INDICE
Introduzione
pag. 2
Redivivi e vampiri nell’immaginario collettivo Realtà e mito
Capitolo Primo
pag. 12
I redivivi tra antichitĂ e medioevo
Capitolo Secondo
pag. 34
Redivivi e vampiri tra mito, storia e letteratura
Capitolo Terzo
pag. 66
Dracula: un personaggio tra storia e fantasia Crudele tiranno o grande condottiero?
Conclusioni
pag. 119
Bibliografia
pag. 123
1
INTRODUZIONE
2
Redivivi e vampiri nell’immaginario collettivo. Realtà e mito
Quasi tutti i popoli della terra, agli esordi della loro vita intellettuale e sociale, hanno creato una grande quantità di leggende e racconti intorno alle origini del mondo, agli dei delle loro religioni, agli eroi più valenti e coraggiosi della loro stirpe, ai mostri e alle creature mitologiche. Questi racconti, anticamente diffusi oralmente attraverso le generazioni, hanno subito a volte la modificazione della loro forma originale e dei nomi dei personaggi leggendari; essi si presentano spesso ampliati e completati con l’aggiunta di alcuni dettagli e di una certa quantità di azioni eroiche, ma fin fondo hanno contribuito a formare nel tempo il comune patrimonio culturale dei popoli.1 Tutti questi racconti presentano delle storie e con il tempo si sono evoluti in miti. La parola deriva da un termine greco che significa “racconto”, ma non si tratta di un racconto qualunque. Lo studioso Arturo Graf (1848 - 1913) pensa che il mito possieda una radice storica e che contenga dentro di sé il ricordo di un luogo antichissimo nel quale si
1
F. Ramorino, Mitologia classica illustrata, Milano, 1998, p. 1
3
ritorna con il pensiero ed il desiderio. Afferma, inoltre, che il mito in forma rudimentale appare tra categorie d’uomini che si trovano nella stessa categoria sociale, il che vuol dire che un determinato ceto sociale possiede la propria cultura mitologica.2 Il mito è un racconto meraviglioso che ha come scopo quello di spiegare i misteri del mondo, le sue origini e i suoi valori. Il suo senso è di definire le relazioni tra gli dei e gli uomini. Si tratta di un tentativo di dare risposte a domande fondamentali che l’uomo si è posto, continua e continuerà a porsi. Il termine italiano mito, deriva dal greco mythos, che ha un equivalente pressoché diretto nel latino fabula. Quanto
all’origine
etimologica
della
parola
greca
mythos,
l'orientamento prevalente è quello di farla derivare dal verbo myo, che vuol dire, appunto, essere racchiuso, stare chiuso in se stesso. Gli storici parlano di mito in riferimento a storie false o indimostrabili, in opposizione con la “storia” vera e propria. Molte sono le opinioni dei diversi antropologi, psicologi e teorici letterari. Per Malinowsky (1884 - 1942) i miti erano una dichiarazione di realtà primitiva che ancora vive nella vita odierna in grado di valorizzare le credenze della comunità sociale e viene rappresentata come una giustificazione del passato. Essa modifica un modello di valori morali esistenti, di ordine sociale e di credenze magiche. Il mito è una storia sul passato che serve da riferimento per il presente, cioè una storia che 2
A. Graf, Miti, leggende e superstizioni del medioevo, Milano, 1987, p. 40
4
giustifica l’esistenza ed il mantenimento di una data istituzione.3 Ben diversa è la posizione dell’antropologo Max Müller
(1823 -
1900) il quale affermava che il mito non è né una trasformazione della storia in leggenda favolosa e né un favola divenuta storia. Mito è per lui un evento condizionato dal linguaggio, un difetto di base, una debolezza inerente al linguaggio. Müller porta l’esempio del mito di Deucalione e Pirra. A seguito del terribile diluvio voluto da Giove per eliminare la stirpe umana ormai degenerata, gli unici due superstiti furono Deucalione e sua moglie Pirra, ancora non corrotti e pii. Il padre di Deucalione, Prometeo, gli consigliò di costruirsi un’arca in cui rifugiarsi e in cui navigarono per ben nove giorni. Una volta placatasi la tempesta e ritiratesi le acque, i due si accorsero di essere gli unici supersititi. Consultarono allora un oracolo, che suggerì loro di gettarsi dietro le spalle le “ossa della grande madre”, dopo essersi velati il capo; Deucalione capì allora che l’oracolo si riferiva alle pietre della terra. I due fecero come gli era stato detto: dalle pietre gettate da Deucalione nacquero gli uomini, da quelle lanciate da Pirra le donne: fu così creata una nuova razza umana. L’origine degli esseri umani dalle pietre è essenzialmente assurda e sembra inattaccabile da ogni parte il fatto che sia inventata. La questione che il Müller vuole portare all’attenzione è che in greco antico le parole “uomini” e “pietre” sono assonanti e quasi identiche, 3
B. Malinowski, Myth in primitive psychology , Londra, 2001, p.124
5
quindi il mito è in grado di influenzare anche l’evoluzione del linguaggio.4 Lo storico delle religioni e prolifico romanziere rumeno, nonché fenomenologo delle religioni, Mircea Eliade (1907 - 1986) descrive il mito come il racconto dell’origine. Ma nel moderno non è più così. L’origine è ormai perduta. Il mito del moderno esprime piuttosto l’ansia di ritrovare un luogo originario su cui rifondare un linguaggio che ora sembra basarsi sul nulla.5 Invece il sociologo Percy Cohen (1928 - l999) considera mito, ogni fenomeno folklorico descrivibile con queste quattro caratteristiche: 1) si presenta con la forma di narrazione di eventi, 2) ha caratteristiche sacre, 3) utilizza alcuni elementi non riscontrabili nel mondo reale, 4) si riferisce all’ origine di fenomeni di carattere naturale o sociale.6 Il mito così inteso è in grado di riproporsi in diverse forme con personaggi diversi, ma con lo stesso sottofondo morale. Prendiamo come esempio il mito di Adamo che vive da solo nel Paradiso Terrestre. Questo mito biblico si può ritrovare chiaramente nelle pagine della storia di Daniel Defoe, Robinson Crusoe, nella quale vengono raccontate le avventure del naufrago Robinson che vive da solo in un isola deserta, comportandosi come il personaggio biblico Adamo. Allo stesso modo, l’idea del mito che ritorna si può trovare nel Frankenstein di Mary 4
E. Cassirer, Language and Myth, New York, 1946, pp. 3 - 4 F. Rella, Miti e figure del moderno, Milano, 2003, p. 166 6 G. Ferraro, Il linguaggio del mito. Valori simbolici e realtà sociale nelle mitologie primitive, Roma, 2001, p. 18 5
6
Shelley, da lei stessa sottotitolato “il nuovo Prometeo”, probabilmente collegando l’infelice scoperta del dottor Frankenstein di ridare la vita ai cadaveri con il mito di Prometeo, il quale ricevette da Zeus la punizione esemplare di essere legato ad una roccia e di essere visitato ogni giorno da una famelica aquila che divorava il suo fegato, il quale ricresceva nottetempo. Questa punizione gli fu inflitta per aver tentato di rubare il fuoco agli dei con l’intenzione di farlo conoscere agli esseri umani. Peter Burke definisce il mito con una frase: «il trionfo del bene e del male e la presenza di protagonisti eroici o malvagi stereotipati al di là di qualsiasi verosimiglianza».7 La parola mito sembra sia comparsa per la prima volta in inglese nel 1830. Il termine mito viene definito dall’Oxford English Dictionary come: «una storia puramente fittizia in genere con personaggi, azioni ed eventi soprannaturali, che incarna una certa idea popolare relativa ai fenomeni naturali e storici».8 Una terra ricca di racconti mitologici è stata la Grecia, che ci ha regalato molte storie come quella di Giasone, il figlio di Esone, la cui vita è legata alla favolosa impresa degli Argonauti ed alla ricerca del vello d'oro; oppure il mito dell’eroe greco Ercole, noto in particolare per le sue "dodici
7 8
P. Burke, Storia e teoria sociale, Bologna, 1995, p. 120 I. Watt, Miti dell’individualismo moderno, Roma, 1998, p. 199
7
fatiche" che indicano come il mito derivasse direttamente da qualche precedente culto solare. Le sue dodici fatiche, appunto simboleggiano il passaggio del Sole attraverso le 12 case dello zodiaco. Famosa è la storia di Icaro, figlio dell'inventore Dedalo e di Naucrate, una schiava di Minosse. A Creta, il re Minosse aveva chiesto a Dedalo di costruire un labirinto dove sarebbe stato nascosto un altro essere mitologico, il Minotauro, metà uomo metà toro. Dedalo vi fu rinchiuso con il figlio Icaro. Per tentare di fuggire da lì, l’ingegnoso Dedalo costruì per sé e suo figlio Icaro delle ali, utilizzando penne d’uccello che attaccò ai loro corpi con la cera. Durante il volo, Icaro si avvicinò troppo al sole, il cui calore sfortunatamente fuse la cera e lo fece precipitare in mare. Interessante è ad esempio, la storia meno famosa della sumerica dea della Terra Madre, Inanna. Il suo culto ebbe una larghissima diffusione presso i popoli del Mediterraneo orientale. Il racconto mitologico, la mostra protagonista della sua discesa agli inferi dove viene uccisa dalla sorella Ereshkigal ma gli dei intervengono e la restituiscono alla vita. Da bambini inconsapevolmente, abbiamo sentito parlare di Inanna. Infatti il suo nome è presente nella famosa nenia cantata dalle madri per far addormentare i piccoli: Ninna – Nanna appunto. Dopo la sua discesa negli inferi, Inanna ebbe il privilegio di divenire la dea protettrice del sonno dei bambini. Nel nostro contesto culturale, il termine mito ha assunto un valore
8
spregiativo: si dice “mito” tutto quello che si ritiene impossibile o irrealizzabile. Mitizzare una storia quindi rimanda ad un atto con il quale la realtà viene falsificata.9 Nella mia tesi esaminerò il mito dei redivivi, termine antico per descrivere esseri simili ai vampiri. Nel secondo capitolo descriverò i redivivi del passato più famosi, prendendo in esame trattati a loro dedicati. Per redivivi si intendono degli uomini che, passati a miglior vita, tornano dalla morte nei luoghi in cui erano vissuti, per molestare i vivi. Ben diversa è la figura del vampiro comunemente conosciuta. Il termine “vampiro”, nel senso “essere risorto dalla tomba per volere del male che si nutre esclusivamente di sangue umano per prolungare la sua non vita”, compare nel 1047, come estensione popolare del termine russo Upir (indicante il demone che beve), che in serbocroato diventa vampir.10 Discuterò dell’affascinante figura del vampiro, un personaggio legato alla morte ed in un certo senso, anche alla vita. Il suo processo di mitizzazione, si è accelerato fortemente, grazie al grandissimo successo avuto dalla letteratura che descrive le gesta di misteriosi ed inquietanti quanto solitari e tristi vampiri. Ma è importante da dire che il mito di Dracula come vampiro non esiste, ma esiste solo nell’immaginario collettivo grazie unicamente 9
G. Ferraro, Il linguaggio del mito. Valori simbolici e realtà sociale nelle mitologie primitive, Roma, 2001, p. 16 10 M. Petronio, Dai vampiri al conte Dracula. Un viaggio nell’immaginario occidentale, Palermo, 1999, p. 17
9
all’opera letteraria a lui dedicata e a tutta la filmografia che ne è derivata. E’ a tutti noto che il racconto di Bram Stoker, incentrato nella figura di un aristocratico ed elegante vampiro di nome Dracula, ha fatto divenire il nome Dracula come sinonimo di vampiro. La morte fa parte del nostro ciclo vitale. E’ inevitabile. Ogni essere umano è costretto a passare a miglior vita. Di solito, dinanzi ad una grande paura, il modo migliore per affrontarla, è tentare di esorcizzarne la parte negativa, rendendola umana, e a volte affrontandola. Questa è una lezione che apprendiamo fin da bambini: ad esempio, i bambini che credono nell’esistenza del Bau – Bau, riescono a superare la paura solo convincendosi che nel buio non c’è nulla di pauroso. La paura (ed il desiderio) del morto che ritorna, è comune in tutto il mondo. La figura del vampiro serve proprio a questo scopo: esorcizzare la paura della morte, rendendola antropomorfa. Il vampiro instaura un rapporto intimo e definito con il mondo dei vivi: è stato un uomo condannato, in spregio alla legge divina, a non appartenere pienamente né al mondo dei vivi né a quello dei morti. Succhiando il sangue dei vivi, stabilisce con loro un rapporto parassitario che tende a stravolgere le leggi naturali della comune società: il vampiro non accetta la morte e la elude prolungando la sua non vita nutrendosi della vita altrui. Con ogni morso, egli crea un nuovo vampiro, regalandogli così
10
un’esistenza immortale che va contro le leggi divine. Amato ed odiato dai giovani, seducente, potente, ribelle a tutto, persino a Satana. La sua figura non è nata come un mito propriamente detto. E’ divenuto una figura mitologica con il passare dei secoli. In tutte le storie che hanno un vampiro come protagonista, è sempre il bene e la religione che hanno la meglio, sia nelle storie letterarie del passato medioevale e moderno, sia nella filmografia a noi contemporanea. Eppure, per un breve istante, lo spettatore si immedesima nel male, ammettendo a se stesso per un attimo, che avrebbe desiderato essere come lui, immortale, ribelle e potente.
11
CAPITOLO PRIMO
12
I redivivi tra antichità e medioevo
Durante lo scorrere inesorabile dei secoli gli uomini hanno creato molti miti e leggende. Alcuni di essi si sono persi con il passare del tempo, altri invece si sono saldamente radicati nel nostro immaginario collettivo rimanendo presenti nelle tradizioni locali. Uno di essi è proprio il mito del vampiro, descritto con diverse sfaccettature e chiamato con tanti nomi diversi. Esso è uno di quei miti che ha saputo conservarsi nel corso dei secoli in quanto, essendo nato addirittura nella notte dei tempi, è sopravvissuto fino ad arrivare ai nostri tempi vivo e attuale come non mai. Il vampirismo ha, infatti, radici antichissime. La più antica testimonianza di questo fenomeno è rintracciabile in un'antica tavoletta assiro-babilonese (risalente circa al terzo millennio a.C.) conservata al British Museum di Londra in cui è incisa una formula magica che serve a proteggersi dai Demoni notturni succhiatori di sangue, ovvero le Lilin e gli Etimmè. Si parla già di vampiri in testi pre-cristiani come ad esempio nel Talmud e nello Zohar (Libro degli splendori), testi d’ambiente ebraico contenenti diverse leggende religiose tra cui quella che riguarda
13
Adamo e la sua compagna Lilith. Secondo questi testi infatti, la prima vera compagna d’Adamo non fu Eva, bensì Lilith.11 La leggenda narra che Lilith un bel giorno si ribellò ad Adamo, di cui contestava la supremazia, affermando di non volersi sottomettere a lui perché creata anch’essa con il fango.12 Per questo motivo abbandonò il paradiso terrestre. Allora Dio inviò tre angeli, Snoij, Sansnoij e Smanglof per cercarla e convincerla a tornare nell’Eden dal marito. Raggiunta dagli angeli, Lilith rivelò loro che era stata creata per uccidere i neonati, ma se l’avessero lasciata andare, lei si sarebbe impegnata a risparmiare tutti i nuovi nati che avessero avuto il nome dei tre angeli. La figura dei tre angeli è ricorrente nelle rappresentazioni sacre della nostra religione: in molte chiese si possono trovare dei quadri raffiguranti santi protetti da tre angeli che riportano nomi simili a quelli inviati da Dio per convincere Lilith a tornare da Adamo. In effetti Lilith ha mantenuto in seguito il giuramento fatto agli angeli perché, come scrive Giacomo Tartarotti nel suo Del congresso notturno delle Lammie, in ambiente ebraico quando arriva il momento del parto13, il padre di famiglia, disegna sulle quattro pareti della stanza, sulla porta e sul letto della partoriente un cerchio, con al centro il nome di Dio, Shaddai (Onnipotente), poi utilizzando la forma di un triangolo il nome dei 11
M. Centini, Il vampirismo, Milano, 2000, p. 25 sgg J. Allen, Modern Judaism: or A brief account of the opinions, tradition, rites, and ceremonies of jews in modern times, Londra, 1830, p. 167 13 G. Tartarotti, Del congresso notturno delle lamie, Rovereto, 1751, Libro primo, p. 2 12
14
tre angeli. Sul lato destro del cerchio, viene scritto Eva, sul lato sinistro Adamo, mentre alla testa che ai piedi del cerchio fuggi, o Lilith. Appena nato, il neonato veniva vestito con una camiciola, chiamata brevicino, con su scritti i nomi dei tre angeli, in modo da ricordare a Lilith la sua promessa. I segni erano fatti con il carbone. Queste misure erano necessarie per garantire la protezione del nascituro. Se questi era un maschio, allora esse venivano protratte sino alla sua circoncisione, cioè fino all’ottavo giorno dopo la nascita. Un altro tipo di scongiuro era quello di battere un dito sulle labbra del bambino: questo atto doveva servire a far svanire Lilith nell’aria. Si riteneva appunto che Lilith fosse presente nell’aria. Si hanno notizie di Lilith, trasformata nelle sembianze di un uccello notturno come il barbagianni o il gufo. Da qui deriva la superstizione presente ancora nella cultura meridionale che riguarda l’uccello del malaugurio: esiste infatti la credenza che il verso del barbagianni vicino ad una casa è il segno dell’ arrivo della morte. Alle sembianze ornitologiche assunte da Lilith si riferisce anche un passo di Isaia 34, 14: “Gatti selvatici si incontreranno con iene, i satiri si chiameranno l’un altro, vi faranno sosta anche le civette e vi troveranno tranquilla dimora” descrivendo con queste parole la fine del regno di Edom.14 Il mito di Lilith è presente in molte leggende e credenze ancora nell’epoca presente: si dice che essa sia un demone notturno, che 14
Sacra Bibbia, Isaia, 34,14
15
tormenti il sonno degli uomini che dormono da soli (probabilmente diffuso dalle madri che volevano una moglie per il figlio) e che giochi con i bambini durante il sonno. Quanto all’ origine del nome ci sono inoltre molte ipotesi che farebbero derivare Lilith dall’arabo Laila, che vuol dire notte e che forse spiega perché essa viene assimilata ad un uccello notturno. Le origini di Lilith provengono dall’ ambito Mesopotamico facendo poi parte delle credenze bibliche. Questa è la storia della sua origine: la dea assira Ishtar si serve di un demone che é in forma di una attraente prostituta detta "Manno di Unnini" o in semitico "Lilu" che era il simbolo della lascivia15; inoltre Lilitu era associata anche ad altri animali, in modo particolare alla pantera. Invece nella cultura sumerica, Lilu, Lilitu ed Ardat Lili, la “progenie di Lilith”, assumono forse l'aspetto del piacere infecondo e lussurioso, soprattutto Ardat Lili, come una "vergine senza latte", una femmina che si accoppia senza poter avere un figlio, provocando nell'uomo la lussuria ma senza soddisfarlo. La leggenda dimostra la coscienza che gli antichi avevano un rapporto di profonda interrelazione fra mondo palestinese e mondo asiatico. Per alcuni studiosi, il mito di Lilith è nato per l’esigenza di sottolineare che la donna era vista come un ostacolo per la redenzione in quanto istigatrice del peccato, rappresentata dalla visione distorta che 15
A. Mason, Necronomicon Gnosis: A Practical Introduction, Rudolstadt, 2007, p.115
16
avevano gli uomini delle donne.16 Il mito di Lilith, precursore dell’odierna caratterizzazione del vampiro, si è evoluto nel tempo, dando vita a diversi demoni in molte culture. Nell’antica Roma come nella Grecia, dove si praticavano diversi riti pagani, si sono sviluppate diverse credenze che avevano a che fare con il demone Lilith. In quel periodo si venerava la dea Cardea, una ninfa che secondo la leggenda era stata violentata da Giano, e alla quale come contropartita all’oltraggio subito, era stato accordato il privilegio di tutelare le porte delle case romane, tanto da divenire la dea tutelare delle dimore romane e da simboleggiare i cardini della porta. Nella letteratura riguardante i vampiri, si fa esplicito riferimento al fatto che essi non possono oltrepassare le soglie se non sono invitati, e ciò deriva o quanto meno prende spunto appunto dalla leggenda della dea tutelare Cardea, che proteggeva le porte d’ingresso delle case tramite degli amuleti recanti sopra il suo nome. Greci e Romani avevano la loro mitologia che per molti versi ricordava alcuni assetti del vampirismo, fatta di figure dai nomi diversi, ma con connotati pressoché simili.17 Tutta la tradizione antica è ricca di figure femminili leggendarie, che animano i racconti dei più famosi scrittori come Orazio, Ovidio, Properzio, Apuleio, 16
N. Aschkenasy, Eve's Journey: Feminine Images in Hebraic Literary Tradition, Detroit, 1994, p. 51 17 A. Cerinotti, Il Diavolo. L’avversario: angelo ribelle, principe delle tenebre, seduttore…, 2000, Colognola ai Colli, p. 63
17
Petronio ed altri. Il poeta latino Ovidio (43 a.C. – 18 d.C.), ad esempio, parla di striges, nei suoi Fasti18, un opera nella quale l’autore passa in rassegna le feste del calendario romano avvalendosi dell’inedita fonte di Valerio Flacco.19 Ovidio parla di striges descrivendole come alcune donne uccello dall’aspetto di arpie, solite a volare di notte sulle culle dei neonati per succhiare loro il sangue. Nel mondo greco esistono diverse storie su queste figure mitiche, ma il popolo non dava a tutte lo stesso peso vedi, ad esempio, la storia narrata da Flegonte di Tralle, scrittore greco del II sec. d.C. (presente nell’opera Sulle cose straordinarie), che non riguarda un demone, bensì di una bella fanciulla di nome Philinnio. Flegonte racconta che Philinnio era morta già da qualche tempo quando, uscita dalla sua tomba, si accoppiò con un giovane di nome Machate, ospite nella casa dei suoi genitori. Le intenzioni della giovane non sono poi assolutamente malevoli. Ben diverse sono invece le intenzioni, della protagonista femminile, un’empusa, della storia di Filostrato. In questo caso, essa circuisce il giovane Licio Menippo al solo scopo di nutrirsi del suo corpo “bello e giovane”, formato da sangue “puro e forte”. L’empusa era un mostro femminile dall’aspetto ora orribile (di cane, di vacca, o di serpente) ora
18 19
M. Montesano, Streghe, Firenze, 2001, p. 66 A. Cerinotti, Il Diavolo, cit. p. 63
18
grazioso. Sotto questa ultima forma insidiava durante le ore notturne o del primo pomeriggio uomini giovani, per nutrirsi poi delle loro carni. Una prerogativa questa che avvicina l’empusa all’incubo notturno. Empusa letteralmente significa “colei che s’introduce a forza”: così erano chiamate le figlie della dea Ecate o Cagne nere. Robert Graves nei suoi celebri Miti greci, le descrive in questo modo: «i sozzi demoni chiamati Empuse, figlie di Ecate, la dea che appariva di notte con i suoi neri cavalli, hanno piedi d’asino e calzano pianelle di bronzo, a meno che, come taluni vogliono, esse abbiano una gamba d’asino e una gamba di bronzo. 20 È loro costume terrorizzare i viandanti, ma si può scacciarle prorompendo in insulti, poiché all’udirli esse fuggono con alte strida. Le Empuse assumono l’aspetto di cagne, di vacche o di belle fanciulle e, in questa ultima forma si giacciono con gli uomini la notte o durante la siesta pomeridiana e succhiano le loro forze vitali portandoli alla morte».21 L’accentuazione dei tratti equini è dovuta alla simbologia dell’asino, che era sia sinonimo di lussuria, ma anche l’animale dell’oscurità servo delle forze del male. L’ empusa appariva all’ improvviso, talvolta a bordo di una carrozza trainata da cani latranti e seduceva gli uomini immersi nel sonno costringendoli a focosi amplessi che lasciavano letteralmente
20 21
E.Bianchi, Dizionarietto di mitologia, Firenze, 1940, p. 80 R. Graves, I Miti Greci, Milano, 1979, p. 170
19
stremati i malcapitati. Dopo il rapporto, l’empusa, premendosi sul corpo della vittima, si nutriva del liquido che si pensava contenesse la vita: lo sperma. Filostrato descrive l’empusa come una donna morta che ritorna in vita per godere dell’ amore che le fu negato quando era in vita. Nella Vita di Apollonio di Tiana, l’autore narra la storia di una fanciulla fantasma che adesca il giovane Menippo per godere dei piaceri coniugali; ma il tergo Apollonio la salva sconfiggendola con un esorcismo22. Filostrato scrive: “Perché possiate comprendere meglio, sappiate che la seducente fidanzata è un Vampiro, una di quelle empuse che il popolo chiama Mormolyce. Anche i Vampiri sono attratti dal sesso: ma ancor più amano il sangue e la carne umana, e usano il sesso per intrappolare coloro che vogliono divorare.”23 Esiste una figura mitologica molto affascinante chiamata lamia24 il cui nome proviene probabilmente dalla parola Lamyros (ingordo) da laimos (gola), oppure dal verbo “laniare”. Descritta spesso come imparentata con le empuse ha però caratteri diversi. Essa è raffigurata come un animale dal corpo leonino, capo di donna e seni in mostra. Narrano le leggende che
22
F. Pezzini, Le vampire, Roma, 2005, p. 16 VV.AA. , Storie di Vampiri, Roma, 1994, p. 971 24 Una famosissima storia sulla figura di Lamia, quella di Apollonio-Menippo, è narrata da Keats nella poesia Lamia del 1819. In quel periodo molti autori si sono impegnati nello scrivere storie su tema vampirico. 23
20
Lamia avesse una discendenza nobile: era figlia di Belo, il re di Libia.25 Fu amata da Zeus con cui ebbe numerosi figli. Era, moglie di Zeus, accecata dalla gelosia, indusse col suo potere Lamia a uccidere tutti i suoi figli ragion per cui la sventurata fanciulla si andò a nascondere in una grotta e divenne un mostro orribile dalle orrende connotazioni canine, destinato ad uccidere i neonati per vendicarsi di quanto Era l’aveva costretta a fare. Era continuò con la sua gelosia, togliendo il sonno a Lamia. Zeus, colto da pietà nei confronti della sua amante, le concesse il privilegio di potersi togliere gli occhi per riposare ed appoggiarli in un vaso: quando lei non aveva gli occhi non era pericolosa.26 I popoli antichi, in maggiore misura i romani e i greci, mostravano atteggiamenti contraddittori nei confronti delle donne a metà tra ammirazione e paura. Credevano che nel loro potere seduttivo ci fosse una capacità distruttiva e la figura di Lamia ne era un perfetto esempio. Nell’opera Farsaglia o Guerra civile, scritta dal poeta latino Lucano (39d.C.- 65 d.C.), nipote del più famoso Lucio Anneo Seneca, troviamo un breve passaggio in cui si legge: ”(La lamia) non esita ad uccidere se ha bisogno di sangue caldo che fuoriesca a fiotti da una gola recisa, e se le funebri mense richiedono viscere palpitanti; così con uno squarcio nel ventre, estrae i feti da porre sulle are ardenti e non per la via
25 26
F. Pezzini, Le vampire, cit. p. 15 R. Graves, I Miti Greci, cit. p. 184
21
che la natura richiede”.27 Oltre alla figura di Lamia esistevano esseri simili chiamati Lemuri. Erano le ombre dei morti che talvolta comparivano di giorno se il cadavere non era stato sepolto con le dovute cerimonie. I romani, durante la festività delle Lemurali compivano sacrifici «per le ombre de’ morti». 28 La parola lemures, viene da Remures, da Remo il quale, essendo stato ucciso da Romolo, gli appariva in forma di spettro e lo molestava nottetempo. Imparentati fortemente con le figure appena trattate sono i demoni incubi e succubi. Le leggende che narravano l’esistenza di questi esseri erano presenti in diversi testi medioevali tra cui il Malleus maleficarum (Il martello delle streghe), una sorta di manuale del perfetto inquisitore. Questo testo è noto agli psicologi per le sue forti connotazioni misogine e per le questioni sessuali che vengono a costituire l’argomento centrale, trasformandosi così in un delirio sessuofobico.29 Il libro in questione fu pubblicato nel 1486 e fu scritto da due monaci domenicani, Heinrich Kramer e Jakob Sprenger, incaricati da Papa Innocenzo VIII tramite la bolla «Summis desiderantes affectibus» di combattere la stregoneria e l’eresia a Magonza. Questo testo era utilizzato durante il periodo della santa inquisizione come un vero e proprio manuale 27
M.Centini, Il vampirismo, cit. p. 37 G. Tartarotti, Del congresso notturno delle lamie Rovereto, 1751, Libro primo, p. 32 29 H. Krämer, J. Sprenger, Il martello delle streghe. La sessualità femminile nel transfert degli inquisitori,Venezia,1995, quarta di copertina 28
22
di riferimento. Le streghe venivano chiamate anche succubi perché si pensava che fossero le amanti di satana: infatti, la parola succubo o succube deriva dal latino, sub-cubare, cioè giacere sotto e in particolare succube era un demone dall’aspetto femminile che seduceva gli uomini. Nel Malleus vengono descritti anche gli stregoni chiamati incubi termine anche questo di provenienza latina, da in-cubare cioè giacere sopra. La credenza negli incubi e nei succubi nacque per dare una spiegazione soprannaturale alle numerose nascite extraconiugali, infatti quando non si voleva dare una spiegazione al proprio consorte, veniva data la colpa a questi esseri. Di demoni incubi e succubi si occupa anche Ludovico Maria Sinistrati nel suo libro dal titolo Demonialità. Padre Ludovico Maria Sinistrari, dell'Ordine dei Minori Riformati di stretta Osservanza francescana, nacque ad Ameno, cittadina del distretto di San Giulio d'Orta, nella diocesi di Novara, il 26 febbraio 1622. Ricevette un'educazione liberale e studiò lettere a Pavia, dove entrò nel 1647 nell'Ordine dei Francescani. Si diede all'insegnamento, facendo in un primo tempo il professore di Filosofia, poi insegnò Teologia nella stessa città per quindici anni consecutivi, circondato da numerosi studenti che erano attratti per la sua fama da tutti i paesi d'Europa. Uomo di cultura universale, apprese da autodidatta le lingue straniere e spesso nei Concili (Comizi) generali del proprio Ordine, a Roma, sostenne pubbliche tesi su ogni materia dello
23
scibile umano. Tuttavia s'interessò in modo particolare allo studio del Diritto sia Civile sia Canonico. Occupò a Roma il posto di Consultore al Tribunale Supremo della Santa Inquisizione, fu per due anni Vicario generale
dell'Arcivescovo
d'Avignone,
e
poi
fu
Teologo
presso
l'Arcivescovo di Milano. Nel 1688, incaricato dai Comizi generali dei Francescani di redigere nuovi statuti per l'Ordine, s'occupò di tale incarico con il trattato Practica criminalis Minorum illustrata. Morì il 6 marzo 1701, all'età di 69 anni. Nel suo libro Demonialità egli tenta di dimostrare l’esistenza di queste creature non come incarnazioni del demonio, ma proprio come creature razionali dotate di una anima e di un corpo, e quindi in grado di procreare. Scrive il Sinistrari:” Stupefacente e quasi incomprensibile è come questi incubi, o in italiano folletti, o in spagnolo duendes, in francese folet, non obbediscano agli esorcisti né temano esorcismi; essi non rispettano gli oggetti sacri, manifestando paura al loro avvicinarsi come fanno i demoni che tormentano gli ossessi.(…)Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso.”30 Secondo questo autore gli incubi ed i succubi si nutrivano di sangue lasciando esangui le vittime; essi avevano una particolare propensione verso l’accoppiamento con le donne di genere umano e dalla loro unione sarebbero nati diversi personaggi storici tra cui 30
L. M. Sinistrari, Demonialità, Palermo, 1986, pp. 41-42
24
Romolo e Remo, Alessandro Magno, Platone, Martin Lutero. Nel medioevo la morte era rappresentata in diversi modi. Era descritta come un essere femminile nella figura di uno scheletro coperto da un sudario nero e con una falce in mano. Probabilmente questa immagine, che è giunta fino a noi, dipende dal fatto che spesso le donne erano sepolte con un velo nero e con gli strumenti da lavoro. La falce era posta vicino al corpo, non solo perché si pensava che il defunto potesse usare tale strumento anche nell’aldilà, ma anche perché se il defunto fosse divenuto un redivivo, si sarebbe potuto decapitare da solo senza che nessuno toccasse il cadavere. Intorno all’ anno 1000, non esistevano soltanto figure mitologiche come le empuse e
le lamie facenti parte dell’ ambito
vampirico, ma anche normali persone che si credeva fossero tornate dalla morte. Episodi del genere vengono descritti da William di Newburgh e da Walter Map. Conosciuto anche con il cognome Petit, William nacque nel 1136 e visse a Newburg nella Abbazia di Austin nello Yorkshire, dove vi morì nel 1208. La sua opera più conosciuta si chiama Historia Rerum Anglicarum, un testo storico che copre un periodo compreso tra il 1066 al 1198, è molto interessante perché vi vengono discussi dei casi di uomini tornati dalla morte: un uomo seppellito alla vigilia dell’ ascensione, torna nella camera della moglie gettandovisi addosso e lasciandola mezza
25
morta.31 Il ritornante continua la sua opera con i parenti, poi con altre persone, finchè il vescovo di Lincoln decide di riesumare il corpo. Trovatolo incorrotto, il vescovo ordina che sia riseppellito benedicendone la fossa. Da quel momento gli incidenti cessarono completamente. Nel 1196, continua l’autore, morì un uomo ricco, ma malvagio che per voler di Satana usciva dal sepolcro e terrorizzava uomini ed animali. Il cadavere viene esumato e bruciato, ma i popolani del luogo credettero che i miasmi del rogo avessero provocato la terribile pestilenza che in seguito aveva mietuto diverse vittime (in quel periodo si credeva che la morte portasse morte). Newburg riporta altri due episodi, uno riguarda un cappellano il quale, dopo morto, non riuscendo a rientrare nella sua abbazia, prese a terrorizzare una nobildonna. L’altro riguarda un uomo che muore senza confessione in seguito di una caduta da un tetto. Quindi essendo morto senza la grazia di Dio, per il potere di Satana, torna ad aggirarsi tra la popolazione terrorizzando i popolani. A quel punto fu presa la decisione di togliere il corpo dal suo sepolcro per purificarlo: prima che fosse bruciato fuori dal villaggio esso fu decapitato. Se l’obiettivo primario di William Newburgh era quello di istruire i lettori, l’intento di Walter Map, che scrive intorno al 1200, il suo De Nugis Curialium, era invece quello di divertire i suoi lettori. Scarne ed incerte 31
W. Parvi, Historia Rerum Anglicarum, Volume IV, pp. 182-190
26
sono le notizie biografiche su Walter Map. Nato nella quarta decade del XII secolo nel Galles, come si evince sia nel De Nugis Curialium stesso, sia dal suo stesso cognome ( «ap» è diffuso in gallese per costituire dei patronimici ). Si recò a Parigi nel 1154 per studiare, dove ebbe come maestro il canonista Gerard la Pulcelle. Tornò in Inghilterra nel 1162 circa e conobbe Tomas Becket, che allora era cancelliere reale presso la corte di Enrico II Plantageneto. Walter Map fu ammesso alla curia regis presso la quale ottenne cariche importanti fino a divenire arcidiacono di Oxford. Secondo il suo collega Giraldo di Barri, la sua morte avvenne intorno al 1208.32 Nella sua opera, Walter Map, descrive il ritorno di individui dalla morte che egli considera come un prodigium. Egli racconta ad esempio di un certo Guglielmo Laudun che si recò da Gilberto Foliot, vescovo di Hereford, per chiedergli consigli riguardo ad un malvagio gallese morto da poco tempo senza i conforti della fede,33 il quale, quattro giorni dopo la dipartita, aveva cominciato a ritornare ogni notte nel suo villaggio e a chiamare per nome i suoi compaesani. Racconta Walter Map che ogni persona chiamata si ammalava subito dopo e moriva entro i successivi tre giorni. Il vescovo cominciò a pensare che probabilmente il Signore, avesse dato al diavolo, chiamato angelo malefico, il potere di agitarsi nel corpo del defunto. Quindi
32 33
W. Map, Svaghi di Corte, Parma, 1990, Volume I, p. 28 Ivi, p. 277
27
per risolvere il problema, il vescovo ordina innanzitutto di esumare il corpo e che, una volta fatta tagliare la testa con una vanga, fu asperso con acqua benedetta e fu riposto nella fossa. Nonostante i paesani avessero eseguito il volere del vescovo, essi continuavano però ad essere tormentati, fino a che, racconta il Map, lo stesso Guglielmo, fu chiamato dal demone, ma lui riuscì a ribellarsi, inseguendo il redivivo fino alla tomba. Altri prodigi sono narrati, tutti simili tra loro, con poche varianti. Si racconta che un morto senza fede vagava per il paese indossando il proprio cilicio di notte ed anche in pieno giorno, fino a che una folla di paesani lo catturò durante un pomeriggio ed egli restò visibile a tutti per tre giorni. Fu ordinato di porre una croce sulla sua tomba e di lasciarlo tornare da dove era venuto. Al suo ritorno nei pressi della tomba, nel momento in cui vide la croce, fuggì via. Tolta la croce, il defunto rientrò nel sepolcro, la terra fu richiusa sopra di lui e, una volta ricollocata la croce, riposò in pace. Alla fine del racconto di questi fatti che lui considerava prodigium, Walter Map commenta ciò che ha appena scritto dicendo: «Vi ammannisco una selva ed una foresta non dico di favole, ma di dicerie: non mi dedico infatti al culto dello stile, né se lo facessi ci riuscirei(…)Sono il vostro cacciatore: vi porto la selvaggina, fatene dei buoni piatti». Con questa breve affermazione Map sembra dichiarare che tutto ciò che ha appena scritto, serve solo ad allietare il lettore, anzi addirittura che, dovrebbe essere il lettore stesso a far divenire
28
gradevole ciò che ha appena letto, traendo da solo le sue conclusioni. Walter Map racconta anche una storia insolita che non riguarda mariti gelosi tornati dalla morte per sorvegliare le vedove oppure soldati con una condotta di vita deplorevole, che tornano a vendicarsi con i vivi, bensÏ la storia di re Herla.34 Il re Herla fa parte della categoria di quelle anime che ritornano dalla morte, anzi lui è in pratica, il primo non-morto conosciuto. La narrazione tradizionale annuncia che il re bretone Herla, fu chiamato da un altro re dai connotati fisici simili al dio Pan: un fiammante volto, una grande testa, una lunga barba rossa in grado di toccare il petto, pancia ispida e piedi caprini. Questo insolito re strinse un patto con Herla: si impegnò di assistere alle sue nozze con la figlia del re dei franchi, in cambio di essere assistito da Herla al suo matrimonio che sarebbe avvenuto dopo un anno. Il giorno delle nozze di Herla, il re dalle caprine sembianze giunse ai festeggiamenti con la sua corte allietando i commensali. Dopo un anno esatto, Herla ricambiò il favore, recandosi al matrimonio del re simile a Pan. Ricevette diversi doni da questo ultimo, ma prima di andare via, Herla ricevette come ultimo presente, un cane da portare in braccio, con la raccomandazione di non far scendere da cavallo nessuno prima che il cane avesse toccato terra. Re Herla chiese ad un pastore, poco distante da dove erano i 34
W. Map, Svaghi di Corte, cit. pp. 63-69
29
festeggiamenti, notizie sulla regina, moglie dello strano re, ma il pastore, che a stento capiva la lingua del suo interlocutore, disse ad Herla che lui si riferiva a fatti accaduti duecento anni prima. Il re capì di trovarsi in un paradosso temporale e di essere la vittima di una maledizione. Alcuni dei suoi guerrieri scesero da cavallo, dimenticando completamente che sarebbe dovuto scendere prima il cane. Non appena toccata terra, i guerrieri si tramutarono in polvere. Compreso il motivo della trasformazione in polvere, Herla proibì a chiunque di scendere da cavallo se prima non lo avesse fatto il cane. A quanto pare il cane non ha mai deciso di scendere da cavallo. La leggenda di Herla e del suo esercito vagante è stata presa in considerazione da Orderico Vitale nel Suo Historia Ecclesiastica.35 Viene introdotta la leggenda dell’ Exercitus Mortuorum con la visione di un prete chiamato Walkelin, divenuto poi vescovo a Sant’ Albino di Angers. Il prete, dopo aver assistito un malato, ritornando a casa udì un gran rumore che sembrava essere prodotto da un grande esercito. Provò a nascondersi ma un essere gigantesco non glielo permise. Orderico continua il suo racconto descrivendo l’esercito dividendolo in cortei o gruppi. Il primo gruppo era il più composito. Era un’ immensa truppa di fanti, con bestie da soma cariche di vesti e di utensili diversi. Affrettavano il
35
O. Vitale, The Ecclesiastical History of England and Normandy, Londra, 1854, Volume II pp. 511-520
30
passo gemendo terribilmente e fra loro il prete riconobbe dei vicini recentemente
deceduti. Seguiva una schiera
di
sterratori
(turma
vespillionum), i quali portavano a due a due una cinquantina di barelle cariche di nani, che avevano la testa smisuratamente grossa o a forma di vaso (dolium). Due etiopi -demoni neri – portavano un enorme tronco d’albero sul quale era legato e torturato uno sventurato che urlava per il dolore. Un demone terrificante, seduto sul tronco, lo feriva ai reni e alla schiena colpendolo con i suoi speroni incandescenti.36 Seguiva un gran numero di donne a cavallo, sedute come amazzoni, su selle dotate di chiodi ardenti. Incessantemente il vento le sollevava all’altezza di un cubito per lasciarle poi ricadere dolorosamente sulle loro selle e i loro seni erano trapassati da chiodi arroventati che le facevano urlare pentendosi dei loro peccati. Walkelin, terrorizzato, vide in seguito un esercito di preti e di monaci, guidati da vescovi e abati, che portavano ognuno la propria croce. Erano tutti vestiti con abiti neri e si lamentavano e supplicavano Walkelin, che chiamavano per nome, di pregare per loro. Ancor più spaventoso era il gruppo successivo: esso era l’«esercito dei cavalieri» (exercitus militum), composto da uomini in groppa ad immensi cavalli, completamente vestiti di nero e che vomitavano fuoco. Erano
36
J. C. Schmitt, Ghosts in the Middle Ages: The Living and the Dead in Medieval Society, U.S.A., 1998, p. 95
31
muniti di insolite armi e di bandiere nere, come se dovessero prendere parte ad una guerra. Mentre il corteo si allontanava, Walkelin venne avvicinato da un cavaliere che diceva di essere Robert, il suo defunto fratello. Prima di congedarsi Robert chiese al prete di pregare per la sua anima dannata.37 Dopo il passaggio di questo esercito, il prete Walkelin riconobbe in esso la masnada Hellequin, formata da anime di morti destinate a cavalcare in eterno. Orderico Vitale, descrivendo in questo modo l’ Exercitus Mortuorum, trasforma la figura del revenant in uno spirito in continuo atto catartico e la masnada Hellequin in uno spazio d’ espiazione itinerante. Sono importanti le figure del cavallo e del cane perché hanno la funzione di accompagnare il defunto nell’aldilà, come di solito viene visto nelle sepolture, dimostrando che questi animali posseggano poteri psicopompici38 ( gr. Psyché “anima” e pompós “che conduce”) come il Caronte Dantesco, costretto a traghettare le anime dei nuovi dannati da una riva all'altra del fiume Acheronte, ma solo se i loro cadaveri avevano ricevuto i rituali onori funebri. Dell’esercito dei morti, le cui testimonianze più antiche risalgono ai tempi in cui il Cristianesimo era ormai largamente diffuso in Europa, si ebbero notizie fino alla fine del secolo XVI. Sebbene 37
J. C. Schmitt, Ghosts in the Middle Ages, cit. p. 96 C. Donà, Per le vie dell'altro mondo: l'animale guida e il mito del viaggio, Catanzaro, 2003, p. 367 38
32
le apparizioni fossero diventate più rare, a Francoforte s’instaurò la consuetudine di pagare alcuni giovani che, una volta all’anno, conducessero di notte davanti alle porte delle case, un carro coperto di foglie cantando canzoni. In questo modo si celebrava la memoria dell’esercito dei morti. Il destino del terribile cavaliere Hellequin, dopo essere stato demonizzato, fu di ricomparire, in veste di maschera multicolore, formata dagli strappi delle uniformi dei cavalieri, con il volto annerito dalle fiamme dell’ inferno, nel teatro borghese assumendo il nome di Arlecchino.
33
CAPITOLO SECONDO
34
Redivivi e vampiri tra mito, storia e letteratura
“Essere seppelliti ancora vivi è senza dubbio il più spaventoso di questi estremi che mai sia toccato in sorte a essere mortale. Che ciò sia accaduto frequentemente, assai frequentemente, non sarà certo negato da coloro che pensano. I confini delimitanti la Vita dalla Morte sono innegabilmente tenebrosi e vaghi. Chi può dire dove quella finisce e dove questa incomincia?” 39…Così scriveva Edgar Allan Poe nel 1844, nel suo racconto Il seppellimento Prematuro, una storia ispirata ad alcuni episodi realmente accaduti di persone sepolte vive. In quel periodo scoppiò quasi la fobia, specialmente in ambiente nobiliare, di essere inumati ancora coscienti. Come racconta nel suo romanzo, Edgar Allan Poe era colto da attacchi catalettici, che lo imprigionavano in uno stato di semincoscenza, il quale poteva addirittura persistere per diversi giorni. Per ovviare a questa paura, alcune persone si facevano costruire delle tombe apposite con una scorta di viveri, uno sfiato per l’ossigeno e pattuivano di farsi seppellire con una corda legata alla mano collegata con una campana, così da richiamare l’attenzione delle persone presenti affinché venga salvata loro la vita. 39
E. A. Poe, I Racconti, Novara, 1990, p. 181
35
Risale al 1653 la pubblicazione di un’opera in cui si racconta per la prima volta la storia del vampiro classico, chiamato nachzehren (da nach, «dopo», e zehren, «cibarsi, far preda di»), una variante del vampiro comune, un “quasi” succhiatore di sangue. L’opera An Antidote against Atheism di Henry More (1614-1687) filosofo inglese della scuola neoplatonica di Cambridge. Nell’opera si narra la storia di un calzolaio della Slesia, morto suicida il 20 settembre del 1591.40 Egli ritorna dalla tomba, ma per quanti fastidi arrechi alle sue vittime non succhia loro il sangue. La storia mette bene in evidenza come il suicidio esponga il cadavere al rischio di non morire definitivamente. Una seconda storia più o meno coeva alla precedente (a Breslau, sempre in Slesia) si avvicina di più alla figura tradizionale del vampiro. In questo caso il protagonista è un tale di nome Johannes Cuntius il quale, muore colpito accidentalmente da un cavallo. Al momento della sua morte, un gatto nero entra nella sua stanza e, saltando sul suo letto, gli graffia il viso. Nel passato, quando un cadavere veniva ferito da un animale, e specialmente da un gatto nero, il defunto sarebbe ritornato tra i vivi. Questo è quello che si disse che fosse accaduto: Johannes Cuntius tornò tra i viventi arrecando numerosi fastidi, percuotendo violentemente parenti ed estranei, tentando di violentare le donne, causando odori pestilenziali e fatto curioso 40
H. More, An Antidote against Atheism, Londra, 1653
36
diverso dal solito, si nutre di latte, ma prima lo trasforma in sangue. Esce inoltre dalla tomba da piccoli orifizi. Esumato il corpo, e trovatolo sostanzialmente in ottime condizioni, venne bruciato, non prima di essere stato fatto a pezzi (con abbondante fuoriuscita di sangue).41 Al contrario di quanto si possa pensare, durante il Settecento, secolo dei lumi e della ragione, si registrò il più alto numero di casi di presunto vampirismo della storia. La medicina allora relativamente rudimentale, tentava di spiegare alcune malattie fuori dalla sua portata, qualificandoli come fenomeni paranormali. La tubercolosi ad esempio, una malattia infettiva, causata da un batterio chiamato Mycobacterium tubercolosis o Bacillo di Koch, dal nome del medico tedesco che lo isolò nel 1882 per la prima volta, nel Sei – Settecento non aveva ancora una spiegazione medica. Così in quel periodo, se alcune persone espettoravano sangue, perdevano peso e venivano segnate da profonde occhiaie, la colpa era data ai morti che uscivano dalle tombe. Diversi sono i trattati scritti sull’ argomento da religiosi, studiosi, scienziati durante i secoli, così come anche da parte di scrittori contemporanei agli avvenimenti narrati.42 Di eccezionale valore è il lavoro di Leone Allaci, De Graecorum hodie quorundam opinationibus, scritto nel 1645 a Colonia, ove l’autore 41
M. Oldfield Howey, The cat in magic and myth, Mineola, 2003, p.177 A. Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni de spiriti e sopra i vampiri, o redivivi d’ Ungheria, di Moravia e di Slesia, Torino, 1986, Prefazione, p.V 42
37
discute ampiamente di molte tradizioni legate in qualche modo ai vampiri, riguardo ai quali disse: "il vrykolakas è il corpo di un uomo dalla vita malvagia e corrotta, molto spesso di una persona scomunicata dal suo Vescovo. Questi corpi non soffrono la decomposizione come gli altri cadaveri dopo la sepoltura, non divengono polvere, ma avendo, almeno così sembra, una pelle di straordinaria resistenza, diventano gonfi e tesi ovunque. La pelle diventa tesa come quella di un tamburo, e se colpita dà lo stesso suono di esso". Secondo questo autore, un demone prendeva possesso di un corpo che sorgeva dalla tomba e, in genere durante la notte, vagava per le strade dei villaggi, bussando ad ogni porta e chiamando gli abitanti delle case per nome. Se la persona poco saggiamente rispondeva, la sua morte era sicura durante il giorno successivo. In ogni caso il vrykolakas non chiamava mai due volte lo stesso nome. Ecco perché, continua l’autore, era vigente in Grecia l’usanza secondo cui le persone, prima di rispondere durante la notte, attendono che chiunque bussi alla loro porta li chiami per due volte. Quindi Allaci prosegue spiegando come questa tradizione greca non sia affatto una novità, né sia di recente creazione. Egli ci riferisce: “sia nei tempi antichi che nei tempi più recenti uomini santi e uomini di grande pìetas che avevano ricevuto il Battesimo cristiano hanno tentato di strappare le radici a questa tradizione dall' immaginazione popolare”. Allaci inoltre non esita a
38
descrivere le sue personali testimonianze sull' esistenza dei vampiri, della cui realtà era sicuro. E aggiunge: “è tentativo da folli il cercare di negare che questi corpi sono spesso trovati non corrotti nelle loro tombe e negare il loro uso da parte del Demonio, se Dio lo permette, per orribili complotti e piani a danno dell'umanità”. Questa anormale situazione di decomposizione del cadavere, era considerata un sicuro segno di vampiro, nonché una condizione indispensabile al vampirismo. Per Allaci, infine, il verificarsi di questi fenomeni, era dovuta alla scomunica di persone di dubbia condotta da parte di vescovi di fede ortodossa. Risale agli inizi del diciottesimo secolo il racconto del botanico francese Pitton de Tournefort, riguardo al suo viaggio in grecia. 43 Egli ebbe l’ opportunità di osservare di persona la dissezione di un vrykolakas sull’ isola di Myconos.44 I testi folcloristici descrivono questa creatura come un vampiro originario della Macedonia. Si diventa Vrykolakas se al momento della nascita, il bambino presenta una «voglia» rossa sul viso, specialmente se in prossimità della bocca. Generalmente questo vampiro agisce dalla notte fonda all’alba, per ritornare nella sua tomba al primo canto del gallo. Per eliminarlo definitivamente, credevano che sarebbe bastato infilargli un chiodo di ferro molto lungo nell’ombelico, versando poi dell’olio bollente 43
P. Barber, Vampiri Sepoltura e morte, Parma, 1994, p. 42 sgg K. Hartnup, On the Beliefs of the Greeks: Leo Allatios and popular Orthodoxy,Boston, 2004, p. 174 sgg 44
39
su tutto i corpo. Durante questa operazione venivano sparsi dei grani di miglio intorno al suo corpo allo scopo di confondere il vampiro, distraendolo dall’operazione che era in atto. De Tournefort assistette alla pubblica dissezione di un contadino che era stato invidioso ed attaccabrighe durante la vita, il quale fu trovato morto nel mezzo di un campo. Dopo due giorni dalla sua sepoltura, si mormorava in paese che era stato visto camminare, che entrasse nella case, che rovesciasse i mobili e che spegnesse le candele. Dopo diverse messe e riunioni con il pope del luogo, si decise di aspettare nove giorni per riesumare il corpo. Il macellaio della città, alquanto maldestro ed inesperto, iniziò ad aprire il ventre invece del petto alla ricerca del cuore da ardere. Egli affermava che il corpo al suo interno era ancora caldo, episodio normale che il De Tournefort attribuisce alla decomposizione. Quello che colpisce di questo episodio è l’ accanimento dei popolani sul corpo del defunto: gli episodi notturni di strepitii notturni e addirittura di furti, non erano cessati e piuttosto che dare la colpa ad astuti ladri che cavalcavano l’onda del possibile capro espiatorio, continuavano a dissotterrare il vampiro anche diverse volte durante il giorno, per infilzarlo con spade. Continua De Tournefort, raccontando che un albanese di passaggio a Mykonos, disse che sarebbe stato opportuno utilizzare delle sciabole turche anzichè usare delle comuni spade le quali, formando una
40
croce con l’impugnatura, avrebbero impedito al demonio di abbandonare il corpo. Risolsero il loro problema il 1° Gennaio del 1701, conducendo quello che era rimasto del cadavere sulla cima della montagna più alta dell’ isola di S. Giorgio, per bruciarlo su una grande pira di legno cosparsa di catrame per alimentare meglio la combustione.45 Conclude De Tournefort dicendo che il popolo Greco non è ormai riconducibile a quello del passato e che regna l’ ignoranza e la superstizione, affermando così che l’autore è in completo disaccordo su quanto ha potuto assistere. Nel luglio del 1725, nella rivista Das Wienerischen Diarium, venne pubblicato da parte dell’ ufficiale del distretto di Gradisk, tale Fromann, il rapporto sulla storia di Peter Plogojowitz. Costui viveva nel villaggio di Kisilova, nel distretto di Rahm. Dieci settimane dopo la sua dipartita, seppe che nove persone erano morte in seguito ad una malattia durata ventiquattro ore, e tutti avevano affermato prima di morire di aver visto in sogno Plogojowitz che si era coricato su di loro e li avesse soffocati. La stessa vedova aveva lasciato il villaggio di Kisilova dopo aver dichiarato che il defunto marito le era apparso e le aveva chiesto i suoi opanki, o scarpe. Tutti gli abitanti del villaggio convennero sull’opportunità di aprire la tomba di Plogojowitz per controllare se i segni del vampirismo erano presenti su di lui e senza indugiare andarono ad esumare il corpo. Questo 45
K. Hartnup, On the Beliefs of the Greeks, cit. p. 181
41
non emanava, stranamente la minima traccia dell’odore caratteristico della morte e si presentava ancora fresco, compatto e con la crescita di unghie, barba e capelli; inoltre, la vecchia pelle era caduta ed una nuova compariva al di sotto. Il fatto più strano era però la fuoriuscita di sangue dalla bocca, sangue apparentemente fresco. Da qui, secondo l’opinione di tutti, la convinzione che il defunto avesse succhiato sangue dalle persone da lui uccise. Tutti i presenti, mossi più dalla rabbia che dalla paura, appuntirono un paletto allo scopo di trapassare il corpo del deceduto dal quale sgorgò molto sangue, come pure fuoriuscì sangue dalle orecchie, dalla bocca e si ebbero altri segni che vennero taciuti per rispetto, come è scritto nel rapporto, infine, come pratica usuale il corpo fu bruciato più volte fino a ridurlo in polvere e quindi renderlo completamente inerte. Il caso di Plogojowitz è uno di quelli che presenta tutte le caratteristiche dei vampiri e per questo occupa un posto importante in tutti i libri che riguardano il vampirismo.46 In questo episodio risulta che il vampirismo si propaga tra le persone come se fosse una epidemia quindi, la prima persona morta, era ritenuta responsabile delle morti seguenti. Poi si sottolineava il fetore del corpo che veniva spesso accomunato a quello della peste: nel folclore europeo si può reperire l’idea che i vampiri «causano» le epidemie attraverso il fetore. Ora, la relazione tra vampiro e fetore induce 46
P. Barber, Vampiri, cit. p. 20 sgg
42
allora a coprire il puzzo maleodorante con un profumo ancora più penetrante, e questo quindi spiega l’apparizione del legno di frassino (che se bruciato produce un odore molto forte), del biancospino, dell’aglio, delle rose selvatiche bianche, tutte essenze molto profumate. Nella descrizione si accenna anche a segni fuori dal normale, come ad esempio il fatto che il cadavere sembrasse avere un’erezione, spiegabile anch’essa con i gas putrefattivi che, entrati in circolo, possono creare un’ effetto simile.47 Questo effetto ha creato l’immagine del vampiro sessualmente potente sia nelle leggende del folclore sia nella letteratura più famosa. Un altro caso di presunto vampirismo da citare è quello di Arnold Paole vissuto intorno al 1726.48 Il marchese Botta d’Adorno, supplente del principe Carlo Alessandro di Wurttemberg, aveva inviato nel 1732 una commissione medica a Medwegya, dove si denunciavano fatti legati a risorgenti dalle tombe. Il chirurgo militare che guidava tale spedizione, Johann Fluckinger, dopo aver esaminato accuratamente una quindicina di sepolture, e avendo riscontrato su almeno dieci corpi le anomalie abitualmente riferibili ai vampiri, scrisse un rapporto dettagliato sulla base del visum et repertum49 ( per visum et repertum si intende l' ispezione anatomica che i giuristi solevano così chiamare nei loro atti per antica 47
P. Barber, Vampiri, cit. p. 22 P. Cole, The myth of evil, Edimburgh, 2006, p. 78 49 P. Barber, Vampiri, cit. p. 33 sgg 48
43
consuetudine del Foro, e che consisteva nell'esame esterno o nella sezione del cadavere dell'individuo deceduto per morte violenta o sospetta tale) del cadavere in cui descrive uno dei più noti esempi di vampirismo che ha come protagonista Arnold Paole. Questi era un ex soldato serbo, morto in seguito ad una accidentale caduta da un carro. Fluckinger si rifà ad episodi avvenuti cinque anni prima del suo arrivo. Egli riferisce che Arnold Paole era stato tormentato a sua volta, da un vampiro, ma per liberarsi dai suoi influssi aveva mangiato la terra vicino alla tomba del defunto, convinto che fosse lui il colpevole dei suoi tormenti, e si era cosparso il volto con il suo sangue.50 Ma ciò non bastò, dice il medico, perché circa venti giorni dopo la sua morte, diverse persone si lamentarono di essere molestate nottetempo da Paole. Quattro di esse morirono. Nella convinzione che si trattasse di un vampiro, fu dissotterrato il suo corpo, e si constatò che esso era incorrotto, che dalla sua bocca fuoriusciva sangue fresco e che appariva rubizzo in volto. Per tale ragione gli fu infilato un paletto nel cuore. Nella relazione si dice anche che egli emise un ”gemito udibile e sanguinò copiosamente ”.51 E comunque l’intervento teso a rendere inoffensivo il primo “vampiro”, non risolveva il problema perché bisognava ripetere lo stesso
50
Konstantinos, Vampires: The Occult Truth, U.S.A. , 1996, p.37 Può accadere che se un corpo viene seppellito in un luogo adatto, può mantenere una certa consistenza. Il motivo del gemito può dipendere probabilmente dall’ ossigeno residuo nei polmoni, il quale trovando una via d’uscita repentina al momento in cui il corpo viene trafitto, potrebbe produrre un sibilo. Come un palloncino che si svuota improvvisamente. 51
44
procedimento con tutte le sue “vittime”, morte dopo Arnold Paole. Fluckinger annota poi che si recò durante il pomeriggio al cimitero, insieme agli anziani del villaggio per esaminare i corpi ritenuti infettati dal primo vampiro. Tra le salme riesumate ad esempio, c’era il cadavere di una donna di ventitre anni, morta di parto, che fu trovata al momento dell’ esumazione ancora completamente integra. Tutti gli altri cadaveri, si legge nel rapporto di Fluckinger, furono trovati nello stesso stato, ragion per cui, dopo aver esaminato tutti i corpi, furono tagliate le teste dei presunti vampiri e bruciate insieme ai corpi. Anche questo caso presenta le convenzionali caratteristiche tipiche del vampiro: il ritorno continuo da una dimensione virtualmente definitiva come la morte; il perpetuare la propria non - vita tramite contagio. Le autorità intervengono per far fronte ad una situazione che provoca disordini nella vita della popolazione locale, giacché le vittime del vampiro diventano vampiri a loro volta e in questo modo la decomposizione era rallentata. Per quanto persuaso che si trovasse di fronte ad un fenomeno molto strano, Fluckinger ci fornisce tuttavia scarse informazioni sul mito del vampiro, evitando così di affrontare il problema dal punto di vista del folklore. Proprio in quegli anni, in Italia, Girolamo Tartarotti fece divampare nel 1749 una lunga polemica teorica, intorno alla sua opera Congresso notturno delle Lammie, nella quale l’eminente figura della cultura
45
roveretana (1706 - 1761) affrontava il tema sia delle streghe, sia di figure simili al vampiro durante l’età medievale. Questo trattato venne accolto con maggiore interesse all’estero che in Italia poiché il fenomeno era più radicato in ambito europeo e servivano dei metodi più pratici per estirparlo.52 Ancora più forte si scatenò l’opposizione da parte di alcuni ambienti alla notizia giunta a Vienna nel gennaio 1755, che in Moravia erano state eseguite per conto del Concistoro Episcopale di Olmütz delle sentenze contro dei morti dissepolti, perchè erano stati visti vagare durante la notte. Sull’ argomento e in base alle relazioni di due «esperti fisici», inviati da Vienna per conto di Maria Teresa d’ Austria per indagare su quanto accaduto, fu stilata dal barone Gerhard van Swieten (1700 - 1772) Remarques sur les Vampyrisme de Sylesie de l’an 1755, in cui viene analizzato il fenomeno della morte postuma cioè del vampirismo e l’autore dimostra che il fenomeno in questione è provocato da cause naturali.53 Sulla base di questo trattato, Maria Teresa d’Austria promulga il 1° marzo 1755, il Rescritto contro la superstizione dei vampiri con cui negava l’esistenza dei vampiri e condannava la pratica di disseppellire e di dare alle fiamme i corpi dei morti considerati affetti dalla cosiddetta Magia postuma. Il testo di van Swieten, che espone fatti accaduti in Moravia e in Slesia, 52
S. Ferrari, Sulle tracce di G. Tartarotti fra Vienna, Rovereto e Venezia: Gerhard van Swieten, Giuseppe V.Vennetti e la questione della “Morte Postuma” in Atti della Accademia Roveretana degli Agiati, Rovereto, 1997, p. 256 53 D.Oldridge, The witchcraft reader, Londra, 2002, p. 390
46
riguarda una donna morta, soprannominata la dottoressa perché in vita aveva dispensato medicamenti con felice successo, che passava per strega. Due “stuffatoli cerusici”, pronunciarono la sentenza di bruciare il cadavere della donna perché era ritornato a tormentare i viventi soffocandoli nottetempo. Oltre a questo, tutti i cadaveri degli uomini morti dopo di lei furono dissotterrati e bruciati anche essi perché si credeva che fosse stata la vampira a compiere il misfatto di uccidere così tante persone. Nel suo trattato, van Swieten cerca di dimostrare l’infondatezza dell’esistenza dei vampiri. Egli non giudica
l’ignoranza del popolo, ma condanna chi
alimenta le loro paure e contesta al Concistoro moravo l’incapacità di controllare l’ accaduto affidandosi a persone poco esperte. L’ autore del Remarques era un archiatra, titolo ufficiale del medico personale dell’ imperatore e grazie alla sua cultura medica cerca di dare una spiegazione scientifica al fenomeno del vampirismo riportando a cause naturali tutti i fatti relativi alla presenza di cadaveri incorrotti. Parla appunto della mancata putrefazione dei cadaveri e delle “apparizioni ” dei vampiri. Per quanto riguarda la mancata o imparziale putrefazione egli afferma che un fenomeno simile può essere possibile se un corpo viene deposto in una bara ben sigillata, in modo da non farlo intaccare dagli agenti atmosferici, da umidità, da batteri e da piccoli animali. I fenomeni di strane visite notturne ai vivi vengono spiegati invece (oltre che con scherzi dell’ immaginazione o
47
della paura) con fenomeni di incubi notturni, anche se van Swieten non usa questi termini, non parla di “compressioni” e “angoscia” ossia presenti in persone sofferenti di malattie al petto. Questa opera fu utilizzata da molti altri autori, come ad esempio dall’ abate di Senones, Dom Augustine Calmet. Nato a Mésnil-la-Horgne nel 1672, egli fu educato dai monaci benedettini del posto e divenne successivamente abate di Senones dello stesso ordine. In seguito insegnò filosofia e teologia e fu anche commentatore biblico e storico della Chiesa. Morì il 25 ottobre 1757 a Senones. Questo religioso e colto uomo stilò una dissertazione chiamata Dissertations sur les Apparitions des Anges, des Démons et des Esprits et sur les revenants et vampires de Hongrie, de Bohême, de Moravie, e de Silési, apparsa nel 1746, e, in una seconda edizione profondamente modificata, nel 1751. Il Calmet, almeno inizialmente, dimostra non solo di credere all’esistenza dei vampiri,che gli sembrava suffragata da numerosi episodi documentati, ma arriva addirittura a chiamarla in causa per avvalorare la realtà cristiana della resurrezione. Contro di lui si scagliarono un gran numero di pensatori illuministi e anticlericali, primo fra tutti Voltaire, che, pur deridendo il vampiro come figlio della superstizione, era tuttavia preoccupato per l’apparente l’invasione vampirica che sembrava prendere piede ovunque. Le pesanti critiche spinsero l’abate a rivedere le proprie posizioni, fino al punto di
48
negare decisamente ciò che, nella prima stesura, veniva considerato quanto meno possibile. In una seconda redazione, Dom Calmet afferma di essere sorpreso su quanto si racconta sui vampiri i quali, dice l’ abate per introdurre l’argomento dei suoi studi, “non si putrefanno”. 54 Nella prefazione della seconda redazione descrive su cosa vertono i suoi studi ed i suoi interessi affermando di essere rammaricato dalle critiche ricevute per aver riferito storie ed episodi falsi e di dubbia provenienza. A sua difesa cerca di spiegare di averli riferiti per quello che sono e senza alcun commento per libertà di critica al lettore che egli suppone dotato di “senno, e capacità sufficiente per formare da sé stesso giudizio, e disprezzarli, siccome io faccio”.55 La sua dissertazione non verte unicamente sui redivivi, giacchè la prima parte è incentrata anche sull’esame del controverso fenomeno delle apparizioni degli angeli, dei demoni, e delle anime dei morti. A tal punto egli sostiene che bisogna conoscere la natura degli spiriti e sapere se le anime sono per loro natura talmente spirituali da non aver alcuna relazione con la materia; come bisogna anche sapere se gli angeli ed i demoni abbiano potere sui corpi sublunari, cioè la capacità di far morire gli animali e per essere causa di malattie. Da ultimo espone e illustra come la difficoltà
54 55
A. Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni, cit. Prefazione, p.VI Ivi. p.VIII
49
di trovare una soluzione alle apparizioni degli angeli e dei demoni stia nel capire se è possibile se un uomo possa avere delle relazioni con tali esseri che lo rendano capace di stipulare con loro un’ alleanza, in virtù della quale gli spiriti gli possano obbedire. Per quanto riguarda la seconda parte, tutta incentrata sui vampiri, Calmet esordisce affermando che durante i secoli, ogni nazione elabora le sue credenze, esprime le sue mode e crede in ipotetiche nuove malattie, come la presunta infezione vampirica. Riferisce il Calmet che, durante il suo secolo, in Ungheria, in Moravia, in Slesia ed in Polonia si potevano vedere uomini morti da molti anni, ritornare in vita, parlare e camminare nei loro villaggi.56 L’abate prende in esame molti casi famosi di presunti vampiri, come quello di Plogojowitz, di Arnold Paole, o come quello del vrykolakas di Tournefort ma senza mai prendere posizione sull’accaduto, forse per non incappare nei giudizi critici a causa di errori di valutazione. Curioso è uno degli episodi da lui riferiti, quello accaduto a Temeswar tra i Valachi. Calmet racconta sulla base ampia e solida di una conoscenza di prima mano che due soldati di una compagnia lì inviata morirono di una possibile infezione vampirica. E aggiunge che molti altri sarebbero morti per la stessa ragione se non fosse intervenuto un caporale con un preciso rituale, che si rivelò efficace e che Calmet così descrive: “si trova un 56
A. Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni, cit. p. 159
50
giovane, che si possa credere ancora vergine, si fa montare su un cavallo nero anche esso vergine. Recandosi in un cimitero, il cavallo si fa passare sopra tutte le sepolture; quella su cui l’animale esita a passare, si ritiene che contenga il corpo del possibile vampiro, colpevole delle persone morte. Appena il cavallo si ferma la tomba viene scoperchiata e viene nuovamente ucciso il vampiro.” 57 Data l’ enorme espansione del fenomeno, in quel periodo si avanzarono diverse ipotesi sulle origini delle apparizioni dei risorgenti. Così come riferisce l’abate Calmet, per alcuni la resurrezione poteva essere una situazione temporanea, prodotta dall’ anima del defunto che rientrava nel corpo rianimandolo. Per altri, invece, sembrava più logico supporre che i Vampiri non fossero realmente defunti, ma che conservavano ancora della vita in loro. Calmet per chiarire meglio il suo pensiero, porta come esempio una dissertazione pubblicata nel 1740 intitolata Sull'incertezza dei segni di morte e sul pericolo di seppellimento prematuro, scritta da Jean-Jacques Bruhier, il quale arriva alla conclusione che “la putrefazione è l'unico segno sicuro di morte.”58 Avvalendosi delle tesi espresse da Bruhier, Calmet riporta sua nella dissertazione sui vampiri diversi casi di persone sepolte vive e trovate in strane posizioni nelle bare (da cui deriva il detto si sta
57 58
A. Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni, cit. p. 183 J. Bondeson, A Cabinet of Medical Curiosities, Londra, 1997, p. 99
51
rivoltando nella tomba). Benché Calmet sia stato considerato per anni un “credulone” per eccellenza, se si considerano le sue conclusioni e se si tiene presente che, fedele al metodo compilatorio diffuso ai suoi tempi, egli si limitava a riportare brani scelti di altri autori, commentandoli senza alla fine criticarli, la lettura integrale del suo trattato permette di asserire che egli non credette mai veramente all’ esistenza dei vampiri, infatti, dopo aver preso in esame le possibilità presentate dai suoi predecessori, egli nega assolutamente il ritorno in vita dei defunti, a meno che non si tratti di casi di morte apparente.59 Curioso è l’esempio posto nelle ultime battute del suo trattato, riguardante il
paesano di un luogo da lui chiamato Delma, morto in
circostanze inspiegabili, che, come scrive testualmente il Calmet, “fu dal Diavolo messo a morte, indi restituito in vita, è un di què fatti straordinari, e quasi incredibili, che tal volta s’ incontrano nelle istorie , e che né la Teologia, né la filosofia saprebber come spiegarlo”. 60 Ciò che va rilevato è che, l’autore non riesce a proporre una spiegazione razionale dell’evento, tanto che conclude dicendo: ” Io non vedo in tutto questo se non tenebre e difficoltà, le quali lascio da risolvere a chi ha più abilità, e più coraggio di
59 60
A. Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni, cit. pp. 218 - 219 Ivi, p. 247
52
me”.
61
Il che lascia intendere al lettore che anche lui era rimasto
impressionato dalla particolare materia da lui presa in considerazione, del tutto impossibile da spiegare in termini razionali. Certamente meno incline alla credulità, ma anche meno famosa, è una Dissertazione sui Vampiri scritta e divulgata verso la fine degli anni 30 del ‘700 dall’ arcivescovo di Trani, Giuseppe Davanzati62, il quale, con piglio precocemente illuministico, prendendo in esame avvenimenti registrati nelle varie gazzette e atti giudiziari, smonta pezzo per pezzo credenze fortemente radicate nell’ immaginario collettivo riguardante il mito dei redivivi. Vengono riportate notizie molto dettagliate sulla sua vita dal suo nipote, Domenico Forges Davanzati il quale si occupò di rendere pubblico il lavoro dello zio che venne a mancare prima di essere riuscito a vederne le stampe. Scrive Domenico Davanzati che lo zio nacque a Bari il 29 agosto 1665. Fu indirizzato dal padre a studiare dai Gesuiti dove fece grandi progressi e si distinse dagli altri subito per la sua dedizione. 63 La sua grande curiosità fece di lui un attento viaggiatore e grazie a questa sua predisposizione al viaggio, egli conobbe molte personalità importanti, e strinse una solida amicizia con il pontefice Benedetto XIV, il quale fu un attento critico della sua opera sui vampiri tanto da sviluppare una parte 61
A. Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni, cit. p. 147 G. Davanzati, Dissertazioni sopra i vampiri, 2000, Nardò, p. 17 63 Ivi, p. 133 62
53
della sua opera De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione 64
con argomentazioni molto simili alle riflessioni dell'arcivescovo pugliese.
Forges Davanzati riporta la data esatta della morte dello zio arcivescovo risalente al 16 febbraio 1755. La sua dissertazione inizia con l’analisi dei casi particolari di vampirismo trattati anche da Calmet nei primi capitoli, ma poi Davanzati tenta di spiegare il fenomeno mediante l’utilizzazione di concetti filosofici e tirando in ballo la metempsicosi di Pitagora, cioè la trasmigrazione dell' anima dopo la morte in un altro corpo. Egli afferma che se si crede al dogma della metempsicosi secondo cui l’anima del defunto, passa dopo la morte in un corpo simile, allora è anche possibile che il morto possa apparire di nuovo e farsi vedere dai parenti e amici, e possa essere chiamato vampiro. La credenza della metempsicosi, però, spiega Davanzati, non si può applicare al caso dei vampiri, perché la trasmigrazione non può avvenire in un corpo consimile, ma differente. Alla stessa conclusione giunge il Davanzati prendendo in esame le teorie di diversi filosofi, come ad esempio Aristippo di Cirene, il quale considerava l’uomo composto da tre parti: l’anima, il corpo fisico e la terza una sostanza che non era né corpo né spirito ma un tramite, un medium quid. 65 Quindi secondo Aristippo è questa ultima sostanza che anima il 64
P. Lambertini, De servorum dei beatificatione et beatorum canonizatione, l.IV, t.IV p.I, cap XXI, par 4, pp. 323-4 65 G. Davanzati, Dissertazioni sopra, cit. p. 36
54
corpo dopo la morte perché essa non lo abbandona mai completamente. Anche questa idea non viene accettata dall’autore perché la Chiesa non ammette l’ esistenza di una seconda anima, e pertanto la teoria di Aristippo non può essere utile per spiegare il fenomeno dei vampiri. Davanzati si sofferma poi ampiamente a illustrare il modo di vivere in miniera e nei sotterranei di strani esseri, da lui chiamati bruti, e descritti come entità a metà tra spiriti ed esseri viventi. Nel capitolo quinto della sua dissertazione, il Davanzati esamina le teorie di un filosofo pirronista dal nome sconosciuto, il quale mettendo in discussione i valori più profondi dell’essere, la fede in una ideologia, le opinioni, le idee, i pensieri e le credenze, giungeva alla conclusione che i vampiri non fossero altro che persone morte per apoplessia, (una sindrome, per lo più mortale, che consiste nella fuoriuscita del sangue e nel suo ristagno nei tessuti circostanti, che provoca emorragia interna), oppure in seguito ad un profondo stato di ubriachezza. Poste queste basi, l’ arcivescovo affronta il problema della nascita del mito probabilmente spiegabile in questi termini: un uomo sepolto vivo esce dalla sua sepoltura. I suoi parenti restano sconvolti dall’apparizione del defunto e lo ritengono pertanto un vampiro. Appena riavutosi da una morte apparente, l’uomo si sente minacciato quindi fugge e si nasconde, mentre il popolo, mosso dalla paura, accorre al cimitero e non distinguendo la sepoltura esatta dove era
55
stato deposto il “vampiro” in questione, decapita un altro cadavere. L’uomo tenta di ritornare alla sua dimora suscitando scalpore nei familiari e alimentando esponenzialmente le loro paure.66 E’ interessante come l’ arcivescovo padroneggi assai bene la teologia e la fisica. Lo si vede ad esempio quando sottolinea che il demonio non può alzare un corpo pesante in aria e farlo levitare perché, egli dice, secondo le leggi ordinarie della natura, il grave tenderà sempre a scendere verso il basso. Quindi fisicamente, come può il demonio essere in grado di far muovere un corpo morto senza che esso non cada vittima della gravità? Egli si occupa poi degli effetti del potere di fascinazione o malocchio messo in atto da vecchie descritte dal Davanzati con gli occhi “lipposi” e “lacrimanti”, ai danni di neonati indifesi. Stranamente Davanzati sembra qui credere al malocchio, giacché si preoccupa di assicurare le madri e le balie sostenendo che se viene protetto con figure sacre, il neonato non corre alcun rischio. Nel corso della dissertazione l’autore riesce a dare una spiegazione scientifica ad esempio ai fuochi fatui, quelle piccole fiammelle solitamente di colore blu, che si manifestano a livello del terreno in particolari luoghi umidi come i cimiteri, (e che in genere derivano dalla combustione del metano e della fosfina gas derivati dalla decomposizione di resti organici) 66
G. Davanzati, Dissertazioni sopra, cit. p. 47
56
fuochi che alimentavano le storie sulla presenza di anime vaganti. Egli spiega poi a cosa è dovuto il colore rosso dei volti dei cadaveri, riportando il parere dei medici da lui interpellati, secondo i quali il colore è dato dal sangue fuoriuscito dalle vene ed entrato in circolo nel volto del cadavere; descrive anche con competenza dell’argomento, come avviene l’apertura spontanea degli occhi dopo la morte, e come viene vinto il rigor mortis dei corpi dopo alcune ore. Verso la fine del suo lavoro Davanzati ammette di non riuscire però a spiegare scientificamente, come mai un uomo che in vita era scuro di carnagione e deforme, quando muore modifica profondamente i suoi connotati tanto da sembrare chiaro in volto e quasi piacevole alla vista, ma non si perde d’animo e conclude ammettendo nelle ultime battute che la soluzione di questo fenomeno “non si truova fuora di noi, ma in noi”. 67 La novità di Davanzati sta proprio in questo: lui riesce ad arrivare a conclusioni brillanti spiegando al lettore che tutte le credenze popolari sono frutto di superstizioni e assurde coincidenze. Assolutamente controversa è la figura di un autore inglese, Montague Summers, nato a Clifton, nelle vicinanze di Bristol, nel 1880. Egli iniziò gli studi canonici per diventare diacono, ma non prese mai i voti perché fu accusato d’abusi sessuali su minori. Divenne professore d’inglese 67
G. Davanzati, Dissertazioni sopra, cit. p. 95
57
e latino ed esercitò la sua professione a Londra. Quello che colpisce di lui sono le sue opere spesso incentrate sul soprannaturale. Tradusse il Malleus Maleficarum in inglese, scrisse trattati su licantropi, streghe, fantasmi e demoni. Strinse una salda amicizia con il famigerato satanista Aleister Crowley autoproclamato stregone della sua epoca, mentre Summers, che si faceva chiamare reverendo senza aver mai preso i voti, faceva la parte del colto cacciatore di streghe cattolico. Morì a casa sua nel Richmond nel 1948. Un appassionato d’occulto e di soprannaturale non poteva certo esimersi dallo scrivere trattati sui vampiri e Summers ha infatti scritto molto sull’argomento. Scrisse un opera intitolata The Vampire: His Kith and Kin data alle stampe nel 1928. Il testo sarebbe un perfetto lavoro di un’antropologo informato se non fosse incentrato sulla costante convinzione che tutte le creature da lui prese in considerazione sono realmente esistite. Nella sua introduzione afferma che la tradizione circa l’esistenza dei vampiri è ampia e generale e in più, molto arrogantemente, egli considera il suo studio come il primo scritto seriamente sull’argomento perchè in tutti gli altri lavori a lui noti non era stata utilizzata una vera e propria filosofia del vampirismo come invece aveva fatto lui.68 Nei primi capitoli Summers, si occupa di fantasmi che si 68
M. Summers, The Vampire - His Kith and Kin, Londra, 1928, Introduzione p. VIII
58
manifestavano mediante l’atto di mordere. In genere il morso veniva effettuato sul collo o sulle mani delle vittime.69 Summers racconta quanto accaduto ad una ragazza rumena di tredici anni, Eleonore Zügun, che era stata condotta a Londra da una contessa, per tentare di capire la causa di queste strane manifestazioni simili a dei morsi. La ragazzina sosteneva di essere perseguitata da un’entità che lei chiamava Draku oppure Anglice. L’autore descrive tutta la scena della manifestazione delle impronte: la ragazzina, mentre cercava di bere un thè, sentì all’improvviso sul dorso della mano destra un acuto dolore e subito dopo apparve la forma della dentatura del fantasma che restò visibile sulla mano per circa un’ora, tanto da permettere di fotografare la parte interessata. Summers commenta che non bisogna annoverare questo fenomeno nell’ambito del vampirismo perché il vampiro trae gratificazione dal succhiare il sangue e perchè esso ha un corpo tangibile essendo un essere né morto né vivo, ma più semplicemente un vivente nella morte. Il reverendo spiega che la credenza nei vampiri ha le sue origini all’epoca degli uomini primitivi quando quei popoli che avevano una loro vita religiosa cercavano di comprendere le misteriose connessioni dell’anima con il corpo. Sembra davvero prendersi sul serio l’autore perché descrive le tribù africane che adoravano i loro sciamani e ne bevevano il 69
M. Summers, The Vampire , cit. p. 5
59
sangue, credendo che potesse essere una pozione contro le malattie; ed anche quelle che adoravano gli spiriti dei defunti tralasciando però di aggiungere che tale pratica era probabilmente dettata dalla paura e non dal rispetto. Summers comincia poi a spiegare perché i vampiri si nutrono di sangue e non di altro70 affermando che già nella Bibbia e precisamente nel Levitico71 è scritto che è vietato cibarsi del sangue, poiché in esso è presente la vita. Interessante è come poi cerca di spiegare l’etimologia della parola vampiro, dando notizia che essa ha probabilmente origini slave. Naturalmente cita tutti gli altri autori a lui precedenti, Calmet, Davanzati, Allaci, dalla cui erudizione trae spunto e non manca di criticarli o elogiarli. E’ singolare che, anche se si accosta al mito del vampiro con la ferma convinzione
della loro esistenza, Montague Summers è l’unico che
esamina leggende, tradizioni locali e casi di morte apparente, dividendo i veri vampiri, da quelli presunti, da quelli cioè affetti da psicopatologie come ad esempio Elisabeth Bathory72, contessa rumena, ritenuta anch’essa sedicente vampira che uccise circa seicento donne credendo che il loro sangue avesse capacità cosmetiche; oppure il più noto Jack Lo Squartatore, il quale uccise tagliando a pezzi appunto, diverse prostitute nel quartiere 70
M. Summers, The Vampire, cit. p. 14 Sacra Bibbia, Levitico XIX, 26-27 72 M. Summers, The Vampire, cit. p. 65 71
60
WhiteChapel di Londra negli anni tra il 1887 e il 1889.73 Questo omicida seriale è passato alla storia non solo perché non fu mai trovato il vero colpevole, ma anche perché sfidava le forze dell’ordine inviando lettere dove descriveva i suoi omicidi e raccontava di aver mangiato parti del corpo delle sue vittime. Summers era interessato anche all’Italia perché descrisse anche la storia di Vincenzo Verzeni, necrofago e necrosadico italiano, che fu arrestato e decapitato a Bottanuco, in provincia di Bergamo, nel 1872 per aver ucciso, strangolandole, diverse vittime, di cui aveva mangiato alcune parti del corpo. E’ stato anche l’unico autore a spiegare gli effetti della scomunica su di una persona: era convinzione che il defunto, morto in stato di scomunica, non aveva alcuna speranza di salvezza ed era destinato a divenire sicuramente un vampiro dopo la morte.74 Summers descrive come la scomunica fosse eliminabile mediante l’utilizzo d’ostie consacrate poste nella tomba e con la recitazione di preghiere collettive durante la celebrazione di un solenne rito religioso. Appena una persona moriva, si usava nel passato porre sugli occhi e sulla bocca alcune monete d’argento. L’usanza rispondeva sia alla credenza
73 74
M. Summers, The Vampire, cit. p. 65 Ivi, p. 91
61
che il denaro servisse all’anima per pagare Caronte, il traghettatore infernale, sia a quella che la moneta sulla bocca servisse a impedire che altre anime entrassero nel corpo per animarlo di nuovo.75 L’ argento per altro veniva utilizzato anche per forgiare pallottole benedette con le quali uccidere definitivamente un vampiro. La morte del vampiro era assicurata solo se il colpo veniva esploso quando il vampiro non era esposto alla luce della luna, perchè altrimenti si sarebbe rigenerato. Summers s’interessa anche di pipistrelli, descrivendo il Diphylla Ecaudata e il Desmodus Rufus, animali tropicali che si nutrono solo di sangue d’altri animali, ma che talvolta, in maniera sporadica, hanno attaccato anche l’uomo. La credenza che un uomo non ha dominio completo sulla propria vita e che il suicidio non è ammesso dalle leggi divine, ha origini certamente antiche, ma c’è stato un periodo in cui il suicidio era considerato anche un gesto eroico e nobile, un atto di libertà. Summers si sofferma a mettere in evidenza come gli antichi greci avessero un forte timore nei confronti dei suicidi tanto che nell’ antica Atene, era invalsa l’usanza di tagliare la mano di un suicida e di cremarla o almeno di seppellirla lontano dal suo corpo.76 Il fine di questa mutilazione era quello di prevenire che il possibile ritornante potesse attaccare i viventi. Nella
75 76
M. Summers, The Vampire,cit. p. 105 Ivi, p. 147
62
tribù dei Baganda in Africa, si usava bruciare completamente l’albero usato da un uomo per impiccarsi e colpire con zolle di terra la macchia creata dal rogo, perché ritenuta fosse l’ombra del defunto. In altre tribù si usava legare i pollici del defunto oppure si provvedeva a rompere la colonna vertebrale per impedire al morto di alzarsi. Ancor più definitivo era il metodo usato dalla tribù degli Ogowe per contrastare il ritorno dei suicidi:essi chiudevano il corpo in un sacco di cuoio, lo riducevano in poltiglia a bastonate, e abbandonavano ai piedi di un albero nella foresta.77 Si può dire che forse Summers descrive tutti i modi utilizzati in passato per impedire il ritorno delle anime dei suicidi, per sostenere con queste storie, la sua ferma credenza nel fenomeno del vampirismo. La sua fede nel mito del vampiro, lo conduce a spiegare come sia possibile che un essere vivente possa tornare in vita dopo la sua morte. Egli fa riferimento all’esempio delle tante maledizioni scagliate contro persone in vita con imprecazioni del tipo: “Possa la terra non riceverlo!” oppure “Possa egli rimanere incorrotto!”. Erano queste maledizioni, secondo Summers, la vera causa del ritorno dei morti dalla tomba. Secondo il reverendo Summers, i bambini non battezzati, chi ha gli occhi azzurri (probabilmente per il fatto che era raro avere occhi molto azzurri), chi nasce con la camicia, cioè con parti di placenta addosso, e addirittura 77
G. Pilo, S. Fusco, Storie di vampiri, Roma ,1994, p. 8
63
chi ha i capelli rossi ha più di altri la possibilità di diventare un vampiro. Pertanto, dopo la morte di questi probabili vampiri, bisognava sfregare sulla fronte del defunto dell’aglio, spargere dei pezzi di ferro o di riso intorno alla tomba affinché il vampiro, al ritorno dalle sue scorribande notturne, perdesse tempo a contare e non si accorgesse del sorgere del sole la cui luce lo avrebbe incenerito. L’autore non manca di descrivere le molte tipologie vampiriche esistenti in tutto il mondo, segno che il suo lavoro si basa su ricerche molto estese. Egli descrive ad esempio la figura dei Langsuir78, nome con cui in Indonesia vengono chiamate le donne morte di parto, che venivano vestite di verde, con unghie lunghissime e capelli neri lunghi fino alle caviglie. Si credeva che esse succhiavano il sangue ai bambini tramite una piccola fessura posta alla base del collo. Per renderle innocue, dice Summers era necessario tagliare loro le unghie e inserire dei capelli nella fessura. Ma Summers parla anche del Pennangalan, l’ inquietante figura del folclore maya, raffigurata come una testa senza corpo, collegata ad uno stomaco grande come un sacco. Secondo l’autore, i Pennangalan volavano di notte, e si nutrivano del sangue delle puerpere. Dopo la descrizione di tali figure del folclore, Summers analizza le opere scritte da diversi autori sull’argomento, che era allora estremamente 78
M. Summers, The Vampire, cit. p. 255 - 256
64
in voga. Egli, analizzando la storia di Christabel, cita Coleridge e le opere di Shelley, di Byron e del suo medico d’origini italiane John William Polidori, autore della prima elaborazione narrativa del personaggio del vampiro romantico, dal titolo Il Vampiro pubblicata nel 1819.79 Il reverendo Montague Summers discute del fenomeno con una prospettiva cattolica, ma a dispetto di tutto, egli era fermamente convinto dell’esistenza dei vampiri. Nonostante credesse nel fenomeno, le opere di Summers sono state utilizzate da molti autori a noi contemporanei per la loro accuratezza nei dettagli riguardo alle leggende e ai costumi del passato.
79
B. Traversetti, Cronistoria del romanzo occidentale, Roma, 2000, p. 57
65
CAPITOLO TERZO
66
Dracula: un personaggio tra storia e fantasia Crudele tiranno o grande condottiero?
“Se c’è al mondo un fatto ben documentato è senz’altro l’esistenza dei vampiri. Non manca nulla: rapporti ufficiali, dichiarazioni giurate di persone note: medici, preti, magistrati; le prove giudiziarie sono assolutamente complete. E, nonostante tutto, c’è forse chi creda ai vampiri?”.80 Così scriveva il filosofo franco-svizzero Jean-Jacques Rousseau, vissuto dal 1712 al 1778, sul fenomeno dei vampiri. Se il mito del vampiro è così comune, di certo lo dobbiamo soprattutto al genio creativo di un autore irlandese, Bram Stoker. Egli dopo una lunga ricerca di storie, leggende e tradizioni durata anni, scrisse un romanzo letteralmente passato alla storia, un romanzo le cui stampe sono rimaste interrotte dal 1897 fino ad oggi e il cui titolo è Dracula. Il racconto del celebre romanzo di Stoker è incentrato sulle gesta di un immortale vampiro transilvano, Dracula, che tenta riconquistare il mondo 80
B. Stoker, Dracula, Roma, 2004, p. VII
67
moderno, assoggettando diverse persone con il suo potere. Jonathan Harker, convocato dal conte Dracula nel suo castello per stipulare un contratto di acquisto di una proprietà a Londra, è una delle sue prime vittime. Arrivato al castello viene accolto dal conte Dracula in persona, il quale si rivela molto accogliente e disponibile. Nei giorni seguenti Jonathan nota che il conte non era mai presente durante il giorno e che, durante una fredda notte, lo scorge scivolare sulle mura del castello “proprio come la lucertola si muove su un muro”.81 Harker comprende di essere prigioniero del conte. Una notte egli viene sedotto nottetempo da tre vampire ma vengono scacciate dal conte dicendo che quell’uomo fosse di sua proprietà e lasciando loro come consolazione un neonato di cui berne il sangue.82 Quando ormai sembra giunta l'ultima ora per Harker, l'azione si sposta in Inghilterra. In uno scambio di lettere tra Mina, la promessa sposa di Jonathan, e la sua amica Lucy, si descrivono gli altri protagonisti della storia: John Seward, direttore di un manicomio, Quincey P.Morris, avventuriero e giramondo, e Arthur Holmwood, giovane di nobile famiglia e favorito di Lucy. Questi tre personaggi erano i pretendenti alla mano di Lucy. Mina, in attesa del ritorno di Jonathan, va a soggiornare a Carfax con Lucy
81 82
B. Stoker, Dracula, cit. p. 43 Ivi, p. 49
68
dove si verificano diversi strani episodi. Sul diario di Mina, infatti, oltre ad una serie di comportamenti anomali da parte dell'amica, viene registrato anche l'arrivo a Whitby durante un giorno di tempesta, di una nave, chiamata Demeter, piena di cadaveri governata dal capitano, legatosi al timone prima di morire. Da questa nave fantasma sbarca soltanto un grande cane nero, impaurito ed inferocito. Nella stiva vengono trovate diverse casse piene di terra. Lucy è la prima vittima di un mortale vampiro dati i classici segni dei canini sul collo: tutti indizi dell'arrivo del Conte Dracula in Inghilterra. Così, mentre Mina si reca dal fidanzato Jonathan, che nel frattempo era riuscito a sfuggire dalle grinfie del Conte, e che sposerà proprio in quei giorni, la salute di Lucy peggiora in seguito ad un ulteriore attacco di Dracula. Il dr. Seward, allora, chiama il suo insegnante, il dotto e misterioso dr. Abraham van Helsing. Nonostante gli sforzi compiuti, Lucy muore. La minaccia, però, è solo all'inizio: come Van Helsing sa, Lucy è ormai diventata un vampiro a sua volta e, in una terribile notte, rinchiudono nella sua tomba il corpo di Lucy, per poi tornare il giorno dopo e distruggere la vampira. A questo punto, grazie al controllo della corrispondenza con Lucy, Van Helsing entra in contatto con Mina e ha la possibilità di leggere il diario sul soggiorno in Transilvania. Il Conte, inizia a contagiare con la sua terribile influenza la povera Mina. La giovane donna, costretta dal conte a bere il sangue dal suo petto, rimane sotto l’
69
influsso del vampiro. A quel punto Van Helsing, Harker, Seward, Lord Godalming e Morris utilizzando delle ostie consacrate, sterilizzano i nascondigli londinesi del Conte, costringendolo così a fuggire all’interno dell' unica cassa di terra natia che aveva tenuto nascosta per sé. Inoltre van Helsing, prova ad allentare l’influsso del vampiro da Mina, tentando di purificarla premendo un ostia consacrata sulla sua fronte, provocando solo una cicatrice alla donna. Il gruppo decide di mettersi all'inseguimento del Conte che, nel frattempo tentava di fare ritorno alla sua terra, e per fare questo si recano a Varna, in attesa della nave su cui viaggia la cassa. Dracula però, riesce ad evitare Varna e risale lungo il corso del fiume che costeggia il suo Castello. La cassa contenente il conte continua a viaggiare spedita verso il castello, guidata da degli zingari. Una volta raggiunto il carro, il gruppo attacca gli zingari. Quincey viene ferito, ma continua a lottare per tentare di distruggere il vampiro per sempre. Riescono a sollevare il coperchio della cassa mentre il sole tramonta e vedono l’espressione di trionfo sul volto di Dracula. Jonathan taglia la testa a Dracula e Quincey, dopo avergli sferrato una coltellata al cuore, muore tra le braccia di Mina. Il corpo di Dracula si trasforma in polvere e il marchio sulla fronte di Mina scompare. La donna è di nuovo pura e il Male è stato sconfitto.
70
Bram Stoker è l’autore di uno dei romanzi più conosciuti nel mondo intero. Egli nel corso della scrittura del suo libro attinse a tutto il materiale allora reperibile attinente al mito del vampiro e a tutte le diverse leggende narrate dagli autori del passato che accennavano agli elementi più forti della connotazione del mito. Non c’è dubbio che Stoker fosse affascinato dalle leggende ispirate all’horror. Nacque l’ 8 novembre 1847 a Clontarf, in Irlanda.
Egli
ebbe
un’infanzia
funestata
da
gravi
problemi
di
deambulazione, tanto da costringerlo al letto fino a sette anni. Proprio durante il suo periodo di riposo forzato la sua amorevole madre, lesse al piccolo Abraham, chiamatosi poi Bram, le prime storie dell’orrore. 83 Iscrittosi al Trinity College di Dublino, per supplire al suo deficit fisico, si dedicò molto allo sport divenendo in poco tempo un vero e proprio atleta, ma iniziando a distinguersi anche per meriti scolastici. Già durante la giovinezza iniziò a scrivere storie dell’orrore. È davvero importante nella sua vita, l’incontro che fece con l’attore teatrale Henry Irving, con il quale strinse una amicizia che sfiorava la dipendenza. Stoker si interessò sempre più alla vita teatrale tanto da divenire il fido segretario - manager di Irving. Nel 1890 Stoker lesse An Account of the Principalities of Wallachia and Moldavia scritto da William Wilkinson, ex console inglese nei paesi romeni, che scriveva: “Dracula, nella lingua 83
B. Stoker, Dracula, cit. p. XIX
71
della Valacchia, significa «diavolo». I valacchi avevano l’usanza, un tempo come oggi, di dare questo soprannome a tutte le persone che si distinguono per il loro coraggio, le loro gesta crudeli o la loro abilità”. 84 Questa lettura non diede l’ispirazione a Stoker per utilizzare il nome Dracula per il suo personaggio, bensì per conoscere le basi delle leggende popolari del periodo medioevale. L’ispirazione per la scrittura del suo Dracula venne da un incubo, forse sulla scorta dei racconti macabri dell’amico Arminius Vambery, studioso autodidatta e avventuroso viaggiatore, oppure a causa di una pesante cena a base di gamberi. Quale che sia stato il motivo di inspirazione, l’incubo di Stoker fu letteralmente folgorante. Sognò tre donne vampire che volevano morderlo al collo e che vennero fermate da un uomo con la voce altisonante che urlava: “Come osate toccarlo! Quell’ uomo mi appartiene!”. Appena sveglio Stoker annotò subito quelle parole proferite dal personaggio onirico che rimasero vivide nella sua immaginazione per tutto il tempo della stesura della storia. Poco prima della messa in stampa della storia nel 1897, Stoker voleva intitolarla semplicemente The un-dead, cioè il «non-morto», e chiamare il suo protagonista conte vampiro. Mentre consultava una ricca biblioteca di
84
W. Wilkinson, Tableau historique, geographique at politique de la Moldavie et de la Valachie, Paris, 1824, p. 17
72
Londra, Stoker fece la scoperta che risultò determinante per l’immortalità della sua opera. L’autore vi trovò un vecchio manoscritto (probabilmente un esemplare del testo redatto nel 1490 dal monaco Efrosin del monastero Kirillov – Belozersky nella Russia settentrionale85), in cui riferì informazioni sicure ed ampio sull’esistenza di un principe valacco, crudele e spietato, ma anche giusto e saggio, di nome Vlad III Dracula, soprannominato Tepes. Da notare anche la somiglianza della parola Dracula con l’ antico slavo “drukol”, cioè palo, piolo, in rumeno “teapa” = palo86 da cui deriverebbe il suo soprannome: “l’impalatore”. Questo manoscritto descriveva le efferatezze eseguite ed ordinate dal Principe Vlad Dracula per imporre il suo volere, con il regime del terrore, ai suoi sudditi. Alcuni studiosi pensano anche che Bram Stoker potrebbe aver concepito il suo Dracula dopo aver assistito agli orrori della Grande Carestia del 1845. Si ritiene, infatti, che Stoker, nativo di Dublino, abbia utilizzato l’immagine di Dracula che succhia il sangue delle sue vittime, come metafora per descrivere il modo in cui i possidenti irlandesi dell’epoca sfruttavano i propri contadini dissanguandoli appunto. Tra l’altro è interessante notare che Dracula ricorda il termine irlandese “Droch Ola”, 85
R. T. McNally, R. Florescu , Storia e mistero del Conte Dracula: La doppia vita di un feroce sanguinario, Casale Monferrato, p. 156 86 G. Girando, Drakula, Contributi alla storia delle idee politiche nell’ Europa orientale alla svolta del XV secolo, Venezia, 1972, pp. 42 - 48
73
cattivo sangue. Ma quale era la caratteristica del reale personaggio storico che lo accomunava ad un vampiro? Probabilmente Stoker fu affascinato dal significato intrinseco del suo nome. Il nome Dracula è un patronimico. Il padre Vlad fu nominato membro dell’ordine del Drago dal Sacro Romano Imperatore Sigismondo da Lussemburgo nel 1431.87 L’ordine del Drago era una organizzazione semimonastica e paramilitare che si occupava della eliminazione dei turchi, popolo di uomini infedeli ai dettami della religione cristiana. Sullo stemma di questo ordine era incisa l’effigie di un drago alato a due teste. In romeno la parola “Draku” si traduce sia con drago che con diavolo, quindi l’accostamento di Vlad padre con il diavolo e con il male era facile.88 Il nome Dracula quindi voleva solo significare figlio di Dracul, ma dato che significava anche figlio del diavolo, il suo nome incuteva ancora più timore di quanto le sue gesta efferate già suscitavano. Tra le diverse testimonianze sulla vita del principe Vlad III, alcune addirittura lo descrivono come un condottiero salvatore della patria. Una apologia a suo favore fu scritta da Nicolae Olahus (1493 - 1568), parente di Dracula, che compose un’opera dal titolo Hungarieae sive de originibus gentis regni divisione habite atque opportunitatibus, data alle stampe solo 87
R. T. McNally, R. Florescu , Storia e mistero del Conte Dracula, cit. p. 18 M. L. Crump, Headless Males Make Great Lovers: And Other Unusual Natural Histories, U.S.A., 2005, p. 67 88
74
nel 1735, in cui il principe viene descritto come un valoroso condottiero che combatté per il bene del suo popolo. Del principe ci resta anche una descrizione del suo aspetto nella Historia de bellis Gothorum scritta nel 1475 da Niccolò Modrusiense, dove si legge: «Non era di statura altissima, ma piuttosto forte e robusto, con un aspetto crudele e terribile, un lungo naso diritto, narici larghe e un viso affilato e rossastro, in cui i grandi occhi chiari erano incorniciati da sopracciglia nere e folte, che rendevano minaccioso lo sguardo. Il viso era rasato con cura tranne che per un paio di baffi lunghi e neri. Le grosse tempie facevano sembrare la sua testa ancora più grossa sul collo taurino e pesanti ricci neri ricadevano sulle spalle forti».89 Come è noto, del principe Vlad III ci sono pervenuti una serie di opere di natura diversa, che tra l’altro comprende resoconti militari e raccolte di racconti popolari in cui viene sviluppata l’immagine del personaggio come, ad esempio, la ballata di 1070 versi composta da Michele Beheim nel 1463 per raccontare i misfatti del principe della Valacchia. Qui, subito all’inizio, viene presentata l’immagine di un principe scellerato: «Di tutti i folli e di tutti i tiranni dei quali ho sentito parlare sulla terra e sotto l’ampio firmamento, dall’inizio del mondo, nessuno è mai stato
89
G. Mercati, Notizie varie sopra Niccolò Modrusiense, in Opere Minori, Città del Vaticano, 1937, IV, pp. 247 - 49
75
peggiore di lui».90 L’immagine di Dracula suggerita da questi scritti è inequivocabilmente quella di un sovrano discutibile e discusso, ma autorevolissimo, un personaggio che alimentava racconti e storie mentre era ancora in vita. All’inizio della sua esistenza egli si firmava semplicemente «Vlad» ma poi, a partire dal 1475, utilizzò la forma «Ladislaus Dragwlya», che si trova incisa nel suo sigillo.91 Vlad nacque in una data compresa tra il 14291430 e il 1436, nella città tedesca di Schässburg, l’odierna Sighisoara, situata al centro dell’attuale Romania, nella provincia della Transilvania. E’ anche conosciuto il luogo preciso di nascita del principe. Si tratta di una casa ancora esistente, ora trasformata in albergo, meta di turisti alla ricerca di emozioni forti. Come già detto, anche il padre si chiamava Vlad. Egli apparteneva al lignaggio dei principi regnanti della Valacchia, i turchi Bessarabi, dal nome del fondatore dello Stato e della dinastia, Basarab I, che regnò dal 1320 al 1352.92 Non si hanno molte notizie sulle origini di tale dinastia valacca. La cronaca più antica parla di un certo «Principe nero», che fondò lo
90
M. Beheim, Su un tiranno chiamato Dracula, voivoda della Valacchia. Poema in versi ispirato dal pamphlet del 1463 e dalle testimonianze dei contemporanei. 91 I.Bogdan, Documente privitoare la relatiile Tàrii Românesti cu Brasovul si cu tara Ungureasca in secolele XV si XVI, Bucarest, 1905, pp 323 - 4 92 M. Cazacu, Dracula. La vera storia di Vlad III l’impalatore, Milano, 2006, p. 27
76
Stato nel 1290-1291.93 A sua volta Vlad Dracul prendeva il trono dal padre Mircea, il quale è stato probabilmente il più grande e importante principe valacco del XV secolo, ma il suo regno era di continuo minacciato dai tentativi di espansione degli Ottomani, già fortemente affermati nella penisola balcanica. Gli Ottomani avevano iniziato ad avanzare in Europa tra il 1347 e il 1354, tentando poi di conquistare anche le terre valacche governate da Mircea. La potenza ottomana sembrava invincibile e dopo diversi anni di guerra e ben trentadue anni di regno, Mircea, soprannominato il Vecchio, moriva lasciando il potere al figlio correggente Michele (Mihail). L’altro figlio, Vlad Dracul, era in ostaggio probabilmente a Buda. Davvero complicata fu l’ascesa al potere di Vlad Dracul, costretto ad attendere la morte dell’allora principe Alessandro Aldea, il quale aveva usurpato il trono che gli spettava di diritto. 94 Informato dalle sue spie, Vlad Dracul riuscì ad imporsi sul trono della Valacchia e, il 24 gennaio 1437 emise i primi editti come voivoda delle terre valacche. Nel 1438 Vlad Dracul, preoccupato per la incombente minaccia turca, tradisce il giuramento di fedeltà stipulato con il Sacro romano impero, stringendo un patto con il potente sultano turco, Murad II. Intanto il potentissimo nobile, Giovanni Huniadi, nominato ban (marchese)
93 94
L.Makkai, La naissance de la société d’ordres (1172 - 1526), Budapest, 1992, pp. 177 - 238 M. Cazacu, Dracula. La vera storia, cit p. 46
77
di Severino e voivoda della Transilvania, aveva bisogno di un alleato più docile in Valacchia e quindi con l’ appoggio del re d’Ungheria, Hunyadi, riuscì ad insediare sul trono valacco, al posto di Vlad Dracul, Basarab II. Abbandonato anche da Hunyadi e scacciato dal trono, Dracul tentò di riallacciare i rapporti con i turchi. Invitato dal sultano Murad II ad Adrianopoli, Vlad accetta e non appena arrivato viene portato al cospetto del sultano, il quale lo accolse con alti onori e riconoscimenti, ma fu imprigionato subito dopo e condotto nel castello di Gallipoli, nei Dardanelli.95 Durante il suo periodo di prigionia, Ungheresi e Valacchi si allearono, e quindi questa situazione costrinse il turco Murad che imprigionava Vlad, a liberarlo dalla sua prigionia. 96 Tornato in Valacchia, Vlad Dracul scacciò il protetto di Giovanni Hunyadi, Basarab II, probabilmente portato a morte durante questi eventi.97 Il 15 aprile del 1444, la Dieta Ungherese, riunita a Buda, decretò la chiamata alle armi delle truppe del regno per l’estate, allo scopo di continuare la battaglia contro i turchi. Questa dieta comprendeva anche le terre controllate da Vlad Dracul ma di lui ne rispondeva ancora il sultano Murad II il quale disse: “Il suddetto voivoda( Vlad Dracul) si attenga a
95
O. Iliescu, Vlad I, prince de Valachie: le régne, le sceau et les monnaies, in «Revue roumaine d’historie», XXVII, Bucarest, 1988, pp. 73 - 105 96 St. Andreascu, Vlad the empaler(Dracula), The Romanian Cultural Foundation publishing House, Bucarest, 1999, pp. 15 - 19 97 K. W. Treptow, Dracula: Essays on the Life and Times of Vlad Tepes, Columbia, 1991, p. 59
78
rendere un tributo fisso e che ci mandi un ostaggio e liberi quelli tra i nostri che fuggiranno nelle sue terre, così come noi faremo per coloro dei suoi che fuggiranno qui”.98 Vlad Dracul non volle sacrificare il suo valoroso primogenito, Mircea, e perciò si impegnò a mandare dal sultano i suoi figli minori: Vlad, il futuro Dracula appena quattordicenne e il Piccolo Radu di otto anni. Con questa decisione, Vlad Dracul garantiva la propria fedeltà, ma correva dei seri rischi di ritorsione in caso di tradimento. Gli ostaggi venivano in genere trattati con un riguardo adeguato al loro rango familiare. Il periodo di prigionia dei due bambini durò diversi anni. La difficoltà di questa forzata ospitalità si perdeva nell'abitudine, lasciando così spazio a una insolita fioritura di legami d'intimità e amicizia con gli stessi carcerieri. La società nella quale i due bambini si ritrovarono non assomigliava per nulla a quella in cui erano cresciuti, Le usanze, la lingua, la religione, i vestiti, tutto gli era estraneo. Specialmente Vlad rimase colpito dalla venerazione di cui godeva il sultano da parte dei suoi sudditi, che si consideravano come suoi schiavi. Rimase incuriosito profondamente dal perfetto funzionamento del regno del sultano, dalla loro religiosità, dalle loro usanze semplici e dal grande numero di visitatori di ogni nazione che andavano in visita al cospetto del sultano di continuo. Il 98
M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 61
79
fratello più piccolo, Radu durante questo periodo di prigionia, fu soprannominato dal sultano «Il bello», appellativo che avrebbe portato per tutta la vita. Questo soprannome gli fu dato dal sultano in persona che aveva notato in lui tratti femminei e lo voleva presente nel suo personale harem maschile. Successivamente l'Ungheria dichiarò guerra all'Impero Ottomano e Vlad Dracul fu obbligato ad unirsi alla crociata in quanto membro dell'Ordine del Drago; per non indisporre chi deteneva i propri figli in ostaggio, Vlad fece partecipare alla crociata il suo figlio maggiore Mircea. Durante la guerra Mircea, appena sedicenne, fu minacciato dal sultano il quale disse che avrebbe ucciso i suoi fratelli se avesse continuato a combattere.99 La crociata fu un fallimento e l'esercito cristiano venne sconfitto nella Battaglia di Varna. Dopo il 1446, Giovanni Hunyadi si preparava per una forte offensiva contro i turchi, ma Vlad Dracul non accettò di combattere al suo fianco. Inoltre Vlad non era d’accordo sul problema della circolazione monetaria tre i paesi dell’Ungheria e della Valacchia, perché la moneta Valacca era fortemente svalutata nei confronti della moneta ungherese. Scoppiò allora una sanguinosa guerra nel momento in cui Vlad chiuse la circolazione della monete ungherese in Valacchia. 99
A.Verancsics, Sui preparativi del re Giovanni contro il sultano Solimano che attaccava la Transilvania (1538 - 1540), in Monumenta Hungariae Historica, II serie, Scriptores, II, Budapest, 1857, p. 85
80
Nello scontro
morirono sia Vlad Dracul che il figlio Mircea. Uno
decapitato e l’altro accecato con ferri roventi e sepolto vivo. Tutto ciò accadde tra il 23 novembre e il 4 dicembre 1447. Al posto di Vlad Dracul, Giovanni Hunyadi insediò al trono il figlio di Dan II, cugino di Mihail I, Vladislav II. Tra il 17 e il 19 ottobre del 1448, Giovanni Hunyadi affrontò, ancora una volta, le truppe del sultano Murad II riportando una sonora sconfitta.100 Dopo la battaglia il sultano turco fece accatastare le teste dei vinti facendone una grande e macabra piramide secondo un’antica usanza asiatica, seguita anche dal famigerato Gengis Khan.101 Hunyadi, travestito da soldato semplice durante lo scontro, riuscì a fuggire da una morte che sarebbe sicuramente avvenuta in battaglia. In quanto al principe fantoccio, Vladislav II, al suo ritorno dalla campagna contro i turchi, lo aspettava una sgradita sorpresa: in sua assenza, sul trono della Valacchia si era insidiato, appoggiato da un corpo di spedizione ottomano di circa trentamila turchi fornitogli dal sultano, uno dei figli di Vlad Dracul, scappato dalla prigionia dei turchi.
102
Il suo nome
era…Vlad Dracula. Aveva diciotto o diciannove anni quando si insediò sul trono che gli 100
I.Bogdan, Documente privitoare la relatiile, cit. pp 258 - 60 A. M. Briongos, La caverna di Alì Babà. L'Iran giorno per giorno, Torino, 2002, p.49 102 G. Du Fresne, De Beaucourt, Chronique de Mathieu d’Escouchy, I, Paris, 1863, pp. 141 - 142 101
81
spettava di diritto, la stessa età di molti altri sovrani, come lo stesso Murad II che lo aveva tenuto prigioniero. A differenza degli altri sovrani però, egli aveva un’esperienza accresciuta dalla conoscenza di diverse culture. Il primo regno di Dracula non durò che pochi mesi, perché Vladislav II, rientrato a Kosovopolje, riuscì a scacciare il principe dalla sua carica. Rivoltosi direttamente ad Hunyadi, il quale era tornato in auge, gli fu proposto da quest’ultimo di essere preso al suo servizio come un suo subalterno, cosa che fermamente Dracula rifiutò mostrando il suo carattere orgoglioso e rispettoso della memoria del padre. Hunyadi allora, irritato, lo esiliò nella vicina Moldavia. Questo episodio risulta in una missiva inviata da Hunyadi ai cittadini di Brasov il 30 marzo 1452. Vi si legge: «E, poiché l’illustre Vlad voivoda, figlio del voivoda Dracul, che ha vissuto qui sotto la nostra protezione, non ha amato la sua situazione a causa dei servizi troppo grandi che gli erano richiesti, abbiamo deciso di farlo partire: ma non nella nostra regione, bensì attraverso la Moldavia, perché non volgiamo che siano causati danni alla Valacchia a partire dal vostro territorio».103 Una priorità assoluta fu poi per Giovanni Hunyadi lo scontro con i turchi, i quali divenivano sempre più potenti in europa. Vlad era da lui considerato un alleato, ma quest’ultimo non attendeva altro che la morte di
103
G. Gündisch, Urkundenbuch zur Geschichte der Deutschen in Siebenbürgen, Bucarest, 1992, pp. 338 - 39
82
Hunyadi, che avvenne per una epidemia di peste l’11 agosto 1456. La notizia della morte di Hunyadi si sparse velocemente. Senza frapporre indugi Dracula, approfittando della confusione generale, radunò i suoi uomini più fedeli e si lanciò alla conquista della Valacchia. «Con l’ aiuto di Dio abbiamo ottenuto il nostro regno senza l’aiuto di nessuno»104 poté scrivere Vlad qualche mese più tardi ai cittadini di Sibiu. Colto di sorpresa, Vladislav II oppose una debole resistenza ma fu tradito dai suoi stessi uomini. Inseguito da Vlad in persona trovò la morte il 20 agosto nella cittadina di Târgsor, a cinquanta chilometri da Bucarest, probabilmente assassinato per ordine dei suoi boiardi che lo avevano tradito. La popolazione valacca ed i boiardi, fecero fatica a riconoscere in Vlad il reale successore al trono, dato che questi aveva lasciato il paese quando aveva solo dodici anni. Esisteva un modo infallibile per riconoscere il figlio legittimo di un principe. Il transilvano Georg Reicherstorffer, vissuto tra il 1500 e il 1550, ci fornisce questa informazione: “ E poiché la storia ha il dovere di presentare la verità, aggiungeremo che i figli legittimi e quelli illegittimi possono regnare [in Moldavia] senza nessuna differenza. E non appena nasce il principe erede al trono, gli viene marchiato con il fuoco un segno speciale sul corpo affinché, una volta raggiunta l’età matura, possa essere riconosciuto senza dubbio alcuno come vero figlio del 104
I.Bogdan, Documente privitoare la relatiile, cit. p. 51
83
principe. La stessa cosa avviene in Valacchia, e anche molto spesso”.105 Questi segni distintivi non erano esclusivi delle dinastie della Valacchia e della Moldavia. Marc Bloch ci ricorda che i figli dei monarchi francesi portavano sulla spalla destra, più raramente sul petto, una croce rossa come segno di riconoscimento regale.106 Dopo il sontuoso rituale di incoronazione con giuramenti ufficiali e vestizioni con stoffe pregiate, Vlad Dracula si presentò davanti al popolo con aria cupa e determinata. Una volta seduto sul trono, tutti i presenti andarono a baciargli la mano destra in segno di rispetto e sottomissione. Tutti i dignitari ed i boiardi giurarono fedeltà al nuovo principe. Alla fine delle cerimonie di insediamento, il principe doveva sceglier il suo gruppo di consiglieri, formato in genere da dodici membri, numero probabilmente riferibile ai dodici apostoli. Un’ altra importante incombenza, per Dracula, fu quella di stabilire l’ammontare delle tasse. A questo scopo c’era il tesoriere che custodiva un registro in cui comparivano tutti i nomi delle città e dei villaggi del paese, con il relativo ammontare da versare. Il problema per Dracula era che il vecchio tesoriere era fuggito portando con sé il registro.107 La fuga del tesoriere e la mancanza del registro delle tasse 105
M. Holban, Viaggiatori stranieri nei paesi romeni, I, Bucarest, 1968, p. 199 M. Bloch, I re taumaturghi, Torino, 1989, p. 191 107 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 105 106
84
provocarono per un certo periodo problemi di amministrazione del tesoro. Ma una volta risolti i problemi fiscali con la nomina di un nuovo funzionario, Dracula si dedicò alla politica estera. Il primo gesto fu il giuramento di fedeltà al re Ladislao il Postumo, re d’Ungheria, per avere una sicura protezione di fronte alla possibile avanzata turca.108 Per quanto concerne i rapporti con i turchi, dopo la morte del sultano Murad II, al potere per trentadue anni, il nuovo reggente, suo figlio Maometto II, pretese l’imposta da Vlad. Maometto II si rivelava un nemico potente e difficile da sconfiggere, tanto che Vlad espresse i suoi timori in una lettera datata 10 settembre 1456, inviata ai suoi sudditi in cui scriveva: “Ecco venuti i tempi e i momenti temuti. E dovete riflettere su questo: quando un uomo o un principe è forte e potente può fare la pace come e quando vuole; quando invece è debole, un altro più forte di lui si farà avanti e farà di lui quello che vorrà”.109 Segno che lui si considerava un grande condottiero, costretto dalle circostanze, a compiere un atto che andava contro le sue più profonde convinzioni. Vlad mandò una lettera in attesa di disposizioni a re Ladislao il Postumo, pensando di poter risolvere il problema turco grazie all’aiuto dei sassoni. Nonostante la richiesta di aiuto, Vlad non ottenne niente dai Sassoni che si erano egoisticamente trincerati
108 109
M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit, p. 110 I. Bogdan, Documente privitoare la relatiile, cit. pp. 317 - 18
85
dietro le loro mura in attesa dell’aiuto del re Ungherese.110 Abbandonato da tutti e impossibilitato a tener testa agli inviati del sultano, Vlad fu costretto a pagare un tributo che ammontava alla enorme cifra di 10.000 ducati d’oro. Ma lo smacco più grande consisteva nel recarsi di persona dal sultano e consegnare il denaro. Inoltre avrebbe dovuto prestare giuramento di fedeltà nei riguardi del turco. Il segretario del sultano, Tursun Bey, scriveva a riguardo che a Vlad Dracula ”erano stati imposti dalla Porta (i Turchi) degli obblighi molto grandi. Si recava di persona ogni anno alla Porta portando il tributo [gizie] e molti regali e, baciando la soglia per la felicità, prorogava il suo regno. Il pascià lo rimandava al suo paese, offrendogli vesti pregiate, un caffettano rosso, un berretto di pelliccia dorato e altri regali imperiali”.111 Nonostante il patto di fedeltà, tuttavia, il principe valacco negò il passaggio ai Turchi attraverso le sue terre poiché essi avevano intenzione di saccheggiare la Transilvania. Intanto, il 6 settembre del 1456, Vlad Dracula si autoproclamava «parcium Transalpinarum wayvoda et dominus terrarum de Fagaras et Omlas», titolo che apparteneva ai principi valacchi dal 1365, da quando cioè Vladislav I ricevette come feudi, le città di Fagaras e Omlas, in regalo dal re d’ Ungheria. Giovanni Hunyadi riuscì a sottrarre le terre a Vladislav
110 111
M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 113 M. Guboglu, M. Mehmet, Cronici turcesti privino tàrile române, I, Bucarest, 1966, p.67
86
per problemi monetari, ma con la sua morte e l’ascesa al potere di Dracula la questione ritornò d’attualità. Vlad voleva recuperare quelle terre e lo fece nell’autunno del 1456, scacciando con la forza gli uomini lasciati da Hunyadi nei territori contesi. La reazione ungherese all’ azione di Dracula fu di inviare «Dan voivoda contro Vlad voivoda per cacciarlo dal suo paese e regnare al suo posto»112. Il pretendente Dan avrebbe dovuto regnare sulle terre appena recuperate, ma ciò contravveniva ai patti tra Dracula ed i Sassoni. Inoltre ad incrinare maggiormente i rapporti ci furono ulteriori problemi di scambio monetario. Sappiamo che in una lettera, Dracula chiedeva all’Ungheria di rispettare i trattati di pace ma dato che tale conclusione non si verificò, la controffensiva di Vlad fu terribile. Irrompendo a sud dei Carpazi nella primavera del 1457, bruciò e distrusse completamente i villaggi e i castelli vicino Hermannstdt nei pressi di Sibiu, portò con se in Valacchia uomini, donne, bambini e li fece impalare tutti senza distinzione alcuna. Questa notizia è contenuta nel primo racconto tedesco su Dracula, stampato a Vienna nel 1463 col titolo, Geschichte Dracole Waide (Storia del voivoda
112
E. Hurmuzaki, N.Iorga, Documente privitoare la istoria romanilor, Bucarest, 1911, p.58
87
Dracula).113 I continui attacchi contro queste città, rientravano nell’ambito dei ripetuti conflitti per accaparrarsi i territori del defunto Hunyadi. Dopo la morte di costui, la sua eredità politica era passata nelle mani della vedova, di suo fratello e del figlio primogenito Ladislao Hunyadi. Contro di loro si erano schierati dei magnati e baroni capitanati da Ulrico de Cilli, il quale sosteneva il giovane re Ladislao il Postumo. Tutti complottavano per ottenere il potere e a tale scopo comunicarono al re ungherese che Ladislao Hunyadi voleva rubargli il trono. Venuto a conoscenza di questi fatti, il re reagì facendo uccidere Ladislao. Vlad Dracula rimase fedele al partito degli Hunyadi anche dopo la morte del primogenito Ladislao. Preoccupato per le conseguenze di un possibile conflitto, fu spedito in Transilvania dal re ungherese Hunyadi un anonimo mediatore per pacificare gli animi, il quale riuscì a far firmare ai pretendenti, tra cui anche Dracula, una breve tregua di poco più di due mesi.114 Un documento del 1° dicembre del 1457, si riferisce a questa tregua e dimostra che Vlad permetteva che le strade di Brasov fossero aperte e che le genti di altri paesi possano venire per comprare e vendere, ne rispetto di
113
D. Roskos-Ewoldsen, Communication and Emotion: Essays in Honor of Dolf Zillmann, U.S.A., 2003, p. 156 114 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 118
88
quanto « ha ordinato il mio signore e fratello Michele Szilagyi»115. Il trattato concluso era importante per la Valacchia, perché Vlad rinunciava alle restrizioni commerciali e rinnovava ai cittadini di Brasov la libera circolazione delle merci e dei prodotti ma, nello stesso tempo, pretendeva la stessa libertà per i mercanti valacchi. 116 Tra i cittadini di Sibiu e il partito degli Hunyadi, fu firmato un trattato simile, ma Vlad non fu incluso e ciò fu motivo di altri dissapori che avrebbero fatalmente portato allo scoppio di nuove lotte. Lo stesso giorno della tregua, moriva all'improvviso a Praga, Ladislao il Postumo, figlio di Giovanni Hunyadi. Prese il suo posto, il secondo figlio di Hunyadi, Mattia allora appena quindicenne. Michele Szilagyi, suo zio, assunse il titolo di governatore del regno fino a che Mattia non avesse raggiunto la maggiore età. Come prezzo per la sua elezione fu imposta al re una Wahlcapitulation, un testo composto di diversi capitoli che obbligava a mantenere la difesa del paese a proprie spese e con le proprie truppe. Mattia era sicuramente in grado di permetterselo perché aveva ereditato dal padre un patrimonio immenso: disponeva infatti di circa due milioni di ettari di terreni e un numero elevato di fedeli sudditi.117 Appena arrivato al potere, Mattia ordinava ai Sassoni, (il 3 marzo 115
I.Bogdan, Documente privitoare la relatiile, cit. pp. 93 - 94 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 119 117 I. A. Fessler , E. Klein, Geschichte von Ungarn, III, Leipzig, 1874, pp. 7 - 10 116
89
1458), di cessare le ostilità contro Vlad Dracula accusandoli di essere responsabili delle sciagure e delle sofferenze atroci che il voivoda aveva inflitto loro. Va qui ricordato un avvenimento che testimonia la naturale vocazione e la volontaria determinazione di Mattia a tentare ogni via per ottenere il potere. Il 20 Gennaio 1458 il despota serbo Giorgio Brankovic, morì senza lasciare eredi maschi abili a governare, quindi questo vuoto creava una posizione di debolezza sul confine meridionale per via della continua minaccia turca. Lo zio di Mattia, Michele Szilagyi, tentò di annettere al regno ungherese quello che rimaneva del territori del despota morto. Mattia allora, furioso per il fatto che lo zio aveva intralciato i suoi piani, decise di sbarazzarsi di lui privandolo del titolo di governatore dell’ Ungheria e esiliandolo in Transilvania. Questo mostrava sia il carattere forte e deciso di Mattia sempre pronto a cogliere le opportunità che si presentavano sia il modo in cui avrebbe governato il suo regno.118 Egli fu poi soprannominato Corvino, appellativo che gli fu attribuito dal biografo italiano Antonio Bonfini, il quale affermava che la famiglia Hunyadi (sul cui stemma era ritratto un corvo) discendeva dalla antica famiglia romana dei Corvini. 119 Michele Szilagyi prese allora la decisione di avvicinarsi al partito dei 118
M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 121 G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli, 1830, p.101 119
90
magnati ostili al re e il 26 luglio concluse un patto con Nicola Ujláki e Lasislao Garái, un trattato di vera e propria alleanza militare contro ogni nemico. Mattia Corvino reagì rafforzando l’ accordo con i Sassoni Transilvani e il 10 settembre inviò presso Vlad Dracula il suo ambasciatore Benedetto di Boythor120, al quale fu affidato l’arduo compito di spiegare perché Michele fosse caduto in disgrazia e di promettere a suo nome una pace duratura con i Sassoni transilvani. Anche se l’aspetto più importante che spiega il sollecito invio di una ambasciata è in particolare la richiesta di aiuto contro la minacciosa avanzata dei turchi. 121 Un dettagliato resoconto di questa ambasciata si può leggere in un componimento russo incentrato su Dracula dove si può leggere: “Un’ altra volta [Dracula] ricevette la visita di un ambasciatore del re d’Ungheria. L’ambasciatore era un gran nobile di origine polacca. Dracula gli ordinò di mettersi a tavola con lui, in mezzo ai cadaveri, e, proprio davanti a loro si trovava un grosso palo, alto e interamente dorato. Dracula chiese all’ambasciatore: «Dimmi, perché ho fatto mettere qui questo palo?» e l’ambasciatore , che aveva molta paura, gli rispose: «Sire, mi sembra che un grande abbia commesso un crimine nei tuoi confronti e che tu desideri
120 121
G. Gündisch, Urkundenbuch zur Geschichte, cit. p. 28 - 29 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 121
91
riservargli una morte più onorevole che agli altri.» E Dracula gli disse: «Hai detto bene. Infatti sei l’ambasciatore regale di un grande sovrano e ho fatto preparare questo palo per te». L’ambasciatore gli rispose: «Sire, se ho commesso un crimine che merita la morte, fai quello che ritieni giusto, poiché sei un giudice imparziale e non saresti tu colpevole della mia morte, ma soltanto io». Dracula scoppiò a ridere e gli disse: «Se non mi avessi risposto così, davvero saresti già su quel palo.» E poi lo onorò molto, gli fece molti regali e lo lasciò partire dicendogli: «Puoi veramente essere l’ambasciatore di grandi sovrani presso [altri] grandi sovrani, poiché ti hanno insegnato l’arte di parlare ai grandi sovrani. Ma che altri non osino farlo prima di aver imparato a parlare ai grandi sovrani».122 Probabilmente il freddo comportamento di Dracula, è spiegabile perché si trovava in una situazione scomoda dal momento in cui era rimasto solo: Mattia Corvino lo aveva abbandonato per passare dalla parte dei Sassoni, e quindi Dracula avrebbe dovuto fare i conti con la reazione violenta di Maometto, che ebbe luogo a Turnu Severin al quale aveva appena massacrato parte dell’esercito. Vlad non poteva perdonare ai Turchi l’episodio accaduto a Turnu Severin. Considerandosi leso nei suoi diritti dall’incursione ottomana, Vlad decise di interrompere il pagamento del tributo ai turchi. Insieme a questa decisione 122
M. Cazacu, Dracula. La vera storia, cit. p. 124
92
intraprese una vera e propria guerra commerciale contro i Sassoni di Brasov e Sibiu. Coniò una nuova moneta, chiamata ducato di crociata, destinata a pagare i mercenari che avrebbero garantito la difesa della Valacchia. E soprattutto bloccò nuovamente la libera circolazione ai mercanti di Brasov e Sibiu. Questo provvedimento provocò dei tumulti tra i Sassoni Transilvani e poiché molti non lo rispettarono scatenò l’immediata e spietata reazione a Vlad. Il principe fece arrestare e confiscare beni a tutti i mercanti di Brasov e alchè li fece impalare. Altri furono mandati al rogo. Inviato ad indagare nella terra di Vlad, da Mattia Corvino, Dan II accusò Dracula di essere ispirato dal diavolo in persona. Per la sua sanguinaria crudeltà, Vlad stava mettendo in pericolo il suo regno, ma non si ravvide. Anzi decise di mettere in chiaro quali fossero le prerogative di un sovrano. La sua idea era di liberarsi di tutti i possibili traditori e di sostituirli con nuovi fedeli. Per riuscire nel suo intento, organizzò un grande banchetto nel palazzo di Târgoviste, il 25 marzo 1459, la domenica di Pasqua. Nel pamphlet tedesco di Michel Beheim del 1463 è descritta la scena: «Invitò a casa sua tutti i signori e i nobili del paese; quando il pranzo ebbe fine, si rivolse al più anziano e gli chiese di quanti voivoda o principi che avessero regnato si ricordasse. L’uomo rispose quel che sapeva; poi interrogò anche gli altri, giovani e vecchi, e a ciascuno chiese quanti poteva ricordarsene. Uno
93
rispose cinquanta, un altro trenta, uno venti, un altro dodici, e nessuno era abbastanza giovane per ricordarne [meno di] sette. Allora fece impalare tutti quei signori che erano in numero di cinquecento».123 Appare chiaro da questo passo quale concezione del potere avesse Dracula e quanto egli fosse poco disposto ad ammettere che si avesse nostalgia per i suoi predecessori. Il ricordo anche di un solo dei precedenti voivoda da parte dei nobili è visto da Vlad come segno inequivocabile di nostalgia per i tempi passati e aveva provocato in lui un vivo disappunto e una spietata rappresaglia.. L’autore di questo resoconto, Michele Beheim, non ha inventato niente riguardo questa storia, ne ha solo gonfiato i numeri:
secondo
ricerche di alcuni archeologi,124 il salone principale, dove sarebbe stato allestito il macabro banchetto, non poteva contenere più di quaranta persone. Quindi il numero non era certo di cinquecento nobili impalati, ma la notizia fece allo stesso modo scalpore. Su questo episodio disponiamo anche della testimonianza di un certo frate Hans, del convento di Gornij Grad, che si era rifugiato a Targoviste ed era stato ospite di Vlad. Frate Hans, che accusava Dracula di essersi macchiato di crimini inutili, uccidendo tante persone, donne, anziani, bambini che non avevano fatto
123 124
M. Beheim, Geschichte Dracole Waide, 1463, episodio n.2 C. Moisescu, Curtea domneascà din Târgoviste, Bucarest, 1965, pp. 26 - 30
94
male a nessuno, gli chiese con coraggio la ragione di tanta ferocia. La risposta data da Dracula fu intelligente e allo stesso tempo orribile: «quando un fattore vuole pulire un terreno, non solo deve togliere le erbacce, ma anche strappare le radici che giacciono nel suolo a grande profondità. Se non estirpasse le radici, dopo un anno dovrebbe ricominciare daccapo, affinché le erbe nocive non ricrescano. Allo stesso modo, le creature in fasce si trasformerebbero un giorno in potenti nemici se le lasciassi raggiungere l’età adulta. Se facessi altrimenti, i giovani eredi potrebbero facilmente vendicare i loro genitori». Hans, nonostante l’evidente rabbia che si dipingeva sempre più a tinte forti sul viso di Vlad, ribattè: «Voi, folle tiranno, pensate veramente che vivrete in eterno? Poiché avete sparso tanto sangue su questa terra, tutti si rivolgeranno a Dio e al suo regno chiedendo vendetta. Voi, stupido pazzo senza pietà, insensibile tiranno, tutto il vostro essere appartiene all’inferno!».125 Dracula era sconvolto dalla rabbia perché fu colpito nell’intima convinzione che Dio lo avrebbe perdonato per tutti i suoi peccati. La sua reazione alle dure parole del monaco, fu sconvolgente: avventatosi furiosamente su di lui, lo pugnalò personalmente al cranio diverse volte. In seguito fu squartato ed impalato a testa in giù. La rabbia di Dracula non gli fece neanche risparmiare l’asino con cui il monaco si era 125
R. T. McNally, R. Florescu , Storia e mistero del Conte Dracula, cit. p. 106
95
recato da lui, tanto da impalare anche il povero animale.126 Nell’epoca in cui Vlad massacrava impalando i suoi oppositori, una guerra civile in Ungheria mieteva le sue vittime, alimentata dalla lotta di Mattia Corvino contro l’imperatore Federico III. Una breve tregua di dieci mesi, fece cessare le ostilità tra Federico III e Mattia il quale fece anche liberare lo zio da lui imprigionato.127 Il 26 settembre 1458, papa Pio II diede inizio al congresso di Mantova, dove vennero denunciate le colpe dei turchi e venne dato l’inizio di una crociata di tre anni con l’appoggio di 80.000 uomini da parte di Federico III. Mattia Corvino ne promise 40.000 a patto che fosse riconosciuto come re d’Ungheria. Come ultimo ostacolo alla sua impresa, rimaneva l’intransigente guerra commerciale di Vlad Dracula. Per tentare di risolvere il suo problema, Mattia inviò da Dracula, come possibile pretendente al trono, Dan III, il quale godeva dell’appoggio dei cittadini di Brasov. Il 1° Marzo 1460 Dan III aveva già il suo consiglio composto da boiardi di Brasov e dai fuggitivi valacchi. Durante la settimana di Pasqua del 1460, Dan III marciò contro le truppe di Dracula, ma non ebbe un esito felice: l’esercito fu annientato ed
126 127
R. T. McNally, R. Florescu , Storia e mistero del Conte Dracula, cit. p. 106 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 134
96
interamente impalato per ordine diretto di Vlad.128 La sorte che toccò a Dan III fu di esempio: [Dracula] lo fece prigioniero e fece leggere l’orazione funebre dai suoi sacerdoti; quando ebbero finito, fece scavare una tomba secondo l’usanza cristiana e vicino a questa, lo decapitò. La vendetta di Dracula non era conclusa: aveva ancora da ridire contro il popolo di Brasov che aveva ospitato e aiutato Dan III nel suo progetto di usurpare il suo trono. Impauriti da Vlad, gli abitanti di Brasov inviarono ben cinquantacinque ambasciatori per negoziare una possibile pace con il crudele voivoda, ma egli non aveva nessuna intenzione di venire a patti con chi lo aveva tradito. Il voivoda colpì la regione di Barsa e i dintorni di Brasov con una violenza inimmaginabile: impalò tutti quelli che aveva catturato, incendiò la chiesa di San Bartolomeo e rubò tutti gli ornamenti sacri. Addirittura fece impalare un suo capitano che non riuscì nella triste impresa di incendiare un villaggio perché il popolo aveva fatto resistenza.129 Solo dopo aver portato a termine la sua vendetta, raggiunse un accordo di pace con i suoi ambasciatori. Questa tregua gli concedeva il diritto di richiamare i rifugiati politici insediatisi a Brasov.130 In luglio, Vlad finse di attaccare Fagaras con l’intenzione di colpire il suo vero obiettivo, Amlas, 128
S. Katona, Historia critica regum Hungariae, Pest e Buda, 1792, XIV, pp. 337 - 38 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 137 130 G. Gündisch, Urkundenbuch zur Geschichte, cit. pp. 79 - 83 129
97
dove vi entrò il 24 agosto 1460. Si può leggere a riguardo: “L’anno 1460, il giorno di San Bartolomeo, al mattino, Dracula andò con le sue genti nel paese situato al di là della foresta (Transilvania) e, da quel che si dice, diede la caccia a tutti i valacchi di entrambi i sessi vicino al villaggio di Amlas. Radunò tutti quelli che poté prendere e li fece tagliare a pezzetti con la spada, la sciabola e il coltello. Portò con sé il sacerdote e coloro che non aveva ancora ucciso li impalò; incendiò completamente il villaggio con i loro beni; e, da quel che si dice, erano in numero superiore a trentamila”.131Anche questo numero di vittime era esageratamente alto, lievitato da chi temeva anche solo la memoria di Dracula. Vlad Dracula si accanì fortemente contro Amlas e Fagaras perchè gli abitanti avevano favorito l’usurpatore del suo trono, Dan III. Questo ultimo atto della sua vendetta, cambiò la tregua in un trattato di pace tra Mattia Corvino e il crudele voivoda valacco Vlad. Questo accordo accoglieva delle reciproche richieste: i Sassoni di Brasov e di Sibiu dovevano restituire i rifugiati valacchi al principe ed aiutarlo con 4000 uomini in caso di guerra. Inoltre Dracula si impegnava ad ostacolare i possibili attacchi ottomani contro la Transilvania. Allo stesso tempo, i Sassoni chiedevano a Vlad il ritorno dei prigionieri da lui catturati durante le campagne in Transilvania e la riapertura delle vie di commercio precedentemente da lui chiuse. Grazie a 131
M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 138
98
questo accordo ritornò un periodo di pace
tra la Valacchia e la
Transilvania.132 Superati i problemi con la Transilvania, Dracula temeva la minaccia Moldava: dopo essere stato scacciato dalla Valacchia, egli si era rifugiato in Moldavia appunto. A partire dal 1432, la dinastia dei Bogdan aveva conosciuto una serie di lotte interne per la successione al trono. Vassalli della Polonia, i principi moldavi cercavano di ottenere l’aiuto da tutti, e dal 1448, anche da Giovanni Hunyadi e dall’Ungheria. Il prezzo da pagare in cambio dell’appoggio di Hunyadi fu la cessione, nel 1448, della fortezza di Chilia, sulla foce del Danubio, dove Hunyadi vi insediò una guarnigione armata che doveva contrastare l’avanzata delle truppe turche.133 Una volta morto Giovanni Hunyadi e abbandonati i suoi progetti dal figlio Mattia Corvino, Vlad Dracula colse l’occasione di riaffermare il dominio valacco in Chilia. Mentre accadevano questi importanti avvenimenti in Moldavia, la situazione politica in Ungheria era mutata: Mattia Corvino e Federico III avevano siglato un armistizio che sarebbe durato fino al febbraio del 1461. Un punto qualificante dell’intesa raggiunta, durante la Dieta svoltasi a Buda, stabiliva che l’imperatore Federico III avrebbe adottato Mattia Corvino come suo figlio e che questo 132
G. Gündisch, Vlad Tepes und die sächsischen Selbstverwaltungsgebiete Siebenbürgens, in «Revue roumanie d’ historie», VIII, 1969, pp.991 - 92 133 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 140
99
ultimo avrebbe quindi ereditato la corona, in caso di morte del re. Questo accordo potenziava i possibili attacchi contro Vlad Dracula. Ma nell’accordo, erano state inserite anche altre clausole: Mattia avrebbe dovuto pagare ben 80.000 ducato d’oro come prezzo della corona e aveva l’obbligo di non risposarsi.134 Nonostante talune disposizioni gli fossero sfavorevoli, Mattia Corvino, era deciso a recuperare la corona ad ogni costo, e quindi accettò le dure condizioni imposte dal imperatore ungherese.135 Mentre Mattia si occupava di negoziare con Federico III, il sultano Maometto II espandeva il suo dominio in Asia, confermando i timori del papa. In quanto a Dracula, egli si ostinava a non pagare il tributo al sultano e continuava a vietare l’ingresso ai Turchi nel suo paese. Il papa temeva sempre più i Turchi tanto che il suo appello di mobilitazione, raggiunse anche Vlad, il quale aspettava solo un cenno da parte di Mattia Corvino per congiungersi a lui e affrontare i Turchi in battaglia. Per rafforzare i suoi rapporti, Mattia decise di offrire in moglie al celibe Dracula, una giovane della sua famiglia.136 Quando la notizia delle probabili nozze giunse al Sultano, egli capì subito quale potesse essere l’importanza del gesto: un ulteriore impegno di reciproco aiuto in caso di aggressione da parte sua. 134
K. Nehring, Mathias Corvinus und das Reich.Zum hunyadisch-habsburgischen Gegensatz im Donauraum, Monaco, 1975, pp. 18 - 19 135 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 143 136 I. Bianu, Stefan cel mare.Câteva documente din Archivul de stat de la Milan, 1883, pp. 34- 35
100
Perciò il Sultano, si attivò per impedire a tutti i costi questa unione e lo fece inviando come ambasciatore presso Dracula il segretario greco Tommaso Cataboleno. Il suo compito era di convincere Vlad Dracula di recarsi ancora una volta al cospetto del Sultano per pagare l’ imposta dovuta, che non veniva pagata da tre anni e che ammontava a 10.000 ducati d’oro. In più, Vlad avrebbe dovuto portare con sé in dono cinquecento giovani da arruolare nelle schiere dei giannizzeri, soldati turchi che formavano la guardia personale del Sultano. Vlad non acconsentì alle richieste di Maometto II, ma si rese disponibile a recarsi alla Porta solo alle sue condizioni: il voivoda valacco richiese, infatti, al Sultano l’invio di una persona fidata che durante la sua assenza lo sostituisse nell’ufficio fino al suo ritorno che potesse frenare un possibile tradimento da parte dei cittadini di cui non si fidava. Maometto II inviò come sostituto Hamza Ceakîrdjibasi, governatore di Nicopoli. Hamza, però, aveva un compito segreto: d’accordo con Tommaso Cataboleno avrebbero dovuto catturare Vlad in una imboscata nel momento in cui sarebbe stato riaccompagnato. Non fu così: Dracula vistosi accerchiato dai nemici, combatté per lungo tempo con grande valore rivelandosi all’altezza della sua fama.
Riuscì a catturare Hamza, fece
tagliare mani e piedi ai suoi uomini che poi furono impalati. Ad Hamza, invece, inflisse una pena esemplare: lo fece impalare al più alto dei pali in
101
modo da essere visto meglio da tutti.137 La vendetta di Dracula non era ancora terminata. In inverno inoltrato, attraversando con il suo esercito uno splendido Danubio congelato, decise di attuare un’incursione devastante su quasi 800 chilometri quadrati di territorio, da Chila fino a Rahova, vicino l’odierna Bucarest. Dividendo il suo fidato esercito, poté permettersi di non risparmiare nessuna città, nessun villaggio, senza fare distinzioni se fossero Turchi o Bulgari. Lo scopo che si proponeva con questa terribile aggressione era quello di impressionare i Turchi e sbarazzarsi di loro. Il bilancio delle vittime fu paragonabile a quello di una epidemia: 23.883 vittime.138 Vlad ha spiegato in una lettera inviata a Mattia Corvino, e da questi fatta recapitare a Venezia ed al Papa, le ragioni di quella strage: egli pensava che giunta la notizia del terribile massacro di tanti sventurati, i Turchi avrebbero intrapreso un’azione forte contro di lui. In previsione di tale eventualità, egli aggiungeva di essere pronto a entrare in azione e ad affrontare il nemico, perché sicuro di avere Dio dalla sua parte. Il re d’Ungheria era determinato ad affrontare i Turchi, ma non disponeva di un adeguato numero di uomini per il conflitto; quindi chiese aiuto al papa e a Venezia per ottenere un contributo che gli permettesse di arruolare 60.000 137
M. Ducas, Historia Turcobyzantina (1431 - 1462), ex recensione Basilii Grecu, Bucarest, 1958, p. 430 138 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 149
102
soldati. Il contributo ricevuto non fu quello che Mattia si aspettava, e pertanto riuscì ad arruolare un numero esiguo di soldati. Completamente all’oscuro delle manovre di Mattia, Dracula seguiva con attenzione i movimenti dei Turchi: Maometto II si preparava per una vasta campagna militare alla quale voleva essere presente. Un esercito imponente si mise in marcia per occupare la Valacchia, ma Vlad non perse tempo: chiamò alle armi tutti gli uomini validi a partire dai dodici anni di età, dopo aver messo al sicuro donne e bambini nella ricca e svariata vegetazione delle foreste.139 Alla testa di 31.000 uomini, Dracula si apprestava ad affrontare il Sultano, tentando di tenere sotto controllo l’intero bacino del Danubio. I Turchi lo costrinsero però a dividere le sue forze, obbligandolo ad inviare 6.000 uomini per la necessità di organizzare la difesa militare della sguarnita Chilia.140 Il mese di giugno del 1462 si rivelò decisivo per Dracula e per il suo paese. L’esercito ottomano, nonostante le ingenti perdite, riuscì il 4 giugno ad oltrepassare il Danubio, che costituiva l’ ultima linea di difesa di fronte agli invasori. Dopo un periodo di circa due settimane di preparazione alla battaglia decisiva, fatta di piccoli scontri ai quali partecipavano pochi soldati, Dracula prese l’iniziativa e attaccò di 139
Rapporto di P. de Tommasi, da Buda, datato 27 maggio, in Monumenta hungariae Historica, Acta Extera, IV, pp. 140 - 43 140 N.Stoicescu, La Victoire de Vlad l’Empaleur sur les Turcs (1462), in «Revue roumaine d’Histoire», XV, 1976, pp. 377 - 97
103
sorpresa il campo turco nella notte tra il 17 e il 18 giugno. Il suo scopo era quello di eliminare il Sultano e di privare in questo modo il poderoso esercito del suo capo: in analogia al comportamento del serpente, il cui corpo, una volta mozzata la testa, smette di agitarsi dopo pochi fremiti convulsi. Travestito da mercante turco, poiché parlava perfettamente la loro lingua, Dracula aveva spiato egli stesso il campo ed aveva potuto localizzare le tende dei capi. Si riferisce che, prima dell’impresa Dracula abbia detto ai suoi uomini: “Chi tra voi teme la morte, non venga con me, ma se ne resti qui!”.141 Con un numero di uomini compreso tra i 7.000 e i 10.000, Dracula piombò sul nemico tre ore dopo il tramonto. Nel furore della battaglia e un po’ disorientato a causa dell’ oscurità, Dracula sbagliò tenda e non riuscì ad uccidere il Sultano: così all’alba, Vlad fu costretto ad ordinare la ritirata durante la quale vennero catturati, e successivamente, decapitati, molti suoi uomini. Egli stesso riuscì a malapena a ripiegare verso le immense foreste limitrofe. Secondo il racconto di Niccolò di Modrussa, il Sultano nonostante la ritirata di Dracula, fu colto dal grande timore di essere ucciso e di nascosto tentò di abbandonare l’accampamento ma fu fermato e rimproverato dai suoi alleati, e gli fu imposto di tornare al più presto
141
R. T. McNally, R. Florescu , Storia e mistero del Conte Dracula, cit. p. 158
104
all’accampamento.142 Una volta ripiegato su posizioni di difesa, Vlad Dracula non perdeva un’occasione per essere da esempio ai suoi uomini. Nello stesso tempo fu spietato e inflessibile con i suoi soldati sopravvissuti che esaminò personalmente: a chi era ferito sul petto rese onore e lo fece cavaliere. Invece diede ordine di impalare chiunque presentasse ferite sulla schiena dicendo: «Non sei un uomo sei una donna!», alludendo al fatto che chi era stato ferito alla schiena, si sarebbe comportato da codardo, scappando di fronte al nemico e voltandogli le spalle.143 Maometto II, molto più attento dopo il tentativo di omicidio, continuò la sua marcia verso la capitale valacca, Târgoviste, ma quello che trovò sul tragitto, lo lasciò sgomento: una vera e propria foresta di uomini impalati, lunga tre chilometri e larga uno. Si pensa che fossero circa 20.000 cadaveri di uomini, di donne, di giovani e di bambini. Anche alcuni neonati, erano stati infilzati ai pali con le loro madri e gli uccelli avevano nidificato nelle loro casse toraciche. Pare che il Turco allibito, abbia detto che un uomo capace di compiere atti simili, avrebbe potuto compierne di peggiori.144 Dopo aver aggirato Targoviste senza stringerla d’assedio, Maometto 142
S. Papacostea, Cu privare la genera si ràspândinera povestirilor scrise destre faptele lui Vlad Tepes, in «Romanoslavica», XIII, 1966, p.165 143 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 157 144 E. Darko, Laonici Chalkokandylae demonstrationes, Budapest, 1922
105
II si diresse ad est verso il porto sul Danubio di Bràila. Vlad era ricercato, ma era imprendibile e continuava, nonostante le perdite, ad incalzare la cavalleria leggera del nemico, il quale si era limitato a catturare del bestiame e qualche indifeso contadino valacco. Avendo compreso che il Sultano aveva intenzione di abbandonare la Valacchia, Dracula, subito dopo che i Turchi abbandonarono Targoviste, si recò a Chilia ordinando ad un piccolo distaccamento di uomini di seguire i movimenti degli ottomani. Sconsideratamente, il capitano di questo distaccamento attaccò le truppe del Sultano, subendo gravi perdite e dando un vantaggio, quanto meno psicologico ai Turchi. Sulla strada che conduceva al Danubio, Maometto II si scontrò con Vlad: i valacchi guidati da lui attaccarono presso le colline di Buzàu, ma furono respinti con ingenti perdite di uomini. Stranamente, nonostante la vittoria, il Sultano ordinò la ritirata145, probabilmente per il timore della vendetta di Dracula. Ma così facendo il Sultano non raggiunse i suoi scopi di conquista mentre Vlad non si curava delle smisurate perdite di denaro e di uomini: a lui interessava non perdere il potere.146 Mentre abbandonava la Valacchia, il Sultano lasciò il fratello di Vlad Dracula, Radu, presso il porto sul Danubio di Bràila. L’idea del Sultano era semplice: il giovane avrebbe 145
St. Andreascu, Vlad the empaler(Dracula), The Romanian Cultural Foundation publishing House, Bucarest, 1999, pp. 123 - 26 146 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 162
106
dovuto guadagnarsi l’animo dei valacchi che non condividevano il modo tirannico di governare di Vlad. E in questo intento riuscì. E’ certo che dopo un discorso fatto al popolo, il ragazzo riuscì a guadagnarsi la fiducia e la stima degli abitanti. Mentre il giovane Radu prendeva il potere in Valacchia, Mattia Corvino aspettava ancora che il papa e Venezia stanziassero denaro per gli aiuti da lui richiesti, destinati a fronteggiare gli attacchi dei Turchi. Purtroppo per Mattia, il 14 giugno 1462, l’ambasciatore veneziano annunciò che Federico III sarebbe partito per il campo di Szeged, da dove avrebbe tentato di portare aiuto a Dracula: l’imperatore considerava la Valacchia e la Transilvania altamente importanti per il suo regno. Mattia Corvino non si mosse velocemente in aiuto di Dracula, ma procedette con molta lentezza, che, voluta o meno, gli permise di prendere tempo e decidere sul da farsi.147 Arrivato sul posto, Mattia Corvino scoprì che l’importante porto di Bràila era stato riaperto da Radu, mentre Dracula lo aveva chiuso, e rimase favorevolmente colpito dalla brillante l’idea del ragazzo. Mattia era perplesso sul da farsi: da un lato il papa e Venezia gli avevano anticipato una grossa somma per attaccare i Turchi; dall’altra i suoi alleati sassoni e i nobili Szekely non avevano alcuna fretta di combattere contro i Turchi, né di andare in aiuto a Dracula. 147
M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 165
107
Il problema più grande per Mattia era però riuscire a sapere come si sarebbe comportato Vlad. Per risolverlo agì in questo modo: invitò Dracula, con un gran seguito di uomini, a Brasov, allo scopo di discutere con lui l’atteggiamento da tenere di fronte al problema istituzionale, dopo la presa di potere di Radu in Valacchia. Purtroppo per Vlad, Mattia Corvino aveva già raggiunto una decisione. Mattia aveva in sospeso anche il discorso delle nozze di Vlad con la giovane parente del re, unione tanto temuta dal Sultano. Alla fine le nozze vennero celebrate. Dracula arrivò vestito in un modo magnifico, con 900 cavalieri al suo seguito. Mattia gli diede sua figlia e dopo Dracula fu accompagnato con grandi onori verso il suo paese, ma egli fu circondato ed imprigionato.148 Federico III fornì una scusa sulla situazione di prigionia di Dracula. Come scusa disse che fu incarcerato per via della sua condotta crudele e per i suoi misfatti presunti o reali, e lo fece promulgando diversi documenti che testimoniavano i suoi reati. Anche Mattia Corvino nel tentativo di fornire una giustificazione plausibile per l’arresto di Vlad, tentò di inventare delle scuse poco credibili: secondo quanto risulta, a Vlad fu imputata l’alleanza col Sultano contro cui aveva appena combattuto. Ma la questione era un’altra, la difficoltà di poter spiegare questo
148
D. Harmening, Der Anfang von Dracula. Zur Geschichte von Geschichten, Wurzburg, 1983, pp. 20 - 25
108
repentino e improbabile voltafaccia da parte di Dracula. Fu per dare una spiegazione plausibile di questo intreccio che venne fatta circolare una falsa lettera attribuita allo stesso Vlad, in cui era rivelato chiaramente che Vlad si era assoggettato umilmente al Sultano, chiedendo perdono le azioni militari da poco compiute.149 Questa lettera presenta un errore di fondo: la sua data viene fatta risalire al giorno in cui Vlad si stava recando da Mattia Corvino per celebrare il suo matrimonio, e vi si legge inoltre che si sarebbe mosso con il suo esercito verso la Valacchia, mentre nella realtà dei fatti, egli si stava dirigendo da Mattia a Brasov. Questa è la prova che la lettera è un documento non autentico.150 Mattia ed i suoi alleati volevano in effetti screditare la posizione di Vlad agli occhi di Federico III, accusandolo di volere l’alleanza con i Turchi. Ma è lecito chiedersi: quale necessità avrebbe potuto avere Vlad di tradire Mattia Corvino, dato che ormai Radu si era affermato in Valacchia e che l’unico che avrebbe potuto aiutarlo a riconquistare il suo trono era proprio Mattia? E soprattutto, qual era il suo tornaconto? La falsa lettera che screditava Vlad fu fatta scomparire dalla circolazione, nel contempo Mattia fece circolare un testo, non unitario, in cui venivano descritte tutte le efferatezze commesse da Vlad, sulla base di un racconto fornito dai Sassoni
149 150
E. S. Piccolomini, Commentarii, cit. pp. 162 - 164 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 171
109
e dai nemici del voivoda. Venezia inviò un ambasciatore per indagare su quanto avvenuto e per avere delle spiegazioni sull’incarcerazione di Vlad. Mattia presentò il suo illustre prigioniero al legato, il quale rimase molto impressionato da quell’incontro tanto da riferire poi al suo ritorno in patria quanto Mattia gli aveva raccontato, sul conto di Dracula, e anzi probabilmente rincarando la dose sulle efferatezze compiute dal principe. Nel suo rapporto, infatti, il legato riporta di aver appreso dal re (Mattia) che Dracula avesse ucciso ben 40.000 persone, (un numero certamente esagerato) sottoponendole ai supplizi più efferati. Molti innocenti erano stati schiacciati dalle ruote dei carri, altri squartati e, molti altri, naturalmente, impalati.151 Altre storie su Dracula inventate quasi di sana pianta o portate su esagerazioni della realtà furono scritte dai suoi detrattori tedeschi: nel 1463 apparve un pamphlet intitolato Storia del voivoda Dracula, pubblicato probabilmente a Vienna dallo stampatore Ulrich Han.152 Questo testo probabilmente ha origini Transilvane e all’Ungheria e contiene dei dettagli che solo i Sassoni potevano conoscere. Il pamphlet tedesco si compone di racconti diversi, ricchi di dati e di aneddoti, molti dei quali incentrati intorno alla figura del sovrano valacco, senza nesso tra loro e senza una cronologia adeguata. Vi si può leggere ad 151
G. Mercati, Notizie varie sopra Niccolò Modrusiense, cit. pp. 217 - 18 M .Cazacu, Geschichte Dracole Waide.Un incunable imprimé à vienne en 1463, Bibliothèque de l’École des Charter, CXXXIX, 1981, pp. 209 - 43 152
110
esempio, un aneddoto riguardante la violenta rappresaglia messa in atto da Dracula nei confronti della povera gente del suo regno. Si racconta che una volta, Dracula ordinò che tutti i poveri e i mendicanti delle sue terre si recassero al suo cospetto. Li riunì nel suo palazzo e tutti si aspettavano da lui un atto di grande generosità, come in effetti accadde. Ordinò che fossero portati in un edificio appositamente costruito, dove dovevano essere vestiti con abiti puliti e sfamati secondo i loro desideri. Dracula, durante i festeggiamenti, chiese loro: “Volete che vi tolga ogni preoccupazione, così non avrete nessun altro desiderio a questo mondo?”. Ricevuta una risposta positiva alla sua domanda, fece dare fuoco al palazzo, risolvendo in tal modo il problema fondamentale delle condizioni di sussistenza dei poveri, anzi, eliminandolo alla radice.153 Quello di cui non si parla nella fonte è, invece che i presenti erano dei finti poveri, abituati a vivere alle spalle dei benefattori, ma nello stesso tempo forniti di denaro, visto che nelle loro logore vesti erano state trovate monete d’oro.154 Nel testo viene anche descritto il suo modo di governare e di incutere terrore ai ladri, come si evince, ad esempio, dalla leggenda della coppa d’oro. Dracula era conosciuto in tutto il paese per la sua feroce insistenza riguardo ad onestà e ordine. Raramente i ladri non osavano avventurarsi 153
R. T. McNally, R. Florescu , Storia e mistero del Conte Dracula, cit. p. 160 A. Pippidi, La possibile origine di una leggenda su Vlad l’Impalatore, in «Revista de istorie si teorie literarà»,, XXXIX, 1991, pp. 322 - 28 154
111
nelle zone della città strettamente controllate da Dracula, conoscendo bene le conseguenze della loro cattura. Vlad Dracula era così fermo nell'applicare la legge, che pose una coppa d'oro decorata con pietre preziose nella piazza principale di Tirgoviste, nei pressi della fontana pubblica. Tutto il popolo ne faceva uso, ma mai nessuno osò rubarla tanto che rimase al suo posto durante tutto il regno di Dracula.155 Molto significativo del suo modo di governare e di incutere timore ai ladri, è anche il racconto riguardante un mercante fiorentino. Questi, essendo giunto a Tirgoviste con una grande quantità di mercanzie, si era recato da Dracula per ricevere protezione per sé e i suoi averi. Vlad allora, gli suggerì di lasciare incustodito il suo carro, nel quale c’erano i suoi averi che ammontavano a 160 ducati d’oro, in mezzo alla piazza principale del paese, e di andare a dormire tranquillo. Non potendo rifiutare, il mercante seguì il volere di Vlad, ma durante la notte gli furono rubati i suoi ducati. Appena Dracula seppe la notizia, ordinò ai suoi servi di prelevare 160 ducati dalle sue casse personali, facendone aggiungere uno in più. Dracula era sicuro di ritrovare il ladro, ma con questo acuto stratagemma, mise alla prova anche l’onestà del mercante. Non appena il mercante si accorse della moneta in più, andò da Dracula e gli restituì il ducato che avanzava. Il principe allora confidò al mercante, che se non fosse stato così onesto, 155
R. T. McNally, R. Florescu , Storia e mistero del Conte Dracula, cit. p. 159
112
sarebbe stato impalato insieme al ladro che era stato catturato nel frattempo.156 Altra risorsa del pamphlet tedesco è la descrizione di casi di necrofagia. Dracula impose a sventurati uomini di cibarsi del seno delle mogli, inoltre si parla di neonati impalati e di uomini sepolti fino all’ombelico e barbaramente uccisi con bordate di frecce. Quello che colpisce nella lettura di questo testo tedesco è la totale assenza di una spiegazione causale delle pratiche descritte. L’unico elemento in comune tra tutti questi fenomeni è costituito dalla crudeltà di Dracula, dipinto come un maniaco omicida, mosso da un piacere sadico ad agire in un modo così brutale. Resta inteso che il pamphlet tedesco è solo testimonianza di un volgare repertorio di fatti di cronaca atroci e cruenti, ma non rappresenta un preciso rapporto di episodi realmente accaduti. La diffusione del pamphlet tedesco stimolò l’interesse anche del menestrello tedesco Michele Beheim, il quale compose una ballata dal titolo Su
un
tiranno
chiamato
Dracula,
voivoda
della
Valacchia.
Il
componimento segue pari pari l’esposizione fatta nel pamphlet del 1463, ma di esso è interessante specialmente la parte finale, in cui viene riproposta la tesi del presunto tradimento di Dracula.157
156 157
M. Popescu, Legende istrice ale romanilor din cronicari, Bucarest, 1937, pp. 16 - 18 M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 178
113
Anche il poema di Beheim, infatti, riporta la versione deformata dell’improbabile tradimento e dell’arresto di Dracula, il quale, come si è detto, venne rinchiuso nel castello di Visegrad. Non vi è quindi nessun nuovo elemento, ma solo la riproposizione di fatti già noti, in cui l’arresto di Dracula viene presentato come conseguenza delle crudeltà commesse contro i Sassoni transilvani e contro i suoi stessi sudditi. La ballata, per quanto si sa, era destinata solo al Papa e a Venezia, ma restava un mistero il cambiamento di Mattia Corvino e dei suoi consiglieri nei confronti di Dracula. Probabilmente Mattia Corvino catturò Vlad per attirare su di sé le simpatie dei turchi, i quali divenivano sempre più pericolosi ai confini ungheresi La questione concernente la prigionia di Dracula passò in secondo piano, anche perché altri pericoli più gravi si profilavano all’orizzonte. Maometto II occupò la Bosnia e decapitò il suo ultimo re, Stepan Tomasevic. Mattia entrò in guerra e riconquistò la Bosnia, per perderla nuovamente un anno più tardi. Poi durante la dieta di Buda del marzo 1467, riuscì ad accaparrarsi i feudi di Amlas, Fagaras e Rodna: li avrebbe poi ceduti ai voivoda della Valacchia o della Moldavia che sarebbero venuti a rifugiarsi in Transilvania in attesa di recuperare il trono. In quel periodo Mattia, minacciava di liberare Dracula, ma il fratello Radu, allora succeduto con prepotenza al trono di Vlad, si ribellò insieme ai nobili ungheresi.
114
Grazie al timore che incuteva Dracula ai Turchi, prigioniero di Mattia, quest’ultimo riuscì a firmare un armistizio con Maometto II.158 Fu allora che Radu fu spodestato da Stefano il Grande di Moldavia, che nel frattempo si era alleato con l’emiro turcomanno dell’Asia minore, Uzun Hassan, e perciò il trono della Valacchia passò dalle mani dei principi alleati di Stefano a quelle dei vassalli Turchi, fino a giungere nelle mani di Basarab III. Mattia Corvino scelse questo momento di confusione per liberare Vlad, insediandolo nei feudi di Amlas e Fagaras. Fu grazie a Stefano di Moldavia, se Dracula abbandonò la sua dorata prigionia presso Pest in una casa fornitagli da Mattia, con la moglie Lidia e i suoi tre figli, dove poté godere dei privilegi di prigioniero politico.159 Tra i riferimenti al periodo di prigionia vanno ricordati alcuni episodi, forse inventati, che attengono al comportamento di Vlad. Si racconta che Vlad impalasse piccoli animali allo scopo di commettere atrocità senza motivo
160
, oppure che una notte, allorché un ladro si rifugiò
nella casa nella quale era stato imprigionato, Dracula punì il sergente che ricercava il criminale, decapitandolo, sostenendo che questi avrebbe dovuto chiedere il permesso prima di entrare nella dimora di un grande sovrano
158
M. Cazacu, Dracula, La vera storia, cit. p. 181 R. T. McNally, R. Florescu, Dracula. The biography of Vlad the impaler 1431 – 1476, New York, 1973, p. 112 160 M. Cazacu, Dracula,La vera storia, cit. p. 183 159
115
come lui.161 Questi episodi, forse inventati, vennero fatti risalire prima del 18 luglio 1475; Vlad fu incoronato nuovamente voivoda da Mattia, gli fu fornito un esercito, del denaro e furono spediti emissari in Transilvania affinché venga preparata una degna accoglienza per il principe nuovamente istituito.162 In quel momento, sul suo trono sedeva Basarab III, con il quale Mattia firmò un trattato di pace Vlad riprese ufficialmente il potere e portò a segno un ennesimo e geniale attacco ai danni dei turchi nel gennaio 1476, nella campagna d’inverno di Mattia Corvino contro Sabac, una fortezza in mano ai Turchi. Purtroppo la sua terza assunzione del regno durò davvero ben poco e si concluse in modo tragico. Verso il natale del 1476, Basarab III, da poco spodestato da Dracula, fece un improvviso ritorno grazie all’aiuto dei Bey turchi del Danubio e, nella fulminea battaglia che seguì, Dracula fu ucciso insieme a 4000 dei suoi uomini. Anche riguardo alla morte di questo condottiero divenuto leggenda, vi sono diverse controversie: per alcuni studiosi, Dracula fu tradito dai suoi stessi alleati163, per altri, invece, fu un tragico errore. Durante la battaglia, i suoi uomini stavano avendo la meglio sugli avversari Turchi. Dracula allora, per gustare meglio la vittoria, salì su 161
T.Kuricyn, Skazanie e Drakule voevode(1486) Rapporto dell’ambasciatore russo presso il luogo di detenzione di Dracula 162 A. Veress, Acta et epistolae relationum Transylvaniae Hungariaque cum Moldavia et Valachia, Budapest, 1914, pp. 14 - 15 163 J.Duglosz, Historiae polonicae libri XII, a cura di A. Przeezdziecki, V, libri XII – XIII, Cracow, 1878, p.651
116
una collina ma, scambiato per un turco, fu colpito da lance amiche. 164 Quale che sia la versione più attendibile sulla morte di Dracula, resta da dire che la pelle del viso e i capelli, furono utilizzati per ricostruire la testa del defunto, e riempiendola di cotone, secondo il metodo turco fu portata a Maometto II, per essere esposta come trofeo di guerra. Secondo la tradizione la tomba di Dracula, si troverebbe nel piccolo monastero, situato su un isoletta nel mezzo del lago Snagov, distante trentacinque chilometri a nord di Bucarest. Per quanto è dato sapere, sembrerebbe che questo monastero fu ricostruito da Vlad proprio per esservi lì sepolto. Si sostiene anche, più precisamente che Dracula, avesse chiesto di essere sepolto ai piedi dell’altare centrale, affinché ogni qual volta un sacerdote si fosse inchinato per officiare una messa, uno dei suoi peccati sarebbe stato espiato. In tempi a noi vicini, nel 1932, la sua tomba fu ispezionata durante una campagna di scavi archeologici, ma fu trovata vuota, eccezion fatta per il ritrovamento di ossa di animali. Cosa ne sia stato delle sue spoglie non si sa. Quindi tirando le somme, nessuna fonte medievale o moderna indica in Vlad Dracula un vampiro. Secondo Michele Beheim, Vlad aveva intinto del pane nel sangue delle sue vittime, ma questa non è una prova sufficiente
164
N. Pienaru, Un documento ottomano del 1476 sconosciuto, in Revista Istoricà, Serie noua, XIII, 2002, pp. 229 - 41
117
per fare di lui un vampiro effettivo. Addirittura Dracula stesso, uccidendo le sue vittime con il supplizio del palo, faceva si che esse, non potessero mai divenire vampiri e vendicarsi su di lui. Questo può far intendere che Dracula stesso credesse nei vampiri e uccidendo così, debellasse un ipotetico ritorno delle sue vittime? Potrebbe essere una ipotesi plausibile, ma crediamo di no. Il mito di Dracula è nato subito dopo la sua morte, ma non veniva affatto accostato con quello dei vampiri. Dobbiamo al genio di Bram Stoker, se il principe Vlad Dracula, l’impalatore, il difensore della cristianità, è divenuto il conte Dracula nel suo famoso racconto, affascinante, seducente e immortale, che incarna nel suo nome, l’immagine stessa del vampiro. Nel suo paese, il personaggio del voivoda valacco aveva una dimensione ben diversa da quella diffusa in tutto il mondo da Bram Stoker nel suo lavoro: in Romania, Dracula è visto come un salvatore della patria, giusto ed imparziale nei confronti delle ingiustizie. Addirittura molti pregano per il suo ritorno.
118
CONCLUSIONI
119
Conclusioni
Ho scelto di svolgere la mia tesi prendendo come argomento il mito del vampiro perché la sua figura mi affascina da molto tempo. Quando da piccolo vidi il mio primo film sui vampiri, ne ebbi molta paura, a tal punto che la sera stessa ebbi un incubo che ricordo bene tuttora. Sognai un vampiro orribile che entrava in silenzio nel buio della mia stanza per rapirmi. Ne fui davvero scioccato, ma anche interessato. Avevo circa 10 anni quando ebbi quel brutto incubo e ne parlai con mia madre che mi disse le classiche parole che una madre dice al proprio figlio per tranquillizzarlo: “E’ solo un sogno!Non devi aver paura”. Forse fu proprio in tentativo di esorcizzare la paura, che mi spinse a conoscere meglio la figura del vampiro. Dato che non potevo affrontare la mia paura, volevo comprenderla a fondo. Mi sono avvicinato ai vampiri partendo dai fumetti, poi passando a libri più seri, senza tralasciare di vedere dei film prodotti negli anni 20 - 30, come ad esempio il Nosferatu, diretto da Friedrich Wilhelm Murnau nel 1922 oppure il Dracula, diretto da Tod Browning nel 1931. Avere la possibilità di scrivere questa tesi è stata davvero una conquista per me.
120
Nelle prime battute ho introdotto l’argomento, descrivendo in significato del mito in generale, spostandomi poi nello specifico sul mito del vampiro, argomentando che esiste il mito del vampiro, ma solo collocato in ambito medioevale e che al giorno di oggi la figura si è mitizzata, grazie esclusivamente alla grande produzione letteraria e cinematografica. Nel primo capitolo ho parlato di Lilith, descritta in testi di ambiente ebraico, come la prima moglie di Adamo prima di Eva, che in un certo senso prefigura un essere vampirico. Ho continuato parlando delle Lamie, delle Empuse e delle Striges, figure vampiriche presenti nella mitologia degli antichi romani e greci, fino ad arrivare a descriverne altre meno riconoscibili, come quella di Arlecchino, discendente da un re destinato ad una non-morte. Nel secondo capitolo invece, ho preso in considerazione la svariata produzione di testi letterari che trattano abbondantemente dell’argomento, in un periodo compreso tra il 1600 e il 1900. Nonostante il periodo comprenda il secolo dei lumi per eccellenza, la superstizione sull’esistenza dei vampiri si acuì fortemente anche nel ‘700, tanto da far scoppiare la cosidetta epidemia vampirica. In questo capitolo vengono descritti i riti apotropaici con i quali venivano allontanati i defunti che si credeva fossero tornati dalla tomba. In una tesi che tratta di redivivi e di vampiri, non si poteva omettere di parlare del vampiro per antonomasia, divenuto tale grazie ad un celebre romanzo ottocentesco dal titolo Dracula.
121
Nel capitolo a lui dedicato, ho descritto il personaggio storico Vlad Dracula, detto l’ Impalatore e ho chiarito anche come, durante la sua vita, egli non ebbe nessuna connessione con i vampiri. Mentre, invece, come è noto, Dracula è divenuto sinonimo di vampiro, solo in seguito alla pubblicazione del fortunato romanzo di Brahm Stoker, apparso nel 1897. E’ solo grazie alla letteratura se abbiamo l’immagine del vampiro solitario, aristocratico e seducente, a differenza delle storie del passato che lo dipingevano come un cadavere che tornava dalla morte terrorizzando i suoi parenti. Sia il Dracula realmente esistito, sia quello letterario sono sempre stati descritti come personaggi malvagi, ma nessuno ha mai pensato che egli potesse provare dei sentimenti. Probabilmente è proprio questo aspetto di questa misteriosa figura che permette a tanta gente di immedesimarsi ed evadere dalla realtà.
122
BIBLIOGRAFIA
123
Bibliografia
Fonti
Beheim M. , Su un tiranno chiamato Dracula, voivoda della Valacchia. Poema in versi ispirato dal pamphlet del 1463 e dalle testimonianze dei contemporanei. Calmet A. , Dissertazioni sopra le apparizioni de spiriti e sopra i vampiri, o redivivi d’ Ungheria, di Moravia e di Slesia, Torino, 1986 Davanzati G. , Dissertazioni sopra i vampiri , Nardò, 2000 De Tommasi P. , Monumenta hungariae Historica, Acta Extera, IV, Budapest, 1874 Du Fresne G. , De Beaucourt, Chronique de Mathieu d’Escouchy, I, Paris, 1863 Ducas M. , Historia Turcobyzantina (1431 - 1462), ex recensione Basilii Grecu, Bucarest, 1958 Duglosz J. , Historiae polonicae libri XII, a cura di A. Przeezdziecki, V, libri XII – XIII, Cracow, 1878
124
Guboglu M. , Mehmet M. , Cronici turcesti privino tàrile române, I, Bucarest, 1966 Gündisch G. , Urkundenbuch zur Geschichte der Deutschen in Siebenbürgen, Bucarest, 1992 Hurmuzaki E. , Iorga N. Documente privitoare la istoria romanilor, Bucarest, 1911 Katona S. , Historia critica regum Hungariae, Pest e Buda, 1792, XIV Krämer H. , Sprenger J. , Il martello delle streghe. La sessualità femminile nel transfert degli inquisitori,Venezia,1995 Lambertini P. , De servorum dei beatificatione et beatorum canonizatione, l.IV, t.IV p.I Map W. , Svaghi di Corte, Volume I, Parma, 1990 More H. , An Antidote against Atheism, Londra, 1653 Parvi W. , Historia Rerum Anglicarum, Standford, 1856 Piccolomini E. S. , Commentarii Pienaru N. , Un documento ottomano del 1476 sconosciuto, in Revista Istoricà, Serie noua, XIII, 2002 Poe E. A. , I Racconti, Novara, 1990 Popescu M. , Legende istrice ale romanilor din cronicari, Bucarest, 1937 Sacra Bibbia, Isaia, 34,14 Sacra Bibbia, Levitico XIX, 26-27
125
Stoker B. , Dracula, Roma, 2004 Summers M. , The Vampire - His Kith and Kin, Londra, 1928 Tartarotti G. , Del congresso notturno delle lamie, Rovereto, 1751 Veress A. , Acta et epistolae relationum Transylvaniae Hungariaque cum Moldavia et Valachia, Budapest, 1914 Vitale O. , The Ecclesiastical History of England and Normandy, Londra, 1854
126
Studi
Allen J. , Modern Judaism: or A brief account of the opinions, tradition, rites, and ceremonies of jews in modern times, Londra, 1830 Andreascu St. , Vlad the empaler(Dracula), The Romanian Cultural Foundation publishing House, Bucarest, 1999 Aschkenasy N. , Eve's Journey: Feminine Images in Hebraic Literary Tradition, Detroit, 1994 Barber P. ,Vampiri Sepoltura e morte, Parma, 1994 Bianchi E. , Dizionarietto di mitologia, Firenze, 1940 Bianu I. , Stefan cel mare. Câteva documente din Archivul de stat de la Milan, 1883 Bloch M. , I re taumaturghi, Torino, 1989 Bogdan I. , Documente privitoare la relatiile Tàrii Românesti cu Brasovul si cu tara Ungureasca in secolele XV si XVI, Bucarest, 1905 Bondeson J. , A Cabinet of Medical Curiosities, Londra, 1997 Briongos A. M. , La caverna di Alì Babà. L'Iran giorno per giorno, Torino, 2002 Burke P. , Storia e teoria sociale, Bologna, 1995
127
Cantalamessa Carboni G. , Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli, 1830 Cassirer E. , Language and Myth, New York, 1946 Cazacu M. , Dracula. La vera storia di Vlad III l’impalatore, Milano, 2006 Cazacu M. , Geschichte Dracole Waide.Un incunable imprimé à vienne en 1463, Bibliothèque de l’École des Charter, CXXXIX, 1981 Centini M. , Il vampirismo, Milano, 2000 Cerinotti A. , Il Diavolo. L’avversario: angelo ribelle, principe delle tenebre, seduttore…, Colognola ai Colli, 2000 Cole P. , The myth of evil, Edimburgh, 2006 Crump M. L. , Headless Males Make Great Lovers: And Other Unusual Natural Histories, U.S.A., 2005 Darko E. , Laonici Chalkokandylae demonstrationes, Budapest, 1922 Donà C. , Per le vie dell'altro mondo: l'animale guida e il mito del viaggio, Catanzaro, 2003 Ferrari S. , Atti Acc. Rov. Agiati , a. 246 (1996), ser. VII, vol. VI, A, Rovereto, 1997 Ferraro G. , Il linguaggio del mito. Valori simbolici e realtà sociale nelle mitologie primitive, Roma, 2001 Fessler I. A. , Klein E. , Geschichte von Ungarn, III, Leipzig, 1874 Girando G. , Drakula, Contributi alla storia delle idee politiche nell’
128
Europa orientale alla svolta del XV secolo, Venezia, 1972 Graf A. , Miti, leggende e superstizioni del medioevo, Milano, 1987 Graves R. , I Miti Greci, Milano, 1979 Gündisch G. , Vlad Tepes und die sächsischen Selbstverwaltungsgebiete Siebenbürgens, in «Revue roumanie d’ historie», VIII, 1969 Harmening D. , Der Anfang von Dracula. Zur Geschichte von Geschichten, Wurzburg, 1983 Hartnup K. , On the Beliefs of the Greeks: Leo Allatios and popular Orthodoxy, Boston, 2004 Holban M. , Viaggiatori stranieri nei paesi romeni, I, Bucarest, 1968 Iliescu O. , Vlad I, prince de Valachie: le régne, le sceau et les monnaies, in «Revue roumaine d’historie», XXVII, Bucarest, 1988 Konstantinos , Vampires: The Occult Truth, U.S.A. , 1996 Kuricyn
T.
,
Skazanie
e
Drakule
voevode(1486)
Rapporto
dell’ambasciatore russo presso il luogo di detenzione di Dracula Makkai L. , La naissance de la société d’ordres (1172 - 1526), Budapest, 1992 Malinowski B. , Myth in primitive psychology, Londra, 2001 Mason A. , Necronomicon Gnosis: A Practical Introduction, Rudolstadt, 2007 McNally R. T. , Florescu R , Storia e mistero del Conte Dracula: La
129
doppia vita di un feroce sanguinario, Casale Monferrato, 1996 McNally R. T. , Florescu R. , Dracula. The biography of Vlad the impaler 1431 – 1476, New York, 1973 Mercati G. , Notizie varie sopra Niccolò Modrusiense, in Opere Minori, Città del Vaticano, 1937 Moisescu C. , Curtea domneascà din Târgoviste, Bucarest, 1965 Montesano M. , Streghe, Firenze, 2001 Nehring K. , Mathias Corvinus und das Reich.Zum hunyadischhabsburgischen Gegensatz im Donauraum, Momaco, 1975 Oldfield Howey M. , The cat in magic and myth, Mineola - New York, 2003 Oldridge D. , The witchcraft reader, Londra, 2002 Papacostea S. , Cu privare la genera si ràspândinera povestirilor scrise destre faptele lui Vlad Tepes, in «Romanoslavica», XIII, 1966 Petronio M. , Dai vampiri al conte Dracula. Un viaggio nell’immaginario occidentale, Palermo, 1999 Pezzini F. , Le vampire, Roma, 2005 Pilo G. , Fusco S. , Storie di vampiri, Roma ,1994 Pippidi A. , La possibile origine di una leggenda su Vlad l’Impalatore, in «Revista de istorie si teorie literarà», XXXIX, 1991 Ramorino F. , Mitologia classica illustrata, Milano, 1998
130
Rella F. , Miti e figure del moderno, Milano, 2003 Roskos-Ewoldsen D. , Communication and Emotion: Essays in Honor of Dolf Zillmann, U.S.A., 2003 Schmitt J. C. , Ghosts in the Middle Ages: The Living and the Dead in Medieval Society, U.S.A., 1998 Sinistrati L. M. , Demonialità, Palermo, 1986 Stoicescu N. , La Victoire de Vlad l’Empaleur sur les Turcs (1462), in «Revue roumaine d’Histoire», XV, 1976 Traversetti B. , Cronistoria del romanzo occidentale, Roma, 2000 Treptow K. W. , Dracula: Essays on the Life and Times of Vlad Tepes, Columbia, 1991 Verancsics A. , Sui preparativi del re Giovanni contro il sultano Solimano che attaccava la Transilvania (1538 - 1540), in Monumenta Hungariae Historica, II serie, Scriptores, II, Budapest, 1857 VV.AA. , Storie di Vampiri, Roma,1994 Watt I. , Miti dell’individualismo moderno, Roma, 1998 Wilkinson W. , Tableau historique, geographique at politique de la Moldavie et de la Valachie, Paris, 1824
131
RINGRAZIAMENTI Desideravo scrivere queste parole da molto tempo. Forse troppo tempo. Si, avete capito bene, sono proprio i ringraziamenti… Non posso raggiungere questa tappa senza aver ringraziato chi mi è stato vicino e chi mi ha aiutato. Devo ringraziare i miei genitori. Senza i loro sacrifici avrei potuto solo sognare di scrivere queste parole, perciò, grazie Papà e grazie Mamma! Devo ringraziare mio fratello, che mi ha dato dei buoni consigli e che scherzando mi ha tirato su il morale quando ero più a terra. Grazie Francesco!!! Mi sarebbe piaciuto molto che fossero presenti alla mia discussione alcune persone che non ci sono più purtroppo…mi riferisco a Nonno Vincenzo, Zia Pompea e Nonna Lucia. Comunque anche se non sono fisicamente presenti sono sempre nel mio cuore. Spero che dovunque voi siate possiate essere fieri del vostro nipotino. E il Professor Poso? Spero che dopo avermi aiutato con pazienza in questa odissea della tesi, possa essersi un po’ incuriosito su un personaggio letterario che alimenta la stesura di storie affascinanti e che fornisce spunti per dei film
132
avvincenti. Grazie professore per aver spronato la mia vena critica! Vorrei ringraziare anche il Professor Biagini per la sua disponibilità alle mie domande e per i sorrisi che ha sempre saputo strapparmi con la sua simpatia. Grazie Professore per avermi tirato su di morale! Avevo 8 anni quando ho conosciuto 2 esseri umanoidi, che mi hanno accettato nonostante le mie “stranezze”…uno di loro è diventato un farmacista padovano sempre pronto allo scherzo e che non ha mai perso la sua grande umiltà ed il suo grandissimo cuore: Domenico, c’è l’ho fatta!L’altro è diventato un emozionato papà di una bellissima bambina di nome Beatrice nonché marito di una donna dolcissima di nome Adriana: Emiliano, mo pure io sono “dottore”!! Ed ora, veniamo agli amici… Ora però un dilemma: in questi anni, frequentando Lecce, ho conosciuto tante tante persone con le quali ho stretto una amicizia che va oltre il semplice amico o amica…nominarli tutti sarebbe una impresa titanica ma poi che fare?E se ne dimentico uno? Poi mi possono dire:” E io?”Quindi, per non fare un torto a nessuno, non nominerò questo o quella, ma mi limiterò a dire: “Grazie ragazzi per avermi sopportato per tutti questi anni e spero che possiate farlo per molto altro tempo!” Grazie anche a te che mi stai leggendo, chiunque tu sia. Se sei arrivato a questo punto vuol dire che un po’ ti è interessato quello che ho scritto e magari ha appassionato anche te.
ED ORA CHE FACCIO?
133