above their territory until it focuses on its victim and plummets down to catch it. When did you come up with this technique of progressive identification? O.B. After the terrorist attack on 11th September. At that time, flying was seen almost as an act of civil disobedience: I wanted to turn this point of view on its head, from threatened object to threatening subject. A.V. In the diptychs, from a row of windows we see a bare-chested man; a silhouette on the road that turns out to be a black girl eating a snack; two people on a terrace chatting away, unaware of their being seen; a man throwing his rubbish into a bin; a woman carrying her shopping home and so on. We are thus faced with an everyday reality, the normality of which bears the hallmark of Luigi Ghirri, an artist of the same origins, and – were it for this reason alone – an inevitable point of reference. And yet the passion for unearthing all things hidden, for illuminating darkness, for that which we have a duty to investigate not merely for the voyeuristic sake of it, is reminiscent of the work of Lewis Baltz and other “cold” photographers: there is no emotional involvement as in the case of photo

journalism, nor do the images hinge on a gaze as in the case of Dorothea Lange, Paul Strand or August Sander, yet they are equally involving in terms of collective ethics and epics. What models do you yourself recognise, both in the world of photographers and that of the theorists? O.B. A number of films: Sunset Boulevard (1950), Apocalypse Now (1979), Blade Runner (1982), Blue Velvet (1986); and authors such as: Marshal McLuhan, William Burroughs, Man Ray. A.V. There is nothing picturesque in your images, nothing sweetened up. Yet nor is there anything that might class you as unaffectionate. In other words, we might imagine something close to the atmospheres of Hitchcock, as if life for you were a continuous interrelational node to be observed, understood, and explained, as in the film Rear Window (1954). There are no crimes, yet perhaps every little action of everyday life is a crime in its own right: at least, looked upon in this way, it comes across as a private moment that arouses no curiosity, yet which withholds a potential for enormous interest if read in terms of a society based on control. The bird’s eye view in fact looks down on men like mice, on cities like anthills, highlighting the loss of centrality in our individual lives. This is why you turn it into something that might look like a videogame or some kind of simulation. All this may appear somewhat amusing, and it is certainly not hostile to a more playful interpretation. However, it is impossible to think of the bird’s eye view if not also in terms of a new version of the panopticon and thus of a coercive society. If we exclude the series dedicated to nature, such as The Waterfall Project (2006-2007), you have imbibed the entire project entitled site specific_ (begun in 2004 and developed in cities such as New York, Rome, Las Vegas, Los Angeles, Amman and Shanghai) with a sense of social investigation, often moving along the lines of observing the relentless anthropisation with regard to urban architecture, lighting and development. Even when your study deals with nature, as is the case of your work on the waterfalls to be found in four continents, there is still as strong sense of civic duty: how are we treating nature? Are the ways in which we set out to protect it really the best ways? Are there other options open to us apart from turning it into a form of heritage for tourism or leaving it as an abandoned wasteland? Citing Rem Koolhaas, you make it clear that like him, you prefer for example the vertical development of living spaces so as to avoid the constant impoverishment of arable land. Do you find, like Koolhas, that cities such as New York constitute a dimension of chaos, in terms of the way we generally develop the spaces in which we live? O.B. Many of the certainties that have been generated by the West are now being deeply questioned. In order to start to understand, perhaps one way is for us to take our distances, to take a step back and create an alias. As far back as 1955 Claude Lévi-Strauss suggested that “understanding means reducing one kind of reality to another; that the true reality is never that which is most visible: and that the nature of the truth may be seen in the very care it takes in hiding itself”. A.V. This kind of reflection through images, filtered through film and photography – your poetics in other words – emerged as far back as your first professional experiences dedicated to the human landscape, after completing your studies in Bologna, developing continually through a series of important exhibitions such as the Venice Biennale (1993, 1995, 1997) as well as your one-man show at the Museum Folkwang in Essen


(1996). What do you feel were actually the most important moments that brought you to where you are now, both from a technical and a theoretical point of view? O.B. In my early works I was looking for a point of view, a distance between me and the subject. It was a heady, passionate quest, the setting for which was always the city limits. After that, through artificial lighting I “discovered” cities. Ever since 1989, China and the Far East have taught me a lot about the West. Technically, I tried to see how the camera obscura works, like that used by Leonardo and Canaletto. A.V. The work on Modena marks a further step forward in this process. The focus on detail, it seems, takes on stronger connotations than it has done on previous occasions. Unaided by charismatic subjects, you seem to represent a vision of life, history and of looking more clearly here than elsewhere. And looking undoubtedly means knowing, finding out, yet we cannot forget how the data gathered in the name of “finding out” are now used almost immediately to launch a personalised sales pitch, be it of objects, desires or political orientations. Is this an aspect that you actually thought about? O.B. By concentric circles over the years, in the search to discover exactly what a film or a photograph is, we’ve been surrounded by the works of Walter Benjamin, Gisèle Freund, Guy Debord, Roland Barthes, Susan Sontag, Umberto Eco (see La Fenomenologia di Mike Bongiorno, 1961), Jean Baudrillard, Paul Virilio, Derrick de Kerckhove, Franco Vaccari (who on the suggestion of Luigi Ghirri in 1978 wrote the text for my first exhibition): these are all theorists who have been part of our training and who have made us aware of this risk/certainty. Perhaps one way out is camouflage, continually fiddling with the stylistic code, every apparition a surprise. Becoming a catalogue/body of reference, a collateral data base. A.V. What’s more, being produced in the age of the market survey, these images seem to tell us something else. For example, that it is easier for the individual to hide his or her body than his/her communication online, on the phone, in letters. What we tell each other face to face still stands some chance of remaining private. The position that we occupy physically in space is still difficult to monitor, as it changes continually and often in an unpredictable manner. If the new panopticon is following us, if our need for safety and power leave us in the future with precious little margin for autonomous action, Barbieri’s images will tell us of this paradox: that it is more difficult to find a person in flesh and blood than to find his/her traces in the shape of phone registers, tax codes, webpage logins, credit card numbers and – who knows – maybe tomorrow even genetic codes. The city as a physical space both exposes us to all and sundry and hides us away under its arches. And so even in its most problematic moments, the city remains a profoundly human space, and for those who are trying to do so – paradoxically – would you agree that it provides the opportunity to subvert the norms? O.B. Perhaps we are back in the middle of Fahrenheit 451 (1966), where bodies save books by learning them off by heart. (In the François Truffaut film, the firemen have the number 451 on their uniforms because 451 Fahrenheit is the temperature needed for books to burn). A.V. In these images, you seem to shift from the coldness of the surveillance image to storytelling, or at least a story through a series

of clues. Is there a deliberate narrative side? Are there any particular influences that helped to shape this strange way of yours of making cinema? O.B. A writer that I have particularly appreciated is Gertrude Stein: her book Three Lives (1909) is written using reiterated sentences that are like abstract drawings. The book does not tell of anything extraordinary; the stories are all based on the observation of normal lives. E-mail interview edited in March 2009.


Miniatura e Prospezione ANTONELLO FRONGIA

Cartoline ossificate, figure geroglifiche. La geometria cumulativa dei topoi che definiscono la città europea del Novecento – il monumento storico e il condominio, la ferrovia e la ciminiera, il parco e la strada – si alterna a immagini frammentarie di abitanti, passanti sfigurati, gesti quotidiani. Lo storico del futuro potrà riconoscere in questo site specific_ di Olivo Barbieri il ritratto persino ironico della città di Modena nell’anno 2008 (l’edificio rurale inglobato nel tessuto urbano è in realtà la casa natale di Enzo Ferrari [ TAVV. XXXIX-XL ]; la torre Ghirlandina è avviluppata in una installazione temporanea di Mimmo Paladino [ TAV. XXVI ]); ma come nei settecenteschi Tableaux de Paris di Louis-Sébastien Mercier (precursori di quelli baudelairiani nelle Fleurs du Mal) la descrizione di una specifica città diviene un tableau moral e in effetti un tableau du siècle – la rappresentazione, seppure per frammenti, di un’intera epoca e del suo stato d’animo.1 In site specific_MODENA 08 questa frammentarietà è data anzitutto da un doppio registro di frustrazione descrittiva. Nelle tavole monocromatiche a bassa risoluzione la città appare a volo d’uccello, ma il sistema dei segni è ridotto alla crudezza di una fotocopia o di un fax e rimanda piuttosto a un disegno stereometrico in assonometria militare.2 In ognuna di queste vedute quattro tacche di mira indicano un sottocampo visivo: un mirino che rileva dettagli sempre fuori centro e che sembra mancare i soggetti nominali delle immagini, spiazzando così la logica del puntamento balistico e del bersaglio militare. I particolari individuati da questo primo sistema di rilevamento si ritrovano notevolmente ingranditi e colorati in una seconda serie di immagini, parallela alla prima. In questo procedimento di blow-up la cromia satura e gelatinosa sfrangia i contorni delle figure, creando rappresentazioni che rimandano tanto all’iconografia (se non alla materia) della Pop Art, quanto alla modellizzazione della tomografia assiale computerizzata (TAC). Questo procedimento destabilizza il colore stesso come significante: è il codice che continuamente, senza prestarvi troppa attenzione, utilizziamo per orientarci nella città; ma potrebbe essere anche il codice con il quale i programmi di controllo automatici interpretano e catalogano la realtà in un sistema di video-sorveglianza. Un gruppo sulle strisce pedonali (una famiglia? di extra-comunitari?); una passante (forse di colore?) vestita in abiti sgargianti; una figura vestita di blu (un operaio?). In alcuni casi, un avvicinamento eccessivo del sistema di mira riduce l’immagine a una texture di forme sempre più irriconoscibili (un graffito, un muro), che diventano forme cieche, astratte. Coesistendo sulla pagina, questi due registri visivi obbligano poi lo spettatore a variare costantemente la scala di osservazione: ci si avvicina, scrutando, alla superficie delle vedute, ci si allontana dai dettagli ingranditi per poterne cogliere sinteticamente la Gestalt. I dettagli tuttavia non si combinano con le vedute, alcune tessere sono mancanti, la mappa della

città non si ricostituisce immediatamente in un sistema di orientamento. In questo montaggio tutto diviene frammento di qualcos’altro. Solo nell’ordine generale della sequenza è forse possibile ritrovare un ciclo tematico: la serie si apre con il nuovo cimitero della città [ TAVV. I-II-III ] (il noto ampliamento progettato da Aldo Rossi nel 1971) e si chiude con il laboratorio avanzato di ricerca medica [ TAVV. LIX-LX ] (il Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” inaugurato nel 2008). Forme geometriche elementari – un cubo, un cilindro – dalla città dei morti alla città dei vivi. Elevandosi ad alcune centinaia di metri al di sopra di città e territori, Barbieri prende le distanze dal piccolo mondo mentale che abbiamo costruito ad altezza d’uomo; eliminando la linea dell’orizzonte, trasforma l’intero campo visivo in una pagina chiusa, da percorrere con lo sguardo. site specific_MODENA 08 continua ed amplia questo programma di lavoro avviato nel 2004, che ha incluso sinora città e metropoli mondiali e che proseguirà con nuovi progetti a Brasilia e Manaus. Con questo progetto Barbieri ha spostato l’attenzione dalla fotografia “topografica” del paesaggio antropizzato – alla quale si era dedicato sin dalla fine degli anni settanta – alla fotografia aerea – una pratica avviata da Nadar a Parigi nel 1858, sviluppata nei decenni successivi come base per il rilevamento cartografico e quindi codificata per il controllo militare del territorio. Come nella catalogazione metodica dei tipi umani, così anche nella descrizione aerea del territorio la fotografia si è costituita tra Otto e Novecento come un dispositivo di sorveglianza, controllo e pianificazione sociale. Contemporaneamente, la diffusione della fotografia aerea ha definito un’inedita estetica del paesaggio e forgiato un nuovo tipo di osservatore, egualmente a proprio agio nelle astrazioni sintetiche dell’arte moderna e nell’interpretazione tecnica della visione zenitale. Come è stato argomentato, le capacità di percezione richieste da un dipinto cubista attorno al 1910 non erano diverse da quelle imposte a un pilota militare in volo di ricognizione sul territorio nemico poco prima della guerra mondiale.3 E se a Parigi, negli stessi anni, le vedute a volo d’uccello da pallone frenato di Léon Gimpel forniscono ai lettori de L’Illustration il piacere di uno choc visivo controllato, per Malevich la fotografia aerea è un riferimento iconografico per la costruzione dell’estetica antiprospettica, fluttuante e destabilizzante del Suprematismo.4 Rispetto a questa genealogia della fotografia dall’alto, i site specific_ sviluppati da Barbieri negli ultimi anni hanno offerto motivi di riflessione sulle forme di straniamento percettivo ancora possibili nei paesaggi ordinari delle nostre città. In questi lavori di grandi dimensioni la prospettiva aerea non si limita a confondere i normali rapporti sfondo/ figura che regolano la nostra visione stereoscopica nella vita quotidiana. Scegliendo di lavorare su alcune città specifiche – Roma, Las Vegas, New York, Shanghai, tra le altre – Barbieri ha teso a de-culturalizzare lo

1 ] Karlheinz Stierle, Baudelaire and the Traditions of the Tableau de Paris, “New Literary History”, vol. 11, n. 2 (inverno 1980), p. 347 e passim. 2 ] Secondo Ruggero Pierantoni il disegno basato sulla linea non costituisce una riduzione semiotica rispetto alla pretesa totalità delle «rappresentazioni “illusorie”», ma va considerato piuttosto come il principio antropologico fondamentale del pensiero visivo: Il potere della linea (1987), ora in Verità a bassissima risoluzione. Critica e percezione del quotidiano, Einaudi, Torino 1998, pp. 21-27. 3 ] Paul K. Saint-Amour, Modernist Reconnaissance, “Modernism/Modernity”, vol. 10, n. 2 (aprile 2003), p. 345 e passim. 4 ] Thierry Gervais, Un basculement du regard. Les débuts de la photographie aérienne 1855-1914, “Études photographiques”, n. 9 (maggio 2001), pubblicato in rete il 10 settembre 2008, http://etudesphotographiques.revues.org/index916.html (consultato il 4 marzo 2009); Christina Lodder, Malevich, Suprematism and Aerial Photography, “History of Photography”, vol. 28, n. 1 (primavera 2004), pp. 25-40. Il caso più controverso di questo corto-circuito tra la tecnologia e l’estetica della fotografia aerea è quello di Edward Steichen, che nel corso della Prima Guerra Mondiale fu il comandante di una unità di ricogni-

zione aerea e nella Seconda fu responsabile di una unità fotografica della Marina militare: cfr. Allan Sekula, The Instrumental Image: Steichen at War, “Artforum”, vol. 14, n. 4 (dicembre 1975), pp. 28-35. 5 ] La visione zenitale non esclude l’estetica del pittoresco, inteso come sequenza di punti di vista accidentali: cfr. John Macarthur, From the Air: Collage City, Aerial Photography and the Picturesque, in Re-Framing Architecture: Theory, Science and Myth, a cura di Michael Ostwald e John Moore, Archadia Press, Sydney 2000, pp. 113-20. 6 ] La prima formulazione della messa a fuoco selettiva come analogo della visione oculare è quella del “naturalismo” tardo-ottocentesco di P. H. Emerson: cfr. Douglas Nickel, Peter Henry Emerson: The Mechanics of Seeing, in The Meaning of Photography, a cura di Robin Kelsey e Blake Stimson, Francine and Sterling Clark Art Institute/Yale University Press, New Haven 2008, pp. 59-75. 7 ] «La visione da vicino, quindi, organizza il campo visivo imponendogli una gerarchia ottica: un nucleo centrale privilegiato si articola su un’area circostante. L’oggetto vicino è un eroe luminoso, un protagonista che viene in rilievo su una massa, una “plebe” visiva, un coro cosmico che lo circonda»: Josè Ortega y Gasset, Sul punto di vista nell'arte (1913), ora in Meditazioni del Chisciotte, trad. it. di P. Arpaia,


spessore semantico dei contesti urbani, ad esempio trasformando in sculture involontarie e surrealistiche (reminiscenti di Man Ray e Brassaï) grandi monumenti storici dell’antichità.5 È interessante, tuttavia, che nel lavoro recente di Barbieri strategie di straniamento convivano con una forma di empatizzazione visiva – la messa a fuoco selettiva – che avvicina quanto più possibile la rappresentazione fotografica alla visione oculare.6 La progressiva spersonalizzazione del punto di vista della prospettiva aerea si fonde con lo sguardo soggettivo che scruta, identifica e gerarchizza. La nuova immagine fa tabula rasa delle nostre mappe mentali della città e si costituisce attorno a un fuoco di attenzione dal quale ripartire per leggere il paesaggio.7 Antropologicamente, questo atto di elevazione dalla gravità del terreno sembra ripetere il passaggio dell’uomo dalla condizione di animale a quattro zampe a quella di essere eretto, o il momento del risveglio quotidiano che dalla orizzontalità “molle” del sonno ci riporta all’attività diurna, strumentale e manipolatoria. Al tempo stesso, la città contemporanea viene rappresentata come miniatura, modello, teatro, gioco portatile con il quale tornare a familiarizzare.8 Queste trasmutazioni percettive nello spazio aereo delle metropoli contemporanee comportano una riformulazione dello stesso campo d’azione del “fotografico” e collocano il lavoro di Barbieri in una zona sempre più aperta, al confine tra varie pratiche artistiche. Nella sfuocatura, ad esempio, il colore fotografico è leggibile contemporaneamente come quasi-realismo (o realismo oculare) e come sbavatura del pigmento sul supporto cartaceo: Barbieri parla a questo proposito di una fotografia che si fa pittura, esattamente come all’immaginario del film, della televisione, dell’architettura e della stessa fotografia si riferisce molta pittura contemporanea a partire da Gerhard Richter.9 Allo stesso tempo, la miniaturizzazione dei luoghi sospende la certezza dello spettatore circa il loro stato di realtà o di modello, con effetti analoghi a quelli di molte opere di staged photography (ad esempio di Thomas Demand). Un aspetto particolare di questa riflessione di Barbieri sui rapporti sempre più stretti tra fotografia e altre pratiche artistiche si ritrova nello stesso termine site specific_ utilizzato per definire il suo programma di lavoro. Come Spiral Jetty di Robert Smithson, un’opera che si rivela nella sua unità formale solo agli occhi di un osservatore in volo e che dal punto di vista terreno impone continui cambi di prospettiva in una appercezione dinamica,10 così le città di Barbieri sono viste come opere entropiche entro le quali tornare dopo il volo, per essere rivissute umanamente nella loro complessa organicità:

Proprio Smithson, enucleando nel 1969 il progetto sull’aeroporto di Dallas-Fort Worth che avrebbe condotto ai suoi earthworks visibili solo ai viaggiatori in decollo o in atterraggio, sottolineava le possibilità immaginative offerte da una tecnologia nata per controllare militarmente la superficie terrestre: La fotografia aerea e il trasporto aereo rendono visibili le fattezze superficiali di questo mondo di prospettive mutevoli. Le strutture razionali degli edifici sono dissimulate sotto una maschera irrazionale e si trasformano in illusioni ottiche […] Di fatto, l’intera area aeroportuale può essere considerata concettualmente come un universo artificiale, e come tutti sanno non c’è nulla nell’universo conosciuto che sia totalmente visibile.12

Con site specific_MODENA 08 queste riflessioni vengono ampliate nel quadro di un tema – la sorveglianza – che sino ad oggi Barbieri sembrava aver contemplato solo in forma implicita. Qui gli stilemi della fotografia aerea militare (le immagini a bassa risoluzione, il sistema di puntamento) vengono ripresi per restituire il senso di minaccia generato da uno sguardo armato deterritorializzato, come nella prospettiva di un missile che stia per abbattersi sul bersaglio o di un cecchino pronto a esplodere il colpo. Una simile minaccia di distruzione e sparizione, che per molti ha già trasformato il mondo nel simulacro post-apocalittico di se stesso, era stata anticipata nel 1936 da Jean Cocteau ne Il mio primo viaggio: La terra si disumanizza. Il primo a scomparire è l’uomo. Poi è la volta degli animali. Quindi le automobili. Della povera terra che ha bisogno di noi non rimangono più che le case, i tetti. Case vuote in seguito a non so bene quale cataclisma. E le linee rette, i rettangoli, i triangoli, i rombi, le pedane, le lastre, opere dell’uomo, e le vene, le arterie, i meandri, le curve, le spirali, le anse, le volute, le strisce, opera del vento e dell’acqua.13

In site specific_MODENA 08 ritroviamo tutto questo: il sospetto che il nostro sguardo sia ormai destinato a posarsi su forme inerti, ripetute, estrusioni di una società globalizzata che non produce più luoghi e identità; un sistema spettacolare diffuso, che non permette di distinguere tra rappresentazioni, percezioni, immagini artistiche o tecnologiche; un disagio antropologico di fondo, animalesco, che nella minaccia di un tracollo imminente non ci consente più di leggere i segni, percepire le differenze. Eppure, con ponderata speranza, Barbieri continua anche in questo lavoro a costruire occasioni non solo per guardare il mondo, ma anche per pensarlo, percorrerlo ed agirlo. Di fronte al panopticon realizzato dalla fotografia satellitare e da Google Earth, Barbieri sembra proporre un gesto sovversivo: rivoltare gli strumenti del controllo per ritrovare il gioco senza fine del pensiero per immagini.

Quando si vola con un elicottero convenzionale la sensazione è quella di essere appesi ad una zanzara, ci si sente abbastanza sperduti. Una cosa straordinaria, invece, è la percezione che si ha della città una volta tornati a terra, quando camminando si rivedono le stesse cose osservate precedentemente dall’alto scoprendole completamente diverse.11

Guida, Napoli 2000, p. 320. La strategia opposta è stata discussa da James Hugunin a proposito dei Nuovi Topografi degli anni settanta: cfr. Joe Deal’s Optical Democracy, “Afterimage”, vol. 6, n. 7 (febbraio 1979), pp. 4-6, ora in Reading into Photography. Selected Essays, 1959-1980, University of New Mexico Press, Albuquerque 1982, pp. 201-7. 8 ] In questo senso Barbieri prolunga l’idea della fotografia come “portabilità” dell’esterno precedentemente elaborata in Paesaggi in miniatura. Viaggio nell’architettura cinese, Forum Ar/Ge Kunst, Bolzano 1991. Cfr. Gaston Bachelard, Le monde comme caprice et miniature (1933-34), trad. it. in Il mondo come capriccio e miniatura, a cura di F. Conte, Gallone, Milano 1997, pp. 5-11. 9 ] Gli artisti citati da Barbieri sono Gerhard Richter, Eric Fischl, Alex Katz, John Currin, Glenn Brown, Peter Doig, Luc Tuymans (messaggio e-mail all’autore, 3 marzo 2009). Per Richter, si veda ad esempio la serie Stadtbild SL del 1969 (catalogue raisonné 218). Considerato nel suo complesso, il progetto site specific_ che Barbieri ha sviluppato negli ultimi anni inizia effettivamente a delinearsi come il nucleo di un possibile Atlas richteriano. 10 ] L’“assenza” di Spiral Jetty è il soggetto dell’opera sonora di Tacita Dean Trying to Find the Spiral

Jetty (1997), che documenta il tentativo fallito di visitare l’opera di Smithson sulle rive del Gran Lago Salato sulla base di indicazioni scritte fornite dallo Utah Art Council. 11 ] Olivo Barbieri (in conversazione con W. Guadagnini, L. Nostri e F. Zanot), Lugo e il mare, Punctum, Roma 2006, n.p. 12 ] Robert Smithson, Aerial Art, “Studio International”, n. 177 (febbraio-aprile 1969), p. 180; ora in The Writings of Robert Smithson, a cura di Nancy Holt, New York University Press, New York 1979, pp. 92-93. È significativo che Barbieri, forse echeggiando l’«universo artificiale» di Smithson, si riferisca al proprio corpus di lavoro sulla fotografia notturna (realizzato soprattutto negli anni novanta) come a una ricerca sulla «illuminazione artificiale» (in conversazione con l’autore, 2 marzo 2009). Cfr. O. Barbieri, Illuminazioni Artificiali, Motta, Milano 1995. 13 ] Jean Cocteau, Il mio primo viaggio. Il giro del mondo in 80 giorni, trad. it. di Tina Guiducci, Olivares, Milano 1994, p. 222; cit. in Mitchell Schwarzer, Zoomscape: Architecture in Motion and Media, Princeton Architectural Press, Princeton 2004, p. 162.


Miniature and Prospect ANTONELLO FRONGIA

Ossified postcards, hieroglyphic figures. The cumulative geometry of the topoi that define the European city of the 20th century – the historic monument and the apartment block, the railway and the industrial smokestack, the park and the street – is confronted with fragmented images of inhabitants, passers-by and their everyday actions. In the future, historians may look upon this site specific_ work by Olivo Barbieri as a portrait, at times ironic, of the city of Modena in the year 2008 (the rural building enveloped by the urban fabric is in actual fact the house where Enzo Ferrari was born [ PLS. XXXIX-XL ]; the Ghirlandina tower is wrapped up in a temporary installation by Mimmo Paladino [ PL. XXVI ]). But like in the 18th-century Tableaux de Paris by Louis-Sébastien Mercier (precursors of Baudelaire’s in his Fleurs du Mal) the description of a specific city becomes a tableau moral and thus by extension a tableau du siècle: the representation, albeit fragmented, of an entire era and its state of mind.1 In site specific_MODENA 08 this fragmentedness is given first of all by a double register of descriptive frustration. In the low-resolution monochrome prints, the city is seen from a bird’s eye view, the semantics reduced to the crudeness of a photocopy or fax, looking more than anything like a stereometric drawing in some military axonometric projection.2 In each of these views crosshairs home in on a visual sub-field, but the viewfinder picks out details that are always off-centre and appears to miss the nominal subjects of the images, thus contradicting the logic of ballistic aiming and military targeting. The details identified in this initial reconnaissance may then be found greatly enlarged and in colour in a second series of images, which runs parallel to the first. In this blow-up process, the full and saturated hues spill over the outlines of the figures, in ways that are as reminiscent of the iconography (if not indeed the very matter) of Pop Art as of the modelling of computerised axial tomography (CAT). This process destabilises colour itself as a signifier: it is the code which, without paying it much attention, we use continuously in order to orient ourselves in the city; yet it could also be the code with which automatic control softwares interpret and catalogue reality as part of a videosurveillance system. A group of people on the pedestrian crossing (a family? immigrants?); a passer-by wearing garish clothing (is she black?); a figure dressed all in blue (a factory worker?). In some cases, the excessive homing-in of the aiming system reduces the image to a texture of ever less recognisable shapes (a bit of graffiti, a wall) that thus become blind, abstract forms. Placed side by side on the page, these two visual registers oblige the spectator to vary his/her scale of observation: we draw closer, examining the surface of the views, then move away from the enlarged details in order to synthetically grasp their Gestalt. Yet the details do not

correspond to the views: there are a number of missing tiles, and the map of the city is not immediately readable as an orientation system. In this montage, everything becomes a fragment of something else. Only in the general order of the sequence is it possible to detect a thematic cycle: the series opens with the city’s new cemetery (the well-known expansion planned by Aldo Rossi in 1971 [ PLS. I-II-III ]) and closes with a high-tech laboratory of medical research (the “Stefano Ferrari” Centre for Regenerative Medicine, opened in 2008 [ PLS. LIX-LX ]). Elementary geometric shapes – a cube, a cylinder – take the viewer from the city of the dead to that of the living. Rising several hundred metres above the city and the surrounding territory, Barbieri takes his mental distance from the small world that we have built at a human level; by eliminating the horizon, he pens in the entire visual field in which our gaze may move around. site specific_ MODENA 08 can be seen as both an extension and an expansion of a project that Barbieri undertook in 2004, which up to now has included numerous world cities and which is planned to continue in Brasilia and Manaus. With this project, Barbieri has shifted attention from the “topographic” records of the anthropised landscape – an approach that he first adopted at the end of the 1970s – to aerial photography – a practice started by Nadar in Paris in 1858, developed in later decades as the basis of cartographic surveying and later codified for the military control of the territory. Together with the methodical cataloguing of human types, in the late 19th century aerial photography came to be used as a means of social surveillance, planning and control. At the same time, it redefined landscape aesthetics and created a new kind of observer, just at ease in the synthetic abstractions of modern art as in the technical interpretation of zenithal views. As historians have argued, the perceptive abilities required for a Cubist painting around 1910 were no different from those required of a military pilot on a reconnaissance flight above enemy territory.3 Around the same years, Léon Gimpel’s bird’s-eye views of Paris from a captive balloon provided the readers of L’Illustration with the pleasure of a controlled visual shock, while Malevich saw aerial photography as the visual basis for the floating, destabilising, and antiperspectivist aesthetics of Suprematism.4 In the context of this genealogy of aerial photography, the site specific_ series developed by Barbieri over the last few years can be seen as meditations on the perceptual estrangement that we may still experience in our ordinary cityscapes. In his large-scale works, the aerial perspective is not limited to simply blurring the normal figure/ ground relationships that underpin our stereoscopic vision in daily life. By choosing to work on specific cities – such as Rome, Las Vegas, New York, Shanghai – Barbieri sets out to de-culturalise the semantics of the

1 ] Karlheinz Stierle, “Baudelaire and the Traditions of the Tableau de Paris”, New Literary History, vol. 11, n. 2 (Winter 1980), p. 347 et passim. 2 ] According to Ruggero Pierantoni the line drawing should not be considered as a semiotic reduction of the supposed totality of the “illusory representations”, but rather as the fundamental anthropological principle of visual thought: “Il potere della linea” (1987), republished in Verità a bassissima risoluzione. Critica e percezione del quotidiano (Torino: Einaudi, 1998), pp. 21-27. 3 ] Paul K. Saint-Amour, “Modernist Reconnaissance”, Modernism/Modernity, vol. 10, n. 2 (April 2003), p. 345 et passim. 4 ] Thierry Gervais, “Un basculement du regard. Les débuts de la photographie aérienne 1855-1914”, Études photographiques, n. 9 (May 2001), published online on 10 th September 2008, http://etudesphotographiques.revues.org/index916.html (accessed on 4th March 2009); Christina Lodder, “Malevich, Suprematism and Aerial Photography”, History of Photography, vol. 28, n. 1 (Spring 2004), pp. 25-40. The most controversial case of this short-circuit between the technology and aesthetics of aerial photography is that of Edward Steichen, who during the First World War was the commander of an aerial reconnais-

sance unit and in the Second was the head of a navy photography unit: cf. Allan Sekula, “The Instrumental Image: Steichen at War”, Artforum, vol. 14, n. 4 (December 1975), pp. 28-35. 5 ] The zenithal view does not exclude the aesthetics of the picturesque, meant as a sequence of unexpected points of view: cf. John Macarthur, “From the Air: Collage City, Aerial Photography and the Picturesque”, in Re-Framing Architecture: Theory, Science and Myth, edited by Michael Ostwald and John Moore (Sydney: Archadia Press, 2000), pp. 113-20. 6 ] The earliest attempt at selective focusing as an imitation of ocular vision is that of the late-19 th century “naturalism” of P. H. Emerson: cf. Douglas Nickel, “Peter Henry Emerson: The Mechanics of Seeing”, in The Meaning of Photography, edited by Robin Kelsey and Blake Stimson (New Haven: Francine and Sterling Clark Art Institute/Yale University Press, 2008), pp. 59-75. 7 ] “The proximate vision, then, organizes the whole field of vision, imposing upon it an optical hierarchy: a privileged central nucleus articulates itself against the surrounding area. The central object is a luminous hero, a protagonist standing out against a ‘mass,’ a visual plebs, and surrounded by a cosmic chorus”. Josè Ortega y Gasset, “On Point of View in the Arts” (1913), in “The Dehumanization of Art” and


urban fabric, for example by transforming great historic monuments of antiquity into involuntary and Surrealist sculptures (reminiscent of Man Ray and Brassaï).5 Interestingly, in Barbieri’s work these strategies of estrangement coexist with a form of visual empathy – the selective focus – which brings the photographic image as close as possible to our ocular vision.6 The progressive depersonalisation of aerial perspective merges with a subjective gaze which inspects, selects, establishes visual hierarchies. The new image does away entirely with our own mental maps of the city and defines a focus point from which to start reading the landscape afresh.7 Anthropologically, this act of rising above the gravitational pull of the ground seems to retrace the evolution from the four-legged animal state to that of the erect being, or our daily awakening from the “formless” horizontality of sleep to the instrumental and manipulative activities of daytime. At the same time, the contemporary city is represented as a miniature, a model, a theatre, a portable, familiar game.8 These perceptive transmutations in the airspace of the contemporary metropolis entail a reformulation of photography’s descriptive role and thus place Barbieri’s work at the crossroads of different artistic disciplines. Blurred photographic hues, for example, can be read both as quasi-realist (or ocular) description and as the smudging of colour pigment on the paper support. Barbieri sees photography as a contemporary form of painting, just as film, television, architecture and photography itself have been the subject of much contemporary painting from Gerhard Richter onwards.9 On a different level, the photographer’s miniaturised landscapes often create uncertainty as to their state of reality or model – an effect that is analogous to that of staged photography (as in the work of Thomas Demand). One particular hint of Barbieri’s interest in the relationship between photography and other artistic disciplines may be found in the term site specific_ that defines his current project. Like Robert Smithson’s Spiral Jetty – a work which may be viewed as a whole only from above and which from ground level commands continuous changes of perspective10 – Barbieri’s cities are also seen as entropic works to be re-experienced post-flight, in order to be perceived on a human level in their overall organic unity:

passengers during take-off or landing, underlined the imaginative possibilities provided by a technology designed for the military control of the earth: Aerial photography and air transportation bring into view the surface features of this shifting world of perspectives. The rational structures of buildings disappear into irrational disguises and are pitched into optical illusions. […] In fact, the entire air terminal may be considered conceptually as an artificial universe, and as everyone knows everything in the known universe isn’t entirely visible.12

In site specific_MODENA 08 these ideas are investigated within the framework of surveillance, a theme that until now was only implicit in Barbieri’s work. Here the aesthetics of military aerial photography (lowresolution images, aiming system) is replayed as a commentary on the sense of menace generated by a de-territorialised armed gaze, like in the crosshairs of a missile about to hit its target or a sniper ready to take a shot. This threat of destruction or disappearance, which many feel has already transformed the world into the post-apocalyptic simulacrum of itself, was pre-empted in 1936 by Jean Cocteau in Mon Premier Voyage: All trace of humanity was vanishing from the earth. People were the first to go, then animals, then cars. Of the poor old world that cannot do without us nothing remained but roofs and houses emptied of life, it seemed, by some mysterious cataclysm. Nothing but straight lines, triangles, squares, and rhombs; a world of bleak geometry, of patterned fields and crazy pavements – the work of man; of veins and arteries, volutes, curves and corrugations, shirrs and spirals, dents and dimples – the work of wind and rain.13

In site specific_MODENA 08 we may find all this: the suspicion that our gaze is now destined to rest on inert, repeated forms, extrusions of a globalised society which no longer produces identity or experience; a spectacular system so widely spread that it makes it impossible to distinguish between representations, perceptions, artistic visions and technological images; an underlying animalesque yet anthropological unrest, which in the widespread threat of an imminent collapse no longer allows us to read the signs, to perceive the differences. And yet the work of Olivo Barbieri, with a tempered sense of hope, continues to suggest constructive ways to observe, interrogate, inhabit, and act in the world. In the face of the definitive panopticon of satellite photography and Google Earth, Barbieri seems to propose a subversive approach: to turn the means of control on its head in order to rediscover the endless game of imaginative thinking.

When you fly in a conventional helicopter, the feeling you have is that of hanging from a mosquito: you feel pretty much lost. But the most extraordinary thing is the perception you have when you come back down to earth and you start to walk around and see the same things you saw before from the sky but in a completely different light.11

Smithson himself, in describing his 1969 project for the Dallas-Fort Worth airport which led to the idea of his Earthworks visible only to

Other Writings on Art and Culture, trans. Willard Trask (New York: Doubleday, 1956), p. 101. The opposite strategy is discussed by James Hugunin with regard to the New Topographers of the 1970s: cf. “Joe Deal’s Optical Democracy”, Afterimage, vol. 6, n. 7 (February 1979), pp. 4-6, now in Reading into Photography. Selected Essays, 1959-1980 (Albuquerque: University of New Mexico Press, 1982), pp. 201-7. 8 ] In this sense, Barbieri extends the idea of photography as “transferability” of the outside world previously elaborated in Paesaggi in miniatura. Viaggio nell’architettura cinese (Bolzano: Forum Ar/Ge Kunst, 1991). See Gaston Bachelard, “Le Monde comme caprice et miniature”, in Recherches philosophiques III (1933-34), pp. 306-20, rpt. in Etudes (Paris: Vrin, 1970), pp 25-43. 9 ] The artists cited by Barbieri are Gerhard Richter, Eric Fischl, Alex Katz, John Currin, Glenn Brown, Peter Doig, Luc Tuymans (email to the author, 3 rd March 2009). For Richter’s work, see for example the series Stadtbild SL, 1969 (catalogue raisonné 218). Considered as a whole, Barbieri’s site specific_ project of the past few years can be seen as a Richterian Atlas of sorts. 10 ] The “absence” of Spiral Jetty is the subject of Tacita Dean’s Trying to Find the Spiral Jetty (1997), a sound piece documenting the failed attempt to visit Smithson’s work on the shore of the Great Salt Lake

following the instructions given by the Utah Art Council. 11 ] Olivo Barbieri (in conversation with W. Guadagnini, L. Nostri and F. Zanot), Lugo e il mare (Roma: Punctum, 2006), n.p. 12 ] Robert Smithson, “Aerial Art”, Studio International, n. 177 (February-April 1969), p. 180; now in The Writings of Robert Smithson, edited by Nancy Holt (New York: New York University Press, 1979), pp. 92-3. Significantly Barbieri, perhaps echoing Smithson’s “artificial universe”, refers to his own corpus of night photographs (taken mostly during the 1990s) as a line of investigation into “artificial illumination” (in conversation with the author, 2 nd March 2009). Cf. Olivo Barbieri, Illuminazioni artificiali (Milano: Motta, 1995). 13 ] Jean Cocteau, Round the World Again in 80 Days (Mon Premier Voyage) (1936), trans. Stuart Gilbert (London: I. B. Tauris, 2000), pp. 222-3, cited in Mitchell Schwarzer, Zoomscape: Architecture in Motion and Media (Princeton: Princeton Architectural Press, 2004), p. 162.



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