universitĂ degli studi di firenze DIDA scuola di architettura corso di laurea magistrale in architettura aprile 2016
architettura di bambĂš
tecnologia innovativa in legno lamellare di bambĂš fibrorinforzato per un dipartimento universitario in Cina progetto denny pagliai relatore prof. roberto bologna correlatore prof. fabrizio f. vittorio arrigoni prof. xiaoning hua
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indice
architettura di bambù - tecnologia innovativa in legno lamellare di bambù fibrorinforzato per un dipartimento universitario in Cina 1 - bando di concorso | pag. 4 2 - analisi storica | pag. 14 3 - localizzazione e specifiche climatiche | pag. 64 4 - analisi morfologica del campus e l’inserimento nel contesto | pag. 72 5 - analisi morfologica dell’edificio della facoltà di architettura | pag. 84 6 - dimensionamento ambienti e gli standards del progetto | pag. 92 7 - ratio progettuali - cenni tecnologici, climatici e architettonici | pag. 104 8 - materiali e tecnologia adoperata | pag. 116 9 - bibliografia | pag. 142
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imm. | bando del concorso
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UIA HYP Cup 2015 International Student Architectural Design
Competition Design Program (For Reference Only) THEME: Architecture in Transformation
TOPIC: Transformation: Place, Tradition and Modernism in Conceptual Unity and Diversity
Requirements (For Reference Only) 1. The project comprises four sites, each measuring 66 x 66 m, arranged in windmill fashion around a square. They form a module within the overall university complex. 2. On the four sites, buildings with very different functions are to be designed: a library, an auditorium, a research department and a building for architectural department. Each participant has the choice of designing the buildings for the sites in either northern China or southern China. 3. Each type of building has its designated location within the group of buildings and hence within the overall site layout, which represents part of the structure of a university campus. 4. A uniform eaves height of 18 m has been specified in order to connect the group of buildings with the master plan. However, parts of the building may be higher or lower – depending on the concept.
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5. The central square linking the four buildings should be defined as part of the ensemble.
Statement The design program serves as a guide. It can be varied to suit the respective design concept and selected sites. It is important, however, to arrive at a conceptual synthesis between the design concept and the topographic, climatic as well as cultural conditions of the task.
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Site for reference: North China
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Site for reference: South China
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Bando del concorso L’idea iniziale del progetto di tesi è dovuto ad un concorso internazionale per studenti di architettura dal titolo “Trasformazione: luogo, tradizione e modernità in unità e diversità concettuale”, bandito da XXX, con la scadenza il 31 agosto 2015. Il bando di concorso non stabiliva un sito specifico dove realizzare l’opera, piuttosto indicava due distribuzioni planimetriche immaginarie, entrambe localizzate in Cina, l’una adatta per una regione settentrionale e l’altra per una meridionale, lasciando poi libero il partecipante di scegliere la collocazione geografica preferita. La prima collocazione, quella a nord, era situata sulla sponda di un lago, mentre la seconda, quella a sud, sulle sponde di un fiume. Il bando indicava due planimetrie tipo di campus già esistenti, senza indicare specifici limiti di forma o disposizione per le strutture da progettare. Nella fattispecie la collocazione scelta è stata quella meridionale, nella provincia cinese del Guangdong.
Le richieste di bando erano: 1- quattro edifici disposti intorno ad una piazza, realizzati in modo da permettere la circolazione d’aria 2- quattro diverse funzioni per gli edifici: biblioteca, auditorium, dipartimento di ingegneria, dipartimento di architettura 3- i quattro edifici devono essere integrati con gli edifici di contorno disegnati in pianta 4- l’altezza deve essere circa di 18m per essere uniforme con il masterplan 5- la piazza che collega gli edifici deve essere considerata parte integrante del progetto
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La dichiarazione delle richieste specificava che il disegno dato dal bando era solo una guida che poteva essere mutata a seconda del concept. Il concorso, come si intende dal suo titolo, si prefiggeva il concetto di attualizzazione della tradizione cinese, richiedendo uno studio approfondito al progettista per poter ottenere la miglior sintesi tra principi storici e forme moderne. Inoltre si specificava la necessitĂ di una progettazione integrata con la natura circostante e il paesaggio suggestivo della vallata del Fiume delle Perle, tenendo conto allo stesso tempo del clima del luogo.
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Analisi storica La famiglia e la gerarchia La famiglia cinese di rango elevato aveva le caratteristiche di una piccola comunità autogestita la cui forza risiedeva nella coesione e nella mutua assistenza tra i vari membri, nonché la reciproca dipendenza. Per questo i membri sposati e non sposati cercavano di vivere insieme, realizzando una comunità che tendeva ad ingrandirsi sempre di più. Difatti, un detto cinese dice che è una grande gioia vivere in quattro generazioni sotto il medesimo tetto. Questa configurazione familiare non era tipica dei ceti bassi perché per ragioni economiche i figli spesso lasciavano la casa paterna dato che la ricchezza veniva suddivisa tra i vari figli (il maggiore aveva solo una carica morale e cerimoniale) per spostarsi e poter coltivare altre terre. Una famiglia di epoca Ming 1368-1644 o Quing 1644-1911 poteva raggiungere il centinaio di persone tra genitori, figli maschi sposati e la rispettiva famiglia (le femmine seguivano il marito), i non sposati, i nipoti, le concubine e la servitù. In nuclei così grandi per evitare il lassismo morale si ricorreva a regole e gerarchie molto severe che dividevano la casa in zone di pertinenza, divise tra uomini e donne. Tendenzialmente la vita femminile era di reclusione delle mura domestiche nelle stanze sul retro dove non era permesso entrare agli uomini, anche se sposati. I dettami del confucianesimo precisavano una rigidissima etichetta che entrambe le parti dovevano rispettare, come il non dormire insieme o il non poter sedere vicino a tavola. Tutti questi precetti contribuirono non poco a sagomare la residenza che
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imm. | “Scena di vita familiare”, Mudan Ting Huanhun Ji, Racconto della reincarnazione dell’innamorato, “Danza all’aperto”, epoca Ming (1368-1644)
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con la sua forma tendeva a facilitarne il rispetto. Non è possibile comprendere la gerarchia dell’architettura tradizionale se non si indagano le gerarchie famigliari. L’assoluta subordinazione dei figli e il quasi potere dispotico di cui era investito il capofamiglia (tanto che poteva punire i figli e ridurli in schiavitù o giustiziare concubine e servi) sono rispecchiati nella preminenza del suo padiglione all’interno della casa. Tutto doveva essere sotto il suo controllo in quanto era il centro fisico e nodale della casa, dove ogni bene apparteneva a lui e a lui soltanto. Questa rigidezza era motivata dal fatto che in caso di qualunque crimine di un membro della famiglia, tutti rispondevano in solido per il reato di fronte alla legge, considerando la famiglia come un organismo giuridico vero e proprio. Questo ha contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo della casa a corte cinese Shiyuan. Dato che nella società cinese lo stato aveva la stessa gerarchia della famiglia, è abbastanza normale che il tipo della casa a corte sia lo stesso che viene utilizzato per templi, palazzi o fortezze. Niente di simile succede in Occidente dove il tessuto seriale edilizio ha avuto uno sviluppo e una differenziazione nei millenni autonoma rispetto agli edifici signorili e rappresentativi (tali che palazzi, chiese e tombe). Questo perché i primi erano frutto della cultura popolare spontanea e il secondo esprimeva intenzionalmente l’idea e la necessità della classe dirigente. In occidente l’architettura della città era costruita sul dialogo tra queste diverse tipologie mentre nella cultura cinese questo non accadeva: il contadino, il religioso, il commerciante finanche all’imperatore vivevano nella medesima tipologia di abitazione.
Il centro e l’asse Il concetto di famiglia nella società cinse e la sua organizzazione sociale come microcosmo (microstato) indipendente e autono-
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imm. | Dangjiacun, corte Shaanxi
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mo hanno reso il concetto di famiglia, casa e corte indissolubile, come testimoniano anche i termini Jia e Jiating che si traducono entrambi come “famiglia”. Il primo indica anche la parola “casa” mentre il secondo è la fusione dei termini jia “casa/famiglia” e ting “corte”. La casa a corte si configura come un ideale risposta all’organizzazione familiare della società cinese tradizionale. Inoltre il termine jia oltre ad indicare la “famiglia” e la “dimora” individua anche tutto ciò che protegge dalle avversità naturali. La casa, raccolta intorno ai suoi spazi conclusi e cinta da mura senza aperture è un territorio residenziale sicuro e un tranquillo ambiente produttivo. Santuario, un vero e proprio simbolo dell’unità familiare rispecchia l’organizzazione feudale della società del paese in cui l’individuo è disgregato nella struttura (caratteristica che ancora oggi si rivela) riflettendo così il ruolo centrale che la famiglia svolge nella società cinese. Il concetto di corte e il concetto di centro sono inscindibili, collegando il centro della casa ai significati religiosi. M Granet cita il parallelismo che c’è tra casa e universo, ma è il suo allievo R. A. Stain ad approfondire il significato religioso dello spazio vuoto centrale “Pozzo del Cielo attraverso cui il Cielo comunica con il centro della Terra”, è evidente come in epoca classica la corte entri a far parte dei Lari in pozione preminente (un po’ come per gli occidentali il focolare). L’importanza che i cinesi attribuiscono al centro è espressa anche nel carattere tripartito degli alloggi. Dei tre ambienti in cui sono costituite le case comuni, solo quello centrale rappresenta la comunità e contiene la stufa, emblema dell’unità familiare. Per questo, oltre ad essere la stanza più importante della casa, è un elemento indivisibile e nodale attorno al quale si sviluppa la vita sociale e la struttura della dimora, seguendo precisi schemi e simmetrie. In essa si svolgono riti e cerimonie (matrimoni o funerali), perciò anche funzionalmente assume il valore di stanza comune. Inoltre, svolge anche il ruo-
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imm. | Pechino, Siheyuan (Casa quadrilatera), vista del portico occidentale
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lo dell’ingresso perché vi si trova l’unica porta di accesso tra interno e corte. L’apertura posta in posizione centrale sull’asse di simmetria di giorno è lasciata aperta, così da permeare anche lo spazio coperto della sacralità del vano centrale. Il tavolo disposto di fronte ad essa funge da altare per offerte sacre e profane, e contiene tavole, ancestrali statuette degli dei e segni di omaggio a vincoli comuni di appartenenza. Funge anche da fondale per il percorso che conduce dalla corte alle stanze della dimora. Come nei templi e nei santuari anche nell’abitazione il visitatore è costretto ad un percorso rituale di avvicinamento ai vari ambienti muovendosi su di un percorso prefissato e cerimoniale, scandito e ritmato dove le corti funzionano come “pause” (nel senso musicale). Così, il paesaggio architettonico dominato dalla ritualità viene scandito anche dalla serialità degli elementi. L’asse diventa così l’elemento strutturante del complesso: la norma attraverso cui si ordina il sistema di vuoti nei confronti del costruito. Collegando e fondendo il centro e l’asse, la cultura cinese fonde due concetti apparentemente antitetici. La corte è l’elemento più importante simbolicamente, anche perché è la parte della casa più importante dal punto di vista morfologico, funzionale e dimensionale. Intorno ad esso si concludono sia l’architettura della dimora che la famiglia stessa (tutta la Jia si chiude intorno alla corte), in modo da escludere totalmente il tumulto cittadino e la realtà urbana nella quale la casa è inserita. La corte è quadrata o rettangolare ed è governata da precisi rapporti armonici e da disposizioni simmetriche di alberi, vasche e voliere per uccelli. E’ circondata su tutti i lati da un portico che ha la funzione di delimitarla e di collegare tutti i padiglioni, diventando il principale elemento distributivo. Funziona anche come luogo di sosta e contemplazione dello spazio interno. Sulla corte si affacciano tutti gli ambienti: da lì prendono aria e luce e permettono ai vari nuclei familiari di vivere
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imm. | Zhoungyuemiao (Tempio del Piccolo Cielo), percorso assiale Henan
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indipendentemente dagli altri. La chiusura della corte causa un profondo contrasto tra l’ambiente urbano e quello familiare. Nonostante questa chiusura, l’ampiezza della corte – unita al fatto che tutti gli edifici sono ad un solo livello – permette di spaziare con lo sguardo verso orizzonti lontani. Il contrasto tra il chiuso e l’aperto, tra il pubblico e il privato sono tipici dell’architettura cinese che fonde soluzioni atte, da un lato al totale isolamento, mentre dall’altro alla più ampia compenetrazione degli spazi. La casa a corte cinese è quanto di più lontana dalla concezione occidentale dall’architettura, sia per l’assenza della compattezza dei volumi che per la preminenza del vuoto sul costruito. Difatti, si articola come un susseguirsi di corti circondate da padiglioni indipendenti collocati sui lati e fortemente gerarchizzati e organizzati. La priorità di alcuni elementi sugli altri dipende solo dalla loro collocazione nel complesso, rispetto agli assi principali e all’esposizione. Inoltre, l’importanza del padiglione principale è evidenziata soltanto dalle dimensioni maggiori in pianta e in alzato: in realtà è composto dai medesimi elementi dei padiglioni secondari e degli elementi subordinati o di collegamento.
Siheyuan (Casa Quadrilatera) La Siheyuan (casa quadrilatera) è la forma tipica che ha assunto la casa a corte a Pechino a partire dal XII secolo sotto la dinastia Song. Più ampiamente e con alcune modifiche è anche un modello per tutta la Cina. L’alloggio è chiuso da un alto muro senza finestre che circonda tutto il complesso negando ogni possibile contatto con l’esterno. La sua pianta era rigidamente rettangolare ed era costituita da un solo piano. Nella sua forma tipica si articolava con un sistema di tre corti allineate lungo un asse centrale: una ampia e quadrata (che costituisce il cuore spaziale del complesso e della vita sociale) e altre due più piccole e rettango-
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imm. | Siheyuan (Casa quadrilatera), casa a corte di Pechina, rappresentazione assonometrica, variante ad una sola corte padronale e due corti di servizio
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lari. Quella principale era così grande da occupare il 40% dell’intero lotto e su di essa si affacciavano le abitazioni dei proprietari, mentre le seconde erano di servizio a quest’ultima. Sul lato nord della corte centrale sorgeva il Zheng Fang, “stanze principali”, collocato sull’asse di simmetria ed esposto a sud. Era più alto e più grande degli altri padiglioni ed era destinato ad accogliere i membri anziani della famiglia. Di fronte a questo sulla parete sud si apriva il Chui Huan Men, “porta del fiore verticale” o “porta interna” che collegava le due corti. Sui lati est e ovest si trovavano due edifici uguali e simmetrici, gli Xiang fang “stanze laterali”, destinati ad ospitare le stanze dei figli sposati (solo i maschi perché le femmine avrebbero seguito il marito). Tutti i padiglioni avevano la stesa disposizione interna che ricalcava quella i una casa meno abbiente. Accostati ai lati corti dell’edificio principale stavano gli ambienti delle concubine o dei servitori personali. Una parete porticata, la Chui Huan Men, divideva la corte principale da quella anteriore e su di essa affacciavano le case dei guardiani, le sale d’aspetto e le stanze degli ospiti ai quali non veniva concesso l’accesso alla parte privata della casa, la Dao Zou Fang “stanze opposte”. La corte anteriore funzionava quindi come un filtro interposto tra il nucleo della dimora e la strada pubblica. Nella tradizione cinese vi è infatti un desiderio forte di chiusura della vita familiare rispetto allo spazio aperto, così da introdurre un ulteriore filtro, un vestibolo che separava la corte dall’Hutong “vicolo”. Si trattava di un vestibolo scoperto comunicante con la strada tramite il portone esterno. Di fronte all’ingresso per proteggere la casa da influssi maligni si disponeva sul lato nord un diaframma detto yingbi “muro d’ombra” su cui si dipingevano affreschi beneauguranti. La città al di fuori del perimetro era talmente caotica rispetto all’ordine della dimora che le famiglie più abbienti inserivano un altro muro d’ombra davanti all’uscita per dare una parvenza di regolarità alla maglia
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imm. | Hutong (Vicolo)
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urbana prospiciente la dimora. Dietro la corte principale c’era quella posteriore di servizio sulla quale si affacciavano le cucine, magazzini e le stanze della servitù Hou Zhaon Fang, “stanze posteriori” che a volte potevano essere a due piani. In alcuni casi le funzioni sopra descritte potevano variare, ma non la forma e la rigidezza dello schema che appare così come un modello o un prototipo (questo risulta molto evidente nel manuale di epoca Song di Li Chieh, un prontuario per l’edilizia in Cina).
Confronto tra domus e Siheyuan La rigidità degli elementi, la fissa definizione architettonica, invariabilità della forma al variare delle necessità sociale, l’accentrata gerarchizzazione formale degli spazi con il primato dell’alloggio dei genitori, la ferrea assalita, la simmetria bilaterale e il tipo a corte, la permanenza nel tempo e le modalità di formazione della casa cinese, tutti loro richiamano per certi versi quelli della domus romana. Entrambi i modelli sono nati indicativamente nello stesso periodo, però la prima ha avuto una fortuna ininterrotte fino all’inizio del secolo scorso mentre l’altra è stata dismessa quindici secoli fa. Sarebbe lecito cercare allora un’analogia tra due modelli tanto distanti geograficamente da non poter aver avuto un’origine comune se non quella di risolvere problemi e rispecchiare un modello di società simili? Occorre precisare in primis che la distanza non permise certo un’evoluzione a partire da un unico archetipo (i commerci tra i due imperi esistevano da tempo, ma i parti impedivano il collegamento diretto e si ponevano come intermediari). Si tratta piuttosto di fronte ad un caso di evoluzione convergente (relativamente comune anche in biologia), dove i problemi simili e le situazioni sociali interne al nucleo familiare vicine hanno dato
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imm. | Rappresentazione planimetrica di una Sihyuan apmliata acquisendo una proprietĂ fondiaria adiacente; Pompei, Casa di Octavius Quartio, pianta, I sec. d.C.
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origine ad una risposta che – anche se non uguale – presenta molte similarità. Accanto alle analogie sono altrettanto visibili le differenze. La domus è un organismo compatto: l’Atrium si configura come una sala centrale a cielo aperto, le fauces erano collocate sull’asse e poste di fronte al Tablinum, ambiente prioritario dal punto di vista simbolico. La Siheyuan era invece un complesso articolato in volumi autonomi con lo spazio centrale che si configurava come un’immensa corte-giardino più simile al perisilium che all’atrium. Il suo ingresso esterno di norma non aveva un collocamento assiale e non era di fronte alla stanza principale. La posizione centrale della porta era infatti usata solo dalle persone di un certa levatura e ne indicava il rango. Era riservata ai principi imperatori e funzionari. Infatti, se a Roma la domus era la casa di un patrizio e l’insula quella di un plebeo, in Cina questa distinzione non esisteva. Tutti i cerchi sociali, dai funzionari ai poveri vivevano nella casa a corte, però con notevoli differenze dimensionali, morfologiche ed estetiche. Bisogna allora interrogarsi sulle ragioni delle similarità. Da sottolineare è il fatto che la casa a corte non era una prerogativa solo romana e cinese, ma rispecchiava l’esigenza di chiusura verso l’esterno che garantiva una difesa contro l’esterno. Ma decisivo è che la famiglia cinese, così come la famiglia romana, si configura come un microcosmo chiuso e autonomo, con una propria giurisdizione interna e un peso sociale importante. Quindi la famiglia, come mattone fondamentale della società, si rispecchia nella casa a corte come elemento fondante della città. Inoltre, in entrambe le culture, vi è una rigida gerarchizzazione della famiglia con a capo un pader familia o il genitore anziano maschio. L’autorità e la gerarchia familiare erano ben rispecchiate dalle rigide simmetrie formali della domus e della siheyuan. La domus
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del III-IV secolo, così come la Shiyuan, erano uno specchio delle società italica e cinese, una rappresentazione della rigida e immutabile gerarchia.
Il processo della formazione della Siheyuan E’ presumibile quindi che la casa a corte cinese e romana abbiano seguito modalità di sviluppo analoghe anche nelle prime fasi della loro trasformazione, partendo dalla cellule di base. Il condizionale è obbligo, siccome per la domus vi è una bibliografia molto sviluppata, mentre per la casa a corte cinese lo è meno. La sua teorizzazione si riduce a pochi testi, i quali fanno molte premesse e fondano essenzialmente la loro tesi non su eminenze archeologiche (le costruzioni in legno hanno lasciato meno tracce rispetto alle costruzioni in pietra romane), ma bensì su tradizioni costruttive ancora vive nei villaggi rurali cinesi. Una suggestiva ipotesi sulla formazione della casa a corte quadrilatera è quella che vorrebbe che fosse generata dalla trasposizione in superficie dell’impianto della casa ipogea a corte (un tipo nel quale vivono ancora oggi 40 milioni di persone). Questa interpretazione è originata dall’immagine letteraria che vuole l’architettura cinese. Un modello derivante da oggetti naturali, come il nido o la grotta, ma anche da ritrovamenti archeologici di villaggi neolitici del 6000 a.C. in cui si hanno case a corte semi interrate. Proseguendo questa strada, bisogna analizzare la sua formazione della casa a corte paragonandola ad un modello simile, come quello della domus italica della quale si ha una genesi ben definita. Secondo G. Pratoni il processo formativo della domus italica parte dall’arcaica capanna dell’agricoltore, costituita da un alloggio formato da un unico locale fronteggiato dall’aia. Entrambi erano
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imm. | Processo di formazione di Siheyuan: 1- primitivo alloggio monocellulare 2- addizione di nuove stanze ad est e ovest (alloggio a tre campate) 3- addizione di due ambienti minori est e ovest 4- addizione di un nuovo padiglione affacciato ad est 5- addizione di un nuovo padiglione affacciato ad ovest 6- aggiunta di portico o locali non residenziali affacciati a nord
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circondati da un alto muro di cinta con un ingresso unico e frontale. Per l’incremento dell’attività produttiva e delle esigenze residenziali vengono costruiti ampliamenti dell’alloggio e annessi agricoli addossati al muro di cinta con aperture che si affacciano nello spazio dell’aia e ne saturano progressivamente il perimetro. Con il processo di inurbamento, gli ambienti agricoli diventano esclusivamente residenziali. In Cina, ancora oggi la casa rurale ha le caratteristiche di una domus elementare. Si compongono infatti di una recinzione quadrangolare con che racchiude un’unica costruzione ad una sola campata collocata su di un asse di simmetria. L’unica differenza col caso precedente risiede nel fatto che l’edificio viene addossato al lato nord della recinzione, mentre la porta è disassata rispetto ad quest’ultimo. Nello spazio scoperto sono sistemati annessi come latrine, magazzini, tettoie e recinti per l’allevamento di polli, maiali e anatre. Tutti questi rudimentali accessori sono disposti lungo il perimetro. Per ragioni di simmetria e conseguente superstizioni il primo ampliamento è costituito da altri due ambienti monolocali sui suoi due lati, configurando così la tipica pianta tripartita. In questo modo si dà all’edificato un andamento lineare, dove un unico edificato satura il lato nord della corte, impianto ricorrente in molte zone rurali ancora oggi. L’edificio è internamente diviso in tre parti, è aperto solo verso sud e coperto da un tetto a due falde, il cui colmo ha una direzione est-ovest. La falda protesa verso sud è più estesa realizzando così un portico che scherma le aperture dagli alti raggi solari estivi, ma non da quelli bassi invernali. Questo prolungamento garantisce lo smaltimento delle acque piovane oltre il basamento in terra battuta. Successivamente per l’ampliamento delle attività lavorative, e
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imm. | 7- aggiunta corte di servizio lato strada 8-aggiunta seconda corte di servizio per la servitÚ sul retro 9- ampliamento cellulare ottenuto per raddoppio di profondità , allungamento asse principale 10- ampliamento cellulare ottenuto per raddoppio laterale, la casa aumenta sull’asse secondario
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anche per una maggior sicurezza raggiunta, si cominciano ad espellere le attività agricole e di ricovero degli animali dal recinto. Successivamente, vengono aumentate le esigenze residenziali e la specializzazione dell’attività lavorativa. Si ampliano allora i locali con addizione di un corpo traversale al primo sul lato ovest, configurando così un impianto ad L e successivamente si aggiunge, sempre per simmetria, un altro padiglione ad est, configurando in questo modo una planimetria ad U. La prima addizione avviene ad occidente per motivi pratici, perché le aperture così sistemate avrebbero accolto i raggi mattutini più gradevoli di quelli serali, dato che il terreno non rilascia ancora la radiazione che ha accumulato durante il giorno. In secondo luogo, perché la porta era posta sempre a sud est. Solo con la seconda addizione si costruisce sul lato est (che quindi prende luce da ovest) e solo eccezionalmente si satura anche il lato che guarda a nord, ma in questo caso gli ambienti saranno solo agricoli. In contesti urbani consolidati come grandi villaggi o città, la casa si evolve ulteriormente assumendo la peculiare forma della corte urbana. Il numero di corti aumenta e si gerarchizza per dimensioni. Accanto alla corte padronale quadrata si sviluppano corti di sevizino più strette, realizzate sfruttando la profondità del lotto. Inizialmente se ne colloca una davanti come filtro tra città e casa, poi una sul retro su cui affacciare cucine a ambienti della servitù. Interviene anche una mutata consapevolezza architettonica sensibile alle simmetrie, che nel caso della casa contadina è solo una blanda aspirazione, ma le caratteristiche tipologiche restano invariate. Si può osservare che in occidente la gerarchia delle corti, la risoluzione architettonica e la rigida simmetria sono caratteristiche proprie del palazzi e dei templi, ma in Cina il palazzo non è
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altro che una grande casa. In Occidente ad un iniziale rapporto di scambio dimensionale, si è preferita una differenziazione tipologica netta. Il tipo residenziale muta anche nel tempo da unifamiliare a plurifamiliare, cioè da domus ad insula, per diventare dopo una casa in linea etc. L’ambiente romano infatti ricerca nell’ambito urbano una continuità nella trasformazione. Nell’ambiente cinese questo non avviene, dato che la cultura è caratterizzata da un profondo conservatorismo e dalla continuità nella permanenza.
La casa solare del contadino cinese L’energia vitale “cosmica, umana o magica”, racchiusa e concretizzata nelle strutture fisiche di un immobile, può essere adeguatamente espressa solo da un materiale da costruzione vivo. Per questo il legno è indicato come l’elemento più idoneo dalla millenaria tradizione costruttiva e anche dalla più antica tra le più importanti religioni autoctone ancora praticate. Il pensiero Taoista suggerisce di costruire la propria casa in legno, perché esso ha vissuto e, come l’uomo, aspira a rinascere (la tradizione taoista credeva nella reincarnazione). I materiali inerti, come pietra e mattone, vengono quindi solo considerati per le architetture che richiamano alla morte, come le tombe ipogee, per gli elementi soggetti all’umidità, come i ponti, o per quelli particolarmente vulnerabili agli incendi, come le biblioteche. In Cina nessun’altra opera è pensata come massiccia, neppure quelle celebrative o rappresentative che in Occidente vengono edificate in mattoni o pietra per resistere in eterno. Anche quando per ragioni utilitaristiche o economiche si costruisce in pietra o mattoni, gli elementi sono sagomati per ricordare strutture lignee, così che mensole e travi in pietra sono lavorate in maniera uguale a quelle in legno e anche la distribuzione morfologica è
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imm. | Wang Hui, Montagne d’autunno (1632-1717)
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quella seriale della jian (campata). Questo è il modulo costruttivo di base e può essere tradotto con il termine “campata”, anche se la traduzione non ne illustra completamente il significato. Infatti essa è l’elemento primario sia strutturale, volumetrico, decorativo e funzionale derivante per sua natura dalla costruzione lignea. Con il termine jian si intende l’unità di spazio abitabile a base quadrangolare, compresa tra il pavimento le quattro colonne angolari, e il sistema di travi trasversali e di arcarecci longitudinali che le sormontano. La parola connota l’idea di misura pratica e concettuale dello spazio architettonico. Viene utilizzata per dimensionare e proporzionare gli immobili sottendendo anche quella di modulo spazio-strutturale e di forma base per ogni genere di edificio. Queste considerazioni intellettuali non sono frutto di speculazione filosofica, ma di considerazioni di natura pratica, elevate a pensiero teorico. Il jian è infatti essenzialmente la misura usata dai carpentieri come unità strutturale che diviene un modulo progettuale da essere duplicato, per economia di materiali e per lavoro in serie. Il suo uso impone una disciplina, un ordine all’edificazione, standardizzando gli elementi della struttura lignea e facilitando il loro assemblaggio. Usando questo repertorio di elementi standardizzati, i costruttori possono persino erigere un’abitazione complessa seguendo la specificazione delle misure di un jian senza seguire la guida di un disegno. La caratteristica peculiare dell’architettura cinese risiede nella chiara lettura ed esposizione della tettonica strutturale, non nella ricerca di nuove composizioni d’insieme, che risultano sempre prevedibili essendo una ripetizione seriale di uno stesso jian. Perciò lo strumento che descrive meglio una costruzione non è la pianta, ma bensì la sezione che illustra i rapporti statici tra i
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vari elementi. Infatti lo Yingzao Fashi (“norme per costruire”), un manuale di epoca Song (960-1279) riassume l’essenza della costruzione cinese. Dopo aver illustrato dettagliatamente gli elementi componenti di un jian e le molte sezioni tipo, dedica solo quattro disegni alla loro composizione per realizzare l’edificio. Sarebbe interessante fare un parallelo tra lo Yingzao Fashi di Li Jie il Précis des leçons d’architecture di Jean-Nicolas-Louis Durand, anche se scritti con quasi cinque secoli di distanza. Tutti e due si prefiggono l’obbiettivo di creare un manuale per velocizzare e snellire la pratica progettuale e costruttiva utilizzando dei modelli prefissati, ma nonostante avendo la stesso fine, inseriscono nel testo informazioni completamente diverse. Questo potrebbe essere un esempio emblematico che illustra la diversità tra cultura occidentale ed orientale. In assenza di forme architettoniche mutevoli nelle varie epoche storiche, di tipologie edilizie, di materiali vari e di architettura distinta tra popolare e colta, la qualifica degli edifici era affidata ad elementi che nel mondo occidentale si considerano secondari (altezza del basamento, tipo di tetto, colori...), ma soprattutto la scala della jian. Questa è la ragione per la quale le costruzioni venivano valutate e classificate (in maniera burocratica) per importanza dal numero di jian e dalle dimensioni della singola campata. Questa graduatoria di importanza, che anticamente era stabilita per legge e tramandata oralmente, venne codificata ed è messa per iscritto nei suntuari imperiali rimanendo però sostanzialmente immutata. Nell’epoca Ming (1368-1644), le case povere avevano un solo jian, quelle più comuni e rettangolari ne avevano tre, mentre le residenze di dignitari e funzionari imperiali cinque. I palazzi principeschi e i templi erano composti da sette moduli, i palazzi imperiali da nove e infine gli edifici imperiali di eccezionale importanza undici.
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La Cina centrale è ormai un luogo brullo per lo sfruttamento umano, ma anticamente la regione era una rigogliosa foresta, quindi la facile reperibilità della risorsa e la facile lavorabilità hanno indotto i primi costruttori cinesi a preferirlo alla pietra e al mattone. Inoltre il legno, se usato con cura, ha una durabilità secolare, soprattutto il cedro bianco che era l’essenza più utilizzata. La sua resistenza era molto superiore agli altri materiali reperibili all’epoca, quasi comparabile a quella del calcestruzzo e dell’acciaio. Sia l’atteggiamento pragmatico che la lunga esperienza hanno garantito ai cinesi un uso ottimale di questo materiale. Un esempio dei molti è l’accortezza che il carpentiere metteva nel tagliare il fusto della pianta, in modo che la parte cresciuta a sud fosse posta all’intradosso della trave per resistere meglio alla trazione. Inoltre, nella sezione la trave aveva un rapporto tra base e altezza di due per tre, ottimale a livello statico. Insieme alle caratteristiche di natura tecnico-statica si possono collocare motivazioni di carattere culturale, come la propensione della cultura cinese al lavoro seriale e artigiano. Il legno, atto ad essere trasportato, poteva essere lavorato a distanza del luogo dove doveva avvenire la messa in opera. Dopo il trasporto, poteva essere rimontato con pochi accorgimenti. Questo era dovuto alla serializzazione, all’uso degli stessi elemini e alla loro codificazione normativa che era uguale in quasi tutto l’impero (con distinzioni tra nord e sud). Si può allora assumere che i cinesi sono stati tra i primi autori a questo livello di una primitiva forma di prefabbricazione. Nella Cina settentrionale e centrale, dove la profondità deli edifici era di solito limitata ad una sola campata, il sistema costruttivo più usato è quello di Tailiang che è anche quello più antico, quello che non consente grandi luci. E’ caratterizzato da
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imm. | Tavola dello Yingzao Fashi (Norme per la Costruzione), quattro schemi planimetrici contenuti nel manuale
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una composizione di travi di lunghezza progressivamente decrescente, collocate l’una sull’altra, così che la soprastante è sorretta da quella immediatamente sottostante. In questo modo la trave inferiore è più lunga ed è la sola che è realmente portante perché è l’unica che appoggia sui sostegni verticali, direttamente o tramite un sistema di mensole (Dou Gong). Questo è un elaborato insieme di blocchi e di bracci aggettanti, che media tecnicamente e morfologicamente il rapporto tra la struttura del tetto ed il colonnato svolgendo un ruolo molto importante nell’architettura cinese. Le colonne non sono fissate alle fondazioni perché le piccole basi lignee (o lapidee, o bronzee) sono elementi interposti solo per proteggere il legno dall’umidità del terreno, non per allargare l’appoggio. A loro volta queste si posano semplicemente sulle ampie lastre di pietra del pavimento. Le estremità inferiori delle colonne perimetrali sono collegate tra di loro da una traversa di irrigidimento, che è anche utilizzata come soglia per delimitare lo spazio interno da quello esterno. Tutti gli elementi strutturali, sia verticali che orizzontali (montanti, travi trasversali, arcarecci longitudinali, travetti da arcareccio ad arcareccio Duo Gong soppalchi catene) sono giuntati tra loro solo tramite incastri a tenone e mortasa, senza l’ausilio di chiodi o viti, sostituiti tutt’al più dai cavicchi, secondo una tecnica sicuramente già messa a punto 7000 anni prima di Cristo e protrattasi fino ad oggi. Al sud invece, per le diverse condizioni climatiche, la profondità del corpo di fabbrica è maggiore. Si impiega principalmente il sistema Chuandou, variante del Tailiang elaborato durante il processo di espansione dell’entina Han verso il meridione, per adeguare l’originale casa contadina del nord alle caratteristiche del sud. Il Chuandou differisce dal Tailiang in tre cose: gli arcarecci si appoggiano direttamente alla sommità dei montanti
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imm. | Pechino, Città Proibita, Il Taihedian (Palazzo di Suprema Armonia), lo spazio interno è del tipo a sala ipostila ricorrente per edifici di grandi dimensioni, struttura tipo Tailiang
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verticali, scaricando così direttamente a terra il peso del tetto; le colonne hanno altezza variabile e sono più esili, perché sono più numerose e poste a distanza ravvicinata; al posto delle travi trasversali c’è una successione di corti catene allineate che, messe su file sovrapposte, connettono le colonne tra di loro. Il telaio Chuandou appare maggiormente interconnesso e funzionale di quello Tailiang ed ha un comportamento statico migliore. La struttura nel complesso è più economica, perché richiede meno legno poiché negli appoggi, vicini tra loro, si consente ad una riduzione della sezione di tutti gli elementi portanti, e perché non si ha bisogno delle lunghe travi del Tailiang, che oltre ad essere più costose sono anche difficili da reperire e da trasportare. Perché in Cina si preferisce il sistema Tailiang a quello Chuandou, se il primo appare al confronto del secondo meno logico e più costoso? Cosa giustifica lo spreco di materiale e la minor flessibilità spaziale, se da un punto di vista tecnico economico non ci appaiono vantaggi? L’unico elemento a favore del sistema Tailiang è il fatto che le colonne e le travi non appaiono indebolite dai tagli che nel Chuandou sono necessari per giuntare la struttura verticale con le travi orizzontali, e che le travi continue sono un sistema efficace di controventatura rispetto alle successione di catene che è una serie di elementi allineati ma separati. Viene inoltre da chiedersi come mai in Cina si utilizza la capriata solo raramente, nonostante sia provato che la conoscessero sin dall’antichità? Si sarebbe trattato di un sistema strutturalmente legante che avrebbe permesso luci maggiori e un risparmio del materiale. Oppure viene da chiedersi come mai si preferiva avere giunti elaborati per unire gli elemini strutturali invece di utilizzare chiodi più economici e veloci da realizzare, dato che questi erano bene conosciuti ed utilizzati per fissare gli elementi secondari.
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imm. | Struttura tipo Chuandou, sezione assonometrica
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Il complesso cinese non è un organismo unitario, ma un insieme di più fabbricati di dimensioni limitati generalmente ad un solo piano, staticamente autonomi e caricati simmetricamente. Analizzando il sistema statico, in particolare il Tailiang, si nota che non vi sono elementi spingenti e che l’insieme appare solidamente concatenato ed elastico. Inoltre per aumentare la stabilità, le colonne perimetrali sono ancorate tra loro sia in alto che in basso e hanno una leggera inclinazione verso l’interno. L’insieme pare concatenato e molto elastico, in quanto i giunti sono flessibili, essendo privi di colle e chiodi. Else Glahn osserva che in caso di terremoto il loro attrito interno ha un effetto smorzante nei confronti delle oscillazioni del moto sussultorio: l’edificio oscillerà, ma poiché il suo periodo di vibrazione è considerevolmente più lungo di quello del sisma, non presenta fenomeni di risonanza. Inoltre i giunti della struttura e degli insiemi dei blocchi e mensole avranno un effetto frenante anche per i movimenti orizzontali. Per analogia, la struttura cinese si comporta come un robusto tavolo le cui gambe sono unite tra loro tramite giunti elastici. Il tavolo appoggia a terra, ma non è ancorato ad essa, così che tutto possa traslare in caso di sisma, senza sviluppare tensioni. L’eccesivo peso del complesso di travi e delle tipiche tegole cinesi assicurano che il maggior carico sia concentrato in alto e al centro del tetto. Questa era un condizione intenzionalmente ricercata dai costruttori come lo testimoniava il detto cinese “il vigore di una struttura e assicurati dal collocare un grande peso su di essa”. Questa stranezza statica è una risposta alla necessità di resistere alle spinte del vento (molto forte soprattutto da nord), dato che l’edificio non è ancorato a terra e ha un solo piano e gronda sporgente. Bisogna caricare il tavolo per farlo resistere a spinte laterali.
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La muratura veniva usata solamente come tamponatura, sempre per considerazioni antisismiche. Un detto cita che le pareti posso anche crollare, ma la struttura deve restare solida. Il dividere la struttura dai tamponamenti in maniera così decisa ha influenzato notevolmente la distribuzione spaziale dell’architettura cinese, portandola per certi versi vicina alla libertà compositiva che in Occidente è stata raggiunto solo nel XX secolo con il Movimento Moderno.
Gli elementi base dell’architettura cinese Nella Cina antica la più comune delle abitazioni contadine rispecchia la stessa tradizione artigiane e simbolica dell’edilizia monumentale. Basamento colonnato e ampio tetto aggettante sono gli elementi principali che caratterizzano la configurazione di tutti gli edifici, senza distinzione d’importanza e di dimensione. Ad essi vanno aggiunti lo Yingbi (“muro d’ombra”) e il Dou Gong (“blocco braccio”, ossia sistema di mensole), sempre presenti come elementi espressi dell’architettura. Il basamento serviva per sollevare dal suolo la costruzione ed evitare la risalita dell’umidità dal terreno fino alle colonne lignee. La sua altezza variava dai cinquanta centimetri delle abitazioni contadine ai quattro o cinque metri di quelle imperiali e dei templi importanti. In questo caso si configurava come un ampio terrazzamento gradinato, rivestito sia in orizzontale che in verticale da pietra o marmo. Nelle costruzioni più comuni si presentava come un semplice rialzo dal terreno di dimensioni appena inferiori a quelle della copertura, in modo che le falde inclinate del tetto potessero scaricare le acque fuori da esso. Il rilavato fondato su di un terreno, al quale veniva asportato ben più dello strato gelivo, era realizzato in terra battuta che arrivava ad una durezza paragonabile a un conglomerato cementizio.
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imm. | Edificio epoca Tang, 1618-1807, esempio di edificio di seconda classe, secondo il manuale Song
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Questa estrema durezza era ottenuta alternando strati di terra umida, strati di ghiaia e di frammenti di mattoni. I primi venivano accuratamente posizionati e battuti con mazzapicchi azionati a mano da un solo uomo. I secondi compattati da pensanti blocchi di pietra mossa da due uomini. Su questa base si ponevano le costruzioni che essendo molto basse e leggere non avevano bisogno di ulteriori fondazioni. Infatti, le lastre di pietra e le basi lapidee bronzee o lignee interposte tra il suolo e il montante non avevano la funzione di allargarne l’appoggio, ma quella di separarlo dall’umidità. In particolare fungeva da “elemento di sacrificio” la tavoletta di legno che veniva posta sotto la base delle colonne, perché era la parte da sostituire ai primi segni di degrado per effetto dell’umidità. Questo peculiare modo di organizzare la fondazione deriva dal fatto che la roccia sedimentaria di origine eolica presente nella Cina centro settentrionale e nota come loess ha una porosità molto alta (fino al 40%), ma è compatta ed asciutta. La muratura era utilizzata come elemento strutturale portante solo negli edifici più semplici, mentre in quelli portanti fungeva solo da tamponamento. Il metodo più diffuso era il Hangtu, un metodo che prevedeva la terra battuta, dove questa veniva bagnata e pestata con mazzapicchi in casseforme mobili di legno che venivano progressivamente sollevate facendole scorrere su due supporti rastremati a V (metodo usato anche per erigere alcune sezioni della Grande Muraglia). Strato dopo strato il muro raggiungeva l’altezza voluta e la terra era semplicemente impastata con paglia, olio o creta. Mentre il loess poteva essere anche addizionato anche con erba secca e polvere di carbone o torba, per produrre mattoni di colore nero che si pensava fossero imperlabili. Utilizzati per i pavimenti, venivano spesso inseriti alla base della muratura per impedire la risalita dell’umidità. Costante preoccupazione dei costruttori cinesi era evitare la risali-
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imm. | Tavole dello Yingzao Fashi (Norme per la Costruzione), esempio di strutture tipo Tailiang, travi diritte e curve
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ta dell’umidità dal terreno alla delicate strutture lignee, quindi spesso interponevano materiali diversi credendo così di rompere il collegamento che portava la risalita dell’acqua. In misura minore si utilizzavano mattoni crudi e cotti. I primi venivano prodotti in casseforme lignee secondo tradizioni millenarie e poi lasciati cuocere al sole. Al sud erano anche prodotti con il fondo dei campi di riso, che a cadenza decennale venivano svuotati, così che si potesse direttamente tracciare sul suolo le linee di taglio dei mattoni. I mattoni cotti erano più usati al sud dove il loess scarseggiava ed erano anche molto diffuse le pareti di bambù intrecciate, mentre pareti in legno massiccio erano legate a situazioni geografiche particolari. Le tramezzature erano costituite dei materiali più vari (terra battuta, mattoni cotti o curdi, canne di bambù murate a mota e altri materiali locali), ma il tramezzo ideale era quello realizzato in legno intagliato con cui venivano suddivise le residenze principesche e imperiali. L’ampio tetto a falda incurvato è l’elemento più tipico dell’architettura cinese. La sua forma antica era quella a due falde anche se in alcuni edifici di una certa importanza si trovano quattro falde, mentre in quelli più poveri e in zone meno piovose si poteva avere anche una sola falda, o addirittura tetti piani. Fino alla dinastia Qin (III secolo a. C.), la superfice delle falde era piana e solo poi cominciò ad incurvarsi progressivamente partendo dagli edifici più importanti. Tra le varie ipotesi che ne vorrebbero spiegare la genesi c’è quella che vuole che la curvatura del tetto sia la rappresentazione durevole della temporanea tenda primigenia, oppure la deformata delle originali falde piane sotto il peso delle tegole o della neve. Per altri le motivazioni sarebbero di natura statica in quanto la falda incurvata è più adatta a resistere alle sollecitazioni del vento e sismiche avendo giunti più elastici, perché realizzata da una serie di travi corti appoggiate
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ad arcarecci e non lunghe travi rigide. Altri ipotizzano ragioni di varia natura pratica come che l’inclinazione farebbe rallentare lo scorrimento delle acque che defluiscono dalla gonda o il fatto che a determinate latitudini l’inclinazione permette di difendere adeguatamente le vetrate con graticci senza limitare la visibilità. Le ragioni teorizzate sono molteplici: da quelle tecnico-pratiche a quelle legate alla superstizione o alla composizione. Esse vedono la piegatura del tetto come un espediente per alleggerire il profilo massiccio della copertura. Il manto di copertura viene realizzato preferibilmente in tegole anche se in contesti rurali l’utilizzo di paglia, pietra o materiali locali è frequente. Le tegole erano disposte su un tavolato e allettate con malta o terra, a volte si interponeva una lamina di stagno tra malta e tavolato per evitare infiltrazioni d’acqua. Negli edifici importanti le tegole erano invetriate e colorate di colori sgargianti, a seconda del rango dell’edificio: i templi e le residenze dei principi in verde o blu, i palazzi imperiali in giallo, mentre le case comuni erano grigie. La scelta del colore era collegata a complesse simbologie e normate per legge. Il colonnato era parte integrante della struttura verticale e come ogni altro elemento di partizione verticale, compresi i muri e tramezzi, era dipinto di rosso, mentre travi e struttura del tetto erano dipinte di blu e verde (raramente in grigio) e ravvivate in bianco e nero. Il caldo rosso delle partizioni verticali viene messo in contrasto con i freddi toni verdi e blu delle travi per sottolineare ancora di più il diverso sforzo che le due parti assolvano (per ritrovare una così onesta espressione strutturale dobbiamo arrivare al Rinascimento italiano con Brunelleschi) e anche per accentuare il colore scuro dell’intradosso della copertura visto da sotto.
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Tra la struttura verticale e quella orizzontale si interponeva il Dou Gong (sistema di mensole), un assemblaggio di “blocchi” (Duo) e di “braccia” (Gong), nato per trasferire il peso dall’una all’altra e per consentire accentuati aggetti di gronda. Elemento caratteristico dell’architettura cinese si compone di un intricata serie di elementi minuziosamente elencati nelle loro numerose varianti nello Yingzao Fashi (“norme per le costruzioni”). Nato come elemento portante si è trasformato dalla dinastia Ming (1368-1644) in poi in puro elemento ornamentale molto rimpicciolito e senza funzione statica. Proibito nelle abitazioni comuni, veniva usato solo in palazzi e templi.
L’architettura e la norma Per millenni in Cina, la casa, il palazzo, il tempio, sono stati più costruiti che progettati, ma per costruire senza progetto erano necessarie precise norme e rigide consuetudini. A questo hanno provveduto prima la forza della tradizione, poi anche manuali costruttivi e regolamenti edilizi. Questi tipi di testi consentivano infatti ai maestri costruttori di esaudire le richieste del committente anche in assenza del progettista e al funzionario soprintendente di controllare agevolmente il lavoro nei cantieri. Non esistevano invece i trattati, cioè opere contenenti indicazioni morfologiche o tipologiche destinate all’architetto, figura inesistente in quel paese. La cultura architettonica cinese è priva di elaborazione teorica analoga a quella che in Occidente per secoli si è concretizzata nella trattatistica architettonica, sia perché non è sostenuta da nessuna elaborazione di tipo speculativo che la legittimi come pensiero, sia perché alla base del linguaggio è posta la chiarezza tettonica. I primi manuali a noi pervenuti sono di epoca Song (960 – 1279 d.C.), ma molto probabilmente sono un compendio di conoscen-
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imm. | Struttura della copertura secondo il Yingzao Fashi (Norme per la Costuzione) di tipo Tailiang
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ze precedenti. Si tratta del Mujin (“La Lavorazione del Legno”) e soprattutto dello Yingzao Fashi (“Norme per le Costruzioni”). Quest’ultimo è del 1100 ed è il più antico manuale di elementi standardizzati prefabbricati conosciuto al mondo. Il concetto di standardizzazione è infatti insito nella cultura cinese, anche perché agevolato e/o conseguenza dell’uso della struttura lignea, che si può lavorare lontano dal cantiere e poi trasportare con facilità. Lo Yingzao Fashi (“Norme per le Costruzioni”), detta norme tecniche e proporzionali per la progettazione delle opere pubbliche e direttive per la loro stima. Il testo non si prefigge obiettivi culturali, ed è stato elaborato da Li Jie, prima semplice funzionario e poi ministro del Ministero delle Costruzioni. Il testo fu mirato soprattutto ai fini di agevolare il controllo della spesa, dei tempi e della buona esecuzione delle opere pubbliche. Suo scopo prioritario infatti è quello di mettere il Ministero nella condizione di calcolare con esattezza le quantità di manodopera e di materiali necessari, oltre che di predisporre e immagazzinare gli elementi standardizzati e prefabbricati della struttura. Si produce così un’accelerazione nei tempi di costruzione e si assicura la qualità del prodotto attraverso l’esame dei buoni requisiti del legname, il controllo del suo corretto taglio in elementi strutturali e la verifica della loro successiva stagionatura per due anni in locali idonei. Come nei moderni esempi di standardizzazione, nello Yingzao Fashi le dimensioni non sono espresse direttamente con misure metriche, ma tramite notazioni proporzionali. Lo Yingzao Fashi codifica le costruzioni per importanza e definisce otto classi di edifici, individuando per ognuna di esse sia le dimensioni generali in alzato, che in pianta (espresse in numero di campate, da una a undici). Descrive anche le caratteristiche e le grandezze
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degli elementi e dei partiti decorativi. Dopo aver predisposto un abaco d’elementi applicabili a strutture di qualsiasi tipo e grandezza (perché dimensionati in unità standard), il manuale definisce così il modo per giungere alla loro reale misura nel momento del loro utilizzo concreto per una determinata opera. La Carpenteria cinese affida l’unione dei vari elementi all’incastro a tenone e mortasa; questo sopporta la compressione, mentre si sfila con la trazione. Nel caso dell’architrave rettilineo, la deformata farebbe inclinare i pilastri d’angolo verso l’interno e sottoporrebbe il giunto a trazione; invece nel caso dell’architrave curvato in basso verso il centro, la deformata mostra i pilastri d’angolo spinti verso l’esterno e i giunti sollecitati a compressione. Questi manuali rimarranno pressoché invariati fino agli inizi del 1900.
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Localizzazione e specifiche climatiche La zona di progetto si trova nel Guangdong, una regione sulla costa meridionale della Cina continentale. Il sito specifico costeggia le rive di uno dei molti fiumi che scorrono lentamente dalle montagne nebbiose di Dayu nella vallata del Fiume delle Perle sino a gettarsi nel Mar Cinese Meridionale. La regione si estende infatti tra il mare a sud e le montagne a nord, con una miriade di piccoli fiumi che defluiscono verso il sud. La città principale della regione, Guangzhou, sorge sul delta del Fiume delle Perle, in una zona metropolitana molto densamente popolata, la zona più densamente popolata del mondo, con dieci città che superano abbondantemente un milione di abitanti con un totale di 64 milioni d’abitanti. Il fiume stesso è uno dei più importanti della Cina dopo il fiume Giallo e il fiume Azzurro, ma esso non ha un andamento lineare, bensì è costituito da un sistema fluviale complesso che raccoglie le piogge stagionali che cadono sulle montagne e le porta in un unico bacino largo che si diparte poi nel delta che a sua volta termina in un grande golfo allungato, alla cui estremità settentrionale si trova la città di Canton e a quella meridionale la città di Hong Kong.
Temperature Le caratteristiche climatiche di questo sito dipendono dalla sua posizione dalla complessa orografia del terreno del Guangdong. Le montagne a nord e il mare a sud fanno sì che la regione di differenzia dalle altre parti della Cina, essendo protetta dai venti nord-occidentali, un fattore che permette di avere una temperatura relativamente mite durante tutto il corso dell’anno. Questa caratteristica non si vede mai nelle altre regioni cinesi, le quali hanno una differenza di temperatura molto alta tra la stagione invernale e la stagione estiva.
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imm. | Percentuale di permanenza delle varie bande di temperatura
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Infatti, per il Guandong, l’escursione termica tra le massime annue e le minime è di circa 23°C, con temperature invernali più basse a dicembre, tra i 10 e i 18°C, con temperature estive invece (nei mesi di luglio e agosto) tra i 25 e i 33°C. Il clima che viene configurandosi risulta relativamente mite e moderato sia in inverno che in estate. Le caratteristiche del clima della regione fanno sì che l’anno si divide in due periodi climatici, la stagione fredda che va da novembre ad aprile, e quella calda da marzo ad ottobre. Non vi sono perciò grandi differenze di temperatura tra i diversi periodi dell’anno, e anche l’escursione termica giornaliera è minima, sia d’inverso che d’estate, essendo dell’ordine dei 5°C.
Precipitazioni Le precipitazioni che si osservano nella regione del Guangdong sono di carattere subtropicale e nella maggior parte si concentrano nel periodo caldo, da aprile a settembre, con punte massime a maggio (285 mm), per raggiungere un totale annuo di 1685 mm. Si tratta di piogge che hanno la stessa origine però meno intensità dei monsoni tipici per le zone tropicali. Durante questo periodo si contano circa la metà o due terzi dei giorni con precipitazioni, con il massimo di 19 giorni a giugno. Contrariamente, nel periodo freddo, i rovesci sono praticamente assenti, arrivando al minimo nel mese di dicembre con 25 mm. In generale, la stagione delle piogge inizia due mesi prima dell’inizio della stagione calda e finisce due mesi prima dell’inizio della stagione fredda. Perciò, uno dei periodi migliori per la regione è quello tra settembre e ottobre, in cui si registra una temperatura tra i 30 e i 20 gradi.
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imm. | Temperatura massima e minima giornaliera durante il corso dell’anno; Probabilità di precipitazione durante il corso dell’anno
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Irraggiamento Il sito di progetto selezionato si identifica con le coordinate del luogo 23° 8’ N - 113° 16’ O. Mentre la longitudine non è significativa, la bassa latitudine rende la durata delle giornate tendenzialmente più stabile tra estate e inverno, aiutando quindi anche la stabilità della temperatura e garantendo il clima molto moderato della regione, con le escursioni termiche minime e un clima generalmente favorevole e facile nell’adattare degli edifici alle sue caratteristiche. La bassa latitudine ha come conseguenza un rapido sorgere del sole al mattino e quindi un arco solare sempre piuttosto ampio. I raggi luminosi hanno un angolo molto incidente (permettendo di sfruttare in maniera proficua sistemi di logge per schermarsi dal sole). Nel periodo invernale si ha un irraggiamento leggermente più basso che permette una buona illuminazione degli ambienti interni. Quest’incidenza dei raggi solari ha permesso di realizzare una corte interna molto alta e aperta sui lati est e ovest, in maniera da apportare luce diffusa in tutto l’ambiente coperto (vedi spiegazione morfologica). Inoltre in seguito alla bassa nuvolosità invernale l’indice di irraggiamento è molto costante durante tutto l’anno. Infatti, è di 1414,7 W/mq a gennaio, mentre di 1321,8 W/mq a giugno. In questa situazione, l’uso del pannello solare in questa particolare situazione è indicato tutto l’anno. Questo poiché, come già spiegato sopra, il forte irraggiamento estivo è per più tempo negato a causa del cielo coperto dalle nuvole (con la copertura del cielo dalle nuvole per 19 giorni a giugno), mentre il periodo invernale è molto più soleggiato, con i soli 8 giorni con il cielo coperto. Si tratta di una situazione completamente diversa da quella europea.
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Venti I venti nella regione del Guangdong arrivano prevalentemente da nord, seppur schermati dalla catena montuosa. Questi venti hanno comunque una temperatura non molto bassa, differentemente sono piuttosto secchi e per questo assolvono in maniera efficiente alla deumidificazione dell’aria. Nel periodo invernale i venti sono solamente nord occidentali e nord orientali, mentre invece spostandosi verso il periodo estivo, venti caldi risalgono dal sud oriente. Questa caratteristica deriva, più che da considerazioni macroscopiche riguardanti la regione, da considerazioni più locali sulla città di Guangzhou (altrimenti nota come Canton) in quanto la città sorge alla fine di una stretta insenatura, nella quale sfocia il Fiume delle Perle e ha un orientamento sudest. Tendenzialmente sia i venti invernali che quelli estivi sono temperati e non hanno una grande velocità (dai 2 ai 4 m/s). In questa situazione, in buona sostanza la ventilazione dell’edificio deve essere affidata, oltre che all’incanalamento, ad altre soluzioni architettoniche, come cammini solari ecc.
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imm. | VelocitĂ del vento massima e minima; Percentuali e direzioni del vento annuali
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Analisi morfologica del campus e l’inserimento nel contesto Impianto generale – tra geometria e natura Avvolto tra le montagne che circondano la vallata del Fiume delle Perle, il nuovo complesso universitario si colloca in un posto immaginario, alla curva di uno dei meandri di uno dei tanti fiumi che percorrono la pianura per gettarsi infine nel Mar Cinese Meridionale. Il campus universitario si delinea esattamente lungo le rive di uno di loro, creando un contesto intenso, diviso tra il suo rapporto con il paesaggio delle montagne circostanti, il corso del fiume antistante e lo schema rigido dell’impianto preimposto. Infatti, la genesi dell’impianto dell’intero complesso universitario risiede in una configurazione fittizia, basata su una maglia di 22 per 22 metri all’interno della quale gli edifici si definiscono come degli aggregati di blocchi di dimensioni risalienti sino a 60 per 60 metri. Non si tratta di una configurazione ben definita, poiché le sue estensioni, dimensioni totali e la quantità di utenti rimanevano inizialmente indefiniti e non sono note neanche le funzioni di altri edifici, esterni all’area di progetto, ma facenti parte dell’intero complesso. Il punto di partenza per la definizione della configurazione dei nuovi edifici è un intreccio tra lo schema geometrico predefinito e le sensazioni che può offrire il luogo, legate sia alla sensibilità del fiume che scorre, del suo rumore e del suo odore, ma anche alla poetica delle montagne che circondano tutta la zona. All’origine del progetto vi risiede allora un contrasto, un conflitto tra quello che è artificiale e definito dall’uomo, ossia la geometria del complesso, e quello che è naturale e appartiene al paesaggio del Guangdong.
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imm. | “Residenza estiva imperiale”, Illustrazioni per le poesie dell’imperatore Kangxi tratta dalle stampe di Zhu Gui, 1717
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Predimensionamento del progetto Il punto di partenza per il predimensionamento del progetto è stato proprio l’impianto geometrico predefinito nel bando del concorso, però siccome si tratta di una sola porzione del campus, vi è stata una necessità di un’analisi più accurata dell’ipotetico impianto. Infatti, il calcolo è stato eseguito partendo da un’analisi tipologica delle università e delle facoltà di ingegneria e di architettura italiane, in particolare quelle in Toscana e del loro rapporto con il numero di abitanti nelle zone limitrofe. Il numero di posti in ogni facoltà è stato rapportato alla popolazione locale, tenendo conto di diverse sedi universitarie toscane che potrebbero essere paragonate ai diversi campus universitari della Tongji University, uno dei banditori del concorso. In questa situazione di corrispondenza al livello territoriale, il rapporto trovato tra la popolazione e i posti alle università in Toscana è stato trasportato nel modello cinese per trovare il numero di utenza attorno ai 1500 studenti per ogni dipartimento. Tenendo conto di eventuali scambi internazionali, studenti che rimangono in situazione di fuori corso, il numero trovato è stato portato a 1750 studenti – l’utenza per la quale è stata prevista ognuna delle due facoltà.
Organizzazione dello spazio – pavilion system La parte del complesso oggetto del progetto è composta di quattro edifici principali – un auditorium, una biblioteca e due facoltà – quella di ingegneria e quella di architettura. La loro disposizione e il loro aspetto tengono conto delle esigenze distributive e organizzative dei singoli edifici. Infatti, l’auditorium per la sua funzione, per la sua altezza uguale a quella degli edifici predefiniti e per la sua capienza concentrata di utenti rimane un
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edificio monolitico e pieno. Rimane anche più simile alle sagome degli edifici predefiniti dallo schema rettilineo del campus. Pensato come accessibile da una porzione libera degli studenti del campus, si collega in maniera diretta con il resto del complesso, mentre con l’area dell’intervento trattiene un rapporto prevalentemente visivo, senza un collegamento diretto prevalente. Infatti, il volume dell’auditorium dista dagli altri tre edifici progettati e si collega in maniera più diretta ai fabbricati predefiniti, sia per la sua forma, sia per la compattezza del suo volume. Il distacco al livello concettuale viene sottolineato da una vasca d’acqua che divide l’auditorium dagli altri tre edifici, però li collega visivamente mettendoli in una tensione architettonica che vibra all’interno del complesso. Il tema di diversi elementi che giocano insieme attorno alla piazza, che entrano infatti in tensione tra di loro, è un tema vicino all’architettura tradizionale cinese – che però trova il suo riscontro anche in alcuni degli esempi occidentali. Il progetto degli edifici delle facoltà e della biblioteca si delinea come delle stecche funzionali, anziché dei volumi pieni. Questo sistema trova il suo duplice significato sia nel favorire la ventilazione naturale, dato il clima particolarmente umido e caratterizzato di piogge subtropicali derivanti da monsoni, sia nel richiamo dello stile dell’architettura tradizionale cinese. Infatti, tradizionalmente l’architettura cinese non si traduce per sottrazione da un volume grande, ma per aggregazione di più forme, di più unità che insieme formano un solo complesso. Ogni elemento all’interno del complesso ha una funzione diversa e da questo deriva la loro separazione spaziale e visiva. Lo spazio aperto centrale tra gli edifici si definisce come una piazza, delimitata da un lato dalla vasca d’acqua dell’auditorium e da altri tre lati dagli edifici nuovamente progettati della biblio-
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teca e delle facoltà di architettura e di ingegneria. Nella piazza porticata, come tante delle corti degli edifici cinesi, o come una piazza rinascimentale occidentale, si ritrova di nuovo il legame tra il mondo occidentale e orientale, un punto di collegamento e un orizzonte comune ad entrambe le realtà. Gli altri spazi aperti sono direttamente relazionati con l’ambiente naturale nel quale è immerso il campus universitario. In corrispondenza dei vuoti, vi è sempre un collegamento diretto con il fiume e con l’acqua che scorre ai piedi degli edifici. Gli edifici si snodano infatti nell’acqua, come le dita di una mano delicatamente immersa nel fiume che scorre. In questa maniera favoriscono la formazione di piccole anse, dei luoghi dove l’acqua si sofferma e non scorre veloce come nella parte centrale del suo letto. Questi spazi riparati si collegano con i vuoti tra gli edifici, evidenziati sia da pendenze naturali (come tra la biblioteca e la facoltà di ingegneria), sia da gradonate che finiscono i loro gradini nel fiume (come all’interno della facoltà di architettura e della biblioteca). Il rapporto col fiume in questo modo è diretto e lo spazio aperto degli edifici, quello più vissuto dai loro utenti, li permetto un contatto permanente con quello che è il carattere più affascinante di questo luogo, con il paesaggio che entra dentro gli edifici attraverso le grandi vetrata nella féerie di colori, di suoni e di odori.
Rapporto degli edifici con il resto del complesso Seguendo lo schema del pavilion system, gli edifici si sviluppano non solo come degli elementi distaccati in pianta, ma anche in alzato, raggiungendo delle altezze diverse. Dal volume più basso dei laboratori, collocato presso la facoltà ingegneria per le possibili prove tecnologiche e verifiche dei materiali, alto 10 metri, l’altezza sale fino a 25 della copertura della parte più alta
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degli edifici delle facoltà. Gli avancorpi che sono direttamente collegati con gli edifici, con i loro corpi più bassi, sono sempre adibiti a tetti giardino, garantendo in questo modo un comportamento ecologicamente più sostenibile dell’edificio, ma allo stesso tempo aprendo degli spazi aperti rialzati che permettono di godere la vista sul paesaggio circostante. In questa maniera, il modello del pavilion system permette non solo di organizzare le funzioni attorno agli spazi che si relazionano con il contesto naturale, ma anche – grazie alle variazioni di altezze – di recuperare la vista dai piani più alti. L’organizzazione degli edifici posti attorno alla piazza – delle due facoltà e della biblioteca – rimane molto diverso dallo schema più rigido del monolito dell’auditorium. Questo schema abbinato, di due corpi che sono collegati tra di loro con uno spazio aperto coperto intermedio viene riproposto in diverse versioni. Negli edifici delle facoltà di architettura e di ingegneria i due corpi sono avvolti da una struttura in glulam che ingloba la struttura gemella, mentre nella biblioteca i corpi sono collegati grazie alla presenza dei setti dei muri nella parte delle corte interna. Questi spazi centrali in tutti gli edifici hanno un ruolo di catalizzatore sociale, di distribuzione dei flussi, mentre la loro presenza è dettata soprattutto dalle caratteristiche del clima umido e segnato di piogge: essendo facilmente ventilati, ma coperti da temperie rimangono degli spazi fruibili ad ogni stagione dagli utenti del complesso. La loro importanza distributiva deriva anche dal fatto dell’organizzazione delle lezioni all’interno delle facoltà dove le aule sono assegnate ai dipartimenti. Così ad esempio nella facoltà di architettura sono tenuti i corsi come progettazione, disegno, storia dell’architettura o rilievo, mentre nella facoltà di ingegneria possono essere seguite le lezioni di materie scientifiche o tecnolo-
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giche. Il fattore di ricerca non è stato sottovalutato siccome alla facoltà di ingegneria viene affiancato un volume più basso dei laboratori che si sviluppa con il prospetto nord più pieno che si relaziona in una maniera più diretta con i volumi di altri edifici.
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Analisi morfologica dell’edificio della facoltà di architettura Edificio della facoltà di architettura L’edificio principale della facoltà di architettura rispecchia lo spirito di tensione tra l’impianto geometrico e artificiale del campus e l’andamento naturale del fiume. Dimensionato per 1500 studenti, si imposta tra l’argine del fiume e la piazza della parte progettata. Infatti, il lato sud dell’edificio, antistante al fiume cerca di rimodellare l’argine del fiume e ha un aspetto più organico, movimentato e libero, come se dovesse accompagnare l’acqua che scorre. Lo spirito organico della facciata sud viene tradotto dalla sequenza delle travi inclinate che si muovono in un moto ondulato che accompagna il fiume, che prosegue dall’acqua verso il cielo e che scherma anche l’interno dalla luce forte. Il lato nord della facoltà, rivolto verso la piazza, ha un fronte molto più rigido e geometrico. Le travi che nella facciata sud sono inclinate, nella facciata nord sono infatti rettilinee e verticali, creando una regolarità di cadenza architettonica di un fronte costruito. La disposizione dell’edificio traduce la doppia natura della tensione che genera i suoi fronti, il suo rapporto col contesto: infatti il corpo è composto da due stecche di 120 metri ognuna, con un impianto modulare e regolarizzato da una maglia strutturale. Ognuna delle due stecche è suddivisa in tre moduli di 30 metri, ognuno è composto da uno spazio centrale di 20 metri occupato da due aule libere con dei blocchi pieni sui suoi lati che contengono degli uffici, bagni o collegamenti verticali. Tra ognuno dei moduli vi è un ulteriore spazio di 5 metri di distribuzione, in corrispondenza del quale si innestano dei ponti di collegamento tra le due stecche, i tagli orizzontali di tutta la struttura.
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imm. | Pianta piano terra e piano rialzato
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Le due stecche dell’edificio della facoltà di architettura sono chiuse alle estremità dai blocchi monolitici che hanno funzione di un tappo esterno, rivestito in mattoni, riferendosi ai materiali e alla forma degli altri edifici del campus. Come un limite solido e pesante racchiudono lo spazio interno, più leggero e aperto, fluido e organico. Le parti murarie sembrano allora un vincolo imposto dalla preesistenza rigida della geometria del complesso che racchiude e che limita lo spazio più naturale al suo interno. Lo spazio dentro infatti è caratterizzato da una grande libertà – poiché la hall è definita dallo sfalsamento delle stecche lungo un modulo: mentre esse si accompagnano per 80 metri di lunghezza, i rimanenti 40 metri sporgono. In corrispondenza dei primi 80 metri vi è uno spazio centrale, una hall interna coperta a tutta altezza dal piano terra fino alla copertura obliqua definita dalle travi inclinate, attraversando cinque piani dell’edificio. Questo spazio diventa il fulcro attorno al quale ruota la vita dell’intero edificio. Grazie alle caratteristiche del clima molto moderato del Guangdong, gli spazi coperti ma aperti sono infatti molto favorevoli. Riparati dalla grande quantità di piogge che caratterizzano la zona, essi sono facilmente vivibili e confortevoli e non richiedono grandi interventi ai fini della climatizzazione e del trattamento dell’aria.
Organizzazione dello spazio interno – piano terra La divisione dell’edificio in due stecche influenza la disposizione degli ambienti al suo interno su tutti i piani. Al piano terra lo spazio dell’entrata crea un collegamento tra l’esterno dell’edificio e tutta la sua parte interna. L’ambiente d’ingresso è diviso in due parti, collocate a due quote diverse. Le porte d’ingresso si trovano sulla quota della piazza antistante all’edificio, facendo così prolungare lo spazio esterno dentro della struttura stessa. Infatti
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imm. | Pianta piano tipo
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anche il materiale di rivestimento del pavimento, il cemento armato suddiviso da fughe che creano una maglia di 2,5 metro x 2,5 metro, riprende quello presente all’esterno, mentre in tutto il resto dell’edificio i pavimenti sono lignei. In questo spazio vi si trovano le funzioni di primo contatto con gli utenti, ossia la caffetteria, la portineria e il guardaroba che trovano le loro funzioni collaterali nella seconda parte della zona d’ingresso. La seconda parte si alza di 2 metri sopra il livello dell’ingresso e vi si trovano le funzioni che completano quelle del livello sottostante: uno snack bar e gli uffici della segreteria. Questi ultimi si affacciano sul livello inferiore, creando così un rapporto visivo diretto, nonostante la comunicazione verticale avviene nei corridoi distributivi collocati al contatto tra due moduli. Le scale di collegamento tra i due livelli, collocate nelle zone di distribuzione tra i moduli della stecca, creano un continuum materico con il livello inferiore: il cemento armato a vista si relaziona direttamente con la pavimentazione del livello inferiore. Dalla zona d’ingresso vi si accede anche da una porta secondaria in una zona espositiva, collocata in una delle “sporgenze” in pianta della stecca nord. I due ambienti presenti sono interamente liberi e la loro dimensione (400 metri quadri e 150 metri quadri) piò essere alterata con delle pannellature che rispettano la divisione del pavimento e della cassettonatura, permettendo così un uso più libero possibile dello spazio per le esposizioni che possono esserci organizzate. Difatti, la disposizione all’interno di questo ambiente rimane molto libera, siccome si tratta di uno spazio molto bene illuminato e facilmente adattabile. Lo spazio più libero del complesso rimane la hall centrale, un volume lungo 80 metri e largo 20, con l’altezza che raggiunge cinque piani. Si tratta di un grande spazio distributivo, specie di foyer all’interno dell’edificio che può essere vissuta dagli stu-
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imm. | Pianta quarto piano con coperture verdi
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denti come una piazza coperta, a riparo della pioggia e delle intemperie tipiche della zona del Guangdong. Il suo ruolo e la sua importanza come ambiente di distribuzione principale o come catalizzatore sociale viene sottolineato anche dal suo rilievo in alzato. Le travi inclinate nella facciata sud e le travi verticali nella facciata nord, così come la copertura inclinata che le collega corrispondono tutti alla presenza del grande vuoto della hall. Diventa allora il vuoto quello a generare l’essenza dell’edificio e a creare gli spazi vissuti dalla gente. Il vuoto diventa il protagonista principale del progetto della facoltà di architettura e grazie alle grandi vetrate alle sue estremità si può anche relazionare direttamente con il paesaggio circostante. Il grande spazio della hall è organizzato pensando a dei percorsi di collegamento che corrispondono anche ai ponti che si trovano ai piani superiori. Proprio al centro delle zone delimitate dai ponti di collegamento si trovano dei vasconi verdi riempiti di ghiaia con delle piante di bambù. Hanno una forma irregolare, quasi casuale, che sembra come se le doghe di legno di rivestimento fossero scomparse a dare spazio al giardino orientale. La hall con i suoi ambienti laterali funzionano anche come delle grandi aree studio. Infatti, nel lato sud della hall vi sono dei ballatoi con una balaustra attrezzata che potrebbe diventare un piano di studio e che così garantiscono la lice diffusa ottimale per studiare. Allo stesso tempo, il lato nord della hall è occupato dalle aule studio vetrate con dei brise-soleil verticali. Ai lati corti della hall vi si trovano invece due scalinate: la prima finisce nell’acqua del fiume, mentre la seconda più piccola nel vascone antistante. La stecca sud al piano terra riprende il doppio livello in quota dei pavimenti con la disposizione delle sei aule a gradoni che seguono il dislivello creato, con l’affaccio diretto sul fiume. In
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imm. | Prospetto sud; Sezione trasverale; Prospetto est; Sezione longitudinale
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questo modo anche gli ambienti più legati alla didattica, alle lectio ex cattedra, sono legate direttamente al paesaggio del fiume che passa e scorre.
Organizzazione dello spazio interno – piani superiori L’organizzazione dei piani superiori rimane analoga: in entrambe le stecche vi sono sei aule per piano di 100 metri quadri che però possono essere raddoppiate sino ad una superficie di 200 metri quadri grazie all’uso delle pareti mobili. Sul lato del fiume le aule hanno anche una terrazza che varia di profondità da 1,5 metro a 4,5 metro ed è sempre coperta, come una loggia che crea un’estensione dell’aula. Siccome il carattere di queste aule diventa molto più sensibile per i gusti e colori, le aule della stecca sud sono quelle destinate ai laboratori e altri corsi di natura più creativa. Sul lato nord ogni modulo della stecca è composto da due aule normali e un’aula studio che si possono unire se ci fosse bisogno. Le partizioni mobili devono corrispondere alla maglia dei rivestimenti delle pareti, controsoffitto e pavimento. Ai fianchi delle aule invece si trovano uffici dei professori, che nella parte nord vengono sdoppiati e che hanno sempre un accesso dal corridoio distributivo largo 5 metri, attrezzato anche come uno spazio di attesa per gli studenti che fanno le revisioni. All’ultimo piano dell’edificio si trovano due zone libere: nella stecca sud vi si trova una grande zona studio, con la possibilità di lavoro autonomo o in gruppo, mentre nella stecca nord viene collocato un laboratorio modelli con un centro di stampe a servizio degli studenti. Siccome le “sporgenze” delle stecche sono più basse di un livello, avendo solo quattro piani, la loro copertura viene adibita ad un tetto giardino funzionante l’anno intero.
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Dimensionamento degli ambienti e gli standards del progetto Il dimensionamento del fabbisogno per i due corsi di laurea, ingegneria e architettura, è stato stimato per analogia, in quanto il bando di concorso non specificava alcuna utenza, ma invece attribuiva un dimensionamento massimo di 66 metri per 66 metri alle due facoltà e un alzato massimo di 18 metri alla gronda. Considerando gli standards dimensionali (europei e statunitensi, data la difficoltà di reperire materiale cinese, che in ogni caso per quanto rilevato, era abbondantemente meno restrittivo), si è proceduto a stimare quanti studenti e docenti potessero rientrare nei metri quadri massimi. Dopo questo primo dimensionamento, oltremodo abbondante, si sono considerate altre facoltà di medesime dimensioni e si è proceduto a trovare esempi analoghi, in questo caso sia italiani che cinesi. In ultima analisi si sono analizzate le cinque università più importanti del Guangdong: Jinan University 50.535 studenti, Tongji University 70.000 studenti, Jiao Tong University 42.8821 studenti, Saut China University 24.906 studenti, Yat-Sem 21.623 studenti. Questi numeri dei totali delle università venivano confrontati con (dove possibile) i dati delle rispettive singole facoltà, nonché con esempi occidentali ed italiani. La conclusione è una stima di circa 1500 studenti per facoltà, che peraltro si avvicina alla percentuale di studenti di architettura dell’università di Firenze che conta 50.000 studenti circa. Il totale di 3000 studenti, più personale docente e di servizio può essere stimato in 3300-3500 utenti, il numero variabile dipende essenzialmente dal fatto che alcuni docenti e altro personale possono essere comuni con altre facoltà all’interno dello stesso campus.
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imm. | Schema distributivo
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Il dimensionamento delle aule è stato effettuato tenendo conto di quattro diversi fattori: • metri quadrati riservati ad ogni studente in funzione della destinazione d’uso del locale • sovrapposizione degli insegnamenti e conseguente riduzione del fabbisogno in riferimento ad un ipotetico orario di lezioni. • adattabilità delle aule sia per quanto riguarda l’attrezzatura così da poter avere aule miste laboratorio-lezione frontale, sia per quanto riguarda i metri quadri grazie a partizioni mobili • dimensione delle classi in relazione all’insegnamento I coefficienti presi in esame per il buon dimensionamento sono considerati a partire da norme tecniche e regolamenti vigenti in Italia, a causa della difficoltà di reperimento delle informazioni relative alle norme vigenti in Cina (comunque da considerarsi meno restrittive, avendo preso a paragone edifici simili). Un’altra fonte di dimensionamento risiede nella comparazione con progetti di università (di architettura e non) costruiti nell’ultimo ventennio a partire da modelli cinesi, anglosassoni (statunitensi nella maggior parte dei casi) e italiani. Se da un lato il dimensionamento per quanto riguarda le aule da lezione frontali non ha subito variazioni (tra 1,0 e 1,5 metri quadri a studente), si può notare che per quanto riguarda i laboratori (progettazione e grafica), i modelli di alcuni anni fa sono totalmente da rivedere. Se infatti gli standards individuino le aule laboratorio per architetti e ingegneri con coefficienti che vanno da 4,0 a 5,0 metri quadrati a persona, è evidente che queste norme dimensionali sono pensate per scuole ancora dotate
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di metodi di disegno “classici” con uso di tecnigrafo. Un dimensionamento più moderno fissa lo standard a circa 3,0-3,5 metri quadrati per studente. Per quanto riguarda le sovrapposizioni di orario, indicativamente abbiamo preso ad esempio le discipline insegnate sia in Cina che in Italia, abbiamo valutato un’ipotetica disposizione di orario per verificare la disponibilità di aule in considerazione ai vari ambiti disciplinari tenendo conto della commistione tra le materie insegnate ad ingegneria ed a architettura. Le aule presenti nella facoltà si dividono come segue: in tre categorie per un totale di 4200 mq. E’ da tenere presente che data la vicinanza della facoltà di ingegneria, le materie come le aule sono da considerarsi in larga parte integrate, ad esempio discipline di carattere umanistico-progettuale saranno da tenersi nel plesso di architettura, mentre quelle di carattere tecnologicoscientifico in quello di ingegneria. 6 aule gradonate per lezione frontale da 100 metri quadrati l’una per 85 studenti (tra cui 5 posti per disabili) 1,2 mq per studente. Per un totale di 600 mq. 18 aule (6 disposte su 3 piani lato sud) di 100 metri quadrati adibiti alla funzione di aula laboratorio. Queste aule sono accoppiate a due a due con tra di loro una partizione mobile che consente di modificare l’estensione di uno dei due vani a discapito dell’altro fino a realizzare un unica aula di 200 metri quadri. Inoltre queste aule hanno tutte una loggia coperta che si sviluppa lungo tutto il loro lato sud per una profondità che va dal un minimo di 2,5 metri ad un massimo di 5 metri. In ragione del tipo di aperture collocate sul lato esterno si può dire che questa loggia sia un’aggiunta di circa 25 metri quadri per aula, sopratutto in
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considerazione del clima della zona (si prediligono queste aule per discipline progettuali). Per un totale di 1800 mq. 18 aule (6 disposte su piani lato nord) di 100 metri quadrati adibiti sia a funzione di aula laboratorio, che di lezione frontale (tutte le aule laboratorio sono a funzione mista). Queste aule sono accoppiate a due a due con tra di loro una partizione mobile che consente di modificare l’estensione di uno dei due vani a discapito dell’altro fino a realizzare un’unica aula di 200 metri quadri. Inoltre attiguamente alle due aule vi è uno spazio adibito ad aula studio, anch’esso diviso delle due aule mediante partizione mobile, e quindi in casi eccezionali (non per la normale didattica) si può arrivare ad unire le due aule più l’aula studio così da avere un unico ambiente di 300 metri quadrati. Per un totale di 1800 mq (con 900 mq extra). Le aule non gradonate hanno una capacità variabile che va da un minimo di 25 studenti ad un massimo di 75 questo senza considerare le partizioni mobili che possono scorrere di 2.5 metri per volta ingrandendo o rimpicciolendo l’aula di 25, 50 o 100 metri quadri. Le zone dedicate alla docenza si posso dividere in due: zone miste per la ricerca e uffici. Le zone miste per la ricerca sono collocate alle estremità dei blocchi, sono divise in due ambienti di 150 metri quadrati per piano, il tutto sui tre piani, per un totale di 900 metri quadri. Mentre gli uffici si possono dividere a loro volta in tre categorie dimensionali, singoli da 13,5 metri quadri doppi da 18 metri quadri e tripli da 26 metri quadri. In totale ci sono 12 uffici singoli per piano, 5 uffici doppi e 5 uffici tripli, il tutto da moltiplicare per 3 piani per un totale di 1.146 mq e 111 docenti. Tutti gli uffici hanno l’accesso da quella che è una zona distributiva e configurabile come saletta d’aspetto, inoltre gli uf-
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fici singoli hanno anche l’accesso diretto all’aula. Gli ambienti dedicati allo studio sono stati divisi per livello di riservatezza, silenzio necessario e per tipologia di supporto utilizzato (piccolo tavolo da lettura e da pc oppure tavolo di grandi dimensioni per disegni e modelli). In questo modo si sono creati quattro diversi ambienti: • 9 aule studio vere e proprie di 100 mq suddivise su tre piani sono attrezzate con tavoli da disegno • 6 balaustre spazi di lettura informali posizionati sulle balaustre dei ballatoi con esposizione costante a nord per avere luce diffusa, il piano di lavoro è profondo 40 cm per la lettura o l’utilizzo del pc • 1 spazio di lavoro multiuso all’ultimo piano in adiacenza ai laboratori di stampa e taglio laser, attrezzati con tavoli da disegno e suddivisibili all’accarezza da partizioni mobili. • 18 zone d’aspetto attrezzate con divanetti a tavolini sono zone di studio informale poste in corrispondenza degli uffici dei professori, in modo tale da permette lo studio in attesa di colloqui o revisioni • come quinto spazio di studio possiamo intendere anche la hall e l’ingresso nella parte prospicienti il caffè, anche se queste zone possono essere attrezzate per lo studio solo in maniera temporanea e non come la loro funzione primaria. Per quanto riguarda il dimensionamento di altri ambienti come laboratori di taglio laser e di stampa uffici e segreteria, bar e caffetteria, si è proceduto per analogia con edifici universitari di dimensioni simili, non sapendo se le medesime funzioni fosse assolte da edifici vicini del campus (come mense, o plessi unici per uffici).
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Ratio progettuale - cenni tecnologici, climatici e architettonici La facoltà di architettura si innesta su di un più grande campus universitario, e nello specifico su di una parte del medesimo dedicata ad attività architetto-ingegneristica, che comprende le facoltà di architettura, di ingegneria ed una biblioteca comune alle due. Le caratteristiche climatiche della zona: temperatura mite invernale e calda ma non afosa d’estate unite all’alta piovosità estiva (che arriva hai 2/3 dei mesi di maggio e giugno ed è circa la meta dell’anno) hanno influito in maniera decisiva sulla morfologia del progetto, sia in pianta che in alzato. Si è scelto di realizzare una struttura il più possibile aperta che favorisse il passaggio dell’aria trasversale est-ovest, ma anche su direttici minori, permettendo anche la ventilazione nord-sud (maggiormente schermata). Si è quindi scelto di minimizzare lo spessore dei corpi di fabbrica, favorendo invece la lunghezza. Questo favorisce una ventilazione trasversale degli stessi. Quindi si è scelto di suddividere il progetto in due stecche intervallate da una corte centrale allungata, queste stecche sono state poi sfalsate di 1/3 della loro lunghezza così da ridurre la dimensione della corte (che è data dalla sovrapposizione dei due elementi). Inoltre lo sfasamento permette di creare due barriere per i venti provenienti da sud e da nord, così da formare un effetto mulinello che favorisca la ventilazione della corte anche quando i venti non soffiassero est-ovest (questo accorgimento è reso necessario e possibile dalla lentezza dei venti nella regione che vanno da 2 a 4 m/s). Sempre per massimizzare la ventilazione, le stecche sono state divise in tre moduli e tra ognuno di questi moduli è stato lasciato un passaggio traversale di circa 5 metri per la circolazione dei venti. In sezione la grande corte centrale assolve la funzione di
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un camino solare facendo defluire il calore verso l’alto per poi farlo defluire fuori attraverso l’ultimo piano terrazzato. Inoltre per massimizzare i flussi d’aria si è scelto di rialzare lo spazio centrale della hall rispetto all’ingresso e alle aule gradonate così da permettere una ventilazione maggiore di quella a livello del suolo, creando una discontinuità nel profilo e permettendo di innescare meccanismi di rinfrescamento. Se per quanto riguarda la ventilazione invernale, l’edificio è ben schermato, avendo altri plessi che frangono i venti provenienti da nord e da nordovest. Per quanto riguarda quella estiva, la corrente d’aria può viaggiare senza impedimento, e passa al disopra il fiume prima di arrivare all’edificio, con effetti mitiganti. Per quanto riguarda il problema dell’alta piovosità, si è scelto di realizzare una grande corte coperta, quasi una piazza interna di 1500 metri quadri a tutt’altezza tra i due blocchi di edifici. Questo ambiente vuole sopperire allo spazio esterno che non è normalmente fruibile per la maggior parte dell’anno. La sua altezza ed estensione, nonché l’apertura pressoché totale sui due lati corti, permettono di vivere questo spazio (in regime estivo e quindi piovoso) come un immenso spazio semi aperto di svago relax e distribuzione all’interno della facoltà. Sempre nell’ottica della fruizione continua degli spazi, la facciata sud presenta una loggia progressivamente più aggettante che ha la duplice funzione di schermatura dei raggi solari e di spazio aggiuntivo, ora distributivo, ora adibito alla didattica come proseguo delle aule. Inoltre si è pensato alla realizzazione di un ingresso filtro al piano terra, (dove la stessa pavimentazione esterna entrasse dentro), che permettesse di passare dall’ambiente piovoso a quello asciutto (e pavimentato in legno) della facoltà. Questo ambiente contiene portineria e caffetteria ed ha una funzione di prima accoglienza dello studente. L’ingresso, la corte e le logge sono tutte fasciate da un involucro ligneo a guscio (rivestito in pannelli
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EFTE) che individua la zona protetta delle acque. Sfruttando invece a proprio vantaggio l’alta piovosità parte dell’ultimo piano è stato pensato come parzialmente coperto da un tetto giardino con molteplici essenze adatte a resistere all’alto irraggiamento. La bassa latitudine fa sì che i raggi solari siano molto incidenti. Questo fatto ha portato al dimensionamento della loggia in facciata sud, calcolata in modo da fornire riparo dai raggi luminosi diretti all’incirca dalle 10:00 del mattino alle 16:00 del pomeriggio nei quattro mesi più caldi (con l’abbassamento del sole sull’orizzonte la luce diretta nel periodo invernale riesce a penetrare all’interno quasi tutta la giornata). Date le importanti schermature sulla facciata sud (loggia e brise-soleil) si è voluto controsoffittare e intonacare il soffitto della loggia così da captare la luce diffusa riflessa dalle acque del fiume (la loggia è controsoffittata a differenza delle aule). La loggia è poi divisa dall’aula da una grande vetrata di 10 metri di lunghezza per 3,5 di altezza, questo al fine di captare la maggior luce diffusa disponibile. Per quanto riguarda gli ambienti, e in particolar modo le aule disposte sul lato nord, essi si affacciano direttamente sull’esterno senza alcun filtro, per meglio captare la luce diffusa presente a nord. Questa facciata difatti, a differenza di quella sud, ha un aspetto regolare e complanare al fine di massimizzare la radiazione luminosa. La corte è schermata da grandi travi di copertura alte 125 cm con passo anch’esso di 125 cm, lo spazio tra di loro è occupato da pannelli in EFTE che hanno la funzione di diminuire la radiazione luminosa ed infrarossa in ingresso, fungendo da isolante alla corte. Per massimizzare l’effetto di rifrazione dei pannelli la copertura è inclinata verso nord così da creare un piano meno perpendicolare possibile alla radiazione luminosa. I due lati minori della corte invece sono vetrati e permettono una penetra-
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zione della luce bassa della mattina e della sera. All’interno della corte si possono poi differenziare le due parti. Quella nord (che guarda a sud) e quella sud (che guarda a nord): la prima contiene le aule studio, ed è chiusa da una vetrata con applicati dei brise-soleil per minimizzare le luce diretta che se pur ridotta le investirebbe, mentre la seconda presenta balaustre attrezzate come tavoli per la lettura o il lavoro al pc rischiarate sempre dalla luce diffusa proveniente da nord. Queste sopra indicate sono le decisioni prese in base a considerazioni di carattere climatico analizzando temperatura, vento, piovosità e soleggiamento. Di seguito invece si elencano motivazioni di carattere tecnico distributivo. Le considerazioni riportate nel capitolo “Dimensionamento e Standards” ci portano alla necessità di avere un grande numero di aule di foggia diversa, per ovviare alle varie necessità didattiche non ben chiarite nel bando. Perciò al fine di ottimizzare gli spazi si è deciso di creare aule adiacenti con partizioni mobili, al fine di poterne regolare la dimensione dell’una discapito dell’altra. Inoltre se per il blocco sud si è preferito avere anche il lato dell’aula rivolto verso la loggia libera (al fine di poter usare lo spazio esterno come aula vera a propria), per quello nord si è scelto di poter fondere oltre alle due aule anche l’aula studio in un unico ambiente di 300 metri quadrati. Queste considerazioni di natura distributiva hanno portato alla necessità della realizzazione di un solaio molto ampio (300 metri quadri per il alto nord) senza supporti intermedi. Per ovviare a questo problema si è deciso di disporre i pilastri sui due lati lunghi così da avere tra loro l’interasse minore di 15 m. Così la struttura avrebbe resistito alle sollecitazioni orizzontali nel verso nord-sud presentandosi invece labile nella direzione est-ovest. Per questo si sono utilizzati blocchi scale ed uffici in x-lam (elementi scatolari
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rigidi di 5 metri per 15 divisi in tre moduli di 5 metri per 5 metri). A questo punto invece di utilizzare un normale solaio con un’orditura monodirezionale (coadiuvato da controventature di sezione ridotta) si è optato per un solaio a piastra nervato, realizzato con travi in legno lamellare di bambù fibrorinforzato (come del resto di bambù sono i pilastri). Il solaio a piastra molto più rigido avrebbe garantito una miglio redistribuzione dei carichi tra i pilastri disposti sul lato lungo (20 metri) e i blocchi di x-lam sul lato corto (15 metri). Il passo del cassettonato che si verrà a creare è di 2,5 metri, (modulo poi utilizzato per la pannellatura mobile).Il cassettonato una volta posizionato, è tamponato con un pannello di x-lam di 9 cm di spessore che ha come funzione principale quella di tamponamento e secondaria quella di ulteriore irrigidimento. Sul lato sud la problematica era la medesima, con la differenza principale che il solaio qui aveva un andamento trapezoidale con il lato verso il fiume inclinato. Il solaio cassettonato, da elemento statico, diventerà un motivo connotante del progetto e lo si ritroverà anche riproposto nelle pavimentazioni e in solai come quello del quarto piano che non lo necessiterebbero. Per quanto riguarda la copertura la scelta è ricaduta come per il solaio sul bambù fibro-rinforzato FiRP per la sua altissima resistenza, le travi di quasi 60 metri sono divise in tre tronconi e sorrette esternamente da pilastri di 125 cm per 25 cm e internamente come rompi tratti da pilastri più sottili di soli 50 cm di larghezza. I pilastri esterni di 125 x 25 e la trave di copertura della stessa sezione appaiono come un unico grande arco di legno, con uno spessore prevalente per sopportare al meglio il momento esercitato il quella direzione, tant’è appunto che necessitano di controventature nelle altre direzioni che per i pilastri sono identificabili come i solai e per la copertura con travi traversali e tiranti in acciaio.
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Se tutta la struttura (eccetto ovviamente le fondazioni) è costituita in legno lamellare, le passerelle che congiungono i due edifici sono invece costituite in profili di acciaio, questo per diminuirne lo spessore che sarebbe stato di molto superiore ha quello dei solai a causa della maggior luce e del maggior carico accidentale previsto. I blocchi finali che chiudono le due stecche hanno una funzione statica di corpi rigidi. Per quanto riguarda il rivestimento in mattoni, la scelta da un lato è stata coadiuvata dalla possibilità di realizzare pareti ventilate e dall’altro la scelta del materiale richiama la tradizione costruttiva cinese che unisce il mattone al legno nella maggior parte dei propri edifici.
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Materiali e tecnologia adoperata Legno lamellare Il lamellare (glullam) è un materiale strutturale solido di base lignea 99% prodotto incollando tavole di legno (a loro volta classificate per uso strutturale) mediante colanti 1% come resine epossidiche. Esso è quindi un materiale composito che mantiene i pregi del legno naturale, nonché l’elevata qualità del rapporto tra resistenza meccanica, peso e buon comportamento in caso di incendio. E’ realizzato su scala industriale mediante un procedimento tecnologico di incollaggio sotto pressione, questo ha come fine l’eliminazione dei difetti del comune legno massiccio. Il procedimento di lavorazione parte dalla riduzione del troncone in asticelle, dette appunto lamelle, di lunghezza non superiore a 20 cm (questo per minimizzare l’effetto di ritiro del legno in stagionatura) le lamelle sono selezionate e tagliate in modo da evitare i punti deboli del tronco, come nodi o parti lesionate, e poi catalogate mediante un sistema qualitativo che assegna un codice di resistenza-qualità alla partita di lamelle. Questo procedimento ha lo scopo di ottenere travi di qualità diversa a seconda delle lamelle che si scelgono, ( ad esempio per una trave di ottima qualità si sceglieranno le lamelle migliori e viceversa per una di peggior qualità). Esistono lamelle che non presentano eccesive lesioni ma sono comunque di qualità inferiore, mentre per quanto riguarda le travi standard si può procedere in due modi: utilizzare solamente lamelle di media qualità, oppure comporre la trave con lamelle di ottima qualità sia in intradosso che in estradosso, invece di qualità inferiore nel centro. Questo consente di avere una trave molto resistente nelle zone di per sé più sollecitate a trazione e compressione. Le lamelle sono poi sagomate sul lato corto con un incastro a pettine e nella loro ricomposizione, tramite incollaggio caldo, sono poi posizionate
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imm. | Travi di legno lamellare di abete
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con venatura contrapposta, così da garantire una maggior uniformità di resistenza della trave. Il legno lamellare permette di realizzare elementi della forma e dimensione desiderata a prescindere dalle dimensioni dell’albero, caso emblematico il lamellare di bambù, ottimizzando in questo modo le prestazioni meccaniche dell’elemento stesso. Le normali travi in massello hanno sezioni quadrate, circolari o rettangolari, ma comunque con una scarsa differenza tra base e altezza (es 20 x 24 cm); mentre una trave lamellare generalmente ha una sezione rettangolare in cui il rapporto tra base e altezza è molto sbilanciato verso quest’ ultima. Il vantaggio della sezione più alta in relazione alla base è espresso dalla formula J=b*h3/12 dove j è il momento di inerzia assiale. Essendo l’altezza elevata alla terza potenza il suo contributo influisce maggiormente sulla resistenza, permettendo travi più snelle e quindi più leggere, nonché resistenti. Inoltre il limite di lunghezza di una trave lamellare è dato solo dalle possibilità di trasporto di quest’ultima dello stabilimento e dalla sua possibilità di messa in opera.
Resistenza al fuoco Nonostante sia un materiale combustibile il legno lamellare ha una resistenza al fuoco paragonabile, se non superiore, ad acciaio e cemento armato. Infatti mantiene inalterate le sue proprietàmeccaniche se esposto ad alte temperature, (cosa che nona avviene con il metallo che perde notevolmente resistenza). Inoltre la combustione avviene in modo molto lento dato che lo strato superficiale carbonizzato funge da isolante per il resto della trave. Ad un aumento molto lento della temperatura corrisponde una variazione trascurabile della resistenza meccanica della parte incombusta. Il cedimento si verifica quando la sezione incombusta non è più in grado di sorreggere il peso.
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imm. | Copertura realizzata con travi lamellari rettilinee e incurvate e giuntate a vista
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La resistenza quindi varia a seconda della velocità di carbonizzazione del legno, che presenta molte variabili, prima tra tutte la specie arborea, infatti le conifere bruciano più velocemente delle latifoglie o del bambù. Per quanto riguarda il calcolo della velocità di combustione si rimanda alle norme tecniche UNI 9504 “procedimento analitico per la valutare la resistenza al fuoco degli elementi di legno” e la norma UNI ENV 1995-1-2 “Eurocodice 5 - progettazione di strutture in legno - parte 1-2 progettazione strutturale contro l’incendio”.
X-lam Con il temine pannello x-lam si intende un elemento strutturale multi direzionale in legno, che trae le sue origini dal legno lamellare. Come il lamellare è costituito da stecche, “lamelle”, di spessore variabile (dai due ai quattro centimetri) disposte su più starti l’uno ortogonale all’altro, in un numero di strati dispari (dai tre ai nove), con spessori che posso variare dai cinque ai trenta centimetri. Il legno utilizzato in genere è di abete rosso, ma ogni legno da costruzione è utilizzabile, grazie al buon rapporto peso resistenza, nonché per il basso costo del materiale.L’abete rosso però presenta molti nodi, per questo le tavole di legno vengono selezionate eliminando il nodo e alcuni centimetri di legno intorno. Il pannello può avere una funzione che spazia dal tamponamento a quella strutturale, sia per quanto riguarda i solai che le pareti portanti. Il vantaggio che offre il pannello x-lam risiede nella sua resistenza a piastra, infatti a differenza di un normale solaio lo scarico avviene su tutti i lati del pannello, con aliquote diverse che dipendono sia dalla luce che dal numero di strati disposti in quella direzione (i pannelli si dividono in DI ossia pannelli con fibra esterna, quindi maggiore in resistenza nella direzione principale
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imm. | Pannello x-lam a cinque strati
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del panello e DL che viceversa hanno più starti paralleli al lato corto). Questa resistenza bidirezionale, permette al pannello x-lam di essere più flessibile rispetto ad un normale solaio (travi, travetti, tavolato), sia per quanto riguarda la forma che per quanto concerne la realizzazione di fori ed aperture che non necessitano il rispetto di una rigida maglia strutturale. Altro punto di forza della struttura in CLS è la sua flessibilità e rapidità di montaggio, infatti gli stessi elementi posso essere utilizzati indifferentemente (previo dimensionamento) per pareti, solai e solai inclinati, risultando già stabili e auto portanti. Il montaggio avviene in tempi molto brevi, perché i pezzi arrivano già perfettamente sagomati in cantiere e non sono necessarie altre operazioni se non quelle di posizionamento e fissaggio mediante barre filettate, piastre chiodate e giunti metallici (non necessita di incastri). Inoltre la leggerezza di questi pannelli, realizzati tendenzialmente in legno di abete rosso, pino o larice permette il loro rapido movimentamento, permettendo di montare in una sola volta un’intera parete con una semplice gru di cantiere (il peso del pannello è di 400-500 kg/mc). Data la semplicità di messa in posa si possono arrivare a coprire fino a 2000 mq al giorno di superfice, inoltre strutture multipiano possono essere posate senza dover attendere, come accade invece nelle normali costruzioni in calcestruzzo armato. Il pannello ha uno spessore variabile dai cinque ai trenta centimetri e una larghezza massima di 350 cm, mentre la sua lunghezza è limitata dalla trasportabilità; per questo molte aziende non forniscono pannelli superiori ai 1350 cm (dimensione camionabile). Unaltro dei vantaggi del x-lam è quello di unire ad una costruzione massiccia e con un elevata inerzia termica un λ di 0.13 W/ mk, tra i migliori per elementi strutturali.
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imm. | Edificio monopiano realizzato in pannelli prefabbricati di x-lam, fase di montaggio
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Per quanto riguarda il suo utilizzo come elemento a vista esistono tre varianti standard di finitura, grezza a pialla o rifinita, ma in ogni caso per ambienti che non sono quelli industriali si predilige un rivestimento; in alternativa alcune aziende forniscono pannelli in abete rosso con uno o più strati esterni di legno nobile, come rovere castagno ecc. Questa aggiunta non incide sulla resistenza del materiale.
Lamellare di bambù Il lamellare di bambù benché non molto usato (principalmente a causa dei costi più elevati e per la disponibilità geografica, come la lontana da zone che nell’ultimo ventenniohanno avuto meno preoccupazioni sulla politica di sfruttamento della risorsa) ha caratteristiche competitive nei confronti del comune lamellare realizzato in conifere. Il coefficiente di resistenza a compressione del bamboo lamellare si aggira tra i 60 e i 95 N/mm2, valore più che triplo di quello di una conifera e più che doppio di quello di una latifoglie. Il valore è molto altalenante e con questo sopra indicato si intende un valore medio, inquanto ci sono varie specie di bamboo che vanno dai 10 -16 cm fino 30 cm di diametro, inoltre c’è una differenza elevata che può andare dal 2% al 10% della resistenza totale a seconda della sezione della pianta di bamboo considerata. Medesime differenze interessano la trazione che va da valori intorno ai 140 N/mm2 fino a 400 N/mm2, anche queste differenze sono da imputare principalmente alla specie di bamboo presa in esame oltre che alla qualità del legno (età della pianta, difetti, parte della pianta utilizzata). Tutti i valori sopra indicati sono ricavati da schede tecniche di ditte produttrici, e da ricerche universitarie.
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imm. | Areale bambĂš; Lavorazione del tronco di bambĂš per realizzazione di lamelle
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Il bamboo nonostante presenti più elevata resistenza rispetto alle conifere ha un peso di 2/3 superiore, dai 460 kg/mc di una conifera, si passa hai 670kg/mc di un bambù lamellare (il bambù massello presenta vuoti che lo rendono più leggero). Questa differenza di peso è appunto bilanciata dalla maggior resistenza e dalla conseguente riduzione delle sezioni, grazie anche al fatto che il materiale è più rigido del normale legno di conifera. Inoltre il bamboo ha un buon indice di carbonizzazione superiore al normale legno lamellare (questo è molto utile anche in caso di rinforzi in fibra). Il lamellare di bamboo negli ultimi anni ha avuto anche un notevole sviluppo come materiale di rivestimento, specie per le pavimentazioni, poiché ha un costo decisamente minore rispetto alla quercia e una resistenza maggiore. Molto spesso però viene scartato per ragioni estetiche in quanto non presenta una venatura mercata ma anzi gli anelli della pianta appaiono come macchie scure sulla superficie a distanza regolare. Ma in ogni caso la miglior resistenza del materiale è indubbia, anzi, per quanto riguarda il degrado rispetto agli agenti atmosferici è paragonabile al teak (infatti a volte viene sostituito ad esso nelle imbarcazioni).
FIRP - legno lamellare fibro-rinforzato Il FIRP (legno lamellare fibro-rinforzato) è un idea nata da un brevetto americano del 1996 che prevedeva l’aggiunta a normali sezioni di lamellare di uno o più strati di rinforzo in zona tesa, al fine di migliorare la resistenza della sezione lignea che si comporta in maniera isotropa fintanto che rimane in campo elastico ma una volta passato in campo plastico presenta due diversi comportamenti: plastico a compressione e fragile a tra-
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imm. | Sezioni di travi in legno lamellare di bambĂš
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zione. Il rinforzo in zona tesa serve appunto ad evitare la rottura fragile delle fibre legnose così da poter usare la riserva di resistenza data dalla plasticizzazione della sezione compresse. In buona sostanza la sezione a compressione resisterebbe ancora, ma la trave collassa per rottura fragile a trazione, impedendo che questo si verifiche si riesce ad aumentare notevolmente la resistenza della trave, fino a poter diminuire a parità di carico il 30% dell’altezza della trave (il guadagno percentuale che alcune aziende propongono è anche maggiore, fino al 42 %). Il rinforzo utilizzato viene sostituito ad una lamella in zona tesa, si predilige la penultima cosi da avere un’altra lamella (3-5 cm) di protezione da agenti atmosferici che da umidità nonché da incendi. Il posizionamento va sempre effettuato in zona tesa quindi è necessario avere già presente lo schema statico della struttura in fase di realizzazione (questo è uno dei motivi che ne vincolano l’utilizzo). La fibra si comporterà un po’ come l’acciaio nelle costruzioni in cemento armato e come esso sarà disposto nella sezione; unico accorgimento è che anche se la zona tesa è limitata la fibra deve comunque essere disposta su tutta la lunghezza della trave. Originariamente si era pensato di utilizzare barre o fibre metalliche come rinforzo CFRP, ma più recentemente si è abbandonata questa strada per via di una sorta di rigetto del legname nei confronti dell’acciaio nonché di una durabilità scarsa e di una connessione non ottimale. Quindi ad oggi si prediligono fibre, fibre di carbonio CFRP, fibre di vetro GFRP, aramide AFRP e sintetiche miste GFRP+AFRP, CFRP+AFRP, etc. Gli adesivi utilizzati per l’incollaggio tra FRP-legno rivestono un ruolo importante nel trasferire sollecitazioni tra due materiali caratterizzati da differente rigidezza, composizione chimica,
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imm. | 1- Lamellare rinforzato con lamine 2- lamellare rinforzato con fibre 3- lamellare rinforzato con barre; a- sezione non rinforzata b- rinforzo singolo esterno c- rinforzo singolo interno d- rinforzo doppio interno e- rinforzo singolo compresso e teso; Valori di resistenza a trazione e compressione di lamellare fibrorinforzato a seconda della disposizione del rinforzo
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compatibilità con le resine e comportamento termoigrometrico e meccanico. Essi sono essenzialmente a base epossidica o resorcinica, o fenolica. I due tipi di rinforzo che sembrano garantire la maggior durabilità sono quelli in carbonio e fibra di vetro, al momento il problema principale del prodotto è appunto la cessione tra il rinforzo e la struttura lignea, ma sono in corso numerosi studi, da parte di diverse università come la Civil Engineering, Nanjing Forestry University in Cina e quella di Palermo in Italia. Come limite all’utilizzo del prodotto quindi per ora si è evidenziata solamente l’usura in climi marittimi e salmastri, per questi climi è preferibile un adeguata schermatura delle strutture. Al momento le principali ditte produttrici si trovano in Nord America ed usano legno di abete rosso, il processo industriale è il medesimo e non richiede altri macchinari rispetto a quello di una normale trave lamellare, in quanto il rinforzo viene semplicemente incollato a caldo come una qualsiasi lamella (con unica differenza il tipo di colla).Questo rende il prodotto molto versatile e dai costi relativamente contenuti, infatti una trave il FIRP costa soltanto il 7% in più di una trave normale (la differenza di costo è quasi tutta imputabile all’alto costo del materiale di rinforzo). Il costo maggiorato del 7% circa (dati forniti da American Laminated) è comunque reintegrabile con la riduzione della sezione e la conseguente diminuzione di peso del legname sulle sottostrutture. Al momento la commercializzazione del FIRP è limitata al Nord America e poco diffusa in Europa, anche per questo l’uso di questa tecnologia è limitato alle sole conifere (abete e pino) ma po-
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tenzialmente è applicabile ad ogni essenza lignea; anzi le specie che hanno un buona resistenza a compressione (come latifoglie o bamboo) hanno un guadagno maggiore nell’uso di questi rinforzi. Anche per questo negli ultimi anni si sono avviati studi per applicare la tecnologia fibrorinforzata al lamellare di bamboo. Test sono stati effettuati dal Civil Engineering, Nanjing Forestry University e sebbene ancora non vi sia una commercializzazione di questo materiale e i test continuino, i risultati sembrano molto buoni. Quindi il fibrolamellare di bambù pare senza ombra di dubbio un materiale innovativo e con un futuro commerciale ampio sopratutto in quei paesi che ne sono produttori, potenziando ancor più le già ottime caratteristiche del lamellare di bamboo.
Cuscini in ETFE L’Etilene TetrafluoroEtilene (ETFE) è un fluoropolimero, ovvero un polimero (una macromolecola costituita da una catena di molecole uguali), che contiene atomi di fluoro. La molecola di base è l’Etene, il più semplice degli alcheni, idrocarburi insaturi aventi un doppio legame covalente tra due atomi di carbonio. La sua formula chimica è C2H4. Un materiale plasticoprogettato per avere un’alta resistenza alla corrosione in un ampio spettro di temperature(L’ETFE è anche noto con i marchi commerciali “Tefzel” di DuPont, “Fluon” della Asahi Glass Company e “Texlon” di VectorFoiltec). È una plastica trasparente, più leggera (pesa l’1%) e più resistentea trazione (42 N/mm quadrato) del vetro e di altri materiali plastici trasparenti. Rispetto al vetro, è più isolante e più semplice ed economico da installare, inoltre è riciclabile al 100%.
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imm. | Schema di funzionamento di cuscini a tre strati in ETFE
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La principale caratteristica dei polimeri fluorurati, e in particolare dell’Etfe, risiede nel fatto che gran parte dei legami chimici presenti è di tipo C-F (Carbonio-Fluoro), uno dei legami covalenti a più alta energia. Ne consegue che le molecole sono molto stabili, in grado di sopportare alti livelli di sollecitazione termica ed aggressione chimica, più di quanto riescano altri polimeri. Il materiale è praticamente inattaccabile a livello chimico, e non risente minimamente dei danni subiti dai materiali plastici esposti ai raggi UVA, edifici trentennali coperti in EFTE stanno a dimostrare la sua resistenza e durabilità nel tempo (in ogni caso la ricostituzione di un eventuale pannello danneggiato è molto veloce essendo ogni sezione del tetto indipendente). La forma a cuscino e le proprietà chimiche superficiali, che non permettono l’adesione di agenti inquinati e altre sostanze, lo rendono praticamente un materiale auto-pulente. Al contrario della costante pulizia necessaria per il vetro la semplice pioggia vale a pulire i pannelli di copertura che poi scaricano la precipitazione sugli appositi supporti di alluminio estruso che fanno da montante al pannello e si innestano su di una struttura portante rigida. Nella sua tipologia “chiara” il foglio singolo fa passare il 95% della radiazione luminosa, e circa l’82% di quella termica e dei raggi UVA, ma nel caso di cuscini pneumatici, (montati sgonfi riempiti alla pressione di esercizio mediante apposite valvole) questi valori possono variare molto a seconda di tre diversi fattori: innanzitutto il numero degli strati che fa diminuire le percentuali sopra indiate portandole a valori per luce incidente del 70% (l’aumento del numero di strati fa deflettere maggiormente la
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imm. | Fase di montaggio dei cuscini in ETFE in copertura della Allianz Arena
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luce grazie anchealla curvatura dei fogli esterni); permette la realizzazione di camere d’aria separate, cosi da minimizzare a convezione naturale e di conseguenza la trasmittanza, come i pannelli a 5 strati e con camere d’aria di un certo spessore posso arrivare a valori di R di circa 1.18 W/mqk (valori equiparabili a 3.5 di un buon isolante con un λ di 0.03, isolante utilizzato in solai e pareti). La riduzione della radiazione luminosa dipende essenzialmente dall’incidenza del raggio luminoso, che essendo posto su di un tetto in contro pendenza, ossia inclinato verso nord, ha un angolo molto grande e quindi una buona rifrazione. Più l’angolo si distacca dai 90° maggiore è la riflessione. Inoltre è possibile diminuire i valori di permeabilizzazione dei raggi solari, mediante stampe e colorazioni opache sulla superfice esterna (in genere bianco opaco) in modo da gestire la radiazione luminosa come meglio si preferisce. Alcuni esempi di edifici costruiti con questa tecnologia sono l’Allianz Arena a Monaco di Baviera (stadio dell’omonima squadra di calcio) e lo Water Cube di Pechino (piscina realizzata per i XXIX giochi olimpici). Entrambi questi ambienti sono situati in climi molto freddi, ulteriore prova delle favorevoli caratteristiche anche in regime invernale di questo materiale. Sopratutto per quanto riguarda la copertura della piscina a Pechino è quanto mai necessario che questo ambiente sia ben isolato data la grande differenza di temperatura tra interno ed esterno (l’acqua della piscina deve essere tra 25 e 28 gradi) perciò la totalità della copertura della vasca principale è affidata a grandi pannelli in EFTE.
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Cemento additivo idrorepellente Per quanto riguarda la fondazione che insiste sul lato sud dell’edificio, questa presenta la duplice funzione di sostegno dell’edificio e di argine artificiale per il fiume. Dato il terreno scosceso si è proceduto con l’infissione di pali tipo tubofix nel fondale per creare un piano solido su cui andare a posizionare lo zoccolo di fondazione (avendo cura di far rimanere la base del cordolo sotto il fondale così da evitare il dilavamento, posizionando poi un blocco in cemento prefabbricato che impedisca ulteriormente lo scavo dell’acqua). La fondazione così ottenuta sta per circa la metà della sua altezza immersa in acqua (con altezza variabile). Questo stato assimila la struttura ad un pilone di un ponte o ad una parete di una diga per quanto riguarda sollecitazioni e erosine, per questo oltre alla sua massività è necessario addittivare il calcestruzzo utilizzato per il getto con componenti che ne riducano la porosità e la conseguente permeabilità. Ad esempio si può utilizzare l’Hydrobeton della Draco, additivo impermeabilizzante di massa per calcestruzzo ad azione cristallizzante, una polvere da attivare al normale impasto di calcestruzzo nelle quantità di 1.5-2.5 kg ogni 100 kg di impasto che ha la funzione di riempire i pori del cemento. Il prodotto è consigliato per la realizzazione di cisterne gallerie e piscine ed è garantito per acque a pressione. I vantaggi sono i seguenti: • • • A/C. • •
Ottima impermeabilità del conglomerato cementizio. Migliorata resistenza ai cicli di gelo e disgelo. Incremento delle resistenze dovuto al minor rapporto Migliore plasticità e lavorabilità dell’impasto. Minori tempi di vibrazione.
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• Riduzione del ritiro rispetto a un pari conglomerato non addittivato. • Minore affioramento d’acqua. Esistono poi un infinità di altri prodotti addittivanti di svariate marche, con proprietà similari, ma tutti questi sono da considerarsi per un getto a secco ossia dopo aver diviso l’area interessata con sbarramenti, in alternativa se il caso lo prevedesse è possibile pensare all’utilizzo di additivi per il getto direttamente in acqua.
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