Tesi immagine dello psicologo andrian

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTA’ DI PSICOLOGIA

TESI DI LAUREA

LA RAPPRESENTAZIONE DELLO PSICOLOGO: UN CONFRONTO FRA MEDICI DI BASE E PSICOLOGI. UNO STUDIO PRELIMINARE CON LE GRIGLIE DI REPERTORIO

RELATORE: PROF.SSA MARIA ARMEZZANI

Dott. DANIELE ANDRIAN Psicologo

ANNO ACCADEMICO 2002/2003

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INDICE

INTRODUZIONE PERCHE’ UNA TESI SULLA RAPPRESENTAZIONE DELLO PSICOLOGO?……………………………………………………….

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CAPITOLO 1 LO PSICOLOGO SECONDO LE FONTI UFFICIALI…………..

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1.1 INTRODUZIONE...……………………………………………..

Pag.17

1.2 I DIZIONARI………………………………………………..…..

Pag.17

1.3 LA LEGISLAZIONE ITALIANA….……………………..…….

Pag.21

1.3.1 Commento………………………………………………….

Pag.22

CAPITOLO 2 STORIA E IMMAGINE DELLO PSICOLOGO………………….

Pag.25

2.1 INTRODUZIONE………………………………………...….….

Pag.25

2.2 LA PSICOLOGIA: BREVE STORIA DI UN MOVIMENTO….

Pag.25

2.2.1 La nascita della disciplina e i motivi della sua emersione…

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2.2.2 Un esempio del rapporto fra psicologia e società: il contesto nord americano fra le due guerre…….……...……

Pag.27

2.2.3 La situazione in Italia negli anni fra il 1870 e il 1945……..

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2.2.4 L’Italia e la psicologia nel dopoguerra...…………………..

Pag.30

2.3 LE RICERCHE SULL’IMMAGINE DELLO PSICOLOGO…...

Pag.31

2.3.1 Questioni metodologiche…………………………………..

Pag.31

2.3.2 Qual’e’ l’immagine dello psicologo……………………….

Pag.33

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2.3.3 I pareri sui problemi d’immagine dello psicologo e della psicologia in genere..……………………………………….

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2.3.4 L’immagine dello psicologo in italia………………………

Pag.40

2.3.5 Uno studio sulla rappresentazione dello psicologo nei medici di base……………………………………………...

Pag 42

CAPITOLO 3 IL RAPPORTO FRA PSICOLOGIA E MEDICINA……………...

Pag.45

3.1 INTRODUZIONE…………………………………………….…

Pag.45

3.2 MEDICI

E

PSICOLOGI:

DUE

FIGURE

IN

CONTRASTO?……………………………………………….…

Pag.45

3.2.1 Lo psicologo e i farmaci…………………………………...

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3.3 LE DIFFICOLTÀ DELLA PSICOLOGIA IN AMBITO MEDICO…………..……………………………………………..

Pag.49

3.4 LA COLLABORAZIONE…………………………...………….

Pag.52

CAPITOLO 4 LA RICERCA………………………………………………………...

Pag.57

4.1 SCOPI E OBBIETTIVI………………………………………….

Pag.57

4.2 PROSPETTIVA TEORICA DI RIFERIMENTO E SCELTA

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DELLO STRUMENTO….……………………………………… 4.2.1 La teoria dei costrutti personali di Kelly…………………...

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4.2.2 Le griglie di repertorio……………………………………..

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4.3 LA COSTRUZIONE DELLA GRIGLIA………………………..

Pag.63

4.3.1 La scelta degli elementi……………………………………

Pag.63

4.3.2 L’ordinamento degli elementi……………………………...

Pag.65

4.3.3 La scelta della scala……………...………………...………

Pag.67

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4.4 I SOGGETTI……………………..……………....……………... 4.5 SOMMINISTRAZIONE:

PROBLEMI

RISCONTRATI

Pag.67

E

ATTEGGIAMENTO DEGLI INTERVISTATI…………….…...

Pag.69

4.5.1 Le reazioni dei medici di base………...…………………...

Pag.69

4.6 METODO D’ANALISI DEI RISULTATI………………………

Pag.72

4.7 LE CORRELAZIONI FRA LO PSICOLOGO E GLI ALTRI ELEMENTI…………...……………………………………….....

Pag.73

4.7.1 Totale generale…….………………………………………

Pag.75

4.7.2 Medici di base……………………………………………...

Pag.75

4.7.3 Psicologi……………………………………………………

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4.8 ANALISI CONTENUTISTICA….……………………………...

Pag.77

4.8.1 Suddivisione in argomenti e aree tematiche……………….

Pag.78

4.8.2 Contenuto degli argomenti ed analisi……………………...

Pag.80

4.9 CONCLUSIONI………………………………………………....

Pag.95

4.9.1 I temi emersi……………………………………………….

Pag.95

4.9.2 Qual’e’ la rappresentazione dello psicologo……………….

Pag.96

4.9.3 I profili a confronto con la bibliografia…………………….

Pag.99

4.9.4 Limiti e possibili sviluppi….….…………………………...

Pag.101

BIBLIOGRAFIA…………………………………..………………… Pag.103

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INTRODUZIONE: PERCHE’ UNA TESI SULLA RAPPRESENTAZIONE DELLO PSICOLOGO?

Oggigiorno l’esposizione della psicologia al pubblico sembra farsi sempre più consistente. Non è raro ascoltare in televisione o leggere su di un giornale lo psicologo di turno – o lo psicoterapeuta, o lo psichiatra, con una apparente interscambiabilità – il quale, citando dati, ricerche o quant’altro, espone un’autorevole parere sugli argomenti più svariati. Su riviste scientifiche e non abbondano articoli sull’ultima scoperta che spiega questo o quest’altro fenomeno psichico, oppure che chiarifica il perché le persone si comportano in un modo piuttosto che in un altro. Ci sono poi i consigli educativi e i svariati test di personalità. Come non ricordare anche le complesse vicende giudiziarie che rendono il parere dell’esperto di turno (di solito uno psichiatra) realtà insindacabile? Tutto ciò sembra rendere la psicologia fonte autorevole di sapere; ma quale è la percezione di tutto questo fra chi psicologo non è? Cosa pensa realmente chi non è abituato a muoversi sulla difficile precarietà di molte di queste “verità”? Visto poi che “…la psicologia è una corrente di pensiero che può esistere solo in quanto esiste un movimento di uomini che ne rappresenta la testimonianza concreta nella cultura e nella società” (Perussia, 1994); cosa pensano le persone dello psicologo? L’esperienza di tutti coloro che abitano il “pianeta psicologia” è di uno strano misto fra diffidenza ed eccesso di attribuzioni di competenza. Frasi quali: “…ma tu allora sai quello che penso”; “…ma se ti racconto un sogno tu sai

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cosa significa”; “…ma è vero che con questo test scopri se ho dei problemi”; “…psicologia, ma io non ci credo molto” sono sicuramente state rivolte ad ogni psicologo. A volte viene il sospetto che ci si attendano dagli psicologi doni di preveggenza o, all’opposto, si ritenga fumoso e poco attendibile tutto ciò che fanno o dicono. Chi studia psicologia, invece, spesso giunge al tirocinio (se non alla specializzazione) con molte domande in sospeso: quali saranno i miei compiti? Con che tipo di persone lavorerò (pazienti, clienti, soggetti, ecc.)? Di che tipo di requisiti umani e professionali avrò bisogno? Domande legittime considerato il vasto panorama teorico con cui ci si confronta durante il corso di laurea. La teoria psicologica, gli strumenti, i metodi, la stessa ottica accolta nel guardare le persone, sono tutte variabili che definiscono l’essere psicologo e caratterizzano fortemente il modo di praticare la professione. Non basta decidere cosa fare come psicologo, bisogna anche capire che tipologia di psicologo essere. Un mondo complesso, quindi, che molte volte aggiunge ulteriori dubbi a ciò che già di per se è incerto: il futuro professionale e la possibilità di agire adeguatamente.

Come leggere allora questo fenomeno, che coinvolge psicologi e gente comune, così come gli altri professionisti con i quali lo psicologo si trova a confrontarsi? In base a quali categorie si può definire la nostra professione? Tentiamo una breve analisi, coadiuvati da alcuni autorevoli pareri a riguardo.

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LA PROFESSIONALIZZAZIONE DELLA PSICOLOGIA COME FENOMENO SOCIALE

In un suo articolo del 1995 A.C. Bosio fa giustamente notare come il processo di professionalizzazione della psicologia sia un fenomeno intrinsecamente sociale, da costruire nel sociale e da leggere sulla base di categorie coerenti con la sua collocazione (aspetto talvolta tralasciato da alcune analisi “interne”). Secondo Freidson (1986) l’affermazione sociale di una professione dipende da tre condizioni: 1.

La realizzazione di un efficace sistema di cooptazione degli adepti (selezione, formazione, verifica).

2.

Il pubblico riconoscimento alla professione di una qualche competenza esclusiva che ne consenta l’esercizio in regime di monopolio.

3.

Il pubblico riconoscimento del valore di una professione, in altre parole della rilevanza delle sue conoscenze e prestazioni.

Tale analisi è stata condotta utilizzando come paradigmatica la professione medica. Andiamo ora a chiarire questi tre punti.

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SELEZIONE, FORMAZIONE, VERIFICA.

Riguardo tale condizione è interessante la ricerca, condotta nel 1994 da Cecchini e Bosio, sulla desiderabilità della professione di psicologo. Tale studio ci offre un esempio di quanto la selezione dei futuri psicologi si basi su parametri piuttosto confusi. I risultati indicano come la professione sia molto desiderabile fra i giovani, e ci sia un’immagine fortemente idealizzata di ciò

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che lo psicologo fa, nonchè una marcata sovrapposizione fra interessi per la professione in sé e desiderio di risolvere i propri problemi personali. Altre ricerche evidenziano come le qualità personali a volte risultino tanto importanti quanto quelle derivanti dalla formazione. Palmonari (1981) rileva come frasi quali “lo psicologo deve raggiungere il più alto livello di preparazione” e “ciò che conta è la personalità del terapeuta”, in deciso contrasto l’una con l’altra, siano entrambe molto sostenute (98-100%) da un campione di psicologi professionisti. Anche Worthington (1987) e Berman & Norton (1985), nei loro lavori, riscontrano come il training di settore sia un qualcosa a volte superfluo rispetto alle qualità personali, o quantomeno non sufficiente di per sè. E’ interessante, inoltre, un rapporto di Stevens & Gardner (1992). I due autori hanno compiuto un’analisi sui dipartimenti di psicologia universitari di lingua tedesca. Essi hanno indicato nel loro diffuso sovraffollamento un elemento d’ostacolo al produrre dei corsi che assomiglino realmente a delle lezioni e non a semplici conferenze. In Italia, secondo Bosio (1995), la didattica universitaria tende a riprodurre il corpo delle teorie, piuttosto che ancorarsi a logiche professionali. Anche per le Scuole di specialità in Psicologia Clinica i problemi non sono pochi, considerato che hanno corso il rischio, non troppi anni fa, di essere disattivate per la non riconducibilità ad alcuno dei profili professionali previsti dal Ministero della Sanità e che tuttora si presentano in un panorama piuttosto vasto e confusivo.

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AREA DI COMPETENZA

Lo psicologo si trova in difficoltà per quanto riguarda l’area di competenza.

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Oltre, infatti, alla notevole commistione fra psicologi e medici nell’area clinico-terapeutica; in molti altri settori della salute pubblica lo psicologo si trova in diretta concorrenza con altri professionisti. Fra tutti, ricordiamo i rapporti con l'educatore e l'operatore socio sanitario che, ognuno a suo modo, si propongono come figure d’aiuto alla persona negli stessi ambiti. La situazione non è migliore nelle aree di ricerca e intervento, con un crescente numero di professionisti che arrogano diritti di competenza in materie al confine con la psicologia: sociologi, filosofi, linguisti, semiologi. La concorrenza è dunque molta; tuttavia le aree di competenza dello psicologo sono moltissime. Volendo stenderne un semplice elenco (Bosio, 1995; Prandstaller, 1994) troviamo, infatti: ricerca, consulenza, amministrazione, intermediazione, creazione, problem solving, progettazione, assistenza, tutela legale, difesa (dei diritti e delle persone), regolazione dei diritti, didattica/distribuzione della conoscenza/sviluppo delle risorse umane, distribuzione,

fruizione

culturale,

intervento

sui

processi

biologici,

comunicazione, oltre, ovviamente, al puro ambito clinico, che spesso viene confuso con lo stesso essere psicologo. D’altronde, come ricorda Perussia (1995), la psicologia è un approccio concettuale alle situazioni esterne a sé; quindi è abbastanza ovvio che gran parte del lavoro dello psicologo si situi in ambiti non psicologici, che diventano tali proprio per la presenza critica dello stesso.

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RICONOSCIMENTO SOCIALE

La psicologia viene sostenuta da un vago consenso di massa, che cavalca l’onda della curiosità; non potendo basarsi su di un offerta di un servizio chiaro e ben delineato. Ciò che manca è una lettura della domanda attuale e

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potenziale della psicologia: cos’è per la gente la psicologia? Quando o perché si decide di rivolgersi ad uno psicologo? Quali prestazioni offre la psicologia? (Bosio, 1995). Per ulteriori specifiche riguardo a questo punto rimando il lettore al secondo capitolo di questo lavoro.

Secondo questa analisi, la psicologia non sembra professionalmente forte; sia in se stessa che nel confronto con professioni, come la medicina, che nel nuovo panorama professionale che sta caratterizzando l’Occidente, vengono anch’esse messe in discussione. Tale panorama professionale è stato indicato da Prandstaller (1994) come “Neoprofessionalismo”. Tale concetto si riferisce a quel processo d’emersione di nuove professioni aventi in comune le seguenti caratteristiche: l’immaterialità della prestazione, il primato del cliente (che costruisce attivamente la prestazione con l’operatore), il primato della qualità (come criterio essenziale di verifica), l’estensione crescente del professionalismo ai più vasti settori sociali e l’affermarsi di strategie d’azione attente alla complessità sociale e al benessere collettivo. Una situazione in dinamica espansione, quindi, in cui le possibilità per emergere e crescere sono comunque presenti.

DIFFUSIONE DELLA PROFESSIONE. Risulta a questo punto opportuno riportare alcuni dati numerici sulla presenza degli psicologi nel mondo. Ne riportiamo uno stralcio, per fornire un’indicazione di massima riguardo a ciò che s’intende numericamente per movimento psicologico (Perussia, 1995)

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Gli psicologi, in tutto il mondo, non hanno fatto altro che aumentare, dapprima lentamente (anni ’60), poi più velocemente (anni ’70), per giungere all’esplosione con gli anni ’80. Ad esempio, fra il 1970 e il 1980, gli aumenti erano nell’ordine del 130% nel Canada, del 110% nell’Australia, del 330% nella Germania e del 337% nell’Italia (Rosenzweig, 1982). Il numero di psicologi per milione d’abitanti, alla fine degli anni ’80, era di 348 per l’Italia, di 322 per la Francia, di 521 per gli Stati Uniti; e così via (Sexton & Hogan, 1992). C’è da notare che tale tendenza è in linea con la diffusa terziarizzazione dell’Occidente, un processo che investe tutte le professioni. Nel 1992 il numero degli psicologi operanti nel mondo superava il mezzo milione, e sebbene le tendenze fossero diverse nei vari paesi, in tutti si registrava una crescita cospicua (Rosenzweig, 1992). A questa cifra vanno aggiunte tutte quelle persone che operano comunque in ambito psicologico, senza avere però alcuna certificazione ufficiale. Si arriva in questo modo a circa un milione di persone.

I NON-PSICOLOGI Come accennato sopra, esiste una dimensione molto spesso trascurata, ma con la quale è necessario perlomeno un confronto. Oltre agli effettivi professionisti psicologi vi sono persone che in qualche modo utilizzano la psicologia nel loro lavoro, in modo più o meno rigoroso. Professionisti o meno che appartengono ad ordini con forte credibilità o ad altre figure decisamente più discusse (Fernberger, 1928). E’ “l’altra psicologia” che trova posto al suo interno per tutto ciò che risulta compreso fra la psicologia selvaggia e la magia. Neurologi, medici di famiglia, assistenti sociali, sacerdoti, consulenti matrimoniali, infermieri, maghi, astrologi e via dicendo (Perussia, 1994).

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Parole importanti quelle scritte da Fernberger e riprese da Perussia, anche se emergenti da un contesto sociale e da un tempo storico molto diverso da quello in cui viviamo. E’ innegabile: le persone si rivolgono frequentemente a queste figure per un aiuto. Lo facciano per familiarità, per pretesa di risoluzione immediata dei propri problemi o per quant’altro, la questione si impone. Com’è possibile, infatti, almeno non ipotizzare un confronto o un semplice accostamento?

Da tutto quanto detto fino a questo punto le domande che ci poniamo sono molte: 

In base a che cosa lo psicologo pretende di essere un insindacabile esperto in “problematiche connesse all’umano”?

Come può fornire un servizio credibile, giustificato e ben delineato?

Quali sono le garanzie che porta al pubblico?

Che cosa c’è di realmente diverso che lo caratterizza e, soprattutto, lo rende indispensabile?

Domande che, in modi diversi, toccano tutte il medesimo punto: quale sia la professionalità dello psicologo. Riguardo a tale tema il dibattito è sempre stato aperto e i pareri espressi sono stati spesso discordanti (Bernard, 1983; Lebovici, Anzieu e altri, 1983; Prochaska e Norcross, 1983; McConnell, 1984; Manieri, 1987). Secondo alcuni autori la professionalizzazione è in atto, nel senso che sempre più aspetti della soggettività umana vengono trattati dallo psicologo. Per altri la figura si va via via deprofessionalizzando, proprio perché si occupa di troppe cose con una preparazione tutto sommato poco specifica. Il tema è di difficile risoluzione, specie in un mondo in continuo cambiamento come quello in cui viviamo.

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Negli ultimi anni (nel contesto italiano) molte cose stanno cambiando: nuovi corsi di laurea (con il nome che nella facoltà di Padova cambia da psicologia a scienze psicologiche), preparazione suddivisa in lauree brevi e specialistiche (il tre più due), una auspicata maggiore attenzione agli aspetti pratici già in sede universitaria e, nel caso della facoltà di Padova, il cambiamento di un aspetto importante, quale la scelta dell’indirizzo all’atto dell’iscrizione. Risulta difficile prevedere che tipo di cambiamenti subiranno la corrente psicologica e la preparazione dei futuri psicologi, considerato che solo ora si laureano i primi studenti del nuovo ordinamento e che, come in ogni fase di passaggio, l’instabilità e la confusione sono inevitabili. La speranza è che tutto ciò porti ad una maggiore definizione e ad una capacità immediata d’intervento da parte di chi decide di intraprendere questo cammino. Non si può infatti trascurare un altro aspetto importante: chi si laurea in psicologia deve mettere nel conto della propria preparazione altri tre o cinque anni (fra tirocinio, esame di stato ed i successivi master o scuole di specializzazione), prima di giungere all’impiego professionale (ed è una cosa che purtroppo spesso non si conosce all’inizio). Non è un periodo breve e, a differenza della professione medica, completamente a proprie spese. Una maggiore forza professionale sarebbe quindi auspicabile e desiderata, credo, da ogni psicologo.

Una precisazione: Data la natura della ricerca che pone lo psicologo nel confronto con varie figure d’aiuto alla persona, l’immagine che se ne ricava è profondamente connotata in ambito clinico. Di conseguenza alcune delle note sopra esposte non sono prettamente inerenti a questo lavoro. In ogni caso ci è sembrato giusto esporre una breve introduzione sullo psicologo in una visione più

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ampia, al di fuori di connotazioni settoriali e spesso stereotipizzate. Lo psicologo è, a tutti gli effetti, una figura ad ampio spettro, in cui l’ambito clinico, sebbene sia il più noto, ne è solo una parte. La trattazione di un tema così complesso richiederebbe inoltre - ne siamo coscienti - molto più spazio. In questa sede si è voluto solo delinearne una visione d’insieme. Per approfondimenti e curiosità rimando il lettore al già citato testo di Perussia (1994), che tratta l’argomento in modo completo ed esaustivo.

Passiamo ora all’illustrazione dei contenuti di questo lavoro che si pone come un piccolo contributo in direzione di una chiarificazione di cosa lo psicologo, in effetti, sia.

Nel primo capitolo si tenta di fornire un quadro complessivo su come lo psicologo sia definito dalle fonti ufficiali: i dizionari e la legislazione italiana.

Nel secondo capitolo viene proposto un resoconto delle ricerche compiute sul tema “immagine dello psicologo”, fornendo anche un breve quadro storico. Il terzo capitolo tratta il tema: “psicologia e medicina: quale rapporto”. Viene compiuta un’analisi dei motivi di contrasto e delle difficoltà di comprensione fra medici e psicologi; vengono inoltre riportati alcuni interessanti articoli su ricerche e prospettive di collaborazione.

La ricerca (presentato nel capitolo quarto), che si pone essenzialmente come uno studio preliminare e a carattere qualitativo, propone dunque un confronto

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fra l’immagine dello psicologo, quale emerge da interviste compiute con medici di base e con giovani psicologi (laureati e laureandi in psicologia all’inizio della loro carriera professionale). Lo strumento usato è la griglia di repertorio di Kelly. Le motivazioni alla base di tale scelta saranno specificate al paragrafo 4.2.

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CAP 1 LO PSICOLOGO SECONDO LE FONTI UFFICIALI

1.1 INTRODUZIONE Un buon punto di partenza per una ricerca sull’immagine professionale sia prendere in considerazione ciò che le fonti ufficiali dicono, in altre parole, come viene definita tale professione. Ci è sembrato dunque opportuno verificare che cosa emerge da dizionari e legislazione per quel che riguarda lo psicologo.

1.2 I DIZIONARI

In questo paragrafo sono riportati i risultati di un interessante studio curato da Perussia e Bonaiuto (1995). Gli autori sono andati alla ricerca, all’interno di una serie di 44 dizionari, presenti come testi di riferimento presso alcune importanti biblioteche statunitensi, di una definizione di psicologo. Si tratta di 39 dizionari ed enciclopedie di psicologia generali, o di settore e di 5 dizionari medico-psichiatrici. In questo modo gli autori hanno individuato 5 voci: psicologo, psicoanalista, psicoterapeuta, psichiatra, errore dello psicologo. Sorprendentemente, hanno rilevato che la definizione di psicologo è relativamente poco presente e, quando appare, essa è estremamente sintetica:

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nell’ordine di un paio di righe o poco più. In totale, le definizioni di una qualche utilità sono state riscontrate nel 52% (23 volumi) dei titoli. Nei dizionari la definizione dello psicologo è caratterizzata: 

dal fatto che ha seguito un corso di formazione o master o una formazione senza specifiche ulteriori;

dalle sue curiosità intellettuali, vale a dire il suo interessarsi alla psicologia nelle sue varie forme;

dal suo insegnare o lavorare in ambito accademico;

dal fatto di non essere un medico;

dalla scarsa sottolineatura della dimensione applicativa, con accenni al luogo di lavoro: ospedale, clinica o altre strutture (scuola esercito, industria). Si tende a volte a sottolineare solo il fatto che è un professionista.

E’ interessante il confronto con altre figure ad esso affini:

1.

Lo Psicanalista è considerato uno psicologo con caratteristiche particolari; che ha ricevuto una formazione di carattere psicoanalitico o una qualche forma di specializzazione. Sono riportati alcuni accenni a cosa corrisponda questa formazione (analisi, corso quadriennale). Vi è poi una parziale sovrapposizione con lo psichiatra, nel senso che entrambi sono originariamente medici, e con lo psicoterapeuta. Altro punto toccato è la sua attività pratica che, oltre ad ispirarsi ai principi della psicoterapia freudiana, pone un accento sull’uso dell’interpretazione (sempre psicoanaliticamente intesa). E’ curioso un accenno ironico al fatto che “prende denaro da un altro con il pretesto che è per il suo bene”.

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2.

Lo Psichiatra è la figura cui sono dedicate più parole. Gli autori indicano in questo un problema di definizione complementare delle due figure. Innanzi tutto viene sottolineato che è un medico, secondariamente il fatto che è specializzato. Si rileva il suo carattere interventista e con funzioni di cura e trattamento della malattia psichica, dei disordini mentali o dell’anormalità psichica. Inoltre, si rende evidente la dimensione diagnostica e preventiva della professione psichiatrica. Vi sono poi dei cenni sulla possibilità d’utilizzo di terapie farmacologiche da parte dello psichiatra, mentre meno evidente è la competenza riguardo a tematiche psicologiche. Altre note si riferiscono al suo ambiente di lavoro (ospedali psichiatrici, cliniche). o ai suoi ambiti di ricerca

3.

Lo Psicoterapeuta ha innanzi tutto una dimensione operativa. In misura minore si pone in evidenza la sua formazione specialistica. Spesso è definito con qualche sua caratteristica accessoria che lo descrive indirettamente; così troviamo una serie di frasi che lo rendono “psicologo clinico”, “assistente sociale psichiatrico”, “psicoanalista”. E’ interessante il tentativo di definirlo accostandolo ad altre figure, quali medici, sacerdoti, avvocati, insegnanti, dalle quali differisce, pur condividendo con essi la possibilità di svolgere azione terapeutica. Vi sono poi cenni alla qualifica legale e alla sua distinzione o meno dal semplice psicologo.

Un ultimo cenno è dato al cosiddetto “errore dello psicologo” per cui sembra

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che questi legga nella testa dell’altro ciò che in realtà è presente nella sua.

Gli autori concludono rilevando come le definizioni, peraltro scarse, diano una descrizione dello psicologo che spesso non coincide con la realtà: troppa enfasi alla dimensione accademica e di ricerca e poco a quella applicativa, con uno spazio eccessivo (specie in ambito psicopatologico) attribuito agli psichiatri, che sembrano essere gli unici ad occuparsi di prevenzione, diagnosi ed intervento. Abbiamo voluto, inoltre controllare le definizioni presenti nell’edizione 1999 de “lo Zingarelli”; uno dei più autorevoli dizionari italiani, quindi fonte di facile reperibilità per chiunque. Queste sono le definizioni rilevate, secondo lo schema della ricerca sopra esposta: 1.

Psicologo: studioso, specialista di psicologia; definita come scienza che studia il comportamento e i processi mentali dell’uomo e dell’animale (seguono definizioni e categorizzazioni quali clinica, applicata, evolutiva, sociale, ecc). Chi conosce profondamente l’anima umana (estensivamente).

2.

Psicoterapeuta: rimanda a psicoterapia; vale a dire cura dei disturbi mentali e dei disadattamenti attraverso una tecnica psicologica fondata sul rapporto tra medico e paziente.

3.

Psicoanalista: medico che pratica la psicoanalisi.

4.

Psichiatra: medico specialista in psichiatria definita come branca della medicina che tratta della prevenzione, diagnosi e cura delle malattie psichiche o mentali.

Anche in questo caso ci sembra che emergano gli stessi contenuti espressi nei dizionari di settore analizzati da Perussia e Bonaiuto (1995).

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Si evidenzia la parziale sovrapposizione fra psicoterapeuta e psichiatra nel curare i disordini mentali (NB: anche lo psicanalista è definito come medico). Allo psichiatra si affidano però la prevenzione e la diagnosi, mentre allo psicoterapeuta si riconosce la competenza nel trattare i disadattamenti. Lo psicologo è escluso da tutto questo e resta ancorato ad una definizione di studioso in ambito scientifico senza ulteriori concessioni. Definizione più allargata è poi quella generica di conoscere l’animo umano.

1.3 LA LEGISLAZIONE ITALIANA Riportiamo il testo dell’articolo 1 e stralci dagli articoli 2 e 3 della legge 18 febbraio 1998 n°56 ”Ordinamento della professione di psicologo”.

Art 1: definizione della professione di psicologo La professione di psicologo comprende l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito. Art 2: requisiti per l’esercizio dell’attività di psicologo Per esercitare la professione di psicologo è necessario aver conseguito l’abilitazione in psicologia mediante l’esame di stato ed essere iscritto nell’apposito albo professionale. …. Sono ammessi all’esame di Stato i laureati in psicologia che siano in possesso

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di adeguata documentazione attestante l’effettuazione di un tirocinio pratico secondo modalità stabilite… Art 3: esercizio dell’attività psicoterapeutica L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acuirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali… Agli psicoterapeuti non medici è vietato ogni intervento di competenza esclusiva della professione medica. Previo consenso del paziente, lo psicoterapeuta e il medico curante sono tenuti alla reciproca informazione. I restanti articoli definiscono procedure legali per iscrizione all’albo e istituzioni dei vari consigli.

1.3.1

COMMENTO

Osserviamo quali siano i compiti dello psicologo; cosa cioè esattamente “faccia” questo professionista. Riscontriamo, fondamentalmente, che lo psicologo si prende carico della salute della persona già in ambito preventivo, seguendola nel percorso che va dalla diagnosi alle attività di abilitazione, riabilitazione e sostegno. Non sembrano esserci dunque riferimenti alla cura intesa in senso stretto. Ma cosa s’intende per abilitazione, riabilitazione e sostegno? Fino a che punto ciò può comprendere la “terapia”? Che tipo di sostegno è quello di cui si parla? In che modo è diverso da quel

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sostegno che una persona non preparata è in grado di fornire? Si può considerare lo psicologo come uno specialista necessario per questi tipi di attività, così come un avvocato è necessario per affrontare dei problemi legali? La risposta a queste domande sembra poter arrivare dalla parte iniziale dell’articolo 1, in cui si fa riferimento a “degli strumenti conoscitivi e di intervento”. Il problema è che tutti questi strumenti non sono affatto gli stessi strumenti di altre professioni, non esiste, cioè, un corpo di conoscenze ben determinate e sul quale vi sia un forte accordo fra gli psicologi. La realtà è che nel campo del “come operare” c’è una forte indecisione, proprio perché non è definito il campo stesso dell’agire: quell’ambito psicologico che la legge non può definire, proprio perché la stessa psicologia, nei suoi poco più di cent’anni di storia, non ha potuto farlo in modo univoco (Armezzani, 1995). In questa definizione legale c’è una semplice constatazione di ciò che normalmente fanno gli psicologi, ma non viene delimitato un campo d’azione, per il semplice motivo che non è posto in concreto alcun limite a ciò che lo psicologo fa o non fa (Armezzani, 1995). Vi sono alcune altre interessanti questioni riguardo come siano definiti la psicoterapia e lo psicoterapeuta (compagno molto stretto dello psicologo). Ciò che si notifica nell’articolo tre è, infatti, la sua più ampia formazione postuniversitaria, ma non viene in nessun modo specificato cosa sia questa psicoterapia, come agisca o come non agisca e, di conseguenza, quale sia la differenza fra psicoterapia e abilitazione, riabilitazione e sostegno in ambito psicologico. Sembra, insomma, che gli psicoterapeuti siano diversi dagli psicologi solo perché hanno studiato di più. Nell’articolo tre, comma tre, c’è anche un’interessante nota riguardo agli psicoterapeuti non medici (sarebbe interessante indagare quest’aspetto di

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sovrapposizione fra medici e psicologi e quanto tale fenomeno sia conosciuto dalla gente comune). In essa s’impedisce loro di attuare interventi di esclusiva pertinenza della professione medica. Citando una fonte autorevole, “molti psicologi sono in attesa di un articolo che, nell’ambito della legge sull’ordinamento della professione medica… si preoccupi di specificare che ai medici non psicologi è vietato ogni intervento di competenza esclusiva della professione psicologica” (Perussia, 1994); commento che richiama un tema molto discusso: il delicato rapporto fra medici e psicologi.

La confusione e la scarsa definizione di ambiti sembra insomma rimanere costante anche ad un’analisi della legislazione italiana che, in ogni modo, sta cercando di porre dei limiti, e con essi una giustificazione professionale, ad un campo che in Italia ha conosciuto, nel secolo scorso, una forte indecisione e un notevole ritardo rispetto ad altri paesi.

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CAPITOLO 2

STORIA E IMMAGINE DELLO PSICOLOGO

2.1 INTRODUZIONE

In questo capitolo verranno analizzate altre due importanti fonti per chiarire l’argomento che percorre tutto questo lavoro: chi è lo psicologo? Le due fonti sono: la storia e le ricerche sull’immagine dello psicologo. I due argomenti verranno analizzati separatamente.

2.2 LA PSICOLOGIA: BREVE STORIA DI UN MOVIMENTO.

Per comprendere una professione risulta opportuno capire da dove nasca e quali siano i primi passi da essa affrontati. Per quanto riguarda la storia del movimento ci è sembrato utile riportare alcune brevi notizie sulle origini e sui motivi del primo sviluppo della psicologia in campo internazionale, tralasciando gli ulteriori sviluppi, diversi in ogni paese. L’analisi del movimento internazionale è, infatti, piuttosto complessa, anche perché la psicologia, a seconda del paese analizzato, può essere classificata come una scienza sociale, una scienza umana o una scienza ibrida di altre discipline. Inoltre in alcuni paesi è di dominio filosofico, in altri è molto vicina alla pedagogia, in altri ancora la dimensione prevalente è quella accademicoeducativa (Rosenzweig, 1982).

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L’egemonia del contesto Nord Americano è invece ben nota. Tale evidenza non poggia però su indiscusse basi di estrema competenza e professionalità (come spesso si crede), quanto invece su di un’egemonia economica e politica del paese a stelle e strisce (Perussia, 1994). L’analisi del contesto italiano sarà invece più approfondita e riporterà le vicende separate in due periodi ben delineati: prima e dopo la seconda guerra mondiale. Crediamo che tale panorama riesca a spiegare, almeno in parte, il perché delle difficoltà che la professione psicologica incontra nel nostro paese.

2.2.1

LA NASCITA DELLA DISCIPLINA E I MOTIVI DELLA SUA

EMERSIONE Tralasciando l’evidenza che la psicologia, intesa in senso lato, è vecchia come l’uomo (senza

addentrarci

in complesse concettualizzazioni

storico-

epistemologiche), la nascita della Nuova Psicologia , quella scientifica, risale alla seconda metà dell’Ottocento, con il laboratorio di Wundt a Lipsia. Secondo Ben-David e Collins (1966), la situazione fu favorita dal fatto che le cattedre in filosofia e fisiologia erano stabilmente occupate da professori giovani e quindi, tali cattedre, risultavano poco accessibili. Tutto ciò lasciò lo spazio ad una nuova professione che di queste riprendesse i modelli. Gioco forza che i giovani ricercatori trovassero nella psicologia una possibilità di crescita professionale. Tale tesi è supportata inoltre dall’evidenza che i primi psicologi derivavano tutti da questi due settori: Brentano era laureato in filosofia, Wundt fu prima medico, poi fisiologo e infine si laureò in filosofia, James era medico, insegnava fisiologia e divenne anche lui filosofo in seguito, Freud era medico e si occupò principalmente di fisiologia. Non mancano i pareri discordanti da parte di autori come Leary (1987) o

26


Danzinger (1979) che, analizzando in modo particolare il contesto Nord Americano, indicano come fondamentale la capacità di imporsi in termini di efficienza gestionale e nelle promesse di efficacia nella risoluzione di problemi complessi (devianza, malattia mentale, selezione del personale). In tale nazione, dall’atteggiamento così pragmatico e attento all’efficienza; gli psicologi facevano, in effetti, forti promesse: si pensi al manifesto del comportamentismo di Watson (1913) o al libro Walden two di Skinner (1948), in cui si prospettava una rivoluzione in termini scientifici della società. E’ proprio questa promessa che, secondo gli autori, decise dell’espansione della professione psicologica. La curiosità e l’interesse suscitato nelle forze governative da questa annunciata operatività fu notevole, visto che in tutto ciò si poteva intuire un forte contributo al controllo sociale.

2.2.2

UN ESEMPIO DEL RAPPORTO FRA PSICOLOGIA E SOCIETA’:

IL CONTESTO NORD AMERICANO FRA LE DUE GUERRE.

Come ricordato sopra, la psicologia statunintense ha raggiunto una forte visibilità internazionale, quindi può essere utile ricordare cosa succedeva in questo paese fra le due guerre (fra l’altro può essere interessante fare un confronto fra quello che accadeva, invece, in Italia e che sarà presentato nel prossimo paragrafo). Lo sviluppo della psicologia, nel contesto Nord Americano prima e durante la prima guerra mondiale, fu piuttosto blando. La stampa non considerava gli psicologi, così come erano rari i convegni dell’APA. Questo panorama cambiò notevolmente dopo il 1920, specialmente a causa dell’impegno degli psicologi in ambito di selezione militare; ma anche a causa del clima di prosperità che investì l’America in quegli anni (Sokal, 1984).

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Non fu un lungo innamoramento. Già dalla seconda metà degli anni ’20, l’interesse verso la disciplina scemò in quanto gli psicologi promisero molto, fornendo in realtà scarsi risultati. La ripresa non si avvertì fino alla seconda guerra mondiale che favorì lo sviluppo della psicologia principalmente in due direzioni: 

Molti psicologi tedeschi di origine ebraica lasciarono la Germania di Hitler e approdarono proprio in America.

Vennero fornite notevoli opportunità lavorative agli psicologi (in termini di selezione militare, ad esempio), proprio grazie allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Alla fine del conflitto, nel 1946, l’APA decise per una riorganizzazione del settore, proprio per non andare in contro al calo di popolarità degli anni ’30. (Benjamin, 1986).

2.2.3

LA SITUAZIONE IN ITALIA NEGLI ANNI FRA IL 1870 E IL 1945

Per la stesura di questo breve (e incompleto) resoconto il riferimento sarà a Marhaba (1981). Primariamente è bene ricordare che, a differenza che in altri paesi, la psicologia in Italia si ingabbia sotto il protettorato di psichiatri, filosofi, antropologi e fisiologi. Fin dal 1870 Ardigò apre la cultura italiana alla psicologia scientifica. Alla fine dell’Ottocento vi erano buoni contatti internazionali (c’è da considerare però che fino agli inizi del secolo scorso non esiste di fatto un movimento internazionale), grazie specialmente all’antropologia criminale di Lombroso e alle tecniche ergografiche di Mosso. Agli inizi del Novecento, inoltre, vi è un tentativo da parte di Ferrari di

28


costituire un movimento psicologico nazionale. La disciplina, dopo il 1905, è però in mano a pochissime figure leader (Kiesow, De Sanctis, Ferrari, Benussi, Gemelli) e le cattedre sono in totale una decina. Il panorama non è confortante e, in genere, l’insegnamento e il progredire della disciplina vengono ostacolati da enormi problemi finanziari. Solo nel 1936, per fare un esempio, l’Istituto di Psicologia di Roma avrà una sede idonea. La riforma Gentile del 1923 bloccò la possibilità di un interessamento riguardo alla materia, così come di un finanziamento privato. Il fascismo fu un altro grosso ostacolo riducendo, dopo il 1925, le cattedre di psicologia da quattro ad una sola (Roma). Solo nel 1947 ci sarà un nuovo concorso. Inoltre vi furono forti carenze interne al movimento stesso: prima fra tutte vi fu un rifiuto ad abbandonare le pure speculazioni filosofiche, che impedì di attuare una reale ricerca scientifica. Una brutta psicologia, insomma, carente in ogni suo settore: riviste, ricerca, insegnamento, applicazione. Tutto ciò isolò gli psicologi italiani dal contesto internazionale ed ostacolò anche la sola possibilità di un dibattito scientifico. L’unica figura realmente importante fu Benussi, che però non partecipò mai al dibattito italiano, preferendo a questo i suoi esperimenti (apprezzati anche in campo internazionale). Importanti furono anche, in questo periodo le figure di Buccola prima e Musatti poi, ma era troppo poco per un’intera nazione. Una psicologia, insomma, limitata dall’ambiente italiano, così come dalla propria precarietà interna. Un panorama desolante che portò la psicologia italiana ad approdare nel dopoguerra ad una condizione di pesante ritardo rispetto alla situazione internazionale.

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2.2.4

L’ITALIA E LA PSICOLOGIA NEL DOPOGUERRA

Dopo la pesante situazione maturata in Italia fino alla seconda guerra mondiale, tutto o quasi era da costruire o ricostruire. Ecco così che dal 1947 al 1954 emergono nove cattedre di psicologia. I nomi sono, fra gli altri, quelli di Musatti, Metelli, Cesa Bianchi. Nella seconda metà degli anni ’50 aprono alcune scuole di specializzazione, così come si riprendono i contatti con il mondo internazionale. Nello stesso periodo la SIP (Società Italiana di Psicologia) si separa da filosofi e psichiatri e si costituisce come movimento autonomo. All’inizio degli anni ’60 la professione inizia a diffondersi, con i primi psicologi presenti nell’industria, nell’area di selezione e formazione del personale. Nel 1967 le sedi universitarie con un insegnamento di psicologia sono 17, le troviamo all’interno di facoltà di: medicina, lettere e filosofia, magistero, scienze politiche ed economia. E’ solo (e finalmente) nel 1971 che a Padova e Roma si istituiscono i primi due corsi di laurea in psicologia, che raccolgono, fin dall’inizio, uno strepitoso successo, seppur nelle difficoltà (il più delle volte burocratiche) di tale avvio. Una successiva diffusione si avrà dopo altri 15 anni. Fra il 1986 di Palermo e il 1993 di Napoli e Milano vengono istituiti altri nove corsi di laurea. Solo nel 1992 Padova e Roma diventano facoltà autonome. Per quanto riguarda l’insegnamento della psicologia al di fuori dell’università, il panorama è a dir poco sconfortante: praticamente la materia è insegnata nei soli licei socio-pedagogici (le vecchie magistrali); un vuoto denunciato fin dagli anni ’70 (Parisi, 1978). Attualmente la situazione è notevolmente migliorata con un forte inserimento

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degli psicologi in campo internazionale, almeno nel campo della ricerca (Luccio, 1990). Una definizione maggiore della professione è inoltre avvenuta tramite l’istituzione dell’albo nel 1989 (Perussia, 1994). Meno roseo è invece il panorama della psicologia applicata che, fino ad ora (ma l’università sta cambiando) non è prevista come insegnamento all’interno dei corsi di laurea; costringendo in questo modo gli psicologi ad una forzata esperienza sul campo o ad una fin troppo necessaria preparazione postlauream.

2.3 LE RICERCHE SULL’IMMAGINE DELLO PSICOLOGO

Nella stesura di questo paragrafo il riferimento è, in misura preponderante al contesto internazionale. La situazione italiana verrà analizzata separatamente.

2.3.1

QUESTIONI METODOLOGICHE

Nelle varie ricerche sull’immagine delle professioni che si occupano della salute mentale, raccolte da Von Sidow e Reimer (1998), sono stati usati prevalentemente questionari standardizzati, quali ad esempio: 

Scelte dicotomiche tramite la scala Likert;

Il differenziale semantico;

Lo studio di stereotipi attraverso l’Adjective Check List;

Valutazioni delle professioni tramite vignette;

Valutazioni riguardo al gradimento delle varie professioni in base a diversi tipi di problemi;

Più rare sono state le interviste semi standardizzate (3 studi) o domande aperte

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come ad esempio: “cosa pensi che facciano gli psicologi”(un solo studio). I soggetti delle ricerche erano solitamente studenti o, a volte, la popolazione, ma in entrambi i casi si riscontrano carenze nelle procedure di campionamento. La maggior parte degli studi ha focalizzato l’attenzione su psicologi o psichiatri, solo uno dei sessanta punta l’attenzione sulla figura dello psicoterapeuta. (Von Sidow, Reimer, 1998)

Tale analisi è fondamentale, in quanto la scelta metodologica è, di fatto, una grossa determinante riguardo ai risultati. Quando si indaga l’immagine degli psicologi, così come di qualsiasi altra figura professionale, le risposte che si ottengono dipendono in modo preponderante dal tipo di domande poste e dal modo in cui le stesse vengono formulate (Webb A. R. 1989). Nello studio pubblicato dallo stesso autore, vennero usate tre diverse metodologie per un confronto fra psicologo e altre cinque figure professionali (psichiatra, medico, insegnante, counselor e scienziato): 1.

una valutazione di 11 dimensioni ricavate da precedenti interviste in cui veniva chiesto ai partecipanti di stendere un breve profilo delle sei professioni. E’ interessante notare come le descrizioni riguardanti gli psicologi fossero omesse con più frequenza, indicando una difficoltà nel definire un ruolo preciso per gli psicologi.

2.

una lista di aggettivi generata dai soggetti secondo il metodo di Allen e Potkay (1983);

3.

una scala Likert sulla desiderabilità, in cui si chiedeva ai soggetti di ordinare le professioni da 1 a 6.

I risultati concordarono con le premesse: lo psicologo raggiungeva un gradimento diverso nelle tre ricerche: si collocava al primo posto con il primo

32


metodo, al terzo e al quarto posto rispettivamente con gli altri due. Sembra inoltre che, spesso, i questionari proposti rivelino maggiormente le opinioni dei ricercatori, piuttosto che quelle degli intervistati (Von Sidow e Reimer, 1998).

2.3.2

QUAL’E’ L’IMMAGINE DELLO PSICOLOGO

Sono numerosi gli studi dedicati all’immagine dello psicologo negli Stati Uniti. Da molto tempo, forse dopo le sorti altalenanti del movimento fra le due guerre, gli psicologi Nord Americani pongono molta attenzione al monitoraggio della propria immagine sociale. Il tema dell’immagine dello psicologo è dunque affrontato in molte ricerche, a volte da solo, a volte nel confronto con altre figure dell’ambito della salute mentale. C’è da notare che in un solo studio è stato tentato il confronto con i rappresentanti del clero ed ha rivelato una somiglianza nella personalità di quest’ultimi con quella dello psicologo (Shindler F., Berrei M.R. ed altri. 1987).

I dati presentati sono stati tratti principalmente dal già citato lavoro di Von Sidow K. & Reimer C., (1998): uno studio su 60 ricerche pubblicate dal 1948 al 1995 negli Stati Uniti (40 su 60)e in altri paesi (Germania, Regno Unito, Australia e altri; nessuna ricerca italiana). Nelle prossime pagine verranno riportati i prospetti di tali studi in cui sono indicati: l’autore, l’anno di pubblicazione, la numerosità del campione,il paese, il tipo di soggetti, le professioni ricercate. Figure 1, 2, 3.

33


Figura 1: raccolta studi sull’immagine dello psicologo fino al 1985. Legenda professioni ricercate: psicologi (po), psicoanalisti (pa), psichiatri (pi), psicoterapeuti (pt). Altre: counselor (co), medici (doc), pazienti (pn), assistenti sociali (sw)

34


Figura 2: raccolta studi sull’immagine dello psicologo dal 1986 al 1998. Legenda: vedi figura 1

Il primo dato che emerge è che una buona parte della popolazione nutre seri dubbi sullo statuto scientifico della psicologia e delle sue basi. Tale dato risulta forse in controtendenza rispetto all’immagine che si ha nel nostro paese: cioè di una psicologia Nord Americana fiorente e ben inserita nel contesto sociale. Comunque il pubblico, con tendenza crescente, sembra avere un’immagine sostanzialmente positiva del movimento, anche se rimangono delle perplessità riguardo alla sua effettiva utilità. Tale immagine è diffusa in particolar modo

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nelle classi medio-alte, fra le persone istruite e fra chi, in qualche modo, è entrato in contatto con il movimento. Un’immagine meno positiva si avverte invece fra i professionisti della “scienza hard” (medici, biologi, ecc), i quali nutrono maggiori perplessità riguardo al movimento. Gli psicologi sono inoltre considerati, molto più frequentemente di altri professionisti, dei “tipi strani". Sembra, insomma che il pubblico americano sia ben disposto verso il movimento, ma spesso permane la confusione riguardo a cosa lo psicologo in effetti sia. Inoltre non è chiaro se, al di là dell’interesse culturale, la psicologia sia ritenuta applicabile (Perussia, 1994). Si impone poi all’ evidenza la confusione e sovrapposizione fra le varie professioni “psi” (Bernard e Fontaine, 1993), nonché la tendenza a fare l’equazione: psicologia = psicologia applicata = psicologia clinica = psicoterapia (Favretto, Majer, 1990).

Passiamo ora ai dati più specifici (i numeri fra parentesi indicano le ricerche, rintracciabili nelle tabelle in figura 1, 2 e 3).

Gradimento e ruolo Negli anni ’40, il 40% della popolazione non sapeva in quali casi si dovesse rivolgere allo psicologo

(36)

. Negli anni ’50 il 3-8% degli studenti credeva che

psicologi e psichiatri potessero leggere nel pensiero

(40)

. Anche negli anni ’70

il pubblico non distingueva fra psicologo e psichiatra (11, 36, 37, 51, 70). Sembra che fin dagli anni ’60 allo psicologo vengano attribuite competenze solamente riguardo ai problemi familiari, ai problemi psicologici meno gravi e al testing psicologico. Il trattamento di problematiche più serie (suicidi, tossicodipendenze) sembra essere invece di pertinenza dello psichiatra. Questa tendenza sta, però, cambiando, e le competenze attribuite allo psicologo si

36


fanno più ampie. Nel confronto con lo psichiatra il gradimento della popolazione è contrastante, lo psicologo viene a volte preferito a questo, mentre in altri casi è lo psichiatra ad ottenere il massimo gradimento.

Attributi personali: personalità, genere ed altro Gli psicologi (come peraltro gli psichiatri) sono visti come empatici, calmi, buoni ascoltatori ed osservatori, interessati, competenti, poco dogmatici; ad essi è però attribuita la tendenza ad essere invadenti, imprevedibili e complicati. Si caratterizzano inoltre come emozionalmente labili (4, 9, 20, 36, 38, 41, 42, 50, 52, 58, 59, 61)

.

Fino al 1970 non si denotano grosse differenze fra psicologi e psichiatri. Negli ultimi tempi, invece, gli psicologi vengono descritti come più caldi e come migliori ascoltatori. All’opposto gli psichiatri sono più freddi e a volte distaccati e ostili. Per quanto riguarda gli attributi scientifico–professionali, gli psicologi risultano meno professionali, meno istruiti, meno scientifici, con meno esperienza (17, 23, 48, 63, 66, 68,). C’è da notare che quando i soggetti delle ricerche sono psicologi (o studenti di psicologia), l’immagine che se ne ricava è di una figura maggiormente intelligente e familiare (8, 42).

I media Gli autori (Von Sidow e Reimer, 1998) hanno compiuto anche un’analisi delle ricerche sui media: film, televisione, cartoni animati, riviste. Nella maggior parte di questi studi la figura che si incontra è quella del terapeuta, che viene identificato fortemente con lo psicoanalista (è peraltro noto come spesso le

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persone comuni credano che lo psicologo stesso sia ciò che in realtà è lo psicoanalista classico). E’ comunque interessante riportare i dati emersi dalle ricerche riportate in figura 3.

Figura 3: studi sui media. Legenda:vedi figura 1

Come accennato sopra, la sovrapposizione di ruoli è notevole: lo psicologo è uguale a tutti gli altri professionisti “psi” e perfino le tecniche più svariate (analisi, ipnosi, terapia elettroconvulsiva) sono sovrapposte. L’efficienza del terapeuta sembra scarsa e spesso il paziente subisce un danno dall’intervento (ad esempio il film “Arancia Meccanica”). L’immagine è caratterizzata da dei profili piuttosto ben delineati (4): 

Tipo FREUD: uomo di mezz’età con occhiali, barba, capelli grigi o pelato, aspetto conservatore.

38

Tipo NEVROTICO: uomo o sesso non specificato, con aspetto trasandato


(capelli lunghi e incolti, non rasato, ecc). 

Tipo ECOLOGICO: sia uomo (capelli lunghi, barba lunga, sandali, pullover), che donna (senza trucco, vestiti casual, capelli lunghi).

Tipo INTELLETTUALE: giovane o di mezza età, piuttosto appariscente e con le sembianze di una persona “in carriera”

Per quanto riguarda il sesso, nei media lo psicoterapeuta è per lo più uomo (tra il 85% e il 96% nelle varie ricerche), mentre le donne sono rappresentate come meno competenti (4, 6, 18, 24, 27, 72, 79, 82). Ci sono inoltre forti accenni ai problemi dell’interazione con il paziente che spesso non viene capito

(18, 27, 79)

. A volte si fa perfino esplicito riferimento a

relazioni sessuali fra paziente e terapeuta (27, 33, 83).

2.3.3

I PARERI SUI PROBLEMI D’IMMAGINE DELLO PSICOLOGO E

DELLA PSICOLOGIA IN GENERE Spesso si è tentata un’analisi dei motivi che hanno portato alla crisi di credibilità che la psicologia ha affrontato. Molti sono i punti in questione, emersi particolarmente nel dibattito Nord Americano: 

le eccessive aspettative create attorno alla applicabilità della materia (contesto già analizzato in precedenza) con la conseguente impressione che gli psicologi potessero risolvere i più svariati problemi individuali e produrre magicamente la salute mentale (Benjamin, 1986);

il timore degli stessi psicologi di essere accostati a chiaroveggenti, spiritisti o parapsicologi (Perussia, 1994);

una generale sfiducia nella scienza (Bevan, 1976; Atkinson, 1977);

il diffondersi nel pubblico di una cultura animistico-spiritualistica, in

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contrasto con l’immagine meccanicistico-sperimentale della psicologia (Shaffer, 1984); 

il fatto che la psicologia risente ancora oggi della precarietà delle sue origini filosofiche, biologiche, psicoanalitiche, frenologiche, ipnotistiche, ecc e solo in parte sperimentali (Benjamin, 1986);

il clinical-bias, cioè la già citata sovrapposizione fra psicologia e clinica, che porta ad ignorare molti ambiti applicativi (Korn e Lewandoswski, 1981).

Tutte questioni molto rilevanti, tramite le quali crediamo possa essere compreso il perché di una così difficile categorizzazione dello psicologo come figura professionale.

2.3.4

L’IMMAGINE DELLO PSICOLOGO IN ITALIA

Saranno ora riportati i risultati delle ricerche di settore sviluppate in Italia dagli anni ’70 ad ora. Iniziamo la nostra analisi da un commento di Castiello D’Antonio (1982), che evidenzia il fenomeno per cui lo psicologo, soffrendo di una sorta di negazione professionale, si trova ad allinearsi agli schemi culturali del servizio offerto nella regione in cui pratica, rinunciando così ai propri sistemi di riferimento. Dal confronto con altre professioni (Battistelli, Cavallero, Ceccarelli e Rossi, 1978) emergono due dati: la confusione sul ruolo dello psicologo e la tendenza degli altri operatori a “rubare” il mestiere allo psicologo, con la quasi paradossale evidenza per cui lo psicologo stesso sembra avere più bisogno degli utenti che non viceversa. Anche tra gli stessi psicologi vi è una divisione di identità di ruolo, separata fra attività accademica e esercizio all’interno dei

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servizi (Polmonari, Pombeni e Zani, 1987) Favretto e Majer (1990) elaborano l’immagine della professione attraverso i giudizi sulla formazione universitaria: dalla ricerca emerge come la scelta universitaria poggi su basi appartenenti alla sfera emotivo-relazionale; minore interesse viene invece rivolto ad un profilo di studi che ricalchi una prospettiva occupazionale. Da altre ricerche si evidenzia come, nel definire la professione psicologica, gli studenti e i neolaureati tendano ad evidenziare dimensioni legate a qualità personali (Profita, Maniscalchi, 1995) o caratteristiche di tipo corporativo del tipo “noi apparteniamo ad una certa classe di professionisti” (Di Maria, Lavanco, Trapani, 1995). Non sembrano in grado, quindi, di fornire una definizione operativa della professione. Più recente, e dunque maggiormente vicina all’attuale contesto, è la ricerca di Pediconi e Rossi (1998), nella quale gli autori hanno suddiviso gli studenti di psicologia in cinque categorie, in base a motivazioni riguardo la scelta della facoltà, aspettative riguardo al corso, timori e ambiti preferiti di svolgimento della professione. Eccone un breve resoconto: 

umanisti (45.5%), psicologo come figura relazionale;

tecnici (22.8%), psicologo come professionista;

assistenziali (17%), psicologo come figura d’aiuto;

intellettuali (9.7%), psicologia come sapere;

indecisi (5%), senza rappresentazione.

In tutte queste ricerche si nota la tendenza all’uso di un campione interno. I risultati, inoltre non presentano un panorama confortante: c’è molta confusione di ruolo e c’è anche una scarsa attenzione verso i problemi professionali.

41


2.3.5

UNO

STUDIO

SULLA

RAPPRESENTAZIONE

DELLO

PSICOLOGO NEI MEDICI DI BASE

Differente in questo senso è la ricerca di Gasparini (2002) sulla rappresentazione degli psicologi e degli psichiatri nei medici di base. Vista la profonda attinenza di questo lavoro con lo studio dell’autore, la presentiamo in modo più completo. La ricerca, compiuta a Padova e provincia, ha previsto, nella sua prima fase, la creazione di un focus group di 12 medici di base attraverso il quale far emergere una serie di costrutti bipolari secondo la teoria di Kelly (1955). In seguito, il questionario così ottenuto è stato inviato a 200 medici del territorio (restituiti 132). Tale questionario comprendeva le seguenti tematiche: 1.

Che cosa il medico di base pensa della terapia farmacologia e della terapia psicologica (psicoterapia) e cosa e come pensa rispetto a psicologi e psichiatri.

2.

Che tipo di pazienti il medico di base invia più facilmente allo psichiatra e/o allo psicoterapeuta.

3.

Con quali modalità conversazionali effettua l’invio del suo assistito.

4.

A chi si rivolgerebbe lui stesso/a per avere un aiuto se si trovasse ad avere difficoltà personali di natura psicologica.

I risultati emersi sono: 

La terapia psicologica viene considerata una modalità d’intervento utile e profonda che conduce all’eliminazione non dei soli sintomi, ma delle cause del malessere. Tale terapia viene però indicata per pazienti non gravi.

42

Non sembrano esserci molte differenze fra psicologo e psichiatra.,


valutati positivamente in termini di equilibrio, competenza ed onestà. Sembra esserci una difficoltà da parte dei medici di base a separare tutto ciò che è “psi”. 

L’utilizzo dei farmaci è ben visto nella fase acuta del trattamento, ma ad essi è riconosciuta un’azione curativa dei soli sintomi.

Il paziente che il medico di base invia ad uno psicoterapeuta è, primariamente, una persona che ha fiducia in lui. Deve avere, inoltre, una buona capacità introspettiva e una buona cultura generale. Dati come età o sesso non sembrano influire. L’invio è spesso accompagnato da rassicurazioni quali: “molte persone col suo problema si sono trovate bene” (53%) o “potrà essere seguito in maniera seria” (22%).

I medici di base, se avessero problemi psicologici, si riferirebbero primariamente ad un collega psichiatra, poi a se stesso o ad un collega medico. Lo psicoterapeuta è all’ultimo posto, dopo l’amico e i familiari.

La ricerca si conclude con un augurio per una più forte collaborazione fra due ambiti (quello psicologico e quello medico) che hanno bisogno di reciproco contatto, per chiarire e superare posizioni pregiudizievoli e spesso troppo attente a non invadere competenze altrui o difendere le proprie (Gasparini, 2002).

43


44


CAPITOLO 3

IL RAPPORTO FRA PSICOLOGIA E MEDICINA

3.1 INTRODUZIONE

La psicologia, sia come scienza che come professione, è stata fin dalla fine del secolo scorso strettamente identificata con altre discipline nel campo della salute (Holtzman, Evans e altri, 1987). Sicuramente, fra queste, il rapporto più stretto è quello con la professione medica. Questo rapporto sembra però, da sempre, difficile. Affronteremo, quindi, una breve analisi che toccherà temi quali: il confronto fra medici e psicologi, le difficoltà della psicologia nell’ambito medico e le collaborazioni (riuscite o meno) in ambito clinico. L’analisi di queste tematiche è ciò che ci ha spinto, assieme alla constatazione della grande scarsità di ricerche in tale senso, a rivolgere il nostro interesse proprio ad un confronto fra medici di base e psicologi riguardo al tema “rappresentazione dello psicologo”.

3.2 MEDICO E PSICOLOGO: DUE FIGURE IN CONTRASTO?

Nel 1992 i medici, alla luce di uno strepitoso successo nel campo della salute pubblica, maturato nell’ultimo secolo e mezzo, sono presenti nel mondo in un numero dodici volte superiore a quello degli psicologi (Rosenzweig, 1992).

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Per quanto riguarda la rappresentazione sociale, ci sono state delle notevoli sovrapposizioni tra le due professioni (Taube, Burns e Kessler, 1984; Warner e Bradley, 1991), specie in tema di psicoterapia (Pariante, 1972; Bourne, 1978). Ci sono stati molti fraintendimenti, gelosie e contrasti che hanno portato a definire tale situazione come un vero e proprio “duello”(Cattel, 1983). Un tale stato di cose, così some si prefigura, non è sicuramente d’aiuto a nessuno: non serve all’utenza e non serve alle due professioni, che sicuramente potrebbero apprendere molto di più l’una dall’altra lavorando assieme e collaborando. In molta parte della bibliografia riguardante i problemi di salute pubblica, infatti, viene auspicata una risoluzione di tali contrasti (Wallace e Rothstein, 1970; Shindler, berrei e Briegel, 1981). All’interno di questa situazione di contrasto, gli psicologi lamentano di: 

Non poter normalmente fornire assistenza rimborsabile dal servizio sanitario nazionale: negli Stati Uniti la psicoterapia è rimborsata dal sistema sanitario nazionale (ricordiamo però che è basato su assicurazioni private), ma solo in seguito al parere di un medico.

Non poter prescrivere farmaci: a questo argomento dedicheremo un paragrafo a sé stante, visto che ciò rappresenta uno dei nodi cruciali che differenzia un medico da uno psicologo.

Non poter intervenire sul ricovero ospedaliero dei pazienti.

Si trovano quindi, in sintesi, sotto il controllo dei colleghi medici (Brentar e McNamara, 1991). Se negli Stati Uniti tale situazione è in parte cambiata, in Italia tutti questi problemi di “autonomia professionale” permangono; tanto che le figure con cui i laureati a Padova (dal 1975 al 1985) maggiormente dichiarano di

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scontrarsi sono proprio: medici, psichiatri e neurologi (Favretto e Majer, 1990). Anche la medicina ha però perso terreno in quanto a esclusività di competenze. Se negli anni ’70, infatti, la situazione era: psicologi per test ed educazione infantile, psichiatri per pazienti gravi, farmaci e presenza sul territorio (coadiuvati in questo dagli assistenti sociali); dopo gli anni ’80 gli ambiti si fanno più sfumati e i trattamenti non-medici sono in continua crescita, tanto che negli Stati Uniti gli psicologi sono diventati il più ampio gruppo di professionisti laureati che lavorano nel campo della salute mentale (Taube, Burns e Kessler, 1984; Blum e Redlich, 1980; De Nelsky, 1991).

3.2.1

LO PSICOLOGO E I FARMACI

Una delle più grandi differenze di ruolo, e sicuramente la più dibattuta, fra medico e psicologo clinico riguarda la somministrazione dei farmaci (essenzialmente quelli psicotropi), concessa in esclusiva ai primi. Tale dibattito, incentrato sull’estensione del diritto di prescrizione agli psicologi, negli Stati Uniti è acceso fin dal 1967. Le posizioni a favore e contro sono state riassunte da alcune rassegne di studi (Coleman e Shellow, 1990; Brentan e McNamara, 1991). Secondo i favorevoli la prescrizione dei farmaci da parte degli psicologi aiuterebbe a migliorare il benessere sociale. Per i contrari (psichiatri e medici, ma anche certi psicologi) ciò potrebbe stravolgere l’attività psicoterapeutica, con un onere eccessivo per i professionisti, che si tradurrebbe in un carico di responsabilità non desiderata. Tale situazione potrebbe così rappresentare un potenziale pericolo (visto che gli psicofarmaci sono spesso visti come una parte negativa della cura) per la Salute Pubblica.

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Tali preoccupazioni sembrano eccessive, se pensiamo che a volte si riscontrano sul campo delle situazioni paradossali: ad esempio in Italia perfino gli infermieri, che sicuramente non sono preparati e/o autorizzati in tale senso, a volte somministrano farmaci autonomamente (Cacciari, De Paolis e altri, 1986). Il farmaco, l’erba, il medicinale, la pozione, il rimedio: tutti questi termini uniscono e danno potere a chi, nei vari tempi e nelle varie culture, rappresenta colui che fornisce la “cura”, sia esso un medico, uno sciamano o un mago: le persone richiedono e credono alla guarigione portata dal farmaco (pensiamo agli studi sull’effetto placebo) e sembra che gli stessi professionisti (psichiatri e neurologi) spesso somministrino i farmaci (a volte semplici preparati non psicotropi) più per gratificare le aspettative del paziente che per una loro reale convinzione riguardo l’efficacia terapeutica (Coleman, Cornfield et al, 1987). E’ ovvio che, da parte dei medici, la rinuncia a questa esclusiva non venga vista di buon occhio. Per gli psicologi, quindi, vincere la battaglia per la prescrizione potrebbe essere molto importante. Essi otterrebbero, in questo modo, un’autorità professionale, almeno a livello simbolico, pari a quella dei colleghi medici: medici di base (i maggiori somministratori di psicofarmaci del mondo occidentale) e psichiatri i quali, pur avendo con una preparazione psicologica generalmente inferiore a quella degli psicologi-psicoterapeuti, possiedono un’importante privilegio professionale (Brentan e McNamara, 1991; Perussia, 1994). Non mancano però i contrari fra gli stessi psicologi. Negli studi la loro percentuale si aggira attorno al 30-40% (Singer, 1982; Fox, 1988; Aronoff e DeFries, 1992 et al). Essi credono che lo psicofarmaco possa rappresentare un ostacolo nel rapporto con il paziente e vada inoltre contro quella vincente

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immagine di “terapeuti esclusivamente verbali” che essi si sono creati (De Nelsky, 1991). Bisogna rilevare, tuttavia, che gli psicologi più rappresentativi, quelli con maggiore esperienza e quelli al vertice delle varie organizzazioni psicologiche ci sono i più forti sostenitori dell’estensione del privilegio. In una ricerca di Bell Digman e McKenna (1995), sembra che i medici di base, per quanto riguarda l’argomento, siano fondamentalmente contrari. Ci sono però pareri discordanti: alcuni gruppi di medici di famiglia (di solito i più giovani) accetterebbero che fosse permesso agli psicologi di prescrivere solo certe categorie di farmaci (antidepressivi e ansiolitici), ma non altre (antipsicotici).

3.3 LE DIFFICOLTÀ DELLA PSICOLOGIA IN AMBITO MEDICO

Probabilmente regna tuttora non poca confusione, da parte dei medici, su quali siano le competenze di uno psicologo, quali prestazioni sia in grado di fornire, quali siano gli iter formativi, su quali basi scientifiche poggino e quando sia il caso di ricorrere a loro (Rossi, 2000). Tale stato di cose in Italia è stato incoraggiato da una profonda lacuna colmata, con enorme (e tutto italiano) ritardo, solo nel 1994. E’ in quell’anno, infatti, che nel nostro Paese, nelle facoltà di medicina è stata attuata un’importante riforma riguardante la preparazione psicologica dei nuovi medici: sono stati introdotti degli insegnamenti di psicologia. Per i nuovi laureati in medicina sono previsti, appunto, un’esame di psicologia generale al primo anno, uno di psicologia medica al quarto ed uno di psicologia clinica al quinto. Tale lacuna, sembra aver fatto maturare l’opinione nei medici che una base

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psicologica, lungi dal non essere importante per loro, possa essere tranquillamente sostituita da una buona dose di buon senso o, peggio, dal “senso comune”. Il medico “crede di sapere” la psicologia ed è per questo, e non certo per malvolenza, che prevarica lo psicologo (Imbasciati 1995). Al di fuori del contesto italiano (e dei suoi consueti ritardi), Hetherington (1983) ha compiuto un’analisi sui motivi che sembrano minare la comunicazione medico-psicologo. Riportiamo alcuni interessanti punti della sua analisi: 

La visione del medico di base del ruolo dello psicologo:

All’inizio gli psicologi venivano usati dagli psichiatri per la raccolta dei test e il rapporto si strutturava in modo fortemente subordinato. Con il trascorrere del tempo il ruolo degli psicologi è cambiato e si sono trovati ad essere sempre più autonomi rispetto ai colleghi medici. Questo può aver creato problemi ai medici che possono non aver accettato o compreso tali cambiamenti. 

I modelli di malattia utilizzati da medici e psicologi:

La malattia può essere percepita come una serie di segni e sintomi che portano ad una diagnosi, un trattamento e una prognosi. In alternativa, i segni e sintomi riportati dal paziente possono essere inseriti all’interno di un contesto che tenga conto anche dello stesso paziente, delle sue reazioni e della sua personalità. Forse gli psicologi sono più vicini a questo tipo di visione, e i medici alla prima, ma crediamo che negli ultimi 20 anni (dalla data di pubblicazione dell’articolo) tali posizioni siano molto meno nette di quanto l’autore rilevasse, anche se egli stesso ammetteva una certa vicinanza fra le due professioni. 

La responsabilità clinica:

Il problema del chi prende le decisioni è fondamentale. Scegliere in prima persona, in quanto professionista, è fonte di difficoltà e rischio personale, ma è

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sicuramente ciò che conferisce riconoscimento ed importanza ad un professionista. Nella maggioranza dei casi è il medico (o lo psichiatra) che decide del paziente. Questo non può che creare difficoltà allo psicologo, nella sua affermazione professionale. E’ stata inoltre avanzata l’ipotesi che una parte dei problemi di comunicazione psicologo-medico derivino dal tipo di informazioni che i due professionisti, raccolgono da o forniscono a un proprio collega. A causa delle loro diverse preparazioni e basi teoriche (Glenn, 1987; Ross e Doherty, 1988; Wood, 1991) medici e psicologi tendono a focalizzare la propria attenzione su diversi aspetti di un problema: gli psicologi badano maggiormente ai processi, i medici ai fatti concreti (Stabler, 1988; Schon, 1987). Ne consegue che gli psicologi, ad esempio descrivendo la relazione con il cliente, tendono a fornire informazioni su caratteristiche interpersonali ed esperienziali dello stesso. I medici, più orientati al problema e in attesa di fatti concreti, possono venir disorientati da informazioni così ambigue e poco tangibili (Stabler, 1988). Incomprensioni ci sono anche a causa del diverso linguaggio usato (Stabler, 1988; Wales, 1978; Wood, 1991). Il problema del linguaggio, ci sembra doveroso aggiungere, è anche interno alla psicologia. Non sembra esistere, infatti, una sorta di lessico ufficiale, con cui tutti gli psicologi, appartenenti alle varie tradizioni psicologiche, possano intendersi.

Lo psicologo trova dunque numerose difficoltà in ambito medico, e i motivi alla base di tutto questo sembrano essere di non facile risoluzione, a meno di non incoraggiare un maggiore contatto fra le due professioni. Vediamo ora che tipo di esperimenti sono stati compiuti in questo senso, e quali sono le realtà in

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cui medici e psicologi collaborano.

3.4 LA COLLABORAZIONE

La collaborazione fra medici e psicologi è sicuramente auspicabile, alla luce della distanza che sembra separare questi due professionisti. Ma quanto sono efficaci queste collaborazioni? Esistono delle realtà istituzionali che le esprimano? Quali sono stati i risultati di studi controllati a questo proposito? Iniziamo dal panorama italiano. I pareri possono essere diversi, probabilmente a causa delle diverse realtà cui si guarda. Secondo Imbasciati (1995) la collaborazione degli psicologi con i medici, negli ospedali, viene profondamente ostacolata dalla tendenza, da parte di questi ultimi, ad elogiare lo psicologo, ma contemporaneamente a pretendere da lui una risoluzione “magica” e rapida di ogni tipo di problema con i pazienti “difficili”, senza però concedergli attrezzature e finanziamenti. Sembra, sempre secondo l’autore , che lo psicologo venga pensato come una “brava persona” che aiuta a risolvere i problemi, e non come un professionista che ha bisogno, per il suo lavoro di strumenti e mezzi. Se le cose stanno così, il problema d’immagine dello psicologo fra i medici è sicuramente profondo. Ci sono però, per fortuna, realtà Italiane che dimostrano come anche un rapporto così difficile come è quello fra medici e psicologi, può risultare utile e proficuo sia per la conoscenza reciproca, sia per fornire un migliore servizio alle persone. Cesa Bianchi e Sala, già nel 1983, hanno curato un volume in cui venivano riportati numerosi esempi di collaborazione efficace. La psicologia ha

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dimostrato, seppur nelle inevitabili difficoltà iniziali, di poter lavorare in modo sereno ed efficace accanto alla medicina nei più svariati reparti ospedalieri: reparti di chirurgia, di pediatria, di ostetricia e ginecologia, nei centri di dialisi e riabilitazione, e così via. Per riportare degli esempi più recenti, riferiamoci ad alcuni degli studi inclusi nel volume dei Quaderni di Scienze dell’Interazione del gennaio 2000 (Salvini, a cura di, 2000). In tale numero si tratta proprio il tema: “Medicina e psicologia, insieme per il paziente”: 

Una collaborazione in oncologia infantile: allo psicologo viene affidato il compito di comprendere, condividere e sostenere la sofferenza del piccolo paziente; a tale scopo viene usato il metodo delle storie disegnate. La collaborazione con il medico avviene nel senso di un aiuto per

facilitare

la

“compliance”

terapeutica.,

di

paziente

e

famiglia(Scarponi, Trombini, Trombini, 2000; Scarponi, Paolucci, 2000). 

Una collaborazione in gastroenterologia: il disagio psicologico, le risposte psicofisiologiche agli stimoli stressanti e la correlazione tra sofferenza affettiva e uso dei servizi sanitari sono fra le caratteristiche salienti dei pazienti afferenti a questo servizio ospedaliero. Una collaborazione fra competenze mediche e psicologiche ha permesso, con il tempo, l’aumento dell’accettazione da parte dei pazienti di un intervento psicologico o psico-farmacologico e una diminuzione del “pellegrinaggio sanitario” che spesso caratterizza questi servizi ospedalieri (Chattat, Mazzocchi, Ravaglia, Trombini, 2000)

L’uso del gruppo per il paziente fibromialgico: anche in questo ambito direzione può avvenire un’efficace collaborazione: usando un gruppo terapeutico

formato

dai

pazienti,

da

uno

psicologo,

da

uno

psicoterapeuta, dda alcuni specialisti medici e da un esperto di tecniche

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di rilassamento. Anche in questo caso si è constatato un miglioramento del disagio psicofisico dei pazienti (Farinelli, Ercolani ed altri, 2000). In campo internazionale, ci sembra di grande interesse riportare uno studio pilota sulla collaborazione con i medici di base. Tale collaborazione, nel suo articolarsi, può venir definita da due variabili: la struttura della relazione fra i due professionisti e il tipo di interazione. La struttura della relazione varia da: un medico che gestisce tutti i problemi biopsico-sociali (il vecchio modello), i due professionisti che hanno loro competenze separate (attualmente il più diffuso), il medico che si riferisce allo psicologo per i problemi psicosociali, due colleghi che lavorano assieme nello stesso studio; Dym e Berman, 1986). Il tipo di interazione varia da: un colloquio formale o informale con il paziente che mantiene o il rapporto con lo psicologo saltuariamente o vede i due professionisti assieme(Doherty e Baird, 1983; Mc Daniel, Campbell e Seaburn, 1990). Questo studio pilota (Bray, Rogers, 1995) si è focalizzato sui problemi legati all’abuso d’alcool e di altre droghe all’interno di aree non urbane. Capita spesso, purtroppo, che gli psicologi siano isolati, sul territorio, dai medici di famiglia, che si trovano così ad essere i primi ad incontrare e dover trattare tali problematiche. Il tentativo di superare queste difficoltà si è articolato in due fasi: 1.

Inizialmente medici e psicologi hanno preso parte ad uno stage in cui, oltre a un resoconto sugli attuali studi riguardo i problemi d’abuso, sono stati affrontati, prima separatamente e poi assieme, i problemi della collaborazione fra medici e psicologi e sono state fornite indicazioni su quelli che sarebbero stati gli scenari e i metodi della futura collaborazione.

2.

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E’ seguita una fase di sei mesi di attiva collaborazione reciproca.


I risultati sono stati apprezzabili: sia medici di base che psicologi dichiaravano che il servizio era notevolmente migliorato, così come la loro percezione di efficacia e soddisfazione personale nel lavoro con pazienti con problemi d’abuso. E’ importante anche il loro dichiarare di aver raggiunto una maggiore conoscenza reciproca.

Terminiamo questa breve rassegna riguardo alle prospettive di collaborazione con un indicazione per i futuri scenari. Storicamente, la separazione fra medici e psicologi è il riflesso della separazione in senso cartesiano, fra il corpo e la mente. Si può superare questa dicotomia, fornendo ai professionisti che lavorano nella salute pubblica un nuovo modo di vedere i problemi medici, tenendo anche conto della rilevanza del livello sociale (e viceversa): il modello bio-psico-sociale (Engel, 1977). In questo senso si parte dall’evidenza che ogni problema biologico o fisico ha i suoi risvolti e porta le sue conseguenze a livello psico-sociale, così come ogni problema psicologico o sociale ha i suoi correlati biologici (McDaniel, 1995). E’ opportuno, ad esempio, ricordare come numerosi studi abbiano dimostrato come metà delle visite al servizio di medicina generale possiedano una natura primariamente psicosociale (Katon, 1995). Alla luce di tutto questo, è evidente che una maggiore vicinanza fra medici e psicologi potrebbe permettere di affrontare i vari problemi incontrati all’interno delle rispettive professioni in modo più efficace evitando così di commettere grossolani errori e di trovarsi a trattare casi che richiedono competenze al di fuori del proprio ambito lavorativo. La collaborazione va quindi incoraggiata, anche perché, come risulta da questa breve rassegna di studi, oltre a migliorare il servizio fornito all’utenza,

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aumenta notevolmente la conoscenza reciproca, cosÏ come la percezione d’efficacia e la soddisfazione nel proprio lavoro.

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CAPITOLO 4:

LA RICERCA

4.1 SCOPI E OBBIETTIVI Questa ricerca si pone come uno studio preliminare all’interno di una tematica sulla quale, ultimamente, il dibattito è sempre più vivo: l’immagine dello psicologo. Lo strumento usato è la griglia di repertorio di Kelly. I rapporti fra medici (nel nostro studio, nello specifico il medico di base) e psicologi, come evidenziato nel terzo capitolo, non sono semplici ed è di notevole interesse comprendere qualcosa di più su quali siano somiglianze e differenze nella visione della professione psicologica da parte dei due gruppi di professionisti. Per quanto riguarda le ipotesi, più che altro vi sono molte domande in sospeso, ben evidenziate nella parte bibliografica di questo lavoro. Purtroppo, il confronto con altri lavori simili non è semplice, data la scarsità di ricerche a questo riguardo. Perciò ci riferiremo in modo particolare a Gasparini (2002). A priori è, inoltre, difficile prevedere quali argomenti emergeranno dalle interviste, vista la natura dello strumento usato. Speriamo, comunque, che questo lavoro possa fare una piccola luce su temi quali competenze, professionalità, statuto scientifico, modi d’intervento dello psicologo. Confidiamo dunque nella capacità dello strumento di far emergere una visione dello psicologo, che possa aiutare a comprendere qualcosa in più riguardo alla nostra professione e possa stimolare la futura ricerca. Siamo, inoltre, interessati al grado di “confusione” che si percepisce fra le

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varie figure “psi” (Gasparini, 2002).

4.2 PROSPETTIVA TEORICA DI RIFERIMENTO E SCELTA DELLO STRUMENTO

Nella scelta dello strumento usato in questo lavoro, sono state importanti le due seguenti motivazioni: 1.

Permettere agli intervistati di esprimere liberamente le proprie opinioni, fornendo un materiale il meno strutturato possibile. Questo per partire dalle esperienze e conoscenze dell’intervistato, nello stendere dei profili professionali. Si ricorda nuovamente, a questo proposito, il commento di Von Sidow e Reimer (1998), secondo i quali molte ricerche sull’immagine dello psicologo indagano maggiormente le opinioni dell’intervistatore, rispetto al parere dell’intervistato.

2.

Cercare di inserire lo psicologo all’interno di un confronto con molte altre figure d’aiuto (indagando quindi fondamentalmente la figura dello psicologo clinico), per comprendere somiglianze e differenze con esse. Ricordiamo a proposito Henry, Sims e Spray (1971), i quali sostengono che lo psicologo clinico possiede una natura tendenzialmente ibrida, che lo porta ad essere una specie di “quinta professione”, in bilico fra psichiatria, psicoanalisi, social work e psicologia -counseling compreso-.

Si è ritenuto, dunque, che per i motivi sopra citati la griglia di repertorio di Kelly potesse essere un buon ausilio alla nostra ricerca. Questo strumento è infatti basato su una serie di confronti. Permette inoltre all’intervistato di esprimersi il più liberamente possibile, avendo di fronte solo delle figure, ma nessuna domanda precisa riguardo ad esse.

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4.2.1

LA TEORIA DEI COSTRUTTI PERSONALI DI KELLY “Di qualsiasi natura possa essere, o in qualsiasi modo risulti alla fine la ricerca della verità, gli oggetti che affrontiamo oggi sono soggetti a tante numerose costruzioni quanto la nostra intelligenza ci permette di concepire. Ciò non vuol dire che una costruzione sia buona quanto qualsiasi altra, ma ci fa ricordare che tutte le nostre percezioni attuali sono aperte alla discussione e alla considerazione, e suggerisce ampiamente che persino i più ovvi accadimenti della vita di ogni giorno potrebbero mostrarsi totalmente trasformati se fossimo sufficientemente inventivi da costruirli in maniera diversa” (Kelly, 1966).

Questo è, dalle parole dello stesso caposcuola, quello che si può definire come alternativismo costruttivo. L’autore, in questo modo, ci suggerisce di guardare a tutte le situazioni, e con esse anche quelle sperimentali, come situazioni di vita reale, il cui significato deve essere interpretato, compreso e ri-preso in prima persona dallo psicologo (Grimaldi, 2003). La conoscenza non riguarda più una realtà oggettiva “ontologica”, ma esclusivamente l’ordine e l’organizzazione di esperienze nel mondo del nostro esperire (Glasersfeld, 1981) Sarà in questo senso che ci muoveremo in questa ricerca. Nella fase di progettazione, nelle interviste e nella successiva interpretazione dei risultati, ogni scelta fatta sarà sottoposta ad una interpretazione personale, che ci porti a comprendere i dati partendo -e motivando tali percorsi- da una scelta in prima persona. Passiamo ora a riportare, brevemente, i punti principali della teoria Kelliana, spiegando inoltre i termini che verranno usati in questo lavoro. Per una trattazione completa dell’argomento si rimanda ai testi sopraccitati.

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Cos’è un costrutto? I costrutti sono unità di conoscenza, modalità in cui si struttura la realtà per ciascuna persona. Hanno una struttura bipolare e dicotomica, per cui gli eventi acquistano senso attraverso il confronto di somiglianze e differenze. Importante è sottolineare il fatto che, non decidiamo fra A e non-A (anche se questo può avvenire), ma fra A e B. I costrutti sono personali e non vanno confusi con l’etichetta verbale che li esprime; hanno un campo di pertinenza, nel senso che sono applicabili ad un numero limitato di elementi (tutto ciò a cui può essere applicato un costrutto, nel lessico Kelliano). L’insieme dei costrutti di una persona costituisce un sistema organizzato che coincide con la persona stessa. Tutta la teoria di Kelly poggia su un postulato fondamentale e 11 corollari. Ne verranno ora riportati i più importanti ai fini di questo lavoro.

Postulato fondamentale: i processi di una persona sono catalizzati psicologicamente dal modo in cui essa anticipa gli eventi. Si pone dunque un accento alla persona come processo, forma in movimento. Tale movimento non avvine in modo caotico e casuale, grazie ai concetti di anticipazione predittiva (verso gli eventi) e controllo delle ipotesi, che spingono al cambiamento del sistema di costruzione personale (Kelly, 1955). Passiamo ora ai corollari: 

Corollario della costruzione: una persona anticipa gli eventi costruendone le repliche. Replica intesa come riconoscimento di somiglianze, di ricorrenza di temi e significati all’interno delle nostre esperienze.

Corollario dell’individualità: le persone differiscono l’una dall’altra nella loro costruzione degli eventi. Questo significa anche che le persone

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attribuiscono significati diversi alle stesse esperienze e agli stessi eventi. 

Corollario della dicotomia: il sistema di ostruzione di una persona è composto di un numero finito di costrutti dicotomici.

Corollario della comunanza: nella misura in cui una persona impiega una costruzione dell’esperienza simile a quella impiegata da un’altra, i suoi processi sono psicologicamente simili a quelli dell’altra persona.

Compito nostro, come psicologi, è quello di comprendere quali siano le intenzioni, le scelte, le attese rilevate dai costrutti espressi dal soggetto che abbiamo di fronte. Tuto ciò presuppone, per lo psicologo, essere responsabile. Affrontare l’altro, cioè, con la nostra intera presenza in quanto persone e mettere ogni volta la nostra

competenza

professionale

alla

prova

della

validazione

e

dell’invalidazione. (Armezzani, 1992). Uno degli strumenti, creati da Kelly, per aiutarci in questo compito sono le griglie di repertorio.

4.2.2

LE GRIGLIE DI REPERTORIO

La griglia di repertorio (Repertory grid) è una tecnica che deriva il proprio nome dalla sua struttura. Essa, infatti, organizza i dati attraverso una matrice che ricorda una “griglia” (si rimanda in appendice, nella quale sono riportate le griglie raccolte). Nasce negli anni ’50, è stata sviluppata da Kelly, che all’inizio le aveva dato il nome di “Test del repertorio dei costrutti di ruolo”. La griglia permette di studiare le “articolazioni di significato che la persona compie nei confronti degli elementi principali del suo spazio psicologico o

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(come in questo lavoro), degli elementi e delle aree che ci interessa approfondire. Non si chiede all’intervistato di posizionarsi su scale di significato altrui, ma di esprimere i suoi significati personali. (Pezzullo, 2003). La costruzione parte dalla scelta degli elementi. In questo bisogna considerare due aspetti: innanzitutto devono essere rilevanti per la persona (in un uso classico della griglia come indagine di personalità si scelgono assieme all’intervistato) o per l’argomento che ci interessa indagare (come procederemo in questo lavoro). Anche il loro numero è importante, in quanto, aumentarli da 10 a 12, ad esempio, porta il numero di valutazioni da esprimere da 100 a 144, oltre a renderle molto più complesse. (la media, nelle ricerche, è di 10-12 elementi) La seconda fase e l’elicitazione (il processo per cui i costrutti vengono fatti emergere in etichette verbali) dei costrutti. I metodi più usati sono: 1.

metodo delle triadi: tecnica più diffusa e affidabile, usata anche in questa ricerca, prevede che si presentino tre elementi alla volta e si chiede “che cosa rende simili due di loro e li differenzia dal terzo”. Gli elementi vengono presentati in successione cambiandone uno alla volta, fino a fare un giro completo. (questo porta ai numeri sopra riportati, visto che le triadi ottenute sono pari al numero degli elementi).

2.

metodo delle diadi: meno diffusa, usata solitamente con persone le quali presentino problemi cognitivi che renderebbero difficili le astrazioni di cui sopra. Si tratta di presentare gli elementi a due alla volta e specificare in che cosa siano simili o diversi.

Infine avviene la valutazione di tutti gli elementi in base ai costrutti emersi. Per fare questo si possono semplicemente assegnare ad un polo o all’altro del costrutto od usare (come in questo lavoro) delle scale graduate in cui gli

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estremi (1-5, 1-7) rappresentano i poli dei costrutti. Segue l’interpretazione che, con l’aiuto anche di strumenti statistici e informatici, permette di fornire un quadro del sistema di costruzione della realtà della persona intervistata o, come del nostro caso, di come le persone intervistate costruiscano un determinato “mondo”, quello dell’aiuto, e come in esso si collochino gli elementi a cui è rivolta la nostra attenzione. Un ultima nota riguardo alle griglie; per ricordare come esse rappresentino uno strumento che, sebbene non si presti facilmente a grosse indagini statistiche (noi abbiamo intervistato solo 32 persone), riesce a fornire una grande massa di dati, interpretabili anche successivamente (ed in modo anche diverso), quando è stato estratto ciò a cui era rivolto il nostro interesse.

4.3 LA COSTRUZIONE DELLA GRIGLIA

4.3.1

LA SCELTA DEGLI ELEMENTI

Nello scegliere gli elementi si è fatto un elenco di tutte quelle figure (le più comuni, a nostro avviso) alle quali una persona si potrebbe rivolgere, nell’eventualità di avere dei problemi genericamente legati al malessere psichico. Ecco dunque l’elenco delle figure presenti nella griglia di repertorio: 1.

Psicologo: è il protagonista della ricerca.

2.

Psicoterapeuta: forse il compagno più vicino dello psicologo, per il quale però i compiti operativi sono maggiormente delineati (vedi paragrafo sui dizionari).

3.

Psicoanalista: figura presente in molte ricerche sull’immagine dello

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psicologo e, inevitabilmente, molto presente nelle rappresentazioni collettive di ciò che potrebbe fare uno psicologo (vedi paragrafo sull’immagine nei media, ad esempio). 4.

Psichiatra: la controparte medica di ciò che è “psi”. Anch’esso, spesso, accostato allo psicologo nelle varie ricerche. Risulta maggiormente delineato, come si evidenzia, ad esempio, nell’articolo sui dizionari.

5.

Medico di base: l’altro protagonista della ricerca, in quanto intervistato. La sua centralità come figura d’aiuto è indiscutibile.

6.

Neurologo: figura che fa entrare nella ricerca il tema della neurologia, area di studi in sempre maggiore sviluppo negli ultimi anni.

7.

Assistente sociale: è una figura con la quale lo psicologo può entrare in contatto, lavorando assieme (e a volte in collusione) ad aspetti diversi della stessa persona.

8.

Educatore: come sopra, la collaborazione-scontro con questa figura è spesso presente. Ricordiamo inoltre che, prima del 1992, anno di fondazione delle due facoltà di psicologia di Roma e Padova, tale corso di laurea era inserito principalmente all’interno delle facoltà di Magistero.

9.

Scienziato: vista l’enorme importanza che oggi viene data alla scienza, ci è sembrato interessante inserire tale figura nella griglia. Già si ricorda tale confronto in Webb (1988).

10. Amico: è indispensabile inserire l’amico in questo elenco, vista l’importanza che spesso può rappresentare nella risoluzione di problemi personali o nel semplice, ma indispensabile, sostegno e possibilità di confidenza. Ricordiamo inoltre che, nella ricerca di Gasparini (2000), i medici dichiaravano di rivolgersi in misura maggiore ad un amico che ad uno psicoterapeuta.

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11. Sacerdote: nei nostri tempi la figura del sacerdote riscontra, nel mondo occidentale, un declino (vi sono sicuramente molti meno credenti praticanti di un tempo). Nella storia dell’umanità è però sempre stata centrale per i problemi della persona e della malattia mentale (si ricorda che ciò che adesso è malattia psichiatrica, una volta poteva essere passibile di esorcismo). 12. Mago: è innegabile quale sia la massa di persone che viene mossa dal mercato dei maghi (astrologi, cartomanti, chiromanti). Riteniamo, dunque, interessante inserire anche questa fra le varie figure d’aiuto, al di la delle opinioni personali riguardo alla scarsa eticità di questo tipo di “professionista”.

4.3.2

L’ORDINAMENTO DEGLI ELEMENTI

La somministrazione della griglia è avvenuta seguendo il metodo classico: tre elementi per volta, variandone uno ad ogni presentazione. Risultava dunque necessario ricercare l’ordine di presentazione che presentasse vicini gli elementi che, secondo noi, presentavano i più utili “rapporti reciproci”. La prima scelta è stata quella di separare le quattro professioni “psi”, preferendo ricavare il confronto fra esse in modo indiretto. Questa separazione permetteva inoltre, visto che gli elementi della griglia sono 12, di avere sempre in evidenza un elemento che contenesse il prefisso “psi”, (dando così una forte connotazione in senso psicologico all’intervista). In seguito si è cercato di comporre degli interessanti confronti. Si sono inseriti lo psicologo e lo psicoterapeuta fra scienziato, amico, mago, medico e sacerdote, cioè fra figure appartenenti ad un mondo dell’aiuto “ufficiale” e non. La seconda parte della griglia conteneva invece confronti fra professioni

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più “standard”, quali lo psichiatra, l’assistente sociale, l’educatore e il neurologo, con lo psicoanalista che univa i due settori. L’incontro fra i due settori avveniva, inoltre, nella parte conclusiva, in cui lo psichiatra e l’educatore si ritrovavano nel confronto con l’amico e lo psicoterapeuta. Crediamo che questo tipo di ordinamento -peraltro frutto di scelte personali e quindi ampiamente criticabile e modificabile- possa permettere di indagare il mondo dell’aiuto proponendo dei confronti che, di volta in volta, si focalizzano sui suoi vari aspetti, mantenendo sempre una certa varietà nelle presentazione degli elementi. Crediamo inevitabile, dovendo imporre un ordine, che certi confronti possano essere ridondanti o meno interessanti di altri. D’altra parte, ciò che a noi può sembrare ridondante, può invece far emergere contenuti inaspettati. Ecco quindi le triadi ottenute secondo l’ordine di presentazione: 1.

amico – psicoterapeuta - medico di base;

2.

psicoterapeuta - medico di base – sacerdote;

3.

sacerdote – medico di base – psicologo;

4.

medico di base – psicologo – scienziato;

5.

psicologo – scienziato – mago;

6.

scienziato – mago – psicoanalista;

7.

mago – psicoanalista – neurologo;

8.

psicoanalista – neurologo – assistente sociale;

9.

neurologo – assistente sociale – psichiatra;

10. assistente sociale – psichiatra – educatore; 11. psichiatra – educatore – amico; 12. educatore – amico – psicoterapeuta.

66


4.3.3

LA SCELTA DELLA SCALA

Nella fase di valutazione degli elementi, secondo i costrutti ottenuti dai confronti, si è scelto di usare una scala a sette punti, con la quale l’intervistato assegnava un punteggio variabile da 1 (primo polo del costrutto) a 7 (secondo polo del costrutto) per ogni elemento. Tale metodo, per altro usato nella maggior parte delle ricerche che utilizzano le griglie, permette una buona possibilità di valutazione, lasciando la possibilità di assegnare punteggi intermedi fra i due poli, e non fissando in modo troppo rigido gli elementi valutati ai due lati del costrutto.

4.4 I SOGGETTI

Sono state intervistate 32 persone divise in due gruppi, con una suddivisione interna al primo:

1

Medici di base a

Medici di base in attività (8): operanti nel territorio del comune di Padova. Età compresa fra i 40 e i 65 anni, cinque maschi e tre femmine. Contattati telefonicamente.

b

Specializzandi in medicina generale (8): facenti parte dell’annuale corso di specializzazione a Padova, obbligatorio (dal 1994) per l’esercizio della professione di medico di base. Età compresa fra i 28 e i 33 anni. Sei femmine e due maschi (NB: sembra che anche la professione medica, così come da tempo quella psicologica, tenda a deviare verso una maggioranza di presenze di sesso femminile).

67


Contattati grazie alla gentile collaborazione di uno dei medici di base intervistati, che teneva un seminario all’interno di tale corso. 2

Psicologi (16): laureandi e laureati (entro circa un anno dalla laurea) della facoltà di psicologia di Padova, indirizzo clinico. Età compresa fra i 23 e i 28 anni. Tredici femmine e tre maschi. Contattati all’interno della facoltà di psicologia. Sono stati contattati giovani psicologi, proprio per l’interesse ad una rappresentazione della professione e non, come sarebbe potuto succedere intervistando psicologi professionisti, ad una descrizione delle singole realtà professionali.

Tali scelte sono state dettate, primariamente dall’interesse per un confronto fra una visione interna alla psicologia e una interna alla professione medica. Una visione da parte di un professionista, il medico di base, che risulta essere, il più delle volte, primo tramite fra le persone e qualsiasi tipo d’intervento (e quindi, fra essi, anche quello psicologico), rivestendo un ruolo centrale all’interno del panorama della salute pubblica. Già Balint (196) parlava di “rapporto del medico con i suoi specialisti”. Ci chiediamo, appunto, quale sia il rapporto che ha il medico di base con quel particolare specialista che è lo psicologo, almeno per quanto riguarda la rappresentazione che ha di esso. Si è deciso poi di intervistare medici di base in attività e specializzandi in medicina generale per poter osservare se le differenze d’età e l’introduzione, nel 1994, all’interno della facoltà di medicina, di insegnamenti relativi alla psicologia avessero portato a delle differenze all’interno della stessa categoria professionale.

68


4.5 SOMMINISTRAZIONE:

PROBLEMI

RISCONTRATI

E

ATTEGGIAMENTO DEGLI INTERVISTATI.

Tutte le interviste sono state condotte di persona. Veniva spiegato agli intervistati che la ricerca che si stava compiendo riguardava l’immagine dello psicologo. Veniva inoltre specificato che sarebbe stato loro proposta un’intervista semi strutturata, in cui si proponevano dei confronti fra lo psicologo (e gli altri “psi” in genere) ed altre figure appartenenti all’ambito “aiuto alla persona”. Le triadi di elementi venivano presentate usando dei cartoncini, sui quali era scritto il nome dei vari elementi. Questo rendeva ben visibile il confronto, permettendo inoltre all’intervistato di spostare o ordinare le tre figure a proprio piacimento. La formula usata è stata la classica: “mi dica un motivo per cui due di queste persone sono simili e quindi diverse dalla terza”. Per quanto riguarda le interviste con gli psicologi non ci sono stati problemi o particolari evidenze: alcuni conoscevano lo strumento, altri no, ma questo non ha cambiato molto le modalità dell’intervista, anche perché anche chi lo conosceva le griglie, si trovava spesso per la prima volta a compilarne una. Il discorso sui medici di base merita invece un approfondimento, anche perché crediamo sia fondamentale, vista la già evidenziata distanza delle due professioni, riportare in questo lavoro delle note sul come uno strumento psicologico venga recepito.

4.5.1

LE REAZIONI DEI MEDICI DI BASE

Per contattare gli otto medici di base (scelti a caso fra i 171 del comune di

69


Padova) in attività sono state sufficienti circa venti telefonate, con rifiuti che erano solitamente legati al poco tempo a disposizione nel periodo in cui sono state effettuate le interviste (gennaio, stagione di influenze). I medici intervistati hanno dimostrato notevole disponibilità e, in alcuni casi, interesse verso la spiegazione di ciò che questo lavoro si proponeva di analizzare, così come di che tipo di strumento si trattasse. Solo uno degli intervistati si è dimostrato piuttosto critico e scettico, pur mantenendo una buona disponibilità. Per quanto riguarda lo svolgimento dell’intervista non si sono riscontrati problemi nello spiegare la tipologia del confronto, seppure molte volte dovevo ricavare assieme all’intervistato il costrutto (non mi aspettavo per altro di ricevere risposte immediate, vista la particolarità dei confronti richiesti). A volte ci sono stati dei problemi nella fase di valutazione secondo la scala, causata, credo, da due fattori: 

La difficoltà di percepire una valutazione mediante una scala numerica che spesso doveva essere spiegata in termini di: “un po’ da una parte, del tutto, il 4 è a metà”. Non sono abituati, infatti, a formulare questi tipi di questionari, che diventavano intuitivi solo dopo aver compilato le prime due tre righe.

Le scale proposte dalle griglie sono particolari, in quanto non permettono, il più delle volte, di esprimersi attraverso un tutto/niente, ma impongono il dover avvicinarsi o distanziarsi da due caratteristiche che possono non essere intuitivamente dicotomiche. In aggiunta a ciò un ulteriore complicazione è data dal fatto che l’elemento centrale può a volte rappresentare un “e/e” ed altre un “o/o”.

Le interviste con i medici di base in attività sono state, invece, in qualche modo disturbate dal contesto in cui venivano svolte

70


Era molto difficile, infatti, concentrarsi nello studio di un medico di base, con il telefono che squillava molto spesso e lo stesso medico stanco. Spesso, infatti, a parte in tre casi in cui sono stato ricevuto per appuntamento, l’intervista era condotta alla fine dell’orario di ricevimento. Avevo inoltre promesso un’intervista di mezz’ora, e non potevo prendere troppo tempo in più. Tutto questo credo abbia portato allo scarso numero di costrutti emersi in queste interviste: la media raggiunta è di soli 9.9 costrutti per griglia (con un picco negativo di 7). Nelle interviste svolte con gli specializzandi e gli psicologi, invece, raramente veniva saltata più di una triade di elementi.

Gli specializzandi I problemi evidenziati con i medici non si sono invece riscontrati con gli specializzandi, le cui interviste sono state tutte condotte fuori da orari di lavoro. Questo ha permesso una maggiore possibilità di dialogo, con una conseguente maggiore ricchezza contenutistica degli elaborati. Molto positiva è stata, invece, la reazione all’intervista: nove adesioni sui dodici partecipanti al corso di specializzazione. C’è stato un notevole interessamento alla ricerca in sé e una certa curiosità verso lo strumento usato e i modi di elaborazione dei risultati. Si sono dimostrati curiosi verso un mondo che, per loro stessa affermazione (almeno della maggior parte), vorrebbero conoscere in misura maggiore. Mi è capitato, con una delle intervistate, di discutere riguardo la possibilità di un servizio di collaborazione fra medici di base e psicologi, del tipo descritto in 3.4, riscontrandone il parere favorevole. Ci sono stati meno problemi anche nell’uso dello strumento in sè, che non ha dato grossi problemi, sia nella fase di elicitazione dei costrutti (in cui c’era

71


comunque bisogno di una certa dose di “accompagnamento”), che in quella della valutazione degli elementi. Per quanto riguarda le reazioni agli elementi c’è da notare da parte dei medici (entrambi i gruppi, ma meno per gli specializzandi): 

Un rifiuto del mago, per il quale era spesso difficile far emergere il costrutto, data la difficoltà ad inserirlo nel contesto “aiuto alla persona”. Veniva comunque ammessa la popolarità della figura.

Una certa difficoltà nei passaggi fra un elemento “psi” e l’altro, con commenti che esprimevano la somiglianza percepita fra le varie figure (specie nel passaggio da psicoterapeuta a psicologo, evidentemente assimilati).

4.6 METODO D’ANALISI DEI RISULTATI

I dati raccolti sono stati inseriti nel programma di calcolo gridstat, utilizzando solo le statistiche di base. Le statistiche usate sono state: la media e la deviazione standard dei costrutti e la correlazione fra gli elementi. Le prime sono servite per valutare meglio i punteggi dello psicologo e le seconde per stilare una graduatoria delle correlazioni dello stesso con gli altri elementi.

Si è deciso di procedere nel seguente modo: 1.

E’ stata calcolata la media delle correlazioni, in modo da capire a quali figure lo psicologo fosse più simile, separando i dati di specializzandi, medici di base e psicologi per evidenziare meglio le differenze fra i tre gruppi.

72


2.

Si è passati poi ad un’analisi contenutistica dei costrutti ricavati, separandoli per argomenti in base a criteri di sovrapposizione, sovraordinazione e ridondanza di significato.

3.

Sono stati valutati i dati riguardanti lo psicologo raggruppando, per chiarezza e comodità di lettura, gli argomenti in più ampie aree tematiche.

4.

Sono alla fine state tratte le conclusioni, prendendo in considerazione tutto ciò che era emerso nelle fasi precedenti, ponendo attenzione anche agli argomenti più trattati nei vari gruppi di intervistati.

Si è deciso di porre sempre lo psicologo in confronto con le altre professioni “psi”, sia perché sono le quattro che maggiormente correlano, sia per il continuo riferirsi in bibliografia (articoli sull’immagine, dizionari) a queste professioni nel loro insieme.

4.7 LE CORRELAZIONI FRA LO PSICOLOGO E GLI ALTRI ELEMENTI

Il riferimento di questo paragrafo è il grafico in figura 1, nel quale sono rappresentati i dati di correlazione media riportati dallo psicologo rispetto agli altri elementi della griglia. L’analisi sarà effettuata dapprima osservando il totale generale (colonna grigia), successivamente verranno presi in considerazione i risultati separati dei medici (colonne azzurro, verde e blu) e degli psicologi (colonna rossa).

73


Figura 1: Correlazioni medie fra lo psicologo e gli altri elementi della griglia 0,80 0,70 0,60 0,50 0,40 0,30 0,20 0,10 0,00 -0,10 -0,20 -0,30

74

psicoterapeuta

psicoanalista

psichiatra

educatore

medico di base

neurologo

assistente sociale

scienziato

amico

sacerdote

mago

medici

0,78

0,64

0,71

0,18

0,62

0,45

0,06

0,20

-0,06

-0,08

-0,22

specializzandi

0,71

0,63

0,65

0,38

0,40

0,51

0,27

0,25

-0,26

0,02

-0,23

tot medici di base

0,74

0,64

0,68

0,28

0,51

0,48

0,16

0,23

-0,16

-0,03

-0,22

psicologi

0,64

0,59

0,15

0,38

0,05

0,04

0,30

0,00

0,36

0,23

-0,01

totale psic + med

0,69

0,61

0,41

0,33

0,28

0,26

0,23

0,11

0,10

0,10

-0,12


75


4.7.1

TOTALE GENERALE

Innanzitutto, se osserviamo i totali dei tre gruppi assieme –usati anche per ordinare le correlazioni in senso decrescente-, scopriamo una certa “logica” nell’ordinamento emerso. Le figure più vicine allo psicologo sono, infatti, lo psicoterapeuta e lo psicanalista, seguiti a breve distanza dallo psichiatra. Per tutte queste figure, accomunate dalla radice “psi”, le correlazioni sono le più alte (r=.69 per lo psicoterapeuta; r=.61 per lo psicoanalista e r=.41 per lo psichiatra). A seguire troviamo, con punteggi compresi fra r=.33 e r=.23, altri quattro professionisti che, per motivi diversi, possono essere in qualche modo avvicinabili allo psicologo: educatore (r=.33), medico di base (r=.28), neurologo (r=.26) ed assistente sociale (r=.23). Le correlazioni più basse si avvertono, infine, con altre quattro figure che differiscono notevolmente dallo psicologo (sono, fra l’altro, al di fuori del Sistema Sanitario Nazionale): scienziato (r=.11), sacerdote (r=.10), amico (r=.10) e mago (r=-.13).

4.7.2

MEDICI DI BASE

Per quanto riguarda i medici di base si nota come le correlazioni più alte si avvertano con le figure “psi”. Vi è un notevole accordo fra specializzandi e medici in attività, con i punteggi che sono più alti per lo psicoterapeuta (fino a r=.78), a seguire lo psichiatra (r=.68) e lo psicoanalista (r=.64). Per il resto delle figure i dati seguono abbastanza bene la tendenza del totale generale. Ci sono però delle interessanti differenze: 

76

La correlazione dello psicologo con il medico di base è più alta per i


medici di base in attività, rispetto a quella degli specializzandi (r=.62 contro r=.40). 

L’andamento opposto si riscontra, invece, nelle due figure più prettamente sociali: assistente sociale ed educatore hanno, nelle griglie degli specializzandi, maggiori punteggi di correlazione con lo psicologo (rispettivamente r=.27 contro r=.06 e r=.38 contro r=.18).

vi è un maggiore distacco dello psicologo dall’amico, per quanto riguarda gli specializzandi (r=-.26 contro r=-.06).

4.7.3

PSICOLOGI

Le correlazioni ottenute con il campione di psicologi sono, innanzitutto, più basse (indice di maggiore separazione della figura dello psicologo dalle altre professioni?). Infatti, se escludiamo lo psicoterapeuta e lo psicoanalista le cui correlazioni con lo psicologo si aggirano attorno allo 0.60 (r=.64 e r=.59), per il resto degli elementi si ottengono solo tre punteggi che superano r=.30. I profili sono, inoltre, piuttosto diversi da quelli emersi nel totale globale: 

Le correlazioni con lo psicologo di tutte le professioni mediche tendono ad abbassarsi fortemente (psichiatra: r=.15; medico di base: r=.05; neurologo r=.04). questi dati suggeriscono che l’ambito medico è visto distante da quello psicologico.

I dati delle correlazioni con assistente sociale (r=.30) ed educatore (r=.38) raggiungono i livelli massimi rispetto agli altri gruppi di intervistati.

Si avverte un avvicinamento maggiore dello psicologo al sacerdote (r=.23) e, soprattutto, all’amico (r=.36);

vi è un abbassamento fino a zero della correlazione con lo scienziato.

77


4.8 L’ANALISI CONTENUTISTICA

Nelle prossime pagine seguirà un elenco degli argomenti emersi durante l’analisi delle griglie, separati per aree tematiche. Per ogni argomento si è riportato un breve commento, per meglio comprendere i contenuti che verranno poi analizzati. La successiva analisi sarà effettuata tenendo separati i tre gruppi di soggetti. E’ capitato, durante l’analisi, di imbattersi in costrutti i cui poli potevano rientrare in due argomenti diversi. Si è deciso, di volta in volta, per il polo che sembrava rappresentare maggiormente il significato dell’intera dicotomia. Ad

esempio:

il

costrutto

“scientifico/relazione”

è

stato

assegnato

all’argomento “relazione” per il significato complessivo che sembra assumere (una sorta di separazione fra una relazione personale e un rapporto più professionale).

NOTA: Per i motivi sopra espressi, ogni argomento possiede una sigla rintracciabile sulle griglie riportate in appendice. Abbiamo allegato le griglie, per permettere al lettore di poter seguire in modo agevole le scelte compiute durante questa fase di elaborazione dei risultati, fase essenzialmente qualitativa. La presentazione delle griglie in appendice permette, inoltre, di compiere analisi (ad esempio valutare somiglianze e differenze fra elementi, al di là di quelle con lo psicologo) non racchiuse in questo lavoro. Per ogni area tematica vengono presentati i vari profili che emergono dall’elaborazione dei dati dei tre gruppi di intervistati: medici di base in attività, specializzandi in medicina generale e psicologi.

78


4.8.1

SUDDIVISIONE IN ARGOMENTI E AREE TEMATICHE

Di seguito, verrà riportata una tabella riassuntiva dell’analisi contenutistica. Si ricorda che gli argomenti analizzati sono stati raggruppati in aree tematiche. Non sono stati inseriti nell’analisi 9 costrutti (1 per i medici, 2 per gli specializzandi e 6 per gli psicologi), perché presenti singolarmente nelle 32 griglie e pertanto non confrontabili.

Area tematica /

Specializzandi

Psicologi

22.7 (2)

18.5

21.7

7 (3) /12 (4)

7/ 13

14/ 20

Costi (C)

2/ 2

0/ 0

2/ 3

Etica (ET)

2/ 2

3/ 4

7/ 7

Fiducia attribuita (FID)

1/ 2

0/ 0

7/ 9

18.9

14.1

22.2

Scienza (SC)

8/ 8

6/ 6

9/ 9

Rigore e concretezza (RIG)

4/ 5

5/ 7

13/ 22

Rinnovo e confronto (RIN)

2/ 2

0/ 0

6/ 9

8.9

15.2

18.8

Relazione (R)

6/ 7

7/ 11

12/ 17

Funzione d’ascolto (ASC)

0/ 0

1/ 1

7/ 10

Effetti sulla persona (EFF)

0/ 0

2/ 2

3/ 3

Pregiudizi morali (MOR)

0/ 0

0/ 0

3/ 4

Argomento 1

base

Professione 21.1 (1)

Professionalità (PR)

2

Scienza e Temi affini 19.4

3

Medici di

Modalità Relazionali 15.7

79


Area tematica /

Medici di

Specializzandi

Psicologi

20.2

17.4

11.1

Terapia (T)

4/ 5

3/ 3

5/ 5

Obbiettivi (OBB)

4/ 5

3/ 3

1/ 1

Normale/ malato (NM)

1/ 1

2/ 2

1/ 1

Farmaci (F)

2/ 2

3/ 3

3/ 4

Limitato/ globale (LG)

2/ 3

4/ 5

3/ 3

Causa/ sintomo (CS)

0/ 0

0/ 0

5/ 6

10.1

8.7

7.7

2/ 2

2/ 2

8/ 9

6/ 6

6/ 6

5/ 5

11.4

14.1

7.7

Psiche/ corpo (PC)

2/ 3

4/ 5

6/ 8

Mente/ cervello (MC)

2/ 2

3/ 4

3/ 4

SpiritualitĂ (S)

3/ 4

3/ 4

2/ 2

6.3

9.8

7.8

Equipe (EQ)

1/ 1

2/ 2

1/ 1

Lavoro con persone (PERS)

0/ 0

1/ 1

3/ 3

Persone/ cose (COSE)

0/ 0

1/ 1

5/ 5

Tempo dedicato (TEMPO)

1/ 1

1/ 1

1/ 1

Argomento 4

base

ModalitĂ di Cura 14.8

5

Rapporto con il Sociale 8.5

Individuo/ contesto (IC) Salute

mentale/

problemi

materiali (SMPM) 6

Mente/ Corpo/ Spirito 10.2

7

Altri Temi 7.9

80


Medico/non medico (M)

0/ 0

2/ 2

3/ 3

Vocazione (V)

0/ 0

2/ 2

1/ 1

Nozioni di psicologia (PS)

2/ 3

0/ 0

0/ 0

Legenda: (1): percentuale di costrutti nell’area tematica rispetto al totale degli stessi (351). (2): percentuale di costrutti per area rispetto al totale nei singoli gruppi di intervistati. (3): numero di intervistati che hanno indicato costrutti nell’argomento. (4): numero totale di costrutti a disposizione per l’analisi.

4.8.2

CONTENUTO DEGLI ARGOMENTI ED ANALISI

Iniziamo questa analisi riportando due note importanti. 1.

I costrutti si sono concentrati, fondamentalmente, sull’area professionale (in senso lato) con una prevalenza di temi quali la professione, il rigore e le forme di relazione. Non sono presenti, salvo rari casi, indicazioni riguardo alle qualità personali delle varie figure. Le differenze contenutistiche fra i tre gruppi saranno sviluppate nel paragrafo delle conclusioni.

2.

I dati numerici complessivi sono: 79 costrutti per i medici di base (media di 9.9 a griglia); 92 per gli specializzandi (media di 11.5 a griglia) e 180 per gli psicologi (media di 11.25 a griglia).

1.

AREA PROFESSIONE

In quest’area ci sono tutti gli accenni alla professionalità, agli studi, all’etica, ai costi; a tutti quei problemi,cioè, che rientrano all’interno della giustificazione legale o etica dell’agire di un professionista.

81


Professionalità (PR) Qui sono elencati gli accenni al grado di professionalità, al tipo di studi o specializzazioni raggiunte, alla possibilità d’uso di strumenti o mezzi in modo generico.

Costi (C) I costi degli interventi.

Etica (ET) Gli accenni ai problemi etici: la figura è onesta o raggira? Si “prende cura” della persona che le si rivolge?

Fiducia attribuita (FID) Le note, la fiducia, la sicurezza o l’utilità percepita dall’intervistato, nei confronti dei vari elementi. 

Analisi

MEDICI DI BASE Le valutazioni riguardanti lo psicologo sono pressoché sempre positive: a parte uno degli intervistati, non sembrano esserci dubbi sul suo livello di professionalità ed etica, con punteggi sempre massimi. Il confronto con le altre figure “psi” risulta sempre alla pari. Si nota in un’intervista un notevole carattere di improvvisazione attribuito allo psicanalista. E’ interessante il dato sui costi perché lo psicologo e lo psichiatra sono valutati di medio costo; mentre lo psicoterapeuta e lo psicanalista sono ritenuti molto costosi.

82


SPECIALIZZANDI Anche per questo gruppo non vi sono dubbi sulla professionalità e sull’etica delle quattro professioni “psi”. C’è da notare, però, una leggera flessione nelle valutazioni dello psicologo rispetto agli altri tre. Vi è anche un accenno, da parte di un intervistato, al fatto che esso lavora con meno strumenti in mano. Non vi sono costrutti riguardanti costi o fiducia ispirata.

PSICOLOGI In molte griglie lo psicologo viene descritto, sotto diversi aspetti, come meno preparato rispetto agli altri tre “psi”. Gli intervistati hanno accennato alla sua non specializzazione e al suo essere meno professionale (addirittura, per un intervistato, è meno colto degli altri). La fiducia percepita nei suoi confronti non viene comunque messa in dubbio. Lo psicoterapeuta appare, professionalmente, il migliore sotto tutti i profili. Nello psichiatra viene, invece, riposta la minore fiducia (mai a livelli realmente bassi, comunque).

2.

AREA SCIENZA E TEMi AFFINI

Scienza, rigore, concretezza e capacità di rinnovarsi sono gli argomenti racchiusi in quest’area. C’è da notare che, nel gruppo degli psicologi, emergono più costrutti in aree inerenti a parametri di rigore, metodologia, tendenze al concreto, tipi di dati, ecc; che espliciti riferimenti alla scienza.

83


Scienza (SC) Accenni alla scientificità (come atteggiamento o metodo), di solito contrapposta o alla non scientificità o alla fede.

Rigore e concretezza (RIG) In questa categoria sono presenti tutti i costrutti che si riferiscono al rigore metodologico, alla concretezza dei dati con cui si lavora e alla loro verificabilità.

Rinnovo & confronto (RIN) Per rinnovo e confronto si intende sempre un “mettersi a confronto”, ma, nel primo caso ci si riferisce all’avanzare delle “scoperte” e, nel secondo, al dialogo con gli altri professionisti/ colleghi. 

Analisi

MEDICI DI BASE In quasi tutte le interviste viene attribuito allo psicologo un alto livello di scientificità e rigore. Non mancano però le eccezioni, nelle quali lo stesso si sposta su livelli medi. Per le altre tre figure “psi” i livelli si mantengono sempre alti. Lo psichiatra risulta la figura più rigorosa.

SPECIALIZZANDI Anche in questo caso lo psicologo viene fatto rientrare nell’area scientifica con alcune differenze rispetto agli altri “psi”, valutati un po’ più rigorosi. Emerge anche il loro trovarsi a lavorare con dati non verificabili, affrontandoli comunque con il livello più alto possibile di precisione.

84


PSICOLOGI I livelli di scientificità e rigore attribuiti allo psicologo sono, a parte alcune eccezioni, fondamentalmente medi. Nessuna valutazione di assoluta scientifiticità, rigore o concretezza. Lo psicologo è visto (e con lui lo psicoterapeuta e lo psicanalista) anche umanista, astratto, non rigoroso, e così via. La differenza è invece più evidente con lo psichiatra, che sembra separarsi dalle altre figure proprio per un maggiore rigore in quasi tutte le valutazioni. Per quanto riguarda la tendenza a rinnovare le proprie idee e ad ascoltare altri pareri, per tutte le figure “psi” il livello è medio alto, senza grosse differenze fra lo psicologo e gli altri.

3.

AREA MODALITA’ RELAZIONALE

Quest’area non riguarda solo la semplice relazione (personale o professionale), ma anche l’ascolto, i pregiudizi morali e gli effetti provocati dalla figura d’aiuto. Relazione (R) Qui sono racchiusi tutti gli accenni alla possibilità (o meno) di una relazione personale e al grado di vicinanza percepito con i vari elementi della griglia.

Effetti sulla persona (EFF) Si parla di autostima, tendenza ad affascinare, aspettative e vergogna. Sono dei costrutti interessanti, anche se purtroppo presenti in misura minima. Funzione d’ascolto (ASC) Questa categoria è emersa quasi esclusivamente nelle interviste con gli

85


psicologi. Si tratta di costrutti relativi al grado d’ascolto, contrapposto ad altre caratteristiche che, in genere, evidenziano rigidità o tendenza a “spingere verso qualcosa d’altro” la persona, anche solo per istruirla.

Pregiudizi morali (MOR) La moralità è qui intesa come caratteristica personale che inquina la relazione. I costrutti sono emersi nei confronti con il sacerdote. 

Analisi

MEDICI DI BASE Secondo i medici di base è attuabile la possibilità, per i quattro “psi”, di instaurare un rapporto con il “paziente” che vada al di là di quello professionale. Non mancano, tuttavia, i pareri discordanti, che però non coinvolgono quasi mai lo psicologo. Lo psichiatra risulta essere, all’opposto, il più distaccato.

SPECIALIZZANDI Per gli specializzandi la relazione fra i vari “psi” e i loro clienti rimane su livelli maggiormente professionali: è più distaccata o gestita dal professionista. Lo psicologo risulta l’unico ad avere una maggiore vicinanza con la persona. Interessanti due accenni: uno al fatto che tutti i professionisti “psi” possono ledere l’autostima e l’altro al fatto che essi portano la persona che si rivolge a loro ad un notevole impegno personale (questo non vale per lo psichiatra).

PSICOLOGI Per lo psicologo è sicuramente possibile un rapporto più ravvicinato e meno

86


professionale con la persona che ad esso si rivolge. In molte griglie vi sono accenni alla sua vicinanza e confidenzialità. Da questo tipo di profilo si allontana, invece, lo psichiatra che, anche se mai in modo eccessivo, è rappresentato come più staccato o distante. Non emerge quasi nessuna differenza fra psicologo, psicoanalista e psicoterapeuta. Sono interessanti le indicazioni riguardanti la suggestività di queste figure (non lo psichiatra) e l’accenno alla possibilità di vergognarsi nell’entrare in contatto con loro. Allo psicologo non sono stati attribuiti pregiudizi morali.

4.

AREA MODALITA’ DI CURA

E’ un ampia area che comprende, oltre ai semplici riferimenti alla cura, anche numerosi altri temi importanti ad essa collegati.

Terapia (T) Sono i riferimenti molto specifici alla terapia (o cura, guarigione), di solito contrapposta al semplice sostegno.

Cambiamento, obbiettivi (OBB) Categoria maggiormente poliedrica della precedente; racchiude in sé tutti i riferimenti al porsi degli obbiettivi o alle intenzionalità nel cambiamento (così come la possibilità di realizzarlo), in contrapposizione all’agire guidati dall’improvvisazione.

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Normale/malato (NM) Qui viene trattato il problema normale/malato, e quindi la pertinenza, riguardo all’ambito della malattia, della figura da valutare.

Farmaci (F) L’uso dei farmaci. Molto spesso l’uso dei farmaci è stato contrapposto, con toni spesso dispregiativi verso il farmaco, ad altri metodi sostanzialmente relazionali. Campo d’azione limitato o globale (LG) Comprende una serie di costrutti che fa riferimento a quanto specifico o limitato sia il campo d’intervento, in un’ottica che contrappone a questo il vedere la persona nella sua globalità.

Causa, sintomo (CS) In questa categoria sono inclusi: i semplici riferimenti alla cura del sintomo, in contrapposizione alla ricerca della causa del problema e le indicazioni riguardo all’utilizzo dell’intera storia della persona, rispetto al guardare il solo momento presente. 

Analisi

MEDICI DI BASE Sembra che lo psicologo venga accorpato agli altri “psi” per quanto riguarda il curare, o fare terapia e il procedere con obiettivi prestabiliti (c’è solo un’eccezione). Ci sono cenni alle maggiori potenzialità dello psicoterapeuta o dello psicanalista.

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Anche per quanto riguarda la specificità d’azione, allo psicologo vengono attribuiti compiti un po’ più vaghi e una visione più globale dell’individuo. L’uso dei farmaci è escluso dalle sue competenze.

SPECIALIZZANDI Non ci sono molte differenze fra lo psicologo e gli altri “psi” per quanto riguarda la possibilità di fare terapia, anche se c’è una tendenza a spostarsi un po’ verso il semplice supporto (dove il costrutto contrappone terapia e sostegno). Il grado di focalizzazione e specificità rimane a livelli medi, con lo psicologo che si sposta maggiormente verso uno visione dell’intera persona. Non viene escluso del tutto l’uso dei farmaci da parte di non psichiatri.

PSICOLOGI Lo psicologo (che anche in questo caso si avvicina, nelle valutazioni, a psicoterapeuta e psicanalista) si trova a metà strada fra la cura e il semplice sostegno, con alcune note più forti verso questa seconda area di pertinenza. Tale dato non cambia sia che si parli di terapia, di cambiamento o di trattamento della malattia. Si evidenziano differenze con lo psichiatra, sicuramente maggiormente spostato in direzione “malattia”, con in aggiunta l’esclusività nell’uso dei farmaci. Lo psicologo risulta essere sempre portato ad osservare la persona intera, piuttosto che il semplice sintomo. Anche qui si evidenzia una diversità con lo psichiatra: quest’ultimo sembra concentrarsi maggiormente sul sintomo.

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5.

AREA RAPPORTO CON IL SOCIALE

Due sole categorie presenti in quest’area: la prima più citata dagli psicologi, la seconda dai medici.

Individuo/contesto (IC) Ci si riferisce al fatto che la figura valutata sia più focalizzata sull’individuo o sul contesto ambientale.

Salute mentale / Problemi socio ambientali (SMPM) Gli intervistati, con questo costrutto, dividono le competenze delle varie figure fra l’ambito clinico e quello riferito a problemi materiali o sociali. 

Analisi

MEDICI DI BASE Non ci sono dubbi sulla collocazione degli psicologi all’interno della salute mentale. La visione è focalizzata sull’individuo (il profilo è uguale per gli altri “psi”).

SPECIALIZZANDI Lo psicologo è sempre molto spostato verso la salute mentale, ma vi sono delle eccezioni: alcuni specializzandi lo collocano a metà strada fra problemi materiali e problemi interiori. Gli altri tre “psi” vengono inseriti senza dubbi nell’ambito della salute mentale. La focalizzazione è sempre sull’individuo, anche se non in modo netto come risulta dalle griglie dei medici di base in attività.

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PSICOLOGI Lo psicologo si colloca a metà strada fra l’individuo e il contesto con pareri piuttosto unanimi. Solo lo psicanalista è nettamente rivolto verso l’individuo. Lo psicologo è inserito a metà strada anche fra salute mentale e problemi socio ambientali. Si differenzia, in questo caso, dagli altri tre “psi”, che si collocano, in misura maggiore nell’ambito della salute della persona.

6.

AREA MENTE, CORPO, SPIRITO

Qui sono raccolti i costrutti che riguardano l’appartenenza dello psicologo ai tre ambiti e il suo giostrarsi all’interno delle suddivisioni della psiche.

Psiche, corpo (PC) Ci si riferisce ad un interesse rivolto verso problemi interiori (psiche) versus esteriori (corpo). E’ interessante notare come i medici di base (e in parte anche gli psicologi) si riferiscano a questo tema con il costrutto “interno/esterno”.

Collocazione mente (e sue specifiche)/cervello (MC) Vi sono in questa categoria tutti quei costrutti che collocano gli interessi dell’elemento fra mente, emozioni e cervello.

Accenni a spiritualità e fede (S) Ogni accenno alla spiritualità (senza considerare i costrutti che fanno riferimento alla fede versus scienza, lasciati comunque nel tema scientifico).

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Analisi

MEDICI DI BASE Il mondo dello psicologo, e degli altri “psi”, non è sicuramente quello della spiritualità né, in genere, quello dei problemi fisici. Questo non vale per psicoanalisti e psichiatri, ai quali viene riconosciuto il trattamento nell’ambito dei problemi fisici. E’ interessante la distinzione fatta da un intervistato fra emozioni e funzioni mentali: egli assegna lo psicologo e gli altri “psi” totalmente a quest’ultima area. Per quanto riguarda l’area neurologica, solo allo psichiatra e allo psicoanalista sono state attribuite pertinenze in tale ambito.

SPECIALIZZANDI Anche per questo gruppo, lo psicologo si situa al di fuori dell’ambito corporeo. Gli altri “psi” seguono questo profilo, con delle leggere deviazioni. Come per i medici, un intervistato ha espresso il costrutto “psiche/emozioni”; ma la collocazione dello psicologo, in questo caso, è centrale. La spiritualità non viene per forza esclusa a priori dall’ambito di pertinenza dello psicologo.

PSICOLOGI Anche qui c’è una certa divisione lungo l’asse psicologo (con psicoterapeuta e psicanalista a seguire) – psichiatra. Lo psicologo si occupa quasi solo di psiche, lo psichiatra si posiziona anche in ambito corporeo – neurologico. I problemi religiosi vengono esclusi dall’ambito di pertinenza dello psicologo.

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7.

ALTRI TEMI

Una serie di altri temi che, sebbene presente in modo molto saltuario nelle griglie, riveste comunque un certo interesse. L’analisi verrà compiuta separatamente per ogni singola categoria.

Equipe (EQ) Si riferisce alla tendenza a lavorare maggiormente da soli o in equipe Il lavoro d’equipe è ipotizzato per lo psicologo, con diversi gradi di valutazione. Lo psicoterapeuta e lo psichiatra sembrano essere le figure più “solitarie”.

Lavoro con persone (PERS) Si intende la tendenza a lavorare a contatto diretto con le persone, piuttosto che restare chiusi in un laboratorio o porsi come tramite fra la persona (cliente, paziente) e l’operatore. Emersi, di solito, nei confronti con lo scienziato. Lo psicologo e altri “psi”, in questo senso, lavorano tutti a contatto con le persone.

Persone/Cose (COSE) Questo tipo di dicotomia, originata nei confronti con mago o scienziato, contrappone il lavorare con persone (o “animato”) al lavorare con cose (o “inanimato”, o un “dato”). Anche in questo caso, l’attenzione dello psicologo (e degli altri “psi”) è rivolta alle persone. Fa una sola eccezione lo psichiatra che, in una griglia, si sposta maggiormente verso il dato.

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Tempo dedicato (TEMPO) Costrutto emerso nei confronti in cui era inserito lo psichiatra. Lo psicologo sembra essere, in media, nei tre gruppi di intervistati, quello che dedica maggior tempo alla persona, rispetto agli altri tre “psi”.

Medico/non medico (M) Il costrutto pone l’accento sull’appartenenza dei vari elementi all’orizzonte medico. Lo psicologo è fondamentalmente un “non medico”, sia per gli specializzandi che per gli psicologi. A parte il dato scontato dello psichiatra, ci sono pareri diversi per psicoterapeuta e psicoanalista, che in genere si collocano a metà strada fra il medico e il non medico.

Vocazione (V) E’ interessante l’emergere di questa importante caratteristica di qualsiasi professione: il professionista è o fa qualcosa? Diversi, in questo caso, i pareri fra specializzandi e psicologi (ma ricordiamo, come per le altre categorie qui analizzate, che i costrutti a disposizione sono di solito 2 o 3). Per gli specializzandi le professioni “psi” in genere sono una via di mezzo fra vocazione e lavoro, per gli psicologi sono più protese verso la persona e meno tecniche, eccetto la professione psichiatrica, vista come più tecnica.

Nozioni di psicologia (PS) Gli intervistati (due medici di base in attività), con i costrutti inseriti in questa categoria, intendevano il possedere, da parte dei vari elementi, delle nozioni di psicologia, come caratteristica utile alla loro professione.

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Dato che non è un costrutto analizzabile per quanto riguarda lo psicologo, è interessante osservare come le conoscenze psicologiche vengano ritenute necessarie, o siano presenti come attributo, in quasi tutte le altre professioni. Ne è un esempio il medico di base, che ottiene punteggi molto simili a quelli dello psicologo.

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4.9 CONCLUSIONI Nella stesura di queste conclusioni, si porrà l’attenzione al confronto fra i medici di base e gli psicologi cercando di unire, all’interno di un’analisi complessiva, tutti i risultati precedentemente riportati (analisi delle correlazioni e contenutistica).

4.9.1

I TEMI EMERSI

Le aree più trattate sono, nel totale complessivo: professione (21.1%) e scienza e tematiche affini (19.4%); seguono modalità relazionali (15.7%) e di cura (14.8%); infine, psiche-corpo-spirito (10.2%) e rapporto con il sociale (8.5%). Per quanto riguarda le differenze fra gruppi di soggetti: in genere, i medici di base hanno fatto emergere maggiori costrutti nell’area “modalità di cura” e gli psicologi in quella “relazionale”. Maggiore similitudine nelle altre aree tematiche. Più interessante è però guardare ai singoli argomenti. Si scopre così che i medici, all’interno dell’area scientifica, parlano quasi solo di scienza, mentre gli psicologi si concentrano di più su tematiche ad essa affini: rigore, concretezza, confronto. Allo stesso modo i medici si concentrano, per quanto riguarda il “rapporto con il sociale”, maggiormente sul campo di pertinenza (salute mentale/problemi materiali) che non sulla focalizzazione della “cura” (individuo/contesto). All’interno delle “modalità relazionali”, c’è poi da sottolineare il fatto che gli psicologi parlano di molti argomenti, andando al di là di la di costrutti come “relazione personale/ professionale”: essi danno maggiore attenzione a temi quali “l’ascolto”, “l’effetto provocato” o i

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“pregiudizi morali”. Crediamo che tutte queste differenze rendano i medici di base, in genere, più attenti al Cosa fa, con gli psicologi concentrati in misura maggiore sul Come opera.

Si riscontra, inoltre, una maggiore varietà negli argomenti trattati nelle griglie di specializzandi e psicologi (in particolar modo). E’ bene ricordare, infatti, che è solo da questi intervistati che sono emersi costrutti come “realtà/fantasia”, “obbligo del segreto/bonaccione”, “medico/non medico”, o costrutti iscritti in categorie quali: lavoro con cose verso persone o laboratorio, vocazione, funzione d’ascolto, effetto provocato. Se questo è forse dovuto alla maggiore tranquillità in cui si sono tenute le interviste; ciò non toglie che essi hanno saputo osservare gli elementi sotto un maggior numero di aspetti.

4.9.2

QUAL’E’ LA RAPPRESENTAZIONE DELLO PSICOLOGO

La correlazione media fra psicologo e psichiatra, nelle interviste con gli psicologi è molto bassa (r=.15); questo a differenza di quanto avviene nelle griglie dei medici di base, in cui le due figure risultano piuttosto simili (r=.68). Anche per lo psicoterapeuta (r psicologi =.64; r medici =.74) e per lo psicanalista (r

psicologi

=.59; r

medici

=.64), che pure vengono avvicinati allo psicologo in

entrambi i gruppi, si notano, nel gruppo degli psicologi, delle flessioni nei punteggi di correlazione con lo psicologo. Tali valori di correlazione fanno assumere alle quattro figure “psi” dei profili diversi nei due gruppi di intervistati: per i medici sono piuttosto sovrapposte, per gli psicologi si collocano lungo l’asse psicologo (con vicini psicoterapeuta

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e psicoanalista) – psichiatra. Queste differenze derivano da: 

Nei medici di base lo psicologo è, quasi sempre, tanto professionale quanto gli altri tre “psi”, e raggiunge i punteggi massimi nelle valutazioni di tale caratteristica. Questo non avviene nelle griglie degli psicologi, che tendono a collocarlo, a differenza di psichiatra, psicoanalista e psicoterapeuta, a livelli medi di professionalità.

Inoltre, sempre secondo i medici di base lo psicologo raggiunge alti livelli di scientificità e rigore, mentre gli psicologi lo collocano in bilico fra l’essere scientifico, rigoroso e concreto da una parte, e l’essere astratto, meno rigoroso e con un approccio alla persona più umanista, dall’altra. In questo è notevole la differenza con lo psichiatra: profondamente scientifico e rigoroso. Si noti, a questo proposito, che lo scienziato ottiene una correlazione più bassa nelle griglie degli psicologi (r=0 contro quella dei medici pari a r=.23).

Per quanto riguarda le competenze, si avverte nei medici di base una collocazione molto più clinica dello psicologo, spesso assimilato agli altri tre “psi” (ma ci sono dei pareri discordanti). Gli psicologi sembrano invece far emergere una natura più “ibrida” della professione, in bilico fra terapia e supporto, fra individuo e contesto, fra salute mentale e problemi materiali e sociali (per queste due ultime dicotomie, gli specializzandi concordano un po’ di più con gli psicologi). Si separano nettamente psicologo e psichiatra, dato che quest’ultimo risulta molto più orientato in direzione clinica. E’ meno netta la separazione con gli altri due “psi”. E’ importante notare come, nelle valutazioni dei medici di base in attività

98


, educatore e assistente sociale siano più lontani dallo psicologo, rispetto ai giudizi dati da specializzandi e psicologi. 

Fra i tre gruppi di intervistati ci sono anche delle differenze per quanto riguarda il tipo di relazione che si può instaurare fra lo psicologo e il suo cliente. Per gli psicologi, lo psicologo (e con lui lo psicoterapeuta e lo psicoanalista) è una figura maggiormente “relazionale”: più vicina e confidenziale. In questo si differenzia notevolmente dallo psichiatra: più rigido e distaccato. Per i medici di base, e soprattutto per gli specializzandi, lo psicologo è invece maggiormente distaccato, anche se una relazione meno esclusivamente professionale con il proprio cliente è (specie nei medici di base in attività) ipotizzata. Anche per questi due gruppi di intervistati lo psichiatra è visto come più rigido e distaccato. Si noti, a sostegno di tutto ciò, come l’amico sia molto più vicino allo psicologo nelle griglie degli psicologi (r=.36 contro una media globale di r=.10) e molto più lontano in quelle degli specializzandi (r=-.26). Profilo simile si nota nelle correlazioni con il sacerdote.

Per molte delle tematiche sopra esposte (fa eccezione la relazione), gli specializzandi, pur rimanendo vicino ai colleghi medici, spostano le loro valutazioni un po’ più verso quelle date degli psicologi. Crediamo che questo possa essere interpretato come indice di una minore distanza professionale fra i nuovi medici (laureati dopo la riforma del corso di laurea in medicina attuata nel 1994) e gli psicologi.

I pareri dei vari gruppi di intervistati concordano invece sulle competenze dello psicologo all’interno della suddivisione psiche, corpo, spirito:

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pressoché tutti lo collocano all’interno dell’ambito “psichico”. Lo psichiatra si connota anche in senso corporeo–neurologico.

Riportiamo, alla fine di questa analisi, due commenti sul grafico delle correlazioni: 1.

nelle griglie degli psicologi si nota come, oltre allo psichiatra, sia il neurologo che il medico di base correlino poco con lo psicologo. Evidentemente, essi separano in modo piuttosto netto psicologi e medici. Questo non si avverte nei medici di base che, forse perché più concentrati sulle competenze delle varie figure professionali, avvicinano molto di più tutti questi elementi allo psicologo.

2.

Uno dei problemi che sembra minare l’immagine dello psicologo è quello di poter essere confuso con ambiti legati al magico (Benjamin, 1986; Perussia, 1994). E’ importante sottolineare il fatto che il mago, in questa ricerca, venga sempre, e in modo piuttosto evidente, allontanato dallo psicologo (r=-.013).

4.9.3

I PROFILI A CONFRONTO CON LA BIBLIOGRAFIA

Nei profili dei medici di base lo psicologo sembra appartenere, a causa delle valutazioni che lo sovrappongono notevolmente con gli altri “psi” (specie psicoterapeuta e psichiatra), maggiormente all’ ambito clinico. Questo concorda con alcuni dati emersi in bibliografia: 

La confusione fra psicologo e le altre figure “psi” (Gasparini, 2002; Bernard e Fontane, 1993).

La tendenza a sovrapporre psicologo e ambito clinico-terapeutico (Favretto, Majer, 1990);

100


Il fatto che i medici di base ritengano lo psicologo professionale, rigoroso e scientifico coincide inoltre con i risultati emersi nella ricerca di Gasparini (2002). Nei profili degli psicologi, invece, lo psicologo è una figura dall’applicazione più sfumata: un misto di clinico e sociale. E’ utile un confronto, a questo proposito, con Henry, Sims e Spray (1971), riguardo quello che loro definiscono come carattere “ibrido” della professione. Lo psicologo possiede notevoli doti di comprensione e sostegno (ricordiamo la relativa vicinanza con l’amico), ma in genere è meno professionale, scientifico e rigoroso. In questo riscontriamo delle somiglianze con i dati emersi nella ricerca di Pediconi e Rossi (1998), nella quale lo psicologo è visto da un campione di studenti di psicologia al primo anno principalmente come una figura relazionale (45.5% degli intervistati). Tale tendenza sembra permanere alla fine del corso di laurea. Si riscontrano, inoltre, le seguenti somiglianze con la bibliografia a proposito del rapporto fra psicologo e psichiatra. 

L’ambito del trattamento della malattia è assegnato quasi in esclusiva allo psichiatra. Questo coincide con quello che dicono i dizionari (Perussia, Bonaiuto, 1995; Zingarelli, 1999) e, in parte, con alcuni dati dell’analisi di Von Sidow e Reiner (1998).

Si sono riscontrate differenze fra psicologo e psichiatra: più familiari i primi e più staccati i secondi, che però ottengono migliori valutazioni in quanto a professionalità, rigore e scientificità. Anche questo dato viene evidenziato da Von Sidow e Reiner (1998) nella loro analisi.

Da notare infine come lo scontro con i propri colleghi medici, percepito dai laureati in psicologia (Favretto e Majer, 1990), sembra trovare una nota di

101


conferma nelle basse correlazioni emerse fra psicologo e medici (neurologi, medici di base e psichiatri) in questo lavoro.

4.9.4

LIMITI E POSSIBILI SVILUPPI

Scopo di questo lavoro era compiere un’indagine di significati personali, un’indagine qualitativa su di un tema non troppo trattato in bibliografia. Le scelte effettuate, in primo luogo lo strumento adottato e le sue premesse teorico-epistemologiche, sono state compiute all’interno di questa prospettiva di ricerca. Coerentemente, non si pretende di poter generalizzare i risultati ottenuti dalle 32 interviste. Del resto, la stessa prospettiva costruttivista cui si fa riferimento rifiuta le procedure di campionamento e generalizzazione statistica, in quanto non “adatte” allo studio dei significati. Ci sono stati, con alcuni soggetti, dei problemi di setting (gli studi dei medici di base), che però non hanno ostacolato in modo eccessivo le interviste, permettendo comunque la raccolta di molte informazioni significative. Per quanto concerne l’interpretazione dei dati, speriamo di aver fornito sufficienti informazioni riguardo le scelte effettuate durante la nostra lettura delle griglie; così da permettere al lettore di sottoporre questo lavoro alla propria critica. Riguardo i possibili sviluppi, iniziamo con il dire che lo strumento è stato in grado di fornire degli apprezzabili risultati: molti temi trattati, con delle costanti che hanno permesso un’analisi non caotica e, inoltre, alcune differenze degne di attenzione nelle rappresentazioni emerse. Gli intervistati hanno mostrato, quasi sempre, di gradire tale procedura d’intervista, ritenendola interessante, anche se impegnativa, data la difficoltà nell’elaborare confronti a cui normalmente non si pone attenzione (ma

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crediamo questo sia un bene). Riterremo quindi utile procedere con un lavoro di questo tipo, compiendo un numero piÚ elevato di interviste alle diverse categorie professionali presenti nella griglia, in modo da ottenere un panorama piÚ ampio dell’immagine dello psicologo nel confronto con gli altri professionisti della salute pubblica.

103


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Dott. Daniele Andrian

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114

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