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Strategie - Aro

I pionieri dell’etichetta multi-output vincono la sfida del quality matching

Con tre società, oltre 100 dipendenti e un ruolo attivo nelle associazioni di settore, Aro sceglie Pico ColorBOX per efficientare il proprio reparto di prestampa

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di Lorenzo Villa // lorenzo@densitymedia.com

Il reparto di stampa digitale di Aro

Oltre che un onore, per la sua militanza tra gli opinion leader del label converting europeo (è stato presidente di GIPEA ed è membro della community FINAT), un incontro con Alberto Quaglia è un’occasione preziosa per comprendere l’andamento di questa industria. «Il nostro è ancora un mercato molto frammentato – attacca senza indugi il giovane direttore generale di Aro SpA – basti pensare che in Italia ci sono circa 500 etichettifici e che GIPEA, con i suoi ottanta associati, copre l’80% del mercato in termini di volume. Abbiamo un numero altissimo di operatori che non arrivano al milione di euro, una fascia molto ristretta attorno ai dieci e una manciata di aziende che supera i cento collaboratori e fattura tra i venti e i trenta milioni». Inutile dire che la sua Aro si trova in quest’ultima fascia e rappresenta da decenni un riferimento per il settore, sia in termini tecnologici che di mercati serviti.

La workstation ColorBOX installata nel reparto di prestampa di Aro

Acquisizioni e differenziazione, per competere e crescere

Dall’alimentare al beverage, dalla chimica ai beni durevoli, fino a settori iper esigenti come il farmaceutico e la cosmesi. I principali clienti di Aro sono per lo più multinazionali e grandi brand della GDO, ma l’azienda varesina ha ampliato il livello di offerta per essere sempre più appealing e capillare verso le piccole e medie imprese, arrivando ad esempio a sviluppare una gamma di prodotti specifici per i microbirrifici, che includono etichette, gadget e addirittura soluzioni di packaging personalizzato in cartoncino teso e sleeve. «Siamo sempre stati un converter sui generis – ci spiega Quaglia – ARO è stata fondata da mio padre nel 1977 come produttore di rotoli per registratori di cassa e dopo pochissimi anni, complice una presenza molto forte nella GDO, abbiamo affiancato le etichette per il confezionamento e quindi soluzioni per la logistica». Una premessa che lascia intuire la velocità d’azione della famiglia Quaglia, che in pochi anni ha prima messo a segno l’acquisizione di Marchitalia e poi finalizzato la partecipazione al capitale di Mida Etichette. E che in tempi più recenti ha dato vita a progetti imprenditoriali innovativi, come quello di Mall Consulting. La newco, dal nome evocativo, che ha proiettato il gruppo Aro nel campo della gestione completa dei processi di etichettatura, dalla consulenza alla stampa, dalla tracciabilità alla logistica. Ma una realtà così importante e diversificata non esisterebbe se, alle intuizioni dei suoi titolari, non avesse progressivamente affiancato investimenti in tecnologie innovative.

Un’operatrice al lavoro sulla workstation ColorBOX in uso presso la prestampa centralizzata del Gruppo Aro

Dalla serigrafia piana alla flexo, da HP Indigo all’inkjet

Se la stampa, intesa come forma di decorazione evoluta, non era il tema chiave all’inizio della storia di Aro, i quattro decenni successivi hanno cambiato radicalmente la situazione. «Il nostro background tecnologico era legato alla flexo, ma l’acquisizione di Marchitalia nel 2003 è stata determinante nella nostra evoluzione nel campo del printing – chiarisce Quaglia – quell’azienda operava nella serigrafia industriale a foglio e a bobina, e ci ha permesso di spostarci dal food e dalla logistica verso l’etichettatura industriale, sia in grandi volumi che a livello prototipale. Così abbiamo iniziato ad avere un pensiero duplice e a governare problematiche diverse». Un tour dei 7.000 m2 coperti dello stabilimento Aro di Cavaria, in effetti, rendono l’idea della straordinaria diversity che caratterizza la produzione aziendale e della volontà di soddisfare in modo innovativo ed ecosostenibile le esigenze più disparate. Nell’area della prestampa flexo, basata su hardware Esko e sulla tecnologia di esposizione DuPont Cyrel, convivono processi tradizionali con nuovissime stampanti inkjet UV-curable Mimaki, utilizzate per la produzione di etichette ultra-specialistiche in piccoli lotti, e sistemi di fustellatura e cordonatura digitali Esko Kongsberg. «Oggi siamo in grado di realizzare mockup e prototipi tridimensionali di packaging, completamente vestiti con etichette di qualità, pronti in poche ore per presentazioni e test di mercato». Ma solo pochi metri più in là a farla da padrona è l’enorme capacità produttiva garantita dalle linee flexo, cui si affianca il sito produttivo di Mida. Entrambe le aziende, poi, impiegano linee di stampa digitale a bobina HP Indigo WS6000, e sistemi di converting digitale Labelmaster di SEI Laser. «Investiamo in nuove tecnologie digitali, che ci danno flessibilità e capacità di rispondere rapidamente – dice Quaglia – ma parallelamente immettiamo nuova capacità produttiva flexo, con cui stampiamo alti volumi di carta, cartoncini, materiali plastici adesivi e non, accoppiato e tanto altro».

Il reparto di produzione dei polimeri flexo, equipaggiato con tecnologie Esko e DuPont Cyrel

Tra analogico e digitale, coerenza qualitativa e cromatica sono un must

Se già nella stampa a foglio è a volte complesso ottenere un perfetto matching cromatico e qualitativo tra l’offset e gli engine digitali basati su tecnologie inkjet, a toner in polvere e a toner liquido, in aziende dove convivono processi sheet-fed e web-fed questa sfida rischia di trasformarsi in un incubo. Non è casuale che nel mondo labels il tema inizi solo ora ad essere dibattuto con più insistenza a seminari e convegni. Al pari dei più grandi label converter, anche in Aro la coesistenza di differenti sistemi di realizzazione delle forme da stampa, costruzione digitale dell’immagine, retinatura, inchiostrazione con calamai offset o rulli anilox, con l’aggravante di una produzione ripartita su più stabilimenti, genera una quantità di variabili impressionante. Per questo Alberto Quaglia e il suo team hanno avviato già da anni un processo di scouting tecnologico tra i propri fornitori, ultimamente sfociato in un ambizioso progetto di consulenza, testing e validazione capitanato da Stefano D’Andrea. Un percorso che ha portato a identificare come soluzione elettiva Binuscan, un brand che oltre 25 anni fa è stato l’apripista nella correzione automatica del colore nelle arti grafiche e nell’editoria. Una soluzione che in anni più recenti molti hanno considerato sovradimensionata, ma che oggi – complici le accresciute esigenze qualitative, la pressione sui costi operativi e la complessita dei workflow – sta guadagnando rapidamente consensi. A trasformare il geniale algoritmo elaborato da Jean-Marie Binucci in una soluzione di successo è stata l’emiliana Pico, che grazie a tecnici esperti come Marco Tunesi ha introdotto sul mercato ColorBOX, un hardware compatto che integra il CMS Server di Binuscan e la tecnologia IPM Service per il ricampionamento delle immagini. Ma il merito è anche di dealer capaci di comprendere e portare sul mercato prodotti più complessi da spiegare, ma infine fortemente differenzianti, come Magnetic Media Busto Arsizio. ColorBox è oggi installata presso la prestampa di Mida Etichette, ma ogni giorno processa centinaia di file per tutto il gruppo Aro, garantendo risultati equalizzati su tutte le tecnologie di stampa. «ColorBox ci ha permesso non solo di linearizzare l’output su tutte le linee di stampa analogiche e digitali – conclude Quaglia – ma ci ha consentito di esprimere al massimo le performance qualitative di quelle attrezzature, come HP Indigo, il cui gamut cromatico può andare di misura oltre i risultati dell’offset e della flexo».

Le nuovissime stampanti inkjet Mimaki UJF impiegate per la prototipazione e la produzione su materiali speciali

Intervista ad Alberto Quaglia Direttore Generale, Aro SpA

“Avevamo produzioni di lastre, macchine, chimiche e interpretazioni diverse sia della quadricromia che delle tinte piatte. Così abbiamo iniziato un percorso per ottimizzare l’output su tutte le macchine.”

Cosa vi spinge a differenziare e innovare costantemente?

Per aziende come Aro, stare fermi è un rischio incalcolabile. Lo era vent’anni fa, e lo è ancora di più oggi. Le acquisizioni, l’ingresso in nuovi territori e l’investimento in tecnologia sono comunque parte del nostro DNA. Ultimamente, ad esempio, abbiamo scelto di investire di più nella nostra immagine, dotandoci di strumenti di marketing e comunicazione evoluti.

Più un vezzo o una necessità?

Lo facciamo per vari motivi. Il principale è riuscire a parlare lo stesso linguaggio dei nostri clienti, per lo più multinazionali in settori come il food, la cosmesi e l’industria. Come si fa a presidiare efficacemente tanti mercati? Il nostro vantaggio è sempre stato quello di non essere mai troppo specializzati, di saper trasferire le competenze con cui approcciamo un settore agli altri. Arrivando dal food, ad esempio, abbiamo sempre seguito regolamentazioni stringenti e per questo non abbiamo mai spento la flexo base acqua, che oggi si sta trasformando in uno strumento formidabile e sicuro.

Come vedi la crescita del digitale e le soluzioni ibride?

Faccio ancora fatica a concepire l’ibrido come strumento di produzione, essenzialmente perché il nostro cliente non è ancora abituato a progettare il packaging per la stampa ibrida. Il digitale ha fatto enormi passi in avanti, soprattutto con l’inkjet, tuttavia l’analogico ha ancora dei plus oggettivi se lavoro con tinte spot Pantone e metalliche, o effetti che riprodurre in digitale è ancora complicato. Credo che le tecnologie digitali oggi sul mercato siano oggi complementari tra loro. Noi, per esempio, abbiamo HP Indigo, che sfruttiamo moltissimo per le produzioni personalizzate.

Fin dove si può personalizzare?

Fin dove i clienti ce lo permettono: il dato variabile è un’opzione straordinaria, che il marketing di molti brand ancora fatica a comprendere. Solo quando il digitale non sarà più un ciclostile per pochi pezzi, avremo fatto un passo da gigante.

Quanto è importante equalizzare gli output?

Riprodurre colori di processo e spot su diverse attrezzature non era più una criticità da parecchi anni, ma da quando ci siamo integrati con Mida i problemi hanno iniziato a crearsi: avevamo produzioni di lastre, macchine, chimiche e interpretazioni diverse sia della quadricromia che delle tinte piatte. Così abbiamo iniziato un percorso per ottimizzare l’output su tutte le macchine, ma con due sfide aggiuntive: esaltare il risultato delle macchine che potevano di spingersi oltre un certo gamut, e aderire alle varie normative ISO per la flexo e le altre tecnologie.

Con quali vantaggi pratici?

L’idea era poterci presentare ad un cliente con uno stampato classico, rispettoso delle densità, delle cromie e dei Pantone. Ma anche poterci spingere a realizzare un progetto di packaging completo, dove il colore dell’etichetta è uguale al tappo in litolatta, alla scatola in cartone teso o al pack in plastica.

Come siete arrivati a ColorBOX?

Tutto è nato dalla collaborazione con Magnetic Media Busto Arsizio, un fornitore e un partner competente. Tra i temi che ci hanno attratti c’è stato ad esempio il risparmio nel consumo di inchiostri, che supera il 10%, che ci vede sensibili non solo per ragioni economiche ma anche di sostenibilità. Inoltre volevamo semplificare la vita ai nostri stampatori. Spesso l’interpretazione del RIP genera inutili sovrapposizioni di colore: un nero sotto ai colori di rinforzo, ad esempio crea problemi di asciugatura e a volte può pregiudicare l’adesione su certi materiali. Binuscan cancella usi e consuetudini sbagliati, ma radicati nei processi di trattamento dei file.

Non vi ha spaventati una soluzione così poco diffusa?

Binuscan e Pico hanno una certa seniority. E poi nel mio settore di matrimoni poco scontati ne ho fatti parecchi, specie quando ho reputato una tecnologia innovativa e funzionale in quel preciso nel momento. Dare fiducia a progetti pionieristici ricade nel rischio d’impresa e a volte ti dà qualche chance in più. In questo caso, poi, non vedo alcuna instabilità quanto piuttosto la continuità di una visione tecnologica solida e originale.

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