Outdoor education

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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Dipartimento di Educazione e Scienze Umane Corso di Laurea in Scienze dell’educazione A. A. 2016/2017

OUTDOOR EDUCATION: la progettazione degli spazi esterni al nido come risorsa

Relatore: Prof. Antonio Gariboldi

Laureanda: Debora Mazza


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INDICE

Introduzione ....................................................................................................................................... 6 CAP. 1 La problematica ecologica e il rapporto con la natura ...................................................... 8 1.1 Il distacco tra uomo e natura ..................................................................................................... 8 1.2 Le radici del fenomeno ............................................................................................................... 9 1.2.1 “Criminalizzazione” dei giochi all’aperto .......................................................................... 9 1.2.2 Cultura occidentale e la mancanza di una deep ecology .................................................. 10 1.2.3 Cultura della sedentarietà e diffusione delle tecnologie ................................................... 11 1.2.4 La scarsità di tempo........................................................................................................... 12 1.2.5 Helicopter parenting .......................................................................................................... 13 1.2.6 Il concetto di natura che diffondono le istituzioni educative ............................................. 14 1.2.7 Le responsabilità civili ...................................................................................................... 15 1.3 Le ripercussioni socio-psico-fisiche ed etiche dell’allontanamento dalla natura ..................... 16 1.3.1 Lo stato di emergenza ecologica ....................................................................................... 16 1.3.2 Deficit di natura................................................................................................................. 19 1.3.3 Impoverimento dei sensi .................................................................................................... 21 1.3.4 Insicurezza ......................................................................................................................... 22 1.3.5 Noia intorpidita ................................................................................................................. 22 1.3.6 La natura virtuale .............................................................................................................. 23 CAP. 2 Outdoor Education: la risposta alla necessità di una rivoluzione verde ....................... 24 2.1 La pratica educativa all’aperto ................................................................................................. 24 2.2 Orientamenti teorici alla base dell’educazione ambientale ed esperienziale ........................... 27 2.2.1 Jean-Jacques Rosseau: l’educazione naturale .................................................................. 27 2.2.2 Johann Heinrich Pestallozzi: la formazione integrale del fanciullo ................................. 28 2.2.3 Friedrich Fröbel: i kindergarten ....................................................................................... 28 2.2.4 Giuseppina Pizzigoni: il vero, la natura e l’esperienza .................................................... 29 3


2.2.5 John Dewey: l’apprendimento esperienziale..................................................................... 30 2.2.6 Le sorelle Agazzi: la pedagogia dell’esercizio .................................................................. 30 2.2.7 Maria Montessori: la natura nell’educazione ................................................................... 31 2.2.8 Adolphe Ferrière: la scuola attiva .................................................................................... 31 2.2.9 Howard Gardner: l’intelligenza naturalistica................................................................... 32 2.3 Storia e radici delle strutture che adottano l’approccio outdoor............................................... 32 2.4 Il ruolo e la formazione dell’educatore in natura ..................................................................... 35 CAP. 3 Casi studio ........................................................................................................................... 38 3.1 La realtà dell’agrinido .............................................................................................................. 38 3.2 Agrinido “Piccoli frutti” (Boschetto, CREMONA) ................................................................. 40 3.2.1 Organizzazione degli spazi e del materiale messo a disposizione .................................... 41 3.2.2 La giornata e le attività dell’agrinido Piccoli Frutti......................................................... 44 3.3 Agrinido “L’ErbaVoglio” (Bagnara di Romagna, RAVENNA) .............................................. 45 3.3.1 Organizzazione degli spazi e materiale a disposizione ..................................................... 46 3.3.2 La giornata e le attività all’Agrinido L’ErbaVoglio ......................................................... 48 3.4 Agrinido “L’orto dei pulcini” (Ostra, ANCONA) ................................................................... 49 3.4.1 Progetto Sperimentale Agrinido di Qualità 2014 nella Regione Marche ......................... 50 3.4.2 Organizzazione degli spazi e del materiale nell’Agrinido “L’orto dei pulcini” ............... 52 3.4.3 La giornata e le attività ..................................................................................................... 54 3.5 Riflessioni................................................................................................................................. 55 CAP. 4 Progettare gli spazi esterni al nido .................................................................................... 57 4.1 Perché è importante la progettazione degli spazi esterni ......................................................... 57 4.2 Cosa significa progettare .......................................................................................................... 58 4.2.1 Esempio pratico dell’iter di progettazione dello spazio esterno al nido ........................... 60 4.3 Criteri pedagogici di organizzazione dell’ambiente esterno .................................................... 61 4.3.1 Differenziazione funzionale degli spazi ............................................................................. 62 4.3.2 Ricchezza di possibilità...................................................................................................... 63 4


4.3.3 PolifunzionalitĂ e loose parts ............................................................................................ 69 4.3.4 AccessibilitĂ e indipendenza .............................................................................................. 70 4.3.5 FlessibilitĂ e riprogettazione ............................................................................................. 71 4.3.6 Mantenimento e cura del giardino co-gestiti dai bambini ................................................ 71 4.3.7 Collegamento interno-esterno ........................................................................................... 72 Conclusione ....................................................................................................................................... 75 Bibliografia ....................................................................................................................................... 77 Ringraziamenti ................................................................................................................................. 80

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Introduzione La scelta di questo argomento, oggetto di numerose attenzioni negli ultimi anni, è stata mossa da alcune esperienze che ho vissuto tramite tirocini presso servizi pubblici per la prima infanzia e presso il domicilio di famiglie, come babysitter. Infatti, mi sono trovata spesso all’interno di conversazioni in cui i genitori comunicavano alle educatrici la preoccupazione che i bambini uscissero con giornate uggiose, nonostante le condizioni climatiche non fossero impervie. Al contrario, ho osservato l’entusiasmo e l’elettricità nell’aria quando veniva comunicato ai bambini di mettersi in fila per uscire all’esterno. Mi è capitato inoltre di vedere che nei giardini strutturati con scivolo e altalene, lo spazio che li circondava era sempre scenario di litigi e pianti, infatti a volte le insegnanti erano costrette a rendere inagibili questi spazi per evitare tali dinamiche. Al contrario gli ambienti in cui venivano proposte attività come la semina, la pittura a cavalletto all’aperto o percorsi naturali erano luoghi di tranquillità, forte concentrazione e stupore. Ho dunque avuto un forte interesse nel cercare di comprendere come fosse possibile soddisfare il bisogno dei bambini di uscire all’esterno, per ricreare più spesso, o addirittura quotidianamente, quella forte emozione che li coinvolgeva. Soprattutto, mi sono domandata come le educatrici potessero essere loro stesse stimolate a condurre i bambini fuori, in quanto uno spazio vuoto, anonimo e senza nessun tipo di progetto alla base credo sia poco stimolante, oltre che per il bambino, anche per l’insegnante. Infine mi sono chiesta come mai tutte, o la maggior parte delle strutture, offrissero lo spazio esterno esclusivamente come spazio di svago, strutturato in ogni servizio allo stesso modo, con attrezzi che causano dinamiche negative tra i bambini. La visita presso alcuni agrinido italiani ha risposto in parte alle mie domande, vedendo che era possibile e vissuto con positività dai bambini, trascorrere gran parte della giornata all’aperto. Le attività proposte in questi servizi, sono molteplici e riscontrano sempre grande coinvolgimento da parte dei bambini che, oltre a seguire con attenzione le proposte dell’insegnante, si sono mostrati propositivi e loro stessi ideatori di attività o approfondimenti. Ho pensato, dunque, di realizzare il mio elaborato finale su questo argomento, che ritengo essere estremamente importante sia per contrastare il mancato rispetto, della nostra generazione, verso la natura e sia per i bambini che un po’ per il nostro iperprotettivismo e in parte per l’ipnotismo che causano le tecnologie sono quasi sempre imprigionati dentro casa. Per riconsegnare, quindi, lo stesso valore e importanza educativa allo spazio interno ed esterno. Ho articolato il mio lavoro in quattro parti. Nella prima parte verrà presentata la drammatica situazione attuale in cui ci troviamo, nella quale i bambini sono distaccati, non hanno contatto con la natura, analizzando dunque le cause e le conseguenze che questo fenomeno sta comportando. Ne 6


deriva l’importanza di valorizzare l’approccio di Outdoor Education, diffuso in questi anni, per cercare di ricostruire questo rapporto. Ho, dunque, approfondito questo metodo nel secondo capitolo, in cui ho trattato i fondamenti teorici ovvero, pensieri di grandi pedagogisti che già nel Settecento concordavano con l’idea dell’importanza dello spazio aperto in ambito educativo. Inoltre, ho ripercorso la nascita e lo sviluppo di tale orientamento, partendo dai paesi nordici fino all’analisi di come si è sviluppato in Italia. È, poi, dalle visite presso gli Agrinidi, strutture che applicano per eccellenza questo approccio, delineate nel penultimo capitolo, che ho tratto informazioni e ho appreso come fosse possibile sfruttare a pieno la ricchezza della natura che ci circonda per educare gli abitanti delle strutture educative. La finalità del mio elaborato è quella di definire dei criteri che possano stimolare qualsiasi tipo di struttura ad aprire le porte e fare uscire i propri bambini, non perdendo l’occasione, però, di utilizzare questo momento con un obbiettivo educativo. Superando quindi questa spinta a rimanere dentro e a dare valore educativo solo a ciò che proponiamo all’interno, per impegnarci a riprogettare e ridefinire degli stimoli possibili per riconoscere di nuovo il valore della natura e trasmetterlo dunque ai futuri abitanti della terra. È nell’ultimo capitolo che delineo quei principi che, secondo l’ottica di una progettazione degli spazi, possono condurre a una maggiore fruizione della natura, come risorsa nel contesto dei servizi per la prima infanzia.

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1 La problematica ecologica e il rapporto con la natura 1.1 Il distacco tra uomo e natura “Mi piace di più giocare in casa perché fuori non ci sono le prese di corrente” Alunno di San Diego1 Il rapporto che gli uomini hanno con la natura possiamo definirlo radicalmente cambiato negli ultimi decenni. Le parole di un alunno di San Diego, sopraccitate, ne sono la testimonianza. L’idea di un’infanzia trascorsa a correre nei prati, a costruire casette sugli alberi e ad esplorare aree rurali che dominano lo spazio dietro casa è stata soppiantata da primi anni di vita passati all’interno dell’abitazione di fronte a videogiochi, televisioni e tablet. Ne deriva una natura vissuta con il contagocce, che occupa solo poche ore della nostra giornata, caratterizzata da pregiudizi e paure degli adulti, che vengono trasmesse anche ai figli. Come riporta Louv (2006, p. 33),

“la

generazione nata tra il 1946 e il 1964 potrebbe essere l’ultima che ha goduto di un rapporto intimo e confidenziale con la terra e l’acqua. Dall’utilitarismo diretto siamo passati ad un attaccamento romantico al mondo naturale, giungendo oggi a un distacco causato dall’elettronica”. I bambini di oggi considerano la natura come una realtà lontana ed astratta, in quanto sono abituati a vederla attraverso videogiochi, spot pubblicitari e documentari e non attraverso passeggiate nel bosco o camminate in montagna. Questa realtà conduce i giovani di oggi ad una conoscenza teorica approfondita della geografia, dell’astronomia, di problematiche attuali, come l’emergenza ecologica, a discapito di un contatto intimo con la natura stessa. Si tratta di un ribaltamento di quelle che erano le realtà di pochi anni fa, quando i bambini apprendevano tramite le esperienze dirette, quindi la mattinata passata nel vigneto o le serate ad osservare le stelle nel cortile. Si parla, dunque, di un cambiamento che riguarda non solo il proprio tempo libero, ma una vera e propria modificazione del modo di apprendere la natura, non più presentata come dinamica, ricca di esperienze emozionali, stimolo per tutti i nostri sensi, ma come “piatta” e schematica. Approccio, che non implica più la conoscenza di una realtà concreta e pratica, ma astratta ed ideale che va ad aumentare quella frattura creatasi tra le nuove generazioni e il mondo che ci circonda. Si tratta anche della perdita di quello che viene definito da Fratus (Guerra, 2013, p.20) “bambino radice ovvero il bambino o la bambina che vive quotidianamente un rapporto di stretta connessione con gli 1

(cit. in Louv, Last child in the woods, 2006, p. 19)

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elementi naturali e vegetali, con le altre specie viventi, immergendosi quanto più possibile nel paesaggio”. Non ci si percepisce più come parte della natura, ma come entità distaccate, “come realtà isolate e isolabili dal contesto, ontologicamente autosufficienti con uno spazio vitale distinto da quello degli altri” (Mortari 1998, p. 52). Viene a mancare quel sentimento di connessione con il mondo naturale, la consapevolezza di appartenere tutti ad una stessa dimensione e che inquinare o danneggiare la natura significa nuocere anche a noi stessi. Predomina, invece, la concezione utilitaristica e antropocentrica di uomo come privilegiato e natura come utile. L’essere umano pensa di poter attingere da ciò che lo circonda per qualsiasi bisogno finché ne sente la necessità. Questo atteggiamento fomenta un sentimento di apatia verso la natura che ci impedisce di reagire di fronte all’emergenza ecologica che sta divorando le nostre realtà naturali. Non ci poniamo, dunque, a difesa della natura, non proviamo rispetto, non ci sentiamo legati perché siamo arrivati a percepirla come strumento a nostra disposizione. Ne derivano bambini distaccati, disinteressati che non hanno nessun tipo di attaccamento alla terra.

1.2 Le radici del fenomeno Le cause di questo allontanamento sono di origine sociale, economica, educativa e culturale. 1.2.1 “Criminalizzazione” dei giochi all’aperto A volte l’amministrazione pubblica, attraverso la predisposizione di norme di tutela, limita l’accesso dei bambini alla natura. Vengono posti degli ostacoli a quelle azioni che un tempo venivano normalmente condotte all’aperto. Un esempio è la costruzione di una casa sull’albero. Un’attività che oltre a stimolare la creatività dei bambini li coinvolge in un contatto intimo e diretto con l’ambiente naturale. Oggi tale costruzione non richiede solo un pomeriggio di impegno e lavoro, ma può essere oggetto di problematiche burocratiche e legislative che alcuni possono definire demotivanti per intraprendere tale percorso. Un esempio riportato da Louv (2006, p.44) tratta di una famiglia nel Mississipi che spese 4000 dollari per erigere una casetta a 2 piani su un albero dopo aver ottenuto da un funzionario dell’amministrazione cittadina la rassicurazione che non erano necessarie autorizzazioni di nessun genere per quel progetto. Ma cinque anni dopo l’ufficio di progettazione e zonizzazione dichiarò che essa doveva essere demolita poiché era stata violata un’ordinanza che proibiva la costruzione di edifici complementari di fronte all’abitazione. La criminalizzazione del gioco all’aperto è inoltre alimentata dal fenomeno dell’urbanizzazione, in quanto sono rese edificabili intere zone collinari, trasformando campi in zone artificiali e limitando sempre più il numero di parchi giochi, restringendo sempre più gli spazi aperti. Le persone che 9


cercano un contatto con la natura sono quindi costrette a spostarsi dalla città percorrendo chilometri e chilometri. 1.2.2 Cultura occidentale e la mancanza di una deep ecology: Un’altra causa può essere individuata nell’impianto anti-ecologico su cui poggia la cultura dell’Occidente. Tale disposizione nasce nel momento in cui nella nostra cultura l’uomo viene posto al centro della creazione. Questa tradizione antropocentrica, come già accennato in precedenza, porta a percepire l’uomo come privilegiato e ontologicamente autonomo, e la natura come una risorsa a sua disposizione. Ne deriva una mancata connessione dell’uomo con la realtà circostante, ovvero ciascun soggetto si percepisce come distaccato dal mondo che lo circonda. Attitudine che lo porta inoltre a non manifestare atteggiamenti solidali o di responsabilità nei confronti di altri esseri viventi o della realtà naturale, in quanto si percepisce autosufficiente. Quello che manca nella società occidentale è l’affermazione di una deep ecology, ovvero “l’orientamento che punta a promuovere una forma di consapevolezza ecologica e sostiene che la via per affrontare la crisi ambientale sta nel superamento di una filosofia di vita fondata sul principio del dominio per un etica di relazionalità con il mondo” (Mortari 1998, p.89). Si tratta, dunque, di superare la visione individualistica ed egocentrica della nostra cultura, verso la definizione di un nuovo paradigma ecologico che riorienti l’agire umano. La deep ecology sottolinea l’importanza della formulazione di un’ecosaggezza, ovvero un insieme di principi capaci di orientare il pensare e l’agire in direzione ecologicamente compatibile. Poiché alla base del cambiamento di prospettiva non ci deve essere una dimensione normativa o morale, quindi la disposizione di ulteriori divieti o restrizioni, in quanto il mutamento deve venire da un nuovo sentimento nei confronti della natura, che va a riformulare il concetto di sé e del proprio rapporto con l’esterno. Si parla di un passaggio verso il “sè espanso”, ovvero una disposizione etica che conduce a percepirsi come intimamente uniti a ogni forma di vita a cui segue l’inevitabile adozione di un atteggiamento di non violenza. Consiste nell’identificarsi con ciò che ci circonda e nel “dilatare il proprio sé fino a farlo diventare un ‹Sé›, nel senso che occorre arrivare alla consapevolezza che non esistono confini e che quindi la protezione del mondo naturale coincide con la protezione della propria vita” (Mortari 1998, p.55). L’interiorizzazione di questo concetto comporterà una spontanea formulazione di un senso di responsabilità morale. Il compito di questo mutamento non spetta solo ad esperti, ma si tratta di un mutamento consapevole di tutti noi. Efficace, specialmente se affiancato da esperienze naturali dirette e gioiose che favoriscano immersione nella realtà anche attraverso rituali come l’ascolto, danze o meditazione. Esperienze che ci portino a percepire la natura nella sua interezza e, in quanto tale, non mediata da libri, classificazioni o schemi. Una natura ricca di emozioni, sensazioni, odori e 10


rumori. Ruolo fondamentale è quello delle istituzioni educative che siano in grado di stimolare lo sguardo ecologicamente orientato, poiché è il modo in cui noi guardiamo che rende l’esperienza tale, e crea un rapporto di famigliarità con la natura. 1.2.3 Cultura della sedentarietà e diffusione delle tecnologie Negli ultimi anni lo stile di vita degli uomini è fortemente cambiato. La popolazione mondiale è diventata sempre più sedentaria. Nonostante la pratica sportiva e la vita all’aperto rappresentino fattori estremamente positivi e soprattutto attività preventive per diverse patologie, secondo i dati ISTAT nel 2016, il 39,2 per cento della popolazione di 3 anni e più, non pratica sport né alcun tipo di attività fisica (Rapporto annuale ISTAT 2017. Aspetti demografici e condizioni di vita, Quadro di insieme, www.istat.it). Tale fenomeno è giustificato dall’indagine sulle principali attività svolte nel tempo libero dai giovani tra i 3 e i 24 anni che dimostra che l’attività preferita da svolgere in questo lasso temporale (in media 5h.33’) è guardare la televisione (Rapporto annuale ISTAT 2017. Aspetti demografici e condizioni di vita, Approfondimenti e analisi, Il tempo libero nei gruppi sociali, Il tempo libero nei giovani, www.istat.it). Inoltre Louv (2006, p.53) riporta una statistica secondo cui negli Stati Uniti i bambini tra i sei e gli undici anni trascorrono più di 30 ore la settimana davanti alla televisione o al computer. Il forte distacco che abbiamo precedentemente analizzato tra uomo e natura riconosce una delle principali cause proprio nella diffusione della cultura della “comodità”, e che porta i giovani di oggi a preferire la televisione a una corsa in un campo. Sicuramente, questa diffusione è in parte dovuta alla radicale urbanizzazione che sta colpendo il nostro paese, che limita le aree verdi e gli spazi accessibili al gioco all’aperto, ma soprattutto allo sviluppo delle tecnologie che

attirano

imprigionano

e le

nuove

generazioni in casa. Le tecnologie di ogni tipo, lasciano i bambini assetati di qualcosa di più. Il bisogno

delle

generazioni

nuove

di

una

iperstimolazione attraverso stimoli più rapidi, più forti, più violenti li porta a vedere realtà 11

nell’esterno poco

un

stimolante,


poco interessante, che li conduce a quella che Louv (2006., p.146) definisce “noia intorpidita”, ovvero un costante senso di insoddisfazione che domina i bambini e gli adolescenti di oggi. Per superare tale situazione è importante che educatori, genitori, adulti conducano il bambino verso esperienze positive: come fare passeggiate, pescare e attività che consentano all’immaginazione di farsi spazio. Spegnere il televisore, cercando di trovare un equilibrio tra controllo dell’adulto e noia, è molto importante per combattere questo fenomeno di sedentarietà. Soprattutto sarebbe positivo utilizzare le tecnologie in maniera costruttiva e negli spazi aperti (es. uso della go-pro per rivedersi e fissare i momenti passati all’esterno). 1.2.4 La scarsità di tempo Intorno agli anni sessanta i genitori hanno iniziato a modellare il tempo dei propri figli verso attività strutturate, rischiando così di annullare quello che viene definito “tempo libero” ovvero quel lasso temporale che non implica obblighi di nessun tipo. Nell’indagine riportata da Louv (2006, p.103), nella quale viene chiesto ai bambini della Jerabek Elementary School di San Diego, di età compresa tra i dieci e i dodici anni, di descrivere la propria giornata tipo, il commento di una bambina è rappresentativo della mancanza di tempo dei ragazzi di oggi: “Non ho molto tempo per giocare perché prendo lezioni di pianoforte. Mia mamma mi fa esercitare circa un’ora al giorno. E poi devo fare i compiti, e anche in questo caso impiego un’oretta. Poi dalle 17.30 alle 19 c’è l’allenamento di calcio e devo esercitarmi al pianoforte. Poi ci sono i lavori in giardino e le faccende domestiche. Dopo questo sono libera di fare quello che voglio. Ma in pratica rimangono solo due o tre ore o giù di lì”. I genitori di oggi cercano il meglio per i propri figli, perciò inseguono corsi specifici per ogni tipo di abilità sviluppabile. Nonostante le buone intenzioni dei genitori, questi percorsi strutturati vengono considerati dai bambini non tanto come forma di svago, ma come impegno e lavoro. Per questo il tempo da passare all’aria aperta in attività non strutturate e libere è pressoché nullo. È importante però lasciare tempo ai bambini per manifestare il senso di meraviglia e per lasciare loro la possibilità di vivere situazioni in cui nasca la creatività. Il tempo dei bambini deve essere ampio e rilassato, solo quando hanno l’agio di elaborare la creatività, sono in grado di mettere in atto condotte ricreative. Peter Gray (20 dicembre 2013, Lasciateli giocare, “Internazionale 1031”) afferma che un continuo stato di controllo sui propri figli impedisce di sviluppare quella che è l’educazione dei cacciatori-raccoglitori, ovvero quel tempo dopo scuola in cui i bambini alcuni anni fa erano liberi di esplorare, annoiarsi, mettersi nei guai e tirarsene fuori. Questo tempo viene considerato da Gray più utile di quello che ha passato a scuola. In quanto gli ha permesso di apprendere tutto ciò che è valido una volta diventati adulti quando non c’è più un genitore pronto a proteggere e risolvere problemi. “Togliendo il gioco, priviamo i bambini della possibilità di 12


esercitarsi ad essere adulti e creiamo persone che per tutta la vita si sentiranno vittime e dipendenti, con la sensazione di un’autorità che gli dice cosa fare e risolve i problemi al posto loro” (Gray, 20 dicembre 2013, Lasciateli giocare, articolo sul “Internazionale 1031”). I bambini hanno bisogno del loro tempo, in quantità opportuna e hanno il diritto che questo venga rispettato. Una conoscenza più approfondita del valore che la natura assume per i bambini potrebbe far trovare più facilmente ai genitori di oggi un equilibrio. 1.2.5 Helicopter parenting Un’altra causa di questo allontanamento dei bambini dalla natura è da ricercarsi all’interno della famiglia. La maggior parte dei genitori di oggi rientra all’interno di una tipologia che è “il genitore preoccupato” rispetto alla salute, al benessere psico-fisico, alle relazioni del proprio figlio. Gli autori anglosassoni definiscono questa nuova tendenza helicopter parenting, per indicare il modo di fare dei genitori troppo apprensivi, perché proprio come un elicottero sorvegliano continuamente il proprio pargolo, pronti ad intervenire in ogni difficoltà vera o presunta” (Farnè e Agostini, 2014, p. 26). Tale atteggiamento porta il genitore a intervenire eccessivamente nella vita del proprio figlio tentando di rendere il corso della sua vita il più semplice possibile, eliminando ogni ostacolo o difficoltà, garantendo così la serenità del proprio piccolo. In questo modo il genitore impedisce al bambino di fare da solo, di crescere e di imparare dai propri errori e dalle proprie esperienze positive o negative. Le conseguenze di questo iperprotettivismo possono essere molto gravi come generare ansia nel bambino, creando una sorta di circolo vizioso che porterà il bambino ad essere spaventato e intimorito da ciò che lo circonda e il genitore si sentirà in dovere di intromettersi. Ne derivano adolescenti ansiosi, introversi, fiacchi e insicuri. In un mondo come quello moderno dove è diffusa la criminalità, dove i mass media ci trasmettono messaggi di un mondo crudele in cui i vicini sono assassini, il compagno è violento e l’amico a scuola è un bullo, la tendenza dei genitori a proteggere i propri figli si è amplificata. Louv (2006, p. 110) riporta una ricerca realizzata dal TNS Intersearch, pubblicata dalla rivista “American Demographics” nel 2003 secondo cui il 56 per cento dei genitori di oggi afferma che all’età di dieci anni poteva andare a scuola a piedi o in bicicletta da solo. Ora soltanto il 36 per cento di quelle mamme e quei papà concede una simile libertà ai figli. I bambini di oggi non hanno più tempo per la loro innocenza in quanto vengono catapultati in questo mondo di paure. Anche la natura assume, dunque, un aspetto oscuro, infondendo terrore e insicurezza, causata sia dalla criminalità presente nei pochi parchi rimasti nelle città, sia dai piccoli incidenti in cui il bambino può incorrere nello spazio aperto. La vita all’esterno delle mura della propria abitazione è sicuramente meno prevedibile e genera più ansia e preoccupazione per questa nuova generazione di genitori. La 13


percezione del pericolo, oggi, supera quella del danno educativo che stanno provocando i genitori mettendo in atto questo modello zero rischi, che impedisce al bambino di essere libero di esplorare il mondo che lo circonda e di imparare a fare da solo. Creare una vita per il proprio figlio priva di rischi causa danni enormi come l’impossibilità di riconoscere in autonomia esperienze rischiose, causando così una sovra/sottostima delle realtà che si troverà davanti. Inoltre un bambino abituato ad essere affiancato costantemente dal genitore, è incapace di prendere decisioni e quindi assumersi responsabilità. Infine un bambino che ha provato paura e fatica saprà riconoscerla anche negli altri in quanto è un’esperienza che facilita lo sviluppo di empatia. Al contrario, il bambino che è sempre stato protetto da questa emozione, non sarà in grado di riconoscerla negli altri. Definita da Russel (Farnè e Agostini, 2014, p.22) the uncommon sense view, le esperienze di rischio rappresentano un bisogno di autoaffermazione. L’esperienza all’aperto, caratterizzata da qualche rischio in più è, quindi, positiva in quanto permette al bambino di saper gestire la situazione pericolosa qual ora si dovesse trovare da solo. La vita nella natura può essere una possibilità per sperimentarsi e mostrare ai propri genitori di essere capaci di fare da soli. Il ruolo del genitore in questo genere di esperienze è quindi quello di prevenzione e di educazione: fornendo regole essenziali, osservando e correggendo e lasciando progressivamente autonomia. Tutto ciò non elimina il rischio di incidenti, ma crea le condizioni affinché si possa correre il rischio abbassando i fattori di pericolosità. “L’educazione non ha il compito di sottrarre esperienze ai bambini, ma di proporgliele sulla base di gradualità, modalità e opportunità che si ritengono adeguate ai suoi bisogni di crescita e di cui fanno parte anche le dimensioni del rischio” (Farnè e Agostini, 2014, p.21). Vivere all’aria aperta e giocare all’esterno, non vuole dire fare esperienze eccezionali di avventura, ma restituire all’infanzia quei campi di esperienza che le abbiamo sottratto e che è suo diritto avere. 1.2.6 Il concetto di natura che diffondono le istituzioni educative Come detto in precedenza, la conoscenza della natura, da parte dei bambini di oggi, è prettamente teorica e astratta. Le istituzioni educative non si preoccupano di far vivere appieno l’esperienza naturale e presentano loro fiori e piante solo nelle grandi immagini dei libri e nei documentari in videocassetta. Ne deriva, dunque, una visione della natura poco stimolante e soprattutto che non richiama a quelle esperienze gioiose e piacevoli che possono essere vissute scendendo nel giardino della scuola oppure visitando i parchi della propria città. Concezione che va a rinforzare il desiderio dei bambini di rimanere tra le quattro mura di casa davanti ai videogiochi anche nelle invitanti giornate di sole. Infine la scuola tende a trattare di natura principalmente per quanto riguarda l’emergenza ecologica, il buco dell’ozono e le catastrofi naturali cercando di generare un 14


sentimento di responsabilità nei confronti dell’ambiente. Quello che teorizza David Sobel (1996, cit. in Louv, 2006, p.120), però, è che la risposta delle nuove generazioni possa essere il contrario di un atteggiamento positivo verso la natura. “Se si riempiono le aule di esempi di abuso ambientale è possibile che si venga a creare una sottile forma di dissociazione. L’entusiasmo che manifestiamo durante i nostri tentativi di rendere i giovani consapevoli del mondo e di farli diventare più responsabili potrebbe allontanarli dalle loro radici” (Louv, 2006, p. 120). Infatti, senza esperienze positive nella natura, i bambini di oggi assoceranno quest’ultima alla paura e all’apocalisse. È come se si impedisse loro di provare emozioni nei confronti dell’ambiente naturale, provocando questo distacco che rappresenta una volontà di abbandonare la dimensione ecologica in quanto riconosciuta come negativa. Oggi è necessario cercare di ridurre quel senso di colpa che scuola e associazioni ambientaliste cercano di creare negli adulti del futuro. Puntando, piuttosto, a instaurare un legame di qualità, di attaccamento con la natura. Questo sentimento non può derivare dalle videocassette o dai CD, ma è un fatto personale, che nasce dai pantaloni sporchi di fango e dalle mani immerse nella terra. Basterebbe dunque orientare le aule verso i campi; insegnare discipline con risvolti pratici nella natura, che possono essere toccati con mano dai bambini; rispondere all’esigenza di sporcarsi, bagnarsi ed esplorare. Infatti, secondo la ‹teoria della farfalla› elaborata dal meteorologo Edward Lorenz, minuscoli input all’inizio dell’evoluzione di un sistema vengono amplificati attraverso una retroazione e hanno conseguenze sull’intero sistema. Ovvero una semplice azione può causare effetti rilevanti (in riferimento alla domanda che si pone Lorenz: il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può causare un tornado in Texas?). Con ciò si intende dimostrare che “le scuole sono sistemi lineari, e piccole variabili possono causare enormi conseguenze”. Così un semplice allevamento di lombrichi a scuola, divenuti poi farfalle ha insegnato ai bambini: cosa mangiano i bruchi, come i loro escrementi concimano e cosa mangiano le farfalle (Louv, 2006, p.184). “L’esperienza al di fuori della scuola, ha il suo aspetto geografico, il suo lato artistico, letterario e storico. Tutti gli studi nascono da diversi aspetti dell’unica Terra e dell’unica vita vissuta su di essa” (Dewey 1899, cit. in Louv, 2006, p.177). 1.2.7 Le responsabilità civili Un’ultima causa riguarda “la paura di genitori, adulti, educatori di incorrere in fastidi e rischi personali e professionali, ma soprattutto risiede in disinformazione sulle regole che governano le responsabilità nell’esercizio di attività che implicano la custodia di persone minorenni. Ciò ha contribuito a determinare un atteggiamento titubante, quando non decisamente impaurito specialmente tra il personale insegnante” (Farnè e Agostini, 2014, p.31). Infatti (secondo gli artt. 15


2047, 2048 e 1218 del Codice civile), qualora un minorenne si procuri un danno o gli venga provocato da un terzo, indipendentemente dalla capacità di intendere e di volere, scatterà sempre una presunzione (legale) di colpa a carico dell’insegnante sotto la cui sorveglianza era posto il danneggiato. Difficilmente contrastabile con la prova contraria “di non aver potuto impedire il fatto” o che esso sia avvenuto per una “causa non imputabile”. La facilità con cui l’educatore può incorrere in responsabilità civili e penali, specie in questa epoca di iperprotettivismo, convince gli insegnanti a ridurre le esperienze che possono moltiplicare le occasioni di piccoli incidenti, come le uscite all’aperto, le lezioni all’esterno in prati o boschi. Nonostante ciò, è importante ricordare ai maestri di oggi che, di fronte a tali dinamiche spiacevoli, non sono lasciati soli. Secondo una norma costituzionale (art. 28 della Costituzione) gli insegnanti vengono affiancati dallo Stato quando si tratta di rispondere civilmente di danni cagionati nel loro servizio da pubblici dipendenti, estendendo la loro responsabilità sempre e automaticamente allo Stato. In aggiunta sempre per i dipendenti dello Stato, la legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 61, secondo cui davanti al tribunale il danneggiato può fare causa solo allo Stato (Ministero dell’Istruzione). Mentre per gli insegnanti privati, il corresponsabile automatico sarà il datore di lavoro (art. 2049 c.c). In questo modo il danneggiato è garantito al massimo nella sua aspettativa di risarcimento dalla presenza di un obbligato solidale (Amministrazione pubblica) e l’insegnante è garantito dal fatto che nessuno può convocarlo in Tribunale, che una colpa lieve non lo esporrà a conseguenze risarcitorie personali, nemmeno in caso di rivalsa. È dunque giunto il momento che gli educatori si assumano le loro responsabilità, così come implica l’età adulta, con la consapevolezza che impedire ai bambini di uscire all’aperto per paura di avere ripercussioni civili significa causare un grave danno educativo ai cittadini di domani.

1.3 Le ripercussioni socio-psico-fisiche ed etiche dell’allontanamento dalla natura Sono molteplici, dunque, le situazioni che hanno condotto i bambini a non percepire più la natura come occasione di gioco, svago e divertimento, ma come spazio noioso, poco stimolante e che non suscita in loro interesse. Tale allontanamento, però, sta causando gravi conseguenze sia sui bambini (incidendo sulla loro salute psico-fisica) sia sulla società e sulla natura stessa. Tra queste ho evidenziato diversi elementi. 1.3.1 Lo stato di emergenza ecologica I giovani non escono più all’esterno se non per compiere il percorso casa-scuola, scuola-casa. Non vengono più accompagnati in montagna nel weekend, perché i loro genitori sono immersi nella frenesia quotidiana, vedendo il fine settimana come un’occasione per riacquistare le energie perdute 16


durante i giorni di lavoro e non vogliono percorrere infiniti chilometri per raggiungere un angolo di natura. Inoltre i pochi polmoni verdi della città sono dominati dalla criminalità e dalla malavita. Tutti questi ostacoli e muri che si sono instaurati tra bambino e natura impediscono a quest’ultimo di creare un legame e soprattutto un sentimento di rispetto nei confronti dell’ambiente. Sono ormai abituati e assuefatti da una natura contaminata, inquinata e non sentono la necessità o il bisogno di difenderla, perché essa si presenta al bambino come un’estranea o sconosciuta. Come riporta Louv (2006, p. 130), se continuiamo con questo atteggiamento di indifferenza, boschi e riserve naturali saranno pressoché nulle nel 2108, facendo riferimento alla rapidità di diminuzione delle dimensioni della Cleveland National Forest (creata da Theodore Roosevelt nel 1908), inizialmente di un’ampiezza di 2 milioni di acri e giungendo negli ultimi anni a 427.000 acri (tra l’altro frammentati). “L’estensione e la scala dell’impresa umana sono cresciute esponenzialmente a partire dalla metà del 20° secolo, di conseguenza la natura ed i servizi che essa fornisce all’umanità sono soggetti ad un rischio crescente. Il futuro di molti esseri viventi è ora in forse. Le popolazioni delle specie vertebrati è diminuita del 58% tra il 1970 ed il 2012. La minaccia più comune per le popolazioni delle specie di animali in declino è la perdita e il degrado degli habitat. Gli esseri umani hanno già spinto il loro spazio operativo sicuro oltre il limite di sicurezza. Per mantenere la natura in tutte le sue molteplici forme e funzioni e per assicurare l’equa disponibilità delle risorse a tutti, in un pianeta con risorse limitate, una consapevolezza deve essere alla base delle strategie di sviluppo, dei modelli economici: abbiamo un solo pianeta e il suo capitale naturale è limitato”. Questo è il quadro iniziale del Report 2016 WWF che definisce una cornice situazionale molto preoccupante, che ci invita a riconoscere lo stato di crisi in cui ci stiamo muovendo e di cui sembriamo non preoccuparci. Il Report riconosce la transizione della nostra epoca da “Olocene” ad “Antropocene”. Epoca in cui il clima cambia rapidamente, gli oceani si stanno acidificando, interi biomi stanno scomparendo, il tutto ad un tasso misurabile di una sola vita umana. L’indice LPI (Logstic Performance Index) terrestre indica che le popolazioni sono diminuite complessivamente del 38% tra il 1970 ed il 2012, le popolazioni di acqua dolce si sono ridotte del 81% e quelle marine del 36%. Tali dati dimostrano che oltre la metà delle popolazioni animali mondiali sono in calo (Living Planet, Report WWF, 2016, p.8). Le principali cause possono ricondursi alle azioni compiute dall’uomo o nelle conseguenze indirette delle sue azioni (es. inquinamento, sfruttamento eccessivo delle specie). Inoltre altri dati preoccupanti riguardano la distruzione degli ecosistemi. Il Report WWF (2016, p.18) individua 9 alterazioni, prodotte dagli esseri umani, al funzionamento del sistema della terra: 1)la distruzione degli ecosistemi e la biodiversità 2)il cambiamento climatico 3)acidificazione degli oceani 4)modifiche del sistema del suolo 5)uso non sostenibile dell’acqua dolce 6)perturbazione dei 17


flussi biogeochimici (l’immissione di azoto e fosforo nella biosfera) 7)l’alterazione degli aereosol atmosferici 8)inquinamento prodotto da nuovi agenti, prodotti dell’intervento umano 9)riduzione dello strato di ozono stratosferico. La figura 7 (Living Planet, Report WWF 2016, p.17), vuole sottolineare come le attività umane e l’utilizzo delle risorse che ne è derivato, sono cresciute drasticamente. Questo picco ha fatto si che le condizioni ambientali sulle quali si basa il nostro sviluppo e la nostra crescita hanno iniziato a deteriorarsi. Fin dai primi anni ‘70, l’umanità ha richiesto più di quanto il nostro pianeta possa offrire in modo sostenibile. È possibile oltrepassare la biocapacità della Terra (es. tagliare gli alberi più velocemente di quanto ricrescano, pescare più di quanto gli oceani possano ripristinare) solo per brevi periodi. Le conseguenze di questi “sorpassi” sono molto gravi e sono già evidenti: gli habitat e le popolazioni della specie sono in declino ed il carbonio nell’atmosfera si sta accumulando. Di fronte a tale situazione critica il Report WWF sottolinea la necessità immediata di indirizzare il corso dello sviluppo socio-economico di modo che non sia in conflitto con la biosfera, preservare il capitale naturale, costruire un governo equo delle risorse, migliorare la produzione (riducendo immissione materiali di scarto), consumare in maniera saggia. Si tratta dunque dell’importanza di agire in più direzioni e in più campi per risolvere

la

drammatica troviamo. campi

situazione in

cui

Uno è

di

ci

questi

sicuramente

l’educazione, in quanto solo partendo dalla formazione dei futuri abitanti del mondo possiamo

cercare

di

far

nascere quel sentimento di amore e rispetto che tenterà di salvare in ultima istanza il mondo naturale. Si parla, dunque,

non

solo

di

formazione teorica e pratica sulla

situazione

attuale

dell’ambiente in cui viviamo, ma della creazione di una situazione nella quale i futuri cittadini ambientali possano 18


recuperare lo sguardo di fiducia e speranza verso il mondo vivente, ritornando così a difenderlo a spada tratta. “La sostenibilità e la resilienza saranno raggiunte molto più velocemente se la maggioranza della popolazione mondiale comprende il valore e le esigenze della nostra sempre più fragile terra” (Living Planet, Report 2016 WWF, p. 34). 1.3.2 Deficit di natura Un’altra rilevante conseguenza che questo distacco sta causando ai bambini di oggi è di tipo psicofisico. Il nostro fisico, infatti, non è abituato all’iperstimolazione fornita dalle tecnologie con le quali interagiamo quotidianamente e in questi anni, come mai prima, ci sta segnalando un sentimento di sofferenza che richiede meno stimolazioni così potenti, quindi più tempo passato fuori di casa e lontano dalla vita domestica che si sta completamente “elettrificando”. Tale situazione sta comportando una serie di sintomi fisici nei bambini tra cui: sensazioni di sradicamento dal mondo, difficoltà di concentrazione, stress, ansia e depressione. Louv (2006, p. 46) definisce questo fenomeno disturbo da deficit di natura. Questa espressione non costituisce una diagnosi medica esistente, ma descrive in modo chiaro una condizione che raccoglie i costi umani dell’alienazione dalla natura. Tra i sintomi di questo deficit riconosciamo: un minore utilizzo dei sensi, problemi di attenzione, debilitazione del pensiero, impressione di isolamento, un maggiore tasso di malattie fisiche ed emotive e quello che viene definito in termini clinici ADHD (deficit di attenzione e iperattività). I ragazzi affetti da quest’ultima sindrome (ADHD) sono irrequieti, hanno difficoltà nel prestare attenzione, nell’ascoltare, nel seguire indicazioni e nel concentrarsi sui compiti a loro affidati. Potrebbero essere inoltre aggressivi, impulsivi o antisociali. Spesso per trattare tale quadro clinico viene prescritto il metilflenidato (stimolante del sistema nervoso centrale) che ha effetti simili a quelli di anfetamine, metanfetamine e cocaina. Louv (2006, p. 90) riporta i dati secondo cui l’uso di questa sostanza è aumentato del 600 per cento tra il 1990 e il 1995 e il numero continua ancora a crescere. Inoltre la somministrazione di antidepressivi (secondo lo studio della Medco Health Solutions, cit. in Louv 2006, p. 54) ha superato tra il 2000 e il 2003 quella di antibiotici e i farmaci contro l’asma. L’aumento di questa diagnosi è sicuramente in parte connessa al fatto che prima era un disturbo sconosciuto al quale non si riusciva ad assegnare un nome e soprattutto al fatto che oggi si dispone di medicinali adatti al trattamento dei suoi sintomi. Ciò non esclude la possibilità secondo cui le condizioni in cui vivono i bambini di oggi stimolino questo tipo di sintomatologie. Ne è la testimonianza la ricerca condotta dal Children’s Hospital and Regional Medical Center di Seattle (cit. in Louv, 2006, p.91), secondo cui ogni ora passata davanti alla televisione dai bambini in età prescolare, aumenta del 10% la possibilità che sviluppino problemi di concentrazione e altri sintomi tipici del deficit di attenzione. Inoltre Micheal Gurian 19


psicologo dell’età infantile sostiene: “Il nostro cervello è impostato per un tipo di vita che si delineò cinquemila anni fa, ovvero per un’esistenza agricola orientata alla natura. Dal punto di vista neurologico, gli esseri umani non sono riusciti a mettersi in pari con l’ambiente troppo ricco di stimoli. Portare i bambini in mezzo alla natura può fare la differenza. Siamo arrivati a questa conclusione grazie al racconto di episodi particolarmente significativi , ma non siamo ancora in grado di dimostrarne la validità” (Louv, 2006, p.92). Questo pensiero riprende la teoria elaborata da Stephen e Rachel Kaplan (psicologi ambientali dell’Università del Michigan) ispirandosi al filosofo William James. Secondo la ricerca dei Kaplan l’ambiente naturale viene considerato rigenerativo, ovvero comporta un senso di pace e capacità di pensare in maniera più chiara. I due psicologi spiegarono questo fenomeno dimostrando che le attività connesse alle tecnologie (che occupano la maggior parte delle giornate dei bambini di oggi) implicano una tipologia di attenzione definita “diretta” (ovvero attenzione volontaria regolata da processi cognitivi e di controllo). Per generare questo tipo di attenzione il nostro corpo attua un notevole sforzo poiché è necessario evitare comportamenti inappropriati, eliminare distrazioni, ritardando emozioni. Dopo un certo periodo entro il quale manteniamo un’attenzione focalizzata iniziamo a soffrire di “affaticamento da attenzione diretta” che si manifesta attraverso impulsività, agitazione, irritazione e incapacità di concentrazione. Come gli autori riportano nella rivista “Monitor on Psycology”(cit. in Louv, 2006, p.93): “possiamo fare riposare l’attenzione diretta attraverso un ambiente in cui l’attenzione è automatica ovvero un ambiente in grado di esercitare un certo grado di fascinazione”. È proprio nella natura che è possibile trovare un alto livello di “fascinazione” che è in grado di rilassare l’attenzione diretta, e aumentare il livello di attenzione attraverso la stimolazione diffusa e non controllata di più sensi. Ne sono esempi quelli riportati da genitori di figli con disturbo ADHD che riconoscono un positivo cambiamento nel comportamento del proprio figlio all’aperto. L’aumento del tempo passato in mezzo alla natura, combinato con una riduzione delle ore trascorse davanti alla televisione e con giochi e ambienti educativi più stimolanti, può ridurre il deficit di attenzione per i più piccoli e aumentare la loro felicità. Terapia ampiamente accessibile, non produce effetti collaterali e non è invasiva. Così come il disturbo da deficit della natura può essere sedato con il contatto con la natura, allo stesso modo può essere che una serie di sintomi vengano aggravati dal mancato contatto con l’ambiente esterno e dallo spazio artificiale in cui i bambini sono costretti a vivere. Come afferma Louv (2006, p.100) il contatto con la natura è importante per i più piccoli quanto una buona alimentazione e un sonno adeguato. Le tendenze attuali che puntano a consentire ai ragazzi un più facile accesso alla natura hanno bisogno di essere indirizzate.

20


1.3.3 Impoverimento dei sensi Come appena illustrato, facendo riferimento a dati statistici e contributi psicologici, l’essere umano ha bisogno della natura per una crescita completa e integrale, che implichi lo sviluppo ottimale di tutti i sensi, che favorisca l’apprendimento diretto e la nascita della creatività. Oggi, la vita dei sensi è completamente elettrificata da computer, televisioni e da tutti i prodotti tecnologici che hanno contribuito in parte ad attirare i giovani a chiudersi in casa. Basti pensare all’invenzione di ventilatori e condizionatori, sono sicuramente tecnologie che riteniamo essenziali e che non scambieremmo mai con i vecchi metodi usati un tempo. Ma questo mondo elettronico inibisce quelle occasioni di aprire le finestre, ascoltare i rumori della natura (in quanto nella maggior parte delle ore della nostra giornata abbiamo le cuffiette dell’ipod nelle orecchie) oppure anche una semplice corsa all’aperto per mantenere il nostro fisico allenato (in quanto possiamo farlo comodamente sul tapis roulant di casa). Viviamo in un mondo saturato dai media. I ragazzi di oggi hanno una loro cameretta in cui probabilmente possiedono un proprio computer, una tv via cavo, la Play station, il Game boy, il Nintendo ds e molto altro. Una volta usciti di casa si ritrovano in una città di cartelloni luminosi, musiche dei negozi che si propagano per chilometri. “Trascendono dunque il luogo fisico ed estendono i loro apparati sensoriali nella direzione prescelta. Il mondo sensoriale esiste per intrattenere e in un mondo che trasmette 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 non ci sono scuse plausibili per i tempi morti. Gli individui non solo utilizzano gli stessi media, ma parlano di quello che hanno visto e sentito attraverso di essi e ne pianificano nuove generazioni tecnologiche; condividono la maggior parte delle esperienze che i media mettono a loro disposizione; pregustano ciò che sperano di trovarvi, impazienti di scoprire sorprese non completamente inaspettate; prendono delle misure per incrementarne l’utilizzo; trasferiscono nelle interazioni quotidiane quello che i media trasmettono loro attraverso le parole, le emozioni, i sentimenti e le immagini. I media sono portatori dei simboli che condividono e, allo stesso tempo, dei simboli che costantemente mettono in discussione”(Gitlin, 2009, articolo “Media e società contemporanea”). Louv (2006, p.22) cita uno spot pubblicitario, trasmesso qualche hanno fa, che mostra un SUV che sfreccia lungo un torrente montano, mentre i due bambini seduti sui sedili posteriori guardano un film sullo schermo di cui è dotato il veicolo, senza prestare benché minima attenzione al paesaggio e al corso d’acqua al di là dei finestrini. Tale attitudine si può definire rappresentativa dell’effetto devastante che sta avendo il distacco dalla natura sui bambini di oggi. Viviamo, dunque, in una società che preferisce la comodità all’avventura, la simulazione alla realtà e l’esperienza indiretta che non implichi vedere, sentire, assaggiare, odorare e ascoltare. Non siamo più capaci di conoscere ciò che ci circonda. Quello che devono fare gli educatori e adulti di oggi è quindi quello di 21


riavvicinare i bambini alla natura, di stimolarli ad alzare la testa dal videogioco ed esplorare il mondo che si trova al di là del finestrino o della porta, prima di divenire noi stessi macchine e prima di farci alienare completamente da questa società tecnologica. 1.3.4 Insicurezza Un’altra

grave

conseguenza

consiste

nell’effetto

dell’atteggiamento

iperprotettivo

dei

genitori/insegnanti nei confronti dei propri figli che giocano all’aperto. La paura che essi si facciano male, che esplorino spazi sconosciuti, in cui non sono sotto il pieno controllo materno impedisce loro di sperimentarsi, di scoprire i propri limiti e di imparare a fare da solo. Tale atteggiamento materno porta spesso i genitori a ridurre la proposta di uscire all’esterno, per comodità e per restare più sereni. Questo impedisce al bambino quindi di scoprire il mondo esterno che lo circonda e soprattutto causa un forte sentimento di inadeguatezza, in quanto si percepisce come incapace di riuscire ad agire in modo autonomo all’esterno. Ma se non lasciamo mai provare i bambini, essi non impareranno ad agire in modo autonomo creando così una forte dipendenza tra bambino e genitore. Debora Churchman in un articolo di American Forests (Louv, 2006, p. 150) afferma “il vostro compito non è affliggerli con un’altra buon opportunità, ma avvicinarli a tutto ciò che è bello nel mondo in cui viviamo”. Ne deriva l’importanza di riproporre tutte quelle attività che i genitori di oggi facevano nella loro infanzia: lanciare sassi nel fiume, passeggiare sotto la pioggia, osservare gli insetti che si radunano alla luce della veranda la sera, tuffarsi nei fiori o fare giardinaggio. Tutto questo può essere svolto infondendo al bambino fiducia nelle sue capacità e nella sua abilità di riuscire anche da solo. È necessario, dunque, partire da sé, dalla consapevolezza che la natura può essere un pericolo, ma innanzitutto una risorsa e dobbiamo riscoprirla e valorizzarla. In quanto i pantaloni si possono lavare, le mani si possono pulire, ma il danno educativo che deriva da un’impossibilità di esplorare è irreparabile. 1.3.5 Noia intorpidita Come già citata precedentemente, la noia intorpidita è quello stato inoperativo e di ozio, sensazione di insoddisfazione che non spinge il bambino verso un problem solving creativo che lo motiva ad uscire da questo stato negativo. Piuttosto consiste nel permanere in questo stato o ricercare sollievo in situazioni preordinate come quelle dei videogiochi e videocassette che rispondono al bisogno del bambino odierno di iperstimolazione. Si tratta dunque della perdita dello stato di stupore ed entusiasmo. Il nostro compito è dunque quello di riscoprire la noia costruttiva che porta il bambino, che non sa come passare il pomeriggio, a costruire una tenda con le coperte di casa a progettare una zattera con i rami caduti dalla potatura. “Dobbiamo vivere la vita con profondo stupore, tutto è 22


fenomenale e tutto è incredibile. (Abrham Joshua Heschel, cit. in Louv 2006, p.244). “Hescel incoraggiava i suoi studenti ad alzarsi il mattino e guardare il mondo senza dare nulla per scontato, senza trattare la vita con indifferenza. Stupendosi.” (Louv 2006, p.244) 1.3.6 La natura virtuale Un ultimo punto critico da trattare come conseguenza di questo allontanamento è una modificazione del modo di vivere la natura. Come già ribadito, il tempo passato in natura è diminuito e i pochi momenti che sono rimasti vengono passati in realtà naturali “artificializzate” ovvero parchi giochi con terreni anti infortunio, insegne che impediscono di arrampicarsi sugli alberi, barriere che impediscono il contatto con l’acqua del torrente. Il “tour da dietro il finestrino” sta sostituendo ogni forma di esperienza nella natura. Realtà ancora più preoccupante è quella riportata da Louv (2006, p. 132) secondo cui “al National Scouting Museum di Irving, Texas, si utilizza la realtà virtuale per simulare la scalata di una montagna, la discesa in kayak di un fiume e salvataggi in mountain bike”. Cercando così di essere alla moda e vendibili. Tale virtualizzazione della natura e soprattutto azione in una natura artificiale comporta una perdita del valore dell’esperienza. I genitori spingono verso queste realtà in quanto più sicure. Non è più semplice essere verdi, non è più facile trovare spazi incontaminati in cui trovare respiro dalla realtà quotidiana. È dunque importante impiegare quei pochi chilometri in più per raggiungere quella natura incontaminata in grado di risvegliare i nostri sensi e “ritrovare quello che ci unisce con il resto dell’umanità: non internet ma gli oceani e i prati” (Louv, 2006 p. 173).

23


2 Outdoor Education: la risposta alla necessità di una rivoluzione verde 2.1 La pratica educativa all’aperto “Troverai più cose nei boschi che nei libri. Gli alberi e i sassi ti insegneranno cose che nessun uomo ti potrà dire” Bernard di Clairvaux La situazione in cui ci troviamo, è ormai critica. Nel primo capitolo sono state prese in analisi le attitudini e gli interessi dei bambini di oggi e, di conseguenza, le forti ripercussioni che queste tendenze all’isolamento e alla reclusione stanno comportando alla società e al bambino stesso. “In questo senso sembra urgente e necessario, una sorta di ribaltamento culturale che induce alcune riflessioni e domande: uscire a giocare sotto la pioggia è per pochi? Per i pochi che credono nel bisogno vitale di contatto diretto con le forme dei boschi? Giocare all’interno, magari in uno spazio sezione ristretto nel quale si fa attività, si pranza e si dorme, è per tanti?” (Malavasi, 2013, p. 10). La risposta dell’Outdoor Education è no. Questo approccio ribalta l’organizzazione tradizionale delle strutture educative, andando verso una nuova dimensione. “L’Outdoor Education (OE) è la modalità con cui, a livello internazionale, si definiscono le teorie e pratiche educative (scolastiche o extrascolastiche) connotate dalla centralità che viene riconosciuta all’ambiente esterno come luogo privilegiato di formazione” (Farnè e Agostini, 2014, p. 10). Educazione in rapporto con la natura. Si tratta di uscire all’esterno indipendentemente dalle condizioni climatiche, oppure cogliere il giorno di pioggia, neve o vento per imparare a conoscerli nella pratica. In quanto, qualsiasi elemento naturale permette di avviare in modo spontaneo ricerche e sperimentazioni, fondamentali per i bambini. Infatti “Il giardino, il bosco e il prato non sono mai uguali a loro stessi, si modificano, cambiano forme, colori, sensazioni e profumi senza perdere la loro identità” (Malavasi, 2013, p. 21) divenendo così un ricco e variabile contesto di crescita. Si tende, dunque a realizzare un approccio, il cui metodo trova forma nell’albero dell’OE, tradotto e adottato da Priest nel 1986 (Farnè e Agostini, 2014, p. 55). Ovvero, come possiamo osservare nella Figura 1, l’Outdoor Education è la miscelazione di un’educazione all’avventura e un approccio ambientale, in un programma di attività o esperienze che riconosce le sue radici nello sviluppo integrale del bambino, stimolandolo da un punto di vista sensoriale-motorio, cognitivo ed emotivo. Attraverso l'esposizione all'ambiente esterno, gli individui conoscono la loro relazione con 24


l'ambiente naturale, la relazione tra i

vari

concetti

dell'ecosistema

naturale e il rapporto personale con gli altri e con il loro sé interiore. Relazioni,

che

vengono

rappresentate da Priest nella chioma dell’albero, come prodotto e frutto dell’esperienza diretta implicata. Si tratta

inoltre

di

promuovere

l’immaginazione, la meraviglia, il problem solving, la fiducia in sé ed empatia senza definire un lasso temporale entro cui apprendere e senza farle rientrare all’interno di un campo disciplinare specifico. Esperienze che producono bambini e ricercatori, in quanto si democratizza la conoscenza, predisponendo un apprendimento per sperimentazione, che dà valore al vuoto naturale, ovvero spazio aperto e libero, che dà luogo ad attraversamenti personali (Guerra, 2015, p. 46). Significa anche riportare innumerevoli benefici a livello fisico come “il senso di benessere psichico e maggiore stima di sè, miglioramento del sonno notturno, progresso della mineralizzazione e della densità ossea, riduzione del grasso corporeo, riduzione dei fattori di rischio cardiometabolici, prevenzione delle malattie cronico-degenerative” (Farnè e Agostini, 2014, p. 28). I benefici dell’OE sono stati dimostrati durante l’indagine su 160 bambini, condotta nel progetto in alcune scuole di infanzia di Bertinoro, Forlinpopoli e Modena (Indagine riportata in Outdoor Education l’educazione si-cura all’aperto, Farnè e Agostini, 2014, pp.104-111). Sono state coinvolte le sezioni relative alle fasce d’età 1-2 anni e 2-3 anni. Sono stati poi organizzati due gruppi: il gruppo sperimentale (costituito da bambini le cui insegnanti hanno una formazione consolidata all’OE) e il gruppo di controllo (le cui educatrici non hanno una formazione specifica OE). In ciascuna scuola, insegnanti ed educatori hanno compilato nel periodo da Gennaio a Giugno 2012 i Diari delle uscite (diari schematici che raccolgono informazioni relative alle uscite all’aperto) e le tavole di sviluppo di Kuno Beller (strumento osservativo caratterizzato da una lista di comportamenti, per descrivere il livello di sviluppo del bambino). Da tale indagine nella sezione 1-2 sono emerse significative differenze tra i due gruppi, soprattutto in 3 aree: consapevolezza dell’ambiente circostante, sviluppo cognitivo, motricità fine. Mostrando nella 25


rilevazione di Gennaio livelli pressoché simili, mentre un incremento significativo dello sviluppo del gruppo OE nelle rilevazioni di Giugno. Lo stesso è stato dimostrato nella sezione 2-3 anni, con divario ancora più ampio, in quanto le aree coinvolte in questo miglioramento sono molteplici: dominio delle funzioni del corpo, consapevolezza dell’ambiente circostante, sviluppo sociale ed emotivo, gioco, sviluppo cognitivo, motricità fine. Tali risultati dimostrano, dunque, i vantaggi dell’OE sullo sviluppo infantile. Come è rappresentato nelle figure 14-19, sottostanti (Grafici di indagine di Outdoor Education l’educazione si-cura all’aperto, Farnè e Agostini, 2014, p.109).

“Lo sviluppo del gruppo OE è risultato quindi molto positivo, in quanto diretto da un orientamento dell’azione educativa differente che riconosce l’ambiente esterno come setting idoneo e privilegiato, offrendo così, maggiori occasioni di apprendimento” (Farnè e Agostini, 2014, p.110). Tali dati invitano non solo ad investire in un programma di Outdoor Education, ma anche nella formazione del personale con questo tipo di indirizzo. Questa filosofia pedagogica, nella pratica, propone attività all’aria aperta plurisensoriali, promuovendo soprattutto quelli che sono gli interessi spontanei del bambino, ovvero le domande che nascono nel guardare un’ape su un fiore o vedendo 26


il processo di crescita di un seme che diventa germoglio e infine fiore, rendendo i quesiti occasione di apprendimento per l’intero gruppo. Approccio che predispone sia attività strutturate all’esterno, sia attività che spingono il bambino in autonomia a vivere la natura. Le attività che il singolo o il gruppo possono realizzare all’esterno sono praticamente infinite: “esplorazione, osservazione (in genere occupata da una serie infinita di perché), raccolta e manipolazione (raccolta foglie secche, frutti, semi caduti, rami), equilibrio (camminare su suoli sconnessi), provare rumori e sensazioni (conoscere rumore del vento, delle foglie, del canto degli uccelli)” (Durastanti, De Santis, Orefice, Paolini, Rizzuto, 2016, p.36), ma anche conoscere l’iter produttivo di ciò che mangiamo e il percorso di crescita e di cambiamento di tutto ciò che ci circonda, così come il valore della sostenibilità e del riciclo. In sintesi i punti nodali della pedagogia all’aperto sono: salute e motricità, vivere il ritmo delle stagioni e fenomeni naturali, attivazione della percezione sensoriale attraverso esperienze primordiali, apprendimento globale e gioco libero, educazione ambientale, conoscere i limiti della propria corporeità, promuovere l’autostima, sperimentare lo scorrere del tempo e il silenzio, apprezzamento della convivenza e atteggiamento sociale (Schenetti e Salvaterra, Rossini, 2015, p.47).

2.2 Orientamenti teorici alla base dell’educazione ambientale ed esperienziale L’ambiente ha sempre avuto un posto di rilievo in campo educativo, così come l’apprendimento esperienziale. L’importanza del learning by doing a contatto con la natura, implicato nell’outdoor education, è riscontrabile nel pensiero di grandi teorici che hanno costruito le basi della pedagogia. 2.2.1 Jean-Jacques Rosseau: l’educazione naturale In ordine cronologico, il primo a riconoscere il valore pedagogico della natura è stato Jean-Jacques Rousseau (1712-1778). Il libro “Emilio” è il cuore della pedagogia rousseauiana, ed è volto ad “indicare una via, seguendo la quale si possa conservare la bontà naturale dell’uomo e restare indenni dalla corruzione operata dalla società” (Lanfranchi e Prelezzo, 2008, p.41). Ovvero, è propenso alla definizione di un’educazione che si realizza al meglio quando avviene nella natura, e che trova negli elementi di quest’ultima oggetti di studio e di ricerche. Inoltre l’autore parla di un’educazione naturale, ovvero “corrispondente a ritmi, domande, modi del procedere individuali. Un’educazione che si realizza spontaneamente nell’incontro proficuo e suggestivo tra ambiente e bambini” (Guerra, 2015, p. 41). I quali divengono unici protagonisti dell’azione educativa, in quanto il fanciullo nei primi anni di vita è attento soprattutto a ciò che colpisce i suoi sensi. Le sensazioni divengono dunque primo materiale per le sue conoscenze. L’uomo che ne deriva, 27


secondo l’autore, è un uomo autentico e in equilibrio tra desideri e bisogni, padrone di se stesso, privo di abitudini che sa superare le sue paure. “Voglio che si abitui a vedere oggetti nuovi, animali brutti e strani, ma gradualmente e da lontano, finché ci abbia fatto l’occhio e a forza di vederli toccare dagli altri, li tocchi anche lui” (Rosseau, 1762, p. 47). Differente dall’uomo di società, i cui desideri sovrastano le forze necessarie al soddisfacimento dei bisogni stessi. Di particolare importanza, a questo proposito, diviene anche il dibattito tra natura e cultura da lui introdotto. “Tutto ciò che penetra nell’intendimento umano vi giunge attraverso i sensi, la prima ragione dell’uomo è una ragione sensitiva. Sostituire tutto ciò con i libri, non significa insegnare a ragionare, ma insegnare a servirci della ragione degli altri. Per imparare a pensare occorre esercitare le nostre membra che sono gli strumenti della nostra intelligenza e per trarre tutto il partito possibile da questi strumenti occorre che il corpo che li fornisce sia sano e robusto” (Rosseau, 1762, pp. 126127). Con queste parole l’autore indica l’importanza di un’educazione basata sull’esperienza e sull’imparare a fare da solo. “Inviate i vostri bambini a rigenerarsi, per così dire, e a recuperare in mezzo ai campi il vigore che si perde nell’aria malsana dei luoghi troppo popolati” (Rosseau, 1762, p. 41). 2.2.2 Johann Heinrich Pestallozzi: la formazione integrale del fanciullo La lezione dell’Emilio di Rosseau viene recepita nella mediazione didattica di Pestallozzi (17461827), specialmente per quanto riguarda l’educazione alla vita. Non basata su una serie di ammonizioni e di correzioni in quanto, “l’educazione consiste nel preparare l’essere umano all’uso libero e integrale di tutte le abilità, e nell’indirizzare tali facoltà al perfezionamento integrale dell’essere umano” (Pestallozzi, 1819 p. 145, cit. in Lanfranchi e Prellezo, 2008, p.82). Anche secondo questo autore, dunque, l’educazione deve seguire le leggi della natura: comprendendo l’esercizio di attività conoscitiva (mente), del sentimento (cuore) e dell’abilità manuale (mano). “Circondare la gioventù di idee sensibili, vive e chiare, in una gradazione misurata e lenta, dare all’attività spontanea del fanciullo tutto lo slancio possibile, formare in lui l’uomo. Ecco le regole fondamentali di questo sistema di educazione conosciuto in Europa sotto il nome di Metodo Pestallozzi” (Lanfranchi e Prellezo, 2008, p.84). Ancora una volta, si teorizza un’educazione completa del soggetto, che non può essere realizzata in un aula, imprigionati tra il banco e la sedia, ma una conoscenza teorica che coinvolga tutti i sensi. 2.2.3 Friedrich Fröbel: i kindergarten Fröbel (1782-1852) fu colui che “individuò nell’ambiente esterno uno dei luoghi privilegiati di apprendimento a tal punto a denominare “Kindergarten” (giardini di infanzia) il suo luogo di 28


istruzione-educazione della fascia tre-sei anni all’interno di una visione romantica della natura” (Farnè e Agostini, 2014, p. 46). “La scelta del nome “giardini di infanzia” mette in risalto due aspetti caratteristici: la libera e spontanea crescita (fiorire) dei bambini nell’ambiente naturale e allo stesso tempo la presenza dell’educatrice (giardiniera) capace di guidare i piccoli nel loro sviluppo mediante l’uso intelligente di ‹doni› e ‹occupazioni›” (Lanfranchi e Prellezo, 2008, p.120). Nel giardino l’attività predominante è il fare e quindi il gioco, considerato come una spontanea attività creatrice e pratica fondamentale per lo sviluppo. “È particolarmente importante in quest’età lavorare il proprio giardino, lavorarlo in vista dei prodotti che esso darà. Perché così l’uomo vede per la prima volta, in modo organico, i frutti del suo lavoro. La vita del fanciullo nella natura, con il suo desiderio di conoscerla, con le sue domande rispetto ad essa, che lo spingono ad osservare piante e fiori a lungo, trova così una molteplice completa soddisfazione e pare quasi che la natura stessa sia favorevole a questo impulso e a questa attività del fanciullo, benedicendola in modo speciale con un fortunato successo” (Fröbel, 1826, pp.90-91). “Nei kindergarten, quindi, i bambini erano invitati sia individualmente che in gruppo a prendersi cura del giardino, coltivando piante e fiori e seguendone il ciclo vitale. In tal modo ricevevano un insegnamento scientifico, intellettuale e spirituale, imparando a curare gli altri, risvegliare in ciascuno la coscienza profonda della connessione con e tra le cose della natura” (Guerra, 2015, p.52). L’autore predispone attività all’aria aperta come estremamente funzionali per lo sviluppo e la crescita del bambino. 2.2.4 Giuseppina Pizzigoni: il vero, la natura e l’esperienza Nell’asilo della pedagogista italiana Pizzigoni (1870-1947) tra gli obbiettivi dichiarati nel programma, che prendeva vita all’aperto, era previsto che il bambino prendesse famigliarità con acqua, sole e animali oltre che la contemplazione del cielo, dei fiori, degli insetti. Le attività all’esterno divennero fondamentali per la pedagogista, infatti nell’organizzazione della struttura sia di scuola di infanzia sia di scuole primarie destinava sempre una parte dello spazio esterno ad appezzamenti e coltivazioni. Il metodo Pizzigoni, inoltre, richiama l’apprendimento per induzione dei bambini. “Scopo: il vero, tempio: la natura, metodo: l’esperienza. L’applicazione del metodo sperimentale non si circoscrive a una lezione, ma tutte le penetra e le collega per l’infinita rete di riferimenti con i quali un fatto è allacciato a molti altri, cosicché i veri poteri mentali sono esercitati simultaneamente in una ginnastica tanto piacevole quanto fruttuosa” (Pizzigoni, 1921, cit. in Guerra, 2015, p.52). Si tratta di educare il bambino nella sua totalità e soprattutto a contatto con la natura, in quanto in grado di stimolare tutte le dimensioni dello stesso e combattere il verbalismo scolastico.

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2.2.5 John Dewey: l’apprendimento esperienziale La teoria del learning by doing trova piena espressione nell’attivismo pedagogico di Dewey (18591952). Infatti, secondo l’autore l’esperienza costituisce il punto di partenza dal quale derivano due conclusioni essenziali: “l’esperienza umana è prima di tutto cosa attiva, non principalmente conoscitiva, inoltre l’esperienza è valida e fertile nella misura in cui conduce a percepire le connessioni tra attività e le conseguenze che ne derivano” (Lanfranchi e Prellezo, 2008, p. 387). Respinge, dunque, un’idea di educando come “spettatore” per accogliere il pensiero di un alunno attivo che sperimenta e conquista lui stesso le conoscenze. È attraverso la pratica che l’individuo impara ed apprende, assumendo il corpo come mezzo per eccellenza di apprendimento. L’attenzione all’ambiente esterno, invece, nasce in Dewey dall’occhio critico con cui guarda i sistemi educativi e scolastici tradizionali. L’autore individuava nell’esperienza all’esterno una articolazione e una simultaneità di elementi, arrivando a sostenere che la Terra, nei suoi molteplici elementi sia all’origine di tutti gli studi, ma prima di tutto vi riscontrava la possibilità di riportare i bambini a contatto con un’esperienza diretta e primaria (Guerra, 2015, p.45). “È tanto della natura quanto nella natura. Non è l’esperienza che viene esperita, ma la natura: pietre, piante, alberi, animali, malattie, salute, temperatura, elettricità. Cose che interagiscono in certi modi sono l’esperienza” (Dewey, 1929, p.21, cit. in da Guerra, 2015, p.45). 2.2.6 Le sorelle Agazzi: la pedagogia dell’esercizio Le sorelle Rosa (1866-1951) e Carolina (1870-1945) Agazzi riconoscono il punto di partenza di un percorso educativo nell’esercizio fisico ovvero la vita pratica e concreta. Tutte le attività implicate nella vita quotidiana sono considerate dalle pedagogiste esercizio per la mente e per il corpo (es. lavarsi le mani, imboccarsi). È ancora una volta nello spazio esterno che si riconosce il luogo più utile per stimolare il bambino e promuovere attività di esercizio. “Il giardinaggio non è quell’esercizio che generalmente si risolve in sporadici episodi di stagione: invece è fondamento e condizione educativa per cui, l’alunno, portato ad espandere la propria gioiosa attività muscolare, va assorbendo sostanza vitale nel sangue, mentre apprende a chinare i sensi e lo spirito verso la natura” (Agazzi, 1922, p.37, cit. in da Lanfranchi e Prellezo, 2008, p.343). L’attività all’aperto delle Agazzi, realizzata in modo particolare nella creazione e cura dell’orto consisteva in attività di vario genere: dall’apprendere le basi della botanica, all’apprendere i metodi di cura delle varie piante e il valore del tempo. “Nulla di più grazioso di un maggiore che insegna al piccolo a innaffiare, senza bagnarsi; a insegnargli a pronunciare il nome di un fiore” (Agazzi, 1929, p.45, cit. in Lanfranchi e Prellezo, 2008, p.344).

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2.2.7 Maria Montessori: la natura nell’educazione Alla scienziata italiana Maria Montessori (1870-1952) va riconosciuto il merito di aver individuato nei suoi scritti il legame tra infanzia e natura intuendone le molteplici potenzialità educative. Infatti “nella sua opera del 1909 dedica un intero capitolo a La natura nell’educazione considerandola un elemento fondamentale nelle realtà scolastiche, riproponendolo poi nel testo La scoperta del bambino (1950)” (Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p.68). Quella della Montessori, è anche una forte critica alla dimensione sociale, in quanto induce gli esseri umani a vivere restrizioni, limitazioni e soprattutto eccessive cure che impediscono al bambino l’esercizio delle sue attività. “Non basta introdurre l’igiene infantile, l’educazione fisica, una maggiore esposizione del bambino all’aria libera, perché il fatto più importante risiede proprio nel liberare il fanciullo dai legami che lo isolano nella vita artificiale, creata dalla convivenza cittadina” (Montessori, 1909, p. 86, cit. in Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p. 69). In quanto, già nel primi del Novecento, l’autrice riconosce una riduzione del contatto con la natura da parte dei bambini. Quel divario che è andato sempre ad ingrandirsi nel corso degli anni. La scienziata, identifica quindi nel ruolo dell’educatrice il compito fondamentale di ricostruire un legame positivo con la natura. Nella “casa dei bambini” era presente un giardino dove i piccoli potevano giocare sia impegnarsi in esperienze di cura, condurre osservazioni sul campo, riflettere e formulare teorie. “Quello montessoriano non è un giardino tradizionale. È concepito, idealmente e architettonicamente, per essere acquisito a livello psicologico e spirituale dalla mente del bambino, attraverso le esperienze realizzate al suo interno” (Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p.71). Gli arredi della Montessori prevedono dunque una serie di strumenti scientifici che includono: acquari, terrari, tavoli della natura per imparare a toccare, annusare, percepire. Esperienze che vanno a creare un sentimento di rispetto, curiosità verso la natura. 2.2.8 Adolphe Ferrière: la scuola attiva Ferrière (1879-1960) rilanciò l’espressione “Scuola attiva” la cui prima indicazione era quella di creare la struttura in campagna, nella natura libera. “Stanley Hall ha detto molto bene: perché il bambino divenga un buon essere civile, deve essere stato prima di tutto un buon selvaggio. Gli allievi sono incoraggiati a vivere all’aria aperta, a salire sugli alberi, a costruirvi delle capanne primitive, a coltivare un giardinetto ed allevare animali” (Ferrière, 1952, pp.44-45, cit. in Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p.71). Muove dunque una forte critica alle scuole tradizionali che mancavano soprattutto nella predisposizione di un ridotto contatto con la natura. L’autore propone, dunque, di indurre i bambini a fare escursioni, a dormire in tenda e a cucinarsi in modo autonomo affinché ne guadagnino un insegnamento per quanto riguarda l’igiene fisica, ma soprattutto quella 31


morale. “La scuola nuova è situata in campagna, essendo essa l’ambiente naturale del fanciullo. L’influenza della natura, la possibilità che essa offre di abbandonarsi ai trastulli dei primitivi, i lavori nei campi che essa permette di compiere, ne fanno il miglior coadiuvante della cultura fisica e dell’educazione morale (Chistolini, 2016, p.19). 2.2.9 Howard Gardner: l’intelligenza naturalistica Un ultimo grande pensatore che pone le basi di un’educazione all’aperto è Gardner (1943). Conosciuto per la elaborazione della teoria delle intelligenze multiple, nel 1999 individuò l’ottava intelligenza (oltre le sette, precedentemente teorizzate): naturalistica. Si tratta di un’intelligenza presente in ognuno di noi, sebbene con intensità differenti, che consiste in capacità sensoriali acute, passione per attività all’aperto, riconoscimento di schemi dell’ambiente circostante e classificazione degli elementi naturali, interesse e cura delle piante e degli animali, tendenza a collezionare oggetti naturali e la preoccupazione per l’ambiente, quindi una propensione ad apprendere con facilità ciò che riguarda il mondo naturale (Guerra, 2015, p.42). Ne deriva l’importanza di tutelare e promuovere lo sviluppo di questa intelligenza attraverso un rapporto costante dei bambini con il mondo della natura.

2.3 Storia e radici delle strutture che adottano l’approccio outdoor L’idea di imboccare la porta, con un buon equipaggiamento, e vivere la natura in tutte la stagioni dell’anno, si è sviluppata negli anni ’50 del Novecento nei paesi nordici. La prima struttura che adottò questo approccio fu una scuola di infanzia ideata e creata da Ella Flatau a Søllerød, in Danimarca. “Nella sua vita quotidiana Ella Flatau passava molto tempo a giocare con i propri quattro figli e quelli dei vicini, all’aria aperta, esplorando e osservando il bosco dietro casa e suscitando con tali attività interesse e curiosità di altri genitori” (Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p. 29). Grazie all’interesse di molti, la signora Flatau creò il primo modello di scuola Outdoor chiamato in danese: Skovbørnehave. Questa prima esperienza si dimostrò così positiva, soprattutto osservando i benefici che ne traevano i bambini, che fu guida della nuova corrente pedagogica. “Nel 2000 in Danimarca si possono contare più di 70 Skovbørnehave” (Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p. 30). Nel 1957 Gösta Frohm avvia il primo Skogmulle School in Svezia per bambini tra i cinque e i sei anni, con una semplice filosofia alla base “if you can help children to love nature, they will take care of nature, because you cherish things you love” (Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p.31). Inoltre nel 1986 due fondatrici svedesi (Siw Linde e Susanne Drougge) iniziarono a organizzare 32


corsi di formazione per consentire a chiunque di apprendere appieno l’approccio e aprire ulteriori strutture. In Norvegia, tutte le scuole adottano l’approccio “Friluftsliv” ovvero “Free air living”, in quanto attraverso esso intendono promuovere un cambiamento nel modo di pensare il proprio stile di vita, con obbiettivo la ri-identificazione con la natura. Negli anni ’90 l’idea di scuole nel bosco (Waldkindergarten in tedesco) fu esportata anche in Germania, quando Kerstin Jebsen e Petra Jäger fondarono la prima, nel 1993 a Flensburg. Riscontrando un picco di fondazioni tra il 1995 e il 1997. Nonostante si possano individuare i paesi scandinavi come promotori dell’approccio, oggi si registrano strutture di questo tipo in quasi tutta Europa: con ampia diffusione specie in Austria e Regno Unito. Inoltre in Austria a fianco alle istituzioni educative vengono avanzate ulteriori proposte che adottano l’educazione ambientale attraverso visite guidate, corsi di formazione per educatori e corsi per conoscere piante e animali. Nel Regno Unito, si sviluppa a metà degli anni ’90 basandosi sempre sull’idea maturata in Danimarca, adattandola però alla cultura inglese. “Già nel 2006 si stimava che esistessero circa 100 scuole in Inghilterra, 20 in Galles e 20 in Scozia” (Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p.36). In Italia, si è sviluppato sempre in modo più crescente l’interesse a recuperare il rapporto bambinonatura. Nonostante le iniziative a contatto con l’ambiente siano state diverse nel corso degli anni, l’apertura della prima “Scuola nel bosco” si è realizzata nel 2014 ad Ostia. Si tratta di un asilo residenziale ispirato alla pedagogia del bosco per i bambini da 2 a 6 anni. Seguono poi, l’apertura di una serie di strutture come l’Asilo nel bosco di Pomino (FI) nel 2010 per bambini da 2 a 5 anni, Il Bosco Verde e l’asilo nido Betlem a Castello Cabiaglio (VA) gestiti da un’associazione di genitori, La Scuola nel bosco di Trento aperta nel 2006 con proposte di esperienze residenziali. A Pavia, nasce nel 1999 l’Associazione Amici dei boschi che si occupa di educazione e animazione naturalistica, esperienze che permettono di definire spazi e tempi da dedicare alla natura e al contatto con essa. Come l’iniziativa “Educazione alla sostenibilità” attiva in Emilia Romagna da una trentina di anni. Tale proposta è volta a predisporre momenti anche per le famiglie di contatto con il territorio offrendo occasioni didattiche, settimane verdi e centri estivi. Un esempio di questa iniziativa è “La fondazione Villa Ghigi” a Bologna che organizza dal 2011 settimane nel bosco per la scuola di infanzia, sabati mattina per bambini e adulti e centri estivi. “Agrinidi e Agriasili si stanno lentamente affermando, così come fattorie didattiche e altre iniziative che portano i contadini ad aprirsi con l’infanzia in un’ottica di educazione ambientale” (Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p.41). Nel 2016 ne sono nati ad Arona (NO), Belluno, Bassano del Grappa (VI), Modena, Otranto (LE), Bronte (CT). 33


La diffusione delle strutture che adottano l’Outdoor education è, quindi, rapida e estremamente positiva. Le premesse e il loro funzionamento variano da Paese a Paese soprattutto tenendo conto dei valori e delle richieste dei genitori. Ingrid Miklitz (2001) differenzia le strutture in due macrocategorie: scuola nel bosco classica e scuola nel bosco integrata. La prima rappresenta una tipologia di organizzazione molto diffusa in Germania, che consiste in una tipologia di scuola in cui trascorre l’intera mattinata all’aperto, quindi che non dispone di una struttura specifica ma piuttosto di un rifugio solo per situazioni climatiche estreme. La scuola nel bosco integrata, invece, implica strutture a tempo pieno dotate di edifici e stanze che prevedono attività nel bosco mattutine e attività in aula al pomeriggio. Oltre a queste tipologie più conosciute, sono presenti ulteriori varianti di organizzazione che prevedono l’offerta di progetti settimanali nel bosco o giornate sistematiche oppure la possibilità di scelta da parte di ciascun bambino di partecipare o meno alle uscite all’esterno predisposte quotidianamente. Pare che le diverse correnti di pensiero si riconoscano nell’individuazione dei bisogni dei bambini proposta da Huppertz (2004, cit. in Schenetti, Salvaterra, Rossini, 2015, p. 45) quali: ricevere soddisfacimento dei loro bisogni primari e l’affetto di altri individui, legarsi socialmente e in modo stabile al gruppo, formazione che stimoli i loro interessi, educazione guidata e orientata per la formazione dell’autonomia, riconoscimento personale, essere influenzati da oggetti fisici e idee di spazi e tempi definiti, adeguati e sufficienti. C’è ovunque molto entusiasmo, ma a livello legale e normativo le difficoltà sono tante. In quanto le strutture che praticano educazione all’aperto non hanno una normativa ad hoc, ma fanno riferimento alla propria normativa regionale dei servizi di infanzia. “Spiega Paolo Mai dell’asilo di Ostia, vicepresidente del comitato che riunisce gli asili nel bosco, tra i promotori di una Federazione internazionale che raggruppa queste realtà a livello mondiale. «Le scuole dell’infanzia in Italia si basano su una legge del 1975. Prevede una serie di prescrizioni impossibili da rispettare relative all’edificio scolastico, che a noi in realtà non serve se non come riparo d’emergenza». Agli asili nel bosco italiani non resta che trovare degli escamotage per rispettare la legge, in base al tipo di attività svolta e alle leggi regionali. I bambini di Ostia, per esempio, sono iscritti nella scuola romana di Parco della Madonnetta ma risultano in gita tutti i giorni. L’asilo di Domodossola è un “centro didattico 0-3 anni”, mentre quello di Biella opera come baby parking. «Uno degli obiettivi del comitato di asili è creare cultura e informazione sul tema degli asili nel bosco», continua il vicepresidente del comitato, Paolo Mai. «L’obiettivo futuro è pressare il legislatore per avere un riconoscimento».” (Di Massimiliano, 2017, “Asili nel bosco: dove trovarli e come funzionano”, Repubblica, 14 Febbraio 2017).

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2.4 Il ruolo e la formazione dell’educatore in natura “Quanto gli insegnanti sono consapevoli e quanto si attrezzano per favorire l’apprendimento all’aperto? Ancora oggi si assiste a un’enorme e forse incolmabile distanza tra le dichiarazioni che abitano nei nostri documenti progettuali e didattici dei servizi 0/6, e le pratiche messe in atto. Dichiariamo l’importanza della natura nella nostra vita, ma la liquidiamo disegnando la neve” (Malavasi, 2013, p.25). Con queste parole, l’autrice tenta di mettere in luce il cambiamento che è necessario e che deve avvenire alla luce di questo nuovo approccio. Infatti, l’insegnante non può limitarsi a mostrare la natura dai vetri della sezione o inibire il desiderio dei bambini che vorrebbero conoscere la sensazione umida della nebbia sulle guance, o l’odore della pioggia appena dopo un temporale. “Quella dell’insegnante è come una missione: aiutare i bambini a scoprire il mondo della natura” (Schenetti, Salvaterra e Rossini, 2015, pp. 98-99). Gli atteggiamenti e stili relazionali che portano a ricreare quel rapporto con la natura sono riassumibili nella classificazione proposta da Guerra (2015, pp.89-91): Conoscenza: “Il ruolo richiede di essere ‹colti di natura› per accompagnare con competenza questo incontro, perché possa dipanarsi in tutta ricchezza” (Guerra, 2015, p.15). La preparazione richiesta non deve però ricadere in un adultocentrismo didattico in cui l’insegnante diffonde conoscenze e il bambino ascolta, ma è piuttosto una costruzione combinata in cui gli interessi del bambino trovano completamento nelle competenze dell’adulto. Lentezza: È fondamentale dare spazio al tempo, andare piano e sostare in natura. “Nel bosco si è incontrata la dimensione della fluidità del tempo, una dimensione dove quello che accade non è scandito e progettato in funzione dei turni degli operatori o dalla rigidità di tempi istituzionali” (Schenetti, Salvaterra e Rossini,2015, pp.176-177). Il tempo deve essere scandito da interessi, curiosità dei bambini, quindi un tempo flessibile. Senza sovrapporsi. Si tratta di agire sempre in punta di piedi senza interrompere i bambini, dando loro la possibilità di muovere gambe, mani e pensieri. Inoltre, rimane essenziale lasciarsi affascinare dalla natura e riflettere, riuscendo in questa lentezza e gradualità a cogliere i dettagli. Essa rimane un’attività possibile soprattutto se si adotta questa dimensione di tempo disteso, in quanto richiede momenti pausa e stand-by. La ricerca dei dettagli è un metodo fondamentale di apprendimento in quanto affina lo sguardo, alimenta e attiva altri sensi, affinché gli stessi particolari possano venir intercettati come elementi di gioco, progetto e ricerca. “Il tempo dell’osservazione, dell’analisi, della scoperta, della messa in relazione con il tutto, è anche il tempo in cui dell’andare ad analizzare e capire sempre più un oggetto o insetto, che avvicina i bambini a un’idea di ricerca e permette che essi divengano protagonisti di narrazioni o fantasie” (Malavasi, 2013, p. 32). Il tempo passato nella natura è, dunque, tempo essenziale,

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investito nel benessere del bambino e l’adulto che accompagna il bambino in questo percorso deve sapere godere di tale lentezza. Errore: L’insegnante deve mostrare che sbagliare non è negativo. L’errore deve essere visto dal bambino come opportunità di imparare, come elemento di normalità, sano e fecondo. Questa concezione dello sbaglio, aiuta anche a vedere la dimensione del rischio come occasione e non come esperienza che crea ansia da prestazione nel bambino. Condivisione: “Il gruppo che sia omogeneo o meno per età, consente di uscire dalla propria visione della realtà per cogliere nuove facce del mondo circostante e sostiene la costruzione di un senso di solidarietà in grado di donare tranquillità a tutto ciò che si sta vivendo” (Guerra, 2015, p.91). Il gruppo è quindi risorsa per il singolo e per i suoi apprendimenti e l’insegnante deve essere in grado di valorizzare questa dimensione, riconoscendone gli infiniti risvolti positivi. Fiducia: L’educatore deve, infine, occuparsi di instaurare un rapporto di fiducia nella natura. Vedendola come alleata, amica e maestra. Affinchè si crei una dimensione di rispetto e relazione positiva. È inoltre importante anche la fiducia tra le persone, in quanto l’alunno sarà in grado di affrontare gli ostacoli che incontra in natura solo se l’educatore sarà consapevole che lui possa riuscire da solo. Inoltre la fiducia permette al bambino di esplorare, sperimentare e allontanarsi, mentre una sensazione di sfiducia infonderà ai fanciulli una sensazione negativa di incapacità che lo porterà ad abbandonare le sfide che incontrerà e a non superare gli ostacoli sul suo percorso. Un’ultima pratica, che deve curare l’educatore è la progettazione. Vivere l’ambiente esterno non deve ricadere nello spontaneismo o nell’improvvisazione, richiede un lavoro di conoscenza del territorio per definire obbiettivi possibili e scelta di come presentarli al gruppo. Malavasi (2013, pp.48-49) individua alcuni aspetti fondamentali nell’andare a costruire occasioni di incontro tra bambini e natura, tra questi: la storia delle cose, ovvero progettare esperienze che tengono conto di tale aspetto significa passare da uno sguardo distratto a uno attento, curioso ed esplorativo, in quanto una conoscenza approfondita riduce il rischio e la pericolosità dell’oggetto stesso. La pericolosità è data, infatti, da una poca famigliarità con esso; la funzionalità delle cose, ossia ogni oggetto suggerisce azioni, idee e domande e l’educatore deve avere una buona capacità previsionale nel comprendere la tipologia di oggetto proposto, quali identità gli possono essere assegnate, qual è il suo potenziale nel gioco o nella narrazione e cosa è possibile fare con questo oggetto. Gli educatori ambientali dovranno avere requisiti specifici come quelli elencati sopra, le stesse competenze di tutte le insegnanti delle scuole di infanzia e dei nidi e tra le competenze pratiche richieste sono riportate da Schenetti, Salvaterra, Rossini, (2015, p.66): conoscere l’ambiente del bosco, conoscere i pericoli possibili e le probabilità che si verifichino, sapere quali piante sono velenose, sapere come usare coltellini e la sega e altri attrezzi, riconoscere i segni che anticipano il 36


cambiamento atmosferico e conoscere le specie a rischio di estinzione. Da questo punto di vista, le occasioni di formazione ambientale per il personale 0/6 stanno diventando molteplici attraverso corsi o giornate intere passate a contatto con il bosco proponendo differenti esperienze sia di gioco che di esplorazione. Infine l’educatore deve essere cosciente che i genitori che decidono di dare questa opportunità di crescere all’aperto ai figli si assumono il rischio della scelta coraggiosa e diversa rispetto all’educazione corrente, che spesso può generare una forte preoccupazione. È per questo che l’insegnante assume una valenza importante, in quanto deve fornire una professionalità alta e consapevole, programmi studiati e sperimentati ed un aggiornamento continuo rispetto all’efficacia di tale modalità per il benessere del bambino. Positive sono anche le giornate organizzate nell’ottica di coinvolgere il genitore in una dimensione naturale: come laboratori, collaborazione dei genitori nella realizzazione di attrezzature dello spazio esterno, organizzare giornate di raccolta e esperienze di semina insieme. Dimostrando che innovazione, non significa lasciare spazio ad approssimazione e leggerezza. Fondamentale diviene la lettura condivisa del patto educativo per chiarire eventuali dubbi o inquietudini e la visione da parte delle famiglie dei risvolti positivi di tale approccio ma anche delle realtà vissute dai bambini (Durasanti, De Santis, Orefice, Paolini, Rizzuto, 2016, p. 33).

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3 Casi studio 3.1 La realtà dell’agrinido “Cosa serve avere le mani pulite, se si tengono in tasca” Don Lorenzo Milani Le parole del presbitero, scrittore ed educatore italiano chiariscono la grande diffusione di strutture che oggi adottano l’Outdoor education. “Il mondo educativo ha avuto modo di confrontarsi con questo “nuovo” metodo che però sa di antico, nel senso che propone un ritorno alla terra che, in questi tempi così convulsi, è l’elemento più innovativo e stimolante per i bambini che si approcciano al mondo” (Malaspina, 2014, p.6). Come descritto nel capitolo precedente, le differenti finalità, tipologie e organizzazione con cui nascono questi servizi rende difficile delinearne i tratti principali o i confini. Nonostante ciò, nell’area della prima infanzia si può parlare di: agrinidi, agriasili e agritate. È importante distinguere le tre tipologie, in modo da riconoscerne le peculiarità. Le tre strutture hanno come elemento in comune l’ubicazione all’interno di un’azienda agricola. L’agrinido è una struttura per bambini fino ai tre anni, l’agriasilo accoglie bambini da tre a sei anni, mentre l’agritata è un’unica persona che offre un servizio di cura a bambini tra i tre mesi e i tre anni. Nella raccolta dati del mio elaborato, mi sono concentrata esclusivamente sulla realtà dell’agrinido. “L’agrinido, dunque, è un servizio socio-educativo per l’infanzia e di supporto alla genitorialità rivolto ai bambini di età compresa tra i 3 mesi e i 3 anni” (Durasanti, De Santis, Orefice, Paolini, Rizzuto, 2016, p. 56). Tale struttura, in quanto collocata in un’azienda agricola, offre esperienze educative integrate con le attività della stessa come: contatto diretto con la natura, conoscenza dei cicli produttivi e percorsi sensoriali spontanei. Ciò comporta che ogni agrinido sarà unico, essendo costruito sulle specifiche caratteristiche dell’azienda che lo ospita. Tuttavia è possibile individuare (Durasanti, De Santis, Orefice, Paolini, Rizzuto, 2016, pp. 73-74) delle caratteristiche che dovrebbero accomunare le aziende come: “accessibilità (deve essere facilmente raggiungibile dai destinatari), multifunzionalità (proposta di diverse tipologie di attività ovvero ricreative, di ospitalità, agricompleanni, campi estivi, vendita diretta), diversificazione (per un’esperienza educativa completa sarebbe positivo predisporre varietà di colture e di allevamenti) e cibo (la mensa deve rispettare le tabelle ASL offrendo in prevalenza prodotti locali, dell’azienda e preparazioni 38


tradizionali tipiche del territorio)”. Gli agrinidi possono ospitare un numero variabile di bambini, in genere proporzionato allo spazio che viene messo a disposizione per l’esercizio di tale attività ed agli standard posti da ciascuna regione. Dal punto di vista normativo, non è ancora stata realizzata una legge ad hoc rispetto a questa realtà. L’unica norma che tratta di questo servizio è la legge nazionale n. 141 del 18 agosto 2015 che definisce le disposizioni in materia di agricoltura sociale e colloca l’agrinido in questo contesto, come servizio offerto dall’imprenditore agricolo. L’onere di redigere una normativa specifica è quindi compito delle singole regioni. Come specificato da Teresa Grange Sergi (2013, p. 119), sono numerose le regioni che nell’ambito di una revisione del loro un apparato normativo in materia di servizi per la prima infanzia stanno valutando la possibilità di inserimento di riferimenti specifici agli agrinidi e agli agriasili, quale ad esempio la regione Toscana (mozione del consiglio regionale 27 ottobre 2010: In merito alla realizzazione Agriasilo – Agrinido; notizie ANSA 29 dicembre 2010). La Regione Campania specifica nelle “Linee di indirizzo per l’attivazione dei servizi per la prima infanzia (0-36 mesi) nell’ottica della conciliazione tra tempi di vita e di lavoro” una definizione dettagliata di agrinido con disposizioni specifiche per la sua realizzazione: “L’Agrinido prevede lo svolgimento delle attività prevalentemente all’aperto, ha come base una cultura di attenzione alla qualità della vita ed alla sostenibilità ambientale e deve essere integrato da un servizio di trasporto progettato in base alle esigenze del territorio. Si prevede l’operatrice ogni 4 bambini, fino ad un massimo di 12”. La Regione Marche tratta il tema in modo approfondito, nel Bando pubblico per la sperimentazione del “Modello di Agrinido di Qualità” della Regione Marche, anni 2012-2013, DDGR 722/2011, 760/2011 in collaborazione con la fondazione Chiaravalle-Montessori. Nelle altre regioni per i criteri di realizzazione dell’agrinido (organizzazione degli spazi, del personale e numero di bambini) si deve fare riferimento alla normativa regionale e comunale sui servizi di infanzia. Nonostante le difficoltà normative che si possono incontrare nella definizione dell’identità e della struttura dell’agrinido, secondo i dati riportati da Teresa Grange Sergi (2013, p. 123) il numero di agrinidi in Italia è molto elevato (N=24, dato del 2013). Tali dati ci dimostrano, quindi, un forte interesse nel ricostruire il rapporto con la natura ormai perduto e soprattutto un positivo riconoscimento del valore ecologico in campo educativo. Le proposte all’interno dell’agrinido hanno un valore aggiunto, dando la possibilità di avere un contatto con la natura reale, quotidiano, corporeo e spontaneo. Attività osservative, sensoriali, motorie, linguistiche, musicali, scientifiche, artistiche e simboliche saranno dettate dal tempo, dal cielo, dal cambio delle stagioni, dalle nascite di animali, ma anche vegetali, da lavori e strumenti degli agricoltori e da materiali insoliti e naturali. Le finalità che ne derivano sono: l’espandersi dei bisogni di azione, autonomia, gioco, movimento, scoperta e apprendimento. Gli incontri dei 39


bambini con l’ambiente naturale-rurale, affiancati da educatori capaci di sostenere le competenze dei piccoli ospiti nell’affrontare la novità e complessità delle esperienze, renderanno possibili perlustrazioni sensoriali, osservazioni quotidiane della vita vegetale e animale e la nascita di interrogativi sull’armonia e casualità della natura. L’agrinido diviene quindi risorsa per il territorio, in quanto luogo per lo sviluppo integrale del bambino. Infine ho voluto inserire alcune informazioni che ho raccolto tramite la visita a tre agrinidi italiani: Agrinido “Piccoli frutti” (CR), Agrinido “L’ErbaVoglio” (RA) e Agrinido “L’orto dei pulcini” (AN). Ho scelto la visita di agrinidi in quanto sono servizi che praticano attività all’aperto come quotidianità per eccellenza. Vedere queste realtà mi ha permesso, innanzitutto, di capire appieno questo approccio e i suoi risvolti positivi sui bambini, inoltre di apprendere spunti per utilizzare lo spazio esterno di modo che sia stimolo e opportunità di apprendimento per i bambini.

3.2 Agrinido “Piccoli frutti” (Boschetto, CREMONA) L’Azienda Agricola Maghenzani è ubicata nella prima periferia al nord di Cremona, in località Boschetto,

conosciuta

soprattutto

per

la

produzione di frutti di bosco e ortaggi di stagione. Nel 2011 è stata presa la decisione da parte della famiglia Maghenzani, di ampliare l’offerta dell’azienda mettendo a disposizione l’agrinido come nuovo servizio, con il pieno sostegno della Coldiretti di Cremona. Inizialmente opera come micronido, accogliendo dieci bambini tra i 12 mesi e i 3 anni ai quali viene data la possibilità di crescere nell’immenso parco che circonda la struttura, a contatto con gli animali dell’azienda e con il sistema di produzione di frutta e verdura. Successivamente ad un primo periodo di conoscenza del servizio, si riscontrano grande adesioni e quindi un grande successo. L’agrinido chiede il riconoscimento come nido per far fronte alle molteplici richieste pervenute. L’Agrinido Piccoli Frutti di Cremona ospita oggi, 14 bambini da uno a tre anni. Inoltre, Per poter dare continuità pedagogica, l'azienda è stata accreditata nell'albo delle Fattorie Didattiche di Regione Lombardia. Questo riconoscimento rende maggiormente qualificate le attività psico-motorie e didattiche a contatto con la natura e gli animali presenti in azienda. La struttura offerta è completamente nuova, in quanto frutto di un rinnovamento dell’ex fienile, inoltre dispone di impianti fotovoltaici sui tetti del micronido. La superficie, interna ed esterna, di 40


oltre 200 mq è stata strutturata ed arredata nel rispetto delle normative regionali di sicurezza ed igienico-sanitarie previste per le strutture dedicate alla prima infanzia. I bambini che la abitano quotidianamente possono usufruire di un ampio campo adibito ad orto per la coltivazione di ortaggi, una serra, un recinto con animali di grossa taglia e due con animali di piccola taglia. Il contesto rurale nella quale è inserito permette di offrire ai bambini anche passeggiate nel bosco, che si trova dietro l’azienda, esplorazioni nel fosso oppure attività sotto il porticato. 3.2.1 Organizzazione degli spazi e del materiale messo a disposizione Il micronido come detto in precedenza si struttura in un’area completamente nuova e ristrutturata dell’azienda. All’ingresso della struttura ci si ritrova immersi in una saletta di passaggio, nella quale sono disposti appendiabiti, armadietti e attrezzature per uscire all’esterno (mantelline rosse impermeabili e stivali di gomma per proteggere gli abiti dei bambini e lasciarli liberi di esplorare con tutto il corpo). La presenza di questo spazio è estremamente positiva, in quanto è completamente adibito al rituale di passaggio interno-esterno, rendendo questo momento meno caotico e più educativo, soprattutto in una struttura in cui il momento dell’uscita diviene una quotidianità. Infatti, la presenza di sedute e di attaccapanni ad altezza bambino permette l’autonomia dei più grandi e l’apprendimento da parte dei più piccoli. Salendo le scale e raggiungendo il piano superiore, è stato organizzato uno spazio multifunzionale, ovvero adibito a sala da pranzo e ad atelier dell’esplorazione sensoriale. Organizzato con tavoli circolari o a semicerchio, lo spazio facilita la comunicazione e il dialogo tra i bambini più grandi durante il pasto, ma anche lo scambio di sguardi o sorrisi tra i più piccoli. A fianco dei tavoli è posizionata la cucina, interna che segue il menù dell’ASL utilizzando tutti i prodotti locali dell’azienda agricola e quelli previsti dal menu che non possono essere autoprodotti vengono acquistati da aziende vicine. Alle pareti è possibile osservare la documentazione delle attività realizzate in quello spazio e alcuni strumenti esposti, tipici del momento del pranzo come scodelle e mestoli. Uno dei progetti del quale ho osservato la documentazione è “Atelier dei sapori”. Un’idea che ha valore di connessione interno-esterno, in quanto gli elementi raccolti all’esterno, frutto della produzione dell’azienda, vengono portati all’interno e osservati, toccati, sperimentati in tutte le loro 41


caratteristiche. La documentazione è sia fotografica che descrittiva. Vengono infatti, riportate alcune foto dei bambini nell’atto di scoperta delle verdure messe a disposizione e i dialoghi e deduzioni che nascono da quest’attività. Esempi sono la scoperta di una caratteristica della zucca da parte di Leone: “Non si rompe quella zucca lì, la dobbiamo dare a Giacomo, può venire con il trattore?” ma anche la conoscenza dei ruoli dell’azienda e degli strumenti che vengono utilizzati. Oppure le consapevolezze dell’iter produttivo nelle parole di Nicolas “È insalata, è fuori nel campo”. Tali attività sono estremamente funzionali anche per creare un buon rapporto con il cibo, in quanto conoscere le caratteristiche e l’iter che conduce l’ortaggio, che nasce sotto terra, al nostro piatto, permette di instaurare una relazione positiva con alimenti non sempre amati dai bambini. Nella stanza a fianco, si trova un salone per l’attività. Lo spazio è molto luminoso, grazie alle ampie finestre che permettono ai bambini di essere sempre esposti alla natura. L’ambiente dispone principalmente di materiale di riciclo quali ortaggi essicati, erbe aromatiche, contenitori di plastica e carta di vario genere e vari tessuti. All’interno sono anche inseriti un piccolo percorso realizzato con materiali di riciclo e un tappetone con cuscini. Le pareti sono sempre decorate con documentazione dei progetti come dialoghi e fotografie rispetto al momento della raccolta, dell’incontro con insetti e animali che vivono il parco o delle attività svolte a terra nella conoscenza degli odori delle erbe aromatiche raccolte o nella conoscenza dei materiali naturali posti sugli scaffali (es. curcuma, anice, zucca, ghiande, nocciole e corteccia). Questo salone conduce, poi, alle ultime due stanze interne che sono lo spazio nanna e il bagno. Lo spazio nanna è stato decorato sulle pareti riprendendo la naturalità dello spazio dove sorge la struttura. I letti sono bassi di modo che il bambino possa muoversi in autonomia sia per addormentarsi sia per il risveglio. Allo stesso modo il bagno è organizzato a misura di bambino per favorire la loro indipendenza. Gli spazi esterni sono rurali e semplici per lasciare che sia l’interesse del bambino a riempirli, nonostante vi siano alcuni elementi che offrono un possibile percorso educativo al bambino (come vedremo più avanti: angolo della manipolazione o percorso sensoriale). Di fronte all’ingresso della struttura vi è un grande campo attrezzato con serra e un orto di varie tipologie di ortaggi dove i bambini si recano quotidianamente per coglierli oppure per osservare lo stato di crescita. Tale spazio non è organizzato a misura di bambino ma lascia che essi 42


si

immergano

completamente

nelle

dinamiche

dell’azienda agricola attingendo dagli stessi spazi. Sul retro della struttura è posto un angolo strutturato nel quale è stato realizzato un percorso sensoriale da attraversare a piedi nudi. Il percorso è organizzato disponendo di zone delimitate con varie tipologie di materiali che possono essere modificabili in base alle stagioni o agli interessi dei bambini. Sempre nell’ottica di predisporre un’offerta educativa al bambino, è stato creato uno spazio simbolico realizzando una capanna interamente con materiali naturali tra cui paglia e fieno. A fianco, è stato organizzato un recinto delle erbe aromatiche e della manipolazione per i più piccoli, affinché le loro sperimentazioni non vengano disturbate o interrotte dal desiderio di movimento e scoperta dei più grandi. Infine lo spazio esterno dispone di tre recinti con gli animali: uno con asini che vengono introdotti ai bambini gradualmente indicando loro le tecniche per non fare spaventare l’animale e per non rischiare di incorrere in situazioni pericolose; un secondo recinto è quello delle capre entro il quale i bambini entrano quotidianamente all’interno, del recinto dove lasciano il cibo rimasto dal pranzo, educando così al riciclo e all’importanza dello scarto; l’ultimo recinto è quello delle galline in cui i bambini si recano al mattino per la raccolta delle uova da portare in cucina. Una dinamica che si realizza quotidianamente per i bambini dell’agrinido, è la camminata che conduce al boschetto dietro la struttura. Questo spazio permette ai bambini di conoscere gli insetti che nascono nell’umidità del sottobosco e soprattutto di operare la raccolta di materiale, fondamentale per una conoscenza approfondita della natura.

43


3.2.2 La giornata e le attività dell’agrinido Piccoli Frutti L’accoglienza dei bambini all’interno della struttura è dalle

7.30

alle

9.00.

Generalmente

si

svolge

all’esterno, eccetto in casi di condizioni climatiche estreme che possono essere considerate pericolose o deleterie. Questo momento della giornata implica attività di vario genere, modificabile alla luce delle esigenze di ciascuno. I più piccoli non avendo ancora tempi di veglia molto prolungati, vengono fatti riposare nel passeggino o nella zona nanna, a seconda se ci si trova all’interno o all’esterno, mentre i più grandi vengono lasciati liberi di svolgere attività a scelta. Successivamente, dalle 9.00 alle 10.00 sono organizzate attività semi-condotte proposte con materiali non formali, cercando di creare suggestioni, che possono essere frutta, verdura, erbe e materiali di riciclo, di modo che i più piccoli possano riposare fino al momento della merenda. Alle 10.00 ci si riunisce in un tavolo all’aperto sotto il portico o all’interno per consumare la merenda, che prevede frutta dell’azienda. Successivamente alle 11.00 iniziano le attività all’aperto. Dopo una prima fase di preparazione in cui si scende a piccolo gruppo e si indossano le tute apposite per evitare di sporcare i vestiti, si esce all’esterno. Le attività sono diverse di giorno in giorno e soprattutto svolte sia in gruppi eterogenei che omogenei. Tra le esperienze proposte: conoscenza delle erbe aromatiche e linguaggio degli odori, attività artistiche con colori naturali derivate da verdure, percorsi sensoriali con forme o giochi logico-matematici (es. zucche ad incastro),

la raccolta delle uova, attività di semina,

raccolta ortaggi nell’orto, camminate nel boschetto annesso alla struttura, esercizi di manipolazione di terra o erbe, prendersi cura degli animali, attività artistiche all’aperto ed esercizi di ascolto o osservazione. Alle 12.00 si rientra in sezione per il pranzo, cucinato con verdure raccolte dai bambini. Si chiede collaborazione ai bambini più grandi per servire ai tavoli, per stimolare l’autonomia e per imparare a fare da soli. Gli scarti del 44


pasto vengono raccolti e portati agli animali, per dare valore a ciò che non abbiamo mangiato e quindi per introdurre il valore del riciclo. Successivamente dalle 13.00 alle 13.30 vi è il primo congedo mentre i bambini che rimangono al pomeriggio riposano. Alle 16.00 vi è l’ultimo congedo, tranne nei casi in cui è richiesto per cui è inserito un terzo congedo alle 18.30. Tutte le attività di routine quotidiana, come il riposino e il pranzo, in caso di bel tempo possono essere svolte all’aperto, mentre nei giorni di brutto tempo si esce comunque almeno per una parte della mattinata, con il giusto equipaggiamento. Tale struttura, mi ha permesso di comprendere l’importanza data agli interessi dei bambini nella strutturazione delle attività, ma anche l’importanza di adibire angoli specifici per lo svolgimento di determinate attività per non ricadere in uno spontaneismo senza finalità.

3.3 Agrinido “L’ErbaVoglio” (Bagnara di Romagna, RAVENNA) L’agrinido nasce presso l’Azienda Agricola I CUORI a Bagnara di Romagna, una località che dista pochi chilometri da Ravenna. L’Azienda è gestita da Conti Cristiana. Nel 2010, con il marito, acquistano una piccola azienda agricola, il cui obiettivo è di coltivare prodotti di nicchia in regime di agricoltura biologica. Nell’estate del 2011, mettono a dimora i bulbi di zafferano provenienti dalla Sardegna. Nella primavera 2013 comincia la commercializzazione a livello locale. Gli stimmi ricavati dal fiore dello zafferano vengono lasciati interi, a garanzia di purezza ed autenticità del prodotto. Inoltre, la decisione di impiantare un’antica tipologia di grano italiano, fornisce una qualità in più all’azienda. Questo tipo di grano contiene bassi livelli di glutine, riducendo così in età adulta le allergie al glutine o le intolleranze. Nel 2015, l’azienda decide di ampliare la propria offerta con l’apertura dell’Agrinido L’ErbaVoglio come servizio per l’infanzia, bilingue, rivolto ai bambini da 3 a 36 mesi, di ispirazione montessoriana e che fa riferimento al modello di “Piccoli gruppi educativi”, ospitando un massimo di 7 bambini. Il piccolo gruppo educativo permette di rispondere alle esigenze di flessibilità dei genitori, non richiedendo una continuità rigida di frequenza tutta la settimana, ma anche 2-3 giorni a settimana. Gli inserimenti vengono, infatti, programmati e predisposti durante tutto il corso dell’anno. La struttura educativa è gestita da Agrinfanzia, cooperativa sociale nata nel 2010. Il nome Agrinfanzia ha origine dalla fusione di due termini in un neologismo che ha radici nella parola 45


agricoltura e nella parola infanzia, due mondi che si intersecano e che coinvolgono tutti i contesti prima citati. È quindi un atteggiamento culturale con precisi riferimenti e che resta sempre aperto agli sviluppi e alle sane contaminazioni. 3.3.1 Organizzazione degli spazi e materiale a disposizione La struttura ospita il servizio educativo in un’ala dell’azienda nuova e ristrutturata. Gli spazi interni sono stati realizzati con attenzione alle indicazioni montessoriane, facendo attenzione, quindi alla disposizione del mobilio. Lo spazio interno è molto semplice, in quanto tutto il corso della giornata o nella maggior parte, viene passato all’esterno. All’ingresso si trovano gli attaccapanni, sempre ad altezza bambino per facilitarne l’indipendenza, con un mobile con i nomi su ciascun cassetto dei bambini nel quale vengono inseriti i cambi di ciascuno. Nella stessa stanza sono presenti dei tavoli multifunzionali, utilizzati sia per il momento del pranzo, sia per lo svolgimento di alcune attività come esperienze artistiche, di scoperta di frutta e verdura, di manipolazione e di laboratori di cucina. A fianco di questa sala vi è la cucina interna, in cui i bambini portano gli ortaggi che raccolgono nell’orto e in cui assistono la cuoca nell’iter di elaborazione culinaria. I prodotti cucinati sono biologici e seguono il menu definito dall’ASL. Nell’ultima stanza che compone lo spazio interno, è posizionato un angolo morbido dotato di tappeto, cuscini e peluches. Nello spazio sono inserite anche tavole sensoriali e un angolo simbolico organizzato con cucina strutturata con materiali naturali. I pannelli sensoriali sono uno strumento fondamentale per la connessione interno-esterno. Infatti per la realizzazione del pannello sono stati utilizzati degli elementi naturali e oggetti raccolti dai bambini, che permettono di analizzare più a fondo e in modo più dettagliato ciò che è stato individuato all’esterno. Alle pareti sono appesi alcuni cartelli per apprendimenti essenziali come i colori in italiano-inglese e i giorni della settimana, affinché si introducano i bambini in età precoce alle nozioni primarie della lingua.

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Lo spazio esterno, è stato definito dalla pedagogista “un incontro tra la forma di progettazione e la decisione di lasciarlo rurale”. In quanto, le educatrici hanno deciso di predisporre uno spazio ricco di materiali lasciando però ai bambini la possibilità di costruire loro stessi il luogo del loro apprendimento. Lo spazio esterno è costituito da un cortile interno che affaccia sul boschetto dell’azienda, un’area attrezzata con giochi strutturati e appunto l’area boschiva. L’area strutturata, è la prima che si incontra una volta entrati all’interno dell’azienda. In essa sono predisposti dei giochi come scivolo, altalena e una galleria di sabbia realizzata utilizzando materiali di riciclo. In questa zona è stato anche organizzato, in una piccola parte di terra, un angolo delle erbe aromatiche e la predisposizione di materiali naturali (piccole balle di fieno o tronchi di varie dimensioni), per la costruzione di percorsi in autonomia. Nell’area retrostante all’azienda, invece, sorge un bosco di querce e olmi, dove al di sotto sono organizzati alcuni angoli come l’angolo del suono (conchiglie e bambù appesi all’albero che con il vento producono rumori), angolo visivo (realizzato con carta colorata appesa agli alberi), angolo del gioco simbolico (strutturato con una cucina in legno e materiale quotidiano a disposizione come pentole e cucchiai), angolo della bilancia (dove con materiale di riciclo è stata realizzata una bilancia che introduce i bambini al concetto di peso) e uno spazio per creare l’occasione di vedere da vicino varie specie di uccelli per introdurli al ciclo vitale (casetta degli uccelli). La predisposizione di questi angoli permette di offrire delle possibilità di apprendimento, lasciando i bambini liberi di scegliere e di lasciarsi guidare dai propri interessi. Di fronte al bosco è posto un orto con varie tipologie di ortaggi che viene curato dai bambini, con l’aiuto delle educatrici. Nelle vicinanze si possono scovare anche, un grande fosso con un ponticello da sorpassare e un laghetto. Per affrontare le uscite all’aperto i bambini vengono vestiti con stivaletti di gomma, tute da sci quando il clima è rigido e impermeabili nelle giornate più miti, affinché possano esplorare senza raccomandazioni 47


rispetto al mantenersi puliti, in quanto come riferitomi da un’educatrice “qui non cè la possibilità di sporcarsi, ci si deve sporcare”. Inoltre nelle camminate proposte durante la mattinata viene data la possibilità ai bambini di usufruire di carretti per la raccolta di materiali o per il trasporto dei compagni più piccoli. 3.3.2 La giornata e le attività all’Agrinido L’ErbaVoglio La giornata dell’agrinido inizia alle ore 8.00. A seconda del meteo i bambini vengono accolti all’interno o all’esterno. Nel rispetto delle esigenze dei più piccoli, coloro che necessitano di un tempo di riposo più elevato vengono lasciati dormire nel passeggino o sul tappeto, se per la prima parte della mattinata si resta all’interno. Alle 8.30 si consuma la merenda, sempre con frutta biologica proveniente dall’azienda o da enti locali, chilometro zero. Intorno alle 9.00 si svolgono le attività all’aperto. In genere le educatrici si lasciano guidare dagli interessi dei bambini, nonostante vengano comunque avanzate proposte educative come esperienze manipolatorie, di pittura dei sassi, raccolta delle verdure e conoscenza di esse (vengono manipolate, annusate, addentate, strofinate), vendemmia, contatto con il modificarsi dell’ambiente al susseguirsi delle stagioni (imparare a conoscere il ghiaccio in inverno, i fiori in primavera e le foglie secche in autunno), laboratorio con fiori di zafferano, creazione del composto base per la realizzazione di un orto verticale, esperienze di semina, costruzione di percorsi con materiali naturali messi a disposizione, ma anche attività libere come rilassarsi sulle balle di fieno o arrampicarsi sugli alberi. Le proposte vengono svolte in gruppi misti, affinchè i più grandi siano esempio per i più piccoli. Alle ore 11.30 si consuma il pranzo. Durante il quale è chiesta la collaborazione dei bambini più autonomi per servire il pasto. Quest’attività oltre che facilitare lo sviluppo di autonomia permette di apprendere meglio i nomi e le caratteristiche di ciò che si mangia, grazie all’affiancamento e il dialogo con l’educatrice. Dopo pranzo, intorno alle 13.30 avviene la riconsegna. Il tempo prolungato al pomeriggio è realizzabile solo con un’adesione di almeno 3 bambini. Gli orari di entrata ed uscita possono essere comunque concordati con il servizio, in quanto estremamente flessibile alle esigenze delle famiglie.

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La struttura ha, dunque, mostrato una definizione di percorsi educativi e angoli all’esterno, che possono stimolare

o arricchire

l’esperienza

del

bambino

all’interno della natura. Inoltre la scelta di predisporre materiale naturale e di riciclo, si è dimostrato essere estremamente positivo per i bambini, che in diverse occasioni hanno colto la possibilità di strutturarsi in autonomia percorsi sensoriali.

3.4 Agrinido “L’orto dei pulcini” (Ostra, ANCONA) L’agrinido sorge all’interno dell’Azienda Agricola Larisa Lupini, presso la piccola cittadina di Ostra, in provincia

di

Ancona.

L’azienda

agricola,

a

conduzione familiare è stata impiantata dai nonni negli

anni

Cinquanta,

produce

Verdicchio,

Montepulciano e Sangiovese dei vigneti riconvertiti al biologico nel 2005, e ha sempre provveduto ai consumi familiari. È inoltre dotata di oliveti, pollaio e recinti di animali. Nel 2012, grazie ad un bando della Regione Marche, inizia un nuovo cammino nell’agricoltura sociale. Nasce così L’Orto dei pulcini, uno dei primi agrinido della regione. La struttura recupera un edificio esistente, con una vista panoramica sulla città e sul paesaggio collinare circostante. L’architetto, essendo la sorella della coordinatrice del nido, ha permesso una grande collaborazione con il personale educativo, quindi una contaminazione tra conoscenze pedagogiche e architettoniche, creando uno spazio a misura di bambino e fondato su aspetti pedagogici fondamentali. Le due sezioni del servizio educativo, ospitate in una struttura in legno realizzata seguendo le tecniche della bioedilizia, accoglievano inizialmente un numero massimo di

14 bambini tra i 10 mesi e i 3 anni, poi

aumentato a 18 riconoscendo un’ampia risonanza del servizio sin da subito. Il rapporto bambiniinsegnanti è 1 a 7. Inoltre il servizio ha deciso di adottare il metodo Montessori proprio come sancito dall’accordo di collaborazione ai sensi della DGR 1107 del 12 luglio 2010, che riconosce una partnership tra Regione Marche e il comune Chiaravalle-Montessori. Le Marche infatti, si sono distinte per il forte interesse nell’agricoltura sociale e quindi per la redazione del Progetto Sperimentale Agrinido di Qualità che tratta l’argomento in modo approfondito definendo il format 49


Agrinido. La regione ha quindi avuto cura di garantire un accompagnamento per le aziende verso un modello di multifunzionalità dell’agricoltura per evitare l’accadere, come in alcune altre regioni italiane, che queste proposte si esauriscano in singole iniziative. 3.4.1 Progetto Sperimentale Agrinido di Qualità 2014 nella Regione Marche “Nel 2012 quando siamo partiti, primi fra le regioni italiane, abbiamo individuato delle potenzialità, allora appena scalfite dall’esperienza delle Fattorie Didattiche. Il progetto Agrinido ha affondato le sue radici nella qualità, uno dei valori chiave della nostra comunità” (Paolo Petrini, Assessore all’Agricoltura di Regione Marche dl 2005 al 2012, cit. in Progetto Sperimentale Agrinido di Qualità 2014, p.9). Le parole dell’Assessore introducono la grande conquista della Regione Marche nel definire questo format. La partnership tra Regione Marche e Comune di Chiaravalle, fondatore e promotore della Fondazione Chiaravalle-Montessori, ha permesso la costituzione di un Comitato tecnico scientifico interdisciplinare la cui composizione rispecchia l’integrazione di più competenze e conoscenze tra cui Organizzazioni Professionali agricole, il dirigente del Servizio Servizi Sociali e del Servizio Agricoltura della Regione Marche, il direttore della Fondazione Montessori, esperti in psicopedagogia, pedagogia e di problematiche di fragilità sociali. Grazie al lavoro integrato di queste professionalità, è stato possibile definire un progetto proponendo: - Un format educativo innovativo e approfondito, offerto sia in versione tradizionale che montessoriana, al cui centro sono collocati i bambini, intesi come competenti fino dalla nascita, considerati nella loro interezza, che vanno accompagnati nei vari mondi della nostra società. L’attenzione progettuale è volta alla definizione di generali obbiettivi educativi, ma soprattutto a migliori pratiche di dialogo con la natura, processi di osservazione, indagine e conoscenza autonoma da parte dei bambini e promozione di un contesto di apprendimento variegato. Le modalità di relazione dell’educatore non saranno invasive, basate sull’ascolto e sul sostegno dei processi conoscitivi. Gli adulti coinvolti, sono chiamati a proporre e attrezzare il contesto con opportunità interessanti e motivanti, che in parte nasceranno spontaneamente dal ambiente naturale e in parte suggerite dal materiale insolito che può essere proposto ai bambini con una rilettura educativa da parte dell’insegnante. Finalità è l’espandersi di giochi, autonomia e movimento all’interno dell’Agrinido. Rispetto ai requisiti tecnici della struttura educativa, l’Agrinido rispetta il regolamento L.R. 9/2003 sui servizi educativi, mentre l’impresa agricola deve essere multifunzionale e diversificata, in quanto l’ordinario dell’azienda può trasformarsi in cornice strutturante di percorsi educativi progettuali originali, poiché in un reale contatto con la natura, predisponendo il gioco all’aria 50


aperta come routine quotidiana. Il progetto pedagogico, può favorire l’organizzazione di molte esperienze educative, di sostegno all’interno delle principali aree di sviluppo infantile tra cui: attività esplorativa, osservativa, sensoriale, motoria, linguistica, musicale, scientifica, artistica, simbolica. Di fondamentale importanza anche, la predisposizione di esperienze di relazione con l’animale e il contatto con i quotidiani prodotti della fattoria. Infine, la cultura dell’ambientamento, della professionalità del personale, dell’organizzazione degli spazi, del valore delle routine, della partecipazione delle famiglie e della presenza e sostegno del Coordinamento pedagogico, nella loro interdipendenza, sono elementi essenziali per definire un servizio di qualità. -Un format architettonico ideale per garantire il benessere dei bambini. L’ambiente interno, deve trasmettere la volontà pedagogica di “portare all’interno” la natura costruendo confini dissolventi tra interno ed esterno. Le scelte in merito alle risorse spaziali sono portatrici di significato educativo. Alcuni elementi essenziali riportati all’interno del Progetto Sperimentale (2014, p. 32) sono: recupero e valorizzazione degli elementi architettonici rurali, suddivisione di interni in grado di cogliere i cambiamenti di luce giornalieri, tinteggiature e arredi intrecciati al microcosmo naturale, oggetti forniti ai bambini come naturali e di recupero, complementi di arredo curati come fiori freschi, piante, composizioni naturali. Per quanto riguarda l’esterno sono indicati: l’allestimento del giardino di campagna, ovvero sicuro e circoscritto che riproduce in piccolo le bellezze naturali dell’azienda (coltivare fiori, orto dei bambini, pulizia e giardinaggio) e valorizzazione delle strutture esterne come sedi di possibili esplorazioni, giochi di gruppo e auto-orientamento. -Un format agricolo in grado di offrire ai bambini esperienze diversificate e ricche attraverso l’offerta di contesti multifunzionali. La struttura non deve offrire una coltura industrializzata e intensiva ma tipica della famiglia agricola tradizionale. Le caratteristiche necessarie per un’azienda agricola che intende avviare un’attività di agrinido sono: produzione di vegetali e trasformazione, allevamento, servizi e sensibilità ambientale. -Un format comunicativo: per garantire riconoscibilità del modello rispetto ad altri e per permettere all’azienda agricola di promuovere il proprio servizio con un immagine riconoscibile di forte distintività. Il marchio Agrinido di Qualità è stato realizzato con uno smile affiancato da una M (marchio del progetto Rurale Sociale di Regione Marche) per conferirgli l’istituzionalità che gli appartiene. -Una certificazione di qualità e un supporto costante di coordinamento pedagogico in grado di garantire la continuità temporale di aderenza ai requisiti di qualità del format di Agrinido. 51


3.4.2 Organizzazione degli spazi e materiale nell’Agrinido “L’orto dei pulcini” La struttura, completamente nuova, è stata creata secondo i principi dell’approccio montessoriano. Quindi, per quanto riguarda l’interno è stato organizzato un'unica grande stanza, suddivisa in diverse aree dal mobilio. Il corridoio all’ingresso è organizzato con un mobile nominativo nel quale vengono inseriti i cambi di ciascun bambino e nella parte superiore vengono esposte documentazione di progetto ma anche di tipo normativo

come

il

format

dell’Agrinido

di

Qualità,

permettendo ai genitori che vi si avvicinano di informarsi e divenire parte di questa realtà. Questo spazio è diviso dalla sezione tramite un pannello scorrevole, al di là del quale si trova l’area multifunzionale utilizzata con sala da pranzo e luogo per le attività da tavolo di gruppo. I tavoli sono affiancati da un angolo cucina, leggermente separato anch’esso da un pannello apribile e chiudibile a seconda delle necessità. Lo spazio sezione è molto luminoso in quanto dotato di ampie finestre che permettono di avere luminosità in qualsiasi ora del giorno (come richiesto nel Progetto Sperimentale). La sezione si struttura poi, con alcuni angoli adibiti a attività specifiche. La suddivisione degli spazi tramite gli arredi permette una continua revisione e modificazione di essi alla luce dell’età dei bambini e dei loro interessi. Nel momento della mia visita gli spazi erano suddivisi in: angolo morbido strutturato con alcuni materiali morbidi di riciclo e tappeto, angolo materiali

delle

attività

montessoriani

scientifiche che

con

implicano

operazioni logico-matematiche, di incastro o di motricità fine e infine, l’angolo simbolico con travestimenti, cucina e angolo delle bambole.

Separata

da

strutture

architettoniche è la zona nanna, arredata con letti montessoriani per facilitare l’autonomia dei singoli che possono svegliarsi e raggiungere il proprio letto con indipendenza e il bagno costruito a misura di bambino. L’ambiente esterno adiacente al nido è ancora in fase di costruzione, con l’intenzione di predisporre delle piccole realtà

52


che possano arricchire l’esperienza all’esterno, ad esempio quando mi sono recata presso l’agrinido era in costruzione una capanna in materiale naturale. Infatti, in questi anni di esercizio, i bambini hanno sempre utilizzato lo spazio esterno dell’azienda agricola, al quale si accede tramite un cancello adiacente alla struttura. La realtà che circonda il nido viene quindi utilizzato esclusivamente per svolgere alcune attività all’aperto come esperienze artistiche presso i tavolini predisposti sotto il portico, ma non contempla per ora, ancora nessuna progettazione specifica. Lo spazio utilizzato quotidianamente è all’interno dell’azienda agricola, in contatto con le attività aziendali. Esso è caratterizzato da oliveto, vigneto, orto, recinto delle capre, recinto con laghetto e anatre, pollaio, piscina, angolo della sabbia. L’angolo della sabbia è stato oggetto di un progetto da parte di una pedagogista che ha proposto una serie di attività all’interno di questo spazio che viene tutt’ora molto utilizzato dal gruppo educativo. Il recinto di animali è molto importante in quanto, come nei casi sopra citati, è positivo sia per la relazione bambino-animali e per la cura che viene implicata, ma anche per conoscere le fasi di vita (dal pulcino, alla gallina, alla morte naturale). La piscina, invece, viene utilizzata solo d’estate e diviene luogo di apprendimento delle principali tecniche di nuoto grazie alla formazione di un’educatrice. Saltuariamente viene proposto ai bambini una camminata lungo l’uliveto, il vigneto fino a raggiungere un piccolo lago distante pochi minuti dall’azienda. Mi ha riportato l’educatrice, che questa meta è di forte interesse per i piccoli abitanti della struttura, in quanto più ricercata rispetto al normale paesaggio proposto ai bambini e realtà che permette esperienze originali.

53


3.4.3 La giornata e le attività La struttura apre alle 7.30 e chiude alle 18.30 per garantire un buon sostegno alle famiglie di lavoratori. La fascia oraria di accoglienza si protrae fino alle 9.30 quando si consuma la merenda e intorno alle 10.00 ci si prepara per l’uscita. Anche in questa struttura i bambini vengono

aiutati

a

indossare

salopette

impermeabili o tute da sci. Le attività proposte durante la mattinata non sono troppo strutturate ovvero, come mi riporta l’educatrice Larisa Lupini: “può capitare che l’insegnante esce con l’intento di condurre i bambini nell’orto, ma se nel percorso l’intero gruppo viene attirato da un particolare, si accoglie e si valorizza questo interesse, modificando cosi l’obbiettivo della giornata”. Le attività proposte avvengono in gruppi misti o suddivisi tra più grandi e più piccoli, a seconda delle esperienze proposte e abilità richieste. Le proposte sono connesse agli spazi aziendali, come portare gli scarti di cibo nei recinti, attività di semina e raccolta, camminate, rapporto all’interno dei recinti con pecore e galline, attenzione e osservazione del cambiamento delle stagioni e del terreno, uscite nelle aziende agricole vicine, conoscenza delle verdure e della frutta appena raccolta attraverso manipolazione e coinvolgimento di tutti i sensi, vendemmia, percorsi sensoriali nati da gallerie o elementi che si trovano in natura ed esperienze artistiche all’esterno come decorare un murales o pittura con mani e piedi. Altra attività molto apprezzata è il giro in trattore con l’imprenditore agricolo che suscita forti emozioni tra i bambini. Intorno alle 12 si consuma il pranzo, per la cui preparazione può essere richiesta la collaborazione dei bambini più grandi che durante la mattinata hanno raccolto ortaggi e frutta e insieme ad una educatrice tagliano e osservano l’evoluzione di ciò che poi mangeranno a pranzo, affinchè ci sia una percezione completa del cibo. Alle 13 si svolge la prima consegna oppure i bambini vengono messi a letto dove, come detto in precedenza, la struttura dell’ambiente rende questo 54


momento molto autonomo. Al risveglio si svolgono attività all’interno o all’esterno fino alle 18.30, orario dell’ultima riconsegna. In questo agrinido, come in altri, si svolgono routine anche all’aperto quando il tempo lo permette come il pranzo (anche come pic nic) e il riposino. La struttura è, dunque, molto ricca per quanto riguarda le offerte dello spazio dell’azienda agricola, mentre ancora in fase di costruzione nei luoghi adiacenti al nido. Viene data comunque molta importanza agli interessi dei bambini e alla comprensione integraledelle attività dell’azienda agricola.

3.5 Riflessioni Le correnti di pensiero che hanno portato alla strutturazione di questi servizi sono molteplici e ognuna ha dato la propria impronta. Quindi, questo fenomeno non ha permesso di costruire un unico modello di Agrinido, quanto piuttosto una molteplicità di forme. Quello che ho riscontrato nel corso di queste visite sono alcune diversità dal punto di vista dell’organizzazione strutturale, mentre sono presenti forti somiglianze dal punto di vista delle attività proposte. Infatti, le esperienze ritornano in modo simile nei tre servizi, tra cui: inserimento del cibo biologico dell’azienda nel menu, coinvolgere il bambino nel momento della preparazione del pranzo e conoscenza dell’iter di produzione, attività di manipolazione e contatto con elementi naturali, osservazione del mutare dell’ambiente naturale al cambiare delle stagioni e proposte di camminate. Sono risultati inoltre concordanti nel definire l’importanza dell’interesse dei bambini, che deve essere accolto e promosso dall’educatrice. Per quanto riguarda la progettazione degli spazi invece, l’Agrinido “Piccoli Frutti” e l’Agrinido “L’ErbaVoglio” sono risultati più strutturati, con la predisposizione di angoli adibiti a determinate attività che possono arricchire l’esperienza del bambino nella natura. Un esempio è il percorso sensoriale dell’Agrinido di Boschetto a Cremona, oppure i materiali non strutturati naturali che vengono allestiti nel bosco dell’Agrinido L’ErbaVoglio. Questi spazi non risultano artificiali, ma possono essere un’occasione, una sorta di promozione di un aspetto della realtà che potrebbe passare inosservato agli occhi del bambino. Inoltre, vivere le attività dell’azienda agricola è sicuramente importante e permette ai bambini di conoscere iter produttivi e azioni di cura e processi di crescita. Però permettere loro di avere, oltre alla realtà della ditta, anche una dimensione “in piccolo” (termine utilizzato nel Progetto Sperimentale Agrinido di Qualità p. 32), può avvalorare ciascuna azione realizzata all’interno dell’azienda. Ad esempio, curare saltuariamente l’orto dell’azienda può essere una positiva attività ricreativa, ma impedisce di comprendere il valore della costanza della cura, in quanto i bambini a prescindere dalla loro azione vedranno crescere rigogliosi i frutti dell’orto, grazie all’aiuto di terzi che si occupano di 55


quest’ultimo, anche quando le attività dei bambini comportano altro. Sarebbe, dunque, estremamente positivo creare delle dimensioni aziendali a misura di bambino affinchè possano comprendere l’impegno e la dedizione che è richiesta per questo tipo di attività, rendendo i bambini unici protagonisti della piccola realtà agricola creatasi. Ho riportato questo esempio poiché definire e progettare l’area limitrofa o parte dello ambiente che circonda l’agrinido è una risorsa che può esaltare la funzionalità educativa dello spazio. Il nido deve essere un luogo capace di sostenere e alimentare le percezioni sensoriali, raffinarle e arricchirle, affinchè non diventi semplice spazio di sfogo.

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4 Progettare gli spazi esterni al nido

4.1 Perché è importante la progettazione degli spazi esterni “La vita in giardino è di solito considerata la Cenerentola della programmazione. Viene trattata senza riguardo, e lasciata in disparte mentre le sorellastre importanti (le attività programmate) vanno al ballo. Ma la sguattera diventa una principessa se sappiamo valorizzarla” Penny Ritscher Dopo aver analizzato le realtà degli agrinidi e avere individuato le possibilità e i risvolti positivi che può fornirci lo spazio esterno, mi sono concentrata su quell’ottica che predispone la progettazione degli spazi come una risorsa per il servizio. Negli ultimi anni, forse a causa di una maggior incidenza della sedentarietà, ci si è concentrati sulla progettazione pedagogica degli spazi interni, dimenticandosi che il servizio educativo è costituito anche da ambienti esterni, che necessitano della stessa attenzione e dello stesso ascolto. I giardini dei nidi d’infanzia, così come i parchi giochi, sono pensati considerando esclusivamente, o quasi, il loro aspetto funzionale, per essere usati, ma non vissuti pienamente dai bambini. Spazi riservati al gioco libero, in cui il ruolo dell’adulto diventa quello di intervenire con divieti, in quanto ciò che li circonda risulta non essere ben pensato. Predisporre lo spazio è una parte importante del lavoro educativo, perché l’adulto esercita la propria funzione di sostegno allo sviluppo, non solo quando interviene nel rapporto diretto con il bambino, ma anche quando agisce indirettamente organizzando il contesto (Cirlini, Davoli, Fantini, Pedrazzoli, 2007, p.17). Inoltre, lo spazio che ci circonda ha una forte influenza comunicativa su di noi, è in grado di informarci sulla qualità del servizio, sui suoi principi pedagogici e sul valore attribuito ai bambini. Gli Indicatori di qualità per l’asilo nido della Regione Toscana (1993) evidenziano la progettazione della zona esterna al servizio, come elemento essenziale e che riconosce un valore di qualità alla struttura. «Anche lo spazio esterno dell’asilo nido deve essere organizzato per offrire opportunità educative organicamente integrate nell’esperienza quotidiana dei bambini; devono inoltre essere adottati opportuni accorgimenti perché lo spazio esterno sia fruibile con continuità anche in condizioni meteorologiche non ottimali» (Linee guida e approfondimenti. Bambini e natura nei servizi alla prima infanzia, 2009, Comune di Firenze, p. 51).

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Ne deriva una concezione di progettazione come fattore primario del servizio educativo e soprattutto che deve essere riconnessa allo spazio esterno, in quanto la definizione e delimitazione di aree all’interno del giardino permettono di connotare in maniera significativa l’esperienza del bambino, consentendo l’elaborazione delle sue conoscenze a seconda delle opportunità, delle libertà, o delle rigidità che lo spazio assume. Progettare lo spazio esterno non significa, rendere artificiale o forzato il contatto con la natura, piuttosto risulta essere un processo che ne valorizza i singoli elementi, mettendoli a disposizione dei piccoli abitanti del servizio. Importante è quindi, poter offrire ai bambini una molteplicità di opportunità di sperimentazione e conoscenza dell’ambiente esterno. Progettare le aree esterne deve essere un processo valorizzato in qualsiasi scenario educativo, dal nido di città, all’agrinido. Quindi sia per quei servizi che intorno a loro hanno una ricchezza di stimoli naturali a cui ispirarsi, sia per quelli che invece devono strutturarseli in proprio, poiché in quanto strutture educative, lo spazio aperto deve essere visto come luogo di apprendimento e veicolante di un significato formativo. L’idea di base risulta essere la definizione di un parco che risponda alle vere esigenze di chi lo frequenta: che sia ricco, piacevole ed accogliente, che sappia sostenere e stimolare libere esplorazioni, sperimentazioni, movimenti, ricerche e costruzioni dei saperi dei bambini e delle bambine. Un parco ricco di possibilità naturali.

4.2 Cosa significa progettare La definizione del termine “progettare” ne delinea le caratteristiche, quindi le risorse che un contesto educativo può trarne. In ambito pedagogico-didattico “Il progetto è una modalità di lavoro aperta, situata e flessibile. Pista di lavoro poco strutturata in cui è valorizzato l’aspetto soggettivo, formativo e intersoggettivo, senza trascurare quelle variabili che consentono di dare direzionalità ed intenzionalità al percorso” (Martini, Mussini, Gilioli, Rustichelli, Gariboldi, 2015, p.19-20). Si tratta quindi di un sistema di proiezione verso il futuro, strutturato su processi rivedibili e riformulabili e fondato su un’ottica di problem solving. Il termine “progettazione”, può rimandare erroneamente nelle nostre menti a una realtà rigida e strutturata, quasi artificiale, ma è proprio su tale aspetto di pianificazione ed interpretazione della situazione educativa, che si differenzia dalla programmazione, assumendo una valenza antinomica rispetto ad essa. La programmazione, infatti è eco di un approccio adultocentrico, basato su un’idea di insegnamento-apprendimento conseguenziale e gerarchica. Si basa, dunque, sulla predeterminazione degli elementi con impossibilità di modifica, all’interno di una descrizione sistemica del processo. Iter controllabile 58


empiricamente e funzionale a una scansione dettagliata e preordinata degli eventi. Si tratta, dunque, di due diversi approcci alla realtà educativa il primo caratterizzato da flessibilità e il secondo da rigore degli eventi. La progettazione pur accettando una condizione di provvisorietà, non svaluta il rigore metodologico che deve necessariamente caratterizzarla. Infatti, nonostante si identifichi come imprevedibile, Munari precisa che tale caratteristica convive con ordine e scientificità, tipica di un processo di ricerca, in quanto strutturata come tale: partendo dalla definizione puntuale del problema, passando per l’analisi e raccolta di dati, per poi condurre alla formulazione di un’ipotesi e sua verifica sperimentale (Martini, Mussini, Gilioli, Rustichelli, Gariboldi, 2015, p.22). Il lavoro per progetti valorizza una concezione di educazione propositiva basata su invenzione e scoperta e quindi che concepisce il sapere non come possesso, ma come processo e conquista. È inoltre, una modalità di pianificazione che fa leva sugli interessi del gruppo, in quanto predispone itinerari investigativi e problemi che vanno a definire il vero bisogno e la curiosità del bambino, per promuoverla attraverso una ridefinizione degli item del progetto. Per delineare i bisogni e gli interessi del gruppo, è fondamentale dedicare una parte iniziale della progettazione all’osservazione, di modo che le insegnanti possano rendersi conto di quali sono le necessità dei bambini e le zone dello spazio di cui si usufruisce maggiormente. Successivamente si procede con la formulazione di un’ipotesi nella quale si definiscono delle linee possibili di azione nel contesto, ambiti esplorabili, percorsi progettuali, metodi, tipologia di documentazione e partecipazione. A seguito di una fase di ricognizione durante la quale si prende in analisi il frutto

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della progettazione (facendo riferimento alla documentazione raccolta) e quindi i suoi aspetti positivi o negativi, si può formulare un rilancio progettuale. Il rilancio permette di ridefinire alcune parti (contesto e percorso progettuale) del progetto iniziale, a seguito di riletture delle esperienze, andando ad enfatizzare uno spazio o una realtà che è stata particolarmente sfruttata oppure partendo da una frase di un bambino che ha incuriosito l’intero gruppo. Ridefinizione, che sfocerà in un’ulteriore verifica ed analisi di ciò che è stato pianificato. Il progetto risulterà avere quindi un assetto circolare e retroattivo, come rappresentato nel grafico nella quale vengono indicati sia gli step fondamentali della progettazione, sia gli strumenti principali utilizzabili (figura 3, Martini, Mussini, Gilioli, Rustichelli, Gariboldi, 2015, p.109). Questa caratteristica permette agli educatori di andare continuamente a ridefinire il progetto di modo che sia sempre un’attività profondamente sentita e vigorosa, affinchè la conoscenza sia frutto di un impegno personale (Martini, Mussini, Gilioli, Rustichelli, Gariboldi, 2015, p.23). Da parte dell’educatore, l’approccio progettuale richiede sguardo critico nel momento fondamentale dell’osservazione, cogliendo le strategie e riflessioni messe in atto dai bambini; capacità di interpretazione in corso di esperienza; capacità di valutare le circostanze e orientare il proprio agire; porsi e porre domande germinative per trovare nuove soluzioni e per sollecitare nuovi percorsi di apprendimento. È inoltre fondamentale che vi sia un quotidiano dialogo all’interno del gruppo educativo, affinchè si favorisca uno scambio e rilettura intrecciata delle informazioni raccolte osservando i bambini in azione o la fruizione degli spazi. 4.2.1 Esempio pratico dell’iter di progettazione dello spazio esterno al nido All’interno del libro Il parco che vorrei (Cirlini, Davoli, Fantini, Pedrazzoli, 2007, p. 57) è riportato un esempio pratico di progettazione dello spazio esterno di strutture educative presso i Comuni di Albinea, Cadelbosco Sopra e Quattro Castella. Le autrici riportano dunque l’iter che è stato adottato per definire le realtà del giardino in diverse strutture, sia nido che scuola di infanzia. Io ripoterò il caso del Nido d’infanzia “E. Carpi” Zurco di Cadelbosco Sopra (Cirlini, Davoli, Fantini, Pedrazzoli, 2007, p. 78-81). Il nido è stato coinvolto in un progetto di ridefinizione dell’area cortiliva, che circondava la costruzione adottando un approccio di “progettazione partecipata” che consiste in una modalità di lavoro che coinvolge direttamente i bambini nella strutturazione del loro parco. L’esperienza riportata riprende alcuni dei passaggi fondamentali, già evidenziati, della progettazione: osservazione, individuazione di ambiti esplorabili, definizione di percorsi progettuali e partecipazione. Nella prima parte dell’anno, infatti, sono state raccolte osservazioni ad ampio raggio rispetto a comportamenti/interessi/relazioni/movimenti dei bambini durante il tempo passato all’esterno, da 60


cui sono emersi tre focus osservativi sui quali si sono in seguito concentrate l’osservazione e la progettazione: movimento, esplorazione sensoriale e ricerca di intimità. Per avere un quadro osservativo più vasto e articolato si è pensato di coinvolgere i genitori nelle fasi di osservazione, fornendo loro griglie osservative di modo che fossero in grado di dare un contributo alle insegnanti. A seguito di questa fase osservativa iniziale, sono state prese in analisi le documentazioni compilate e appunti presi, da cui le insegnanti dei nidi hanno individuato quattro aspetti cruciali, presi in considerazione come obiettivi fondanti il progetto degli spazi esterni: motricità, sensorialità, gioco drammatico e/o di finzione, costruttività e comunicazione. Nella stessa assemblea, dopo aver discusso e concordato sui bisogni emersi dai bambini si sono prese in esame varie soluzioni per rispondere a tali esigenze, individuando quelli che sono gli ambiti esplorativi o contesti da valorizzare. Ad esempio, per il movimento sono state proposte da insegnanti e genitori varie soluzioni, per ognuna si è ragionato tenendo conto di vari parametri: costi, sicurezza, difficoltà a reperire i materiali. Successivamente è stato chiesto ai genitori di partecipare ad alcuni ultimi incontri durante i quali, con le insegnanti venivano realizzati i materiali e spazi del giardino della struttura. I genitori hanno costruito: ruota dei colori e dei suoni, vasche di manipolazione, pendenti sonori, percorso motorio, fioriere, fiori comunicanti, tunnel, macchina infernale (vasca di manipolazione trasparente). Tale esempio rivela nella pratica in cosa consiste l’iter progettuale e l’importanza di questa tecnica, attraverso la quale è possibile individuare i bisogni degli utenti, affinchè il giardino sia a misura dei suoi abitanti e non pensato esclusivamente dall’adulto estraniato dal contesto stesso.

4.3 Criteri pedagogici di organizzazione dell’ambiente esterno Le risorse dello spazio esterno sono molte, meritano di essere valorizzate e la progettazione pedagogica facilita questo processo. Definire dei criteri di progettazione dei giardini dei servizi educativi potrebbe orientare ad una maggiore frequenza di questi spazi, di modo che vengano utilizzati e sfruttati di più. È importante ricordare che la definizione dell’ambiente esterno deriva da un’attenta osservazione dei suoi fruitori e del contesto, infatti sarebbe scorretto delineare un tipo di progetto adatto a qualsiasi struttura. Gli aspetti elencati sotto, possono stimolare educatori a ridefinire la realtà esterna, promuovendo interessi dei bambini che entrano in contatto con la natura e delineando percorsi educativi che siano stimolo per loro stessi ad uscire all’aperto. In quanto principi generali, devono essere rivisti e adattati rispetto a ciascun servizio.

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4.3.1 Differenziazione funzionale degli spazi Uno spazio esterno grande, anonimo, vuoto e piatto non è un giardino “educativo”, esso deve essere piuttosto un luogo articolato, accogliente, affascinante, deve poter rappresentare potenzialmente una miniera educativa. Una tecnica utilizzata, anche nella definizione delle aree interne, è la differenziazione funzionale degli spazi. “Essa consiste nell’articolazione dell’ambiente in una pluralità e varietà di zone/centri d’interesse che possiedono una specifica valenza educativa. Tecnica che valorizza il potenziale di apprendimento dello spazio interno ed esterno, proponendo differenti stimoli ed opportunità di esperienza, facilitando la durata e l’evoluzione delle attività, favorendo la formazione e la stabilità dei sottogruppi di gioco e la qualità delle relazioni. La caratterizzazione delle zone, e le modalità di delimitazione delle stesse, in termini di chiusuraapertura, rappresentano aspetti che dovrebbero essere pensati e curati in riferimento al significato progettuale degli spazi e al tipo di azioni che si vogliono favorire nei bambini.” (Regione EmiliaRomagna, 2012, p.24) . Si tratta, dunque, della definizione di aree di apprendimento ben delimitate all’interno di un unico spazio esterno a disposizione. Fondamentale componente organizzativa è rappresentata dalla modalità di delimitazione degli spazi, ovvero dalla “disposizione di strutture divisorie e barriere percettive che consentono di differenziare l’ambiente facilitando l’autorganizzazione dei bambini” (Gariboldi, Fabbri, Mauro, 2008, p. 26). Tale tipo di organizzazione garantisce la comunicazione delle varie aree dello spazio, definendone però i confini che permettono di portare a termine attività senza essere disturbati da interruzioni casuali o da sollecitazioni non cercate di un altro gioco. Inoltre questa delimitazione definisce uno spazio educativo finalizzato, sicuro emotivamente, chiaro e leggibile, offrendo pretesti e stimoli. Questo tipo di progettazione non deve essere vista come una struttura artificiosa che inserisce i bambini in una macchinosa attività in cui sono obbligati, quanto piuttosto deve essere pensata come definizione di una realtà che sia ricca di possibilità e che sostenga l’apprendimento dei singoli. La modalità di delimitazione degli spazi esterni può avvenire utilizzando vari materiali

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divisori, tra cui quelli naturali (siepi, aiuole, sassi, tronchi adagiati orizzontalmente o rondelli di legno) oppure artificiali (muretti di mattoni, recinti, contenitori di metallo o vasi). Un esempio di queste delimitazioni si può osservare nella documentazione fotografica delle linee guida fornite dal Comune di Bologna (Comune di Bologna, 2015, pp.12-13). A sinistra un’area scavo delimitata da rondelle di legno e a destra un’area orticola delimitata da marciapiedi di cemento. I materiali a disposizione devono essere ricchi e accessibili, vari in quantità e qualità, sostituiti nel tempo con altri nuovi per evitare che si deteriorino. La scelta del tipo di materiale deve essere fatta in relazione allo spazio, preferendo materiale di riciclo e non strutturato o naturali (es. provenienti da scarti artigianali come legnetti della potatura, foglie raccolte con il rastrellamento) per vivere a pieno l’ambiente ecologico. Inoltre gli oggetti della natura sono polifunzionali e stimolano la creatività del bambino, in quanto non possiedono un unico metodo di utilizzo. Rimane comunque essenziale fornire strumenti tecnici quotidiani per rendere la realtà agricola a misura di bambino (es. rastrelli, palette, cariole, carretti, sacchetti di terra). Tale organizzazione permette, dunque, al bambino di orientarsi nello spazio facendo riferimento a punti stabili che riconosce nell’ambiente. La differenziazione funzionale, come detto prima, deve essere frutto di un’attenta osservazione da parte delle educatrici e di un confronto, in quanto connessa ai fruitori 4.3.2 Ricchezza di possibilità La definizione di spazi strutturati è quindi essenziale per garantire linee guida al bambino che vive la realtà esterna, affinché non si trovi spaesato e in un ambiente in cui difficilmente è possibile concludere attività educative. Per organizzare il giardino è importante creare delle aree che plasmino delle possibilità di apprendimento per il bambino. Zone che siano in grado, quindi di stimolare lo sviluppo delle abilità e che permettano di esercitarsi. Queste realtà per garantire uno sviluppo ad ampio raggio devono essere diversificate, coinvolgere vari tipi di esercizi e implicare un tipo di contesto differente di modo che il bambino venga a conoscenza di varie realtà che lo circondano. Ogni zona deve riuscire a valorizzare i dettagli e gli aspetti dello spazio in cui si realizza. Per riuscire a comprendere appieno cosa significa predisporre delle possibilità, quindi uno spazio esterno vario, è possibile fare riferimento ad alcune aree già realizzate all’interno di servizi italiani che possono essere viste come opportunità da calare ovviamente in ciascun contesto. 4.3.2.1 Zona di quiete. Lo spazio può essere organizzato diversamente rispetto alla struttura e alle risorse del servizio. In genere ci si rifà ad uno spazio contenuto, semi-chiuso, organizzabile con piccole sedute realizzate con tronchetti e delimitata da siepi, recinti o altri oggetti naturali, 63


preferibilmente in zone ombreggiate e fresche. È possibile utilizzare, anche in relazione all’età dei bambini, diversi materiali naturali: sezioni di tronco distese, balloni di paglia, accumuli di ramaglie mantenute in forma circolare da pali accoppiati di castagno. Il materiale deve poter essere spostato a piacimento dei bambini, affinchè siano loro stessi a strutturare il proprio spazio. Quest’area permette di trovare uno spazio di tranquillità, isolato dalle attività di movimento. Date le caratteristiche della zona, delimitata e riparata, possono essere proposte attività come quella dell’ascolto, durante la quale i bambini non solo colgono i rumori della natura, ma apprendono anche il valore del silenzio e l’importanza di ritagliarsi un momento di calma nell’arco della mattinata. Per rendere più funzionale questo spazio possono essere strutturate intorno a quest’area delle piante che attirano farfalle (es. Buddleja) o animali dell’avifauna di modo che siano stimolati tramite il senso dell’udito, ma anche della vista. Inoltre predisponendo questo contesto, con casette per gli uccelli con mangiatoie, si avvicinano i bambini alla conoscenza dei vari abitanti della natura. Oppure si possono predisporre piante che modificano in modo evidente i propri colori rispetto al susseguirsi delle stagioni, affinchè si creino degli angoli colorati che possono divenire, all’interno del cerchio, oggetto di discussione e confronto. Riservarsi un momento di raccoglimento (che può implicare l’ascolto o un confronto rispetto alle emozioni o esperienze vissute) prima di rientrare nella struttura, può essere funzionale per ritrovare la calma e rendere il momento del

rientro

più

tranquillo

e

meno

confusivo. Altre attività più strutturate realizzabili in questo spazio, sono quelle di discussione, lettura o canto, in quanto le sedute disposte circolarmente e il luogo in parte isolato rendono lo spazio una sorta di aula didattica all’aperto. Nell’immagine è riportato un esempio di organizzazione di questo angolo. L’immagine è stata estrapolata dalle Linee Guida del Comune di Bologna (Comune di Bologna, 2015, p.8). La struttura è stata organizzata con un recinto realizzato con elementi naturali, quindi con rami intrecciati tra loro e con delle sedute in legno realizzate con tronchetti di 30 cm di diametro e altezza. Un altro metodo per organizzare uno spazio di quiete è quello di costruire delle tane. Le tane rispondono a un bisogno di intimità. Tale esigenza è “un voler allontanarsi dagli sguardi, dagli occhi, dalle voci. È il desiderio di una pausa, la ricerca di un momento proprio che aiuta 64


l’elaborazione personale, la ricerca di sé. Si manifesta anche come un desiderio di contenimento per capire e toccare i propri confini. Desiderio che si mostra nella ricerca di luoghi appartati, di tane, momento di sosta per allargare lo sguardo. Luoghi dove stare un po’ da soli e sottrarsi alla “sorveglianza” degli adulti che spesso non consente di esercitare i piccoli spazi di autonomia, preziosissimi per sperimentare e mettersi alla prova” (Cirlini, Davoli, Fantini, Pedrazzoli, 2007, p.57). Le tane possono essere organizzate con materiali vari, sia completamente naturali (come siepi, intrecci di legno o bambù) sia materiali artificiali come la tela. Gli esempi riportati sono stati osservati, a sinistra preso Agrinido Piccoli Frutti (Boschetto, CR) realizzato interamente con materiale naturale e lasciato semiaperto. A destra, invece è stata realizzata una tana con oggetti artificiali ed è completamente chiusa per favorire una sensazione di riparo e protezione preso Nido Aquilone di Albinea (Cirlini, Davoli, Fantini, Pedrazzoli, 2007, p.77).

4.3.2.2 Zone di movimento attivo Queste aree implicano invece l’esercizio di determinate

abilità.

Quindi

l’esercizio

di

motricità fine o grossolana, sperimentazione di camminata su dislivelli, percorsi sensoriali ed esercizi di costruttività. Questi angoli, devono necessariamente essere divisi, delimitati ed essere pensati rispetto alle capacità dei bambini che abitano lo spazio. Per esercitare la capacità di movimento, intesa non solo come abilità di camminare, ma anche come capacità di 65


arrampicarsi, sedersi, salire e scendere, stare in equilibrio, si può usufruire dei materiali naturali tra cui: tronchi isolati, rondelle di legno e balloni di fieno. Questi materiali possono essere proposti all’interno di un’area come percorso possibile. È importante che gli oggetti siano, tutti o in parte, spostabili affinchè i bambini modifichino lo spazio alla luce delle esperienze che sono interessati a sperimentare. Un’altra tecnica è anche la strutturazione attraverso l’uso di aiuole o siepi di un piccolo labirinto entro il quale i bambini possano perdersi per poi ritrovarsi, testando così anche capacità di orientamento, anche se in piccola misura. Un esempio di percorso motorio che può essere proposto all’esterno è stato realizzato presso l’Agrinido l’ErbaVoglio (Bagnara di Romagna, RA) mettendo a disposizione materiali naturali (tronchi e balle di fieno) che ogni giorno prendono forme diverse e vanno a definire un tipo di esercizio differente, come riportato nell’immagine. Un’altra area di esercizio può essere quella del percorso sensoriale, che va a stimolare i 5 sensi del bambino, contemporaneamente o in modo separato, per riuscire a favorire la consapevolezza da parte dei bambini del proprio corpo e di cosa gli elementi della natura suscitano su di esso. Questa zona può essere costruita in modo fisso attraverso piccole buche delimitate nel terreno, nella quale vengono posti diversi materiali, oppure predisponendo vasche o scatole (non deteriorabili) con all’interno materiali di varia natura. I contenuti delle scatole o delle fosse possono essere svariati purchè stimolino tutti i sensi del bambino. Tra questi: foglie secche, sassi, acqua, fiori, semi, fango, terra e ghiaia. I percorsi sensoriali in genere possono essere vissuti a piedi nudi e con le mani libere affinchè ogni piccola realtà possa essere toccata dall’intero corpo, annusata, osservata in tutte le sue caratteristiche, stimolando il nostro udito e osservando i rumori che si provocano camminando sopra tali materiali. Per stimolare anche il gusto possono essere previste delle vasche (rispettando le norme igieniche) in cui vengono messi a disposizione dei frutti, dando la possibilità ai bambini di guardarli, assaggiarli e manipolarli. Ho potuto osservare un esempio di percorso sensoriale

all’interno

dell’Agrinido

Piccoli Frutti (Boschetto, Cremona), realizzato creando dei solchi nel terreno nei

quali

sperimentare

i

bambini varie

potevano

tipologie

di

materiale sotto i loro piedi. Come possiamo vedere nell’immagine è stato delimitato lo spazio così che ne derivi una progettazione ordinata. 66


Un ultimo angolo di esercizio che può essere proposto è quello della costruttività. In genere è un’attività che viene proposta all’interno, ma che può essere rivista anche in uno spazio esterno predisponendo materiali naturali (tra cui sassi, rami, cortecce, radici, foglie raccolte a terra, fiori, tronchetti, paglia, ghiaia…) all’interno di vasche o vasi, che possono andare a definire costruzioni interamente strutturate dai bambini, sperimentando così anche concetti quali, l’equilibrio, la pesantezza, la stabilità e la solidità. Questo spazio può inoltre essere luogo di proposte da parte delle educatrici che implicano la costruzione tramite tecniche naturali assodate. Per esempio, a seguito della formazione di alcune insegnanti, può essere mostrato ai bambini il procedimento di costruzione di mattoni in terra cruda, per poi costruire insieme una casetta per il gioco simbolico all’esterno, oppure qualcosa da condividere in gruppo. Tale attività oltre che a definire un apprendimento tecnico di come si strutturano mattoni, permette anche di comprendere il valore della collaborazione, dell’ascolto delle regole e della manualità. Un esempio di spazio della costruttività all’aperto è stato mostrato all’interno delle Linee Guida del Comune di Bologna (Comune di Bologna, 2015, p.10) e lo vediamo rappresentato nell’immagine a fianco, dove sono stati realizzati dei contenitori all’interno dei quali è stato suddiviso il materiale. Realizzare questi spazi con ordine, magari con targhette sopra ad ogni cesto permette di coinvolgere i bambini anche nel momento del riordino di modo che possano muoversi in autonomia aiutando l’insegnante a riordinare. 4.3.2.3 Zone di cura La progettazione può implicare la predisposizione di piante e di animali domestici (di piccola, media o grande taglia rispetto allo spazio che si ha a disposizione e rispetto alle competenze delle insegnanti che devono accompagnare i bambini). Una prima proposta può essere quella dell’orto, ovvero un piccolo appezzamento di terreno nella quale si coinvolgono i piccoli abitanti della struttura, alla semina e cura di ortaggi, fiori e piante da frutto. Sarebbe molto positivo delineare piccole aree, all’interno dello stesso orto, per ciascun bambino, creando giardini personali, stimolando così il senso di responsabilità di ciascuno verso ciò 67


che si è seminato. Oltre allo spazio orticolo suddiviso per ogni membro del gruppo è possibile creare cartelli ed appendere dalle immagini di ciò che si ha seminato, così da poter proporre un confronto ai bambini una volta germogliata la pianta. Inoltre, si può corredare l’area con una scatola/cassa/armadio in cui i bambini ripongono i loro attrezzi agricoli (palette, rastrelli, annaffiatoi), di modo che non regni mai la confusione,

ma

dia

sempre

l’impressione di un luogo ordinato. “L’intento non è solo quello di accrescere la conoscenza dei bambini sulle fasi di sviluppo delle piante, quindi l’iter di produzione di ciò che mangiano durante il pranzo e di ampliare la conoscenza dei bisogni reali delle piante, ma anche di comunicare rispetto e attenzione per la natura. Tale esperienza consente ai bambini di comprendere il concetto di ‹trasformazione› basato sulla sinergia tra diversi elementi: terra, sole, acqua, aria e sullo scorrere del tempo” (Gariboldi, Fabbri, Mauro, 2008, pp. 43-44). L’orto può essere anche occasione di coinvolgimento dei genitori, sia per la sua costruzione, sia per attività occasionali. L’educatrice dell’Agrinido Piccoli Frutti (Boschetto, Cremona) durante la mia visita presso la struttura, ha riportato una loro esperienza promossa per la Festa della Mamma, durante la quale ogni mamma ha acquistato un piantina e l’ha piantata insieme al figlio/a in un’area apposita. Questa attività ha permesso la condivisione di un momento speciale madre-bambino, e ha creato un’occasione in cui il genitore potesse fornire un dono di cui il bambino potrà prendersene cura per tutto l’anno. Lo spazio, inoltre, può essere allargato con la definizione di un angolo delle erbe aromatiche che potrà essere anche esso oggetto di attività che permettono di sperimentare l’intera vita dell’erba (semina, raccolta, utilizzo come profumatore di ambienti o aroma delle minestre). Nell’immagine in alto, vediamo l’area orticola costruita presso il Nido Scuola Faber organizzata con divisori per ogni coltura e tipologia di pianta (Reggio Emilia). A

68


fianco, è riportata un’immagine del progetto sopraccitato per la festa della mamma e realizzato presso l’Agrinido Piccoli Frutti (Boschetto, Cremona), Un'altra zona che sostiene il bambino che impara a prendersi cura, è l’area che ospita alcuni esseri viventi. In base allo spazio a disposizione si possono accogliere animali di piccola taglia (quali conigli, criceti, pesci rossi) mentre per strutture più ampie, magari già dotate di animali come le aziende agricole che offrono servizio di agrinido, si può pensare di accettare anche animali di grande taglia (come mucche, caprette, galline, anatre). Questi spazi devono essere predisposti in base alle esigenze dell’animale di modo che si crei il loro habitat naturale. L’idea di accogliere un animale all’interno dello spazio esterno dei bambini è estremamente positivo, soprattutto per far nascere nei bambini il rispetto per gli esseri viventi. Inoltre l’animale insegna responsabilità, in quanto implica l’idea di prendersene cura, fornirgli cibo e affetto, divenendo consapevole delle attenzioni che richiede un altro essere vivente, stimolando il bambino a perdere la propria centralità. “L’animale educa a una nuova visione di tempo ovvero il qui e ora, in quanto gli animali sono concentrati sulla realizzazione dell’adesso, inoltre riporta il bambino

alla

centralità

della

corporeità

poiché

la

comunicazione non verbale, fatta di contatto e sguardi è la primaria e fondamentale” (Durastanti, De Santis, Orefice, Paolini, Rizzuto, 2016, pp.14-15). L’immagine mostra parte dello spazio per le capre e i conigli realizzato all’Agrinido Piccoli Frutti (Boschetto, Cremona) costituito da recinto molto ampio con mangiatoie, paglia e terriccio. 4.3.3 Polifunzionalità e loose parts La teoria delle Loose Parts è stata elaborata da Simon Nicholson (1972, cit. in Cirlini, Davoli, Fantini, Pedrazzoli, 2007, p.9), la quale afferma che: “In qualsiasi ambiente, sia il grado di inventiva e di creatività, sia la possibilità di scoperta, sono direttamente proporzionali al numero e al tipo di variabili in esso presenti”. È quindi fondamentale la qualità del materiale che viene proposto negli spazi, in quanto è in grado di influenzare lo sviluppo del bambino. Le loose parts (letteralmente “parti sciolte”) di Nicholson sono elementi (naturali, di recupero, di scarto industriale) che possono essere spostati, trasportati, combinati, infilati, impilati, separati e rimessi insieme, usati da soli o combinati con altri materiali, in uno spazio di costruzione libero oppure delimitato da “supporti” di diverso genere (teli, reti metalliche, cornici, cartoncini, materiale 69


plasmabile), possiedono possibilità ludiche infinite e la loro totale mancanza di struttura ed intenzionalità permette di “farle diventare” tutto quello che l’immaginazione desidera. I bambini diventano co-produttori di arte, spazio e cultura. Nella progettazione dello spazio esterno è positivo procurare parti sciolte, come pietre, tronchi, sabbia, ghiaia, tessuto, rami, legno, pallets, palle, secchi, cesti, casse, scatole, fiori, corda, pneumatici, conchiglie e semilavorati. Tale materiale garantisce una stimolazione della creatività, un sostegno all’autonomia del bambino che si esercita nella capacità di scelta, sviluppa molte più abilità rispetto ai materiali commerciali, invoca i bambini a sperimentare, impegnarsi, costruire e divengono inevitabilmente fisicamente e mentalmente più attivi. Inoltre l’utilizzo delle loose parts permette di avvicinare i bambini al concetto di riciclo, ovvero l’importanza di riutilizzare per ridurre i rifiuti e lo spreco. Le parti sciolte garantiscono quindi la presenza di spazi polifunzionali che stimolano il bambino in molteplici utilizzi dello stesso materiale e della stessa zona. Alcuni esempi sono stati riportati all’interno del blog “Let the children play”. Il blog è gestito da un’insegnante di infanzia che condivide i progetti dei servizi di infanzia in cui lavora. Un progetto estremamente interessante e riportato nel blog è la predisposizione di muschi, licheni e cortecce (come possiamo osservare nell’immagine estrapolata dal blog) per creare mondi magici insieme ai bambini. Oppure, è stato fornito un cartone di grande dimensioni che è stato trasportato per il parco dai bambini durante l’intera mattinata assumendo identità differenti: un autobus, una base per le bambine, poi per i bambini, una tovaglia per prendere il the e infine uno scivolo. 4.3.4 Accessibilità e indipendenza Un altro elemento essenziale per garantire una buona progettazione dello spazio esterno è l’accessibilità. È fondamentale che le aree predisposte per il bambino siano tutte raggiungibili in maniera autonoma, così da favorire l’indipendenza dei singoli. L’autonomia implica sicuramente la padronanza del proprio corpo, che si acquisisce proprio nella prima infanzia. Riferendosi ai bambini non ancora dotati di capacità di movimento, ma che sono in grado di stare seduti è importante strutturare uno spazio in grado di sostenere la loro conoscenza della natura nonostante la temporanea incapacità di muoversi, per esempio fornendo una serie di materiali, piante e terreni a sua disposizione di modo che la stazionarietà non risulti essere un ostacolo all’apprendimento. Per i 70


bambini tra i 6 e i 12 mesi, che iniziano i primi tentativi di movimento come il gattonamento, può essere funzionale la presenza di rampe oppure scalini purchè sempre affiancati da ringhiere che fungano da sostegno. Recinti, materiali che delimitano le aree devono essere tutti apribili o sorpassabili dai bambini di modo che non richiedano l’aiuto di un educatrice. Inoltre rendere gli spazi leggibili, permette al bambino di orientarsi nello spazio e dunque di sapersi muovere, iniziando a percepire l’ambiente come famigliare. Infine per garantire libertà e indipendenza al bambino è necessario che lo spazio sia reso sicuro così che possa giocare tranquillo senza essere disturbato da eccessivi divieti. 4.3.5 Flessibilità e riprogettazione “La voglia di scoprire dei bambini richiede uno spazio flessibile che può essere utilizzato in modi diversi. Una volta che il bambino impara come si utilizza uno spazio e lo sperimenta alcune volte, si stanca di esso e finisce per rendere questa apparecchiatura uno spreco di tempo e denaro. Uno spazio flessibile aiuta anche l'insegnante a sostenere l'interesse dei bambini e a stimolare il loro sviluppo” (Walsh, 2016, p.7). Uno degli aspetti fondamentali infatti è la capacità di saper rispondere sempre alle esigenze dei fruitori del servizio. In quanto soggetti a progressi rapidi, i bambini necessitano di uno spazio che cresca insieme a loro, così che non risulti mai troppo ristretto rispetto alle loro capacità. È quindi importante che le aree esterne e i bambini che si muovono al loro interno, siano sempre oggetto di osservazione delle insegnanti. Le varie zone devono poter mutare alla luce dell’interesse del bambino che li frequenta, della sua crescita e rispetto alle sue abilità. Inoltre i materiali che definiscono le varie aree devono essere mobili affinchè la revisione dello spazio e la sua ristrutturazione siano più semplici. 4.3.6 Mantenimento e cura del giardino co-gestiti dai bambini Curare lo spazio esterno è generalmente visto come un dovere, di cui si occupano esclusivamente gli adulti, in quanto richiede competenze specifiche. Al contrario, questo compito può essere occasione di apprendimento per i bambini. Essi possono effettivamente contribuire a tenere il giardino ben curato e piacevole alla vista e al contempo divertirsi. Anche i bambini più piccoli possono unirsi a raccogliere cartacce portate dal vento all’interno del giardino, rastrellare per poi cogliere le foglie in una carriola usando mani e palette oppure innaffiare le piante fornendogli la loro quantità d’acqua giornaliera. Il bambino che impara già dai primi anni di vita a prendersi cura e rispettare i bisogni dell’ambiente, sarà probabilmente un adulto consapevole, con principi ecologici consolidati che lo conducono a una relazione responsabile con l’ambiente. Inoltre le pratiche di cura del giardino implicano necessariamente la collaborazione dell’intero gruppo così da favorire la 71


collaborazione, i legami e l’aiuto reciproco, quindi si apprende il valore della comunità e il piacere dell’interazione. Per favorire questo compito, si possono strutturare dei contenitori appositi, anche nominali, nei quale i bambini posizionano i loro attrezzi su misura come rastrelli, palette, forbici per la potatura, cestelli per la raccolta di frutti e ortaggi, carriole, ma anche materiali per comprendere meglio le caratteristiche degli oggetti come la lente di ingrandimento o lo stetoscopio con il quale si possono proporre attività di ascolto degli elementi della natura. Allo stesso modo, se nel giardino sono predisposti piccoli recinti per gli animali è importante coinvolgere i bambini nella fase del nutrimento o dell’igiene. Così come ha riportato la testimonianza di un’educatrice dell’Agrinido “L’orto dei pulcini” (Ostra, AN) è fondamentale educare i bambini a rapportarsi con l’animale così da non spaventarlo e per riuscire ad instaurare un rapporto e un legame. All’interno dell’agrinido sopraccitato sono stati realizzati dei progetti che permettevano ai bambini di comprendere come relazionarsi con le capre per far si che esse prendessero il cibo dalle mani dei bambini stessi. Nell’immagine a lato, scattata presso l’Agrinido l’ErbaVoglio (Bagnara di Romagna, RA) è rappresentato uno spazio per l’attrezzatura dei bambini organizzato con carretti. Ogni bambino ha un proprio carretto dove all’interno vengono posti gli attrezzi necessari sia durante le passeggiate nel bosco sia per la cura degli spazi. 4.3.7 Collegamento interno-esterno Spazio interno ed esterno raramente sono intesi in una logica di continuum naturale ovvero come zona di interdipendenza e compenetrazione tra fuori e dentro, quanto piuttosto vengono pensati come luoghi dove fare esperienze diverse, elogiando la sezione come luogo di apprendimento per eccellenza, mentre il giardino come area in cui sfogarsi, correre e saltare. Al contrario ipotizzare una connessione tra i due ambienti sarebbe estremamente positivo, in quanto può arricchire e trasformare entrambe gli spazi. Il flusso di idee, intrecci e ragionamenti che si scatenano a contatto con la natura, se portato all’interno può accrescere e implementare vertiginosamente le competenze e gli apprendimenti. “Diviene allora oltremodo interessante provare a pensare la ‹soglia› e il ‹confine› quale una delle zone più stimolanti in cui avvengono traghettamenti di azioni e di esperienze e in cui si può ipotizzare di individuare una possibile zona di sviluppo prossimale degli apprendimenti e dei saperi” (Malavasi, 2013, p. 36). È dunque fondamentale tracciare elementi di 72


continuità

interno-esterno,

ma

anche

di

differenziazione che sappia esaltare le peculiarità dei due luoghi. Innanzitutto un elemento da ripensare può essere la “soglia” creando una zona di passaggio con rituali. Progettare in modo curato questa zona è importante per rendere il momento dell’uscita ricco di emozioni, ma privo di confusione come può capitare nei momenti in cui ci si sposta da una realtà all’altra. Inoltre uno spazio speciale in cui passare dalla struttura interna al giardino può essere un’occasione per creare un rituale attraverso cui gli animi dei bambini vengono placati e preparati a vivere uno spazio differente da quello appena vissuto. La strutturazione di questo spazio può essere diverso in base alle forme di accesso al giardino e alle proposte che si vogliono realizzare in tale zona. Esempi possono essere tendoni sensoriali con materiali (teli di plastica, conchiglie, legnetti, strisce colorate) che scendono dal soffitto, che possono essere posizionati nella zona di soglia o subito antistante alla zona di accesso all’esterno che rendono il momento dell’uscita speciale vivendo lo spazio come luogo di un rito di passaggio. Un altro aspetto che può essere riprogettato è la connessione che può realizzarsi tra interno ed esterno. Riuscendo a trasportare elementi naturali all’interno, di modo che siano valorizzati dalle strutture in esso predisposte, e realizzando nel giardino attività che generalmente si svolgono in sezione. Queste azioni permettono ai bambini di cogliere il valore educativo dell’intera istituzione scolastica che si estende per tutti gli spazi interni ed esterni. Inoltre permette di approfondire realtà sfruttando le caratteristiche degli spazi. Per esempio all’interno della sezione possono essere organizzati spazi naturali ovvero aree dove all’interno di ceste, vengono raccolti i materiali trovati interessanti dai bambini durante le loro passeggiate in giardino. I materiali inseriti in scatole differenti rispetto alla tipologia, si possono estrapolare da ciascuna cesta per essere indagati in modo più approfondito grazie ai dispositivi dello 73


spazio sezione. Ad esempio, la lavagna luminosa permette ai bambini di osservare attraverso una luce differente e il microscopio mostra il materiale da un altro punto di vista, più dettagliato. Uno spazio naturale all’interno della sezione permette anche di stimolare il senso estetico e del bello, avendo la possibilità di creare composizioni con i materiali naturali messi a disposizione, quindi manipolarli e classificarli. Ho potuto osservare come strutturare uno spazio naturale, all’interno della sezione al Nido Scuola Faber (Reggio Emilia) dotato di lavagna luminosa, ceste con materiali naturali e proiettore. Posizionando i materiali sul tavolo venivano ripresentati sul muro in bianco e nero e con dimensioni più grandi, come mostrato nelle foto scattate presso la struttura e riportate in questa pagina. Nell’area esterna invece possono essere riorganizzate attività generalmente svolte in sezione, che nello spazio aperto potrebbero assumere identità differenti e nuove. Infatti, l’angolo della cucina se trasportato all’aperto, può essere arricchito grazie alla disposizione di materiali naturali manipolabili come il fango, la terra e i frutti degli alberi, rendendo così lo spazio di gioco simbolico più connesso alla realtà. Facendo riferimento a progetti realizzati, è stata attuata una traslazione e promozione di attività dall’interno all’esterno presso il Nido Aquilone di Albinea (Cirlini, Davoli, Fantini, Pedrazzoli, 2007, p.77) come vediamo rappresentato nella foto. Infatti le educatrici della struttura hanno colto un forte interesse dei bambini verso la pista delle macchinine per realizzarne una a misura di bambini nel parco esterno. Con l’aiuto dei genitori hanno potuto costruire una pista per tricicli, un deposito, una galleria e un semaforo. Questa realtà a differenza di giochi commerciali come scivoli e altalene favorisce una possibile collaborazione

tra

i

fruitori

della

pista,

una

stimolazione della creatività del bambino in quanto può diventare scenario di narrazioni immaginarie e inoltre permette ai bambini di avvicinarsi a realtà che vengono vissute anche all’esterno della struttura scolastica come gli attraversamenti pedonali, gli incroci e la gestione del traffico. Il gioco simbolico trova dunque una valorizzazione nel giardino: vivere una dimensione differente e nuova dello spazio esterno, così come gli elementi della natura trasportati all’interno

possono

apprendimento importanti.

74

divenire

occasioni

di


Conclusione “Seppur dormiente, il seme della natura cresce anche con poca acqua” Richard Louv (2006) Come si è osservato nel corso dell’elaborato l’attaccamento alla terra è un bene sia per il bambino che per la terra stessa. Vivere in un mondo virtuale con sempre minor contatto con il mondo esterno e senza esperienze dirette, comporta danni su più fronti: interazionali, psicologici, intellettuali, fisici e alimentari. Ricucire questo legame spezzato è importante. Si deve riconquistare qualcosa che si è perso, si devono riabilitare i sensi, lo sguardo, l’ascolto con quotidiano esercizio. È essenziale costruire un ribilanciamento di in e out affinchè tornino complici delle esperienze dei bambini. L’Outdoor Education fornisce opportunità di crescita naturali, consente di incuriosirsi, scoprire da soli e poi domandare, permette di esercitare la propria autonomia in un contesto ricco. Buone iniziative stanno nascendo, con la graduale diffusione di agrinidi e agriasili che evidenziano la crescita di una consapevolezza che la nostra salute è legata al mondo naturale. Le organizzazioni delle strutture sono le più svariate, in quanto ancora in balia dell’approvazione di linee guida condivisibili per tutti i servizi. Nonostante questo forte interesse che sta germogliando e che ho potuto toccare con mano in alcune strutture italiane, gli elementi di progettazione esterna tendono ad essere rari. Le correnti di pensiero rispetto alla progettazione degli ambienti naturali sono molteplici, io ho voluto approfondire quell’ottica secondo cui pensare e ripensare i giardini delle strutture può essere una risorsa, affinchè si riesca a vivere al meglio questa realtà. La progettazione non implica un’impostazione adultocentrica dello spazio, ma comporta una definizione della realtà esterna osservando i bambini e con l’aiuto di questi ultimi, così che l’adulto sia solo facilitatore delle conoscenze e produttore di possibilità. Ho dunque raccolto, facendo riferimento a libri, esperienze e progetti, dei criteri che possano essere guida per una progettazione che avvalori lo spazio esterno, così come quotidianamente avviene nella realtà interna. Credo che crescere di nuovo a contatto con la natura possa avere un enorme influenza sulla nascita del sentimento che condurrà a dedicarci ad essa, non solo per motivi ideologici o di sopravvivenza ma per la gioia di condividere e vivere la natura.

75


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Bibliografia Agazzi R. (1922) Come intendo il museo didattico. In Lanfranchi R., Prellezo J.M. (2008) Educazione scuola e pedagogia nei solchi della storia, Roma: LAS. Agazzi R. (1929) Guida delle educatrici dell'infanzia, In Lanfranchi R., Prellezo J.M. (2008) Educazione scuola e pedagogia nei solchi della storia, Roma: LAS. Bertolino F., Morgandi T. (2014) Nuovi servizi educativi per l’infanzia in ambito rurale: agriasili, agrinidi, agritate. In T. Grage Sergi (a cura di) Qualità dell’educazione e nuove specializzazioni negli asili nido, Pisa: Edizioni ETS. Chistolini S. (2016) Pedagogia della natura. Pensiero e azione nell’educazione della scuola contemporanea: Asilo nel bosco, Jardim-Escola Joăo de Deus, Outdoor Education, Milano: FrancoAngeli. Cirlini F., Davoli S., Fantini G., Pedrazzoli C. (2007) Il parco che vorrei. Esperienze di progettazione partecipata nei comuni di Albinea, Cadelbosco Sopra e Quattro Castella, Imola: La Mandragora. Comune di Firenze (2009) Linee guida e approfondimenti. Bambini e natura nei servizi alla prima infanzia. Dewey J. (1899) The School and Society. In Louv R.(2006) L’ultimo bambino nei boschi. Come riavvicinare i nostri figli alla natura, Milano: Studio Editoriale Littera. Dewey J. (1929) Le fonti di una scienza dell'educazione. In M. Guerra (a cura di) FUORI: suggestioni nell’incontro tra educazione e natura, Milano: Franco Angeli. Di Massimiliano S. (2017) “Asili nel bosco: dove trovarli e come funzionano” Repubblica, 14 Febbraio 2017. Durastanti F., DeSantis C., Orefice G., Paolini S., Rizzuto M., (2016), Agrinidi, agriasili e asili nel bosco. Nuovi percorsi educativi nella natura. Firenze: Terra Nuova Edizioni. 77


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Ringraziamenti Le persone che ho incontrato nel mio percorso sono tante e tutte hanno contribuito a farmi crescere. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno trasmesso passioni, contaminato con il loro entusiasmo, arricchita con le loro conoscenze e quelli che mi hanno fatto scoprire qualcosa di nuovo. Un ringraziamento va all’Agrinido Piccoli Frutti di Boschetto (CR), all’Agrinido L’ErbaVoglio di Bagnara di Romagna (RA) e all’Agrinido L’Orto dei pulcini di Ostra (AN), per avermi accolto nelle loro strutture e per essere stati estremamente disponibili a rispondere alle mie domande, permettendomi di entrare, anche se per poco, nel mondo magico che circonda questi servizi. Ringrazio il Professore Antonio Gariboldi, per avermi trasmesso, prima attraverso le sue lezioni e poi nel ruolo di relatore di questo elaborato, grande passione per il mondo dell’educazione. Il suo supporto teorico e pratico mi ha aiutato a dare forma al pensiero iniziale che avevo di questo argomento, fornendomi le basi necessarie affinchè la mia tesi prendesse forma giorno per giorno. Un ringraziamento speciale va alla mia famiglia che è sempre stata una mano tesa, pronta a spronarmi, amarmi e confortarmi, senza farmi mai mancare niente. Grazie a mio papà che ha sempre creduto in me, sostenendomi in ogni mia impresa e che ha sempre trovato il tempo per ascoltarmi; a mia mamma che mi ha insegnato tanto e che c’è sempre stata quando avevo bisogno; a mia sorella e mia migliore amica, che mi ha insegnato cosa vuol dire avere coraggio e soprattutto che mi ha dimostrato che realizzare i sogni è possibile, anche se a volte con qualche fatica e con qualche ostacolo sul percorso. Grazie, perché nonostante il suo continuo viaggiare c’è sempre stata e mi ha coinvolta nelle sue avventure, facendomi conoscere posti e persone meravigliose. Ringrazio anche Roberto, il suo compagno, per essere una persona così speciale e per avere sempre accettato con il sorriso tutte le mie intrusioni nella loro casa. Vorrei ringraziare anche i nonni, gli zii e i cugini che mi hanno sempre aiutata in qualsiasi occasione, facendomi sentire parte di una famiglia piena di amore. Inoltre ci tengo a ringraziare quegli amici che nonostante il passare degli anni sono sempre stati presenti. Ringrazio: Susanna per avere condiviso con me diciannove anni di amicizia, Nicolas per avermi aiutato con le sue consulenze informatiche, Silvia per la sua dolcezza e gentilezza, Annalisa e Alessandro che per la loro voglia di viaggiare sono sempre stati la mia ispirazione, Mattia per l’esperienza di Giocampus vissuta insieme, Francesco e Federico per le risate che abbiamo condiviso.

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Vorrei ringraziare anche i miei compagni di corso che hanno reso questi tre anni non solo formativi, ma un’occasione per ridere, conoscere posti nuovi e mangiare cose buone. Quindi un grazie di cuore a Carolina, Laura, Simone, Michele, Lisa, Letizia, Agata, Lorenza, Giulia, Giuseppe, Nicola, Andrea e Anis. Un grazie a Chiara, mia compagna di avventure e con cui ho potuto condividere le mie passioni. Grazie per i momenti emozionanti e a volte imbarazzanti, che mi hanno fatto crescere e diventare un’animatrice migliore. Infine, un grazie a tutto il gruppo che ho conosciuto sette anni fa e che si sono rivelati sempre grandi amici. Grazie a Mattia, Michele, Annalisa, Giuseppe, Rocco A., Andrea C., Andrea P., Riccardo, Rocco S., Matteo, Marco, Alessandro e Daniele.

Debora.

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