DEDALUS L’utilità dell’inutile
N°2 Novembre 2014
Sommario
4. Attualità Quando la guerra fredda si sposta in medioriente - Alessandro Miro La tradizione aretina - Alessandro Falsini Una cottà da colorare - Sofia Fuscino e Lisa Bertini La trattativa - Rosaria Carlino
11. Scienze Umane L’uomo selvatico - Leonardo Piomboni
13. Letteratura Il Visconte dimezzato - Marco Tenti
14. Guida a Guido 17. Cinematografia
Il Giovane Favoloso - Matteo Quinti Giacomo Fratini Il Giovane Favoloso - Giulia Freni Il Grande Lebowski - Alberto Ghezzi
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22. Narrativa
Inno alla vita: alla ricerca dei valori perduti. La mia risposta è... - Cristina Marcelli 5 Agosto 1945 - Filippo Mulinacci
24. Poesia Lo scorrere del tempo - Adele Severi Vecchie fotografie che il vento fa volare Giulia Freni Ricordi - Giulia Freni
26. Lingue Straniere
Comenius Project - Serena Citernesi Le chemin de l’Impressionnisme Carlotta Casi
28 Comunicazioni
Editoriale Cari lettori e scrittori in erba, è stato questo un mese denso di eventi, dalla manifestazione per la Palestrina di San Lorentino alla prima assemblea d’istituto dell’anno. C’è tanto da dire, ma procediamo con ordine. Vorrei innanzitutto scusarmi se sono stati commessi degli errori nella prima edizione, e mi rivolgo in particolar modo ad Alessandro Falsini, il cui articolo “La tradizione aretina”, impaginato erroneamente nel primo numero, verrà stavolta ripubblicato. Purtroppo il tempo a disposizione per correzione ed impaginazione non è stato sufficiente ad ottenere un lavoro impeccabile, ma ci proponiamo di rimediare nei numeri a venire, iniziando da questo. Per quanto riguarda le novità inerenti al giornalino, su iniziativa di Ilaria Dalla Noce è stata inserita all’interno del Dedalus la voce “Guida a Guido”, una rubrica mensile da lei curata che ci accompagnerà per il resto dell’anno. Si tratta di una una vera e propria guida al poeta contemporaneo Guido Catalano, un percorso di analisi atto a far conoscere un artista mal/incompreso, che fa parte di uno scenario poetico contemporaneo in fieri, a noi celato dai sovraffollati programmi di letteratura seicentesca. Una critica che critica non è, che sa poco di canone letterario e più di cuore. Il resto lo lascio alla vostra lettura. Per quanto riguarda invece l’intera scuola, è bello poter dire che gli studenti hanno risposto positivamente alle prime attività dell’anno: il Cineforum, che si avvale della presenza del critico cinematografico Giovanni Rossi, ha visto la straordinaria partecipazione
di più di cinquanta ragazzi alla proiezione del film “Goodbye Lenin”; il gruppo Archivio ha ricevuto circa sessanta iscrizioni; e infine anche all’assemblea ha preso parte un cospicuo numero di studenti, i più propositivi dei quali, sorpresa felice, appartenenti alle prime classi. Inoltre lo stesso giorno dell’assemblea, il 20 novembre, sono state riconsegnate alla scuola le chiavi dell’agognata Palestrina di San Lorentino, a dimostrazione che l’impegno, la buona volontà e una sana dose di cori da manifestazione portano sempre i loro risultati.
precarietà, sappia intuire il senso della cultura umanistica e del Liceo Classico, compresi i suoi aoristi e temi verbali. E ritengo che gli Open Day possano essere la finestra da cui sporgersi per comunicare questo: che di Platone, della sua “inutilità”, c’è bisogno ora più che mai. E a chi ha creduto in tutto questo vogliamo dedicare il Dedalus di questo mese: alla memoria della Professoressa Paola Spillantini.
Prossima tappa l’inaugurazione dell’anno scolastico, che si terrà in data 12 dicembre 2014, in stretta connessione con gli Open day, preziosa occasione per ridar adito a questa scuola. E’ da poco uscito anche in Italia “L’utilità dell’inutile” di Nuccio Ordine, pamphlet in difesa della cultura umanistica, che rivendica, anche attraverso l’utilizzo di un vastissimo repertorio di citazioni che vanno da Platone a Wallace, passando per Dante, Milton e Leopardi, la necessità degli studi classici e della loro permanenza e continuità nel tempo. Come dice l’autore “Questo libro non è contro l’utile, ma contro l’idea che l’utile divenga un fine in sé”. Il problema oggigiorno è che siamo ossessionati dalla misurabilità delle cose, ma “È la conoscenza a rendere più umana l’umanità”, è la conoscenza che prima che alla formazione lavorativa pensa a quella delle coscienze. Non credo che il tempo delle lettere e del greco sia finito, né che la gente ormai abbia bisogno d’altro. Come credo che ci sia ancora speranza, che ci sia ancora chi, nonostante la crisi, il Jobs Act e il fantasma della
“Benedetto liceo classico. È l’anima dell’Italia migliore. Prepara alle professioni del futuro (Umberto Eco), insegna a ragionare e a resistere (Luciano Canfora)”.
Concludo citando un articolo di Angiola Codacci e Gentile Pisanelli:
Rinnovo infine il mio invito a scrivere e a mandarci i vostri articoli alla mail dedalus. classico@gmail.com, e vi auguro una buona lettura!
Serena Citernesi a nome di tutta la redazione
Redazione: Serena Citernesi Dejan Uberti Nico Loreti Enrico Fedeli
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Attualità
Quando la guerra fredda si sposta in Medioriente Si riaccende la questione mediorientale tra Putin e Obama con un nuovo fattore che entra in gioco: l’Isis. Dalle radici del problema fino ad arrivare al suo sviluppo moderno. Prima dell’inizio dell’articolo ho voluto fare una concisa premessa sul tema che questo scritto tratta: la politica. Essa è di fondamentale importanza per la formazione di una persona, ma ultimamente noi ragazzi ci interessiamo sempre meno a questo argomento: non si sente più una discussione, un confronto e nemmeno più una nostalgica litigata di vecchio stampo tra “fascisti” e “comunisti”. Eppure questa scienza è altamente formativa perché fa capire ad uno studente quale sia il mondo che lo circonda, dove lui entrerà ancora più attivamente al termine degli studi. E a quel punto come si relazionerà senza sapere cosa sia l’Unione Europea oppure quali siano i partiti che si presentano alle elezioni? La politica è indispensabile per creare un cittadino cosciente e informato: in grado di conoscere a fondo la società e il ruolo che è chiamato a svolgere. Spero allora che nella scuola superiore e soprattutto nel nostro liceo classico sia possibile introdurre una materia come geopolitica fino dal primo anno. Uno degli obbiettivi del nostro liceo è quello di saper leggere e acquisire la cultura, i valori, gli insegnamenti del passato per riutilizzarli consapevolmente nel presente. Ma come conoscere la contemporaneità se nel
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nostro programma di studio arriviamo solamente fino al Novecento? Forse la geopolitica sarebbe una risposta adeguata e puntuale a questa mancanza nella nostra formazione. Spero allora che questo progetto venga appoggiato dal maggior numero possibile di persone così da poter essere attuato per un miglioramento della scuola. Oggigiorno il Medioriente è ritornato lo scenario più acceso e controverso nel mondo a causa degli sviluppi della primavera araba e della nascita di una nuova organizzazione: l’Isis ( Islamic State of Iran and Siria). Due grandi potenze mondiali come gli Usa e la Russia sono coinvolte nella situazione odierna e per necessità sono costrette ad affrontarla, seppure ciascuna con i suoi metodi nettamente differenti. L’America di Obama sta portando avanti una politica estera basata sul principio di non interventismo, cioè proprio l’opposto di ciò che faceva l’ex presidente Bush. Infatti dal 2001 al 2008 Washington riteneva indispensabile essere partecipe attivamente nei teatri strategici; di fatto questa scelta viene considerata troppo dispendiosa e non ha portato i risultati sperati, quindi la Casa Bianca ha deciso di invertire la rotta. Il Segretario della Difesa Robert Gates nel Febbraio 2011 ha
spiegato ai cadetti di West Point che il fatto di avere il miglior martello non significa che ogni problema sia un chiodo. Il concetto è lapidario e sintetico: non siamo più i paladini della giustizia nel mondo, bensì dobbiamo intervenire solo in caso di estrema necessità. Precedentemente Bush aveva finanziato la guerra in Iraq e ne aveva fatto il perno della sua politica estera rendendo ancora più instabile un paese che aveva già sofferto la caduta di Saddam Hussein. Obama invece con poca gradualità ha fatto rimpatriare le truppe perchè riteneva fondamentale che l’Iraq riuscisse a esprimere delle istituzioni efficienti e che rimediasse da sola al vuoto di potere che hanno ereditato dal Paese a stelle e strisce. Facendo questo gli States hanno lasciato il Medioriente nel caos. Nel maggio del 2014 in questo drammatico scenario si inserisce l’Is (Islamic State) del sedicente califfo Abù Bakr Al-Baghdadì che imperversa in Siria e Iraq. Costui vuole la creazione di uno Stato islamico ecumenico, ovvero di cui possano sentirsi partecipi tutti i musulmani, tanto che un numero consistente di jihadisti proviene dall’America e dall’Europa. Non solo, egli lotta per uno Stato con dei possedimenti e dei confini (Iraq e Siria), i quali però sono autoproclamati e non riconosciuti dalle altre nazioni. Infine egli intende liberare i Luoghi Santi, Mecca e Medina, dall’impura casa reale di Riyad, ritenuta poco integralista nelle questioni di fede e soprattutto corrotta dall’ Occidente. Seppure questa organizzazione incuta molto timore agli occidentali per gli efferati metodi con i quali si pubblicizza e si fa conoscere nel mondo, Lucio Caracciolo ( direttore della rivista di geopolitica “Limes”) afferma che <<L’Isis non sarà altro che una nota a piè di pagina nei libri di storia. Nel caos
contemporaneo, le scorribande del califfo possono produrre però effetti sistematici grazie alla formidabile confusione nella sua area di operazioni, alla delegittimazione dei regimi sopravvissuti alla prima fase della cosiddetta “primavera araba” o da essa prodotti, al vuoto strategico di ciò che residua dall’Occidente. A che serve lo Stato Islamico? Come rilevatore, indica il grado di confusione e di stanchezza dei protagonisti esterni ed interni al sisma geopolitico nel Golfo>>. Insomma viene focalizzata dall’Is la grande partita per l’egemonia che si gioca in Medioriente: quella tra Arabia Saudita e Iran. Fino a qualche anno fa i sauditi sono stati i protagonisti indiscussi del Golfo Persico grazie soprattutto all’alleanza con gli States. D’altro canto l’Iran, bramosa di potere, ha portato avanti un progetto di arricchimento dell’uranio così da armare le testate nucleari. Nel 2007 è uscito lo scandalo iraniano e l’Occidente è stato costretto a fronteggiare questa pericolosa situazione. Così l’allora senatore Obama dichiara:<< Voglio parlare con Teheran senza preclusioni. Anzi, qualora le istituzioni fossero aperte al confronto potrebbero ottenere considerevoli benefici economici e perfino l’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio>>. A questa interessante proposta non ha risposto il presidente AhmadiNejad, bensì l’Ayatollah Kamenei ( Guida suprema degli sciiti ) che ha respinto l’offerta. Il gelo tra gli Usa e l’Iran è proseguito fino al 2011 quando Obama spazientito ha deciso di escludere Teheran dai circuiti internazionali e il Paese ha perso il 42% delle esportazioni di petrolio. Sempre nello stesso anno le truppe americane hanno abbandonato l’Iraq. Washington ha poi fomentato la ribellione contro il regime di Asad in Siria, storico alleato di Teheran, addestrando
attraverso la Cia i ribelli dell’Isis e facendoli finanziare dalle monarchie del Golfo. Queste tre mosse americane sono servite per destabilizzare l’Iran su più fronti. Nel 2013 l’ayatollah ha riallacciato segretamente i contatti con Obama e ha aperto un negoziato grazie al quale Teheran ottiene la fine delle sanzioni economiche e viene riabilitata internazionalmente. In cambio Ahmadi-Nejad ha rinunciato almeno per un periodo alla bomba atomica. Queste lunghe trattative hanno sicuramente scongiurato l’utilizzo del nucleare, ma hanno avuto ripercussioni
La politica è di fondamentale importanza per la formazione di una persona. negative sugli Usa. Infatti l’Arabia saudita ha seguito il dialogo Washington-Teheran con grande disprezzo e insoddisfazione. Secondo i sauditi Obama ha violato il punto principale del loro accordo: nessun favoreggiamento all’Iran. L’odio tra le due potenze del Golfo è dovuto a motivi religiosi, l’Iran è sciita mentre l’Arabia è sunnita, e alla volontà da parte di entrambe di primeggiare in Medioriente. I sauditi nel 2012 hanno dato il compito a Bandar bin Sultan, ex ambasciatore in America, di addestrare i jihadisti dell’Isis in maniera ancora maggiormente pericolosa per
tramutarli in un esercito e non lasciarli solamente dei semplici miliziani. L’obbiettivo era quello di costringere Washington a occuparsi nuovamente della situazione poichè gli uomini di Al-Baghdadì erano in grado di attaccare le capitali Damasco e Bahgdad. Nella primavera del 2014 è scoppiato sui mass-media il caso Isis e il Segretario di Stato americano ha imputato a Sultan di aver creato un mostro. L’ex ambasciatore saudita risponde:<< Che altro potevamo fare? Obama s’è rifiutato di intervenire in Siria anche quando Damasco ha usato armi chimiche contro i civili. Non avevamo altra scelta. Come molto spesso accade i “mostri” si ritorcono contro chi li ha creati. Infatti il califfo dell’Isis si è scagliato contro l’Arabia Saudita definendola come loro primo obbiettivo perchè è uno Stato corrotto dall’Occidente e non sono degni di amministrare i luoghi sacri Mecca e Medina. Nel frattempo Washington sta combattendo in Siria contro Asad e contro quelli che ha incaricato di sconfiggerlo, ovvero i jihadisti. E pensare che prima dell’estate il presidente americano non aveva nessuna intenzione di intervenire nuovamente nelle questioni mediorientali perchè non riteneva temibile l’avanzata dell’Isis. L’opinione pubblica americana e il Congresso però non erano dello stesso avviso e Obama è tornato sui suoi passi. Infatti a luglio partono i primi raid arei in Siria contro il califfato. Capitolo Russia. Storicamente Mosca non è mai intervenuta direttamente nel teatro mediorientale per interessi diretti, ma ha solamente cercato di frenare l’avanzata statunitense con interventi contingenti alla situazione che si andava sviluppando. Con questo attendismo ha fatto sì
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che Washington diventasse egemone nel Golfo fino agli anni novanta, in quanto tamponare un problema è ben diverso dal risolverlo attivamente. Il grande cambiamento è arrivato con Putin ( primo ministro nel 1999 e presidente nel 2000 ), il quale si è trovato ad affrontare una delle più grandi crisi che la Russia abbia mai conosciuto a causa dello scioglimento dell’Urss. Ciò ha comportato anche un incisivo indebolimento dell’influenza russa negli altri Stati. Come risolvere il problema? Semplice, Putin ha creato una strategia di politica estera a mediolungo termine, con obbiettivi ben precisi da realizzare in un tempo prestabilito. La chiave di questa idea risiede nella parola consolidamento, infatti il premier riteneva fondamentale perseguire delle alleanze che forse nell’immediato non si sarebbero rivelate così proficue, ma col trascorrere del tempo potevano aiutare la causa russa. In secondo luogo Putin ha puntato forte su petrolio e gas per far risorgere il suo popolo dalle ceneri degli anni novanti. La Russia si è sviluppata come una petro-nazione ( il 40% degli introiti provengono da gas e petrolio ) . A breve termine questa strategia ha incrementato il PIL di Mosca, ma successivamente
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ha rivelato anche degli aspetti negativi. Il primo è che uno Stato moderno, per essere definito tale, deve sviluppare maggiormente il settore terziario ( quello dei servizi ) e non solamente il primario, per non creare un divario troppo ampio. In secondo luogo il mercato petrolifero è soggetto ad importanti oscillazioni dovute alle riserve e al prezzo di vendita del greggio negli altri Stati. Quindi la geopolitica russa è incentrata su quelle nazioni che hanno grande disponibilità di petrolio: la maggior parte di esse sono situate in Medioriente. E’ nell’interesse di Putin mantenere stabile la situazione sul Golfo, così da evitare pericolose oscillazioni del petrolio sul mercato. Ancora una volta rientra in gioco l’Isis, infatti i jihadisti per finanziare le loro guerre hanno iniziato a vendere il petrolio illegalmente a prezzi decisamente inferiori rispetto a quelli di mercato. Così in poco tempo il costo del greggio è salito a 114 dollari al barile, uno dei valori più alti degli ultimi mesi. Ma la Russia aveva già previsto il pericolo, dato che il Medioriente è stata sempre una zona di grande instabilità e aveva stretto nelle metà degli anni novanta un’importante alleanza con Teheran per fornire agli iraniani i reattori
per la centrale atomica di Bushehr. Successivamente Putin ha siglato un altro accordo sempre con l’Iran che riguarda il petrolio: Ahmadi-Nejad venderà ai russi 3 milioni di tonnellate l’anno di greggio. Mosca nel 2000 è riuscita anche a portare sotto la sua sfera di influenza la Siria dove si era appena insediato il generale Asad. Il Cremlino si è agganciato ad una Mezzaluna fertile composta da Iraq, Iran, Siria e Libano. Queste nazioni hanno in comune il fatto di essere tutte di fede sciita e soprattutto è proprio in questi luoghi che si sono sviluppati gravi problemi per l’America, uno tra tutti al-Qa’ida. La Siria è il collante di questa Mezzaluna che si oppone al dominio sunnita ed è nello Stato di Asad che convergono gli interessi della Casa Bianca e del Cremlino. Infatti gli Usa sono propensi a difendere l’egemonia sunnita sul Golfo ( Arabia Saudita ), mentre la Russia salvaguarderà le nazioni sciite. Come papa Francesco aveva definito guerra fredda il conflitto in Ucraina, così allo stesso modo è paragonabile la situazione mediorientale dove le due superpotenze sono coinvolte, ma non si scontrano mai direttamente ( e non sarebbe nemmeno lontanamente ipotizzabile ) perchè preferiscono agire
attraverso gli attori del posto. Washington che nel 2011 ha cercato di tirarsi fuori dai problemi causati in Iraq, ma che si è trovata immischiata nel caos peggio di prima. In seguito con poca memoria di ciò che era successo ha continuato a destabilizzare la situazione in Siria creando i jihadisti. Ed ora si ritrova ad affrontare due problemi che non collimano: Asad e l’Isis. Al contrario la Russia di Putin, scegliendo la stabilità, ha ottenuto il massimo
risultato con il minimo sforzo, infatti non è intervenuta militarmente in Medioriente a differenza dell’America. Insomma Obama non soltanto non è stato memore degli insegnamenti del Ministro della Difesa Robert Gates quando diceva:<< Il fatto di avere il miglior martello non significa che ogni problema sia un chiodo >>, ma ancora peggio ha cercato di perseguire questa teoria a metà: prima abbandonando completamente
LA TRADIZIONE ARETINA
il problema e successivamente cercando di rimediare agli errori commessi in maniera confusionaria, “rattoppando a destra e a manca”. La domanda sorge spontanea: sarà forse che, per una volta, l’Occidente debba imparare da Putin?
Fonte dell’articolo la rivista “Limes: le maschere del califfo”. Alessandro Miro
Come veniva prodotto il mezzo vino (meno pregiato di quello normale) dai contadini aretini.
Siamo in autunno, una stagione forse per alcuni malinconica, ma fondamentale per i contadini aretini: è tempo di vendemmia e della produzione del vino. Soprattutto in passato nelle campagne del nostro territorio i poveri contadini bevevano il “mezzo vino” perché diversamente da oggi all’ epoca il cibo in tavola non era mai abbastanza e nulla andava sprecato. Per cercare di spiegare questo propongo un brano che narra di “quande se faciva ‘l vino”.
‘L padrone biiva ‘l vin bòno de doddeci treddeci gradi; noi quello se vindiva e se biiva ‘l bolognese e l’ acquarello. A la svinatura, quande l’ uvva del tino ‘n goccieva più, ‘n quele vinacce armaste drento ce se buttèva l’ acqua co’ bigoni; si c’era ‘n quintèle de vinacce ce se ne buttèva mèzzo d’ acqua e cusie via. Doppo settotto giorni se piglèva e se svinèva e le vinacce se pigièveno a lo strettoio. Veniva fori ‘n vino ch’ arà auto séi, sette gradi, mica piùe; e doppo se governèva come quel bóno...gne se dicia ‘l bologne. Alora ‘nn’ era ‘l discorso debuttè vviaa… Con
quele vinacce bèlleche strette, doppo ce se faciva l’ acquarello. Se mittiva drento ‘na botte o a ‘n tino le vinacce e se ce buttèva l’ acqua e se lasciaveno lìe ‘na ghjcina de giorni, doddeci toh! E doppo se tramutava. L’ acquarello era frizzantino e se biiva subbeto dall’ un primo perché era sottoposto a vire a mèle. Quande era finito l’ acquarello alora s’ atacchèva a bere l’ bolognese tutti i giorni. Quande eppù s’ era ‘n l’ agosto ‘l vino era bèlleche finito e ce tocchèva fère ‘l bigonaccio. Alora s’ andava a coglie’ qualche grappélo d’ uvva ‘n qua e ‘n là pi’ filari de fanne tre, quattro
bigoni; doppo s’ apigèva l’ uvva drento ‘l bigone, se smostèva eppù, da lo zipèlo, se tirèva ‘l vino. A bèllo se duviva aspettère ‘na sittimèna: tanto era pòco bòno dolce a quel mòdo che ‘nn’ aiva manco bullito. Bensìe, ‘na damigèna de vin bòno tocchèva lascialla pe’ la battitura, che si Dioneguardi ‘nn’ aivi ‘l vin bòno pe’ la battitura, sennòe unguanno e quel’ altr’ anno ‘n tece n’ attornèva manco i mèzzi autatte. Alessandro Falsini
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Una città da colorare Nel 2006 (e ricostituita nel 2010) è nata ad Arezzo un’organizzazione culturale, la “Fortezza”, con l’intento di studiare e di collaborare con le istituzioni aretine. Un gruppo di amici uniti dalla passione per la cultura e mossi dal desiderio di poter migliorare l’urbanistica della città, attraverso convegni, conferenze, dibattiti formativi e informativi e altre iniziative ci rende partecipi dei propri propositi; a tal riguardo abbiamo intervistato Valter Bertini, membro di tale associazione e relatore in alcune conferenze assieme ad altri tre colleghi: Mario Bartolommei, Danilo Grifoni e Pietro Pagliardini. Bertini ci ha riferito quando si sono tenute le conferenze e quali sono stati i temi affrontati. La prima conferenza si è tenuta il 30 settembre con la partecipazione di alcune classi del Liceo Classico Musicale, mentre l’ altra il 15 Novembre con la partecipazione del Liceo Classico e dell’Istituto Galileo Galilei. La “Fortezza” tenta di sensibilizzare gli amministratori della città, ma anche la stessa cittadinanza; non solo si cerca di attirare l’attenzione di un pubblico adulto e cosciente del disagio sociale, ma anche i giovani (infatti la conferenza del 15 novembre era rivolta agli studenti del Liceo Classico Francesco Petrarca e dell’istituto tecnico aziendale Galileo Galilei): chi meglio dei giovani potrebbe svegliare il “genius” ? Ma che cos’è di preciso la “Fortezza”? La Fortezza è un’associazione culturale che cerca di promuovere il territorio con delle iniziative: “ambiente, colore e dolore; la città legale e la città dimenticata” così afferma l’architetto Valter
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Bertini. “Ambiente, Colore, Dolore” è il titolo, curioso, della prima conferenza. Ci siamo fatte spiegare dall’architetto l’origine del nome. Per “ambiente” si intende tutto il territorio che ci circonda e, quindi, tutto ciò che è stato realizzato nel tempo dall’azione dell’uomo; il “dolore” rappresenta il disagio sociale e la difficoltà dell’uomo ad interagire con l’ambiente; il “colore”, infine, vuole essere una speranza, la speranza di combattere il disagio e rimuovere gli ostacoli alle relazioni umane. Il colore è la metafora della lotta all’oscurità della nostra società. In questa conferenza i relatori hanno voluto sottolineare proprio i problemi che vi sono all’interno della città, una città fondata sempre più sul principio della lontananza, dove più lontani sono gli edifici tra di loro e migliori si pensa possano essere le condizioni di vita dei cittadini. Una città in cui le strade non sono più il luogo di ritrovo tra le persone come un tempo, ma il mezzo su cui si debba semplicemente transitare. L’Architetto Bertini ci spiega che la nostra città si può intendere come l’insieme dell’urbs antica (che comprende il noto “centro storico”) e dell’urbs contemporanea, ovvero la comune “periferia”. La città antica si basava, dunque, sulla relazione, tutto era in funzione di questa; si tenga conto del “Corso Italia”: le vie sono state realizzate con una distanza tale da favorire le relazioni. Basti pensare a dove noi giovani andiamo, la maggior parte delle volte, a passare il sabato pomeriggio o sera: lungo il “Corso Italia”, una strada, con i negozi a
piano terra, dove è possibile relazionarsi da un lato all’altro e dove i rapporti tra le persone sono maggiormente garantiti proprio dalle dimensioni della strada. Perché non andiamo lungo Via Petrarca? O lungo Via Vittorio Veneto? Lì lo spazio è maggiore, ma la comunicazione tra le persone è assai scarsa e le strade sono troppo grandi per favorire le relazioni. La città contemporanea ha abbandonato il principio di prossimità e, a favore della lontananza, ostacola la socializzazione. Essa infatti, come ci fa notare l’Architetto Bertini, è stata pianificata, mentre la città antica è spontanea: ognuno costruiva il suo pezzetto in funzione del bisogno; la città contemporanea è stata voluta.Noi che facciamo i pianificatori studiamo un piano regolatore con cui stabiliamo il luogo adatto alla costruzione; decidiamo oggi quello che dovrà/ potrà essere realizzato in uno spazio temporale di molti anni.
L’esperienza e una lettura tanto critica quanto autocritica della nostra storia ci porta a credere che questa impostazione sia sbagliata, in primo luogo perché non possiamo prevedere il futuro, e poi perché non possiamo decidere per gli altri. Che tipo di progetto di città proponete? La proposta che facciamo noi è ripensare questa nuova città secondo i principi di quella antica, perché se quella antica funzionava anche quella contemporanea con dovute direttive potrebbe funzionare conclude l’Architetto Bertini. Anche la seconda conferenza, che si è tenuta più recentemente, riguardava la città, ma più nello specifico il rapporto tra la città urbana e la campagna, definita “zona agricola”, dalle norme “territorio aperto”, e soprattutto, secondo i nostri relatori, “città dimenticata”. Abbiamo analizzato nei lati critici la città urbana o legale, ma cosa si intende per “città dimenticata”? La città dimenticata è la parte che si estende dopo la cinta muraria, ovvero la campagna. A differenza della città urbana, questa viene vista come un “deserto”, anche se di fatto non lo è . Infatti “città” perché è popolata da tanti cittadini quanti sono quelli nella città
“nuova” ed è il luogo di varie attività oltre all’agricoltura, quali l’artigianato, il commercio e il turismo. Ma le norme costituzionali non si occupano delle campagne, al contrario gestiscono e curano gli interessi dell’urbs legale. Se un uomo di campagna dovesse sistemare il proprio terreno o la propria casa, non potrebbe di regola agire con la necessaria libertà a causa delle leggi emanate; leggi che, motivate da principi di salvaguardia, spesso ingessano l’attività umana, unica cura al degrado. Non si verificano infatti di rado problemi di dissesto geologico, come le frane; ma se chi vi abita non può manutenere il suo possedimento, come facciamo
La trattativa Come spesso succede, le cose belle durano poco. È stato così infatti anche per il film “La Trattativa” di Sabina Guzzanti, proiettato nei cinema a mala pena per due settimane (In alcuni non è neanche arrivato). Io ho avuto però la fortuna di vederlo il 23 di ottobre a Monte San Savino, dove oltre alla proiezione si è svolto un dibattito insieme alla stessa regista. La pellicola, come lascia trapelare il titolo, parla della trattativa tra stato e mafia dei primi anni novanta, che ha portato alla fine
ad evitare il malcontento? Non si può.A tale proposito conclude l’Architetto Bertini noi auspichiamo l’ascolto degli amministratori e degli stessi cittadini, cercando di essere di stimolo ad una riflessione principalmente culturale. Sofia Fuscini Lisa Bertini
Quando un film sulla mafia rivela molte altre cose
di stragi e scandali che stavano logorando l’Italia. Inizia con la presentazione di un insieme di attori che vogliono appunto far luce su alcuni eventi di quel periodo che sono tuttora poco chiari alla maggior parte degli italiani, e bisogna dire che questo rendere partecipe lo spettatore dei vari ruoli che vengono impersonati da uno stesso attore è chiaramente una metafora, un’allusione a come anche vari volti della politica italiana si comportino come personaggi celati da maschere,
dicendosi difensori della patria ma rivelandosi poi collusi. Il film mi ha molto colpita per come – nonostante sia una ricostruzione precisa e oggettiva – lasci passare un qualche sprazzo di umanità, qualche dettaglio quasi commovente. Ad esempio quando il pentito Gaspare Spatuzza racconta di come, dopo aver ucciso il prete antimafia don Puglisi, questi non mostrò alcun segno di odio o di dolore, ma al contrario nel morire sorrise ai suoi assassini. È molto importante il ruolo che
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svolgono anche le immagini di repertorio, che colpiscono per la loro concretezza nel testimoniare il passato. E – nonostante la drammaticità dall’argomentonon mancano passaggi comici, vedi il personaggio di Ciancimino o il particolare modo in cui un pentito descrive il delitto. Inoltre incontriamo anche altre figure di pentiti nel corso del film, e credo che questo voglia mostrare un argomento che è stato poi evidenziato anche nel dibattito, ovvero che il mondo non si divide in buoni e cattivi, come si pensa quando si è bambini; in realtà, ognuno accoglie dentro di sé diversi aspetti, ma talvolta prevalgono gli uni e talvolta gli altri. Il dibattito è stato coinvolgente, anche perché venivano riprese in mano queste che sono le questioni fondamentali a cui mirava la Guzzanti, e poi soprattutto perché io ritengo che mentre un film è semplicemente la ricezione
Gaspare Spatuzza racconta di come, dopo aver ucciso il prete antimafia don Puglisi, questi non mostrò alcun segno di odio o di dolore, ma al contrario nel morire sorrise ai suoi assassini.
di messaggi, una discussione è al contrario un dialogo che non fa pensare solo al contenuto del lungometraggio, ma consente di connettervi anche la realtà che ci circonda e di scambiare opinioni. Difatti siamo arrivati a parlare di come la mafia sia ormai una sorta di caratteristica italiana, che interessa vari ambienti sociali; di alcuni giovani che scossi da tutti questi impedimenti cui si trovano davanti rinunciano a combattere, ma aspettano passivamente dei cambiamenti; del fatto che la giustizia non si faccia solo con i tribunali. Insomma, i problemi non sono tutti distinti gli uni dagli altri, e la mafia non è una questione solo meridionale: di conseguenza per risolvere ciò che ci sta danneggiando dovremmo prendere in considerazione più lati, e non solo quanto ci riguarda più da vicino. Rosaria Carlino
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L’uomo selvatico Quella dell’ Uomo Selvatico è una figura mitologica assai ricorrente in tutte le culture del mondo. Famosi sono l’ himalayano Yeti ed il Bigfoot americano, ma non mancano importanti esempi di “Homo Silvester” anche in Italia, in particolar modo nelle zone alpine ed appenniniche. Le caratteristiche fisiche non differiscono in modo particolare; infatti, si tratta in tutti casi di esseri estremamente alti ed imponenti, notevolmente irsuti e dotati di forza sovrumana. Tale credenza ha origini antichissime ed appartiene, senza dubbio, al mondo pagano, risulta quindi assai complicato risalire alle origini del mito. Nella cultura Ellenica l’ Uomo Selvatico potrebbe essere identificato con Pan, divinità dalle sembianze per metà umane e per metà di caprone, il cui nome deriverebbe del verbo greco “paein” che significa appunto pascolare, Pan infatti era il dio pastore, protettore delle selve e della campagna in generale. Considerevoli parallelismi si notano in tante altre figure mitologiche o divinità, come ad esempio Enkidu, personaggio della mitologia sumera e presente ne “La Saga di Gilgamesh”; il quale sarebbe cresciuto nelle selve, essendo stato allevato da animali, e presenta molte delle caratteristiche tipiche degli altri esempi di uomini silvestri di tutto il mondo. In generale l’ Uomo Selvatico è un essere non conforme alle norme sociali e di conseguenza sceglie autonomamente di allontanarsi, in altri casi,
Scienze Umane
invece, viene cacciato dalla comunità. Egli avrebbe goduto inizialmente, contrariamente a quanto ci aspetteremmo, di una stima principalmente positiva e anche dell’appellativo piuttosto ricorrente di “COLUI CHE INSEGNA”. Infatti questo misterioso personaggio sarebbe stato un grande conoscitore dell’arte dell’agricoltura, della pastorizia e della produzione casearia e, secondo il mito, proprio questi avrebbe rivelato i propri segreti in queste pratiche ai primi contadini e pastori. Con l’ avvento del Cristianesimo egli, come accadde anche ad altre figure pagane, assunse una connotazione negativa, poiché secondo la Chiesa l’ “Homo Silvester” incarnava tutti i vizi umani. Un esempio significativo di questo nuovo modo di interpretare tale figura viene rappresentato da alcuni versi dell’Orlando Innamorato
di Matteo Maria Boiardo, che lo descrive come un essere goffo e schivo che è triste nei giorni di bel tempo perché teme che venga la pioggia e invece gioisce in quelli di tempesta sapendo che dopo verrà il sole. Con l’ illuminismo la reputazione dell’Uomo Selvaggio viene riscattata e ritorna a rappresentare la figura del filosofo che riconosce la trivialità della vita sociale preferendone di conseguenza una più semplice. Un interessante esempio di “Homo Silvester” si ha anche nel territorio aretino, precisamente nei pressi di Monterchi, piccolo borgo situato nell’ Alta Valle del Tevere. Qui è conosciuto con il nome di Agnolaccio e viene descritto nelle leggende come un essere vissuto per oltre mille anni nel bosco della Murcia, che si serviva di una “tina”, grande monolite di pietra
V La “tina” dell’ uomo selvatico sul Poggio della Madonna a Monterchi.
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scavata ( visibile ancora oggi), per ammazzare gli animali e conciarne le pelli. Si narra che egli fosse un essere terribile soprattutto nei confronti delle donne, che non esitava a chiudere nei forni delle loro case qualora gli negassero da mangiare. Proprio attraverso questa sua caratteristica più temibile però, secondo molti, se ne potrebbe intravedere un’ altra più antica, risalente a quando era ancora considerato “COLUI CHE INSEGNA”; infatti si dice che fosse abile anche nella produzione di vasellame che cuoceva in appositi forni. La ceramica viene ancora oggi ricavata dalla terra, elemento che nel mondo pagano era spesso personificato con figure femminili , è quindi probabile che con il Cristianesimo, questo concetto sia stato travisato ed ecco come quei vasi di terracotta divennero donne in carne ed ossa. La leggenda legata a questo personaggio si conclude con la sua uccisione da parte di un giovane cacciatore di nome Marco. Un grande mistero viene ancora rappresentato dalla sua “tina”: ubicata sul Poggio della Madonna, essa appare come un grande blocco monolitico nel quale sono presenti due
L’uomo selvatico è un essere non conforme alle norme sociali
V Affresco del XV secolo raffigurante uno stereotipo di uomo selvatico, situato in un’ antica abitazione di notai a Sacco di Cosio Valtellino in Lombardia.
profonde cavità in una delle quali c’è anche un gradino, inoltre sono presenti sul fondo di questi fori chiazze ematiche ormai assorbite dalla roccia. Si ritiene che la tina fosse utilizzata nei riti ancestrali inerenti la vita e la morte, ma poco si sa circa i medesimi; questo misterioso blocco monolitico è quindi inserito in un contesto sacrale non ancora identificato. In conclusione, vediamo che l’ uomo selvatico è simbolo degli aspetti primordiali dell’animo umano, che trascendono la domesticazione delle norme sociali. Proprio per questo motivo può essere considerato sia come modello positivo che negativo a seconda dei valori promossi da un determinato agente sociale o religioso. Questa figura mitologica resta in ogni caso una delle più affascinanti, che molto potrebbe narrarci di un mondo ormai scomparso, una sorta di archetipo fra mito e leggenda che fa parte delle remote origini della nostra cultura. Leonardo Piomboni
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Letteratura
IL VISCONTE DIMEZZATO Italo Calvino è un genio Non c’è un altro scrittore nel dopo guerra che si sia dimostrato tanto capace quanto lui di produrre opere così varie nei temi e nei generi e di qualità così alta . Con “Il visconte dimezzato” firma la prima parte della trilogia de “ I nostri antenati”, successivamente completata con “Il barone rampante” e “ Il cavaliere inesistente”. Il risultato è un bellissimo e surreale racconto che parla dell’uomo, della società, del bene e del male. Un risultato eccelso, ancora di più se si tiene conto della genesi dell’opera, partita con il semplice scopo di intrattenere e divertire, con un soggetto le cui potenzialità sono state comprese da Calvino, per sua stessa ammissione, solo in corso di scrittura. Ma di cosa parla con esattezza questo gioiello della letteratura italiana ? Il conte Medardo di Terralba parte per la Boemia per portare aiuto nella guerra contro i turchi, ma durante la sua prima battaglia viene colpito da una palla di cannone con un curioso esito: viene tagliato esattamente a metà in verticale. Medardo però, grazie al miracoloso intervento dei medici, sopravvive, dimezzato nel corpo e nello spirito. Infatti è stato scisso completamente anche per quanto riguarda l’animo, e la parte che fa ritorno in patria possiede solo il male dentro di sé. Inizia quindi a tormentare i suoi paesani, mentre il suo complementare, a sua volta sopravvissuto, inizia un lungo viaggio per tornare a casa. La storia è narrata da un narratore interno, il nipote del visconte, un bambino
orfano: il livello di scrittura è veramente alto, dato che riesce ad essere allo stesso tempo molto scorrevole e colto, con un linguaggio estremamente vario e complesso. Il racconto è diviso in 10 capitoli, che descrivono i passaggi fondamentali della storia, in poco meno di 100 pagine. Quello che ad un primo sguardo potrebbe sembrare un semplice racconto per bambini, al massimo con un linguaggio un po’ più complesso del solito, si rivela essere in realtà una serie di riflessioni incredibilmente profonde. In primis Calvino ragiona sul bene e sul male tramite Medardo, arrivando alla conclusione che nessuna delle due parti, che pur si sentono tanto sicure e convinte, ha la verità assoluta, o la perfezione, o la capacità di esistere senza l’altra: chiaramente il visconte malvagio non può rappresentare la giustizia, ma neanche quello totalmente buono ha la soluzione ad ogni situazione e spesso mette a disagio chi gli sta vicino, tanto che anche lui non riuscirà mai ad ingraziarsi la popolazione; al mondo né il bianco né il nero sono accettabili, ma esistono solo sfumature di grigio, che vanno moderate a seconda delle situazioni. L’incompletezza del personaggio è però quasi secondaria rispetto all’incapacità delle persone di vivere appieno la propria vita in ogni ambito, che viene vissuto sempre a metà: l’uomo non riesce mai a conciliare le due parti di sé , vivendo in perenne sconforto. Ne sono un esempio gli ugonotti e i lebbrosi, che sono ai due poli opposti dello
stile di vita, i primi totalmente austeri, incapaci di godersi in alcun modo la vita e i secondi che al contrario vivono nella lussuria e nell’edonismo più totali, senza la capacità di porsi un freno quando sarebbe più opportuno; anche il dottor Trelawney e mastro Pietrochiodo sono le due facce della stessa medaglia: il primo è infatti l’amore per la teoria senza pratica, dato che ama le discipline scientifiche, ma l’idea di applicarsi per aiutare i malati lo terrorizza, mentre al contrario Pietrochiodo è estremamente abile nella costruzione di marchingegni e meccanismi, ma è straziato dal tetro fine al quale le sue creazioni sono destinate: anche qui l’uomo non riesce ad essere completo, ma deve sempre estremizzare una parte di sé per arrivare alla ( falsa) completezza di sè. Marco Tenti
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Guida a Guido
di Ilaria Dalla Noce
Guida poetica al poeta contemporaneo Guido Catalano. Perché la contemporaneità e la magia non vadano perdute. Guida a Guido è una rubrica poetica che avrà inizio con questo numero di Dedalus e si propone di divulgare, analizzare e approfondire un poeta contemporaneo: Guido appunto, Guido Catalano. Nasce a Torino nel 1971, è un poeta, e già notiamo due cose: vive di poesia... e non è morto. Incredibile a ben pensarci. Ha frequentato il Liceo Classico (con pessimi voti, precisa) e in seguito la facoltà di Lettere Moderne. Ha pubblicato 6 raccolte di poesie, è un grande amante dell’alcool (dire alcolizzato pareva brutto) e non ne fa mistero, si promuove tramite il suo blog (www.guidocatalano.it/), su Facebook dove ha un profilo aperto (www.facebook.com/catalanoguido) e un fan club (www.facebook.com/guidocatalanofanpage).
Quando non scrive poesie o beve, gira per l’Italia nelle librerie che lo chiamano (ad oggi più di 150 annualmente) e legge i suoi scritti. Ha inoltre collaborato per un’agenda 2013/2014 con la celebre Smemoranda. Ho scelto Catalano per tre fondamentali ragioni: La poesia contemporanea nei programmi tradizionali possiamo al massimo sognarcela E’ un pazzo totale ma ce la sta facendo, che sia l’inizio di un cambio nella scena poetica italiana? Per il 90% si dice che “La sua non è poesia”. Per il 90% i contemporanei di Monet dicevano che “I suoi non sono quadri”. Odio profondamente le critiche ai testi che ci vengono propinate da anni nelle ore di italiano perché ci rovinano ogni voglia di andare a cercare le opere degli autori e leggerle tutte d’un fiato. Per questo motivo vi annuncio prima di iniziare che il mio non sarà un lavoro scientifico Diciamo una specie di analisi del testo, ma meno oggettiva. Tipo un’antologia, ma con più cuore. Ci siamo!
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<<grazie Martina che mi>> poi non è andato più avanti ero in un treno per andare nella lontana Brianza pieno zeppo di pendolari studenti e lavoratori maschi e femmine erano le sei della sera stavo in piedi
i pendolari dentro i treni delle sei della sera hanno occhi spenti e guardano nel vuoto non parlano sembrano tristi giuro su dio che sono tristi e sono stanchi pensano ma non so cosa lo immagino ma non ve lo dirò
i treni dei pendolari delle sei della sera sono stretti e scomodi e c’è poco posto è fatto apposta io ero nel vano non so come si chiama lo chiamo vano appiccicata al muro i treni hanno muri? no, pareti appiccicata alla parete c’era una cartina con tutte le linee del Servizio Ferroviario Regionale – Regione Lombardia e in mezzo alla cartina qualcuno aveva scritto: “Grazie Martina che mi” nel treno della tristezza che porta i pendolari e le pendolaresse dalla metropoli ai paesi stracchi, l’umore sotto al culo qualcuno ha scritto grazie a Martina che gli che l’ha che lo non so t’immagino bella Martina tutta ricciolina e il tuo innamorato di cui non sappiamo nulla non è riuscito a dirci che l’hai? che gli? che lo? cos’è successo? l’hanno arrestato forse nell’atto? la polizia ferroviaria l’ha colto col pennarello in mano? dov’è finito, Martina? l’hanno rinchiuso nelle segrete di qualche carcere brianzolo e lo stanno torturando per sapere perché ti ringraziava? e di cosa? che gli hai fatto Martina? Martina che gli hai dato? che gli hai detto?
Analisi Già al primo verso c’è qualcosa che non va: niente lettera maiuscola, frase che da sola non ha senso e che si comprende solo in relazione al titolo, anch’esso senza lettera maiuscola. In un’economia apparente di parole Catalano strumentalizza il titolo e lo rende parte ancor più integrante della poesia. Essa fin dalla prima strofa ci colloca in un ambiente quotidiano, quello che vive il poeta tutti i giorni, e che potrebbe benissimo essere il nostro. Nella seconda strofa si accennano delle osservazione psicologiche sui personaggi che vanno rafforzandosi nel corso della poesia: dapprima hanno occhi spenti, guardano nel vuoto e sembrano tristi finché non arriva ad affermare che hanno l’umore sotto al culo. Senza curarsi di perbenismi da poeti, Catalano dice proprio “culo”. Al verso 5 con “maschi e femmine” mostra un interesse per la distinzione dei sessi, che verrà poi consacrata con una licenza poetica al verso 32 “pendolari e pedolaresse”: una distinzione che non è separazione ma uguaglianza rivendicata. Al verso 12 si nomina Dio, ma senza lettera maiuscola, che sia una presa di posizione spirituale? Nella terzina successiva inizia a manifestarsi il tema dell’immaginazione, sempre più forte e direi centrale nella poesia. Essa è fervida nel poeta, lo porta a vedere laddove pochi guardano, lo distrae dalla tristezza del luogo dove si trova, lo guida, lo porta al cuore delle piccole cose. Nella quinta strofa il poeta inizia a parlare di sé, egli si trova nel vano, zona che ha un nome che lui non ricorda al volo, non sa: un poeta che non conosce le parole? A quanto pare... Eppure noi sappiamo
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non ve lo dirà mai e voi manco lo capireste o forse è tutto più semplice meno avventuroso forse mi son fatto trasportare dalla fantasia per ammazzare il tedio forse Martina il tuo moroso non ha trovato le parole e basta e alla fin fin fine in quel vuoto ci sta un sacco di bella roba.
che Catalano ha studiato, ha frequentato Lettere Moderne: ne deduciamo quindi che questa sia una presentazione letteraria di sé. Un poeta distratto, non attento, volontariamente fuori dagli schemi, che non si preoccupa della precisione delle parole, un poeta che è altro. E finalmente arriviamo al verso 30, dove si ripresenta quel titolo ancora ignoto, del quale il poeta non ci ha svelato nulla: grazie Martina che mi. E’ una scritta a pennarello su una parete del treno che non trova conclusione se non nell’immaginazione del poeta: chi ha scritto grazie a Martina? E perchè? E grazie.. Ma per cosa? La poesia esplode in interrogative nella nona strofa.
Velata, la critica di ignoranza al verso 60, “e voi manco lo capireste” che può essere rivolta a più destinatari: i lettori? Le forze dell’ordine che avrebbero arrestato il “moroso” di Martina? I pendolari? Alla strofa 13 il poeta ricade nella realtà, si dice che forse è lui il sognatore, l’ultimo dei romantici che sta li a rimuginare. Forse dietro quel “grazie Martina che mi” non c’è un bel niente. Forse è lui ridicolo, esagerato, infantile. Pensa alla realtà, ma ci resta solo per qualche verso, finché al verso 68 lo troviamo ancora a cercare una “fin fin fine” a questo “grazie Martina che mi”. Tra il 69 e il 70 abbiamo un vuoto che è preludio, un vuoto necessario, indispensabile che ci lascia tutto il tempo di scivolare, lenti, all’ultimo magico verso. Solo come il primo, bello come pochi.
Considerazioni E così Catalano ci fa amare l’attenzione alle piccolezze, ci rende partecipi della sua immaginazione che vola fra l’impossibile e l’allegro tipico dei bimbi, rarissimo negli adulti, introvabile in tempi di crisi, quell’allegria che non chiude nemmeno un’anta della finestra alla speranza. Catalano si profila come un diverso, e per questo mi ha ricordato i giambografi e Persio, per questa voglia di non codificarsi, di rovinare gli ordini, di prendere le distanze dai suoi colleghi più scolastici e attenti. Catalano crede nell’amore, l’amore salvifico che Euripide fa vivere nell’Alcesti, l’amore che supera, almeno idealisticamente, i “carceri brianzoli”, i poliziotti in divisa, e i giudizi morali e perbenisti dei “senum severiorum”, i vecchi brontoloni di Catullo. L’amore che Lucio Dalla ha cantato in una delle sue canzoni, “Henna”: “io credo che è l’amore, è l’amore che ci salverà”.
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Cinematografia
Il giovane favoloso Due punti di vista sullo stesso film, chissà cosa capiterà! Leopardi è sicuramente uno dei più grandi lirici ed esponenti del romanticismo italiano, nonché una delle più importanti figure della letteratura mondiale. Il film “Il Giovane Favoloso” di Mario Martone ne dà una degna rappresentazione, mettendo in evidenza tutti gli aspetti della sua vita: un’adolescenza difficile e oppressiva, il suo amore per la poesia, i suoi continui viaggi e trasferimenti fino al periodo immediatamente precedente la sua morte. La prima parte del film è infatti incentrata sulla giovinezza del poeta, che trascorre insieme alla sua famiglia a Recanati. Giacomo è un bambino prodigio, che cresce sotto lo sguardo di una padre esigente e viene istruito nello studio dei classici, a cui può accedere grazie alla biblioteca paterna. Il giovane favoloso studia ogni giorno (e notte), anche a discapito della salute, e cerca disperatamente contatti con l’esterno al fine di veder realizzato il suo più grande desiderio : la fama. Un’ellissi cinematografica ci porta subito nel periodo di maggior fioritura artistica, che inizia a Firenze, dove tra l’altro avvengono gli incontri con l’amata Fanny e l’amico Antonio Ranieri. Qui Leopardi può entrare in contatto con gli intellettuali dell’epoca ai quali mostra le proprie opere in prosa e in poesia, non sempre accolte favorevolmente. È costretto a trasferirsi prima a Roma e poi a Napoli, dove le sue condizioni di salute peggiorano notevolmente. Dopo aver assistito a un’epidemia di colera e all’eruzione del Vesuvio, trova ispirazione per la sua penultima
lirica: “La Ginestra”. Il titolo, che esprime la delicatezza e la sensibilità del poeta, è già un chiaro segnale dell’intento del regista italiano: quello di delineare il ritratto di un uomo geniale, unico nel suo tempo, capace di sopperire a una difficile esistenza con la sola forza della “poesia” e di creare versi ed immagini che ancora oggi riecheggiano nelle nostre menti. Il personaggio di Leopardi è interpretato da un Elio Germano in stato di grazia, che
riesce a calarsi perfettamente nella parte (avvicinandosi al metodo “Stanislavskij”) e a rappresentare la fragilità del poeta, offrendo un’interpretazione memorabile. Anche la recitazione degli attori secondari è degna di nota, in particolare quella del padre di Leopardi (Massimo Popolizio), mentre molti altri interpreti sono alla loro prima volta sul grande schermo. Il regista riesce a rendere il racconto molto realistico, girando nei
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principali luoghi leopardiani (Recanati,Napoli,Firenze,Roma) e addirittura utilizzando alcuni spazi della proprietà, come la biblioteca, il letto e la scrivania. È inoltre possibile osservare una netta contrapposizione tra gli ambienti interni, prevalenti nella prima parte del film, e quelli esterni della seconda parte, che sottolineano il desiderio di evasione, ribellione e di conoscenza non solo fisica, ma anche mentale (memorabile la sequenza finale che incornicia l’universo in tutto il suo splendore). Tutto questo è ancor più evidente sotto il profilo della fotografia : Renato Berta riesce perfettamente a mettere in risalto da un lato la negatività e la malinconia di Leopardi attraverso atmosfere cupe e talvolta oniriche, dall’altro la sua genialità e creatività attraverso colori più accesi e vivaci. La regia
di Martone è superba e riesce a fondere armoniosamente fotografia, scenografia, colonna sonora. Il montaggio è lineare e ben costruito, prevalgono i primi piani di interni ed esterni per enfatizzare la solennità dei luoghi, in particolare quello della biblioteca paterna. Le inquadrature dall’alto riescono a rendere l’idea di uno spazio indefinito, alternando scorci paesaggistici dai colori caldi e sensuali e riprese virtuosistiche all’uso della telecamera a mano, che ha la funzione di avvicinare lo spettatore all’animo del poeta. Infine la colonna sonora è uno degli elementi più interessanti ed incisivi della narrazione filmica, che accosta Rossini alla musica elettronica del tedesco Sasha Ring (Apparat) e al brano “Outer” del canadese Doug Van Nort,che riesce a esprimere l’interiorità del Poeta, turbamenti e passioni. Il Giovane
Favoloso è un ritratto fedele e minuzioso, un susseguirsi di immagini che riescono a svelare l’animo nascosto di uno dei poeti più emblematici della tradizione. Il film sa parlare al cuore degli spettatori, aprendosi tanto quanto il giovane Leopardi desiderava fare. I paesaggi onirici, le luci vaghe e i tormenti del protagonista conferiscono a tutta l’opera lo stile stesso del poeta, attento ai dettagli, irrequieto nell’animo, ma mosso da infinita dolcezza. La bellezza del film non è solo in quello che racconta, ma nelle emozioni che suscita, risvegliando la meraviglia o lo stupore per un ragazzo rassegnato che, tuttavia, sapeva trovare il “tutto” nel “nulla”. Matteo Quinti Giacomo Fratini
Il giovane favoloso Sperando la prima sia stata di vostro gradimento, godetevi la prossima! Alcuni lo chiamano “il poeta del vago e dell’indefinito”, altri come la scrittrice Anna Maria Ortese lo definiscono “il giovane favoloso”, ma, in qualunque modo possiamo chiamarlo, Giacomo Leopardi è sicuramente uno dei maggiori poeti della letteratura italiana e mondiale. Interpretare una personalità come quella di Leopardi risulta molto impegnativo, ma non impossibile, come ha dimostrato Elio Germano, attore protagonista nel film “Il giovane favoloso”. Egli infatti, dopo mesi di studio e lavoro, ha saputo rappresentare in modo straordinario un personaggio che ha avuto una vita travagliata sin dalla più tenera età per il grande malessere fisico ed esistenziale. Il film si apre con un episodio dell’infanzia di Giacomo Leopardi in cui egli è
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invitato insieme ai suoi fratelli, Carlo e Paolina, ad esporre un saggio e a rispondere ad una serie di domande, davanti a una delle quali si trova in difficoltà. Si passa poi a raccontare l’adolescenza del giovane poeta, caratterizzata da uno “studio matto e disperatissimo” e da un rapporto difficile con il padre Monaldo che lo vuole avviare alla carriera ecclesiastica. L’adolescenza di Leopardi è anche il periodo in cui inizia a comporre i suoi primi versi mentre, seduto davanti alla finestra, rivolge dolci sguardi a Teresa Fattorini, per lui Silvia; intraprende inoltre numerosi progetti letterari e cerca di mettersi in contatto con gli esponenti della cultura del tempo, tra cui Pietro Giordani. Ed è proprio la corrispondenza con quest’ultimo che gli fa capire
di avere ottime capacità e che l’unico modo per sfruttarle sia fuggire da Recanati. Nonostante il primo tentativo di fuga venga scoperto dal padre, nel 1830 Giacomo riesce ad uscire dal suo paese e arriva a Firenze, dove conosce Antonio Ranieri, con il quale stringe una grande amicizia. A Firenze Giacomo deve accettare il rapporto tra l’amico Ranieri e Fanny Targioni Tozzetti, per la quale il poeta provava un sentimento davvero profondo. In seguito alla delusione d’amore il poeta accetta la proposta di Ranieri di recarsi a Napoli, essendo stato revocato l’esilio di quest’ultimo. Nonostante le sue condizioni fisiche, Leopardi vive a Napoli piccoli attimi di felicità, sconvolti però dall’arrivo del colera. I due amici, accompagnati da Paolina Ranieri, si spostano a Torre del Greco dove Giacomo vive gli ultimi istanti della sua vita in una villa ai piedi del Vesuvio, cui vista gli ispirerà “La ginestra”. Ripercorrere in poco più di due ore la vita di Leopardi è forse troppo poco tempo per omaggiare un così grande autore ma, nonostante questo, ritengo che “Il giovane favoloso” abbia saputo cogliere i momenti fondamentali della sua vita, citando anche alcuni passi delle sue opere. Basti pensare al momento in cui Elio Germano, nei panni di Giacomo Leopardi, si trova solo in un bosco e inizia a recitare “L’infinito” o a quello in cui guarda la luna recitando “La sera del dì di festa”. Tra le
scene migliori vi è sicuramente quella del “Dialogo della Natura con un Islandese”, in cui la Natura è rappresentata da una statua di enormi dimensioni con le sembianze di Adelaide Antici, madre di Leopardi. Ne “Il giovane favoloso” mi ha colpito profondamente anche il rapporto del poeta con alcuni dei personaggi, in modo particolare quello con Pietro Giordani e quello con Antonio Ranieri. Il rapporto di Giacomo Pietro Giordani è fatto non solo di amicizia ma anche di fiducia reciproca come possiamo vedere nella scena in cui Leopardi lo definisce “il suo amato” intendendo che grazie a lui ha potuto comprendere le sue capacità letterarie e avere contatti con letterati del suo tempo. Pietro Giordani è per Giacomo il padre che avrebbe voluto avere, un padre che poteva capire i suoi problemi e le sue difficoltà come emerge dalla corrispondenza tra i due; in una delle lettere Leopardi scrive “Voglio un mondo che mi alletti e mi sorrida, un mondo che splenda”, parole che Monaldo sicuramente avrebbe disprezzato poiché mettono in evidenza come il giovane poeta non si sentisse parte del mondo in cui viveva. Leopardi, infatti, mantiene un atteggiamento distaccato dalla società a lui contemporanea per il fatto che ritenga il suo pensiero non applicabile ad essa, dal momento che non propone soluzioni ai problemi del Risorgimento italiano. L’altro
rapporto che mi ha colpito è quello che Giacomo ha con Antonio Ranieri: due personalità diverse l’una dall’altra che portano alla nascita di una bella amicizia. Ranieri fa capire all’amico come è il mondo fuori dai borghi di Recanati e lo porta a conoscere prima Firenze e poi Napoli, cercando di fargli provare numerose esperienze. Tuttavia Leopardi prova sicuramente un po’ di malinconia in quest’amicizia a causa della relazione di Ranieri e Fanny Targioni Tozzetti, per la quale spesso si trova solo sapendo che l’unico che può consolarlo è il suo amato Pietro Giordani. Nonostante il rapporto dell’amico con Fanny, Leopardi cerca in tutti i modi di attirare l’attenzione di lei portandole un autografo di Alfieri. Ranieri ha dimostrato la sua amicizia per Leopard prendendosene cura fino agli ultimi istanti della sua vita, anche grazie all’aiuto della sorella Paolina, la quale afferma di sentirsi ripagata per l’aiuto dato al poeta solo sentendolo parlare di filosofia con il fratello. “Il giovane favoloso” è un film che ognuno dovrebbe guardare poiché racconta la vita del più grande poeta dell’Ottocento non in modo didascalico, ma piacevole, permettendo di seguire la storia dall’inizio, con l’infanzia del piccolo Giacomo, fino al finale, con la cruda recitazione de “La ginestra”. Giulia Freni
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Il GRande Lebowsky Alcuni film sono destinati a trascendere il livello del successo artistico per diventare una mera icona sociale, concepiti per essere modelli insuperabili in quanto a contenuti e originalità e creatori di fenomeni di costume che resistono al tempo. Uno di questi è il Grande Lebowski, apice artistico del percorso poetico e stilistico dei fratelli Coen, due cineasti caratterizzati da uno stile intellettuale e ricercato e dotati di una particolare ironia cinica: essi sono sempre riusciti a reinventare ogni genere da loro affrontato, realizzando così pellicole che gettano uno sguardo nuovo e geniale sulla contemporaneità. Il film, uscito nel 1997, ruota intorno al personaggio di Jeffrey “Drugo” Lebowski (Jeff Bridges), un ultraquarantenne ozioso, appassionato di bowling e distaccato dalla società moderna. Tuttavia, la sua esistenza serena e priva di preoccupazioni è sconvolta da un errore d’identità, a causa del quale due criminali lo scambiano per un omonimo miliardario. Recatosi da costui per chiedere il risarcimento del tappeto sul quale i delinquenti hanno urinato, verrà coinvolto in un’intricata vicenda densa di rapimenti, riscatti, incontri amorosi e inseguimenti. Liberamente tratto e inspirato al romanzo “Il grande sonno” di Raymond Chadler, la settima fatica dei Coen si presenta come una miscela di vari generi cinematografici e spazia così dalla commedia esilarante al grottesco surreale, dal noir parodiato al musical demenziale, fino alla messa in scena di qualche sprazzo di dramma. Una palla di rovi che ruzzola nel deserto e la voce fuori campo di un vecchio cowboy ci introducono nella
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Los Angeles degli anni ’90, città imprevedibile e dalle mille sfaccettature che fa da scenario a una storia in cui il susseguirsi degli eventi passa in secondo piano rispetto agli immensi protagonisti, vero fulcro onirico dell’intera pellicola. Indubbiamente spicca per influenza e sublimità l’interpretazione di Jeff Bridges, che impersonifica un fannullone cronico perennemente vestito con bermuda e ciabatte, la cui vita trascorre tra lanci di palle da bowling e il costante consumo di droghe leggere e cocktail white russian. Quest’uomo disincantato e perdente rappresenta il perfetto archetipo della filosofia del “vivi e lascia vivere” e delinea perciò l’apoteosi dell’antieroe, di colui che è privo di ogni valore illustre e insigne, dimostrando viceversa qualità del tutto opposte. Essendo un indigente disoccupato, vive in condizioni precarie e degradanti, a causa delle quali è etichettato come il classico sfigato degno della compagnia di due soli amici, Walter (John Goodman) e Donny (Steve Buscemi). Il primo è un personaggio irascibile, polemico, psicologicamente irreversibile ma dirompente per vivacità comica e non manca mai di sottolineare che è un reduce della guerra del Vietnam, argomento che tira in ballo anche nei momenti meno opportuni. Il secondo è un uomo piuttosto riservato, quasi assente e taciturno non per scelta, ma per costrizione, dal momento che ogni qualvolta tenta di intervenire in delle discussioni, viene prontamente zittito dai suoi compagni. L’unico punto in comune di questo stravagante trio è il bowling, considerato come la sola via di fuga dai problemi quotidiani e attività in cui
Quest’uomo disincantato e perdente rappresenta il perfetto archetipo della filosofia del “vivi e lascia vivere” potersi rifugiare interiormente; giocatore professionista del suddetto sport è Jesus Quintana (John Turturro), un ridicolo pederasta vestito con una tutina viola attillata, secondo per stravaganza soltanto a Maude Lebowski (Julianne Moore), figlia artista dell’omonimo facoltoso e donna logorroica in uno stato di emancipazione senza pudore. Se il cast stellare di attori esperti funziona a meraviglia, il merito non è soltanto delle stesse interpretazioni encomiabili, ma anche della splendida sceneggiatura entro la quale essi si muovono, fatta di scene chimeriche e pazzesche e dialoghi brillanti, folgoranti e quasi tarantiniani. Anch’essa è stata scritta dai fratelli di Minneapolis, che orchestrano ogni aspetto prioritario della pellicola, dalla regia alla produzione, dal montaggio al soggetto, confermandosi degli autori legati all’immaginario cinematografico del passato, il quale è rivisitato ed elaborato grazie alla loro maestria espressiva accompagnata da un’ottima capacità narrativa. Dunque per quanto concerne il comparto tecnico, il Grande Lebowski viaggia a livelli
altissimi, così come per la colonna sonora, curata davvero nei minimi dettagli; il repertorio è particolarmente ampio, giacché comprende pezzi di jazz, blues, country e rock in un arco temporale che va dagli anni ’50 agli anni ’80, passando per i Creedence Clearwater Revival, un gruppo swamp rock di cui il Drugo è un assiduo ascoltatore. Tuttavia sarebbe troppo riduttivo considerare questo lungometraggio una semplice commedia dai tratti comico/demenziali, poiché Joel ed Ethan Coen hanno avuto la sagacia di imbastire, all’interno di un film apparentemente leggero, temi di mirabile rilievo. Uno di questi è il caos, quel puro disordine alla base dell’esistenza dei protagonisti, in grado di trasformare le loro azioni, scelte e pensieri, sebbene a prima vista sembrino lineari e chiare, in vicende alquanto complesse. Ne è la prova rampante il dibattito riguardo a un tappeto insozzato tra il Drugo e il suo omonimo miliardario: se da una parte il suddetto è un normale litigio, dall’altra rappresenta il confronto tra due generazioni agli antipodi e due
differenti modi di affrontare il passato bellico: il Lebowski benestante ha perso l’uso delle gambe in Corea e ha indirizzato successivamente la sua vita verso la scalata sociale, legittimando lo sforzo compiuto in guerra; quello hippie invece, è un figlio disgraziato del Vietnam, un reduce di un conflitto che non è mai realmente finito, dal quale cerca di allontanarsi imboccando la via della trasandatezza. La contrapposizione duale di questi uomini si estenderà fino alla formazione di uno scontro universale, acceso dalle contrapposte classi sociali dello stato americano. Personaggi come Jesus Quintana, Maude Lebowski o la sua matrigna ninfomane Bunny, sono l’emblema di una consumistica e patriottica America, che crea un’immagine di se stessa assolutamente dinamica, brillante e di successo, senza rendersi conto del prorompente materialismo che s’insinua tra i suoi abitanti, apparentemente eleganti e raffinati, ma in realtà oscurati da una patina edonista. Gli unici a contrapporsi in piena libertà all’etica del self-
made man affaccendato sono proprio i soggetti ignorati e negligenti, coloro che non sono stati fagocitati dal moralismo di una società fittizia e corrotta e di conseguenza capaci di porsi come chiara denuncia delle innumerevoli carenze dell’ ”american way of life”. Quindi la spiccata genialità dei Coen sta nell’aver trattato temi di tale importanza non con drammi pretenziosi, ma con una commedia, ovvero con l’ironia pungente di chi non sente il minimo bisogno di essere preso sul serio. I due registi visionari, plasmando un microcosmo anticonformista gremito di personaggi sopra le righe e ai limiti dell’assurdo e coordinato da dialoghi vividi e fulminanti, realizzano una pietra miliare del cinema a stelle e strisce targato anni 90, che propone oltre tutto allusioni e riferimenti critici i quali, sebbene attenuati dal genere comico, mettono in risalto degli sviluppi così ponderati e talvolta provocatori da renderlo un film di culto assoluto. Alberto Ghezzi
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Narrativa
Inno alla vita: alla ricerca dei valori perduti. La mia risposta è... «Cara Irene, ti ricordi quando da piccola mi facesti quella domanda a cui io non ho saputo rispondere? Ecco, ho deciso di scriverti questa lettera solo oggi, il giorno in cui compi diciotto anni e diventi grande, pronta a muovere i primi passi nel mondo da sola. Era una mattina di dodici anni fa, quando tu mi chiedesti con quella vocina vibrante “mamma, cosa sono i valori? Perché al telegiornale dicono che sono stati persi?”, ed il tuo sguardo dipendeva dal mio, e sembrava che la mia risposta ti avrebbe potuto cambiare in qualche modo. Io non ebbi il coraggio di dire niente perché non avevo una risposta, e perché probabilmente sapevo che non l’avrei mai avuta. Ancora oggi non l’ho, ma ti scrivo con il cuore in mano e spero apprezzerai questo mio tentativo, forse un po’ scarso, ma sicuramente molto sincero, di dirti dove secondo me sono andati a finire i “valori”. Potrei iniziare con citazioni di autori delle Letterature Classiche e Moderne, o con passi tratti dalla Costituzione Italiana sull’uguaglianza, la parità di diritti e tutto quello che riguarda l’argomento; invece ti voglio scrivere le parole di mia nonna, che sapeva a malapena leggere e scrivere, ma che aveva una saggezza infinita. “Il valore più grande che un uomo può avere nella vita è la povertà”. Io all’inizio non capii, perché mi sembrava un controsenso: la povertà secondo
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me avrebbe portato alla lotta e alla distruzione. E invece aveva ragione! L’uomo povero non ha da perdere niente, se non la dignità: chi non ha niente ha un tesoro enorme e spesso non se ne rende conto. Anche senza ricchezze e grandi patrimoni si riusciva a sfamare la famiglia e a far sposare le donne di casa. Pure adesso la povertà può essere un valore: sì, mi dirai che sono cambiati i tempi, che questa società esige molto, ed è vero. Ma è proprio questo che ci manca, una spinta in più alla riscoperta di noi stessi, delle nostre vere necessità e passioni. Tu, amore, scrollati di dosso le convenzioni di un mondo precostituito che cede sopra le proprie basi, indaga quello che c’è veramente al di là di ogni persona che incontri. Oggi si sentono spesso le critiche della “vecchia” generazione nei confronti di voi giovani: siete troppo legati alle cose materiali, dipendete dalla tecnologia, e soprattutto vi rifugiate nell’alcol e nella droga. In poche parole, avete perso il senno. Certo, ci sono problemi reali quali l’abuso di sostanze dannose per voi e per chi vi sta intorno, ma credo che in voi giovani ci sia uno spirito più forte di quello che avevamo noi, e che basterebbe davvero un po’ di fiducia e di sollecitazione per tirarlo fuori. I valori sono dentro a ogni uomo, ed è fortunato chi non li ha scoperti solo con l’esperienza. Il primo che mi sento di dirti è il tempo, ma non lo scorrere dei minuti quanto il viverlo appieno, il saper cogliere
il momento. Lo diceva Orazio, e io nel suo “Carpe Diem” ho trovato lo stimolo a godere ogni secondo di questa vita e a cogliere le occasioni. Con questo non voglio dire che devi fare tutto subito, ma non esitare mai a prenderti il tempo che ti spetta, non fartelo strappare da niente e nessuno, difendi le tue passioni, perché sono il colore della tua vita. Non tralasciare mai l’amore e l’amicizia, che ti riempiranno il tempo di emozioni, e ti aiuteranno a disegnare il tuo percorso. Diceva un autore Latino “Un amico è un altro me stesso”, e non aveva forse ragione? E c’era chi diceva “Amici mores noveris, non oderis” (cerca di comprendere e non odiare i costumi dell’amico): il rispetto per gli altri, amici o non, rende l’uomo libero; non a caso nella Costituzione Italiana ci sono leggi dedicate a questo punto, all’uguaglianza di fronte alla legge e alla “pari dignità sociale”. Per non parlare della “Carta dei diritti fondamentali” dell’Unione Europea, in cui questo tema è espresso in maniera molto forte, assieme a quello della solidarietà: oggi sembra quasi caduta in disuso, ma ti assicuro che era una delle sicurezze di un tempo. E’ uno di quei valori da riscoprire e tenere stretti. E infine, vorrei parlarti della sincerità: essere sé stessi, sempre, al di là di dove siamo o con chi. Non è importante chi sembri agli occhi degli altri, ma chi sei davanti ai tuoi quando ti guardi allo specchio. Ogni mattina dovrai riconoscerti, ed amarti, con pregi e difetti,
cercare il buono che hai da offrire, senza mai rinnegare quella che sei. Dovremmo tornare tutti un po’ bambini, al momento più bello della nostra vita, in cui non sappiamo il significato della parola “valori”, ma ce li abbiamo dentro. “Tutti i grandi sono stati bambini una volta (ma pochi di essi se ne ricordano)”. (Il piccolo principe, Antoine De SaintExupéry) E per finire, ti voglio citare le parole di un uomo che ha ricreato nella sua poesia la bellezza della vita: “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza.” (Trionfo di Bacco e Arianna, Lorenzo il Magnifico) La vita è breve, ma è bella. Tu da piccola non avresti capito come forse puoi fare ora. Per questo motivo ti ho scritto questa lettera, per dirti che quei
valori di cui hai sentito parlare al telegiornale quel giorno, non sono mai stati perduti: erano dentro di noi, ma c’era tanto buio che non li abbiamo visti. Mamma »
La vita è breve, ma è bella. Tu da piccola non avresti capito come forse puoi fare ora.
Ci tenevo a leggervi questa lettera, la prima e l’ultima che mia madre mi abbia mai scritto, con la speranza che sia per voi, come lo fu per me un tempo, uno spunto per la vostra riflessione ed una spinta verso la vita, la nostra occasione di felicità. Quindi ragazzi, non aveva poi così tanta ragione Giovenale, quando scriveva di voler fuggire dalla sua città a causa della corruzione e altri comportamenti negativi diffusi tra la gente. A volte, più che fuggire dai luoghi per noi ostili, dovremmo fuggire da noi stessi. Ma adesso aprite il libro di Latino a pagina 135... Cristina Marcelli
5 agosto 1945 E. A. Poe iniziò così, pubblicando a puntate. In quanti aspettere il prossimo numero? Stamani mi sono svegliato con lo squillo del telefono. Era il capo, che mi ha chiesto se “gentilmente” domani mattina posso presentarmi alla sede di Hiroshima per progettare dei carri armati, dato che un collega ha abbandonato l’incarico all’improvviso. Appena l’ho detto a Hisako, lei ha iniziato ad implorarmi in lacrime di non andare, parlando anche di un “terribile attacco degli americani”. L’ho tranquillizzata e l’ho convinta che andrà tutto bene, ma l’unico che non è convinto qua sono io. È vero, da qui a Hiroshima ci sono quasi 400 chilometri, ma è un viaggio che qualche anno fa avrei affrontato ad occhi chiusi, mentre adesso ne farei volentieri a meno, se la paga che prendo dalla Mitsubishi non fosse così vitale per una coppia come noi che vuole crescere un bambino, e se per il mio capo quel “gentilmente”non equivalesse più o meno a un “se non vuole essere licenziato in tronco”. È incredibile come l’arrivo della guerra abbia cambiato le abitudini della gente. Adesso è considerato normale svegliarsi con l’allarme che indica l’arrivo degli aerei da ricognizione americani, adesso gli aerei da guerra ci fanno lo stesso effetto delle mosche che ci entrano in casa quando lasciamo le finestre aperte, mentre prima qualcuno si stupiva se ne vedeva uno, adesso abbiamo paura di viaggiare, di uscire, di vivere. Filippo Mulinacci
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Poesia
Il cammino del tempo Il cammino del tempo, attimi che pensiamo di possedere,ma che in realtà sfuggono via dalle nostre mani come il vento autunnale tra le fronde. Rapido ritmo di un lento scorrere pugno di sabbia portato via dal gelido vento, autunno la vita si spegne in un tappeto di foglie dai colori del sole, morte fredda, in ciò che esprime calore. Anime cadute volate in cielo, invisibili, la loro fine dilettuoso gioco dei bambini ultima gioia, sorrisi, di un tempo finito. Albero piange lacrime di rugiada dopo la notte solitaria, costretto passa solo l’inverno. Neve,
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in una strada eterna
E quando un’ anima
e non ti fermi
lascia la presa
neanche
sospesa,
di fronte alla morte più sofferta,
istanti
tu che così solitario
dalla terra
sembri impeto di vento
ormai
aiuti ad alzarsi
sente un richiamo
coloro che per cadute
verso l’eterno,
sono fermi lungo cammino.
filo sottile
Non guarisci ferite,
la lega alla vita,
non allontani il tormento,
momenti
insegni
tempo
il cuore
scorre
batte sempre più lento.
non ferma
Fai cogliere attimi
alito di vento,
e momenti vivere,
nuova vita fiorisce,
indomabile
una foglia
pensiero
lontano
infinito
vola.
di colui che cerca di comprendere. Fenice, che nella morte sul far della sera
frammenti di cielo
la mattina rinasce più maestosa,
toccano terra
eterno ciclo
attimi infrangono
di vita e di morte
svegliano silenzi.
sorelle diverse
Tempo che cammini
un’unica sorte.
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Adele Severi
Vecchie fotografie che il vento fa volare Vecchie fotografie che il vento fa volare Come vecchi sogni da non poter piĂš realizzare Ricordi chiusi in un cassetto della scrivania Che ti riportano alla mente tristezza e nostalgia.
Ricordi da non poter dimenticare
Ricordi
Anche se sono difficili da ricordare
Un carillon girando
Sogni non realizzati e da buttare via
suona una dolce melodia
Chiudendoli nel cassetto di una vecchia scrivania
che ti fa tornare bambino e ti riporta alla mente ricordi
Sogni che prima ti rendevano felice Ma che adesso ti fanno sentire una triste sognatrice
di un mondo di sogni e magia.
Sogni infranti da non poter piĂš realizzare
Ricordi che vagano nella mente
Come vecchie fotografie che il vento fa volare.
Seguendo le note di una vecchia canzone
Giulia Freni
Che tutti cantavano un tempo
E che adesso nessuno ricorda. Ricordi di un mondo diverso, di un mondo quasi irreale in cui non câ&#x20AC;&#x2122;erano guerre
e non si soffriva la fame. Ricordi di un mondo felice, di un mondo pieno dâ&#x20AC;&#x2122;amore in cui ognuno conosceva le parole di quella vecchia canzone. Giulia Freni
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Lingue Straniere
COMENIUS PROJECT: OUR WORLD, OUR FUTURE
Part of the EU’s Lifelong Programme, Comenius is a project that aims to reach different goals, by helping young people and teachers better understand the range of European cultures, languages and values, using English as a vehicle language, improving “team work” and “problem solving”, going beyond the barriers between different cultures and learning how to work together efficiently. This time the themes of the Comenius concern environmental issues, and six European countries are involved in the project: England, France, Norway, Poland, Hungary and Italy. In October 2014 Italy was the hosting country: 26 foreign students came to Arezzo with their teachers and they were hosted by Italian families. The aim of the project is to make students much more aware and responsible about
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environmental problems and the increasing level of pollution in the world, with the consequent damage to nature and life. So young people should know and learn more and more about renewable energy and its advantages. That’s why we visited two very important sites in Italy: the PER Park, near Terni, which is one of the most important Italian parks for renewable energy, and the Photovoltaic Park of Graziella Green Power, that has got 48,000 panels and it’s the biggest PV central in Tuscany. During the week there were other important moments: the welcome day, in which our headmaster welcomed the foreign students and they presented the cities and schools they came from. Then we had a guided tour of Arezzo, which included the main sites of the city centre, from “Piazza
Grande” to the “Duomo”, the cathedral. The last two trips of the week were to the city of Ravenna, where we saw the mosaics in the church of Sant’Apollinare in Classe, the harbour of Cesenatico and at the end one of the most famous Italian cities, Florence. The mobilities to Poland and Norway were done last spring, now it’s the turn of the French and Hungarian Mobilities in February and April 2015. What makes this kind of projects so important, so special, is the fact that just at the end of a week you can discover how similar are people, even if they live so far away. That’s one of the things Stine Myrholm Andersen, my Norwegian partner, said to me while I was asking her some questions about what she liked most about Italy, our school and the whole Comenius project: “I really like Italy, the way
it looks. In Norway cities and landscapes are really different, the streets are less complicated, just straight more or less, instead in Italy there are all these amazing, little and twisted streets, I love it! As I love pizza, obviously. Another extraordinary thing is that people here seem so lovely, they show their politeness in different common situations. In shops, for example, you always thank, and you greet and smile every time you meet someone. I also like your school and its location. At first, such an old building doesn’t appeal to young people. In my opinion, instead, this makes the beauty of you school. Not everyone studies in a school like yours, so particular, with large aisles and
so high ceilings. The only thing that made me quite annoyed is that inside the rooms there is the echo! How can you hear what the teachers say and learn something?! Ahahah anyway, I fell in love with the room called “Aula Magna”, it’s huge! And I really like the shelves of books on the walls, all around the room, it’s an uncommon thing to see! And finally about Comenius... I think that this is a great opportunity for everybody and especially for all the people who are shy or find problems in making friends. In fact in this kind of project you have the opportunity to meet other people and to learn how to deal with their different cultures and
habits, and thanks to it you grow up as a person, you go beyond your useless fears and realize that among people, students like us, there are differences, sure, but also many similarities”. So we think that French, Hungarian, Norwegian, Polish and English students had a good time here, and we hope that they will keep a nice memory of this trip and that we’ll keep in touch forever. So, as Stine taught me, “sees snart!”: See you soon guys. Serena Citernesi
Le chemin de l’Impressionnisme La courant impressioniste c’est un des plus connus et apprecié; la luminosité des oeuvreux, les couleurs claires et la rédaction moelleuse nous donne une sensation presque de légèreté et d’harmonie. Il a ses racines dans les beaux-arts français qui, après la seconde moitié du 18 e siècle relève, et s’oriente du coté d’un naturalisme spontané. L’idée du movement c’est de représenter une scène de la vie quotidienne. Les artistes sont en effet habitués à travailler en plein air. On ne décrit pas plus les alentours, toutes les couleurs se moulent directement sur la toile au moment de la redaction; se chére l’étude des reflets de la lumière sur l’eau. L’impressionnisme a officiellement commencé en 1874 avec la première exposition du groupe. J’ai choisi comme siège la gallerie du photographe Felix Nadar; elle a obtenu un briant succée. Le nom “Impressionnisme” fut affublé par les critiques, qui se sont basées sur le très célèbre tableau de Claude Monet “ Impression soleil levant”; initialement elle fut considerée comme une peinture frivolée, sans épaisseur. Avec le passage du temps, elle a ainsi apprécié par toute le monde. Les “impressionnistes” les plus importants sont : Monet, Manet, Renoir et Degas. Ce mouvement prend fin en 1886. Malgré la bref durée de se mouvement, il a rappresenté le flou artistique par touts les courants qui suiveront: le symbolisme, le divisionnisme italien et le pointillisme. Carlotta Casi
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Comunicazioni
teatro Arezzo
25 novembre 2014, ore 19.00, Teatro Pietro Aretino: “IL BARBIERE DI SIVIGLIA” di Gioacchino Rossini
7 dicembre, ore 17.30, Teatro Pietro Aretino: “FIDELIO” di Ludwig Van Beethoven
14 dicembre, ore 18.15, Tetaro Mecenate: “GUT GIFT IKEA” di Francesca Foscarini e Yasmeen Godder
Firenze dal 2 al 7 dicembre, da martedì a sabato: 20.45; domenica: 15.45, Teatro della Pergola: “SPRING AWAKENING” tratto da “Risveglio di Primavera” di Frank Wedekind regia di Emanuele Gamba
dal 9 al 14 dicembre, da martedì a sabato: 20.45; domenica: 15.45, Teatro della Pergola: “DECAMERONEvizi, virtù, passioni” tratto dal “Decamerone” di Giovanni Boccaccio con Stefano Accorsi e la regia di Marco Baliani
dal 16 al 21 dicembre, da martedì a sabato: 20.45; domenica: 15.45, Teatro della Pergola: “IL MERCANTE DI VENEZIA” di William Shakespeare con Silvio Orlando e la regia di Valerio Binasco
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, 10, 11, 12 dicembre ore 10.00, 11 dicembre ore 20.30 e 14 dicembre 9 16.30, Teatro Goldoni: “LE ALLEGRE COMARI DI FALSTAFF” Spettacolo per ragazzi ispirato a “Falstaff” di Giuseppe Verdi
Inoltre, L’Opera di Firenze (Maggio Musicale Fiorentino) propone: Balletto: dal 25 al 28 novembre, ore 20.30 e il 30 novembre alle 15.30, Teatro Goldoni: “PUNTO D’AZIONE MUSICHE DI ENNIO MORRICONE” Concerto: 28 e 30 novembre, ore 20.30, Auditorium Santo Stefano al Ponte: “REQUIEM DI VERDI” con il coro del Maggio Musicale Fiorentino Opera: 29 novembre e 2, 4, 7, 9, 12 dicembre alle 19.45, Opera di Firenze: “FALSTAFF” di Giuseppe Verdi Concerto: 1 dicembre, ore 20.30, Opera di Firenze: RICCARDO MUTI e l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Roma Dall’11 dicembre all’11 gennaio, Teatro Parioli “LA LETTERA DI MAMMÀ” regia di Luigi De Filippo
mostre Arezzo: Casa Museo di Ivan Bruschi, “Il Metaformismo: L’Arte Contemporanea nelle antiche dimore”
Sansepolcro: Museo Civico di Sansepolcro, dal 31 ottobre 2014 al 12 marzo 2015 “Burri Piero: Burri incontra Piero Della Francesca”
Firenze: Palazzo Strozzi, dal 20 settembre 2014 al 25 gennaio 2015 “PICASSO e la Modernità spagnola”
Roma: MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma, dal 19 settembre all’11 gennaio 2015 “Wrap it up” di Tobias Rehberger
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eventi Inaugurazione dell’anno scolastico Siamo lieti di annunciare che l’inaugurazione dell’anno scolastico 2014/2015 del Liceo Classico Musicale Francesco Petrarca si terrà nel pomeriggio del giorno 12 Dicembre. A breve il programma completo di tutte le attività.
La Via dei Libri Dall’8 novembre è tornata a Firenze in via Martelli La Via dei Libri. Proprio nella centralissima strada del centro le case editrici Mandragora e Clichy creeranno uno spazio innovativo dal punto di vista strutturale (cinque metri di larghezza per quindici di lunghezza) che sarà da subito catalizzatore di eventi culturali di primo piano organizzati dal giornalista e scrittore Gabriele Ametrano in collaborazione con Clichy. Lo scopo di questa nuova iniziativa è restituire al centro della città uno spazio di cultura e di aggregazione, aperto all’associazionismo, ai gruppi di lettura e di poesia.
Matera 20019: Capitale europea della cultura Il progetto “Capitale europea della cultura” nasce nel 1985 col nome di “Città europea della cultura”: gli stati membri selezionavano unanimemente le città più adatte ad ospitare l’evento e la Commissione europea garantiva un sussidio per le città selezionate ogni anno. Il Parlamento europeo e la decisione del Consiglio del 25 maggio 1999 hanno integrato questo evento nel quadro comunitario e hanno introdotto una nuova procedura di selezione per le capitali del periodo 2005-2019. Questo venne fatto per evitare la feroce competizione per vincere il riconoscimento; ogni membro dell’UE avrà l’opportunità di ospitare a turno la capitale. Firenze nel 1986, Genova nel 2004, ed ecco che nel 2019 una città italiana sarà di nuovo onorata dal titolo di Capitale europea della cultura, e stavolta toccherà a Matera. La città ha presentato un programma fondato sul rapporto di continuità e rottura fra presente e passato, un programma dal titolo evocativo “INSIEME/TOGETHER/TOGETTHERE”, che consta di 5 punti base (Futuro remoto, Radici e percorsi, Riflessione e connessione, Continuità e rottura, Utopie e Distopie) atti a garantire l’unanime comprensione della storia e della cultura della Basilicata, in ordine di ricavarne un percorso culturale in grado di “offrire all’Europa e all’Italia un nuovo modello di sviluppo capace di superare la crisi contemporanea dimostrando che si tratta di una crisi di modelli prima ancora che di consumi”.
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Svago
Ipse dixit Prof C. ad alunno G.: Guarda, ti meriteresti 2, ma incoraggiarti ti do 3. Alunno D.: Plinio il vecchio? Che cos’è Plinio il Vecchio? Prof. M: Lucano è... splatter!
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In memoria della Professoressa Paola Spillantini Ci sono dei numeri che si ribellano agli altri, sfuggono alla razionalità e al calcolo freddo e preciso e si liberano da ogni vincolo tendendo all’infinito, bellissimi e irrazionali, con un numero sterminato e ininterrotto di cifre dopo la virgola. E ci sono delle persone che davanti a quella virgola, a quell’ostacolo, non si fermano e non accettano alcuna forma di approssimazione o compromesso; ci sono persone che nonostante tutte le difficoltà proseguono il loro percorso, immobili come le stelle fisse, avendo in sé la propria legge e il proprio cammino. Lei sarà sempre il nostro numero irrazionale . I ragazzi della VD
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