contiene I.R.
PERIODICO DELLA DIOCESI DI S. MARINO-MONTEFELTRO - NUOVA SERIE - Anno LIX - N. 4 - APRILE 2013 Poste Italiane s.p.a. - Sped. abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - CN/FC - Direttore responsabile: Francesco Partisani
LA NOSTRA CHIESA DI SAN MARINO-MONTEFELTRO VIVE L’ATTESA DELL’ANNUNCIO DEL SUO NUOVO PASTORE
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a nostra Chiesa, senza aver dimenticato il magistero vi per prendere fra le sue braccia la Chiesa che fu dei Sanepiscopale di Mons. Luigi Negri, Vescovo amato di ti Marino e Leo e che l’indimenticabile Arcivescovo Luigi con il suo magistero ha rilanciato e questa Diocesi, dal 3 marzo nella sua nobilitato, operando affinché questa nuova sede Arcivescovile di FerraraDiocesi proseguisse e accrescesse la Comacchio, si stringe in preghiera sua vocazione ad ambire, a pieno titonell’attesa del nuovo Pastore che il lo, ad essere comunità ecclesiale coeSanto Padre Benedetto XVI, fino a posa, ricca di fede, sempre in cammino. chi giorni prima della sua rinuncia, Per questo dobbiamo pregare: per far aveva promesso. Non abbiamo dubbi sì che il Signore, sempre abbondante di che il Suo successore, Papa Francesco, Grazie, ci conceda il nuovo Vescovo. appena avrà definito le questioni più importanti all’interno della Santa SeTutta la Chiesa di San Marino-Montede, saprà darci il successore tanto attefeltro vive l’attesa carica di speranze, so dell’Arcivescovo Luigi. ma anche di ansia, di un annuncio atIl desiderio per tutta la Chiesa sammateso ogni giorno di più. rinese-feretrana di tornare ad avere Più prudentemente diciamo allora che una guida salda è grande ed ogni giordobbiamo anche dimostrare di saper no si chiede quando questo avverrà. attendere con fiducia che il disegno diNon lo possiamo sapere, il disegno dello Spirito Santo si rivelerà quando il tempo sarà giunto ma vino si compia. che ora nessuno conosce. Intanto proseguiamo sulla strada tracciata da Mons. Negri Cosa fare, dunque, si domandano tanti e tanti fedeli? che rimane nel nostro cuore, che non ci dimentica, che apL’unica risposta non può essere che: pregare, pregare per- pena può ci visita dopo averci amato e guidato per oltre ché il Signore quanto prima voglia assecondare il desiderio sette anni indicando sempre, a tutti, la via maestra per cone l’invocazione del presbiterio e dei fedeli della nostra tinuare ad essere Chiesa nel pieno senso della parola. Francesco Partisani Chiesa; perché un nuovo Pastore, buono e illuminato, arri-
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PAPA FRANCESCO
UN MESE FA FRANCESCO
SEI GESTI D’AUTORE: L’INCHINO AL POPOLO, LA CAREZZA A CESARE, L’OK ALLA SUA GENTE, I POVERI NELLA TESTA E NEL CUORE, L’INCONTRO CON BENEDETTO, LA LAVANDA DEI PIEDI AI DETENUTI Un racconto in sei gesti di questo primo mese di pontificato L’INCHINO AL POPOLO Il Vescovo di Roma, come ama chiamarsi Francesco I, non intende i suoi primi passi come l’inizio di un regno ma come l’aprirsi del suo servizio alla Chiesa, a tutto il popolo di Dio in cammino nella storia. Per sottolinearlo, non si presta all’acclamazione trionfale di un monarca ma si china dinanzi ai fedeli riuniti che vuole raccolti in preghiera, perché implorino la benedizione di Dio su di lui: Servo dei Servi nella carità e come tale nella postura del povero. Il primo dei gesti che diranno, nella loro semplicità, che si sta aprendo una stagione nuova: spoglia, orante, diretta e ilare. LA CAREZZA A CESARE Lo sguardo del Pastore scorse fra la folla chi più aveva bisogno di accoglienza, perché sofferente, colpito nel corpo, nella vitalità. Sarebbe bastata una benedizione da lontano, a distanza. Francesco fa saltare il protocollo e la rete di protezione tesagli intorno, si slancia, dimostrando concreMONTEFELTRO tamente quella tePERIODICO DELLA DIOCESI nerezza che vuole DI SAN MARINO -MONTEFELTRO essere il sigillo del NUOVA SERIE suo servizio e che Anno LIX - N. 4 - aprile 2013 impregna tutto il Poste Italiane s.p.a. - Sped. abb. post. suo agire. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Non è pena, dispiaart. 1 comma 1 - CN/FC cere, è qualche coAut. Trib. di Pesaro n. 72 del 3.4.1956 sa di più, di più www.diocesi-sanmarino-montefeltro.it profondo: è compassione, nel suo Direttore responsabile: significato di radiFrancesco Partisani ce, un patire insieDirezione ed amministrazione: me, un non lasciare Via del Seminario, 5 - 47864 Pennabilli (RN) solo chi ha maggior Tel. 0541 913780 bisogno di sapersi Fax 0541 913701 accompagnato. E-mail: partisanimontefeltro@libero.it c.c.p. 8485882
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Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana
Associato alla Federazione Italiana Settimanali Cattolici
L’OK ALLA GENTE
SUA
Il saluto crea una corrente viva di sentimenti, di stati d’animo che si susseguono in cui le
persone si ritrovano, si riconoscono. Troppo spesso tutto è formale, per non mancare all’educazione o, peggio, all’etichetta. Tutto manca di calore, di immediatezza. La mossa di Francesco taglia la prospettiva, costringe ad interrogarsi: quest’uomo non è un demagogo, non conclude un comizio e neppure è un imbonitore che vuole venderti la sua merce. Ti viene incontro perché solo tu gli interessi, tu che con lui stai cercando il Signore della tua vita e della tua vita eterna: nella gioia della fraternità. I POVERI NELLA TESTA E NEL CUORE La nostra gestualità dice chi siamo in quel sottofondo che è la nostra singolarità, talvolta incomunicabile o non comunicata. Quella attuale non attira molto, troppo spesso è insolente o degradante. Il richiamo alla mente ci dice che Francesco non è persona di sola emotività o facili calorosità, è persona di autentica e ferma fede che coinvolge nell’adesione tutta l’umanità con il dono della ragione che ben ci distingue dal regno animale. Fede significa libertà somma, perché il nostro Dio “se è paziente e ci attende sempre” è, in primo luogo, il Dio che rispetta il nostro voler essere liberi. L’INCONTRO CON BENEDETTO È la prima volta, nella secolare storia della Chiesa, che ne abbiamo due: due uomini biancovestiti che nella fede riconosciamo Vescovi di Roma. Incarnano due momenti storici diversi, difficoltà e problemi universali, strettoie e momenti bui. L’uno conclude, l’altro inizia. Certo, se le cose stessero solo così, basterebbe chiudere e non iniziare. Lo sguardo di entrambi però, se per l’uno si è posato e per l’altro si poserà sulla storia dell’umanità e del popolo di Dio in cammino, non trae forza e vigore da se stesso ma da Colui che entrambi guardano e che li guida e li sorregge. Egli li unisce. LA LAVANDA DEI PIEDI AI GIOVANI DETENUTI Il gesto va letto nella sua simbologia, evangelica per di più. Altrimenti rappresenta un non senso assoluto. Francesco non ha voluto che si accorresse a celebrare il mistero del Corpo e del Sangue donato, è accorso lui stesso da chi non avrebbe potuto accorrere, da chi, nella nostra concezione di diritto e giustizia, sconta una pena ed è sotto chiave, mentre invece avrebbe bisogno di essere educato, maturato e crescere nella propria umanità. Non è un gesto scontato, facile ed ineliminabile perché da sempre così si è fatto, è un gesto che richiede consapevolezza e trasuda compassione. Cristiana Dobner
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LA TERZA
“ L’ARTE COME PREDICAZIONE EVANGELICA” Un fatto al mese di Suor Maria Gloria Riva *
Di là verrà a giudicare i vivi e i morti
È il settimo articolo del Credo, quello che chiude definitivamente la grande parabola narrativa apertasi con l’affermazione: «Io credo in Dio Padre Onnipotente.» L’immagine di Cristo che siede alla destra del Padre, asserzione del VI articolo del Credo, sigilla l’opera redentrice del Verbo. Colui che aveva lasciato il Padre, accettando il dramma dell’Incarnazione per amore degli uomini, è tornato al Padre con quella gloria che aveva presso di lui prima che il mondo fosse.
Da quel Cielo ritornerà non più nell’umiltà della Carne ma nella sua gloriosa potenza. Lo sguardo gettato al futuro del settimo articolo del Credo è una sorta di cerniera tra la rivelazione compiuta con la morte dell’ultimo apostolo (Giovanni, tradizionalmente ritenuto l’autore del libro dell’Apocalisse) e la vita della Chiesa, la parusìa. Questo articolo, come è stato ribadito da alcuni documenti pontifici post conciliari, è quello che accomuna ebrei e cristiani. Anche noi aspettiamo il Cristo che verrà nella sua gloria e, in fondo, tante spinte millenaristiche, tante previsioni apocalittiche a cui anche le presenti generazioni sono state abituate, benché infondate, rimangono un forte richiamo a questa attesa che quando si assopisce nel cuore degli uomini non crea buone cose.
Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora la fede sulla terra? Ricordo che la mia nonna paterna (la cui nascita datava 1889) era intimorita e quasi, se non fosse stato per la sua incrollabile fede, scandalizzata da quest’asserzione del Cristo. Certo ben più dei nostri avi noi capiamo il drammatico realismo di questa domanda di Gesù. Nel corso di meno di un secolo la secolarizzazione ha inghiottito intere generazioni svuotando del senso religioso legislature, modi comportamentali, cultura di massa. I mezzi di comunicazione sociale sono spesso i protagonisti di questa avanzata dissacrante.
Sfogliando però ingialliti libri di storia, scartabellando fra le pagine più antiche della storia dell’arte ci si accorge che simili tempi burrascosi e avanzate secolari-
stiche sono da sempre in atto e sono state acutamente avvertite dal popolo cattolico. Pensando a un’immagine di riferimento per questo settimo articolo mi sono imbattuta in un’opera di Bosch, autore a me caro, intitolata: Trittico del Giudizio Universale. Il primo pannello del Trittico, la creazione di Eva, punto culminante dell’opera creatrice di Dio, e in un secondo piano la inesorabile caduta dei progenitori nel peccato. Il terzo pannello poi, mostra la distruzione totale della creazione affondan-
H. Bosch, Trittico del Giudizio Universale
dola dentro a una oscurità infuocata e caotica, che noi siamo soliti definire Inferno. Bosch insomma disegna una parabola che passa dall’Ordine al Caos; da un mondo uscito immacolato dalle mani di Dio fino alla distruzione totale dello stesso. Al centro di questi due poli sta, come una sorta di balance obbligatorio, il momento del giudizio, l’attimo cioè in cui Cristo, tornando sulla terra, la coglie nel suo presente più realistico e oggettivo possibile. Ciò che sorprende è che nessuno, ma proprio nessuno per Bosch, sembra avvedersi del suo apparire.
Nella parte più alta del dipinto, il Cielo risplende di un azzurro limpido e tersissimo e contrasta volutamente con l’oscurità che domina invece sulla terra. Nel cielo i dodici apostoli, quasi velato riferimento ai dodici articoli del credo, la Vergine Maria e san Giovanni Battista con la palma del martirio, implorano Cristo quasi per scongiurare l’inevitabile giudizio. Sullo sfondo quattro angeli, gli stessi descritti nell’Apocalisse, suonano le trombe annunciando l’ora del giudizio universale. Sotto invece la sciagura di un’umanità che, incurante dell’annuncio, persevera nel male. La critica vede già, in questo pannello centrale, l’anticamera di quell’inferno che si trova nel terzo pannello. Erik Larsen uno dei critici di Hieronymus Bosch addirittura afferma che nella concezione di Bosch: «Padre e Figlio non incarnano l’amore bensì sono gli esecutori di una giustizia severa, quasi mosaica». Benché a Bosch, pienamente figlio del suo tempo, non fosse estranea l‘idea del giudizio come castigo egli, in questo pannello centrale, vuole indicare il livello di abbruttimento cui si condanna l’umanità quando, volontariamente, si allontana da quei dettami che già nel giardino dell’Eden le erano stati consegnati. Per comprendere appieno il significato dobbiamo tornare al concetto originario della parola gryllos nel Medioevo (e tardo Medioevo). Da Plinio il vecchio conosciamo che il termine grillo (dal greco gryllos, cioè porco) fu utilizzato nel 300 a.C. dal pittore egiziano Antifilo per indicare figure umane grottesche e con sembianze porcine. Da qui poi, il vocabolo grillo fu esteso a designare ogni sorta di essere strano con testa grossa appoggiata su arti sproporzionati. Il mondo che Cristo trova al suo ritorno è dominato da grilli, da creature cioè mostruose che insidiano l’uomo e, talora lo soggiogano. Del resto lo storico dell’arte lituano Jurgis Baltrušaitis, nel suo saggio dal titolo Il Medioevo fantastico scrive: «Nell’ultimo atto della storia del mondo il grillo è uno degli attori principali». Continua a pag. 4
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Da questo punto di vista, anche pensando alle strane mire della manipolazione genetica, così osannate da gran parte dei nostri contemporanei, la modernità – anzi di più la portata profetica – di un’opera come quella di Bosch è impressionante. I grilli di Bosch sono associati al demoniaco consapevole, più consapevole dell’uomo del caos che si genera nella storia. Nei suoi dipinti sono loro i veri protagonisti della scena, come appunto in questo giudizio finale. Guardiamo più da vicino le piccole scenografie narrate nella parte più bassa della tela.
Il primo grillo è il re della lussuria: sopra il tetto piatto di un caseggiato collocato alla sinistra del dipinto, un drago adesca una giovane donna nuda, attorniata da un serpente. Questa donna, che potrebbe apparire in un primo tempo una vittima, è in realtà un tutt’uno con il drago che le soffia da dietro, prova ne è il fatto che il musico dai tratti scimmieschi che le sta davanti la teme e si fa scudo per proteggersi con il suo mandolino. Vengono alla mente certe scene anche recenti, in cui il cosiddetto sesso debole fa uso della nudità del suo proprio corpo, per intimorire le masse e gli uomini esercitando di fatto un potere su di essi. Bosch preconizza, qui, il dominio della donna sull’uomo proprio attraverso la forza di attrazione della lussuria. Tuttavia anche la donna è una vittima perché vero protagonista della scena è il grillo dal vistoso copricapo rosso, simile alla mitria bizantina. Egli non pontifica certo la fede, come avvertono i due dischi di metallo che gli spuntano dalle tempie, ma è all’origine di quella febbre orgiastica verso la quale guarda e che Bosch simboleggia mediante un’enorme macina guidata da uomini nudi e da una sorta di macinino, il quale pure sforna in continuazione corpi denudati. Se questo grillo amministra un potere che pretende di elevare l’uomo (il piacere sessuale comporta l’illusione di una elevazione verso l’alto), più sotto un altro grillo amministra un potere più terreno e, quindi più materiale. Proprio all’ingresso della struttura dal tetto piatto un terzo grillo, dalla testa enorme munita di elmetto con un volto cinereo e le gambe coperte da un’armatura, cavalca un pesce grosso che sta per inghiottire un pesce più piccolo. È l’eterna lotta delle mafie e delle massonerie tese a dominare il mondo attra-
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DALLA TERZA
verso il controllo spietato dei giochi di potere, giochi che esse stesse suscitano per poter gettare scompiglio e rendere fragile qualunque sistema di governo. Anche qui abbiamo il musico che abbandona il suo mandolino per trafiggere, con un attrezzo da contadino, un povero malcapitato orante (forse un rappresentante della setta degli adamiti verso la quale si dice Bosch nutrisse delle simpatie). Il drappo rosso sopra il quale sta la vittima e il modo di impugnare l’attrezzo da parte del musico fanno pensare a una sorta di bandiera, simbolo di un potere che non ammette confronti. Bosch denuncia qui come, in quell’ultimo giorno, ogni forma di religiosità pubblica sarà vietata e pagata con la vita.
Ma il più grottesco di questi grilli umani lo possiamo vedere lì a due passi. Si tratta di una enorme testa d’uomo con un fazzolettone da comare che cammina sopra due piedi altrettanto grandi. Bosch descrive così il grillo della maldicenza, tutta testa e piedi: il suo giudizio, infatti, non ha corpo, ma percorre molta strada. Non per nulla egli cammina dietro a dei condannati a morte, trafitti mortalmente dalle frecce dell’ingiuria, e portati in trionfo come trofeo della propria calunniosa vittoria. Ahimè, qui gli esempi si sprecano e basterebbe pensare a come i veri processi, più che la magistratura, siano fatti oggi dai mezzi di comunicazione sociale i quali influenzano senza criterio l’opinione pubblica, sfornando ogni anno numerose vittime innocenti.
E le sorprese di Bosch non hanno fine. Se noi emancipati uomini del 2013 pensavamo di aver toccato l’apice della scienza che liberamente domina etica e pensiero ci sbagliavamo di grosso! Nelle fiandre del 500 la battaglia in tal senso era già iniziata. Lo dice un altro grillo boschiano che troviamo seguendo il percorso della maldicenza. È il grillo nascosto nell’uovo. Un uovo rampante che si barcamena fra gli uomini con stivaletti di cuoio rosso e una freccia piantata in corpo. Questo grillo (che portando la forma dell’uovo, simboleggia la vita), dice la volontà folle da parte dell’uomo di violare la vita nelle sue origini. Dove questo grillo passa non c’è più uomo né donna, ma tutto si mescola in un mostruoso carosello di volontà di potere, questa volta non sulla sessualità semplicemente, e neppure su un potere di origine temporale, ma sull’essenza della vita stessa e della sua origine.
Il carosello si chiude con due grilli straordinariamente eloquenti. Il grillo azzurro, simbolo dell’inganno, sottrae furtivo dalla mischia un individuo dentro una gerla. Il poveretto pensa d’esser caduto in buone mani sfuggendo al caos che impera e non s’avvede, purtroppo, di quale destino lo attende. Più oltre, infatti, l’ultimo grillo che firma l’opera di Bosch è un mostro acefalo che al posto della testa possiede una lama di coltello tagliente. Questa lama è simbolo dell’altisonanza di una predicazione (in termini moderni potremmo dire della propaganda) che forma l’opinione pubblica e che recide le intelligenze degli uomini per farli più facilmente cadere nella gerla del potere imperante, facendoli sentire per giunta al sicuro. Prima ancora della diffusione capillare della stampa e prima delle invenzioni moderne che hanno caratterizzato il sorgere dei mezzi di comunicazione che manipolano indisturbati l’opinione pubblica, Bosch aveva già denunciato i loro fini. Questa stravagante interpretazione di Bosch del nostro settimo articolo del credo (il ritorno di Cristo nell’ora del Giudizio), aiuta grandemente la nostra riflessione: nella storia c’è sempre l’ora di un giudizio. Quando il giudizio appare all’orizzonte, quando l’ora della verità si avvicina, come qui si avvicina Cristo fra le nubi nel suo cielo terso, emergono i grilli dell’illusione. Il loro trionfo segna in realtà l’ora stessa della loro agonia. Si salvano solo i santi, quelli che tengono stretta la verità assunta dalla fede come testimonia il trittico del Giudizio viennese di Bosch nei pannelli di chiusura che presenta San Giacomo il maggiore e San Bavone, protettore delle Fiandre. Forse l’anno della fede indetto da Benedetto XVI e portato avanti da Papa Francesco ci sprona a vivere questo articolo del credo anche nell’oggi. Cristo è venuto, verrà e viene. Viene tutti i giorni e cerca in noi la fede di chi, consapevole dell’insidia del male (rappresentata dai grilli di Bosch), lascia parlare la vita più che la lingua. Laddove testa e piedi si toccano mostruosamente, manca il corpo, manca cioè l’evidenza della vita, manca la testimonianza. Un mondo che si accontenta di parole, spesso a effetto, o di cammini illusori indicati più con immagini virtuali che con il realismo della testimonianza di vita, non andrà lontano. Sarà sempre teatro indisturbato dei grilli di ieri e di oggi. * Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia
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OTTO PER MILLE
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Il concorso è organizzato dal Servizio C.E.I. per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica i n c o l l a b o r a z i o n e c o n l ’ U ff i c i o N a z i o n a l e C . E . I . p e r l ’ e d u c a z i o n e , l a s c u o l a e l ’ u n i v e r s i t à e c o n i C a f A c l i .
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TRA FEDE E ARTE
A SANT’IGNE DI SAN LEO
È stato scoperto il bassorilievo in ricordo di don Luigi Giussani MONS. NEGRI HA PRESENZIATO E BENEDETTO L’OPERA DELL’ARTISTA RIMINESE PAOLA CECCARELLI
Si è svolta a Sant’Igne di San Leo la cerimonia di scoprimento del bassorilievo raffigurante Don Luigi Giussani in ricordo delle numerose Vie Crucis alle quali il fondatore di CL ha dato vita e che sono proseguite anche dopo la sua scomparsa. Alla cerimonia alla quale hanno assistito numerose persone, era presente anche la scultrice, Paola Ceccarelli, che con viva commozione, ha parlato del bassorilievo ed ha ricordato come da ragazzina avesse partecipato a quelle Vie Crucis. Sono stati letti due brani tratti dai discorsi di don Giussani, mentre Marco Ferrini ha letto il messaggio inviato da Don Julian Carron, Presidente di Comunione e Liberazione. Mons. Negri ha ricordato il significato dell’iniziativa ripercorrendo i diversi momenti legati alle Via Crucis di Sant’Igne. “Qualche breve richiamo per sostanziare la mia gratitudine e quindi per sostanziare il gesto di gratitudine che avete fatto venendo – ha esordito Mons. Negri –. Gratitudine verso la vostra storia, il cammino che si è iniziato nella vostra vita e che spero, mi auguro si stia compiendo secondo la stessa modalità, gratuita ed impegnativa, con cui si è iniziato tanti anni fa, nel mio caso. La gratitudine è una virtù rara, dice il Cardinale Giacomo Biffi, mio fraterno amico; la gratitudine è una virtù rara e voi siete testimoni, invece, che la gratitudine può attecchire nel cuore dell’uomo, esprimersi in maniera significativa, al di là di qualsiasi calcolo, o al di là di qualsiasi reazione. Dunque – ha proseguito Mons. Negri – c’è una prima sottolineatura veloce: mentre mi preparavo a questo incontro mi tornava in mente una frase di Santa Caterina da Siena che Don Giussani ci ha ripetuto infinite volte: “La memoria si è empiuta di sangue”, la memoria del cristiano si riempie del sangue dell’agnello e sono i giorni della Pasqua, il sangue dell’agnello sulla strada, per la via della verità e della vita per tutti gli uomini che credono. Non per tutti gli uomini, per tutti gli uomini che credono. Ora la memoria di Cristo è la memoria di Cristo nella Chiesa, della Sua personalità che ritroviamo con una profondità nuova e con una gratuità più grande e con nostalgia. È la memoria della personalità e della storia di Giussani con noi che oggi vediamo nell’orizzonte della presenza di Cristo, lo vediamo molto più profondamente, molto più realmente di quanto non l’abbiamo visto e amato negli anni che sono incominciati con la nostra
giovinezza, con la nostra prima giovinezza e che si sono storicamente conclusi solo con la sua morte. Ecco la seconda sottolineatura: che cosa ha significato per la nostra vita, dico per la mia, l’incontro con Giussani, l’incontro con l’avvenimento di Cristo reso finalmente presente nella misura concreta della nostra umanità, della mia umanità, delle sue attese, dei suoi desideri profondi che non riuscivo neanche a definire adeguatamente e che solo nel dialogo con lui si sono andati progressivamente definendo e si sono posti dentro il mio cuore in modo indistruttibile? Il primo contributo di Giussani alla mia umanità è stato quello di farmela riscoprire e costringermi ad essere leale e fedele con questa umanità senza venderla, per nessuna ragione. Soltanto la fedeltà a questa umanità, i grandi desideri del cuore di cui si può parlare, di cui potete parlare, di cui potete sentir parlare. Lui solo è il Salvatore, Lui solo è il Redentore. Un abisso invalicabile divide qualsiasi esperienza umana, qualsiasi desiderio religioso, qualsiasi formulazione filosofica, qualsiasi espressione artistica, dall’avvenimento di Cristo, perché l’avvenimento di Cristo viene da là a noi, mentre tutto ciò che avviene nell’esperienza umana, nella migliore delle ipotesi tenta di andare da qui a là e non può non soffermarsi, a un certo punto, smarrito e svagato, di fronte a un’impresa che lo travolge. Io vorrei vedere Dio, vorrei vedere Dio ma non è possibile, diceva il nostro grande poeta e cantautore Claudio Chieffo. [...] Nel libretto rosso di Gs che molti o alcuni di noi hanno compulsato nella sua redazione originale che risale al 1961, e che insieme a Don Giussani e ad altri responsabili di Gs ebbi l’onore di portare a Giovanni XXIII, si dice letteralmente “la comunità cristiana crea inesorabilmente una nuova civiltà”. [...] La Via Crucis era una sintesi di tutto questo, una sintesi straordinaria perché la testimonianza di Cristo, che respiravamo guardandolo, vedendolo parlare, vedendolo agire, vedendolo muoversi, vedendolo camminare davanti a noi e alla guida di questo popolo che poi all’inizio non era un gran popolo, era un popolo, forse anche un popolino; alla guida di questo popolo si vedeva, come dire, emergere le dimensioni dell’avvenimento cristiano che Papa Francesco ha sintetizzato mirabilmente in uno dei Suoi primi interventi, il cristiano custodisce sé stesso, custodisce la natura, custodisce la storia. Lui non ha detto la cultura, io aggiungo la cultura, perché la
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cultura è la consapevolezza della storia. Ecco, noi vedevamo dall’amore per Cristo di Giussani, un flusso che passava dalla custodia dell’amore a Cristo, alla custodia di sé stesso, perché Giussani custodiva sé stesso, custodiva la sua umanità, la vedeva incrementarsi nella fede e la difendeva, e la comunicava. Custodiva sé stesso e custodiva il creato. Abbiamo imparato a vedere la bellezza della natura, a vedere la bellezza della forma degli alberi, a vedere la bellezza delle varie tonalità di verde, che nel corso di una giornata, o di poche ore, si modificava come è accaduto a me in questi ultimi bellissimi otto anni qui fra voi. Custodire la natura, vedere nella natura, si costruisce perché si vede, nella natura, il riverbero di Cristo; se non si vedesse il riverbero di Cristo non si potrebbe custodir nulla, come del resto non si custodisce sé stesso e non si custodisce l’altro se non perché si vede, in me e nell’altro, il riverbero di Cristo. L’Arcivescovo ha concluso con queste parole: «Custodire la natura e nella natura custodire la cosa più grande della natura, e la cosa più grande della natura è l’uomo, la storia dell’uomo si crea dentro la natura, perciò la cultura è l’arte così, senza soluzione di continuità: dalla bellezza dell’amore a Cristo custodito in Lui, alla bellezza della natura sentita, amata, scoperta per la prima volta. A questa straordinaria valorizzazione delle grandi opere d’arte, cominciando da questo convento, e seguendo poi nel cammino tutti i segni di quella grande civiltà di cui ha parlato l’indimen-
I PELLEGRINAGGI U.S.T.A.L.
ticabile Benedetto XVI nella Sua visita alla Diocesi di San Marino-Montefeltro il 19 giugno del 2011 quando disse: “Qui la fede ha creato una civiltà”, una straordinaria quantità di opere d’arte di cui sono gremite le case, le chiese e i paesi di questa Diocesi. Ecco, questo è stato la Via Crucis con Don Giussani, per molti cominciata qui, per molti cominciata dopo Don Giussani. È stato un momento di sintesi di tutto ciò che è il cristianesimo, un incontro di grazia che si fa stupore nei confronti della realtà e della storia e che diventa creatività. È vero che tornavamo cambiati ma permettetemi di invitarvi al punto più significativo in cui tornavamo cambiati, il lavoro e la missione. Tornavamo desiderosi soltanto di poter far partecipare di questa bellezza e di questa verità tutti quelli che incontravamo; state attenti a non separare Don Giussani dalla storia del suo popolo e dall’impeto missionario che caratterizza il suo popolo. Il suo discorso non è un discorso di un qualsiasi teologo spirituale, per quanto importante, il suo discorso è il discorso con cui ha guidato un popolo alla missione e questo popolo ha verificato e verifica e verificherà la verità di questa parola, assumendosi, quotidianamente, la responsabilità dell’annunzio agli uomini che ci circondano, come disse nell’ultima sua intervista al “Corriere della Sera”, “vivete la fede con forza di fronte alla gente”». (F. P.) Brani tratti dal discorso pronunciato e non rivisto da Mons. Negri
Tariffe pellegrinaggi U.S.T.A.L. 2013
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CARITAS
SI È TENUTO A MONTESILVA NO (PE) DA L 15 A L 18 A PRIL E IL 36º CONVEGNO NA ZIONA L E DEL L E CA RITA S DIOCESA NE
Educare alla fede per essere testimoni «La fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6)
Il Convegno ha avuto come riferimenti di fondo l’Anno della fede, gli orientamenti dati da Papa Benedetto XVI nel quarantesimo di Caritas Italiana e le prime indicazioni di Papa Francesco. Si trattava di far prendere maggior consapevolezza, ai partecipanti, operatori e volontari, dell’importanza di educarsi per educare a una Fede che si rende “operosa per mezzo della carità” e fornire studi, esperienze e indicazioni che avessero l’intento di aiutare gli operatori nelle attività di carità sul territorio. Ha visto il confronto tra quasi 600 rappresentanti provenienti da 161 delle 220 Caritas diocesane. Interventi come quelli di: – S. E. mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente della Caritas Italiana; dalla sua prolusione, mi preme riportare la frase “bisogna essere capaci di stare insieme con le altre realtà della Chiesa”. Aggiungo: “Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore” (1Cor 12,4); – S. E. mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti e Vasto: “la fede è lasciarsi fare prigionieri del Mistero”; – S. E. mons. Pierre André Dumas, presidente di Caritas Haiti: “pastorale di prossimità”; – P. Samir Khalil Samir, islamologo, docente presso l’Università di Beirut e il Pontificio Istituto Orientale di Roma: “Dio è amore”; hanno consentito ai partecipanti di assaporare il gusto del coinvolgimento nella vicinanza ad “una Chiesa povera e per i poveri” ed essere “compagnia alla persona”. Per una sintesi di tutte le attività, di tutti gli obiettivi, di tutto il programma e delle relazioni su tutti gli interventi è sufficiente collegarsi sul sito www.caritas.it. A me, invece, preme raccontare il clima e l’aria che ho respirato nell’occasione, avendo avuto la possibilità di assistere per la prima volta ad un Convegno così importante. La prima impressione che mi viene in mente è il clima di raccoglimento e di partecipazione di tutti, sia nei momenti di preghiera sia nell’ascolto degli oratori; questa atmosfera è stata coinvolgente ed emozionante. Ho apprezzato la scelta di dare a tutti la possibilità di intervenire per esporre le proprie idee, raccontare le proprie esperienze e portarle nel gruppo di lavoro prescelto. Fra i cinque ambiti di confronto: – migranti; – famiglie; – giovani; – persone che vivono forme diverse di solitudine; – persone che sperimentano dipendenze. Io ho scelto di partecipare al gruppo “giovani”; ogni gruppo era suddiviso in sezioni, comprendenti una ventina di persone; in tal modo si dava a tutti, dico a tutti, la possibilità, se pur brevemente, di raccontare o dire la sua. Il primo giorno, per un paio di ore, si sono esaminate le problematiche; il secondo si sono studiate le esperienze e le soluzioni adottate o i progetti in cantiere; il terzo si sono tirate le conclusioni: il tutto con una semplicità estrema, con operosità vera e risolutiva, tipica della Caritas. Per quanto riguarda il mio intervento nel gruppo, riporto brevemente le problematiche esposte e l’idea di risoluzione studiata con la Direzione. Il problema più sentito e più grave in San Marino, ma anche in Italia, ormai da molti anni, è la mancanza di lavoro, dovuta sia alla crisi internazionale che, per San Marino, ai difficili rapporti con l’Italia.
La Caritas Vicariale di San Marino, constatando che molto spesso il giovane risulta impreparato e non conosce bene il metodo per la ricerca di un lavoro, ha deciso, grazie alla disponibilità di alcuni volontari e con qualche esperienza, ovviamente senza la pretesa di essere risolutivi, di aprire uno “Sportello di orientamento” con lo scopo di aiutare le nuove generazioni a mettere in pratica un sistema per conoscere un pochino meglio se stessi e “come lavorare per cercare lavoro”. Certamente il nostro è un piccolo contributo, rispetto al compito delle Istituzioni e delle Industrie del territorio, chiamate a rendere più competitivo il Paese e a trovare soluzioni idonee per riassumere i molti lavoratori disoccupati, ma nasce dalla convinzione che, in questo momento particolarmente difficile per la grave situazione economico-finanziaria e per le irreversibili trasformazioni in atto, diventa fondamentale promuovere la cultura della solidarietà e della sussidiarietà. Nei nostri centri arrivano persone provenienti dall’estero, ma anche gente locale (nel 2012 hanno bussato alla nostra porta 24 famiglie sammarinesi, per un totale complessivo di 58 persone); vengono da noi, principalmente perché rimasti senza lavoro e magari senza ammortizzatori sociali; quindi il tema LAVORO è il TEMA PRIORITARIO. Diversi interventi si sono succeduti nel gruppo di lavoro, dove sono state illustrati alcuni progetti; tra le più significative mi sono sembrate quelle di: – Modena, progetto “I CARE”: coinvolgimento di giovani nel servizio civile ed importanza della collaborazione con le Istituzioni; – Vicenza, progetto “Notte dei senza dimora”; parole chiave: servizio, condivisione, consapevolezza, informazione; – Brescia, “Vecchi mestieri per nuove generazioni”: passaggio dei saperi dagli anziani ai giovani; parole chiave: scambio, fiducia, acquisizione, formazione, Manualità, Sui rispettivi siti si possono leggere al meglio queste iniziative, che anche noi Caritas San Marino-Montefeltro approfondiremo e vedremo se si possono trasferire nella nostra realtà. Molti hanno criticato la burocrazia delle Istituzioni locali: lacci e laccioli, leggi e leggine che appesantiscono il lavoro di aiuto ai bisognosi, mancanza di finanziamenti adeguati, poca conoscenza dell’operato della Caritas, mancanza di comunicazione per mezzo dei mass media e poco interessamento da parte della classe giornalistica. Le conclusioni sono state tratte da don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana, che ha illustrato la scelta del tema del Convegno, il senso ed il valore della presenza territoriale; ha ribadito la centralità del metodo sinodale, l’importanza dell’accompagnamento e compagnia alla persona e dell’ascolto delle nuove povertà. Infine, don Soddu, dopo aver suggerito alcune piste di lavoro, ha dato appuntamento al prossimo anno a Cagliari. Questo breve racconto è solo per suscitare qualche desiderio di curiosità e di informarsi, che, come detto, può essere ampiamente appagato visitando il sito. Da ultimo colgo l’occasione per ringraziare il Direttore Diocesano, prof. Giovanni Ceccoli, che mi ha invitato al Convegno, il Vice Direttore, Maurizio Cima e il compagno di viaggio Elvezio Serafini per avermi introdotto nell’ambiente con amicizia e collaborazione. Non posso dimenticare chi mi ha fatto conoscere la Caritas da vicino e cioè il sig. Leo Rondelli, responsabile della Caritas Vicariale di San Marino: a lui va la mia gratitudine così come a tutti gli operatori e volontari. Luigi Di Paolo
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CRONACA
COMUNICATO STAMPA
SECONDO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI DON ELIGIO GOSTI
Mercoledì 3 aprile è stato ricordato il secondo anniversario della morte di Don Eligio Gosti, assistente diocesano dell’USTAL-UNITALSI. L’Associazione, avendo sempre presente la passione con cui ha seguito la propria attività, rinnova i sentimenti di profonda gratitudine ricordandone la grande spiritualità come sacerdote e la grande cultura ed attaccamento alle istituzioni civili e religiose. In sua memoria è stata celebrata alle 16,30 una Santa Messa nella Chiesa di Maiolo, suo paese nativo, a cui è seguita la visita al Cimitero dove riposa. Alle ore 20,30 una Santa Messa è stata celebrata anche nella chiesa parrocchiale di Murata, San Marino. Alle ore 21,15 nella sala parrocchiale la figura di Don Eligio è stata ricordata in un incontro al quale sono intervenuti il dott. Antonio Fabbri e il prof. Marino Cecchetti. San Marino, 29 marzo 2013 Il Consiglio Direttivo
PADRE ULDERICO PASQUALE MAGNI... UN PICCOLO RICORDO
Ogni estate, dal 1982 ad oggi, per me e la mia famiglia la prima camminata tra i sentieri delle Dolomiti che coronano Cortina d’Ampezzo è il Lago d’Ajal, un piccolissimo specchio d’acqua che riflette, come in un quadro, il paesaggio circostante: il minuscolo rifugio, gli altissimi e verdi alberi, la cima della bellissima Croda da Lago. Esso è proprio incastonato, come una gemma preziosa (quale per me è) tra le montagne più belle del mondo, le Dolomiti, dichiarate dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”. Quello che porta a questo laghetto montano è un sentiero che – tra le persone abituate a percorrere gli aridi e faticosi itinerari montani – si dice serva “per fare la gamba”, cioè abituare il passo (e di conseguenza anche il fiato, spesso corto!) al lento e progressivo incedere e salire verso la mèta, con la psicologia propria degli alpini: passo regolare, lento, con lo sguardo sempre rivolto alla natura circostante… Un giorno dell’estate del 1990, mentre io e i miei genitori ci accingiamo a percorrere questo, ormai amato e conosciuto, itinerario, ci troviamo a “sorpassare” un gruppetto di tre persone, intento a parlare: un uomo e due donne. Dopo il “Buongiorno” – che nel “codice” della montagna non è obbligatorio, ma nasce spontaneo, quasi un augurio di ogni bene a chi si incontra sui sentieri – veniamo fermati dalla voce del signore che avevamo appena lasciato dietro di noi: “Questa cadenza nel parlare è delle mie parti!”, ci dice. Incuriositi ed increduli, noi: “Davvero? Noi siamo della provincia di Pesaro, e lei?”. “Io sono nato a Casteldelci…”. Piacevolissima la sorpresa di quella assolata giornata “montanara”! Presto, percorrendo insieme, da quel momento in poi, il sentiero fino al Lago d’Ajal, avremmo saputo tanto di questo signore di una certa età, che con l’entusiasmo di chi ama profondamente la montagna e la conosce a menadito, con estrema modestia ci diceva che era un sacerdote e che si chiamava Padre Ulderico Pasquale Magni.
Da questa escursione, in un giorno qualsiasi di agosto di tanti anni fa, è nata una bella amicizia che ha portato me e la mia famiglia a partecipare alle conferenze che ogni anno Padre Magni teneva nella Sala Akropolis (dal nome dell’Associazione Culturale che dirigeva) di Cortina, ma anche agli incontri organizzati in ogni parte d’Italia, alcuni dei quali insieme alla giornalista e scrittrice Paola Giovetti. Quello che mi ha sempre colpito di Padre Magni è stata la sua immensa cultura (che non “sbandierava”, ma che trapelava dalle tante citazioni che arricchivano i suoi discorsi, anche sui sentieri di montagna), la sua disponibilità alla battuta ed allo scherzo, il suo viso sempre sorridente ed accogliente, il suo essere sinceramente interessato alle persone che aveva di fronte, anche se appena conosciute, la sua mente lucida e ricca nei ricordi. Parlando della sua infanzia e giovinezza, ci ha raccontato delle persone del mio paese, Piandimeleto, con cui aveva frequentato le scuole, chiedendo informazioni su di loro e snocciolando aneddoti sulle “birichinate” che facevano insieme. Amava Cortina d’Ampezzo, Padre Ulderico, come anche io la amo, ma non perché è un luogo “in”, per ricchi (nulla è più lontano da me!), ma perché amo perdermi nei sentieri, anche i più difficili ed impervi delle sue bellissime montagne, dove si sente solo il suono del vento e del silenzio…. Amava Cortina, Padre Ulderico, perché d’estate vi è un susseguirsi di incontri culturali, un avvicendarsi di eminenti esponenti del mondo della filosofia, della storia, del giornalismo, della politica e della religione, di cui lo stesso Padre Magni era uno dei nomi più illustri. Ora riposa a Cortina… tra le sue montagne e la cultura, a cui ha contribuito in modo così calzante. È morto tre mesi prima di mio padre… Ed ogni volta, quando tornerò a Cortina e andrò a salutarlo, gli porterò anche il suo saluto.. Tanto lo so che, insieme, stanno già cantando “Signore delle cime”… Sonia Rosaspina
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PREGHIERA
APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - MAGGIO 2013
’offerta quotidiana santifica la tua giornata. Cuore divino di Gesù, io ti offro, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre. In particolare, per le intenzioni affidate all’AdP dal Papa:
INTENZIONE PROPOSTA DAL PAPA NEL MESE DI MAGGIO
“Giustizia” nell’amministrazione della giustizia
❏ “Perché
“A
CHI AMMINISTRA LA GIUSTIZIA operi sempre con integrità e retta coscienza”.
ll’origine delle numerose tensioni che minacciano la pace (scriveva Benedetto XVI nel 2006), ci sono sicuramente le innumerevoli ed ingiuste disuguaglianze che sono ancora tragicamente presenti nel mondo: disuguaglianze nell’accesso ai beni essenziali, come il nutrimento, l’acqua, un tetto, la salute; disuguaglianze persistenti fra l’uomo e la donna nell’esercizio dei diritti umani fondamentali”.
In data 10 dicembre 1948 è stata promulgata la Dichiarazione universale dei diritti umani, ma ancora – a 65 anni di distanza – siamo ben lontani dalla sua realizzazione. Nel 1981 è stata proclamata la Dichiarazione universale islamica dei diritti umani, ed il dibattito continua, dal momento che “universale” e “islamica” sono aggettivi inconciliabili. Ma quello che più scoraggia i cittadini del mondo intero è la constatazione che la giustizia giusta è un’aspirazione utopica: i più deboli dovrebbero poter contare su una politica che li tuteli, per ridurre almeno la discriminazione. Occorrerebbe che la povertà contasse sul piano della democrazia e quindi che si identificasse con rappresentanti e formazioni sociali, che si schierano con i meno garantiti. Finché l’esito di un processo dipende dal poter disporre di un collegio di difesa, in sostanza, dipende dai mezzi a disposizione, non si può continuare a dire che la legge è uguale per tutti. È sempli-
INTENZIONE PROPOSTA DAI VESCOVI ITALIANI
cemente falso. D’accordo: come tutte le professioni anche quella dell’avvocato si costruisce sul reddito, che spesso ha alla base un tariffario, modulato sulla tacita regola “tanti, subito e in nero”. Ma la follia si raggiunge quando l’avvocato lavora non per difendere dall’ingiustizia, ma per promuoverla, accompagnando il cliente in labirinti di articoli, che permettono di sfuggire al dovere. L’avvocato diventa intermediario della non applicazione della giustizia. Un vero ostruzionismo, al cui confronto l’attività dell’Azzeccagarbugli di manzoniana memoria è di grossolana ingenuità. A favorire questo delirio lucido sta l’enormità delle leggi emanate e la loro riscontrata contraddittorietà. Oggi, dire che l’eccessiva lunghezza dei processi dipende dalla magistratura, è vero al 50%, perché quella responsabilità va condivisa con i legali, che usano tale “malattia” come strumento di difesa. Il gioco più facile con i clienti meno dotati ed economicamente poveri è quello di nascondere la propria inefficienza nel linguaggio astruso e nel labirinto di leggi, che il cliente non può conoscere, o se conosce non può capire, o se crede di capire gli viene modificata sotto il naso l’interpretazione captata. È certo che questa professione si è talmente impoverita sul piano dei principi da spostare la soddisfazione solo sul reddito cui dà accesso. Per questa categoria di persone, cioè per tutti coloro cha lavorano nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, il Papa chiede la nostra preghiera del mese di maggio.
❏ “Perché I GIOVANI CHE SI PREPARANO AL MATRIMONIO – per l’intercessione della Madre di Dio – FORMINO
Famiglia, piccola chiesa domestica
FAMIGLIE UNITE, STABILI E APERTE ALLA VITA, ben inserite nella Chiesa e nella società”.
(Dal discorso del Papa Benedetto XVI per l’incontro con i Giovani Fidanzati, Ancona 11 settembre 2011).
Cari fidanzati […]. Per certi aspetti, il nostro è un tempo non facile, soprattutto per voi giovani. La tavola è imbandita di tante cose prelibate, ma, come nell’episodio evangelico delle nozze di Cana, sembra che sia venuto a mancare il vino della festa. Soprattutto la difficoltà di trovare un lavoro stabile stende un velo di incertezza sull’avvenire. Questa condizione contribuisce a rimandare l’assunzione di decisioni definitive, e incide in modo negativo sulla crescita della società, che non riesce a valorizzare appieno la ricchezza di energie, di competenze e di creatività della vostra generazione. Manca il vino della festa anche a una cultura che tende a prescindere da chiari criteri morali: nel disorientamento, ciascuno è spinto a muoversi in maniera individuale e autonoma, spesso nel solo perimetro del presente. […] Anche le scelte di fondo allora diventano fragili, esposte ad una perenne revocabilità, che spesso viene ritenuta espressione di libertà, mentre ne segnala piuttosto la
carenza. Appartiene a una cultura priva del vino della festa anche l’apparente esaltazione del corpo, che in realtà banalizza la sessualità e tende a farla vivere al di fuori di un contesto di comunione di vita e d’amore. Cari giovani, non abbiate paura di affrontare queste sfide! Non perdete mai la speranza. Abbiate coraggio anche nelle difficoltà, rimanendo saldi nella fede. Siate certi che, in ogni circostanza, siete amati e custoditi dall’amore di Dio, che è la nostra forza. Dio è buono. Per questo è importante che l’incontro con Dio, soprattutto nella preghiera personale e comunitaria, sia costante, fedele, proprio come è il cammino del vostro amore: amare Dio e sentire che Lui mi ama […]. Cari fidanzati vi trovate a vivere una stagione unica, che apre alla meraviglia dell’incontro e fa scoprire la bellezza di esistere e di essere preziosi per qualcuno, di potervi dire reciprocamente: tu sei importante per me. Vivete con intensità, gradualità e verità questo cammino. Non rinunciate a perseguire un ideale alto di amore, riflesso e testimonianza dell’amore di Dio!
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A FAVORE DELLA CHIESA CATTOLICA
SOVVENIRE 2013
Una firma per l’8x1000 Domenica 5 maggio è la Giornata di sensibilizzazione per le firme per l’otto per mille a favore della Chiesa cattolica. È necessario che i referenti parrocchiali si premurino di divulgare la propaganda a questo scopo, perché purtroppo l’ambiente parrocchiale è quello meno stimolato per un impegno che è uno dei modi per mettere in pratica un precetto generale della Chiesa. Posso capire che questa riflessione non commuova nessuno, ma non è bello.
Qualcuno si è interessato a calcolare quanto lo Stato italiano risparmia nei diversi servizi sociali promossi dalla Chiesa italiana (scuole paritarie, sanità, mense, oratori, comunità terapeutiche, volontariato, beni culturali…), arrivando a valutare in almeno undici miliardi di euro tale somma. Sarebbe una considerazione interessante, soprattutto se la voce “risparmio” rientrasse nelle preoccupazioni dei nostri politici; ma vedendo certi comportamenti c’è motivo di dubitare che a quei livelli ci si preoccupi di spendere uno per risparmiare undici.
In ogni caso il motivo per cui i cittadini sono richiesti di sostenere la Chiesa cattolica è legato alla finalità positiva in ambito umanitario, sociale e culturale delle iniziative ecclesiali. Proprio perché la religione cattolica è la religione storica della nazione italiana, esiste un pa-trimonio ampio di vario genere che va custodito e incrementato, compresi i luoghi di culto e le attività educative.
La Giornata del 5 maggio è rivolta principalmente ai cattolici delle nostre parrocchie. Ai quali bisogna ricordare che non è proibito fare del bene alla propria Chiesa. Infatti san Paolo dice: “Poiché ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede” (Gal 6,10). Questo invito vale in particolare quando da questo bene alla Chiesa può venire un bene più grande verso tutti, come nel caso dell’otto per mille.
Claudio Stagni, vescovo
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DAL CMD
Incontri di formazione permanente del Centro missionario diocesano
Padre Valentino Salvoldi, ha condotto la formazione permanente del Centro Missionario Diocesano di San Marino-Montefeltro e della Parrocchia di Piandimeleto, un oratore e un uomo che è valso la pena ascoltare. Padre Valentino, missionario “Fidei Donum”, già docente di Filosofia e Teologia morale all’Accademia Alfonsiana in Roma, è ora “Professore visitatore” dei seminari delle giovani Chiese (Africa e Asia). Ha attorno a sé un vasto movimento di solidarietà con i popoli del Sud del mondo. Ha fondato “Shalom”, un’organizzazione non lucrativa avente come finalità la crescita morale e culturale dei giovani in Italia e nei paesi impoveriti. Dal 1998 il suo nome compare nell’annuario “Distinguished learderchip” che lo segnala per i suoi eminenti contributi come scrittore e come promotore di giustizia e di pace (American Biografical Institute). I suoi numerosi libri, scritti con stile semplice e tradotti in molte lingue, nascono dalla vita e tornano tra la gente per dare speranza, per rendere il mondo più giusto e fraterno, più vicino al regno del Dio fatto Uomo.
Dopo aver ascoltato Don Salvoldi ecco alcune testimonianze
“CONDIVISIONE. È questa la parola che per me descrive al meglio il centro missionario della nostra diocesi. Ho iniziato a 15 anni con il campo di lavoro qui in Italia, per poi arrivare, con grande fortuna, a partecipare al campo di lavoro in Africa, precisamente in Etiopia. Tra i due campi non cambia molto; sì, diciamo che il paesaggio intorno è completamente diverso ma lo scopo è sempre lo stesso: condividere. Condividere il proprio tempo, condividere le proprie esperienze, condividere le proprie vite, sia con le persone che partecipano al campo sia con quelle a cui andiamo a portare aiuto. Ogni volta che finisce un campo si viene presi da grande sconforto... è infatti difficile riuscire a portare nella quotidianità questo stile di vita. Io stessa al ritorno dal primo campo in Etiopia non sapevo a cosa aggrapparmi, fino quando ho capito cosa posso continuare a fare: CONDIVIDERE. Raccontare ciò che ho vissuto mi aiuta a non sentirmi sola, a non perdere il ricordo di queste esperienze e a sperare che le persone che mi circondano possano anche loro seguirmi in qualche campo di lavoro. Questa dinamica di condivisione caratterizza l’intera attività del centro missionario. Anche la marcia-veglia che si tiene ogni anno durante la quaresima propone alla nostra Diocesi una testimonianza missionaria. Quest’anno abbiamo avuto l’occasione di incontrare Don Valentino Salvoldi, sacerdote, docente universitario e missionario. Con la sua capacità oratoria ci ha coinvolto nei racconti della sua vita e ha invitato ciascuno di noi a non dimenticare di accompagnare la condivisione e la testimonianza con la preghiera.
Vorrei concludere proprio con una sua frase: “Metà del viaggio è raccontare! È bello, infatti, condividere esperienze che, mentre danno vita all’istante presente, ci permettono di sognare”. Chiara Giannini
“Buona sera Don, Ti mando le mie impressioni sul racconto con Don Valentino. Soprattutto mi è piaciuto molto la sua idea che tutte le persone devono pensare e fare qualcosa di buono per la fede, altrimenti Dio non ci riconosce quando noi bussiamo alla porta del cielo. Di solito, i cristiani dicono che loro sono salvati da Dio perché hanno la fede. Però io avevo sempre un dubbio con questa parola perché non è giusto che se uno ha la fede si può salvare anche se vive una vita senza pensare Dio. Al mio paese (in Giappone) in generale si crede al buddismo. Buddha diceva: ‘Prima vivi, comportandoti bene, e dopo Dio potrà salvarti’. Quindi pensando alla cultura nella quale sono vissuto, sono d’accordo con l’idea di Don Valentino”. Shizuka
“Quel bacio che brucia……” è una delle toccanti ed incisive frasi con le quali Don Valentino Salvoldi, scrittore, docente universitario di filosofia e teologia morale, missionario ed incaricato dalla Santa Sede per la formazione del Clero Africano ed Asiatico, ha rapito l’attenzione dei numerosi presenti all’incontro tenutosi nel Castello di Piandimeleto lunedì sera. Don Valentino è stato invitato dal Direttore del centro Missionario, in occasione della Marcia della Pace tenutasi in Talamello (RN) il 22 marzo, a testimoniare sul suo impegno ed operato per l’Africa e grazie alla sua disponibilità ed al suo bisogno d’amare e di essere amato, il “mendicante d’amore” come lui si definisce. Nel programma del Centro Missionario di formazione permanente nella sala del Castello di Piandimeleto, con tanto ardore e convinzione, Don Valentino si è raccomandato ai genitori presenti di pregare assieme ai propri figli, d’insegnar loro la preghiera, perché l’esempio dato dagli adulti ai giovani è tutto, ricopre circa il 65% della formazione caratteriale e comportamentale di un bambino, bisogna educare i figli alla costanza nella preghiera, intesa come bellezza che salva; e poi rivolgendosi ai giovani, chiede loro di imparare ad amare se stessi, attraverso la ricerca e la valorizzazione di tutti i doni ricevuti dal Signore, per essere in grado di amare gli altri. Tutti noi dobbiamo imparare a ringraziare il Signore per i doni ricevuti; siamo spesso abituati a chiedere e poco a ringraziare per le piccole e grandi cose che il Signore ha creato e che ci ha donato; i poveri devono essere consolati dai ricchi ed i ricchi devono condividere, la ricchezza donata loro, con i poveri di tutto il mondo. Si è rivolto anche agli insegnanti, ai catechisti ed agli educatori tutti invitandoli a mostrarsi estremamente esigenti nel pretendere tutto ciò che ogni giovane è in
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grado di offrire. È stata una serata veramente toccante e coinvolgente e con l’augurio di rivedere presto Don Valentino tra noi, lo ringraziamo e preghiamo il Signore di preservarlo e aiutarlo per tutti i suoi progetti futuri”. Barbara Spadoni
“Piandimeleto, Fede e sofferenza il binomio su cui si è incentrata la riflessione-incontro con Don Valentino Salvoldi. Un uomo del nostro tempo che provoca con assoluta umiltà chi si pone domande di senso della vita. Più volte il sacerdote si è fermato a sottolineare come il problema della sofferenza non sia un problema qualsiasi ma è strettamente collegato alla teoria del male e alla fede. Conoscitore delle teorie filosofiche di tutti i tempi che hanno indagato il tema, ha affermato la necessità di ripensare la sofferenza alla luce del mistero di Dio stesso. Ed è con l’esempio di Giobbe, che Don Salvoldi ha ricordato in più passi, che le cose si possono capire sotto questa luce. Egli è retto e timorato di Dio e vive nella prosperità ma satana insinua il dubbio che quell’uomo gli sia legato per interesse. E allora Dio permette che Giobbe sia sottoposto al dolore per saggiare la genuinità della sua fede. La polemica di Giobbe arriva a Dio finché egli finalmente si manifesta e risponde a suo modo senza far riferimento alle denunce dell’uomo, ma mostrando la grandezza e la potenza della Creazione con la domanda: “Dov’eri tu...?”. Un Dio dunque che si rivela nella sua infinita onnipotenza. Un Dio che l’uomo non riesce a comprendere fino in fondo e che nella sua immensa bontà abbraccia anche il dolore. Ma come ha ricordato il missionario la vera teodicea di Dio è quella di Cristo che ha accettato la sofferenza umana e ne ha fatto ampia esperienza – tradimento, fatiche, incomprensioni, abbandono, flagellazione e crocifissione –. E dopo che Dio ha incontrato il dolore sulla croce, la sofferenza non gli è più estranea ma fa parte di lui. Quindi tutti i pugni chiusi degli uomini che si scagliano contro il cielo, puntano nella direzione sbagliata. Dio ha rovesciato il dolore in vita e amore”. Monica Giampaoli
“Nei giorni 5, 6, 7 aprile ho potuto scoprire in Don Valentino Salvoldi, una figura carismatica, mi ha molto colpito la sua umanità e la sua chiarezza nell’esporre la sue esperienze. Ciò che mi è rimasto più impresso è il suo modo diretto e severo di comunicare il Vangelo, non si può scendere a compromessi, il Vangelo va preso così come è, non possiamo e non dobbiamo fare un Vangelo a nostro piacere come ci fa comodo. Don Valentino è andato a far visita anche alle scuole, mia nipote che frequenta la I elementare è tornata a casa entusiasta ed ha detto: ‘È stato bello sentire quel missionario sui problemi dell’Africa e del mondo’; ma la cosa che l’aveva impressionata di più è stata la storia di un bambino morto tra le braccia della mamma, e quanti bambini muoiono ogni giorno di fame: 40 ogni minuto, 57.000 al giorno”. Zaira Schiaratura “Ciò che mi colpito e mi fa pensare all’incontro con Don Valentino Salvoldi, è quando ha parlato del suo essere missio-
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nario, che non sempre ha voglia di partire, d’andare in quei posti dove c’è tanta miseria e problemi, però la sua coscienza gli dice d’andare – lui va, e dopo sta bene”. Gabriella Moretti
“Nell’incontro con Don Valentino, mi ha colpito particolarmente l’umiltà di questo sacerdote missionario verso i più poveri, colpiti dall’ingiustizia, dalla sofferenza, dalla fame e dalle malattie, e nell’affrontare la morte come la storia di Kaide e della sua mamma. Mi ha colpito in maniera particolare la fede nel Signore che Don Valentino ha incontrato, nella sua esperienza nel deserto con lo starec, che ha seguito i suoi consigli e che lo hanno aiutato, così anche io voglio seguire i consigli di Don Valentino”. Nicola Conti, III media
“L’esperienza con Don Valentino mi ha incoraggiato ad amare il mio prossimo sia buono o cattivo; soprattutto in questo momento nella nostra martoriata Nigeria, la fede è un grande dono e grazie ai missionari 60 anni fa è arrivato il cristianesimo nel nostro Paese. Ecco perché la mamma di Kaide ringraziava Dio per il dono che il Signore gli aveva dato nei cinque anni in cui aveva potuto godere dell’amore del suo figlio per questa terra, ed ora lo pregava come un santo… la fede nel dolore viene misurata, grazie Signore per il dono del tuo amore”. Lorenzo e Benedetta
“La presenza di Don Valentino è stata come una ‘carezza’ che ai nostri bambini ha aperto la mente e il cuore verso i veri problemi che devono vivere i loro coetanei meno fortunati… e forse con il tempo li aiuterà a rendersi conto di quanto hanno e soprattutto di quanto non danno”. Renata Seabastini (insegnante)
Salvoldi: voce di uno che grida nel deserto
“Lunedì 8 aprile Don Valentino Salvoldi ha fatto dono alla comunità parrocchiale di Piandimeleto, e a quelle limitrofe, della sua presenza e della sua parola. Proliferante umanamente nella sua azione sociale di questi giorni di soggiorno in Diocesi montefeltrana, lunedì ha ben programmato di soffermarsi in riflessione su quei punti che in diversi momenti e omelie recenti hanno graffiato le nostre ovattate anime. Impossibile non rimanere scossi dalle sue parole. Il significato dell’incontro viene compresso e intensificato dalla parafrasi che da senso alla sua stessa genesi: ‘Ama e capirai’ (Sant’Agostino). Come è possibile, sembra chiedersi Salvoldi, che l’uomo occidentale viva una condizione di blocco, di volontario accecamento di fronte al salvifico slancio umano che redime, sia l’autore che il destinatario del bene, dalla morte interiore? Che cosa serve all’uomo? Per quarant’anni missionario in Africa, sa bene che la fede esiste anche laddove non vi sono cibo e acqua e dove la morte fisica falcia milioni di vite Continua a pag. 14
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umane all’alba della loro venuta al mondo. Sa bene che la presenza del Signore si svela proprio lì, nelle pieghe del mistero della morte e della sofferenza. E sa bene quanto la comodità del benessere possa essere uno specchio per allodole di vera felicità: abbiate il coraggio di essere sicuri di difendere il bene e la Verità; abbiate il coraggio di dire ai vostri cari che la tavola imbandita domenicale è fatta per alleggerire l’anima e non per appesantirla perché non vi può essere vera gioia se non nell’impegno della Fede e nella condivisione di questa con i fratelli. Ringraziate il Signore delle sostanze a voi presenti e vivetele come un dono. Far sentire a tutti il bacio che brucia del Cristo di Dostoevskij non permette l’oblio in dimenticanza dell’incontro Grande, dell’incontro di svolta. Salvoldi ama i suoi fratelli perché li riporta all’assunzione delle proprie responsabilità ricordando che a tutti prima o poi Dio si rivela nel corso della vita, di modo che alcuno può giustificare la propria inottemperanza all’insegnamento di salvezza con la misconoscenza del Mistero Divino. Un amore troppo grande per giustificare l’ingiustificabile. La centralità delle opere per il mantenimento di un credo che solo con i fatti può essere degno di essere chiamato Fede. Vorremmo tutti conoscere la certezza del risultato delle azioni d’amore prima di compierle: vorremmo avere una certezza certificabile, lineare, di cosa succederà a noi e agli altri e, soprattutto, la garanzia dell’optimum finale. Ma fortunatamente, chiarisce Pascal, ‘le cose degli uomini prima si conoscono e poi si amano; le cose di Dio prima si amano e poi si conoscono’. Ama e capirai, ancora una volta. Il percorso concettuale affrontato da Salvoldi penetra sostanzialmente le basi della desertificazione spirituale, con lucida emersione e felice risalita. L’idolatria e la Fede come due estremi al centro dei quali sosta l’indifferenza verso la propria e altrui spinta all’Amore, dove sostano gli ‘onesti’ e il loro silenzio. L’idolatra è pieno di cose e non può fare posto a Dio; l’indifferente è ricco di cose quanto l’idolatra perché solo preoccupato di vivere e accumulare per sé, pieno di autoreferenzialità travestita da giustezza e rettitudine, seppur non milionario. Il fedele si svuota, diventa povero di spirito per accogliere la Parola. Si fida e basta. Paradossalmente potrebbe accadere anche a un milionario, basta volerlo. Il ricco e il povero non solo come antitesi materiale ma come antitesi spirituale. Occorre svuotarsi di sé per fare posto a Dio e agli altri. La gioia di comprendere che nessuno di noi è prima della Parola di Cristo ma che ognuno di noi può veramente essere solo dopo la Parola di Cristo. L’assolutezza di Cristo che rende assoluto anche l’uomo ma solo all’interno di Sé e con Sé; fuori annaspa nel deserto. Ed è in questo deserto che Don Valentino si colloca per gridarci che finché stiamo lì non potremo mai comprendere che le dimissioni di Papa Benedetto XVI hanno voluto testimoniare proprio questo: nulla conta all’infuori di Cristo, nemmeno il Papa ha senso se non è dopo Cristo. Così come trasmise nel proprio messaggio Giovanni XXIII la sera dell’11 ottobre 1962 all’apertura del Concilio ecumenico. Nella desertificazione spirituale dei tempi presenti Benedetto XVI scorge la possibilità di un rinnovamento ecclesiale lasciando spazio e vita a nuove partecipazioni, ad un nuovo protagonismo interno alla Chiesa e ad un protagonismo prioritario di tutti i fedeli, di ogni persona, che deve essere profeta, sacerdote, re, missionario e Cristo. Salvoldi Continua da pag. 13
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coglie l’occasione del giorno dell’Incarnazione per ricordarci che Cristo ha seminato se stesso in ognuno di noi. Solo comprendendo che occorre fidarsi e seguire sostanzialmente l’insegnamento di Cristo è possibile risalire la china del dolore e saper leggere nelle sue trame il momento in cui la voce di Dio si fa più forte e il suo messaggio a seguirlo, sempre più, sempre più chiaro. E lo sbocco finale è la gioia e la purificazione. Altrimenti il dolore è solo una sconfitta al nostro sentirci centrali e non mortali, e quindi un’offesa o qualcosa di semplicemente incomprensibile. Ma questo è un onore che, Don Valentino ricorda, spetta sempre alla famiglia, all’educazione genitoriale. L’amore per il dolore e per la sua essenzialità e normalità rispetto alla vita stessa può creare un domani una persona capace di Fede, capace di comprensione verso la finitezza umana, perciò capace di avere la Chiesa come madre e Cristo per padre. Di fondo vero pozzo dissetante, capace di declinare un grido nel deserto in acqua salvifica”. Giovanna Maria Crinelli Gimmelli “L’incontro è stato ricco di sputi nuovi ed efficaci per vivere la fede con coraggio e amore nella propria quotidianità. C’è una necessità urgente di tornare in armonia con Dio attraverso il continuo dialogo con Lui, soprattutto noi giovani abbiamo il desiderio ardente di incontrare Cristo nell’altro. Tornare all’essenziale ci avvicina a Dio e il dolore è la prova che Dio ci dona per ‘testare’ la nostra fede… Don Valentino ci ha parlato di un ‘bacio che brucia’, questo significa che non possiamo incontrare Dio se non incontriamo la prova. Altro spunto fondamentale per noi giovani è la Decisione… non possiamo rimanere indifferenti di fronte a Dio… ‘fossi caldo o freddo, … ma se sei nel mezzo, io ti vomito’ (Apocalisse 3,15) Dio nella vita richiama… non possiamo rimanere sordi a quella chiamata”. Carla Cervellini (RSM)
“Siamo 4 amici, anzi Fratelli in Cristo, provenienti dalla valle del Montefeltro, che ogni primo sabato del mese, ci ritroviamo da Don Rousbell per l’Adorazione al Santissimo nella chiesa di Piandimeleto. Ed è proprio in questa occasione che sabato 6 aprile, abbiamo conosciuto Don Valentino Salvoldi. Il primo impatto è stato forte, tanto da darci un’impressione di una persona diretta, sicura di sé, di quelle che non hanno mezze misure, quasi da rimanere intimoriti. Durante la serata di Adorazione, Don Valentino, assieme al fratello Don Rousbell, è intervenuto articolando i momenti della preghiera, intervenendo in maniera nuova, diversa e dandoci un assaggio di quello che stava preparando per il lunedì. In questo modo abbiamo avuto il piacere nel sentire una testimonianza viva, intensa. Una testimonianza che ha dato spunti di riflessione personale nel vivere quotidianamente il rapporto con Dio, un rapporto di fiducia, di abbandono totale, senza compromessi. Facendo riferimento a quella parola che dice: ‘Se tu ti sforzi a vivere la Fede, Gesù ti correrà incontro, come Maria da Maddalena’. Vari sono stati i racconti di testimonianza che Don Valentino ci ha donato. Dal racconto di un fatto avvenuto in Africa, una donna che nonostante la lontananza, faceva ore e ore di cammino pur di
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partecipare alla Santa Messa e ricevere Gesù. Oppure della coraggiosa confessione di una ragazza siciliana che si prostituiva e del miracolo della sua conversione. Insomma molti spunti di dialogo e confronto, che hanno permesso di mettere in discussione anche il nostro modo di vivere da cristiani. Dibattito e confronto che sono ripresi nella serata di lunedì nella sala del Castello. Sala gremita di persone giovani e non, ma curiose di ascoltare le sue parole. Dove oltre i vari argomenti che ha affrontato, ha poi sentitamente reso partecipi tutti noi delle sue vicende più personali riguardanti la sua famiglia, e del toccante racconto della perdita della sorella e in seguito del nipote. Un racconto sofferto ma toccante, vivo, come il bacio del dolore che brucia sulle labbra... Perdendo la fede, ma poi ritrovandola in quello che oggi lui è DONO PER GLI ALTRI!! Dire cosa ha trasmesso Don Valentino in poche righe, è veramente difficile e del tutto personale. Qualcuno era solo curioso, alcuni erano intenti ad assorbire come spugne le sue parole, chi era accanto a me si è commosso per le parole di supplica al Signore, che ha sentito come sue. Insomma, il modo in cui si pone don Valentino è dato da una personalità di spessore, non di un sacerdote comune, ma di un Uomo, che vivendo nel percorso della sua vita esperienze forti, come le espulsioni dall’Africa o i pestaggi a sangue subìti, non può accettare mezze misure o compromessi facili. Un uomo che dona se stesso, il suo operato per le persone ai margini della società, per le popolazioni che hanno una dignità anche nella sofferenza.
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Don Valentino una persona, un ministro di Dio che ti colpisce dentro e ti lascia un segno, non importa se bello o brutto, ma qualcosa di lui ti rimane... Per capire il messaggio che Don Valentino vuole dare e donare, basta leggere quella che io definirei una lettera alla propria coscienza.
Celebra te stesso
Un Uomo che non può piacere a tutti.... (Anche Gesù non piaceva a tutti). Ma conoscendolo più profondamente può indicarti il giusto percorso da intraprendere per avere quella pace dentro... La pace di Cristo. Questo è quello che abbiamo percepito nel poco tempo che è stato vicino a noi. Insomma una personalità di rilievo che è testimonianza forte ma allo stesso tempo, dolce, un medicante di Amore, innamorato di Dio. “Non dobbiamo accontentarci di essere cristiani, ma ad ambire ad assomigliare a Cristo”. La delegazione Rns di Novafeltria
Sempre nella formazione permanente sta la cura della vita spirituale, per questo motivo dall’8 al 14 luglio 2013 al convento di Pontecappuccini nel comune di Pietrarubbia (PU) ci saranno gli esercizi spirituali, guidati da Don VALENTINO SALVOLDI e Suor MARIA GLORIA RIVA. Più avanti vi daremo informazioni più dettagliate.
UN SALUTO DA RIO! GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ Rio de Janeiro – 23-28 luglio Oggi il mio pensiero vi giunge da quasi 10.000 chilometri di distanza e con 5 ore di differenza nel fuso orario (quando da voi è mezzogiorno qui sono le 7 del mattino). Sono a Rio de Janeiro, per un sopralluogo in preparazione alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luogo dal 23 al 28 luglio prossimi. L’aria che si respira da queste parti è intrisa di una attesa grandissima, specialmente quella di abbracciare Papa Francesco, il primo della storia della Chiesa venuto “dalla fine del mondo”. Sono certo che sarà una esperienza di Chiesa indimenticabile, anche per tutti coloro che la vivranno dall’Italia, grazie alle risorse straordinarie che la tecnologia oggi ci mette a disposizione. Nella gioia del Risorto, vi abbraccio tutti! Don Domenico
Don Rousbell Parrado
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CULTURA
SAN MARINO E LA CULTURA, ovvero l’arte del ricucire
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Una proposta PANEUROPEA
organizzazione del Seminario su L’economia della Conoscenza dell’8 aprile da parte della Segreteria di Stato per la P.I., Cultura ed Università ha segnato un utile inizio per una discussione sul rapporto fra economia e cultura nella Repubblica di San Marino destinata a durare a lungo. Ciò che non è stato possibile dire nel corso di quel pomeriggio per un forte ritardo dei lavori causato sia da una relazione fuori programma e quantomeno fuori tema, sia dalla pre-organizzazione del dibattito successivo, schiacciato dai tempi residui e da una lunga serie di curiose prenotazioni preventive, sarà certamente oggetto di discussione d’ora in avanti. Il tentativo del Segretario di Stato Giuseppe Morganti è encomiabile, e non va lasciato cadere. E tuttavia, come ogni tentativo di “muovere le acque” a San Marino attraverso la buona parola di uno o più esperti italiani che ovviamente partono da esperienze italiane, la sua strada è in salita. San Marino è apparentemente troppo simile all’Italia perché questo inganno non si riproponga tutte le volte, ma è singolare che siano proprio i sammarinesi a non accorgersene. O a partire dal presupposto che a San Marino, nell’Università, nella società civile, non vi sia nemmeno una persona in grado di relazionare sul tema con pari dignità rispetto ad ospiti di livello oltretutto quantomeno difforme. I patetici tentativi di importazione di guru italiani delle mostre o dell’economia dovrebbero oramai aver insegnato qualcosa a tutti: o siamo in grado noi di promuovere la nostra storia, identità, cultura e memoria, o nessuno lo farà al posto nostro, sia pure con le migliori intenzioni. Il cervello di un sammarinese funziona – come è noto – diversamente da quello di un italiano.
Ma noi ci siamo e ci stiamo, perché non vogliamo credere che questa operazione miri ad egemonizzare un tessuto generoso, ampio e plurale per fini di parte, che finirebbero per ucciderlo. E siccome il problema della sopravvivenza della Cultura (e non banalmente della sua industria) a San Marino è grave ed urgente, con pari urgenza e serietà esso va affrontato. Perché per San Marino la Cultura è in realtà tutto. Dimensione orizzontale della tenuta della comunità e verticale della conoscenza della storia e dell’esperienza del Sacro. Realtà buffe ai più come la storicità di San Marino sono tutt’uno con la capacità dei nostri cittadini di difendere in prima persona, per secoli, le proprie libertà concrete. Tout se tient. E la crisi della nostra comunità, che inizia non dopo, ma grazie al tremendo arricchimento degli anni ’70 ed ’80 ed al dilagare di un individualismo rozzo e border line è stata prima di ogni cosa una profonda crisi di trasmissione culturale e spirituale. E oggi ha ragione il prof. Sacco quando paventa il rischio di ridurci ad una Disneyland per turisti, per giunta sempre più poveri. La nostra Identità storica, istituzionale, religiosa è la nostra Cultura. Un albero vivente, che cresce e muta nei secoli, ma
non cresce bene amputandone radici e rami. C’è quindi da ricucire il rapporto profondo fra la comunità, la sua storia e le sue radici, e il nostro futuro.
Qui sta il difficile. San Marino, come contrappeso alla degradazione individualistica, ha generato un associazionismo culturale di ricchezza forse unica. Si occupa di ambiente e di anziani, di Europa e delle gallerie del trenino, di prevenzione e di musica. Id est Cultura. Un fiorire di cento fiori diversi, adattatisi a vivere in un terreno sempre più arido. La prima tentazione dell’oggi è di fare il deserto per aprire da qualche parte una serra in cui coltivare solo belle piante scelte da qualche Grande Esperto giunto chissà da dove. La seconda è deprezzare ciò che è nostro perché, si sa, le banalità del vicino sono sempre più verdi e vale sempre la pena finanziare copiosamente iniziative fuori territorio piuttosto che dare stabilità pluriennale alle nostre Associazioni. La terza è la strumentalizzazione partitica, prezioso principio per il quale è meglio che nulla viva se IO (dominus di turno) non sono in grado di controllarlo. La quarta è la strumentalizzazione ideologica, come il contrapporre “pubblico” a “privato”, usare una buona idea per cercare di far fuori il nemico dell’altroieri, per inseguire rottami di sogni di rigenerazione della nostra millenaria realtà comunitaria.
San Marino ha nello stesso tempo una grande e luminosa tradizione centralista, che oggi costituisce un limite – anch’esso culturale – immenso, micidiale. Non deriva dal colore del governo, ma dalla difficoltà di capire noi stessi e il mondo che cambia. Siamo poco capaci di guardarci storicamente, senza buttar via la fetta della nostra storia che non ci piace; e quindi siamo poco capaci di comprendere gli altri e i loro bisogni (come il modello di turismo che continuiamo ad offrire dimostra). Non vi è quindi nulla di male – anzi – nell’aumentare le occasioni di “fare impresa” in ambito culturale con utili facilitazioni, a condizione di non farne una leva di potere e se possibile senza un giovanilismo retorico ed inutile, poiché la cultura è come la vita, si trasmette nel tempo e tramite la conoscenza. Ma la sfida sta altrove. La stessa Europa Unita ci chiede chi siamo, ossia che cosa vogliamo da un miglior rapporto con essa. La prima, essenziale industria culturale della Repubblica è la Repubblica stessa. Senza di lei, i coriacei sforzi di tutti noi e di tutti i giorni sono condannati a cedere terreno piano piano, assieme alla povertà crescente della società, morale prima che materiale. Lasciate che Cento fiori fioriscano, e Cento scuole si confrontino. Se non erro lo ha detto uno di sinistra. Console Adolfo Morganti Presidente della Fondazione Paneuropea Sammarinese
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DALLA FISC
A CHIOGGIA IL CONVEGNO DELLA FISC
NELLA RETE. Con la saggezza dei cattolici IN ALTRI TERMINI NON BASTA USARE IL DIGITALE, MA BISOGNA CONSEGUIRE UNA “SAGGEZZA DIGITALE”. E ANCORA: “CHI, SE NON LA STAMPA CATTOLICA, POTRÀ AVERE IL COMPITO DIFFICILE, MA ASSAI URGENTE, DI FAR COMPRENDERE L’IMPORTANZA DI UN’ETICA DELLA COMUNICAZIONE?”. IL SALUTO DEL PRESIDENTE FRANCESCO ZANOTTI E DEL DIRETTORE DI “NUOVA SCINTILLA”, MONSIGNOR VINCENZO TOSELLO
La rete e la carta. Due modalità di comunicazione il cui rapporto può apparire problematico e che in più di un caso vivono un conflitto. Ma nessuno può negare che il futuro della comunicazione passa attraverso un rapporto sempre più virtuoso tra la stampa e Internet. A dirlo sono le 186 testate cattoliche aderenti alla Fisc (Federazione italiana dei settimanali cattolici), riunite in convegno a Chioggia da oggi a sabato sul tema “Informazione in rete: carta stampata e web”. Presenti in circa 170 diocesi, queste testate (1 agenzia, 6 on line, 1 quotidiano, 2 bisettimanali, 128 settimanali, 18 quindicinali e 25 mensili) raggiungono gran parte del territorio nazionale e pure gli italiani all’estero, con 5 giornali loro dedicati. “Giornali di carta e Rete sono destinati a viaggiare insieme, non per combattersi, ma per richiamarsi a vicenda”, ha esordito il presidente nazionale della Fisc e direttore del “Corriere Cesenate”, Francesco Zanotti, aprendo i lavori. Mentre monsignor Vincenzo Tosello, direttore di “Nuova Scintilla” (Chioggia), ha ripercorso i cent’anni della testata, il cui anniversario viene celebrato con questo appuntamento. Infatti, il logo prescelto unisce la prima testata (“La Scintilla”) a una raffigurazione della versione attuale per tablet.
Tra difficoltà e mutamenti. Certo, per la carta stampata non mancano le difficoltà, specie in questo periodo, motivo per cui serve “un’attenta analisi dei fenomeni in atto nel campo della rete e della multimedialità e nel contempo una lungimirante lettura dei possibili sviluppi al fine di orientare le scelte nell’ambito della stampa diocesana”, ha richiamato nella prolusione monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali. Il primo dei problemi è di natura economica: cala la pubblicità e “le vendite risentono della minore disponibilità di risorse economiche”. In secondo luogo, “la possibilità per ognuno di accedere all’informazione in tempo reale e gratuita su web, tv e radio”. A tal riguardo, ha sottolineato, “è cambiato il nostro modo di ricercare e apprendere informazioni”, “siamo bombardati e ‘inseguiti’ da un enorme flusso, potremmo dire un ‘torrente impetuoso’ d’informazioni, sempre a portata di mano attraverso un unico strumento: lo smartphone o il tablet”, mentre “la corsa all’acquisto tecnologico, sebbene rallentata, è l’unica ancora in continua crescita”.
La “saggezza digitale”. Conseguenza del “torrente” informativo del web è la mancanza di filtri e gerarchie tra le notizie. “Oggi domina il criterio della velocità”, ha osservato Giuliodori, interrogandosi “se non si stia sacrificando la qualità co-
municativa, e quindi relazionale, sull’altare della quantità e dell’efficienza”. In altri termini non basta usare il digitale, ma bisogna conseguire una “saggezza digitale” – ovvero la “capacità di prendere decisioni più sagge in quanto potenziate dalla tecnologia”, secondo la definizione di Marc Prensky – ed è questo il “nuovo passo evolutivo del genere umano”, senza il quale “la società moderna corre il rischio di un’involuzione”. Un passo al quale i cattolici sono chiamati elaborando “strategie di marketing non soltanto commerciale, ma che potremmo definire preminentemente ad alto impatto antropologico, finalizzato a rilanciare con forza questo prezioso servizio la cui peculiarità è rappresentata dalla capacità di cogliere e comunicare i valori fondamentali”. “Chi, se non la stampa cattolica, potrà avere il compito difficile, ma assai urgente, di far comprendere l’importanza di un’etica della comunicazione?”. Questa la domanda posta dal presule ai rappresentanti delle testate cattoliche, invitandoli “a non perdere, cammin facendo, l’essenziale della nostra vocazione e missione”.
Sfida educativa. In gioco c’è “una sfida che è innanzitutto educativa”, come ricordano gli Orientamenti pastorali dei vescovi italiani per il decennio. Di fronte a uno “sviluppo esponenziale dei mezzi di comunicazione”, “dev’essere potenziato – ha sottolineato il vescovo – l’impegno a svolgere un ruolo incisivo a livello culturale e sociale”. “Così – ha aggiunto – le nostre testate vivranno e si rafforzeranno se riusciranno a promuovere e a stimolare il dialogo nelle realtà locali, poiché la loro missione è soprattutto formativa e a servizio della comunità”. “La stampa cattolica – secondo Giuliodori – deve mantenere e potenziare la capacità di essere una bussola nel mondo dell’informazione”, “avere la forza e l’audacia di rivolgersi agli utenti dei nuovi media”, offrendo “un’informazione in grado di accompagnare il lettore attraverso gli spazi di riflessione, di confronto e approfondimento”, “generando una comunicazione efficace, capace anche di sedurre, ma soltanto per accompagnare lo sguardo, l’attenzione del lettore e il suo cuore verso un oltre’”. Il presidente della Commissione Cei ha infine ricordato “l’eccellente esempio del quotidiano ‘Avvenire’ e di non pochi settimanali diocesani”, evidenziando che, “di fronte al bombardamento d’informazioni e d’immagini, la nostra stampa può rappresentare il mediatore capace di valorizzare, raccogliere e, se necessario, filtrare le notizie smascherando quelle false e accompagnando nella lettura critica dei nuovi ambienti digitali, dalle potenzialità straordinarie, ma anche pieni d’insidie”. A cura di Francesco Rossi, inviato Sir a Chioggia
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DALLA CARITAS DI PIANDIMELETO
BILANCIO DEL PRIMO ANNO DI ATTIVITÀ DEL CENTRO CARITAS INTERPARROCCHIALE DI PIANDIMELETO
PARLI... ITALIANO? È già passato più di un anno da quel 28 gennaio 2012, quando – alla presenza del nostro Vescovo S.E. Mons. Luigi Negri e del Direttore della Caritas Diocesana, Giovanni Coccoli – è stato inaugurato a Piandimeleto, l’ultimo Centro Caritas Interparrocchiale, che comprende, appunto, le parrocchie di Belforte all’Isauro, Frontino, Lunano e Piandimeleto. È stato un anno molto impegnativo per noi volontari, in primo luogo, a causa della nostra inesperienza, per la quale, a forza di errori, siamo stati costretti più volte (e lo siamo tuttora) ad aggiustamenti di “tiro” nel nostro operare, per cercare di fare le cose più corrette possibili per tutti gli assistiti, per rispettare e far rispettare le indicazioni e regole proprie della Caritas Italiana e della Caritas Diocesana, per fare in modo di non realizzare “assistenzialismo” e “mantenimento” delle persone che si rivolgono a noi, ma aiuto, presenza, condivisione di vita e problemi (per quanto possibile!). Ovviamente, non siamo riusciti in tutti i buoni propositi che ci eravamo prefissati all’inizio della nostra “avventura” in Caritas, ma il nostro gruppo di 20 volontari, compatto a distanza di 15 mesi, ce la sta mettendo tutta perché, mai come in questo momento storico di grave crisi economica (che si traduce anche in una
crisi di valori), la Caritas Interparrocchiale sia un punto di riferimento contro solitudini e disperazioni. La mancanza sempre più accentuata di risorse economiche, anche per organismi pastorali quali la Caritas, e le sempre maggiori richieste di aiuto da parte delle famiglie tarpano un po’ le ali alle varie iniziative che potrebbero essere intraprese, ma alcune di quelle che avevamo in mente siamo comunque riusciti a realizzarle. Ci siamo accorti che, purtroppo, a causa della perdita di lavoro – dovuta alla chiusura di una importante industria della zona, e della cassa integrazione che non sta risparmiando quasi nessuna delle fabbriche esistenti sul nostro territorio – gli assistiti Caritas avevano tanto tempo libero che non sapevano come impiegare. “Cosa possiamo fare?”, ci siamo chiesti. Abbiamo pensato di impegnare alcune ore della loro giornata offrendo delle opportunità di “qualificazione personale”. Abbiamo, così, realizzato che far loro apprendere meglio la lingua italiana, o farla imparare ex novo, fosse già un primo piccolo passo verso una maggiore integrazione con la nostra cultura, nella quale gli assistiti Caritas, ma non solo, si trovano a vivere, e verso una maggiore
“autonomia pratica”, cioè migliore capacità di affrontare le necessità della vita di ogni giorno. Così, grazie alle nostre tre “facilitatrici interculturali” (cioè donne straniere che hanno studiato per ottenere un apposito diploma che consente loro di fare da tramite tra le persone dei rispettivi Paesi di origine e le istituzioni sociali, sanitarie, ecc., italiane) Ly Fatimata e Dia Maty, senegalese, e Olarewaju Helen, nigeriana, siamo venuti in contatto con i responsabili della Croce Rossa Italiana e dell’Istituto d’Arte-Scuola del Libro di Urbino, con la collaborazione dei quali sono stati attivati, dopo un test scritto per valutare la conoscenza della lingua, due corsi di italiano. Il primo, di livello base – rivolto a chi ancora non parla bene italiano o lo conosce appena – prevede 60 ore di formazione, suddivise in due giorni la settimana, per tre ore ogni giorno. A questo corso sono iscritte quaranta persone. Il secondo corso, invece, di livello più avanzato, è suddiviso, anch’esso, in due lezioni settimanali di due ore ciascuna. Ad esso sono iscritte 25 persone le quali, a fine corso, dovranno sostenere un esame di lingua italiana che consentirà loro di conseguire il diploma, richiesto obbligatoriamente dalla Questura, per il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno o della carta di soggiorno. È bellissimo, per me, vedere con quanto entusiasmo e partecipazione i ragazzi di tutte le nazionalità presenti nel nostro territorio, rispondono alle domande e sollecitazioni delle insegnanti!!! E che brave sono le professoresse, Simonetta (1° corso) e Lucia (2° corso), nel rendere leggere e piacevoli le lezioni per queste persone per le quali apprendere l’italiano significa superare un vero e proprio “scoglio”! A volte si demoralizzano, specie quando è il momento di imparare i verbi!!! Ma una risata sdrammatizza tutto e subito ritorna la voglia di imparare!!! Sonia Rosaspina
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UNO DI NOI
12 maggio 2013
AVVISO SACRO
Puoi metterci la firma.
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Anch’io sono stato un embrione.
Chiediamo all’Europa di fermare gli esperimenti che eliminano gli embrioni umani. Sostieni anche tu come cittadino europeo il diritto alla vita fin dal suo inizio. Firma sul modulo cartaceo oppure aderisci on line sul sito: www.firmaunodinoi.it.
Perché l'embrione umano è già uno di noi.
Iniziativa dei cittadini europei
Comitato Italiano UNO DI NOI - Lungotevere dei Vallati, 10 - 00186 Roma - Tel: 06.6830.8573 - 06.6880.8002
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NOTIZIARIO
I RESTI DEL CORPO DEL SANTO ESPOSTI NELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO
Visita di san Giuseppe da Copertino a San Marino 15-17 APRILE 2013
Il prossimo mese di settembre il Card. Angelo Amato, Prefetto della congregazione dei santi aprirà ufficialmente l’anno celebrativo del 350° della morte di san Giuseppe da Copertino. Per prepararci a questo evento, come comunità religiosa, e come Provincia delle Marche dei Frati Minori Conventuali, assieme ai fedeli che con noi camminano nella fede e, con le Chiese locali dove vivono e operano le nostre fraternità, abbiamo organizzato una peregrinatio del corpo del nostro santo per essere aiutati dalla sua testimonianza e dalla sua intercessione a vivere la grazia dell’anno della fede, indetto da Papa Benedetto XVI. I giorni della sosta a San Marino, nella chiesa di San Francesco sono stati il 15-16-17 aprile. Martedì 16, alle ore 18.00, è stata celebrata una S. Messa, presieduta da Mons. Elio Ciccioni, Amministratore diocesano; mercoledì 17, alle ore 11, per la chiusura della peregrinatio è stata celebrata una S. Messa dal Padre Provinciale Giancarlo Corsini. Durante la permanenza del Santo a San Marino, la chiesa è rimasta aperta per accogliere coloro che hanno voluto sostare in preghiera.
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