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ISSN 1592-7954

Anno X - n. 343 COMO - mercoledì 13 dicembre 2006

Quotidiano di informazione della città e della provincia

DIREZIONE, REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE: Via Vittorio Emanuele II 115, 22100 Como - Telefono 031-337788 (15 linee ricerca a.) - Fax redazione 031-3377823 PUBBLICITÀ CONCESSIONARIA ESCLUSIVA: ARCUS Pubblicità Sede di Como: Via Vittorio Emanuele II, 113

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LA NOVITÀ SU ETV

Domani sera debutta “Il Dariosauro” Il pubblico protagonista assoluto I Primo piano a pagina 11

Dalle rivelazioni dell’uomo la possibile svolta per scoprire chi non ha esitato a tagliare la gola a tre donne, un uomo e un bambino

Strage di Erba: non è stato il tunisino Il principale indiziato era in Nord Africa: è rientrato ieri sera con un volo giunto a Malpensa LA MATTANZA E IL TIRASSEGNO

L’EQUAZIONE TROPPO FACILE

di MARCO GUGGIARI

di PAOLO MORETTI

C

hi è stato? Quali belve hanno infierito così su un bambino di due anni? Quali mostri hanno macellato il piccolo Joussef, tre povere donne, e ridotto in fin di vita un uomo? E perché? In nome di quale inconcepibile proposito di vendetta? Da quale putrido e buio pozzo della mente hanno vomitato tra noi questa strage senza precedenti? Le risposte che mancano sono l’ansia del giorno dopo. Ansia di sapere, di squadrare volti che non si immaginano umani. Di certezza della giustizia. Ecco, sì. Che li prendano e che gettino via la chiave della cella dove li rinchiuderanno. A pochi giorni dal Natale ci scopriamo inevitabilmente spietati. Crudeltà chiama durezza. Sanguinari esigono rigore. Nessuno sconto. Nessuna comoda subordinata prevista dalla legge. Nessuna scappatoia. Lo esigono la memoria di Joussef, della mamma, della nonna, dell’inconsapevole vicina di casa. Lo vuole il comune sentire. Lo chiede un papà rimasto solo e da tutti accusato. Ecco un altro punto. Occorre l’umiltà di dirlo. In questa immane tragedia c’è un dramma scomodo. Si chiama Azouz Marzouk, è un uomo in carne e ossa, tunisino, di 26 anni. La sua storia è fatta anche di reati e di prigione. E questo è bastato perché per troppe ore si giocasse al tirassegno con lui. Chi più, chi meno, giornali e tv, hanno non soltanto sospettato di Azouz. Hanno avuto certezze sul suo conto. I precedenti, il profilo dell’uomo, la sua irreperibilità ne facevano il colpevole perfetto. Dirlo oggi, ce ne rendiamo conto, è versare lacrime di coccodrillo. Ma è anche tardivo dovere di verità e giustizia. Quando le fiere saranno stanate dai loro nascondigli, quando l’orrore sarà spiegato, scopriremo se i lupi sono in qualche modo sbucati dalle tortuose vicende del giovane tunisino. Nessuno sgarro, però, giustificherà l’accaduto. Oggi, per quel che può valere, gli chiediamo scusa di quanto è stato scritto e detto. Non è lui l’omicida di suo figlio. Non della donna che ha generato quel bimbo. Nè della nonna e dell’altra vittima. Questo consola solo un po’, esclude l’ipotesi peggiore. Non scioglie tutti i dubbi; non risolve l’enigma della mattanza. Che deve trovare subito soluzione. Perché torni un po’ di pace qui, dove è come se la terra avesse tremato.

A

volte è meglio diffidare di un’equazione troppo facile. Sembrava un caso già risolto. Un’intera famiglia massacrata, tranne uno: il capofamiglia. Uscito di cella ad agosto grazie all’indulto, dopo un patteggiamento a oltre tre anni per un affare di cocaina. L’unico scampato alla mattanza. E, per questo, il primo a essere sospettato. Quando però, nel cuore della notte, a quasi otto ore dalla scoperta della strage di via Diaz i carabinieri hanno avuto dal fratello del principale indiziato - fino a quel momento - la prima possibile prova dell’esistenza di un alibi di ferro, la pista famigliare, la più semplice, la più ovvia, ha fatto strada ad altre ipotesi. Ben più inquietanti. Azouz Marzouk al suo arrivo, ieri in tarda serata, al comando provinciale dei carabinieri in via Borgovico. Mezz’ora prima era atterrato a Malpensa (Fotoservizio Mattia Vacca)

SEGUE A PAGINA 2

La disperazione di Carlo Castagna

La città attonita

OLTRE LA MORTE

SENZA FIATO

di EMANUELE CASO

di MAURO PEVERELLI

«E

ravamo una famiglia stupenda, e lo saremo anche adesso, oltre la morte». Ieri mattina, poco dopo le 10, Carlo Castagna ha trovato da qualche parte, in fondo all’anima, la forza di parlare ai giornalisti. Lo ha fatto sul cancello di casa, all’ombra fredda della grande villa di Erba confinante con la fabbrica di mobili su cui, giorno dopo giorno, ha costruito la sua fortuna e quella della sua famiglia spezzata da una notte di ferocia e di barbarie. Eppure, quell’uomo a cui una insondabile follia omicida ha rubato la moglie Paola, la figlia Raffaella e l'adorato nipotino di due anni, non ha comunicato rancore, né rabbia o desiderio di vendetta. Quell’uomo, amato da una comunità intera, ha espresso soltanto dolore. SEGUE A PAGINA 5

P

iazza del Mercato è assediata. I mezzi delle televisioni giunti da tutta Italia le tolgono il fiato. Un assembramento mai visto in questa città che conserva in sé un cuore ancora da paese. I pensionati camminano con le mani dietro la schiena, protetti da sciarpe e cappellini per respingere il freddo pungente calato in questi giorni. Lo fanno tutti i giorni. Da sempre. Ma oggi i loro sguardi sono diversi. E puntano su quella casa gialla, sulla finestra devastata dal fuoco, sui mobili anneriti che si intravedono all’interno. Scuotono il capo. Difficile capire. Difficile dare una spiegazione a un simile gesto contro una famiglia che tutti, anche l’ultimo degli arrivati, conosceva bene. SEGUE A PAGINA 4

TRAGICO DESTINO I vicini di casa sono stati uccisi mentre uscivano con il loro cane. POSSIBILE VENDETTA È questa l’ipotesi più accreditata al momento tra gli inquirenti. LUTTO CITTADINO Lo ha deciso ieri il sindaco della città, Ghioni, in una giunta straordinaria. LA TESTIMONIANZA «La famiglia Castagna aveva espresso dei dubbi su quel matrimonio». I Alle pagine 2, 3, 4 e 5


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Anno X - n. 344 COMO - giovedì 14 dicembre 2006

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NIENTE MEZZI PUBBLICI

Domani sciopero dei trasporti È scontro tra Spt e sindacati I Caso in cronaca a pagina 7

LA STRAGE DI ERBA / I killer erano almeno due. Risvegliato dal coma, l’unico sopravvissuto ricorda l’orrore di via Diaz

Massacrata con dodici coltellate Dall’autopsia sul corpo di Raffaella Castagna emergono ferocia e violenza inaudite

Fiori davanti all’abitazione di Erba dove è avvenuto il tremendo delitto (Foto MV)

L’autopsia ha, se possibile, reso ancor più evidente l’efferatezza della strage di Erba. Gli assassini si sono accaniti sui corpi delle quattro vittime con una ferocia, una violenza inaudite. Raffaella Castagna, prima colpita con un corpo contundente alla testa, è stata poi raggiunta da un profondo fendente alla gola. E, quindi, accoltellata ripetutamente: almeno 12 ferite. Ieri mattina l’unico sopravvissuto alla mattanza, Mario Frigerio, risvegliato dal coma al Sant’Anna, ha parlato per alcuni momenti con gli investigatori. Confermando, secondo quanto si è appreso, che i killer erano almeno due. Alle pagine 2, 3 e 5

Parla Azouz Marzouk: «Rimarrò in Italia finché non verrà scoperto il colpevole»

«VENITE PURE A CERCARMI, IO SONO QUI» di ANDREA BAMBACE

«S

ono qui. Non ho paura di nessuno. Se ce l’avete con me sapete dove trovarmi». Azouz Marzouk sfida chi ha distrutto la sua famiglia. Chi ha tagliato la gola a sua suocera, a sua moglie e a suo figlio. Ieri ha risposto a tutte le domande dei giornalisti, parlando un po' di tutto: famiglia, ricordi, dolore, progetti per il futuro. Voleva tornare a vivere in Tunisia, a Zaghouan, con Raffaella e il piccolo Joussef, di appena due anni. All’assassino - o agli assassini - invece, Marzouk, rivolge una sola frase, pesante come un macigno.

«Dite (rivolto ai giornalisti, ndr) che era una vendetta? Bene, se qualcuno ha qualcosa contro di me venga pure a cercarmi. Io sono qui. E rimarrò in Italia finché non verrà scoperto il colpevole». Il primo assalto dei cronisti ad Azouz arriva in tarda mattinata. Il tunisino infatti è davanti a casa sua, in via Diaz, teatro della strage, in compagnia di alcuni parenti. In pochi attimi viene circondato da telecamere e microfoni, si ferma e inizia a sussurrare qualche parola. SEGUE A PAGINA 5

Raffaella Castagna, la giovane assassinata nel suo appartamento assieme alla madre, al figlioletto di soli due anni e a una vicina di casa (Foto MV)

ALL’INTERNO

LETTERA DI EL SISI

Gli islamici chiedono le Circoscrizioni per le preghiere del venerdì I A pagina 9 In cronaca

OSSERVATORIO DEI PREZZI

Fine anno con aumenti fino al 30% Gli affitti sono più cari del 12% I A pagina 11 In cronaca


CORRIERE DI COMO

Primo Piano 3

I VENERDÌ 15 DICEMBRE 2006

LA STRAGE

L’ I N C H I E S T A

NESSUN PRECEDENTE

LA SCENA DEL CRIMINE

Una delle difficoltà dell’indagine per il delitto di via Diaz è che sembra impossibile trovare in letteratura qualcosa che possa essere paragonabile all’atroce mattanza di Erba

Il vicecomandante dei carabinieri ha detto: «La scena del crimine parla. E da quella dobbiamo partire». I Ris di Parma sono al lavoro, anche se trovare tracce è arduo

GLI INQUIRENTI Sopra, un vigile del fuoco assieme al capo della Procura, Alessandro Maria Lodolini A destra, i carabinieri nel cortile della casa di via Diaz dove lunedì sera due o più assassini hanno aggredito e ucciso tre donne e un bambino di soli due anni

Nella casa degli orrori anche una mannaia Uno dei killer impugnava un’arma compatibile con un’ascia, l’altro un coltellino svizzero I carabinieri alle prese con i dubbi di un delitto difficile da interpretare e da risolvere In un’inchiesta su un delitto gli inquirenti, tra i vari passaggi, si concentrano sulle modalità: tecnica, ferite, armi usate. Un esercizio di criminologia non fine a se stesso, ma utile per tracciare un possibile profilo degli assassini, cercando nelle pieghe del tempo quelle perversioni umane che possano in qualche modo essere assimilabili al caso sotto i riflettori. Uno dei tanti problemi nell’indagine per il delitto di via Diaz è che, in letteratura, è difficile trovare qualcosa che possa essere paragonabile all’atroce mattanza di Erba. Impossibile da trovare nei delitti passionali. Difficile in quelli con moventi religiosi o politici. Rarissimi anche nei regolamenti di conti messi in scena dalla malavita organizzata. Quanto accaduto lunedì sera sfugge dai tradizionali schemi investigativi. Perché ogni ipotesi fatta dagli inquirenti ha dovuto fare i conti con almeno un dubbio. LA SCENA DEL CRIMINE Il vicecomandante dei carabinieri, il tenente colonnello Filippo Scibelli, all’uscita dal palazzo di giustizia ha detto: «La scena del crimine parla. E da quella dobbiamo partire». I Ris di Parma sono al lavoro, anche se trovare tracce in un appartamento in cui sono stati appiccati più incendi, in cui i vigili del fuoco sono stati costretti a gettare litri d’ac-

qua e dove sono entrate decine di persone tra soccorritori e inquirenti, non è certo facile. Ma proprio la scelta dei killer di appiccare le fiamme all’interno dell’appartamento fa pensare alla volontà di cancellare non solo le tracce, ma anche - forse - la modalità dell’esecuzione della terribile mattanza. Forse per far scomparire una possibile firma. LA PISTA ITALIANA Una delle strade seguite dai carabinieri è quella aperta dalle dichiarazioni dallo stesso Azouz, che ha parlato di un violento diverbio con alcuni calabresi. Una pista che forse anche lo stesso Marzouk non prende sul serio: «Non credo di aver fornito elementi utili ai carabinieri» ha riferito ieri. E anche le modalità dell’esecuzione non sembrano essere quelle del raid punitivo organizzato dalla ’ndrangheta, anche se a Brescia in agosto tre persone vennero uccise e, poi, sgozzate. LA PISTA STRANIERA La seconda ipotesi sulla quale lavorano gli inquirenti è quella dello sgarro, una grave offesa nel mondo dello spaccio della cocaina gestito dagli stranieri. Il raid, seguendo questa pista, sarebbe servito a punire e a lanciare un avvertimento all’unico superstite della famiglia. E proprio qui sorge il dubbio: perché, se l’obiettivo era veramente Marzouk, colpire solo la moglie? E per-

Dall’autopsia è emerso che Youssef presentava una sola ferita sul collo

ché, soprattutto, accanirsi sul bimbo? L’ARMA DEL DELITTO La tesi del commando che ha agito per vendetta sembra anche scontrarsi con la scelta delle armi usate dagli assassini. Due, in particolare: un coltello a lama corta, forse un coltellino svizzero. E quello che l’anatomo patologo che ha eseguito l’autopsia ha descritto come un oggetto contundente con, su

un lato, una lama non affilata. Una descrizione compatibile con una mannaia. O con un’ascia. Armi decisamente non da killer professionisti. IL PICCOLO YOUSSEF Ma ciò che scombina le carte dell’inchiesta è l’elemento più atroce della strage: la presenza del piccolo Youssef. Perché uccidere un bimbo di soli 2 anni? Su questo punto l’autopsia ha chia-

rito che il figlio di Raffaella e di Azouz è stato colpito con un solo fendente, una ferita non particolarmente ampia e profonda. Gli inquirenti avevano ipotizzato che il bimbo potesse essere in braccio alla mamma o alla nonna all’arrivo degli assassini e che potesse essere rimasto vittima dei killer nella foga del delitto. Tesi poi scartata: Youssef è stato volutamente ucciso.

DAL SANT’ANNA

«Gli assassini? Ne ho visto soltanto uno» Quando ieri mattina le forze dell’ordine si sono presentate nella rianimazione seconda del Sant’Anna, Mario Frigerio era sveglio. Cosciente. E pienamente consapevole dell’incubo in cui è piombato, da lunedì sera. Ma non ce l’ha proprio fatta, l’unico sopravvissuto nella strage di via Diaz, a parlare ancora di quanto accaduto. E agli agenti avrebbe detto: «No. Oggi no». Niente verbalizzazione, dunque. Tutto rinviato, forse ad oggi. Nel frattempo emergono ulteriori particolari sulle prime rivelazioni fatte dal 65enne vicino di casa di Raffaella Castagna, che si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, lunedì sera. L’uomo, nel primo breve incontro con i carabinieri, nella mattinata di mercoledì,

CRONACA DI UNA STRAGE

L’assalto dei killer I killer entrano in azione in via Diaz lunedì verso le 20. Spietati, uccidono a coltellate la trentenne Raffaella Castagna, il figlio Youssef, di soli 2 anni, la madre Paola Galli, 57 anni, e Valeria Cherubini, 55enne vicina di casa. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, 65 anni, viene ridotto in fin di vita, ma sopravviverà. Prima di fuggire gli assassini appiccano il fuoco all’appartamento della giovane donna

Il marito è in Tunisia All’appello manca Azouz Marzouk, il 26enne tunisino marito di Raffaella e padre del piccolo Youssef. Gli inquirenti partono subito alla ricerca dell’uomo, finito in carcere per motivi di droga e appena uscito grazie all’indulto. Poche ore dopo scoprono però che il 26enne è da giorni in Tunisia. Le indagini ripartono così da zero

Le piste investigative

L’ingresso della rianimazione seconda, dov’è ricoverato l’unico sopravvissuto avrebbe riferito di aver visto un solo assassino: quello che lo ha aggredito e ferito con due fendenti al collo. In ogni caso lo sventurato vicino di casa ha anche detto di non aver riconosciuto la persona che

ha visto. Le condizioni di Mario Frigerio, nel frattempo, stanno lentamente migliorando. Il 65enne è sotto la protezione dei carabinieri e dei figli, che non lo hanno lasciato neppure un attimo.

Gli inquirenti sono convinti che si tratti di «un lavoro da professionisti». E non escludono che la strage di via Diaz sia opera della criminalità organizzata. Al fascicolo d’inchiesta, aperto a carico di ignoti, si sono affiancati quelli relativi ai guai giudiziari di Marzouk. La tesi di una delle ipotesi investigative è che il movente possa essere cercato nelle “amicizie” del 26enne tunisino. Difficile però ipotizzare che tipo di sgarro ci possa essere alla base di un delitto simile. Dubbi per le armi usate dai killer: un coltellino a lama corta e un oggetto contundente da un lato e con una lama non affilata dall’altro


CORRIERE DI COMO

Primo Piano 3

I DOMENICA 17 DICEMBRE 2006

LA STRAGE

DI ERBA

«GLI ASSASSINI? ALMENO DUE»

«VORREI INCONTRARE MARIO»

«A uccidere non può essere stato uno solo». Lo dice il papà di Youssef, che dichiara: «Conosco mia moglie: lottava con tutte le sue forze. E avrebbe fatto di tutto per non farsi sopraffare»

Il giovane tunisino ieri ha espresso il desiderio di poter avvicinare l’unico sopravvissuto all’orrore di via Diaz: «Ho fatto istanza al magistrato per poter incontrare il signor Mario Frigerio»

«I killer volevano incastrarmi» Azouz Marzouk offre la sua chiave di lettura sul giallo: «Aspettavano Raffaella sulle scale» «Non stavo bene. Ero stanco. E volevo tornare a casa, perché non si tratta così una persona che ha perso una moglie e un figlio. Così ho perso la pazienza. E ho tirato una testata al muro». Porta i segni della notte trascorsa dai carabinieri, Azouz Marzouk: un collare ortopedico. Dietro gli immancabili occhiali scuri, il 26enne marito di Raffaella Castagna per la prima volta offre una chiave di lettura inedita per l’omicidio della moglie, del figlio, della suocera e della vicina di casa: volevano mettermi in mezzo, sostiene scegliendo una terminologia più colorita. «Non è stata una vendetta contro di me - esordisce risottolineando un concetto più volte proposto - Chi ha fatto questa cosa, non sapeva che io ero in Tunisia. L’hanno fatto perché io fossi accusato». Non cerca un movente. Non cerca un volto. Il quinto giorno dopo la strage, Azouz si limita a dare la sua chiave di lettura di quanto accaduto lunedì sera. «Non credo che mia moglie abbia aperto la porta afferma - È successo tutto nelle scale, secondo me. La stavano aspettando». Un agguato studiato da chi, evidentemente, conosceva le abitudini della donna. Ma che, sostiene Azouz, non aveva idea che il capofamiglia non fosse in Italia. Il giovane tunisino, poi, non crede alla pista dell’unico carnefice.

L’AVVOCATO

«Se uno non piange davanti alle telecamere non vuole dire che non stia soffrendo»

OCCHIALI SCURI Azouz Marzouk, il 26enne marito di Raffaella Castagna con gli immancabili occhiali scuri L’uomo al momento del delitto era a migliaia di chilometri di distanza (Mv)

«Non poteva essere uno solo - dichiara - Conosco mia moglie: lottava con tutte le sue forze. E avrebbe fatto di tutto per non farsi sopraffare». L’uomo, che nei giorni del delitto era a migliaia di chilometri di distanza, è ancora

in attesa del via libera per dare l’ultimo saluto a moglie e figlio. «Non c’è ancora il nulla osta per i funerali» dice. Quindi esprime un desiderio: «Ho fatto istanza al magistrato per poter incontrare il signor Mario. Voglio anche andare a trovare i suoi

familiari, ma ho paura. Perché magari potrebbero interpretare male la mia visita. Magari mi potrebbero dire che la loro cara è morta per colpa mia». Infine il pensiero torna alla famiglia Castagna, ai rapporti difficili - in passato con i fratelli della moglie e all’apertura degli ultimi giorni del signor Carlo e dei suoi figli. «Da parte mia non è mai successo nulla né con il papà, né con i fratelli». E su questi ultimi dice: «Con loro avevo un rapporto normale. A distanza, ma normale».

L’esterno della casa di via Diaz, a Erba, dove si è consumata la tragedia (Mv) «Azouz sta soffrendo molto». A dirlo è l’avvocato Pietro Bassi, il difensore del 26enne marito di Raffaella Castagna. Lo dichiara dopo il nuovo interrogatorio - come persona informata sui fatti del giovane ospitato in questi giorni nella casa del fratello a Merone. L’avvocato offre la sua chiave di lettura sull’asserito distacco del suo assistito nonostante la tragedia che lo aveva così duramente colpito.

«Perché una persona non piange davanti alle telecamere - spiega il legale di Azouz Marzouk non vuole dire che non stia soffrendo. Vi garantisco che il mio assistito è provato e tanto. Sta soffrendo molto: è distrutto nell’animo, ve lo garantisco». Sui tempi per il nulla osta ai funerali, l’avvocato Bassi conclude: «Non c’è ancora, ma è più che comprensibile in un caso difficile e grave come questo».

SCENA DEL CRIMINE Cosa è accaduto nell’appartamento dell’orrore? Gli inquirenti alle prese con il dilemma più grande Se è vero che la scena del crimine parla, allora la chiave per risolvere il delitto non può essere altrove se non in quell’appartamento a due passi da piazza Mercato. E non solo per la possibile - ma francamente difficile, considerati i litri d’acqua gettati in quella casa per spegnere le fiamme appiccate dal o dai killer - presenza di tracce, ma per come si presentava l’interno dell’abitazione dopo il massacro. La posizione delle vittime. Le ferite sui loro corpi. L’incendio. Partendo dalla fotografia di morte e orrore scattata dall’assassino, gli inquirenti stanno tracciando le possibili strade per giungere alla soluzione del giallo. Perché la prima domanda, durante il sopralluogo sulla scena del delitto, non può che essere una: cos’è accaduto qui dentro? Nella giornata in cui gli inquirenti hanno deciso di ripartire dal via, per ripercorrere passo dopo passo un’inchiesta che non ha ancora portato alla soluzione del caso, proviamo a riportare le ipotesi valutate dagli inquirenti su ciò che può

Per la prima volta siamo in grado di mostrare l’interno dell’appartamento dell’orrore. Nella foto Cavicchi, un vigile del fuoco effettua un sopralluogo nella stanza di Youssef, poco dopo la scoperta della terribile mattanza in cui hanno perso la vita quattro persone essere accaduto lunedì sera, tra le 20.15 e le 20.35. Finora è stato dato per scontato che la sequenza con cui la mano omicida ha agito sia la seguente: Raffaella Castagna, il cui corpo è stato trovato vicino all’uscio, la madre Paola,

rinvenuta poco distante sempre nel ballatoio d’ingresso, il piccolo Youssef, Valeria Cherubini e l’unico sopravvissuto alla strage, Mario Frigerio. Stando a questa ricostruzione: Raffaella ha aperto la porta, è stata colpita alla testa, la ma-

dre ha tentato la fuga, è stata raggiunta e uccisa. Come ultima cosa gli assassini avrebbero macchiato di ulteriore orrore la loro strage, uccidendo il bimbo che era sul divano. Ma se il bimbo non fosse stato su quel divano? Un’ipotesi

scartata, ma solo in parte, è che Youssef possa essere stato una vittima involontaria nella mattanza di via Diaz. Il figlio di Azouz poteva essere in braccio alla madre o alla nonna, quando i killer hanno agito. E il fendente al collo poteva anche non essere voluto, trattandosi di una lesione sì fatale (soprattutto essendo una ferita inferta a un bimbo di soli 2 anni), ma non particolarmente estesa o importante. Forse più fantascientifica la tesi secondo la quale la prima vittima della mattanza possa essere stato proprio Youssef. In questo caso si aprirebbero due scenari differenti: il bimbo rimasto ferito mentre gli autori del raid lo minacciavano per estorcere qualcosa alla madre (in questo caso gli assassini avrebbero anche potuto essere estranei). Oppure una lite con persone conosciute sfociata nel ferimento mortale - magari anche accidentale - del bimbo e, solo in un secondo momento, la mattanza. Il fatto è che ogni ragionamento e ogni possibilità presi in considerazione trovano,

sulla loro strada, almeno un ostacolo. Non esiste - per ora un’ipotesi che consenta di essere presa seriamente in considerazione. Anche perché mancano non pochi elementi per tirare delle conclusioni credibili. Ad esempio l’arma del delitto. Dovrebbero essere due, un coltello a lama corta e una sorta di mannaia. Ma sono stati entrambi portati dai killer o almeno una di queste è stata presa dalla casa? Ieri Azouz Marzouk ha aperto le porte a una nuova, inedita ipotesi: ovvero che i killer (lui è convinto fossero almeno due) non sapessero che lui fosse in Tunisia e che, per questo, abbiano tentato di alterare la scena del crimine in modo che si pensasse a lui quale autore del massacro. Inoltre, secondo il marito di Raffaella, la moglie non avrebbe mai aperto la porta. Quindi gli assassini l’attendevano sulle scale, l’hanno aggredita mentre apriva la porta di casa e hanno iniziato la mattanza. Ricostruzioni ipotetiche. Magari anche suggestive. Ma da qui si deve partire.


CORRIERE DI COMO

Primo Piano 3

I MARTEDÌ 19 DICEMBRE 2006

LA STRAGE

DI VIA DIAZ

FIAMME GIALLE IN TRIBUNALE

GLI ULTIMI SPOSTAMENTI

Guardia di finanza a palazzo di giustizia per un incontro con i magistrati. Le fiamme gialle sono le stesse che indagano sul presunto giro di sostanze stupefacenti al margine del quale secondo una delle prime ipotesi - poteva essere legato il movente

Raffaella è uscita dal lavoro a Magreglio alle 18.30 e, come sua consuetudine, ha preso il bus fino ad Asso e il treno fino a Erba. È arrivata a casa alle 20 circa, un quarto d’ora prima di essere uccisa

L’arma del delitto era già nella casa Un solo assassino che si sarebbe procurato l’arma usata per il massacro nell’appartamento dell’orrore. È su questa ipotesi, a una settimana dalla terribile strage di Erba, che stanno lavorando gli investigatori. Una pista che - nessuno lo dice chiaramente, ma tutto lo lascia intendere - non esclude tutte le altre ipotesi fino ad oggi prese in considerazione. Ma che, se confermata, getterebbe una nuova luce (o forse sarebbe meglio dire “ombra”) sulla mattanza di via Diaz. Una premessa è d’obbligo, nella complessa inchiesta sulla morte del piccolo Youssef, di Raffaella Castagna, di Paola Galli e di Valeria Cherubini: in questo caso più che mai davvero nessuna pista è esclusa. E tutte le nuove ipotesi investigative sono proprio questo: semplicemente ipotesi, alla ricerca di prove concrete. Dopo aver scavato su parenti, amici, possibili nemici delle vittime dell’atroce delitto di Erba, gli investigatori tornano a concentrarsi sulla scena del crimine e sulle risultanze dell’autopsia compiuta giorni fa dal dottor Giovanni Scola, medico legale incaricato dalla Procura di ricostruire la dinamica delle ferite mortali inferte dall’assassino - o dagli assassini - di via Diaz. Per giungere a una possibile ricostruzione dei fatti, carabinieri e Procura sono partiti da alcuni dati certi.

Nuova ipotesi investigativa: a massacrare quattro persone potrebbe essere stato un solo assassino. Le coltellate alla gola inferte dopo la morte

L’interno dell’appartamento di via Diaz a Erba, teatro dell’atroce delitto consumato la scorsa settimana. Il killer potrebbe aver trovato l’arma proprio in questa casa (Cavicchi) Le armi utilizzate, un corpo contundente con una lama non affilata e un coltello a lama corta; le ferite inferte, tali da far presumere che Raffaella, sua madre e la vicina di casa sono state uccise (o comunque ridotte in fin di vita) con botte alla testa e fendenti al corpo e che solo in un secondo momento siano state colpite alla gola con il coltello; l’incendio doloso, appiccato dal killer quasi sicuramente per bruciare i vestiti completamente imbrattati; le orme di sangue, che non sarebbero state notate all’esterno dell’uscio dell’appartamento dov’è

stato consumato il massacro. Quattro punti fermi dai quali sono state formulate le nuove ipotesi investigative. Innanzitutto, se si parte dal presupposto che la causa della morte non sono le ferite alla gola ma i traumi inferti con il corpo contunden-

te, non è così inverosimile che a commettere la strage possa essere stata una sola persona. In secondo luogo: la descrizione delle armi sembra escludere la spedizione punitiva da parte di killer professionisti, ma è più compa-

I PUNTI INCERTI

Le armi utilizzate: un corpo contundente con una lama non affilata e un coltello a lama corta. I colpi inferti: le vittime già morte prima della ferita alla gola L’incendio doloso appiccato dal killer quasi sicuramente per bruciare i vestiti imbrattati di sangue

tibile all’ipotesi secondo cui l’assassino - o gli assassini possa essersi procurato quanto usato per il massacro proprio sul luogo del delitto. La presenza di un camino, nel soggiorno dell’abitazione, farebbe anche ipotizzare l’esistenza di oggetti usati per tagliare la legna da bruciare e compatibili con quel corpo contundente con una lama non affilata riscontrato dall’anatomopatologo. Infine, se veramente questa fosse la ricostruzione, non è così improbabile che chi ha ucciso sia prima entrato nell’appartamento, quindi - forse dopo

una discussione - abbia aggredito le sue vittime. Gli inquirenti stanno scavando su questa ricostruzione. Ma senza in alcun modo abbandonare tutte le altre strade. A dimostrazione di ciò, nel pomeriggio di ieri tre militari della guardia di finanza di Erba sono giunti in Procura per un incontro con i magistrati. Le fiamme gialle erbesi sono le stesse che indagano sul presunto giro di sostanze stupefacenti al margine del quale - secondo una delle prime ipotesi - poteva essere legato il movente del delitto. Nulla, in ogni caso, viene lasciato intentato. Ogni elemento, anche il più insignificante - almeno in apparenza - viene accuratamente valutato e verificato. Il che dimostra quanto siano ancora del tutto ipotetiche le strade finora percorse da parte di carabinieri e Procura. Di sicuro c’è che le certezze iniziali degli inquirenti, convinti di essere sulla strada giusta, si sono presto arenate di fronte a un delitto che è un vero e proprio mistero. Un giallo per la soluzione del quale i tempi si prevedono decisamente lunghi, salvo improvvisi - e auspicati - colpi di scena. Infine i funerali. Anche ieri nessuna novità sul nulla osta per l’ultimo saluto alle vittime della strage di Erba. Segno che sono necessari nuovi accertamenti. Paolo Moretti

SUMMIT IN PROCURA L’appello: «Chi sa o chi ha visto, parli» Due ore di vertice nell’ufficio dal capo degli inquirenti. Ripercorse le ultime ore di Raffaella

Gli inquirenti a Erba. Ieri vertice all’ultimo piano del Tribunale

Due ore di confronto. Tutti nell’ufficio del procuratore, ieri mattina, gli uomini che stanno indagando sul delitto di Erba. Con una novità non di secondo piano: a collaborare - seppur informalmente - nell’inchiesta è un vero e proprio pool di magistrati. Non più soltanto il capo della Procura, Alessandro Lodolini, e il sostituto Simone Pizzotti. Al summit di ieri hanno infatti partecipato anche Antonio Nalesso (titolare negli ultimi anni di due inchieste per omicidio entrambe risolte), Massimo Astori (titolare dell’inchiesta sulle morti sospette al Sant’Anna) e Mariano Fadda (che ha risolto il caso di Teresa Lanfranconi, la ragazza uccisa a Mariano Comense, e più recentemente di Claudio Rizzo, il commerciante trovato morto in via Milano). Accanto ai cinque magistrati, decine tra ufficiali e sottufficiali dell’Arma: il comandante provinciale, i comandanti del reparto e del nucleo operativo, della stazione di Erba, il vicecomandante della compagnia di Como oltre a due graduati dei Ris di Parma. Due ore di summit terminate con un «no comment» ferreo da parte dei partecipanti. Soltanto il procuratore capo, Alessandro Lodolini, ha dedicato pochi minuti alla

stampa per lanciare un appello: «Chi ha visto o chi sa, si faccia avanti». Una richiesta che non sottende, tengono a precisare gli inquirenti, la sensazione di omertà tra i possibili testimoni, quanto la sottovalutazione da parte di qualcuno di movimenti o particolari ritenuti insignificanti, ma magari utili all’inchiesta. Il fine settimana appena trascorso è stato dedicato dai carabinieri a risentire tutte le persone che potrebbero in qualche modo aver notato qualcosa. In particolare gli uomini del nucleo operativo si sono presentati a Villa Cusi, il centro di assistenza di Magreglio dove Raffaella Castagna lavorava, e hanno ripercorso le ultime ore di vita della 30enne barbaramente trucidata in via Diaz. Secondo gli accertamenti, la donna sarebbe uscita dal lavoro alle 18.30 e, come sua consuetudine, avrebbe preso il bus fino ad Asso. Un viaggio di 18 minuti, destinazione la stazione delle Ferrovie Nord da dove, alle 19.33, parte il convoglio verso Erba. Dodici minuti di treno, arrivo alle 19.45. Da qui si perdono le tracce di Raffaella. Potrebbe essere rientrata a piedi, con arrivo a casa un quarto d’ora prima di essere uccisa.

Raffaella Castagna. Ricostruite le sue ultime ore di vita


CORRIERE DI COMO

Primo Piano 3

I GIOVEDÌ 21 DICEMBRE 2006

LA STRAGE DI ERBA

IL DOLORE

«NON È IL MOMENTO»

LA FAMIGLIA FRIGERIO

Il tunisino è comparso all’obitorio del Sant’Anna ieri attorno alle 11.30. Con lui i genitori, un fratello e un cugino, oltre all’avvocato Pietro Bassi. E a chi gli chiedeva un commento: «Non è il momento»

Marzouk ha chiesto, tramite il suo avvocato, di poter incontrare i familiari dell’uomo sopravvissuto alla strage. I Frigerio preferiscono però «evitare contatti con terzi, almeno finché le indagini non chiariranno l’accaduto»

Marzouk, presto moglie e figlio in Tunisia Ieri il drammatico riconoscimento dei corpi. L’avvocato: «Spera di avere il nullaosta in poche ore» All’obitorio dell’ospedale Sant’Anna

Senza parole Da sinistra: l’arrivo di Azouz Marzouk ieri mattina al Sant’Anna per il riconoscimento della moglie Raffaella e del figlio Youssef; il tunisino in lacrime all’interno dell’obitorio; infine, il giovane risale sull’auto (foto Mv)

Dalla prima È rimasto davvero poco, Azouz, in quella camera mortuaria. Un quarto d’ora, forse meno. E ha avuto bisogno del sostegno di quattro familiari per non cedere. Lui, che di fronte alle telecamere si è sempre mostrato a testa alta, disponibile a parlare anche sfidando a viso aperto gli assassini della sua famiglia, ieri non ce l’ha fatta. «Non è il momento». È riuscito a biascicare solamente queste parole, sia all’ingresso che all’uscita dell’obitorio. Stavolta quei grossi occhiali neri che da giorni non ha mai tolto in pubblico, non sono riusciti a nascondere lo strazio. All’altro capo dell’ospedale c’era un’altra famiglia distrutta, i Frigerio. Mario, 65 anni, lotta per la vita dopo che i killer della famiglia Castagna hanno ucciso sua moglie Valeria e hanno tentato di far lo stesso con lui. Ieri pomeriggio Marzouk ha chiesto tramite il proprio avvocato - Pietro Bassi - di poter incontrare i familiari di Frigerio, i quali - sempre tramite legale - hanno risposto negativamente. «Per adesso spiega Manuel Gabrielli, penalista di Seregno e avvocato della famiglia Frigerio - i miei assistiti preferiscono evitare contatti con terzi, almeno finché le indagini non chiariranno le posizioni nell’accaduto». In sostanza, finché non verrà fatta luce sulla strage, i Frigerio non incontreranno Marzouk. Il tunisino è comparso ieri mattina in obitorio attorno alle 11.30, poco dopo l’arrivo di una pattuglia della polizia. Scortato da un’auto della vigilanza interna del Sant’Anna, Azouz Marzouk era seduto sul sedile posteriore di una Daewoo Kalos grigia. Con lui i genitori, un fratello e un cugino, oltre all’avvocato

Pietro Bassi. «Non ora, dopo», ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano un commento all’ingresso dell’obitorio. Forse non immaginava che più tardi non avrebbe avuto la forza nemmeno di parlare. L’autorizzazione della Procura era solo per lui. Nessun’altro poteva vedere le salme, e l’immagine di Raffaella e Youssef straziati, stesi su un lettino d’obitorio, deve aver segnato l’anima del tunisino più di quanto già lo fosse. All’uscita faceva persino fatica a camminare. Il passo deciso, testa bassa, e mani nelle tasche del giubbotto hanno

lasciato posto a un’andatura trascinata. Scortato da parenti, avvocato, uomini della vigilanza del Sant’Anna e agenti di polizia, il padre di Youssef è uscito dalla camera ardente con un fazzoletto appoggiato al viso. E non se l’è sentita di parlare. «Non è il momento», ha ribadito ai giornalisti. Poi si è infilato nell’utilitaria ed è sparito, tenendosi la testa tra le mani. Probabilmente sono stati i venti minuti più drammatici della sua vita. «Non ha detto nulla - spiegava il suo avvocato, Pietro Bassi, qualche minuto dopo il riconoscimento

- Il dolore che sente non si può esternare. Devo riconoscere che sta affrontando la vicenda con molta dignità. Di fronte a queste tragedie è facile perdere la testa». Ieri erano passati nove giorni dalla strage. Ma dei nullaosta per i corpi, nemmeno l’ombra. Una situazione che, sottolinea il legale, sta esasperando il tunisino, anche se Marzouk «ne comprende i motivi, quindi non recrimina nulla. Speriamo che il nullaosta arrivi in poche ore». Dopo il via libera della Procura, si terranno i funerali in Tunisia. «Esatto», conferma

l’avvocato Bassi. Marzouk sta ancora cercando di capire quale assurda follia omicida possa aver dilaniato la sua famiglia. «Ci si pensa, se ne parla, ma rimane tuttora inspiegabile - dice ancora il suo legale - Non si riesce a trovare nulla che possa giustificare qualcosa di simile». Intanto, oggi l’avvocato Gabrielli, legale della famiglia Frigerio, si presenterà in Procura, innanzitutto per chiedere lumi sui nullaosta al rilascio delle salme, e poi per cercare di capire a che punto sia arrivata l’indagine. Andrea Bambace

L’INCHIESTA

Dai vicini di casa la speranza di una svolta Bocche cucite, ma grande lavoro. Porte degli uffici a lungo chiuse ieri in Procura a Como dove il pool di magistrati che affianca il titolare dell’inchiesta sulla strage di Erba (il pm Simone Pizzotti) ha lavorato sodo. Senza lesinare sforzi. Per prima cosa con interrogatori a raffica dei vicini di casa, già sentiti dai carabinieri nei giorni scorsi e tutti riconvocati in Tribunale. Circostanze da chiarire, loro spostamenti e per tutti una domanda pressante: «Possibile che lei non abbia sentito o visto nulla?». Se la sono sentita ripetere in tanti, ieri, al quinto piano del palazzo di giustizia. Finora, comunque, il contributo di chi abita vicino all’appartamento dove Raffaella viveva con Azouz e con il piccolo Youssef sembra sia stato davvero minimo. Per non dire scarso. Ma gli inquirenti non desistono: restano convinti che

Carabinieri nel cortile di via Diaz, a Erba, dove lunedì 11 dicembre è stata compiuta la strage. Gli inquirenti hanno di nuovo sentito i vicini di casa di Raffaella Castagna. Non è escluso che oggi possa toccare ancora al marito, il tunisino 26enne Azouz Marzouk (foto Mv)

lunedì 11 dicembre qualcuno può avere visto o sentito qualcosa. Anche i minimi particolari, in questo caso, possono fare la differenza e dare indicazioni su come risolvere il giallo. Un caso sempre più intricato e difficile. E dopo i vicini non è escluso che oggi possa toccare ad

Azouz, il tunisino già al centro della vicenda nei primi giorni. Una pista di indagine è infatti ancora collegata ai precedenti del giovane. Ma è soltanto una delle piste che gli inquirenti seguono e, forse, almeno stando a quanto emerso negli ultimi giorni, neppure la più concreta. Quella che continua a es-

sere privilegiata è l’ipotesi che l’autore della strage sia una persona che conosceva bene Raffaella, al punto da chiederle di aprire la porta di casa senza destare sospetti. La classica “mano amica” che all’improvviso, per chissà quale motivo, è diventata quella di uno spietato killer. Marco Romualdi

CRONACA DI UN DELITTO

L’assalto I killer (o l’assassino, ancora non è chiaro quante persone abbiano compiuto la strage) sono entrati in azione in via Diaz, a Erba, lunedì 11 settembre verso le 20. Spietati, hanno ucciso - con un oggetto trovato in casa o con un coltello - la 30enne Raffaella Castagna, il figlio Youssef, di soli 2 anni, la madre Paola Galli, 57 anni, e Valeria Cherubini, 55enne vicina di casa. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, 65 anni, è stato ferito gravemente. Prima di fuggire, i killer hanno dato alle fiamme l’appartamento dove Raffaella viveva con Youssef e con il marito Azouz Marzouk, 26 anni, in Tunisia al momento della strage.

Le indagini Quattro le piste investigative seguite dagli inquirenti. La prima ipotizza che l’obiettivo fosse Raffaella Castagna e che a colpire siano state - per un litigio degenerato - una o più persone vicine o amiche della vittima. La seconda pista indaga nel mondo della droga. In questo caso gli autori della strage, personaggi legati al traffico di stupefacenti, intendevano colpire Azouz Marzouk. La terza ipotesi su cui lavorano gli investigatori chiama in causa la malavita e vede, di nuovo, in Azouz Marzouk il vero obiettivo degli assassini, che sarebbero delle persone conosciute dal tunisino. L’ultima pista, la più debole, ipotizza l’azione di un folle che Raffaella aveva aiutato o che si era invaghito di lei.


CORRIERE DI COMO

Primo Piano 3

I VENERDÌ 22 DICEMBRE 2006

IL GIALLO

DI ERBA

L’AVVOCATO

L’UFFICIALE DEI CARABINIERI

Manuel Gabrielli: «Sta meglio e quando è cosciente riesce a seguirmi con gli occhi. Pensiamo che qualcuno abbia visto qualcosa. Per favore, si presenti agli inquirenti»

Il tenente colonnello Filippo Scibelli: «Il ricordo non ha preso una forma precisa. Le risposte dell’uomo non sono ancora affidabili, perché è sotto shock. Ancora non parla»

Il sopravvissuto ricorda due occhi feroci Oggi i medici potrebbero sciogliere la prognosi del superstite della strage Oggi probabilmente i medici del Sant’Anna scioglieranno la sua prognosi. «Sta meglio», assicurano fonti a lui vicine. Mario Frigerio, 65 anni, unico sopravvissuto e supertestimone della strage di Erba, inizia a ricordare l’incubo. Frammenti, attimi, due occhi. Fotogrammi precedenti all’aggressione di chi lo credeva morto, dopo avergli sferrato una coltellata alla gola. La sua fibra invece ha retto. Quel maledetto fendente l’ha quasi ucciso, ma Frigerio sta lottando da lunedì scorso aggrappato alla vita. Passo dopo passo sta migliorando. Non è più in coma farmacologico, ma sotto sedativi. E «quando è cosciente riesce a seguirmi con gli occhi», spiega l’avvocato di famiglia, Manuel Gabrielli. Frigerio può rappresentare un punto di svolta nell’indagine, o almeno nella precisa ricostruzione della mattanza. È l’unico a essersi salvato dalla strage: il (o i) killer hanno probabilmente ucciso in sequenza Raffaella Castagna, la madre Paola Galli e il figlioletto Youssef. Poi hanno dato fuoco all’appartamento. Ma dal pianerottolo passavano Mario Frigerio e la moglie Valeria Cherubini: l’essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato, è costato la vita alla donna. E il marito sarebbe stato la quinta vittima della strage, ma fortunatamente la coltellata sferratagli alla gola dall’assassino non si è rivelata fatale. Più il suo recupero avanza, e più la sua posizione - come unico testimone - diventa cruciale. I FRAMMENTI Dalle prime indiscrezioni, pare che l’uomo riveda due occhi inferociti. Una frazione di secondo, poi l’assassino lo avrebbe scaraventato a terra e accoltellato alla gola, la-

sciandolo al suolo agonizzante. Altre indicazioni di Frigerio dipingerebbero il killer come un uomo dalla pelle scura, olivastra, ma è difficile stabilire il grado di attendibilità di un ricordo simile. Il buio potrebbe aver ingannato l’occhio dell’uomo. E anche se così non fosse, bisogna sempre valutare il tremendo stato di shock in cui versa ancora Mario Frigerio, che tra l’altro sa di aver perso la moglie nell’agguato. Anche il tenente colonnello Filippo Scibelli, vicecomandante dei Carabinieri di Como, ricorda che ogni indicazione di Frigerio è da prendere con le pinze.

LA VISITA DEI PM Il pool di magistrati mercoledì sera ha fatto visita a Frigerio, attorno alle 20, all’ospedale Sant’Anna, nella speranza che fosse abbastanza lucido e in salute da fornire ricordi e indizi. Ma i pm sono usciti dalla stanza di ospedale con pochissimi elementi, poiché Frigerio versa ancora in condizioni fisiche - ma soprattutto psicologiche - precarie. «Il ricordo non ha preso una forma precisa - spiega il colonnello Scibelli - è vero, i magistrati sono andati a trovarlo, ma sono tornati senza le idee chiare». Sono quindi riusciti almeno a interagire con lui.

Il reparto di Medicina d’Urgenza e Rianimazione dell’ospedale Sant’Anna, dove è ricoverato Mario Frigerio

«Sì - risponde il vicecomandante Ma, ripeto, non sono emersi elementi inconfutabili. Le risposte dell’uomo non sono ancora affidabili, perché è sotto shock». Riesce a parlare? «Non proprio, risponde ma ancora non parla, poiché ha le corde vocali danneggiate». Ma al di là delle ferite, quel che forse ancora blocca Frigerio è il ricordo dell’inferno vissuto. L’aggressione a lui, l’omicidio di sua moglie. «La condizione fisica va migliorando - conferma il colonnello - quella psicologica no. Ha ricordi confusi». Su quali siano questi ricordi, Scibelli non può assolutamente sbilanciarsi. Ogni elemento - sia pur incompleto e nebuloso - fornito dal supertestimone è coperto dal segreto. L’APPELLO «Chi ha visto parli». È il grido di aiuto lanciato ieri dalla famiglia Frigerio, tramite l’avvocato Manuel Gabrielli. I figli dell’uomo ancora si chiedono chi possa aver sterminato una famiglia, ucciso la loro madre e ridotto in fin di vita il padre. E ancora non credono che nel centro di un paese, alle prime ore della sera, nessuno possa aver notato o sentito qualcosa di strano. «La famiglia chiede a chiunque abbia elementi, informazioni, testimonianze sull'accaduto di presentarsi agli inquirenti - dice l’avvocato Gabrielli - Com’è possibile che in una corte nel centro di Erba qualcuno commetta una simile mattanza e nessuno si accorga di nulla? Possibile che vicini o passanti non abbiano notato niente? Nessuno avrà almeno provato a gridare? No, non ci crediamo. Assolutamente». Andrea Bambace

LE QUATTRO IPOTESI G I CONOSCENTI La prima pista riguarda una o più persone vicine o amiche dell’unica vittima forse inizialmente designata, ossia Raffaella Castagna. Le altre persone sarebbero state uccise perché trovate in casa

G LA DROGA L’obiettivo era Azouz Marzouk (nella foto). Non si capisce però perché i malviventi non abbiano atteso in questo caso l’imminente ritorno a Erba del tunisino G LA MALAVITA Anche in questo caso l’obiettivo sarebbe stato Azouz Marzouk. Il tunisino ha ricordato un episodio avvenuto nel corso della sua detenzione al carcere del Bassone, un violento litigio con un clan di calabresi G IL FOLLE L’ultima ipotesi riguarda un folle aiutato in passato da Raffaella

L’INCHIESTA Si susseguono i summit in Procura Il pool dei quattro magistrati anche oggi al lavoro. Niente interrogatorio per Azouz

Il cortile della casa di via Diaz, a Erba, dove lunedì 11 attorno alle 20 è avvenuta la strage

Una calma apparente. Anche se il lavoro, frenetico, del pool di magistrati (Nalesso, Fadda e Astori) che affianca il titolare dell’inchiesta (Pizzotti) non si è fermato neppure ieri. Altra giornata intensa in Procura a Como alla ricerca di qualsiasi spunto investigativo utile per risalire al killer. E così, mentre la mattinata è trascorsa con un incontro fra i magistrati e i carabinieri del reparto operativo di Como - per un doveroso punto della situazione a quasi due settimane dal delitto - nel pomeriggio i tre pm hanno fatto un nuovo summit. Altri atti, nuovi spunti investigativi e altri interrogatori da fissare. Ieri non è comparso nessuno in Procura dopo la giornata di fuoco di martedì quando erano stati i vicini di casa a comparire in qualità di testimoni. Uno dopo l’altro negli uffici degli inquirenti. Per rispondere ad alcune domande tra cui quella cruciale: «Dove era lei la sera dell’11 dicembre fra le 19,45 e le 20,30 ?». Poi altri piccoli chiari-

menti sulla corte di via Diaz a Erba, sugli spostamenti, su chi entra ed esce abitualmente a quell’ora. E dopo la ritrosia iniziale, qualcosa è emerso pur dal massimo riserbo che avvolge questa delicata fase delle indagini. Qualche vicino di Raffaella Castagna e Azouz Marzouk avrebbe detto qualcosa. Non determinante, ma tale da indirizzare le ricerche in modo convinto e concreto verso la pista di amicizie e conoscenze personali. Lì, con la famosa “mano amica” diventata

quella del killer, potrebbe nascondersi l’autore della strage. Un sospettato preciso non c’è ancora. Manca anche un identikit pur se nelle ultime ore qualcosa di simile sta prendendo forma tra i corridoi, blindatissimi, della procura di Como. Anche ieri il lavoro è stato seguito passo passo e coordinato dal Procuratore Alessandro Lodolini che si è informato costantemente dell’andamento delle indagini. Si continua a lavorare, insomma, anche se di concreto non è emerso nulla. La stessa cosa

Il procuratore capo Alessandro Lodolini (a sinistra) con il pm Simone Pizzotti (Mv)

succederà oggi e domani prima della prevedibile sosta per il Natale. La sensazione perché di questo bisogna parlare in mancanza di conferme ufficiali - è che la soluzione del giallo difficilmente potrebbe arrivare in questi giorni. Più probabile dopo qualche ulteriore riflessione congiunta la prossima settimana. Come presumibile è l’arrivo del marito di Raffaella Castagna in Procura per un interrogatorio - l'ennesimo - che pure il suo avvocato Pietro Bassi dà per scontato e doveroso. I tempi sono ancora da fissare. Ieri Azouz non si è visto tra i corridoi del Tribunale. Il suo interrogatorio - come testimone al pari di tutti i suoi vicini già sentiti - sarà il quarto da quando il giovane è rientrato in Italia. Da allora, ai carabinieri, ha sempre ripetuto di non avere nemici e di non temere nessuno. Neppure l’ipotizzata vendetta di qualcuno per uno sgarro. Pista che sembra avere perso un po’ di consistenza con il passare dei giorni. Marco Romualdi


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