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SEBASTIAO SALGADO Progettazione e sviluppo di un concept exhibition

Master in Interior Design A.A. 2014-2015 Studente: Dario Borruto Relatore: Leonardo Bua Correlatore: Francesco Armato

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Capitolo I Progetto Genesi

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Pianeta Sud 10 Santuari 14 Africa 18

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Stupire attraverso il linguaggio

Terre Del Nord 22

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Architettura effimera

Amazzonia E Pantanal 26

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Comunicare per stimolare

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Relazione tra visitatore ed esposizione

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Illuminazione negli spazi espositivi

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Bibliografia e sitigrafia di riferimento

Capitolo II

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Capitolo III Progettazione e sviluppo di un concept exhibition

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Sketch concept

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Lab for a photographer

Schemi e distribuzione in pianta

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Tangy collection, concept store

Layout reception desk 50

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House for a writer

Layout pannelli informativi

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Mediterranean signs

Layout di distribuzione delle fotografie

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Cooworking Lab

Esploso assonometrico

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Smoothie fruits, food truck

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salvatore ferragamo, analysis of the museum

Capitolo IV -

master workshops

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Capitolo I

Progetto Genesi “Guardare una foto di Sebastião Salgado non vuol dire solo fare l’incontro dell’altro, ma anche incontrare se stessi. Vuol dire fare esperienza della dignità umana, capire ciò che significa essere una donna, un uomo, un bambino. Probabilmente Sebastião nutre un amore profondo verso le persone che fotografa. Altrimenti come potremmo sentirle così presenti, vive e fiduciose?” Isabelle Francq, Sebastiao Salgado, Dalla mia terra alla terra, Edizione contrasto, 2014.

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enesi è un progetto fotografico a lungo termine incentrato sulla natura. In un primo momento era stato concepito come una protesta contro gli abusi che l’umanità commette continuamente nei confronti del pianeta. L’idea era quella di mostrare come il prezzo dello sviluppo sia diventato l’inquinamento di aria, acqua e terra. Ma, dopo aver fondato l’Instituto Terra, Salgado pianta centinaia di migliaia di nuovi alberi in una sua vecchia proprietà e attraverso la fiducia in questa rinascita, riscopre la bellezza della natura e vuole renderle omaggio attraverso Genesi. In otto anni compie 32 viaggi nei più remoti angoli del globo, spesso insieme alla moglie Lèlia e al figlio Juliano, l’obiettivo era scoprire paesaggi, animali e popoli non ancora raggiunti dal braccio dell’uomo. “Abbiamo deciso di intitolare questo progetto Genesi perché abbiamo immaginato di riportare indietro le lancette dell’orologio per tornare al tempo delle eruzioni vulcaniche e dei terremoti che hanno modellato la Terra; all’aria, all’acqua, al fuoco da cui è nata la vita; alle specie animali che ancora non si sono lasciate addomesticare; alle tribù il cui stile di vita è rimasto quasi immutato per secoli; alle forme primitive di organizzazione sociale che esistono an-

cora oggi. Volevo scoprire in che modo uomo e natura sono riusciti a coesistere per tanto tempo in quello che oggi ci piace definire equilibrio ecologico.” L’approccio scelto non è quello di un giornalista ne di uno scienziato ne di un antropologo. Genesi è il risultato del desiderio romantico di trovare, e condividere, un mondo ancora intatto, che troppo spesso sfugge ai nostri occhi e alla nostra conoscenza. L’intento non era arrivare in regioni in cui nessun uomo avesse mai messo piede prima, anche se spesso la natura incontaminata si trova in luoghi quasi inaccessibili. L’obbiettivo era quello di mostrare la natura in tutto il suo splendore. Salgado ha trovato questa dimensione in spazi sconfinati caratterizzati da un eccezionale biodiversità che, cosa stupefacente, coprono quasi la metà de lla superficie terrestre: gli immensi deserti praticamente intatti; le terre ghiacciate dell’ Antartide e delle regioni più settentrionali del pianeta; le vaste foreste tropicali e temperate; e infine le catene montuose che incutono timore con la loro magnificenza. La scoperta di questo mondo incontaminato è stata l’esperienza più entusiasmante del fotografo. I progetti precedenti – la mano dell’uomo, in cammino e molti altri- erano viaggi attraverso le sofferenze e le tribolazioni

dell’umanità. Questo è un omaggio alla grandezza della natura. “Spostarmi a piedi, in barca, su piccoli aeroplani o in mongolfiera e nel frattempo fotografare vulcani, iceberg, deserti e foreste mi ha permesso di esplorare un mondo rimasto immutato per millenni. E’ osservando gli animali allo stato brado – i pinguini, i leoni marini e le balene dell’antartico e dell’atlantico meridionale, o i leoni, gli gnu e gli elefanti africani – ho avuto il privilegio di assistere al ripetersi inarrestabile del ciclo della vita”.

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Pianeta Sud, Santuari, Africa , Terre del Nord, Amazzonia e Pantanal. Il risultato è un mosaico, il mosaico della natura che Genesi vuole celebrare.

Una cosa l’avevo già capita di questo Sebastiao Salgado, gli importava davvero degli esseri umani. Dopo tutto gli esseri umani sono il sale della terra. Vim Venders, Il sale della terra, 2014

Più complessa si è rivelata la ricerca di civiltà primitive. Nella foresta amazzonica e in Nuova Guinea esistono tribù incontattate, ma delle popolazioni remote che ho visitato, solo gli Indios Zo’è in Amazzonia, e i Korowai, nella Papua occidentale sembrano non essere stati quasi sfiorati dal mondo esterno. Anche altri gruppi etnici hanno conservato la loro identità, la lingua, i riti religiosi, la tecnica di caccia, l’alimentazioni e costruiscono ancora abitazioni di legno come facevano i loro antenati, ma non vivono più in completo isolamento. Con l’arrivo di missionari e di gruppi di eco turisti la frontiera della nostra società consumistica si avvicina ogni giorno di più. “Ho cercato di documentare gli aspetti più arcaici della vita di questi popoli. Anche se avvolte i membri delle tribù indossano abiti di seconda mano ricevuti in dono da gruppi evangelici, ho preferito mostrare le acconciature di cerimonia e i costumi tribali di cui vanno orgogliosissimi e che nel giro di pochi decenni potrebbero sopravvivere solo in fotografia. Presto o tardi il mondo moderno li raggiungerà, oppure saranno loro ad andargli incontro. Volevo immortalare un mondo evanescente, una fetta di umanità che rischia di scomparire da un momento all’altro e che pure vive ancora in armonia con la na-

tura. Spesso i diversi soggetti della nostra ricerca – paesaggi, animali e persone – si sovrapponevano. Nel progettare il libro, abbiamo quindi optato per una suddi visione in cinque ampi capitoli, ciascuno dei quali è dedicato a duna regione decisamente vasta e che abbraccia diversi ecosistemi. Pianeta Sud, Santuari, Africa , Terre del Nord, Amazzonia e Pantanal. Il risultato è un mosaico, il mosaico della natura che Genesi vuole celebrare.

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Pianeta Sud ARGENTINA | ANTARTIDE | GEORGIA DEL SUD | Capo Horn | Arcipelago Diego Ramirez | Isola Deception | Isola King George | Isole Falkland | Penisola Valdes “Anche in un ambiente così inospitale, il ciclo della vita continua. Come potevamo escluderlo da Genesi?”

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Antartide che ha una superficie pari al doppio di quella dell’Australia, sembra ancora più grande perché è coperta da un immenso manto ghiacciato che si estende per centinaia di km negli oceani meridionali. E’ il più freddo, il più arido e il più ventoso dei cinque continenti, e il suo rigido ecosistema non è dissimile da quello che caratterizza le isole Falkland, la Georgia del Sud, le SandWich Australi e le montagne e le coste meridionali dell’Argentina e del Cile. Eppure, anche in un ambiente cosi inospitale il ciclo della vita continua. Come potevamo escluderlo da Genesi? L’unico periodo in cui è possibile visitare la regione per chi non sia uno scienziato è l’estate dell’emisfero meridionale. Partiti in barca da Capo Horn, diretti a Sud, abbiamo fatto una breve sosta nell’arcipelago Diego Ramirez, un gruppo di minuscole isole affollate di albatri. Dopo aver percorso 800 km attraverso mari in tempesta, man mano che ci avvicinavamo all’Antartide vero e proprio, ho potuto ammirare con meraviglia la levigata immensità degli iceberg, le isole e in lontananza la terra ferma. La catena delle Montagne Transantartiche, lungo 3500 km con vette che superano i 4500m era fuori dalla nostra portata.

Abbiamo attraccato sull’isola Deception che ha la forma di un anello quasi perfetto, in cui si entra attraversando uno stretto passaggio.Poi sull’isola King George, abbiamo trovato una colonia di pinguini Gentoo e di Adelia che convivevano pacificamente con orde di elefanti marini, i più grandi focidi del mondo il cui peso può raggiungere le 5 tonnellate. In estate, su alcune isole, il manto nevoso si scioglie, ma sapevamo che è sempre rischioso camminare sul ghiaccio o sui ghiacciai della terraferma che possono nascondere crepacci. Inoltre il tempo cambia rapidamente. Nonostante la nostra imbarcazione, lunga 36 metri, fosse stata progettata per sollevarsi sul ghiaccio, romperlo e tornare in mare, siamo rimasti intrappolati per tre giorni ad aspettare che il vento cambiasse portandosi via la banchisa. Navigare per il mare di Weddel è stato particolarmente arduo a causa dell’alto numero di iceberg, alcuni appena visibili altri spaventosamente grandi. Parecchi avevano una superficie piatta, lunga quanto una pista di un aeroporto. Ne abbiamo notato uno uno in particolare perchè era sovrastato da un compatto cubo di ghiaccio, ed è stata una visione talmente imponente che lo abbiamo soprannominato “la cattedrale.”

In un’altra occasione, a bordo di un piccolo vascello, abbiamo navigato le isole Falkland, dove vivono grandi concentrazioni di albatri, alla Georgia del Sud. Su questa isola solitaria, a bassisima densità demografica, abbiamo trovato pinguini in abbondanza, nonchè cormorani antartici e procellarie giganti. Oltre che dai leoni marini, l’isola è abitata anche dalle renne, introdotte un secolo fa dai balenieri norvegesi. Dopo quattro giorni di mare burrascoso abbiamo raggiunto le Sandwich Australi, nove isolette vulcaniche disabitate, quasi completamente ricoperte di ghiaccio. Dato che non ci sono spiagge sia scesi a terra a bordo di un gommone e siamo letteralmente saltati sulla costa dove abbiamo trovato colonie di pinguini. Avevo davvero l’impressione di essere arrivato in capo al mondo.

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Balena franca australe. Penisola Valdès. Argentina. Settembre - ottobre 2004 12


Colonia di albatri dal sopracciglio nero, sulle Willis Islands, Georgia del Sud, novembre dicembre 2009

Cuccioli di elefanti marini nella baia di Saint Andrews, Georgia del Sud. Novembre- Dicembre 2009

Iceberg nel Mare di Weddel. Penisola Antartica. Gennaio- febbraio 2005

Pinguini chinstrap su un iceberg. Sandwich australi. Novembre - dicembre 2009 13


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Santuari Isole Galapagos | Madagascar | Isola di Siberut | Papua Nuova Guinea | Papua Occidentale “Nonostante alcune tribù primitive vivano ancora “dentro” la natura, proprio come i loro antenati, tale armonia è spesso turbata dall’uomo moderno.”

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lora e fauna endemiche si sviluppano e sopravvivono più facilmente nelle regioni isolate meglio ancora se si tratta di isole. Un gran numero di specie vegetali e animali uniche al mondo è concentrato in aree geografiche ristrette. E a minacciarle è soprattutto il proliferare degli insediamenti umani. Nonostante alcune tribù primitive vivano ancora “dentro” la natura, proprio come i loro antenati, tale armonia è spesso turbata dall’uomo moderno. Così anche in quelli che fino a qualche tempo fa erano rifugi sicuri, oggi stili di vita ancestrali, animali rari e piante uniche al mondo sono inevitabilmente a rischio di estinzione. Sono partito dalle isole Galapagos, lo straordinario laboratorio naturale che ispirò la teoria dell’evoluzione di Darwin. Buona parte delle innumerevoli creature che vi risiedono è sopravvissuta grazie alla mancanza di predatori: solo per un breve periodo, tra il XVIII e il XIX secolo, la tartaruga gigante è stata considerata un cibo prelibato dai marinai di passaggio.Oggi le tartarughe sono protette, cosi come gli altri animali che ho fotografato: l’iguana marina, l’otaria, il leone marino, il pellicano, la fregata maggiore e il cormorano attero. La

cosa sconvolgente era che tutta questa vita prosperava su grandi distese di lava e ai piedi di vulcani attivi. Il Madagascar, stato insulare al largo della costa sud orientale dell’Africa è un altro hotspot della biodiversità mondiale. Quasi il 90% delle decine di migliaia di specie animali e vegetali che vivono sull’isola non si trova in nessun altro posto della terra. Ci sono oltre 860 varietà di orchidee e 170 tipi di palme. E più di 100 diverse sottospecie di lemuri, primati simili alla scimmia, che sono gli animali più caratteristici dell’isola. Risalendo l’arida costa occidentale abbiamo guidato attraverso le stupefacenti dune di sabbia che si formano nei letti dei grandi fiumi asciutti per buona parte dell’anno. La pianta più singolare è forse il baobab, con il suo caratteristico tronco rigonfio. In Madagascar vivono sei delle otto specie di baobab che si trovano sulla terra. Lasciata la costa, ci siamo imbattuti nei cosiddetti tsingy, una delle più stravaganti formazioni geologiche che abbia mai visto. Formatisi nel corso di milioni di anni e composti prevalentemente da calcare di conchiglie frantumate, hanno una superficie tagliente come il vetro e, simili a enormi stalagmiti, possono variare in altezza dai 50 ai 100 metri. Nella parte nordorientale dell’isola, dove il clima è umido, ci sono ancora vaste

distese di foresta pluviale. Ma non di rado si vedono colonne di fumo, segno che una parte di giungla è stata bruciata per fare posto ai pascoli. Come banco di memoria dell’evoluzione della specie, il Madagascar è a rischio. Anche nelle isole al largo della costa occidentale di Sumatra, i santuari di alcuni gruppi etnici sono stati violati. Fin dagli anni 60 il governo indonesiano ha cercato di spingere queste tribù nomadi, che vivevano di caccia e raccolta, a spostarsi in insediamenti stabili e ha incoraggiato gli adulti a convertirsi all’Islam o al Cristianesimo. Molti si sono trasferiti ma alcune tribù sono rimaste nel cuore della foresta pluviale dell’isola di Siberut. Tra queste, i Mentawei, che siamo andati a conoscere.

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Performer al sing sing. Highlands occidentali. Papua Nuova Guinea. Luglio - agosto 2008

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Performer. Papua Nuova Guinea. Luglio - agosto 2008

Baobab su un’isola a forma di fungo nella baia di Moramba. Madagascar. Novembre - dicembre 2010

Zampa di iguana marina. GalĂ pagos. Ecuador. Gennaio - marzo 2004 17


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Africa Libia sudoccidentale | Algeria sudorientale | Namibia | Damaraland | Sudan | Etiopia Settentrionale | Congo | Uganda | Ruanda “Con Genesi ho documentato un’Africa apparentemente eterna, abitata da tribù ancestrali e caratterizzata da paesaggi maestosi e da una natura selvaggia mozzafiato.”

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in dalla mia prima visita nel Niger nel 1973, ho provato un profondo attaccamento per l’Africa. Anche quando sapevo che avrei dovuto documentare carestie, siccità, guerre, ho sempre colto al volo ogni occasione per tornarci. Con genesi ho vissuto un’esperienza ancora più felice: ho documentato un’Africa apparentemente eterna abitata da tribù ancestrali e caratterizzata da paesaggi maestosi e da una natura selvaggia mozzafiato. E’ un continente vasto e variegato, ma i suoi numerosi ecosistemi sono tipicamente africani. Il Sahara che è politicamente diviso tra 13 stati e copre un terzo dell’intero continente, è una straordinaria porta di ingresso per l’Africa. Le immagini delle sterminate distese di dune di sabbia possono sembrare familiari eppure ogni tempesta le trasforma e ne rimodella i contorni, un po’ come un bambino che giochi in una sabbionaia. Viaggiare nei deserti della Libia sud occidentale e dell’Algeria sud orientale mi ha sempre riservato parecchie sorprese. Mi sono imbattuto in oasi stupefacenti e in gole profonde dove un tempo scorreva un fiume. Abbiamo trovato testimonianze di insediamenti umani risalenti a 16000 anni fa, pitture rupestri che ritraevano la natura dell’epoca con elefanti,

rinoceronti, antilopi, giraffe e coccodrilli. All’altro capo del continente il deserto del Namib che s ritiene sia il più antico del mondo occupa buona parte del territorio della Namibia, con dune di sabbia alte fino a 300m che si estendono lungo tutta la costa. Ci siamo diretti a Nord nel Damaraland, sulle tracce dei rinoceronti neri, ma erano troppo minacciosi e non abbiamo potuto fotografarli da vicino. Anche gli elefanti a volte sono di cattivo umore, lo abbiamo scoperto un giorno in cui sia stati caricati da un maschio particolarmente nervoso. Ancora più a nord ci siamo imbattuto negli Himba un popolo di pastori nomadi dediti all’allevamento di bovini e ovini. Gli uomini indossano pochi capi di vestiario, le donne si coprono il volto con una mistura a base di grasso, cenere e polvere d’ocra ricavata da un minerale di ferro che dà alla loro pelle una tipica coloritura rossastra. Le mandire di bovini sono un tratto caratteristico di molte savane africane. Per i Dinka del Sud Sudan simboleggiano ricchezza e potere. Nella stagione delle piogge i membri di questa tribù semi nomade piantano grano, sorgo e altri cereali e preparano i “cattle camp” per il bestiame. E’ il periodo in cui il Nilo straripa formando piccoli laghi che diventeranno ricchi pascoli durante la stagione

secca. I Dinka conducono le loro mandrie per centinaia di km lungo questi terreni verdeggianti e costruiscono piccoli villaggi semi permanenti e recinti in cui il bestiame trova riparo durante la notte. Per tenere lontani gli insetti bruciano lo sterco dei bovini e si cospargono il corpo con la cenere; riservano lo stesso trattamento anche agli animali. Una sola tradizione non è sopravvissuta: a causa delle frequenti guerre che hanno funestato la regione, arco e frecce hanno ormai lasciato il posto ai fucili automatici. Le tribù di pastori dell’ Etiopia meridionale vivono più isolate. In genere non usano vestiti e si decorano corpo e capelli per le cerimonie. Tra le donne è assai diffuso l’uso di piatti labiali di ceramica.

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Grandi dune di sabbia tra Albrg e Tin Merzouga a sud di Djanet Algeria. Gennaio - febbraio 2009

Ragazza Dinka in un “cattle camp� di KolKuei. Sud Sudan. Febbraio - marzo 2006

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Elefante impaurito dalla presenza dell’uomo. Kafue National Park. Zambia. Luglio - agosto 2010

Cacciatore con in mano un’otarda dal ventre nero. Botswana. Gennaio 2008

Cattle camp di Amak, Sud Sudan. Febbraio - marzo 2006

Cattle camp di Kei, Sud Sudan. Febbraio - marzo 2006 21


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Le terre del Nord CANADA | ALASKA | GROENLANDIA | SCANDINAVIA | SIBERIA “In alcune regioni al posto del ghiaccio troviamo il permafrost e la tundra; in altre vulcani, ghiacciai e canyon fatto pensare agli sconvolgimenti geologici che hanno modellato la terra. Eppure vi sono uomini e animali che caparbiamente hanno scelto di viverci. “

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l polo nord è coperto di ghiaccio ed è circondato da centinaia di km di oceano ghiacciato ma l’Artide comprende anche le regioni più settentrionali dell’America, dell’Europa e dell’Asia che si trovano lungo il circolo polare artico. L’ecosistema artico arriva cosi fino all’Alaska, Canada, alla Groenlandia, alla Scandinavia e alla Russia. In alcune regioni al posto del ghiaccio troviamo il permafrost e la tundra; in altre vulcani, ghiacciai e canyon fatto pensare agli sconvolgimenti geologici che hanno modellato la terra. Eppure vi sono uomini e animali che caparbiamente hanno scelto di viverci. La penisola della Kamcatka, nella Russia orientale, mi ha sempre affascinato, e non solo perché al tempo della guerra fredda, in quanto sede della flotta sottomarina nucleare sovietica era vietata agli stranieri e a molti russi. I suoi 1250 km di costa si affacciano sul mare Bering, ma ciò che mi affascinava di più era l’entroterra dove sorgono 160 vulcani, di cui 29 ancora attivi. E’ stato emozionante sorvolarli e osservare le loro sagome coniche e le cime innevate che comparivano e scomparivano in mezzo a formazioni di nubi in continuo mutamento. Quando siamo passati sopra la vetta ghiacciata del Kronotskij,

ho guardato da 4000 metri di altezza il cratere fumante. Abbiamo attraversato valli di lava disseminate di sorgenti calde e laghi scuri in seguito abbiamo incontrato il maestoso orso bruno, monarca della ricca fauna della penisola. Circa 2000 km a nord est, il territorio dell’ Arctic National Wild Life Refuge, in Alaska, visto dall’alto appare simile a quello della Kamcatka, aspro con cime innevate e valli scavate da ghiacciai e fiumi. Una volta a terra però, non è stato facile fotografarlo, poiché i pendii sono ripidi e i fiumi troppo rapidi e freddi per poterli attraversa a piedi. Anche a giugno a temperatura era di molto inferirore allo zero. Il caribù del Porcupine, l’animale più caratteristico della regione, in genere fugge appena fiuta l’avvicinarsi dell’uomo. Ciò non di meno siamo riusciti a seguire decine di migliaia di queste eleganti creature nella migrazione annuale verso le pianure costiere dove vanno a riprodursi. Il Kluane National Park, in Canada, al confine con l’Alaska sudorientale, è dominato dal monte Saint Elias e comprede il Monte Logan, la cima più alta del paese. Gli immensi campi ghiacciati, ghiacciai e i fiumi lo rendono praticamente inaccessibile a piedi. Per fortuna durante il mese che vi abbiamo trascorso, ci sono state due settimane di bel tempo e abbiamo potuto scattare

fotografie dall’alto. Nelle lunghe giornate estive è possibile lavorare fino alle undici di sera. Una delle tante viste i ndimenticabili è stata quella dei ghiacciai che si allungano nelle valli come dita di una mano e poi si scurivano quando incontravano rocce e pietre nella loro costante discesa verso il basso. Per capire come un uomo possa sopravvivere nel circolo polare artico, siamo andati a cercare i Nenci, un popolo nomade della Siberia settentrionale che conta circa 42000 individui. Trascorrono l’inverno nei villaggi dove negli ultimi anni si sono trasferite alcune delle loro famiglie. Ma a partire dalle metà di marzo si spostano con le loro mandrie di renne nella penisola di Yamal; qui, in estate, gli animali possono nutrirsi di arbusti, erba e licheni che trovano scavando nella tundra.

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Donna Nenci. Penisola di Jamal, Siberia. Russia. Marzo - aprile 2011

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Mandria di renne Penisola di Jamal, Siberia. Russia. Marzo - aprile 2011

Gruppo di Nenci con le loro renne si prepatano per il riparo da una tempesta di vento. Penisola di Jamal, Siberia. Russia. Marzo - aprile 2011

Monti Brooks. Alaska. USA. Giugno - luglio 2009 25


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Amazzonia e Pantanal BRASILE | VENEZUELA | COLOMBIA “Quello che in fotografia sembra un paesaggio statico è in realtà un ambiente in continuo mutamento, a secondo delle stagioni e della quantità di acqua che scende dalle Ande.”

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isti dall’alto il Rio delle Amazzoni e i suoi affluenti sembrano un gigantesco albero della vita. E senz’altro si può dire che l’intero bacino amazzonico rappresenti la vita in molti sensi: in quanto polmone verde del mondo, fonte del 20% dell’acqua dolce mondiale, culla di numerevoli specie vegetali e animali, e rifugio di alcune decine di tribù di Indios. Alla sua periferia, però, l’industra del legname, l’allevamento e l’urbanizzazione stanno lentamente intaccando la foresta. Foreste bruciate e terra desertificata hanno lasciato enormi cicatrici su quello che un tempo era un tappeto verde ininterrotto. Conosco e amo la regione Amazzonica. Questa volta volevo sorvolare il fiume che i brasiliani Rio delle Amazzoni solo a partire da Manaus, dove il Rio negro si immette nel più chiaro Rio Solimòes. Da li ci siamo diretti a Nord ovest lungo Rio Negro su una terra tanto pianeggiante che il fiume in alcuni punti è largo 20 km e forma lunghe isole simili a dita, coperte da una fitta vegetazione. Quello che in fotografia sembra un paesaggio statico è in realtà un ambiente in continuo mutamento, a secondo delle stagioni e della quantità di acqua che scende dalle Ande.

La foresta pluviale amazzonica si estende ben oltre i confini del Brasile ma l’attrattiva principale del parco nazionale di Canaima, nel Venezuela sud orientale sono i cosidetti tepuis, montagne a cima piatte alte circa 300 metri che svettano di colpo in mezzo alla giungla. Formatesi pressappoco 4 miliardi di anni fa sono tra le più antiche formazioni geologiche del mondo. Arrampicandomi sulla cima di molti tepuis, ho scoperto con immenso stupore come l’erosione abbia scavato la roccia fino a darle forme spettrali, alcune simili ad animali preistorici altre a città deserte. E ovunque precipitano cascate, come se la montagna stesse piangendo. Al Salto Angel, la cascata più alta del mondo, l’acqua cade per più di 900 metri. Abbiamo visitato numerose tribù come gli Zo’ è o i Camajiura dove si celebra l’Amuricumà, una festa annuale durante la quale le donne assumono il potere e oltre a preparare cibi si cimentano nella danza. Alla tribù Camajiura appartiene anche l’unica donna sciamano dell’Alto Xingu. Ancora più a sud c’è il Pantanal una delle maggiori zone umide del paese suddiviso tra Brasile, bolivia e Paraguay. Durante la stagione delle piogge, l’ottanta percento della regione viene inondato e ruscelli e fiumi si trasformano in laghi. Abbiamo viaggiato prevalentemente in barca in un mondo abitato da un’incre-

dibile varietà di animali: lontre giganti, formichieri, cervi della palude e tapiri ma anche capibara, anaconde, caimani e giaguari. L’aria è invece appartiene ad aquile, pappagalli, tucani, aironi, falchi e cicogne jabiru. In alcuni luoghi è stato introdotto l’allevamento ma la natura sembra ribellarisi a questa intrusione. Dove la pioggia ha trascinato via il terreno delle aree deforestate, fiumi limacciosi hanno cominciato ad inondare i pascoli mandando in rovina gli allevatori.

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Alcune donne Zo’è mentre si dipingono il corpo con il frutto dell’urucum. Parà. Brasile. Marzo - aprile 2009

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Le Anavilhanas, circa 350 isole coperte di foresta, si trovano nelle acque del Rio Negro. Amazonas. Brasile. Maggio 2009. Georgia del Sud, novembre dicembre 2009

Giovani cacciatori della trib첫 Waura. Alto Xingu, Mato Grosso. Brasile. Luglio - settembre 2005

Cascata Salto Angel, una delle cascate pi첫 alte al mondo. Venezuela. Novembre - dicembre 2006

Esponenti della trib첫 Kamayura. Alto Xingu, Mato Grosso. Brasile. Luglio - settembre 2005 29


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Capitolo II

Stupire attraverso il linguaggio L’allestimento deve coinvolgere e deve avere capacità di stupire, Dallari scrive che lo stupore «è un’esperienza nuova che rompe il flusso».

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uando si progetta un’ esposizione, si decide quale sarà il messaggio da far passare, nel caso delle esposizioni divulgative poi, il fine chiaro è quello di portare il maggior numero possibile di persone a contatto con la comprensione di quanto mostrato, con l’inevitabile conseguenza della scelta di un linguaggio accessibile anche ad utenti dalla formazione non specifica. Ciò significa, in definitiva, occuparsi e preoccuparsi di progettare allestimenti in cui la componente percettivo-intuitiva sia dominante, mediante l’adozione di cromatismi, immagini di suggestione, ambientazioni che rimandano al significato di quanto esposto, fino al supporto di testi adeguati alla ricerca di efficacia comunicativa, nell’ovvio rispetto della correttezza delle informazioni. “Possiamo vedere solo ciò che sappiamo cercare”, dice Ulric Neisser, cioè solo ciò che in qualche modo è già presente nella nostra mente1. Durante la visita, si attiva un processo di apprendimento, che è legato alle peculiari caratteristiche e sensazioni del visitatore, ma che è anche influenzato dalle suggestioni e dagli stimoli che questi riceve nel corso della vita stessa. 1 M. Malagugini, Allestire per comunicare. Spazi divulgativi e spazi persuasivi, Angeli 2008.

Il museo può dunque controllare e incidere soltanto su una parte dei processi di apprendimento. Può farlo tentando di migliorare la comunicazione, lavorando sugli allestimenti, la luce, i percorsi, gli spazi, sia sulle tecniche per coinvolgere direttamente e attivamente il pubblico, in modo tale che il visitatore da semplice spettatore si trasformi in attore all’interno dell’esposizione. L’ esperienza è, nel senso proprio del termine, qualcosa di memorabile, il cui ricordo si prolunga nel tempo e vive nella dimensione del racconto. Per poter parlare di esperienza è necessario che il ricordo sia vivido. Durante la visita al museo, dunque, è importante tener desta l’attenzione, introdurre colpi di scena, che stupiscano il pubblico e lo aiutino a ripensare le collezioni come vissuti raccontabili. Deve coinvolgere e deve avere capacità di stupire, Dallari (2001) scrive che lo stupore «è un’esperienza nuova che rompe il flusso».

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Installazione di Tokujin Yoshioka. Sydney

Installazione di Tokujin Yoshioka. Sydney

“The little black Jacket”, mostra di Karl Lagerfeld. Milano

“The Art of the Scent (1889-2012)”. New York


Architettura effimera Un’architettura effimera si può porre nella scena con una forza e un’arroganza che gli vengono attribuite proprio dalla consapevolezza che essa avrà una durata limitata. Per questo motivo gli è concessa un’ASSOLUTA LIBERTA’ DI LINGUAGGIO.

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na qualità fondamentale della società contemporanea è il suo essere basata principalmente sull’immagine e sull’informazione in tempo reale; è proprio l’aspetto informativo che permette agli spazi di comunicare. Il progetto dell’ allestimento fino a pochi anni fa era considerato un ambito progettuale meno importante rispetto, ad esempio, alla progettazione di un edificio, perché ritenuto effimero, non durevole, temporaneo. Questa caratteristica veniva intesa nella sua accezione negativa e quindi il progetto era considerato di poco valore solo perché destinato a non durare nel tempo. Nella società contemporanea l’evoluzione tecnologica ed in particolare le innovazioni dell’informatica e delle telecomunicazioni hanno portato di recente grandi cambiamenti, influendo fortemente sul mutamento dell’immagine delle città e degli spazi fruiti dall’uomo. Il valore di temporaneità ha superato d’importanza quello della permanenza anche nella stessa architettura. Quest’ultima, che era contraddistinta dal suo carattere immutabile, ha cambiato volto e peculiarità, per adattarsi alle nuove tendenze e rispecchiare l’era dell’informazione1.

Nuove tecniche e materiali inediti sono gli strumenti di realizzazione di installazioni effimere. La forza di questi progetti sta nell’immaginazione che sfuma i confini tra ciò che può e non può essere fatto. I designer godono di libertà molto maggiori nel concepire progetti temporanei, liberi dalle restrizioni normali dei progetti convenzionali, destinati a durare. Gli spazi dove si svolgono gli eventi vengono trasformati in superfici malleabili. L’ opera e il contesto si trasformano in un laboratorio di sperimentazione spaziale, la cui trasformazione permette agli autori di esplorare nuovi linguaggi architettonici da poter applicare, poi, ad altri tipi di opere. Le installazioni temporanee configurano spazi sorprendenti mediante l’uso di tecniche informatiche, dispositivi di illuminazione inediti e materiali con possibilità non ancora esplorate nella pratica architettonica tradizionale. La loro localizzazione in spazi pubblici, esposizioni o edifici, rende l’interazione un elemento fondamentale e crea una relazione di reciproca necessità tra lo spazio costruito e lo spettatore. Si tratta di nuovi spazi di partecipazione, che spesso mescolano i confini esistenti tra architettura e arte contempora-

nea. Questi nuovi progetti di architettura effimera sono creazioni capaci di emozionare e stupire, richiamano l’attenzione e introducono elementi che diventano fonte d’ispirazione per gli architetti del futuro2. Si tratta di segni effimeri, segni ai quali è anche concessa la trasgressione e la dissacrazione, e ai quali è attribuito uno scopo comunicativo dirompente che soltanto le architetture monumentali sono riuscite ad acquisire. Ogni intervento urbano si può porre sulla scena urbana o, più limitatamente espositiva, con una forza ed un’arroganza che gli vengono attribuite proprio dalla consapevolezza che esso avrà durata limitata e che quindi apparirà come un gesto non in grado di lasciare tracce materiali irreversibili: è questa la grande differenza che si legge tra un intervento architettonico permanente e un’architettura temporanea ed è per questo che ad un intervento temporaneo ed effimero, per un arco di tempo limitato, è concessa un’assoluta libertà di linguaggio.

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Trattando di architettura temporanea si parla inevitabilmente del concetto di mobilità. Una mostra non di rado, dopo essere stata concepita per essere allestita in un unico luogo, riscuote largo consenso da parte del pubblico, così da suggerirne l’allestimento anche in altre sedi. Una tale opportunità potrebbe essere sfruttata se si fosse pensato fin dall’iniziale fase progettuale, ad un sistema facilmente smontabile e ricomponibile, che non richieda eccessive e difficoltose operazioni di riadattamento. Ciò significa considerare fin dal primo momento, una buona flessibilità e facilità dell’impianto espositivo, proprio in termini di smontaggio delle parti, stoccaggio e trasporto, senza ovviamente prescindere dalle condizioni del luogo per il quale viene concepita in origine.3 Padiglione Gran Bretagna. Expò Milano 1 D. Brunelli, Exhibit Design, Architettura come strumento di comunicazione, Alinea editrice, Firenze 2006 2 J. Kruel, Architettura effimera, innovazione e creatività. Links, Barcellona 2010 3 M. Malagugini, Allestire per comunicare. Spazi divulgativi e spazi persuasivi, Angeli 2008

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Comunicare per stimolare La comunicazione efficace si basa molto sulla semplicità, sullo scambio di pochi ma chiari messaggi. Partire da uno o al massimo due concetti per poi declinarli in varie forme, può essere una buona strategia per limitare la confusione e comunicare con chiarezza e linearità il nostro messaggio.

C

i sono alcune caratteristiche che ogni soluzione spaziale ottimale dovrebbe possedere affinché l’allestimento sia un fertile terreno di scambio di informazioni e fornisca un feedback utile anche al professionista incaricato di elaborare il progetto finale: - stimolare l’emozione: quella emotiva è la prima risposta di qualsiasi organismo davanti ad una nuova situazione, si tratta di una risposta elementare di allontanamento o di avvicinamento, e proprio per questo è importante che, anche se solo per qualche minuto, riusciamo ad attirare l’attenzione del pubblico sul nostro tema. L’elaborazione cognitiva avviene in un secondo momento; - creare unicità ed originalità nell’evento: solo coloro che percepiranno l’unicità di quel momento sapranno coglierne l’essenza. Ma perché una persona sia disposta a vincere l’inerzia e ad entrare in un contatto comunicativo è necessario creare attesa, senso di originalità ed unicità, caricando l’evento di quel tanto che lo renda nuovo e riconoscibile al tempo stesso; - promuovere la socializzazione: dopo la fase più meramente emozionale ci troviamo nel momento perfetto della relazione, della socializzazione.

L’azienda e il pubblico si incontrano su un terreno comune ed entrambi sono disposti e aperti al dialogo ed alla reciproca conoscenza ed interazione. Questo momento è spesso, esso stesso, l’obiettivo finale della manifestazione. La comunicazione efficace si basa molto sulla semplicità, sullo scambio di pochi ma chiari messaggi. Partire da uno o al massimo due concetti per poi declinarli in varie forme, può essere una buona strategia per limitare la confusione e comunicare con chiarezza e linearità il nostro messaggio. Si potrà poi giocare con la sovrapposizione dei codici e delle percezioni sensoriali.1

1 G. Muneratto, L’exhibition Design nelle organizzazioni, Angeli, Milano 2008

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Mondrian De Stijl exhibition. Centre Pompidou, Parigi

BMW Museum, History timeline. Monaco 36

Liceo Opera Barcelona, Cadaval e Sola Morales. Barcellona


Relazione tra visitatore ed esposizione Esporre un’opera significa metterla in comunicazione con il visitatore e fare in modo che essi possano interagire.

N

on esiste confine netto tra contenitore e contenuto, la forza comunicativa di una mostra dipende, appunto, da un complesso sistema di relazioni che si crea fra tutti gli elementi progettati per il contesto espositivo, o semplicemente collocati in esso. Tutti gli oggetti sono portatori di significati e quando l’oggetto è anche opera d’arte il suo significato è più complesso, intenso, talvolta multiplo o ambiguo; gli oggetti raccolti in un museo possono essere messi in rapporto tra loro, con lo scopo di comunicare il senso generale che si è voluto attribuire all’intera raccolta. Esporre un oggetto, ovvero metterlo in mostra, significa appunto metterlo in comunicazione con il visitatore e fare in modo che essi possano interagire; è a questo punto che emerge l’importanza dell’allestimento, in quanto supporto per garantire l’instaurarsi di questo tipo di relazione. La finalità educativa del museo può essere raggiunta solo attraverso un continuo adeguamento e rinnovamento delle risorse a disposizione. Dunque la struttura espositiva deve possedere la capacità di flettersi di fronte agli stimoli cui è sottoposta, mutando in continuazione. Sia che si tratti di

un evento culturale internazionale, sia che si tratti di un piccolo intervento in uno spazio con una connotazione non espositiva, l’allestimento dovrà necessariamente possedere la forza necessaria per poter divulgare efficacemente i contenuti della mostra attraverso una particolare visione dello spazio, attraverso immagini evocative, percezioni visive e sensazioni emotive e garantendo un adeguato livello di informazioni. Non sarà sufficiente trasmetter un messaggio chiaro, a questo punto, ma bisognerà stimolare ogni senso, per stabilire un dialogo tra chi osserva e ciò che è esposto. Un allestimento attento riuscirà a mostrare qualcosa per farlo conoscere, ma affinché si possa ritenere efficace, esso dovrà spingere la conoscenza ad un livello quasi personale, riuscendo a rivelare ogni significato di ciò che è mostrato. Potrebbe essere necessario ricostruire particolari ambientazioni che ricreino determinate atmosfere stimolanti ed evocative.1

1 M. Malagugini, Allestire per comunicare. Spazi divulgativi e spazi persuasivi, Angeli 2008

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Stanza della memoria all’interno del Museo Ebraico. Berlino

P

er affrontare una progettazione sufficientemente corretta per ciò che attiene la percezione e per chiarire come le sensazioni siano variabili da soggetto a soggetto occorre riprendere gli enunciati della Gestalt e le sue leggi. È chiara la necessità di esaminare le possibili scelte compositivo-progettuali, alla luce delle sollecitazioni visive che producono, così da trovare corrispondenza tra linguaggio impiegato e target di riferimento. Il fruitore dell’esposizione, quindi, diviene l’interlocutore preferenziale e su di esso si calibrano tutte le scelte. A target settoriali corrispondono di conseguenza scelte di nicchia, a target ampliati scelte condivise dalla maggior parte degli osservatori. Condividere, tuttavia, non significa in questo caso, necessariamente approvare; significa più semplicemente comprendere e, quindi, essere in sintonia con gli strumenti della comunicazione impiegati, in breve significa essere in grado di capire ciò che viene trasmesso, perché in possesso della chiave di lettura del codice di riferimento. L’utilizzo delle rinnovate tecniche espositive, unito all’accresciuto valore attribuito al “senso” della mostra, rispetto al valore oggettivo dei materiali 38

esposti, ha portato al concetto di mostra finalizzata all’esposizione di oggetti a quello di mostra quale oggetto primario dell’esposizione. Sembra paradossale, ma il contenuto, inteso come messaggio trasmesso dalla mostra, prevale sui materiali contenuti, che spesso svolgono ruoli di semplici mezzi per il raggiungimento degli obiettivi comunicativi ricercati. In tal modo si assiste alla spoliazione delle opere esposte dalle qualità assolute che storicamente sono sempre state loro riconosciute.1

1 M. Malagugini, Allestire per comunicare. Spazi divulgativi e spazi persuasivi, Angeli 2008

Mostra interattiva sugli scritti di Heinrich von Kleist a cura di V. Koppernhofer. Francoforte


Harreman Light Exhibition. Pittura Fotoluminescente. Reskate Studio. Saragoza.

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Harreman Light Exhibition. Pittura Fotoluminescente. Reskate Studio. Vienna.

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Illuminazione negli spazi espositivi La luce orienta lo sguardo e focalizza l’attenzione sui dettagli. La direzione della luce, l’illuminamento e la distribuzione della luce determinano l’effetto suscitato da un oggetto immerso nel suo ambiente. ORIENTAMENTO DELLA LUCE La luce orientata dal davanti (1) genera una marcata modellazione. La luce dall’alto (2) crea un’ombra dell’oggetto su se stesso. La luce da dietro ricalca la silhouette dell’oggetto (3). Più verticale è l’incidenza della luce, maggiore è l’effetto d’ombra. Più verticale è l’incidenza della luce, maggiore è l’effetto d’ombra. L’illuminazione degli oggetti può avvenire con un’angolazione della luce di 5°, di 45°, fino a una illuminazione perpendicolare. La direzione ottimale della luce per l’illuminazione degli oggetti è in genere di 30°. Si evitano così i riflessi troppo forti o la creazione di zone d’ombra indesiderate.1 LUCE D’ACCENTO

Luce dal davanti

1

Luce dall’alto

2

Luce da dietro

3

Rapporto di contrasto 1:5

4

Rapporto di contrasto 1:10

5

Rapporto di contrasto 1:50

6

Faretto a fascio stretto

7

Lente Flood

8

Lente per sculture

9

Generalmente all’interno di esposizioni, musei e locali di vendita, il tipo di illuminazione utilizzato è quella d’accento. Questa rimarca oggetti o elementi architettonici con dei coni di luce a fascio stretto. I punti luminosi in un ambiente più buio richiamano l’attenzione. Essi distinguono ciò che è importante da ciò che non lo è e portano gli oggetti visivamente in primo piano. Nelle simulazioni delle immagini 4-5-6 gli oggetti e la parete sono soggetti all‘illuminazione dei faretti. I coni luminosi accentuano gli oggetti. Un maggiore contrasto di luminosità accresce l‘accentuazione. Con un contrasto di illuminazione di 1:2 tra ambiente e oggetto, il contrasto non viene quasi percepito. Per un rapporto di 1:5 si crea un contrasto minimo di illuminazione tra i punti di illuminazione primaria e secondaria. Con un contrasto di 1:10 la differenza diventa marcata. Un contrasto di luminosità di 1:100 stacca l‘oggetto in modo deciso dall‘ambiente e si può avere una suddivisione non intenzionale della parete. I faretti a fascio stretto (7) accentuano l‘oggetto e lo fanno emergere dall‘ambiente. Con una lente per sculture (9) il cono luminoso viene ampliato e reso ovale. Le lenti Flood (8) disperdono il cono luminoso a fascio stretto ed ottengono un tenue gradiente luminoso.1 1 www.erco.com

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Museo di Picasso. Barcellona

Museo del Prado. Madrid

Museo IVAM. Valencia

Museo dell’Ara Pacis. Roma


Bibliografia e sitigrafia di riferimento L. Salgado, Genesis, Sebastiao Salgado, Taschen edizioni, 2013 D. Brunelli, Exhibit Design, Architettura come strumento di comunicazione, Alinea editrice, Firenze 2006 J. Kruel, Architettura effimera, innovazione e creatività . Links, Barcellona 2010 M. Malagugini, Allestire per comunicare. Spazi divulgativi e spazi persuasivi, Angeli 2008 G. Muneratto, L’exhibition Design nelle organizzazioni, Angeli, Milano 2008 Www.erco.com

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Capitolo III

Progettazione e sviluppo di un concept exhibition

L

La presente tesi ha ad oggetto un’idea di allestimento per una mostra sul progetto “Genesi” del fotografo brasiliano Sebastiao Salgado. L’ispirazione principale deriva dal tentativo di coniugare alcuni tra i miei interessi principali, ossia la fotografia e l’interior design. La scelta sulle opere di Salgado è dovuta al suo profondo impegno che ha dimostrato verso tematiche a me particolarmente care quali la salvaguardia dell’ambiente e la tutela della natura e della biodiversità. Venendo alla descrizione progettuale della mostra, ci si pone in una prospettiva di mostra “itinerante” poiché pensata per essere dislocata in diverse sedi in altre città. Minimo comune denominatore è dunque il “concept” da me proposto nell’esposizione che mi appresto qui a descrivere. Il progetto fotografico di Salgado è suddiviso in 5 sezioni ognuna delle quali avente come titolo una parte geografica della Terra. Ogni sezione è costituita da circa 50 fotografie. La mostra vuole ospitare l’allestimento di 5 padiglioni ognuno dei quali dedicato alle diverse sezioni di riferimento.

Tale esposizione si pone nella prospettiva di differenziarsi dai modelli stan- ricerca che conduce alla salvaguardia e alla tutela del pianeta. I principali dardizzati di mostre fotografiche in quanto si vuole che il visitatore crei un materiali utilizzati sono, infatti, ecocompatibili nonché riciclabili e a basso feeling più diretto con le opere in mostra raggiungendo, così, un più intenso impatto ambientale. dinamismo. Preliminarmente, particolare attenzione merita la scelta della location. La priorità è rivolta a spazi di riuso. Per la contestualizzazione della tesi si è scelto un vecchio capannone industriale. Il progetto, infatti, mira a valorizzare la luce degli elementi che richiamano la natura rispetto all’oscurità e al grigiore dei “non luoghi” ormai abbandonati. Sono proprio la decadenza e la durezza dell’industria in questo caso, con tutto ciò che comporta in termini di impatto ambientale, a venire sottomessi delle luci che illuminano le mappe geografiche e le relative fotografie di riferimento. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la scelta dei materiali, quali carta di riso e legno, in perfetta correlazione con la filosofia di Salgado volta ad una 45


Sketch concept

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Schemi e distribuzione in pianta

L

a flessibilità è un concetto chiave del progetto. A tal proposito ho ipotizzato tre diverse configurazioni dell’allestimento in base alla grandezza della location ospitante: 5 padiglioni da 10 fotografie l’uno, 30 fotografie l’uno, 50 fotografie l’uno che rappresenta la mostra completa. Si è preso come riferimento la configurazione media dell’allestimento cioè quella da 30 fotografie, dove occorre uno spazio intorno ai 550 mq. Nello specifico, per il concept ho ipotizzato un capannone industriale per i motivi esposti in precedenza.

Uno degli obiettivi prefissati è infatti di determinare nel visitatore una vera presa di coscienza di quanto espresso da Salgado nelle sue fotografie facendo sì, dunque, che l’intero allestimento non desti un apprezzamento esclusivamente estetico.

GSPublisherEngine 0.55.100.100

GSPublisherEngine 0.55.100.100

La struttura portante di ogni padiglione è costituita da profili in legno abete a sezione rettangolare che sorreggono, dalla parte interna, moduli di legno mdf curvo e dalla parte esterna fogli di carta di riso incollati a caldo intorno a cornici in legno retroilluminate. La scelta della carta di riso deriva dal voler Il percorso a tappe è caratterizzato dalla presenza di una mappa geografica creare un’atmosfera rilassante con una luce morbida ma allo stesso tempo forata su una lastra metallo retroilluminata a led, relativa alla sezione di rife- avere un materiale sostenibile e naturale. Tra i due strati, mdf e carta di riso, sono presenti delle luci a neon bianche. All’interno di ogni padiglione è rimento, al di sotto della quale si pongono le fotografie di Salgado. Il visitatore viene dunque dapprima colpito dalle luci poste sulla parte geo- presente un sistema di sedute morbide, che sono riproposte in misura più grafica per poi sentirsi coinvolto profondamente dalle fotografie. Il tutto è piccola anche all’esterno, tra un padiglione e l’altro, avendo cosi delle picmaggiormente amplificato dall’oscurità dell’ambiente circostante che è pri- cole aree relax. vo , a parte alcuni spot, di alcuna fonte luminosa diffusa. 48


Pianta scala 1:100

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Layout reception desk

3,00

GENESI SEBASTIAO

SALGADO 4,60

50


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3,00

Layout pannelli informativi

1,70

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0,60

3,00

Layout di distribuzione delle fotografie

1,50

12,00

Layout lineare del padiglione da 30 fotografie, con diametro complessivo di 11,80 m

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1,50

7,10


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Esploso assonometrico Carta di riso retroilluminata incollata su telaio di legno

Pannello di MDF curvo

Telaio di abete

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GSPublisherEngine 0.55.100.100


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Progettazione di uno studio per un fotografo. Docente: Francesco Armato

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Progettazione di un concept store per il marchio Tangy. Docente: Alberto Gigli

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Progettazione di un’abitazione per uno scrittore. Docenti: Angelo Minisci, Paolo Barboni

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Progettazione di un padiglione museale sulle culture mediterranee. Docente Giovanni Bartolozzi

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Progettazione di uno spazio di cooworking all’interno di un capannone abbandonato. Docente: Maria Grazia Eccheli

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Progettazione grafica del brand Smoothie fruits, applicato al food truck. Docente: Claudio Nardi

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Analisi dell’allestimento del museo di Salvatore Ferragamo Docente: Antonella Serra

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