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8.3. Il “design” di un possibile schema di governance patrimoniale
territorio riconosciuta –nel suo insieme materiale ed immateriale- ne sviluppa ed attiva particolari cifre ed elementi secondo un intento di progetto finalizzato all’abitare o al (ri)abitare il patrimonio stesso ed i luoghi (Berg e Dasmann, 1977). Si delinea peraltro a questo punto, e certo ciò non è casuale, un modello interpretativo/ progettuale del concetto di Patrimonio Territoriale non dissimile dal concetto di “fondo” (Choay, 1995; Becattini, 2015, pp. 111-115), definito da Georgescu Roegen nel modello fondi-flussi nello studio bio-economico del processo produttivo economico tout court . (Georgescu Roegen, 1971)1. Un modello in cui il patrimonio territoriale, come fattore riproduttivo è al tempo stesso generativo di senso dei luoghi e di appartenenza che supporta la resilienza del territorio stesso (Fabbricatti et al. 2020).
8.3. Il “design” di un possibile schema di governance patrimoniale I concetti e fondamenti teorici appena illustrati evidenziano alcuni aspetti di grande interesse relativi alla interpretazione delle condizioni di legittimità e possibilità del progetto esito del nostro lavoro. In particolare esse evidenziano la qualità dinamica del processo di patrimonializzazione che di fatto rimanda, quando si parla di ambiente insediativo, al requisito di una “azione progettuale” e costruttiva articolata nel tempo e caratterizzata da una dimensione “corale” di concorso di attori e risorse non riconducibile ad un singolo atto o elemento. In un recente contributo di ricerca (Boissenin, 2020) tale complessità dell’azione progettuale di patrimonializzazione è stata esplorata, nella prospettiva del progetto di architettura, attraverso casi studio in due diversi contesti europei riferiti in particolare al recupero di insediamenti e manufatti di “aree interne” e “fragili”. Tale lavoro ha di fatto sviluppato un modello interpretativo/valutativo del processo di patrimonializzazione che, a partire da un quadro teorico in gran parte coerente e riferito alle considerazioni descritte in precedenza, permette di rilevare la centralità della attivazione di “collettività” (collectifs) come fattori determinanti in relazione alla natura e successo del processo di patrimonializzazione. Oltre a tale esito la ricerca evidenzia come il progetto di ri-abilitazione/ri-abitazione dei luoghi e dei loro manufatti debba articolarsi di necessità secondo alcune specifiche fasi che di fatto configurano una metodologia di intervento.
1 Nella teoria di Georgescu Roegen, infatti, il “fondo” -da non confondere con il concetto di stock- rappresenta al tempo stesso la struttura materiale e regolativa/cognitiva del processo di produzione -costituita al livello più basico da terra, capitale, lavoro- rispetto al quale gli input e output di flusso sono trasformati, ritenuti, ed elaborati. Il fondo si avvale dei flussi come input, li genera come output ne è in parte costituito ma non si identifica mai del tutto con essi, e se non utilizzato declina e si estingue come fattore morfogenetico, organizzativo e riproduttivo.
In estrema sintesi, rispetto a quanto sviluppato in maniera molto estesa nella ricerca citata (Boissenin, 2020, cit., pp.461-494), le fasi che di fatto risultano cruciali nel “design” e sviluppo del processo di patrimonializzazione, sono tre: • azione progettuale “di innesco”: essa è esito di una domanda ed intenzionalità che riguarda il bene o dotazione patrimoniale specifica, di cui possono essere portatori attori pubblici o privati, generata da una esigenza, spesso implicita, di modificazione e rigenerazione desiderabile del “quadro di vita” cui aspirano, anche in forma implicita, gli attori stessi. Il ruolo dell’attore pubblico risulta fondamentale in questa fase per cogliere le potenzialità del patrimonio e favorire, sollecitare ed ampliare “coalizioni di attori” intorno al progetto tramite; • costruzione progressiva e “design” di un soggetto collettivo (collectifs) di attori “territorializzati” “agenti” del progetto; questa è la fase in cui il progetto iniziale diviene lo sfondo per l’ampliamento possibile dell’insieme di attori, pubblici e privati che, attraverso il progressivo affinamento e condivisione delle finalità del progetto stesso, si aggregano, introducono nuove competenze e risorse per il rafforzamento e messa in opera del progetto stesso. Da questo punto di vista è decisivo l’effetto di “ridondanza” (Landau, 1969) che l’arrivo di nuovi attori reca al processo stesso, in quanto aumento di possibilità, idee, attività che rendono il progetto più resiliente e flessibile rispetto ai cambiamenti contestuali che possono avvenire nel tempo. Dunque la ridondanza come caratteristica, in analogia con il modo della vita, risulta “…non necessaria per il funzionamento del sistema ma indispensabile per la sopravvivenza a lungo termine” (…), in qualche misura assimilabile allo stesso valore di esistenza di alcune dotazioni patrimoniali (Boissenin, 2020, cit., p. 320). Progressività dell’azione progettuale e ridondanza non sono le uniche qualità che emergono come cruciali in questa fase. Insieme ad esse emerge, oltre la necessaria visione utilitaristica/funzionale, la dimensione sociale del progetto come espressione di una “visione condivisa”, di un “processo di identificazione collettiva” (Escalera-Reyes, 2020 cit.), di aspirazioni agite secondo un “mosaico di azioni cooperanti” in un orizzonte comune (Kroll, 2001: p. 17) che configura un vero e proprio progetto sociale, non necessariamente sempre esplicito; • La costruzione delle risorse dello sviluppo territoriale: regole strutturali di lunga durata, “ricomposizione” e “ricombinazione” nel progetto di territorio il progetto sociale emergente come piano d’azione condiviso, si confronta in questa fase con la dimensione ed il portato territoriale, materiale e patrimoniale delle proprie intenzionalità.