il fotoromanzo - E. Zaffani

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IL FOTOROMANZO una trasgressione tra sogno e realtĂ



I.S.I.S.S. “Carlo Anti” di Villafranca – Verona ESAME DI STATO – A.S. 2010/2011 Candidata: Elena Zaffani Classe: V A TG



Negli anni del dopoguerra il fotoromanzo esplode come un fenomeno di massa: le storie narrate inducono all’ottimismo, a sperare nel futuro. Ma c’è di piĂš: attraverso quelle pagine illustrate da fotografie parte degli italiani impara a leggere.



Indice. .9

Introduzione

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Il fotoromanzo

Autori, disegnatori, registi, titolari di rubriche e attori

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I fotoromanzi come trasgressione

Schemi narrativi e di comportamento



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Cover of Grand Hotel

CuriositĂ

Senza parole: tutte le sfumature del paraverbale

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La sceneggiatura

.36

.39 .55

Fotoromanzo in corso

Bibliografia-sitografia

L’inquadratura



. e n o i z u d ntro

I

Il fotoromanzo, in origine, nasce senza foto; la sua formula è assolutamente Made in Italy ed è proprio dall’Italia dell’immediato dopoguerra che il fotoromanzo, correlato da disegni, si diffonde nell’intera Europa e nell’America meridionale, ma anche in Turchia e nell’Africa mediterranea. Il primo fotoromanzo è pubblicato nel giugno del 1946 sulla rivista “Grand Hotel”, in un paese piegato in due dalla guerra e affamato di storie fantasiose e innamorate, che facciano dimenticare le privazioni subite dal conflitto ed elargiscano a chiunque un po’ di serenità. Si tratta di un pezzo di sedici pagine venduto al prezzo di 12 lire, che costa quasi la metà di un quotidiano: il suo successo è immediato. I primi racconti sono descritti a mano, ma ben presto subentra la fotografia, molto meno laboriosa rispetto a un disegno. Il fotoromanzo, così, s’inserisce nella storia dell’identità italiana e nella cultura di massa degli anni ’50 del secolo XX. Il pubblico è considerato, almeno dagli anni ’60, esclusivamente femminile, principalmente meridionale, contadino, piuttosto conformista e ignorante. Ma non è così fin dal principio. Anna Bravo, autrice del libro intitolato Il fotoromanzo (2003), infatti, attraverso dati e inchieste, rileva che la sua diffusione è maggiore nell’Italia settentrionale e che operai e operaie rappresentano il 60 % dei lettori. Pertanto, non si tratta di un target arretrato, ma di persone che lavorano duramente nelle fabbriche dislocate specialmente in Lombardia e Veneto. Forse, sono persone non troppo colte, ma nell’insieme sono comunque individui che hanno la necessità di evadere dalla routine. Inoltre, il fotoromanzo è il primo testo in cui la figura femminile è rappresentata

come protagonista e, le storie e i racconti contribuirono a un’educazione sentimentale orientata verso una maggiore libertà e coscienza di sé. Infatti, è un modello per riequilibrare i rapporti di forza tra i sessi, una via importante verso la modernizzazione e rappresenta anche, per lo meno agli inizi, uno straordinario mezzo di alfabetizzazione. Ma per questi motivi, il genere del fotoromanzo, fu considerato anche un divieto e una trasgressione. Dalla seconda metà degli anni ’80, la diffusione dei fotoromanzi comincia a scemare, ma dopo quarant’anni di vita tale genere di lettura è riconosciuto senza più i pregiudizi di un tempo, innescati da una morale cattolica che continuava a vedere la donna esclusivamente come buona madre e compagna di vita del proprio marito. Agli esordi, ci sono delle difficoltà nel realizzare un fotoromanzo: ci si deve avvalere delle più avanzate modalità di stampa per diffondere a basso costo immagini di qualità, di vere, anche se essenziali, sceneggiature, di studi di posa e di espressioni del viso, in modo che le foto siano capaci di comunicare già da sé le emozioni e gli stati d’animo dei protagonisti; in poche parole, bisogna saper diffondere messaggi attraverso la comunicazione non verbale. Nella tesina in oggetto desidero, pertanto, trattare sia della storia del fotoromanzo e di tutte le sue caratteristiche, sia dell’importanza della comunicazione non verbale, che si rintraccia soprattutto nelle espressioni facciali dei suoi protagonisti. In conclusione presento un mio fotoromanzo, realizzato grazie all’aiuto dei miei compagni di classe, che illustra la realizzazione di un fotoromanzo e le fasi principali delle storie tipiche di questo genere.

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IL FOTOROMANZO

Il fotoromanzo è nato nel ’46 in Italia per poi estendersi rapidamente, oltre che in Fancia, nel nord Europa, in America Latina, dove sarà uno dei modelli delle telenovelas, nell’Africa Mediterranea e in Turchia. Spesso confezionato sul posto, a volte tradotto tale e quale, sarà per decenni il marchio italiano più conosciuto in un pezzo vasto di mondo. Racconto d’amore in sequenze visive disegnate o fotografiche, didascalie o dialoghi, il fotoromanzo è un prodotto del tutto nuovo, e più un genere che un medium, come mostra la difficoltà di spostare la formula dal rosa a altri contenuti, siano il giallo e il nero la propaganda politica o quella religiosa. Si regge sulla combinazione di diverse fonti e tecniche, e potrebbe rivendicare genealogie pregiate; a volte lo ha fatto. Quello che importa è però la sua popolarità, immediata, fragorosa e di dimensioni tali da farne il massimo boom editoriale del dopoguerra. Giovane, più femminile che maschile, più proletario, contadino o piccolissimo borghese, che classe media, il pubblico è fra i meno raggiungibili dagli altri mezzi di comunicazione, e infatti in buona parte è nuovo. 12

Apre la strada il 29 giugno 1946 “Grand Hotel”, frutto di un’intuizione personale maturata alla periferia del mercato editoriale e messa a punto nel laboratorio parafamiliare della piccola casa editrice milanese Universo. La storia si apre all’indomani della liberazione, quando un piccolo gruppo di amici (i fratelli Domenico e Alceo Del Duca, proprietari della casa editrice Universo, il giornalista Matteo Maccò e pochi altri) comincia a tenere riunioni di lavoro in luoghi fuori mano e in bar poco noti. Domenico, detto Mimmo, ha in mente il progetto di un settimanale di storie d’amore a tavole disegnate e fumetti, formato maneggevo-


le, prezzo basso, pubblico popolare soprattutto femminile. E teme così tanto fughe di notizie e imitazioni che lo stesso distributore non saprà fino all’ultimo momento cosa precisamente si è impiegato a diffondere. Il primo numero di “Grand Hotel” formato 34 X 24, 16 pagine, 12 lire, arriva nelle edicole il 29 giugno 1946 in 100 mila copie e, leggenda vuole che sia stato ristampato quattordici volte in pochi giorni. Resterà il leader del settore. In meno di un anno entrano precipitosamente nel mercato altri due settimanali costruiti sulla stessa formula, ma con una innovazione importante: anziché tavole disegnate, vengono usate fotografie, che puntano a dare

alle storie maggiore verosimiglianza e soprattutto un taglio più cinematografico. Il primo “Il mio sogno” poi soltanto “Sogno” esce l’8 maggio 1947 per la piccola casa editrice romana Novissima di Giorgio Canus De Fonseca, consociata in tempi brevi con la Rizzoli; il sottotitolo recita “settimanale di romanzi d’amore a fotogrammi”. Il secondo, “Bolero Film”, che debutta due settimane dopo, si autodefinisce da subito “fotoromanzo” e nasce direttamente nel circuito della grande editoria, da Mondadori. Si completa così la terna di fotoromanzi storici. I nomi parlano da soli: “Grand Hotel”, cosmopolitismo e avventura, in consonanza con il film tratto dal romanzo di Vichy Baum;

“Bolero”, esotismo e passione e infine “Sogno”, pessepartout senza tempo. Sogno e Bolero Film vendono insieme oltre 600 mila copie, mentre Grand Hotel si assesterà sopra il milione: nell’Italia del Dopoguerra circolano ogni settimana più di un milione e mezzo di esemplari di fotoromanzi. In tempi brevissimi, i fotoromanzi si insediano nella topografia culturale delle e degli italiani; per trent’anni Grand Hotel, Bolero, e Sogno mantengono tirature spettacolari, adattandosi alle trasformazioni sociali, ma sforzandosi non sempre con successo di mantenersi fedeli a quel che sono stati all’origine: repertori di vicende tormentose vissute da fi 13


gure tipizzate e seducenti, vetrine di gesti del privato e della quotidianità, consiglieri in tema di amore, moda, salute, galateo. Difficile valutare quanto e come il nuovo genere incida nell’educazione sentimentale del paese, e non solo perché il rapporto fra quel che si legge o si vede e il modo in cui si pensa e ci si comporta è sempre volatile. Fin dagli inizi, i fotoromanzi scelgono la strada del sincretismo accostando messaggi eterogenei, e fin dagli inizi ci sono differenze fra una testata e l’altra. Certo dai secondi anni Quaranta ai pieni anni Settanta – boom economico completato, modi di vita in trasformazione veloce – sono una delle vie italiane alla modernizzazione in tutti i suoi versanti, dalla voglia di agi, libertà e promozione sociale al decollo dei consumi, dall’indebolimento delle barriere fra i generi sessuali al disagio giovanile, dell’appiattimento delle differenze culturali all’alfabetizzazione di massa – su quest’ultimo terreno hanno un ruolo così ampio che basta da solo a farne un capitolo della storia delle comunicazioni nel nostro paese. Poi molto cambia, e non solo perché il medium deputato a divulgare nozioni e norme diventa la tv. I fotoromanzi storici (o classici) devono misurarsi con un arco sempre più frastagliato di stimoli e desideri, i loro modelli rischiano di deperire fra quelli pervasivi del rotocalco e della 14

cronaca, che hanno trovato posto in varia forma anche sulle loro pagine. Sul fotoromanzo, che dilaga nell’universo popolare senza avere il crisma delle radici popolari o di fedi politiche e religiose, i giudizi vanno dal classico liquidatorio (“giornali da serve”), all’allarme per i pericoli di inquinamento morale e culturale. Non è chiaro se la sua colpa sia di indurre le ragazze a perdersi nel sogno del successo mediatico e di un ricco matrimonio, o invece di spingerle a buttarsi nella mischia per ottenerli, oppure a accontentarsi di una medietà piccolo borghese: per i comunisti è l’assassino della lotta di classe. Non è chiaro se incoraggi alla dissipazione di sé, o alla contabilità mercantile di quello che può rendere o costare: per i cattolici è la rovina della gioventù. Per tutti, è un oppio dei popoli dispensato alla parte più povera e arretrata dell’Italia: per resistere alla cultura di massa si pensa in quegli anni, bisogna essere colti, adulti, scaltriti e preferibilmente maschi. Ai fotoromanzi non si riconosce neppure l’effetto di alfabetizzazione; non avvicinano ai libri, si dice, dimenticando che quanto meno avvicinano alla loro unità minima, la pagina, punto di passaggio dall’oralità che fluisce nel tempo alla scrittura che si sviluppa nello spazio. Fatte salve rarissime eccezioni, sono giudizi sommari e pochissimo documentati. Succede così che il fotoromanzo sia un oggetto semisco-

nosciuto e nello stesso tempo una scorciatoia discorsiva e un segnale: si dice “cose da fotoromanzo” per suggerire volgarità, banalità, frivolezza, si usa il fotoromanzo per stigmatizzare persone, personaggi e ambienti. Di nessun filone culturale o sottoculturale si è parlato tanto sapendone così poco. Dopo gli anni ’80, con l’avvento delle reti televisive private, con l’aumento delle reti Rai, con le Fiction e le Soap Opera, il “fenomeno fotoromanzo” ha un momento di crisi anche se conserva ancora oggi un nutrito numero di fedelissimi lettori.


AUTORI,

DISEGNATORI,

REGISTI,

TITOLARI DI RUBRICHE,

ATTORI Nella prima stagione del fotoromanzo si incontrano nomi noti, nomi destinati a diventarlo, pseudonimi che per la fama del genere sono rimasti misteriosi. A ideare le trame sono spesso gli stessi direttori, a volte autori e autrici che hanno poca o nessuna esperienza di cinema e di sceneggiature; chi si appoggia a una professionalità specifica sono i cartellonisti, i disegnatori di fumetti, i fotografi. A noi disegnatori – ricorda Walter Molino in una intervista a Angelo Ventrone – mandavano i testi con una sceneggiatura molto rudimentale: erano indicate solo le battute riferite al personaggio che bisognava rappresentare (…) e una piccola colonni-

na esplicativa. Ciò che riguardava l’impaginazione, l’impostazione delle scene, era lasciato completamente alla nostra libertà di immaginazione e di invenzione. Stessa libertà per le ambientazioni, che possono svariare dalla casupola al palazzo da maragià a castelli nobiliari a paesaggi esotici. Ma le venti vignette in cui consiste mediamente una puntata devono essere disegnate in tempi brevi, addirittura una tavola, una tavola e mezza al giorno, un sovraccarico di lavoro che può aver avuto il suo peso nel passaggio alla fotografia.

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Per GRAND HOTEL lavorano Walter Molino, illustratore di “Il Monello” e dell’Intrepido”, e dal ’41 delle celebri copertine della Domenica del Corriere, e Giulio Bertoletti, già autore, come Molino, di manifesti di propaganda per il regime, e dagli anni 50 di molte e belle copertine della collana di fantascienza Urania. Approderà a Grand Hotel anche Rino Albertarelli, creatore nel ’37 di Kit Carson, autore nel dopoguerra di alcune riduzioni salgariane e di fumetti rosa per la Francia. La tecnica principe, già usata da Bertoletti nei manifesti politici, è l’acquarello, con ricchezza di toni e mezzi toni nella gamma del grigio, che molto più del tratto a penna avvicina il disegno alla fotografia e all’immagine cinematografica. Fra i soggettisti dei primi anni, oltre a Del Duca figurano il direttore Matteo Macciò, Luciana Peverelli, la scrittrice rosa Elisa Trapani, e nomi probabilmente di fantasia. Le rubriche di lettere affidate a Macciò e a Wanda Bontà. A BOLERO FILM è direttore Luciano Peldrocchi, fratello di una figura storica di fumetto italiano, Federico, che aveva ideato personaggi come Virus e Dottor Faustus con l’obiettivo di allargare il pubblico agli adulti. Pedricchi anche soggettista e sceneggiatore, insieme a Franco Cancellieri, autore di novelle e direttore di produzione, e a Damiani, all’origine disegnatore di fumetti, che nella rivista “L’Asso di picche” presenterà il primo personaggio italiano direttamente ispirato a un supereroe americano, Batman. A SOGNO si incontrano gli altri due padri “in pectore” del fotoromanzo, Stefano Reda e Dante Guardamagna, in seguito autore di sceneggiati storici di impegno civile e di riduzioni letterarie per la tv. Luciana Peverelli scrive soggetti e tiene la corrispondenza con le lettrici nella rubrica “Luciana risponde”, mentre dannno consigli di vita la diciannovenne Gina Lollobrigida, poi la diciassettenne Sophia Loren. Dal ’51 lavorano a sogno due autori impegnati sul piano sociale e divorzisti, Gabriella Parca e Marcello Argilli, collaboratore del giornalino comunista per ragazzi “Il pioniere”, che nelle loro storie firmate Milena De Sotis introducono cautamente amori infelici per16

Copertina di

WALTER MOLINO Nato il 15 novembre 1915 a Reggio Emilia, Walter Molino dimostra sin da ragazzo una notevole predisposizione per il disegno e debutta nel 1935 come illustratore su “Il Monello”, “L’Intrepido” e “Il Popolo d’Italia”. L’anno successivo collabora al settimanale umoristico “Bertoldo” e nel 1938 approda ai fumetti disegnando, su testi di Federico Pedrocchi, Virus, il mago della Foresta Morta. In seguito, sempre su testi di Pedrocchi, dà vita a Capitan l’Audace e continua il Kit Carson creato nel 1937 da Rino Albertarelli. Dal 1941 si dedica esclusivamente all’illustrazione - realizzando per quasi trent’anni le celebri copertine della “Domenica del Corriere”- con l’eccezione di alcune storie sentimentali, disegnate nella seconda metà degli anni Quaranta per “Grand Hotel”, che avrebbero di fatto aperto la strada al fotoromanzo. E’ morto l’8 dicembre 1997.


MASSINO CIAVARRO

ALEX DAMIANI

FRANCO DANI

MAX DELYS

ché i protagonisti non possono svincolarsi da matrimoni disgraziati. Parca e Argilli passeranno poi a Bolero, seguendo una tendenza che vede soggettisti e sceneggiatori collaborare a più giornali o spostarsi dell’uno all’altro, e che si accentuerà a partire da fine anni 50, quando il proliferare delle testate spingerà vecchi e nuovi editori a disputarsi i professionisti del rosa. Ma esistono presenze storiche che assicurano una continuità decennale e addirittura ventennale, Macciò a Grand Hotel, Guardamagna a Sogno, Pedrocchi a Bolero Film. Di solito poco citati e poco ricordati i fotografi, come fossero indistinguibili dal resto della troupe; è lo stesso per i grafici, che pur avendo un ruolo essenziale nella costruzione della pagina, non sono ancora figure professionali forti. Al contrario di quanto è avvenuto e avviene nella costellazione rosa, è un mondo molto più maschile che femminile – i direttori e parecchi soggettisti e sceneggiatori sono uomini, e così quasi tutto lo staff tecnico, anche perché all’epoca erano rare le fotografe e registe. Almeno a giudicare dai nomi dei pionieri e dei collaboratori più importanti, è un mondo legato ampiamente al fumetto, che si vale per anni della sua rete di rapporti (di nuovo maschile), e orientato molto più verso sinistra che verso i partiti moderati o i cattolici. ATTORI Per quanto riguarda gli attori invece, il divo per antonomasia dei fotoromanzi era il bellissimo Franco Gasparri. Seguivano a ruota Massimo Ciavarro (poi diventato attore cinematografico e di fictions), Luis La Torre, Paolo Giusti, Franco Dani, Jean Marie Carletto, Luciano Francioli (fratello di Armando Francioli, attore che negli anni 60 è stato interprete di molti sceneggiati per la tv), Max Delys, Heros Zamara, Alex Damiani, Gianfranco De Angelis, Enzo Colajacono, Frank ‘O Neill, Kirk Morris (che negli anni ‘60 aveva interpretato Ercole in molti films mitologici) che assumeva di volta in volta ruoli da caratterista oppure da antagonista ma il cattivo per antonomasia era Gianni Vannicola talmente bravo da risultare 17


veramente antipaticissimo, poi c’era Mimo Billi che in passato era stato un apprezzato attore di teatro. Per quanto concerne le attrici, un nome su tutte è quello di Francesca Rivelli che poi è diventata la famosa attrice che tutti conosciamo col nome d’arte di Ornella Muti; sua sorella Claudia Rivelli, che faceva spesso coppia con Franco Gasparri; le sorelle Paola e Caterina Piretti, in arte Paola Pitti e Katiuscia che avevano dei bellissimi capelli lunghi fino alla vita; la dolcissima Michela Roc; Marina Coffa, che ebbe dei trascorsi televisivi interpretando la parte della fidanzata del figlio maggiore della popolare serie “La famiglia Benvenuti” con Enrico Maria Salerno e Valeria Valeri; la bellissima Adriana Rame; la bruna Rosalba Grottesi e la bionda Rayka Juri anche loro utilizzate molto spesso in ruoli donne dalla perfidia fuori dal comune. Bisogna dire che molti di questi attori hanno avuto delle vite travagliate a cominciare da Franco Gasparri, che appena avviato alla carriera cinematografica rimase paralizzato per un gravissimo incidente di moto mentre si recava agli stabilimenti Lancio; Katiuscia e Max Delys che dovettero interrompere la carriera per problemi di droga, Frank ‘O Neill al secolo Francesco Antonelli, giocatore di hockey sul ghiaccio che morì proprio in un incidente di gioco gettando nella più profonda costernazione tutte le sue fans. Più fortunati Franco Dani ed Alex Damiani che intrapresero la carriera musicale avendo anche un discreto successo, degli altri si sono perse le tracce.

KATIUSCIA

PAOLA PITTI

MARINA COFFA

ADRIANA RAME

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FRANCO GASPARRI Stereotipo e modello della bellezza maschile, ebbe grande popolarità soprattutto come attore di fotoromanzi della Lancio (spesso accanto a colleghe di fama come Michela Roc, Claudia Rivelli, Adriana Rame, ecc.), pur interpretando anche nel cinema ruoli di primo piano che gli fecero ottenere ampi consensi particolarmente nel pubblico femminile. Fra i film da lui interpretati si ricordano: “Goliath contro i giganti”, del 1961, “La furia di Ercole”, dell’anno successivo e quelli della trilogia “Mark il poliziotto”. Tutti e tre i film ebbero eccezionali incassi al botteghino e si inserirono fra i migliori del filone “poliziottesco” in voga in quel periodo. Il 4 giugno 1980 Gasparri ebbe un incidente con la sua motocicletta, in seguito al quale rimase paralizzato, interrompendo prematuramente la sua carriera d’attore ma non quella di redattore sulle riviste di fotoromanzi.

FRANCESCA RIVELLI (Ornella Muti) Francesca lavora per due anni alla Lancio dal 1969 al 1971, per seguire la fortunata carriera della bellissima sorella di quattro anni più grande: Claudia Rivelli. In questi anni interpreta come protagonista nei fotoromanzi “Con te fino all’inferno”, “E adesso piangi Maria”, “Il personaggio che deve morire”, “Con tanto odio e tanto amore”, “Tua almeno una volta”, “Due giovani sposi”, “Ragazzina ciao”, “Se la vita è sogno”, “L’ultima volta che vidi Josiane”, “Troppo piccola per l’amore”. Il fotoromanzo più bello è senz’altro “Troppo piccola per l’amore”, che Franco Gasparri, interprete principale al fianco di Ornella, considerava uno dei suoi più bei fotoromanzi girati. Per quanto riguarda il mondo del cinema invece, la carriera di Francesca Romana Rivelli, in arte Ornella Muti, inizia nel 1969, a soli quattordici anni, con il film di Damiano Damiani “La moglie più bella”. Una carriera ricca di soddisfazioni: un film dietro l’altro, un regista dopo l’altro, per un’attrice che ancora oggi, nonna felice e madre di tre figli, lavora continuamente ed è richiestissima.

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I FOTOROMANZI COME TRASGRESSIONE

Negli anni 40-50 del Novecento, in coincidenza con l’avvio dell’intensa fase di modernizzazione accelerata che mette in moto modificazioni strutturali e sociali del paese, si innesca il processo di affermazione dei giovani in quanto nuovo soggetto sociale. La gioventù irrompe sulla scena, affermando atteggiamenti, mode e proponendo linguaggi e simboli radicalmente differenti e, per molti versi, alternativi a quelli manifestati dalle precedenti generazioni. I giovani tendono ad appropriarsi di alcuni oggetti come i jeans, la musica rock, gli scooter, allo scopo di mettere in scena comportamenti e stili di vita profondamente diversi da quelli dei loro genitori. Si può dire quindi che in quegli anni si comincia a scoprire “il gusto della trasgressione”. In Italia i primi segni di ribellione sono rappresentati da svaghi che interpretano l’idea di evasione come cine-

ma, fumetti e fotoromanzi. Strumenti che, presentando mondi romanzati e irreali, creano pericoli di imitazione di uno stile di vita non in linea con la tradizione e per questo suscitano l’opposizione ferma e generalizzata degli intellettuali. Le fortune dei fotoromanzi però si fondavano proprio sull’illusionistica rappresentazione di un mondo dove si faceva l’amore e non il sesso, dove quand’anche si lasciava intuire l’esistenza di rapporti sessuali, questi non richiedevano mai l’uso di anticoncenzionali, eppure non davano luogo a gravidanze indesiderate. Inoltre, dove in un paese in profonda e drammatica trasformazione, le eroine restavano contadine sorridenti, gli eroi avevano sempre un lavoro, e la dimensione del conflitto e del dolore era tutta racchiusa nelle pene d’amore. Negli anni 40 e 50 comprare un fotoromanzo era una tra-

Le lettrici, nel momento stesso in cui si allontanavano da un’edicola con la rivista in mano, si dimostravano capaci di sfidare un divieto

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sgressione ai valori cattolico perbenisti, e infatti poteva destare sospetto nelle famiglie e nel vicinato. Le lettrici, nel momento stesso in cui si allontanavano da un’edicola con la rivista in mano, si dimostravano capaci di sfidare un divieto: venisse questo da una madre opprimente, da un parroco bacchettone, o dal segretario di una sezione comunista. Questo dimostra anche la trasformazione della donna nella società, che cerca di uscire dalle convenzioni, di crearsi maggiore dignità e un nuovo ruolo incisivo nella società: in questi anni infatti la donna conquista il diritto di voto, la partecipazione attiva in politica, assiste e contribuisce a importanti conquiste legislative volte a migliorare le condizioni femminili, specialmente in ambito lavorativo. Le donne protagoniste nei fotoromanzi infatti rappresentavano figure di donne decise ad appropriarsi del proprio corpo e destino, filtravano con sconosciuti, giravano il mondo da sole per riunirsi all’anima gemella, sfasciavano famiglie pur di coronare il loro sogno incantato. Il loro era più un mondo della felicità individuale più che del doverismo coniugale tipico della tradizione. In ogni caso è anche leggendo fotoromanzi che operaie e casalinghe italiane, al sud come al nord, hanno faticosamente imparato l’abbicì del galateo, i rudimenti dell’igiene domestica e personale, qualche modo per difendersi dagli uomini più volgari o più violenti.

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SCHEMI

NARRATIVI E DI COMPORTAMENTO

La struttura di un fotoromanzo è tipica e ripropone ogni volta lo schema classico delle favole. Ogni storia ha un protagonista maschile ed una figura femminile, che dopo aver superato una più o meno lunga serie di difficoltà (presunti tradimenti, incontri con amici o nemici, morti, presentimenti o predizioni) giungono al lieto fine ovvero al coronamento dei loro sogni, che visivamente si traduce quasi sempre in un bacio d’amore (magari controluce) o nell’inizio di un nuovo cammino, con lui e lei mano nella mano (il cavallo bianco può talora essere sostituito dalla potente motocicletta). Uno degli stratagemmi per favorire il processo di identificazione delle lettrici è quello di non indicare mai il nome della località in cui si svolge la storia; ciò risponde a due esigenze fondamentali: l’identificazione con il posto in cui abita la lettrice e l’immedesimazione con la protagonista che anch’essa è lasciata indefinita. L’ideologia dominante ( c h e

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aiuta i pers o naggi a s u p e rare tutti gli ostacoli che si frappong o n o alla loro felicità) è rappresentata dai tre valori collegati: famiglia – denaro – successo. Naturalmente il tema dell’amore regna incontrastato e il cliché ritorna invariabilmente: un amore destinato a trionfare anche dopo avere attraversato mille problemi. Qualunque sia il soggetto della storia, i contenuti proposti sono sempre gli stessi e la difficile realtà del mondo moderno (fabbriche, uffici, ingiustizie sociali) viene dai fotoromanzi distorta e manipolata, ridotta a un ruolo marginale se non addirittura evitata del tutto. I problemi sindacali, politici, quelli del mondo del lavoro vengono in un certo senso assorbiti dal fotoromanzo e ridotti a zero e i complessi problemi dell’esistenza restano il più delle


volte elusi e vengono ridotti al fattore amoroso. Il mondo rappresentato da queste storie è quindi totalmente estraniato dalla realtà contingente e il matrimonio sembra essere l’unico scopo cui tendono di volta in volta i protagonisti, soprattutto le protagoniste. Un altro elemento ricorrente nel fotoromanzo é il frazionamento della storia (l’interruzione giunge sempre all’acme della drammaticità del racconto per giocare sul senso di suspance e di attesa creato) in più episodi per creare, ad arte, una maggiore durata ed una consuetudine al consumo da parte del pubblico. Dal punto di vista dei riquadri di cui si compone il fotoromanzo, ognuno di essi è collegato all’altro, quindi nessuno ha una vera autonomia (questa è una caratteristica propria di ogni racconto per immagini). A differenza del fotoromanzo, nel film le inquadrature non si fermano mai su una singola scena per molto tempo, pena la perdita della sua realisticità. Nel film, malgrado il montaggio tagli e interrompa il flusso continuo delle immagini, questi tagli e interruzioni aggiungono e modificano la posizione dei punti di vista delle scene, in questo modo il film ci appare molto più realistico della realtà stessa anche se viene tolta quella razionalità con la quale le persone di norma osservano la realtà. Tale realtà viene nel fotoromanzo rappresentata in maniera analitica

con inquadrature, ovvero uno scatti singoli e ciò permette una certa autonomia artistica al singolo scatto. Nel fotoromanzo ben costruito la sceneggiatura evita la presenza dei dialoghi scritti, ovvero le vignette o le scritte che indicano il contesto della situazione rappresentata. Se il tempo di fruizione nel film è dettato dallo scorrere della pellicola, nel fotoromanzo lo spettatore può tornare indietro e riguardare le scene precedenti e poi di nuovo proseguire e quindi l’artificio della rottura nel fotoromanzo genera l’intuizione di una comprensione mentale della durata della storia. Ogni riquadro del fotoromanzo ricorda al lettore che anche la vita è fatta di momenti più significativi di altri e che essi sono collegati da legami logici e non necessariamente visivo-cronologici. Ogni momento, preso in se e isolato dal flusso della vita, è in qualche maniera un istante senza consistenza

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che riprende senso solo se collegato a tanti altri momenti singoli. In ogni caso nel fotoromanzo lo scorrere del tempo si coglie in maniera intuitiva, al contrario del film, dove il tempo è scandito in maniera predefinita: tutta le singole scene di cui è composto il film è legato in maniera predefinita e senza stacchi, mentre nel fotoromanzo le scene, ovvero le fotografie, sono separate le une dalle altre e i legami tra una e l’altra sono prodotti dal lettore stesso. L’arte del fotoromanzo è un’arte minimalista in quanto il senso è dato lasciando il fondo indefinito sottolineando le espressioni del viso dei soggetti isolandoli dal contesto. Questo procedimento contribuisce a esprimere l’es-

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senza di un comportamento umano, quindi fotografare un gesto, una fase di un comportamento umano, un oggetto, una silhouette di una persona che medita, contribuisce a esprimere l’essenza delle cose, essenzializzando il reale. Questo procedimento del dettaglio, della frammentazione dell’azione può essere considerato un oltrepassare il reale, una sublimazione che passa però attraverso il realismo. Ogni scena per essere compresa deve essere uno stereotipo, deve riportare a cose già vissute dallo spettatore ed è per questo che il fotoromanzo può essere considerato una sequenza discontinua di ideogrammi.


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COVER OF GRAND HOTEL

Questa è una copertina di Grand Hotel, pubblicato il 24 ottobre 1959. In questo periodo come si può vedere, Grand Hotel utilizzava ancora i disegni e non le fotografie. Nella copertina è rappresentata una donna circondata da uomini che la adornano con grappoli d’uva. I grappoli le creano una specie di corona in testa. Le copertine di Grand Hotel solitamente riportavano un disegno del bravissimo di Walter Molino, con immagini che rappresentavano i principali eventi del periodo: a ottobre infatti, è tempo di vendemmia. In alto sulla copertina invece, c’è il logo di Grand hotel presente in tutte le pubblicazioni di quel periodo. Al giorno d’oggi il logo è cambiato: é molto più geometrico anche se si può ancora riconoscere il logo di una volta.

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This is a cover of Grand Hotel, published on 24 October 1959. In this period as you can see, the Grand Hotel was still using drawings and photographs. The cover shows a woman surrounded by men who adorn her with bunches of grapes. The grapes create asort of crown on his head. Grand Hotel covers usually featured a very good design by Walter Molino, with images that represented the major events of the period: in October it is harvest time. Top on the cover however, is the logo of Grand hotel in all the publications of the period. Today, the logo has changed: it is much more geometric, but you can still recognize some features of the old logo.


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01

COME NASCE UN FOTOROMANZO?

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UNA VOLTA APPROVATA UNA SCENEGGIATURA, QUALE SARÀ IL PASSO SUCCESSIVO?

All’inizio c’è sempre un’idea, il soggetto, da cui si darà vita alla sceneggiatura vera e propria suddivisa in scene o quadri completa di dialoghi. Questa viene analizzata da un regista che potrà intervenire sul lavoro dello sceneggiatore modificando talvolta la sceneggiatura stessa. Elaborato un piano di lavoro di massima (giorni di lavorazione, numero di attori, location ecc) questo verrà sottoposto al direttore di produzione che, formulato un preventivo di spesa, verificherà che questo rientri nel budget di produzione. Su questa base deciderà di approvare o meno la sceneggiatura o di apporvi delle modifiche necessarie per abbassare i costi di produzione. Tutto questo naturalmente nel rispetto delle esigenze tecniche del regista.

In base al piano di lavoro si definiranno le location, si chiederanno gli eventuali permessi, si definirà lo staff tecnico (fotografo, tecnico delle luci, truccatore, parrucchiere, ecc.) e si sceglieranno gli attori. Quest’ultimo ruolo spetterà ad un direttore casting interno alla struttura, che selezionerà gli attori in base alle esigenze di copione e alle aspettative dei lettori.

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03

QUALI E QUANTE SONO LE FIGURE OPERATIVE?

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DI SOLITO QUALI SONO LE LOCATION DOVE SI GIRA UN FOTOROMANZO?

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IN COSA CONSISTE LA FASE DI POST-PRODUZIONE?

C’è un mini staff composto da un regista, un aiuto regista, un fotografo, tre tecnici delle luci, un autista/attrezzista, un truccatore, un parrucchiere e naturalmente gli attori.

Nei posti più suggestivi, nelle ville, negli appartamenti, nei castelli, nei teatri di posa. Non mancano naturalmente le location al mare, in montagna e all’estero. Ovviamente la scelta della location varia a seconda della sceneggiatura.

È sicuramente la fase più lunga e laboriosa della realizzazione di un fotoromanzo. Consiste nel lavoro di assemblaggio e rifinitura delle immagini. La prima fase, di cui si occupa il regista, è quella del montaggio delle sequenze fotografiche accompagnate dall’esaltazione o meno dei primi piani. L’abilità sta nell’accostare immagini a immagini con armonia ed efficacia. Saper far piangere, sognare o comunque trasmettere delle emozioni con le immagini è cosa assai complessa e dipende dall’abilità del regista. Fatto il montaggio si passa alla fase di rifinitura delle immagini (luminosità, dosaggio del colore ecc.), facilitata dal fatto che gli scatti sul set (5-6 per ogni scena o quadro) vengono realizzati prevalentemente con una macchina fotografica digitale che realizza fotografie con una buona qualità di immagine che rimane inalterata anche in stampa.

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QUANTI GIORNI DI LAVORAZIONE SONO NECESSARI A DAR VITA A UNA STORIA COMPLETA?

Non meno di 4-5 giorni sul set, e 30 giorni in postproduzione.

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QUALI SONO I COSTI DI REALIZZAZIONE DI UNA SERIE COMPLETA?

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QUALI SONO I “TRUCCHI” DI UN ATTORE DI FOTOROMANZI PER APPARIRE AL MEGLIO?

Dai 25 ai 50 milioni e comprendono la sceneggiatura, i costi del personale (regista, attori, parrucchiere, truccatore ecc.), il materiale di scena, le location, l’impaginazione, ecc. Naturalmente sono esclusi i costi di stampa.

Tra i tanti interpreti dei fotoromanzi possiamo annoverare attori e attrici diventati celebri grazie a questo particolare mezzo di comunicazione che gli ha dato le nozioni basilari per prendere confidenza con il set e con l’obiettivo. Infatti gli attori sono seguiti costantemente nell’apprendimento delle tecniche fondamentali per stare davanti alla macchina fotografica valorizzando così al massimo la propria immagine (alleviandone i difetti e esaltandone i pregi). Ad esempio, chi è grasso deve evitare di porsi frontalmente, preferibilmente alzare il viso davanti l’obiettivo (abbassarlo evidenzierebbe notevolmente il “doppio mento”) e girarlo il più possibile. Chi ha il naso lungo deve tenere la testa alta rispetto all’obiettivo. Inoltre la postura e la rotazione del corpo sull’asse rispetto all’obiettivo che sta inquadrando, determina il rilassamento o meno del viso. In pratica l’attore deve assecondare con il corpo e il viso la posizione dell’obiettivo. Oltre a questo, interveniamo sul look, iniziando dall’acconciatura per finire con il trucco.

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QUALI SONO GLI ACCORGIMENTI CHE L’ATTORE DA FOTOROMANZO DEVE USARE PER INTRAPRENDERE UN DATO PERSONAGGIO?

Nel momento in cui si scatta, l’attore deve immedesimarsi nel ruolo che sta interpretando in quel momento per poter esprimere un sentimento di amore, ira, tristezza ecc. È molto più difficile rispetto al cinema perchè non si usufruisce del movimento e della parola.

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COM’È IL LETTORE DEI FOTOROMANZI?

È attento: segue con interesse l’intera storia soffermandosi anche sui singoli particolari, si identifica nella storia immedesimandosi con i protagonisti; è fedele, legge con costanza le pubblicazioni; è partecipe: da suggerimenti, apprezzamenti, ma è nello stesso tempo è critico ed è molto affezionato ai propri attori - a tale proposito abbiamo dato vita ad uno spazio (c’è posta per..) riservato alla corrispondenza con gli attori. È curioso: in alcuni casi è attento spettatore anche sul set dove incontra i suoi attori preferiti. La classe sociale a cui appartiene è quella media (casalinghe, commesse, talvolta anche professori d’università). L’età varia a seconda della casa editrice: 18-30 anni per i lettori Lancio. 50-60 anni per le altre case editrici.

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Nella fotografia, il linguaggio non verbale acquista molta importanza per fare in modo di comunicare al lettore i sentimenti, gli stati d’animo, le emozioni della persona anche senza testo. E’ questa infatti la difficoltà maggiore in cui ci si imbatte nella realizzazione di un fotoromanzo. La visione comune tende a considerare questo tipo di comunicazione come universalmente comprensibile, al punto da poter trascendere le barriere linguistiche. In effetti i meccanismi dai quali scaturisce la comunicazione non verbale sono assai simili in tutte le culture, ma ogni cultura tende a rielaborare in maniera differente i messaggi non verbali. Ciò vuol dire che forme di comunicazione non verbale perfettamente comprensibili per le persone appartenenti ad una determinata cultura, possono invece essere, per chi ha un altro retaggio culturale, assoluta32

mente incomprensibili o addirittura avere un significato opposto a quello che si intendeva trasmettere. Uno studio condotto nel 1972 da Albert Mehrabian (“Non-verbal communication”) ha mostrato che ciò che viene percepito in un messaggio vocale può essere così suddiviso: - Movimenti del corpo (soprattutto espressioni facciali) 55% - Aspetto vocale (Volume, tono, ritmo) 38% - Aspetto verbale (parole) 7% L’efficacia di un messaggio dipende quindi solamente in minima parte dal significato letterale di ciò che viene detto, e il modo in cui questo messaggio viene percepito è influenzato pesantemente dai fattori di comunicazione non verbale. L’analisi del processo di comunicazione ha portato a considerare quanto sia importante nella comunicazione il linguaggio non verbale (CNV)

a fronte dell’identificazione che comunemente si opera tra linguaggio e parola. La CNV comprende tutti i segnali del corpo: la prossemica, l’aspetto (inteso come abbigliamento, pettinatura, trucco ecc), la postura, la mimica, i gesti, lo sguardo e l’orientamento del corpo.

LA PROSSEMICA

Le persone, quando comunicano, si pongono a una certa distanza le une dalle altre. Questa è la prossemica, che dipende dalle caratteristiche della personalità degli interlocutori, dalla differenza di status sociale, dal tipo di rapporto che hanno tra di loro e dalla società in cui vivono. Vengono distinte quattro aree che indicano le distanze che le persone tendono a mantenere nei loro rapporti con gli altri: -area sociale esterna: copre una distanza che va dai 3,5 m in su. È la


distanza che separa il relatore dal pubblico in una conferenza oppure un preside che comunica con una classe di studenti. -area sociale interna: che va dai 1,2 a 3,6 m. È la distanza che viene normalmente mantenuta nei rapporti di lavoro nelle conversazioni con persone che non si conoscono bene. La distanza sociale varia a seconda della cultura di una certa società; ad esempio, nei paesi arabi le persone dialogano a poco più di 20 cm, mentre nei paesi anglosassoni si pongono a circa 1,5 m di distanza. -area personale: va dai 0,5 ai 1,2 m ed è tipica dei rapporti fra persone che si conoscono bene, come ad esempio amici, parenti, colleghi e compagni di classe con cui si ha un buon rapporto. -area intima: che va da 0 a 0,5 m. Questa è la distanza fra i genitori e figli, amici del cuore, sposi.

Se una persona invade inavvertitamente il territorio personale di un’altra, minaccia inconsciamente la sicurezza personale dell’interlocutore che potrà reagire con segnali non verbali indicanti chiusura, come ad esempio: braccia conserte, gambe accavallate, oppure allontanamento fisico.

L’ASPETTO

Esiste un detto che afferma “l’abito non fa il monaco”, ma nella società in cui viviamo non è esattamente così. Infatti, il modo di vestirsi, di pettinarsi, di truccarsi, l’uso di accessori danno indicazioni sul tipo di persone e generano molti pregiudizi; ad esempio, una donna molto truccata con capelli ricci, rossetto rosso, minigonna vertiginosa, tacchi alti e a spillo può suscitare giudizi negativi sulla sua moralità; mentre la stessa donna con capelli raccolti, poco truc-

cata, vestita con un tailleur e scarpe basse può dare l’idea di una donna “perbene”. In conclusione, il modo di presentarsi influisce moltissimo sull’impressione più o meno favorevole suscitata negli altri e fornisce indicazioni sulla classe sociale a cui si appartiene, cosa si vuole e fornisce un importante messaggio.

LA POSTURA

Si intende per postura il diverso modo di stare in piedi, seduti o distesi. È un importante segnale dello stato emotivo delle persone, dei tratti della personalità in generale, dell’atteggiamento nei confronti di una determinata persona o situazione. Gli indicatori più importanti della postura sono: rigidità-rilassamento e apertura-chiusura. Anche il modo di camminare rientra nella postura e dimostra il grado di 33


sicurezza dell’individuo. Una persona sicura di sé cammina assumendo una posizione eretta, non rigida, con le spalle rilassate, con un passo regolare, appoggiando tutte le parti del piede e allineando il corpo. Una persona seduta può tenere: il corpo inclinato in avanti, indietro o dritto. Nel primo caso indica aggressività, insicurezza ma anche consenso e attenzione. Nel secondo caso può denotare chiusura, rifiuto, ma anche rilassamento. Nel caso in cui il corpo sia dritto e rilassato, la persona è a suo agio e disponibile a comunicare. Infine le persone in piedi possono tenere le braccia e le gambe incrociate e in questo caso comunicano disagio di essere “sulla difensiva” o le braccia lungo il corpo e le gambe dritte indicano invece sicurezza e disinvoltura.

LA MIMICA

Sono le espressioni del viso. Anche la bocca comunica sentimenti e stati d’animo. Una bocca con gli angoli rivolti verso il basso ci appare triste, o insoddisfatta; viceversa, con gli angoli all’insù, indica gioia e soddisfazione. Un sorriso troppo insistente rispetto alla situazione diventa falsità, anche quello troppo veloce può mandare il messaggio “ti sorrido per circostanza”. Nei momenti di incertezza e tensione invece si mordono o serrano le labbra.

I GESTI

Mentre si parla, spesso si gesticola in modo inconsapevole. Alcuni gesti hanno un’origine molto antica, come 34

ad esempio il gesto di girare il pollice in basso o in alto risale ai tempi dell’antica Roma. L’imperatore usava questo gesto per decidere se il gladiatore ferito doveva essere ucciso o salvato. Gesti che assumono un significato universale sono ad esempio “fare spallucce”, ossia alzare le spalle come gesto di disinteresse; mostrare il pugno come indicatore di aggressività; sbadigliare che può indicare noia, ma anche tensione o “fame”. Argyle, famoso studioso della comunicazione “non verbale”, ha distinto i gesti in: -gesti illustratori, che accompagnano un discorso e lo rendono più efficace. -gesti convenzionali, come ad esempio fare ok con le dita o il segnale di stop con la mano dritta e con il palmo verso l’altro. -gesti che esprimono sentimento, come baciare, abbracciare, fare una carezza, ritirarsi in se stessi. -movimenti rituali, come stringere la mano.

LO SGUARDO

Lo sguardo può trasmettere sicurezza, disinteresse, attenzione, ansia, distacco, odio, amore ecc. Uno sguardo diretto in genere indica sicurezza, sincerità, mentre uno sguardo basso denota incertezza e ansia, ma anche mancanza di sincerità. Se a una domanda, il nostro interlocutore risponde guardando verso sinistra significa che sta ricordando e quindi che ci sta dicendo la verità, se invece guarda verso destra, significa

che sta inventando e ci sta mentendo. Infatti nell’emisfero sinistro del nostro cervello ci sono i centri della memoria, mentre nell’emisfero destro hanno sede la creatività e la fantasia. Se il nostro interlocutore guarda prevalentemente in alto, significa che è un idealista o che usa prevalentemente il canale visivo. Se la persona quando parla dirige lo sguardo prevalentemente verso il basso, significa che è materialista o che usa prevalentemente il canale cenestesico. Si è riscontrato che, in condizioni stabili di illuminazione, le pupille si dilatano spontaneamente quando lo sguardo si posa sulla persona amata, aumentando anche di tre volte rispetto alla grandezza. La pupilla si restringe invece quando lo sguardo si posa su una persona verso cui si prova odio.

L’ORIENTAMENTO DEL CORPO

Un altro aspetto significativo della cnv è rappresentato dall’orientamento spaziale delle persone che comunicano tra di loro. Se due persone hanno un rapporto positivo, di simpatia, di affetto, orienteranno lo sguardo, il corpo – soprattutto i piedi e, in qualche caso, il polso – verso l’altra persona. Se, viceversa, il rapporto è di antipatia, soprattutto i piedi si orienteranno in una direzione opposta. Ricordiamo quindi che spesso è la direzione dei piedi a indicare le vere intenzioni di una persona.


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LA SCENEGGIATURA

La sceneggiatura descrive in modo dettagliato tutte le scene previste e le azioni e gli ambienti in cui si svolgono i fatti. Talvolta è possibile trovare nelle sceneggiature anche alcune indicazioni sui movimenti che la macchina da presa dovrebbe fare, ad esempio riprendere l’attore in primo piano (ovvero da vicino, inquadrandone solo il volto) o in campo lungo . Sul piano della formattazione della pagina, esistono due diversi modelli: 1. sceneggiatura all’italiana 2. sceneggiatura all’americana Nel primo modello, all’italiana, il testo è diviso in due parti disposte longitudinalmente: a sinistra c’è la parte descrittiva, ovvero le didascalie, a destra invece compaiono i dialoghi dei personaggi; quindi la pagina è come divisa in due colonne. Altra caratteristica è quella che ad ogni inizio di una nuova scena si cambia pagina, questo per agevolare il lavoro durante la compilazione del piano di lavorazione. La sceneggiatura all’americana, invece, dispone sia le didascalie che i dialoghi nella parte centrale del foglio; le didascalie ne occupano tutta la larghezza, mentre i dia36

loghi vengono disposti al centro, incorporati in un margine ridotto. Il successo del modello di impaginazione americano è dovuto principalmente alla sua facilità di lettura perchè è effettivamente più pratico in fase di impaginazione e ormai tutte le case di produzioni italiane lo hanno adottato come standard. Nel modello americano il font obbligatorio è il Courier corpo 12: questo perché è il carattere che più assomiglia alla stampa delle vecchie macchine da scrivere. I nomi dei personaggi e le intestazioni delle scene vengono scritti tutti in maiuscolo. Nell’intestazione bisogna scrivere il luogo nel quale la scena è ambientata, se si svolge in esterni (all’aria aperta) o in interni (in un qualunque ambiente chiuso) e alla luce di giorno oppure di notte. Le didascalie sono tendenzialmente prive di orpelli letterari e tendono a descrivere ambienti e azioni in modo chiaro e sintetico. Il modello alla francese si sintetizza in una via di mezzo tra gli altri due (disponendo in alto al centro una parte descrittiva e in basso a destra la parte coi dialoghi). È comunque il meno usato dei tre.


ACRONIMI E ABBREVIAZIONI UTILIZZATI NELLO SCRIPT PPP PP PM PA FI CL CLL CR FC SOGG. PAN TK MdP DIDA POV CG

Primissimo piano Primo piano Piano medio Piano americano Figura intera Campo lungo Campo lunghissimo Campo ravvicinato (rispetto al CL o CLL) Fuori campo Soggettiva Panoramica Truka: indica l’inserimento di un effetto. Macchina da presa Didascalia Punto di vista (cinepresa o telecamera) grafica computerizzata

IL FORMATO DI UNA SCENEGGIATURA

Il formato di una sceneggiatura è un insieme delle convenzioni che aiutano lo sceneggiatore a trasmettere al produttore ‘l’immagine’’ espressa in parole scritte. Il formato viene applicato innanzitutto per aumentare la trasparenza e comprensione della sceneggiatura e comprende tutti gli elementi che sono formalizzati nella sceneggiatura, ovvero non appartenenti al soggetto come tale. La nozione “formato” comprende quindi i tre seguenti argomenti: 1. La conformità dei caratteri, degli spazi tra le linee e delle dimensioni della composizione. 2. Lo schema grafico, il cosiddetto layout, ovvero il modo di introdurre e disporre diversi elementi della sceneggiatura (dialogo, intestazioni delle scene, parentheticals, transitions, ecc.). 3. La grammatica tipica per la sceneggiatura, usata dagli sceneggiatori. Tale grammatica va vista sotto due aspetti: (3.1.) Lo stile ‘manifestante’ (‘manifestation oriented style’), ovvero l’uso delle espressioni limitate in gran parte a presentare in modo chiaro e sintetico ciò che si potrà leggere o vedere.

(3.2.) La codificazione, che si vede nelle modifiche delle convenzioni comuni della narrazione. Per esempio: senza interrompere la fluidità della narrazione, si sottolineano gli oggetti o i dialoghi importanti nel corso dell’azione; si fa distinzione tra chi parla fuori campo (in off ) e chi ha il ruolo del narratore, ecc.

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Come accade per il cinema, scrivere un fotoromanzo significa scrivere per immagini, e per fare ciò occorre che lo sceneggiatore abbia un suo punto di vista tecnico. In genere in ogni paragrafo di sceneggiatura va indicata l’inquadratura appropriata. Il regista, a seconda delle diverse angolazioni dell’inquadratura, può esprimere il suo punto di vista rispetto alla realtà che vuole rappresentare. Per quanto concerne l’inquadratura, bisogna subito distinguere fra campi e piani: il campo di ripresa corrisponde alla porzione di spazio inquadrato; il piano invece riguarda la porzione della figura umana inquadrata. Questi due elemanti della scrittura cinematografica possono essere frazionati in otto specifici punti di vista:

- Campo lunghissimo o totale (C.L.L.): quando la macchina da presa inquadra uno spazio vastissimo, che si perde praticamente all’infinito. 38

- Campo lungo (C.L.): molto simile al C.L.L, solo che in questo caso la figura umana è più riconoscibile nell’ambiente.


- Campo medio e figura interna (C.M.): quando una o piĂš persone sono riprese per intero. Nel caso in cui venga inquadrata una persona sola, allora si avrĂ la figura interna (F.I).

- Piano americano (P.A.): la figura umana è ripresa dalle ginocchia in su.

- Primo piano (P.P.): viene inquadrato il volto e parte del busto del personaggio.

-Primissimo piano (P.P.P): è inquadrato solo il volto.

- Dettaglio/particolare: si usano per fare dei primi piani rispettivamente a un oggetto e ad una parte specifica del corpo umano. 39


IL MIO FOTOROMANZO

In conclusione, presento un mio fotoromanzo creato a scuola con l’aiuto dei miei compagni. Questo fotoromanzo, si apre con le scene in cui il professore spiega agli alunni come è costituito principalmente un fotoromanzo, poichè ne dovranno realizzare uno come compito in classe. Dopo la spiegazione del professore, gli alunni iniziano con la stesura della sceneggiatura e inseguito all’approvazione del professore, iniziano a preparare l’attrezzatura che servirà per la realizzazione delle foto. Quando i ragazzi saranno pronti per iniziare a scattare le foto (dopo un’attenta letta della sceneggiatura per riuscire a comprendere le azioni che dovranno fare), nel fotoromanzo, si potranno osservare le principali scene che si trovano nella maggior parte dei fotoromanzi, ovvero: due ragazzi che si incontrano e che dopo aver superato una serie di difficoltà, giungono al coronamento dei propri sogni che visivamente si traduce quasi sempre in un bacio d’amore. Ho desiderato trattare quindi un fotoromanzo all’interno di un fotoromanzo, proprio per riuscire a spiegare sinteticamente le fasi della realizzazione di questo genere che mi ha affascinato. Devo dire personalmente che, assieme ai miei compagni, ci siamo divertiti molto a realizzare tutto ciò, soprattutto perchè siamo riusciti a dimostrare un grande spirito di collaborazione e di amicizia indispensabili per riuscire a creare un buon lavoro.

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FOTOROMANZO IN CORSO


SOGGETTO e SCENEGGIATURA Zaffani Elena e Rensi Anna PERSONAGGI E INTERPRETI Tutti i componenti della 5ATG dell’indirizzo di grafica pubblicitaria dell’istituto Carlo Anti e il professore di tecnica fotografica, Sergio Seguri

FOTOGRAFIA Paiusco Nicola REGIA Zaffani Elena


FOTOROMANZO IN CORSO

Bella idea prof! Ma come si sviluppa un fotoromanzo?

Ok, ho capito! E le storie dei fotoromanzi di solito di cosa trattano?

Allora ragazzi! Oggi realizzeremo un fotoromanzo.

La storia si divide in tre parti: inizio, sviluppo e finale. Oppure esposizione, conflitto, scioglimento. È uno schema che mima la vita: si nasce, si vive e si muore.

Bè ragazzi, le storie dei fotoromanzi sono più o meno sempre uguali. Parlano di due ragazzi che dopo aver superato una serie di difficoltà, giungono al coronamento dei propri sogni che visivamente si traduce quasi sempre in un bacio d’amore.

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Ma dobbiamo inventare noi i dialoghi?

Cosa intende prof?

Bene, se adesso avete capito tutto e non ci sono domande, iniziate a unire i banchi e a fare la sceneggiatura del romanzo. Dopodichè potrete fare le foto.

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Certo! Vi do dei consigli: innanzitutto dovete utilizzare il linguaggio del parlato, altrimenti la narrazione risulterà inverosimile. Poi, non dovete mai citare il posto in cui si svolge la vicenda per fare in modo che il lettore si immedesimi con un posto a sua conoscenza. Infine, quando fate le foto, tenete conto che la frase pronunciata da un personaggio si nutre anche di tutto ciò che non è esattamente dialogo.

Intendevo dire che il dialogo “dialoga” con tutte le parti della narrazione, anche quelle silenziose: come ad esempio la didascalia o anche i gesti, le espressioni ecc.


Qui modifica! Metti che è l’ex fidanzato quello che entra in scena.

Ecco prof! Come può vedere abbiamo finito la sceneggiatura.

E qui mettiamo che poi la protagonista vede lui con un’altra!

Bene! Buon lavoro ragazzi! Sono contento di voi. Adesso andate a prendere il materiale e iniziate a realizzare le foto.

Io qui ho sistemato le luci!

Anche io!

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Guardate bene le scene da realizzare e poi cominciamo!

DOPO QUALCHE ORA DI PREPARAZIONE I RAGAZZI INIZIARONO A RECITARE LE LORO PARTI E COMINCIÒ COSÌ IL VERO E PROPRIO FOTOROMANZO...

ahahahahahahahah!

Dai che si comincia! Tutti ai propri posti!

Hai visto la champions? che forte che è Messi!

No non ho avuto tempo, ho altro a cui pensare. ahahahahahahah! Troppo simpatico!

A cosa ti riferisci?

Guarda quella biondina, è molto interessante. La Elena? Vieni che te la presento!

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ELENA! Ti devo presentare una persona.


Elia, ti presento Elena. Mi raccomando trattamela bene!

Ahahah! Contaci!

DOPO UNA SETTIMANA ...

Mi sto innamorando di te..

Noi andiamo a farci un giro, poi la riaccompagno a casa io!

Va bene. Allora ci troviamo questa sera al solito bar!

Io invece penso di essere giĂ innamoratadi te!

E tu chi diavolo sei? Lei è mia!

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Vittorio! Cosa stai facendo! Ormai è finita da un pezzo tra noi. Lascialo stare!

Sei un bastardo!

Guarda che non è finita qui! Ricordatelo!

Va bene! Io sarò sempre pronto!

Elia! Dova vai? Dai torna qui. Per me lui non significa più niente!

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Ciao Elia, sono Elena. Come mai te ne sei andato così? Sei arrabbiato con me?


Allora? Come mai te ne sei andato così?

Ciao... Non voglio parlare al telefono. Ci vediamo tra dieci minuti al solito posto per parlare.

Guarda, è meglio che la facciamo finita qui. Non voglio più avere questi problemi. Mi dispiace, scusa.

Ei! Che succede? Come mai piangi? Elia mi ha lasciato.

Dai su. Se ti amava veramente non ti avrebbe lasciato per questa banalità.

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MI mancavi! Scusa per tutto.

Adesso alzati dai. Andiamo a farci un giro!

Tranquillo, non sono arrabbiata con te. Hai ragione tu, se mi amava non mi avrebbe lasciato. Forse è stato meglio così.

Vedrai che adesso passerà tutto. Basta un po’ di tempo per dimenticare.

Sappi che io ci sarò sempre per te. Se hai bisogno basta una chiamata. Lo spero davvero. Adesso ho solo voglia di divertirmi!

Grazie! Ne terrò conto.

Ti voglio bene, davvero. Spero di riuscire a farti dimenticare Elia.

Ti voglio bene anche io!

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Come mai guardi lei eh? Non avevi detto che tra voi era finita?

Scusa ma non riesco a dimenticarla. Penso di amarla ancora.

Elena! Fermati!

Che cosa??

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Dai ti prego!

No! Cosa vuoi??

Girati e te lo dico

Io voglio te.. TI AMO

FINE 52


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Backstage

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Bibliografia sitografia. Anna Bravo, “Il fotoromanzo” - editrice Il Mulino Maria Colombari, “La comunicazione” - editrice San Marco http://www.fotoromanzi-topilio.it/ http://it.wikipedia.org/wiki/Fotoromanzo http://www.francogasparri.it/

http://patriziamandanici.blogspot.com/ http://pulcinella291.forumfree.it/?t=45084191 http://fotoromanzo.myblog.it/album/fotoromanzo/fot-7.html




All’epoca non si sognava l’ultimo vincitore del Grande Fratello, nè la letterina di turno, ma Claudia Rivelli e Franco Gasparri: due grandi attori di fotoromanzi. Così sono cresciute molte persone soprattutto dagli anni ‘40 agli anni ‘80: a pane e fotoromanzi. Quei fotoromanzi che aiutavano i lettori ad allontanarsi anche per pochi minuti dalla quotidianità e di sognare assieme a loro.


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